mercoledì 3 settembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 01/09/2008 - PREGHIERA PER I CRISTIANI DELL’INDIA - COMUNICATO DELLA PRESIDENZA CEI
2) Preghiera per i Cristiani di Orissa
3) A quarant'anni dal rapporto di Harvard - I segni della morte di Lucetta Scaraffia, Osservatore Romano 3 settembre 2008
4) Il vescovo Negri: «Il divario esiste e va cancellato», di Andrea Tornielli, Il Giornale 27/8/2008
5) La libertà «condizionata» dei cattolici in terra d’islam - «Io, nel ghetto cristiano dove gli emiri vietano di suonare le campane» - Dopo l’allarme del Vaticano, il vescovo Paul Hinder, «ambasciatore» della Santa Sede in Arabia racconta la libertà «condizionata» dei cattolici in terra d’islam…- Il Giornale n. 208 del 2008-08-31
6) Messori minacciato di morte perché difende un’abbazia, di Andrea Tornielli, Il Giornale 29 agosto 2008
7) Finita la tregua olimpica: in Cina arrestato vescovo mentre celebrava la Messa, Libero 26 agosto 2008
8) LA CINA MEDAGLIA D’ORO PER VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI - Il lungo elenco (molto incompleto) delle violazioni dei diritti, durante le Olimpiadi e per consentirne lo svolgimento “armonioso”. In carcere chi protesta o parla coi cronisti esteri, magari ai lavori forzati senza processo, né condanna. Denunciati casi di tortura…, Asia News 22/08/2008
9) Mauro: Europa, vocazione al dialogo, IlSussidiario.net - lunedì 25 agosto 2008
10) GLI OCCHI SCONCERTATI DEL MONDO - SE L’INDIA DIMENTICA LA LEZIONE DI MADRE TERESA - Avvenire, 3 settembre 2008
11) Iraq, torna l’odio: rapiti e assassinati altri due cristiani - Avvenire, 3 settembre 2008
12) I vescovi indiani al mondo: un piano dietro le violenze - Cristiani ormai alla macchia per sfuggire alle vendette. Avvenire, 3 settembre 2008

01/09/2008 - PREGHIERA PER I CRISTIANI DELL’INDIA - COMUNICATO DELLA PRESIDENZA CEI
La Presidenza della CEI, facendosi interprete del turbamento dell’intera comunità cattolica italiana di fronte all’ondata di violenza scatenatasi contro le comunità cristiane nello Stato indiano dell’Orissa, culminata nella morte di sacerdoti, consacrati e fedeli laici e nella distruzione di chiese, ospedali, case e villaggi, si associa all’accorato appello formulato dal Santo Padre Benedetto XVI, condannando con fermezza ogni attacco alla vita umana ed esortando alla ricerca della concordia e della pace. A questo scopo, invita le diocesi italiane a indire per venerdì 5 settembre, memoria liturgica della Beata Madre Teresa di Calcutta, o in altro giorno stabilito dal Vescovo diocesano, una giornata di preghiera e digiuno, come segno di vicinanza spirituale e solidarietà ai fratelli e alle sorelle tanto duramente provati nella fede.
Roma, 1 settembre 2008
LA PRESIDENZA CEI


Preghiera per i Cristiani di Orissa
Autore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
martedì 2 settembre 2008
«Semen est sanguis Christianorum»: tante volte l’abbiamo detto, e la storia ne è, come sempre, la conferma. E certamente, di fronte a tanto odio, a tanta crudeltà, a tanta bestialità (e per di più ottusa), il nostro cuore trema, trepida, soffre. E si domanda il perché, sia dell’odio sia dell’indifferenza del mondo di fronte a tanto dolore.
Così leggiamo su Asianews, e sui vari media che hanno raccontato cosa succede ad Orissa, in India: «Bhubaneswar (AsiaNews) – A una settimana dall’inizio delle violenze in Orissa migliaia di persone, la maggior parte delle quali cristiane, sono ancora nascoste nella foresta o hanno trovato rifugio nei campi di accoglienza predisposti dal governo. Secondo le ultime cifre vi sarebbero almeno 6mila sfollati nei campi profughi e 5mila persone nascoste nelle foreste attorno a Kandhamal, ma la cifra dei rifugiati potrebbe presto toccar quota 10mila. […] Intanto continua ad aumentare il numero delle vittime delle violenze: “Abbiamo ricevuto informazioni attendibili – denuncia Sajan George, presidente del GCIC – in base alle quali le vittime sarebbero almeno 100, nelle zone segnate dalla violenza continuano a spuntare cadaveri mutilati o corpi bruciati”. L’attivista cristiano chiede, al contempo, le “dimissioni in blocco” di tutto il governo dell’Orissa incapace di fermare i massacri contro la comunità cristiana e ne riporta un esempio: “A Bakingia – denuncia Sajan – le famiglie di Daniel e Michael Naik, di fede cristiana e composte da sette individui, sono state torturate e uccise dai fondamentalisti; i cadaveri sono stati identificati grazie ai vestiti indossati, e il luogo dove sono stati uccisi dista solo 80 km dalla stazione di polizia”. […] Intanto continuano i raid anche fuori dell'Orissa. Ieri nel Madhya Pradesh i fanatici hanno assaltato cinque scuole e una chiesa per rappresaglia contro la chiusura degli edifici. Gli assalti hanno avuto luogo nel distretto di Gwaliar (tre scuole e una chiesa) e Barwani (due scuole), e solo per il tempestivo intervento della polizia non si sono registrati gravi danni agli edifici o nuove vittime. Le forze dell’ordine hanno invece bloccato una pacifica dimostrazione degli studenti della scuola di San Francesco, sebbene avvisati per tempo dai vertici dell’istituto, per non meglio precisate questioni di “pubblica sicurezza”.»
Una mia amica, a proposito del caso di Eluana Englaro, riflettendo sul fatto che le suore che la accudiscono sono state accusate di crudeltà, mi comunicava la sua sorpresa nel vedere che non sempre l’amore genera amore, ma spesso odio (e ci pareva questa la sintesi della vicenda terrena di Gesù)-
Un amore incompreso, crocifisso, e comunque sempre indomito: questo è lo scenario, il compito che si aapre per noi cristiani oggi.
Noi di CulturaCattolica.it abbiamo spesso documentato le sofferenze gloriose dei cristiani (sia nella Russia sovietica, in Romania, in Spagna, nei paesi islamici…). E continueremo a farlo. Come continueremo a chiedere ai nostri amici, e a tutti gli uomini di buona volontà, di non lasciare soli i tanti nostri fratelli che soffrono persecuzione.
Certi che, pur se Gesù asciugherà ogni lacrima dai nostri e loro occhi, un sussulto di umanità ci farà chiedere pietà per gli uomini, e così ci sarà più libertà per tutti.

Intanto facciamo nostro e aderiamo alla Giornata di preghiera e di digiuno indetta dalla Presidenza della CEI per venerdì 5 settembre 2008:
«La Presidenza della CEI, facendosi interprete del turbamento dell’intera comunità cattolica italiana di fronte all’ondata di violenza scatenatasi contro le comunità cristiane nello Stato indiano dell’Orissa, culminata nella morte di sacerdoti, consacrati e fedeli laici e nella distruzione di chiese, ospedali, case e villaggi, si associa all’accorato appello formulato dal Santo Padre Benedetto XVI, condannando con fermezza ogni attacco alla vita umana ed esortando alla ricerca della concordia e della pace. A questo scopo, invita le diocesi italiane a indire per venerdì 5 settembre, memoria liturgica della Beata Madre Teresa di Calcutta, o in altro giorno stabilito dal Vescovo diocesano, una giornata di preghiera e digiuno, come segno di vicinanza spirituale e solidarietà ai fratelli e alle sorelle tanto duramente provati nella fede.»

Ho letto recentemente questa definizione della preghiera data da San Tommaso d’Aquino: «Petitio interpretativa spei». Che ciascuno di noi sia interprete di questa speranza.


A quarant'anni dal rapporto di Harvard - I segni della morte di Lucetta Scaraffia
Quarant'anni fa, verso la fine dell'estate del 1968, il cosiddetto rapporto di Harvard cambiava la definizione di morte basandosi non più sull'arresto cardiocircolatorio, ma sull'encefalogramma piatto: da allora l'organo indicatore della morte non è più soltanto il cuore, ma il cervello. Si tratta di un mutamento radicale della concezione di morte - che ha risolto il problema del distacco dalla respirazione artificiale, ma che soprattutto ha reso possibili i trapianti di organo - accettato da quasi tutti i Paesi avanzati (dove è possibile realizzare questi trapianti), con l'eccezione del Giappone.
Anche la Chiesa cattolica, consentendo il trapianto degli organi, accetta implicitamente questa definizione di morte, ma con molte riserve: per esempio, nello Stato della Città del Vaticano non è utilizzata la certificazione di morte cerebrale. A ricordare questo fatto è ora il filosofo del diritto Paolo Becchi in un libro (Morte cerebrale e trapianto di organi, Morcelliana) che - oltre a rifare la storia della definizione e dei dibattiti seguiti negli anni Settanta, tra i quali il più importante è senza dubbio quello di cui fu protagonista Hans Jonas - affronta con chiarezza la situazione attuale, molto più complessa e controversa.
Il motivo per cui questa nuova definizione è stata accettata così rapidamente sta nel fatto che essa non è stata letta come un radicale cambiamento del concetto di morte, ma soltanto - scrive Becchi - come "una conseguenza del processo tecnologico che aveva reso disponibili alla medicina più affidabili strumenti per rilevare la perdita delle funzioni cerebrali". La giustificazione scientifica di questa scelta risiede in una peculiare definizione del sistema nervoso, oggi rimessa in discussione da nuove ricerche, che mettono in dubbio proprio il fatto che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo.
Come dimostrò nel 1992 il caso clamoroso di una donna entrata in coma irreversibile e dichiarata cerebralmente morta prima di accorgersi che era incinta; si decise allora di farle continuare la gravidanza, e questa proseguì regolarmente fino a un aborto spontaneo. Questo caso e poi altri analoghi conclusi con la nascita del bambino hanno messo in questione l'idea che in questa condizione si tratti di corpi già morti, cadaveri da cui espiantare organi. Sembra, quindi, avere avuto ragione Jonas quando sospettava che la nuova definizione di morte, più che da un reale avanzamento scientifico, fosse stata motivata dall'interesse, cioè dalla necessità di organi da trapiantare.
Naturalmente, in proposito si è aperta nel mondo scientifico una discussione, in parte raccolta nel volume, curato da Roberto de Mattei, Finis vitae. Is brain death still life? (Rubbettino), i cui contributi - di neurologi, giuristi e filosofi statunitensi ed europei - sono concordi nel dichiarare che la morte cerebrale non è la morte dell'essere umano. Il rischio di confondere il coma (morte corticale) con la morte cerebrale è sempre possibile. E questa preoccupazione venne espressa al concistoro straordinario del 1991 dal cardinale Ratzinger nella sua relazione sul problema delle minacce alla vita umana: "Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma "irreversibile", saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d'organo o serviranno, anch'essi, alla sperimentazione medica ("cadaveri caldi")".
Queste considerazioni aprono ovviamente nuovi problemi per la Chiesa cattolica, la cui accettazione del prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti, nel quadro di una difesa integrale e assoluta della vita umana, si regge soltanto sulla presunta certezza scientifica che essi siano effettivamente cadaveri. Ma la messa in dubbio dei criteri di Harvard apre altri problemi bioetici per i cattolici: l'idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più, mentre il suo organismo - grazie alla respirazione artificiale - è mantenuto in vita, comporta una identificazione della persona con le sole attività cerebrali, e questo entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistente. Come ha fatto notare Peter Singer, che si muove su posizioni opposte a quelle cattoliche: "Se i teologi cattolici possono accettare questa posizione in caso di morte cerebrale, dovrebbero essere in grado di accettarla anche in caso di anencefalie".
Facendo il punto sulla questione, Becchi scrive che "l'errore, sempre più evidente, è stato quello di aver voluto risolvere un problema etico-giuridico con una presunta definizione scientifica", mentre il nodo dei trapianti "non si risolve con una definizione medico-scientifica della morte", ma attraverso l'elaborazione di "criteri eticamente e giuridicamente sostenibili e condivisibili". La Pontificia Accademia delle Scienze - che negli anni Ottanta si era espressa a favore del rapporto di Harvard - nel 2005 è tornata sul tema con un convegno su "I segni della morte". Il quarantesimo anniversario della nuova definizione di morte cerebrale sembra quindi riaprire la discussione, sia dal punto di vista scientifico generale, sia in ambito cattolico, al cui interno l'accettazione dei criteri di Harvard viene a costituire un tassello decisivo per molte altre questioni bioetiche oggi sul tappeto, e per il quale al tempo stesso costa rimettere in discussione uno dei pochi punti concordati tra laici e cattolici negli ultimi decenni.
(©L'Osservatore Romano - 3 settembre 2008)


Il vescovo Negri: «Il divario esiste e va cancellato», di Andrea Tornielli, Il Giornale 27/8/2008
«Mi auguro che il ministro Gelmini e il governo lavorino per rendere effettiva la parità scolastica». È il messaggio che il vescovo di San Marino e Montefeltro Luigi Negri, rivolge al ministro della Pubblica istruzione che oggi interverrà al Meeting di Rimini.

Per le dichiarazioni sulle scuole del Sud il ministro è stata accusata di razzismo. Che cosa ne pensa?
«Le sue mi sembravano osservazioni funzionali alla vita della scuola per un esercizio migliore della sua finalità educativa. Certi divari e certe differenze di risultati mi paiono evidenti, credo sia giusto impegnarsi per elevare la qualità del servizio».


Il Papa parla di «emergenza educativa». Perché?
«La Chiesa è sfidata a fare una proposta educativa credibile che sappia coinvolgere le giovani generazioni: dobbiamo ritrovare identità e novità di vita, capacità di coinvolgere, di offrire senso e valori, senza fare sconti a noi stessi prima che ad altri. Ma l’emergenza educativa riguarda tutta la società perché la scuola italiana che esce da un secolo di ideologie che l’hanno ingessata...».
A che cosa si riferisce?
«All'omologazione di carattere ideologico che per decenni ha impedito al popolo di riscoprire la sua identità culturale, che nel nostro paese è maggioritariamente cattolica».
Non sta dipingendo la realtà a tinte troppo fosche?
«La scuola statale è ancora erede delle stagioni ideologiche. Prima quella del laicismo risorgimentale, poi quella del fascismo, poi quella del nozionismo neutrale, una stagione per la quale i cattolici hanno una grande responsabilità in quanto hanno accettato che i problemi ideali fossero esclusi dalla scuola. Infine è arrivata la scuola progressista e marxista, soprattutto nei testi e nei professori. Adesso la scuola sembra non interessare a nessuno e sottostare a una concezione tecno-scientista dove regnano edonismo e nichilismo».
Che cosa chiede, dunque, al ministro Gelmini?
«Mi auguro che si apra una stagione nuova, con la creazione di un sistema paritario, un sistema di scuole statali e non statali tutte considerate pubbliche, anche se non gestite direttamente dallo Stato. Penso sia opportuno ristabilire un po’ di regole e di ordine, di fronte a fenomeni come il “bullismo”. Ma non basta. Don Giussani all’inizio degli anni Sessanta diceva ai politici di allora: mandateci in giro nudi, ma dateci la libertà di educare. Un popolo sa che cos’è la democrazia solo se sa cos’è il dialogo tra le culture, solo se è possibile un’educazione che parta da ipotesi positive. Mi auguro insomma che il ministro lavori per rendere effettiva la parità scolastica, facendo sì che le famiglie che scelgono la scuola non statale per i loro figli non siano sottoposte al doppio aggravio economico, condizione che Benedetto XVI ha definito insopportabile».


La libertà «condizionata» dei cattolici in terra d’islam - «Io, nel ghetto cristiano dove gli emiri vietano di suonare le campane» - Dopo l’allarme del Vaticano, il vescovo Paul Hinder, «ambasciatore» della Santa Sede in Arabia racconta la libertà «condizionata» dei cattolici in terra d’islam…

La sua diocesi copre tutta la penisola arabica. I suoi fedeli parlano tagalog, indi, urdu, arabo, inglese e cingalese. Le sue parrocchie non hanno croci, né campanili: bisogna stare attenti a non «offendere» i vicini musulmani. Niente campane per annunciare la messa. Niente processioni per le strade. È vietato. Si muove in questo contesto l’arcivescovo Paul Hinder, dal 2005 vicario apostolico per l'Arabia, pastore della comunità cattolica in terra d’islam: Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar, Bahrain, Yemen e infine Arabia Saudita. Cappuccino, 66 anni, svizzero, monsignor Hinder guida circa due milioni di cattolici di 90 diverse nazionalità. Vive ad Abu Dhabi. Il suo ufficio è «vicino ad una delle più grandi moschee del Paese». In un momento in cui è ai massimi livelli l’allarme per la persecuzione dei cristiani nel mondo, il vescovo d’Arabia racconta al Giornale la «libertà condizionata» dei cattolici in questo angolo di Medio Oriente. Dove, nonostante divieti e discriminazioni, «la comunità cresce ed è vitale».
Eccellenza, dopo le violenze in India, il Vaticano ha parlato di «cristianofobia» diffusa.
«Molto spesso la “cristianofobia” parte da condizioni sociali, economiche e politiche concrete. In tali situazioni la religione può essere strumentalizzata, senza essere la vera ragione di un conflitto. Ci vuole sempre un capro espiatorio. Come in India».
E nel mondo islamico, dove vive?
«Qui non parlerei di una “cristianofobia” generalizzata, anche se accomunare una certa politica occidentale con i cristiani può creare danno a tanti come in Irak o in Pakistan. Per questo guardiamo con apprensione ad una possibile guerra contro l’Iran, che potrebbe avere gravi ripercussioni per la convivenza».
Nella penisola araba vi è persecuzione religiosa?
«Bisogna fare una distinzione tra libertà religiosa e di culto. In Bahrain, Qatar, negli Emirati i cristiani sono liberi di professare nei compound adibiti al culto, dove si svolgono tutte le attività parrocchiali. Non c'è però libertà religiosa, perché non puoi decidere quale credo seguire: un musulmano non potrà mai convertirsi. Si tratta di una libertà condizionata, ma la comunità cresce».
Nella democratica India si uccidono i cristiani e nell’islamica Arabia il loro numero sale.
In India vi è un movente politico dietro la persecuzione, mentre qui i cristiani non ricoprono alcun ruolo pubblico né hanno potere economico. La comunità è costituita al 90% da immigrati che lavorano nei cantieri dell’Arabia del grande sviluppo edilizio. Quest’anno abbiamo inaugurato la prima chiesa in Qatar. Un evento storico».
Ma in Arabia Saudita si viene arrestati per una Bibbia...
«Questo è l’unico Paese dove non esiste neppure la libertà di culto. I cattolici sono circa 800mila. Non si può diffondere o possedere materiale religioso. Il re Abdallah, però, ha concesso la preghiera in luoghi privati, purché non si rechi disturbo».
In che senso, scusi?
«Ad esempio non possiamo operare o accettare conversioni e ogni rapporto troppo personale con musulmani è visto come sospetto. Il problema è definire con precisione questo confine tra pubblico e privato. In passato erano frequenti le irruzioni della polizia religiosa nelle case dei cristiani. Ora il governo sta cercando di rassicurarci e il fenomeno è molto diminuito».
Proprio da Ryadh arrivano, però, segnali di dialogo.
«Credo nella sincerità del re saudita: la sua visita al Papa, gli incontri promossi a Madrid e a La Mecca sono gesti importanti. Il problema è che l’approccio dell’islam è sempre quello di dialogare per farsi conoscere. Non vi è autocritica e per questo è difficile una riforma. I leader religiosi più illuminati purtroppo sono messi a tacere dai fanatici e costretti a vivere sotto protezione. Il cammino è ancora lungo».
Il Giornale n. 208 del 2008-08-31


Messori minacciato di morte perché difende un’abbazia, di Andrea Tornielli, Il Giornale 29 agosto 2008
«Già due volte - racconta Messori - hanno spaccato i vetri della mia macchina parcheggiata fuori dall’abbazia e, tanto perché fosse chiaro che non si trattava di una ragazzata né del solito tentativo di furto, mi hanno lasciato un biglietto dentro l’auto»...

La prima notizia: Vittorio Messori, lo scrittore cattolico autore di bestseller venduti in tutto il mondo, l’intervistatore di due Papi, da un anno e mezzo è minacciato di morte. Lettere anonime, telefonate nel cuore della notte, «avvertimenti» sempre più espliciti, i vetri dell’auto mandati in frantumi più volte, con annesso biglietto per rendere chiaro il messaggio.
La seconda notizia: dietro queste azioni di stampo mafioso - ne sono convinti gli inquirenti, che lo hanno invitato a non sottovalutare le minacce - non c’è la mano di qualche tardivo discepolo dei demolitori della storicità dei vangeli uscito di senno, che non ha perdonato a Messori le poderose e documentatissime opere apologetiche sul cristianesimo vendute come il pane ad anni di distanza dalla loro pubblicazione. C’è, invece qualche occulto comitato d’affari che non gli perdona di essersi impegnato per la salvaguardia dell’abbazia medievale di Maguzzano e dei terreni circostanti, nel Comune di Lonato. Un piccolo spicchio di verde, l’unico scampato dallo scempio della cementificazione, nel basso Garda.
Lo scrittore cattolico, che condivide questa battaglia con altri concittadini, tra i quali il cantautore Roberto Vecchioni, non è mai stato un ambientalista o un ecologista e ha sempre rifuggito il «politicamente corretto». «Ma non posso sopportare - confida al Giornale - vedere prati, boschi e ruscelli trasformati in capannoni o in residenze conigliera per villeggianti che trascorrono qui due settimane all’anno. Come direbbe Talleyrand: è più che un crimine, è un errore. Perché il buon senso vuole che si preservi questo “capitale” proprio per il turismo».
Messori si schermisce, non vorrebbe parlare delle minacce ricevute. «Non voglio fare l’eroe, ci ho riso sopra...», ma alla fine conferma: «Dopo essermi impegnato per far sì che i terreni che circondano l’abbazia e che costituivano l’antico Comune monastico di Maguzzano, non si trasformassero in aree da speculazione edilizia, in questa zona in cui il prezzo delle case è tra i più cari d’Italia, e dopo aver fornito al sovrintendente di Brescia una relazione storica basata sui documenti d’archivio, sono stato preso di mira. Mi sono esposto con interviste e dichiarazioni pubbliche, a nome del comitato che abbiamo formato per difendere Maguzzano. Così - spiega lo scrittore - hanno cominciato a scrivermi...».
Tra le decine di lettere che inondano quotidianamente la sua cassetta postale, Messori ha ritrovato anche missive anonime, fatte ritagliando i titoli dei giornali. Prima l’invito a farsi i fatti suoi, a non interessarsi dei terreni di Maguzzano. Poi minacce sempre più pesanti, comprese quelle di morte. «Già due volte - aggiunge - hanno spaccato i vetri della mia macchina parcheggiata fuori dall’abbazia e, tanto perché fosse chiaro che non si trattava di una ragazzata né del solito tentativo di furto, mi hanno lasciato un biglietto dentro l’auto».
Per mesi lo scrittore ha taciuto. Poi, quando ha informato il comitato a cui partecipa, la notizia è stata segnalata dal Giornale di Brescia. «La mattina stessa mi ha chiamato il questore, sono venuti qui gli uomini della Digos, mi hanno vivamente consigliato di far denuncia e soprattutto di non prendere sottogamba le minacce. È stata investita della cosa anche la Direzione antimafia». Sì, perché la situazione nel Garda agiscono mafie nostrane e d’importazione. E la trasformazione di terreni agricoli in edificabili ne farebbe schizzare il prezzo alle stelle. Messori prossimamente sotto scorta? «Per carità! Proprio di no. L’unica scorta alla quale sono abituato è quella dell’angelo custode».
Il Giornale 29 agosto 2008


Fedeli uccisi, case e chiese bruciate, migliaia in fuga: il pogrom dei cristiani indiani, Asia News 27 agosto 2008
Un bilancio di AsiaNews dell’ondata di violenze che sta scuotendo l’Orissa: la comunità cristiana nel mirino dei fondamentalisti indù conta i morti, gli incendi, le devastazioni alle proprietà, le persone in fuga che cercano riparo nella foresta…
Bubaneshwar (AsiaNews) – AsiaNews tenta un primo bilancio dell’ondata di violenze che scuote l’Orissa dalla sera del 23 agosto, fra le 21 e le 22, con l’uccisione del leader fondamentalista indù Swami Laxanananda Saraswati e di cinque suoi adepti. Le informazioni sono state prese da: Commissione giustizia e pace della diocesi di Kuttack-Bhubaneswar, All India Christian Council, Global Council of Indian Christian (protestante).
La sera di sabato 23 agosto, a poca distanza dalla notizia della morte del leader indù, si registra il primo attacco: due suore della congregazione del Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo a Kothaguda sono fermate da un gruppo di assalitori,che le hanno fatte scendere dal veicolo al quale danno fuoco. Il conducente è picchiato selvaggiamente; quasi in contemporanea un’altra vettura che trasporta delle religiose vicino a Ainthapally, nel Sambalpur, è fermata e data alle fiamme.
La mattina di domenica 24 agosto cominciano gli assalti a diverse chiese, peraltro poco gremite per paura di attacchi. È il preludio all’escalation delle violenze che si registrerà lungo tutta la giornata: verso le 5.30 del pomeriggio è assaltato il centro sociale Jan Vikas, dell’arcidiocesi di Cuttack Bhubaneswar; la folla incendia auto, moto e tutti i documenti.
Alle 6 del pomeriggio la folla incendia il centro pastorale di Divya e poi attacca il presbiterio di Baliguda, nel cuore del distretto di Kandhamal, già teatro di violenze tra il 24 e il 26 dicembre del 2007. Gli assalitori danneggiano sia il convento che il centro di accoglienza adiacente. Attacchi simili si registrano verso le 6.30 dello stesso pomeriggio alla chiesa cattolica di Kanjamedi, seguita da altre tre chiese sempre nella zona. Nella notte vengono dati alle fiamme anche 12 negozi appartenenti a Dalit di fede cristiana. Violenza sessuale ai danni di una giovane suora cattolica della diocesi di Cuttack Bhubaneswar che lavorava per i servizi sociali di Nuagaon, a Kandhamal: i fondamentalisti indù hanno poi bruciato completamente l’edificio.
Lunedì 25 agosto: alle 7 del mattino alcuni seguaci del leader radicale indù, Laxanananda Saraswati, prendono d’assalto la chiesa cattolica di Phulbani, causando gravi danni all’edificio. Sempre la mattina del 25 agosto, si registra un assalto alla casa vescovile e alla curia di Bhubaneswar. Solo la presenza della polizia ha fatto sì che gli assalitori si allontanassero, non prima di aver lanciato pietre e oggetti contro le pareti dell’edificio, distruggendo numerose finestre.
Verso le 13 viene assalito Jamai Pariccha, direttore del Gramya Pragati, ente cattolico impegnato nel sociale e nei servizi di assistenza. La moglie, di religione indù, chiedeva pietà per il marito ma la folla non le dava retta: i fondamentalisti continuavano a picchiarlo urlando a pieni polmoni: “È un cristiano e lo uccideremo!”. L’uomo è ricoverato in un ospedale il cui nome non è stato diffuso per evidenti motivi di sicurezza. Le sue proprietà, inclusa l’auto, sono state distrutte. Un episodio simile si registra un’ora più tardi, verso le due del pomeriggio, nell’abitazione di un insegnante cattolico – Puren Nayak – a Bhudansahi, la cui casa è data alle fiamme. Si racconta di donne indù che indicavo agli uomini le abitazioni dei cristiani e offrono il kerosene per dar fuoco agli edifici.
Nel pomeriggio vengono ucccisi la missionaria laica Rafani Majhi di 21 anni, arsa viva mentre cercava di salvare gli ospiti di un orfanotrofio della missione di Bargarh, e un uomo, anch’egli bruciato vivo a Kandhamal. Nell’attacco all’orfanotrofio è ferito in modo grave anche un prete, ricoverato in ospedale per ustioni multiple in tutto il corpo.
P. Thomas Challan, direttore del Centro per la pastorale diocesana a Kanjimendi – distante meno di un chilometro dal luogo dove lavorava la suora violentata – e una religiosa, Suor Meena, sono feriti gravemente durante l’assalto al Centro pastorale, distrutto dalle fiamme. Entrambi i feriti sono trasportati alla stazione di polizia, mentre gli agenti cercano di arrestare le gravi emorragie. La sera del 25 presa di mira anche la parrocchia di Sankrakhol, saccheggiata e data alle fiamme. Il parroco, p. Alexandar Chandi, si è salvato solo perché è riuscito a nascondersi nella vicina foresta prima che i fondamentalisti lo catturassero. P. Bernard Digal, che in quel momento si stava recando in visita all’amico prete, si è trovato dinanzi la folla inferocita e si è dato alla fuga: la sua jeep è stata distrutta. Oggi, però, padre Digal è stato nuovamente aggredito ed ora è in gravissime condizioni in ospedale. Attaccato anche il convento di S. Giuseppe, le suore si salvano facendo perdere le proprie tracce all’interno della foresta. Verso le 23.30 sono state saccheggiate 17 case di cristiani a Raikia, tutti i loro – miseri – averi sono distrutti.
Nel corso della giornata del 25 agosto si registrano diversi assalti a chiese in varie zone del distretto fra cui: la Pentecostale a Budamaha, la chiesa di Masadkia, la chiesa di Pisermaha, la chiesa battista e la chiesa redentorista a Mondakia, la chiesa di Mdahupanga. Una pattuglia di poliziotti è messa a guardia della chiesa di Jeypore, sotto la minaccia di attacchi imminenti: secondo fonti della sicurezza vi sarebbero oltre 200 fondamentalisti pronti ad assaltarla, mentre il parroco e un confratello hanno abbandonato la struttura trovando rifugio in casa di amici.
Nel distretto di Bargarh, una folla composta da 2mila fanatici assale e distrugge molte chiese, prendendo di mira preti e suore. A Padampur, p. Edward Sequira è picchiato in maniera barbara: al momento è vivo, ma le sue condizioni sono gravi per le numerose ferite riportate e non ha ancora ripreso conoscenza.
Da Tiangia arriva la conferma della morte di un fedele cattolico, Vikram Nayak, letteralmente fatto a pezzi da una folla inferocita. Altri due sono feriti nell’assalto, morendo nelle ore successive a causa delle gravi ferite riportate e per la mancanza di medicine. Nello stesso villaggio in cui è avvenuto il massacro, numerose case di famiglie cattoliche sono date alle fiamme, mentre gli abitanti si rifugiano nella foresta. La scorsa notte, nella zona di Raikia, tre persone sono morte per asfissia, mentre le loro case venivano bruciate.
Martedì 26 agosto: nella mattinata, nel villaggio di Tingia, tre persone muoiono asfissiate a causa degli incendi appiccati alle loro abitazioni. Verso le 11.30 una folla prende di mira il villaggio di Badimunda, nel distretto di Kandhamal: la locale chiesa e cinque case sono date alle fiamme.
I due missionari, un verbita e un gesuita, sequestrati lunedì 25 riescono a sfuggire dalle mani dei loro rapitori: padre Simon Laksa e padre Xavier Tirkey, denudati e picchiati, sono riusciti a mettersi in salvo. Ora si trovano al sicuro nella loro comunità.
La polizia comincia ad intervenire con maggiore fermezza per riportare la calma nella regione, mentre le autorità di governo impongono il coprifuoco e danno l’ordine di sparare a vista. Verso le 9.30 di sera si registrano scontri a fuoco fra fondamentalisti indù e forze dell’ordine, nei pressi del villaggio di Barakhama: sotto i colpi muoiono altre quattro persone. A Kandhmal il coprifuoco è esteso da quattro a sette cittadine, ma questo non ha impedito la distruzione di centinaia di edifici e proprietà appartenenti ai cristiani, oltre al danneggiamento di numerose chiese.
Dalla zona giunge anche notizia di una mancanza di cibo, vestiti e acqua potabile; l’emergenza umanitaria si fa sempre più grave e le abbondanti piogge delle scorse notti non agevolano la situazione di quanti hanno cercato rifugio nella foresta per sfuggire agli assalti. Fra i più colpiti, le donne e i bambini.
AsiaNews 27/08/2008


Finita la tregua olimpica: in Cina arrestato vescovo mentre celebrava la Messa
Domenica, mentre Pechino salutava i suoi Giochi, a 260 chilometri dalla capitale veniva arrestato monsignor Giulio Jia Zhiguo, vescovo “sotterraneo” di Zhengding, nella provincia di Hebei.
L’illusione che la Cina fosse diventato un paese rispettoso dei diritti umani è durata soltanto il tempo delle Olimpiadi. Già domenica durante la loro conclusione, mentre Pechino salutava i suoi Giochi, a 260 chilometri dalla capitale veniva arrestato monsignor Giulio Jia Zhiguo, vescovo “sotterraneo” di Zhengding, nella provincia di Hebei. Il religioso non appartiene all’Associazione patriottica cattolica cinese (nota come Chiesa di Stato), che assegna le cariche per conto del Partito comunista, ma è membro della Chiesa cattolica clandestina, i cui vescovi e sacerdoti sono ordinati dal Vaticano.
La notizia risale a domenica, ma è stata diffusa soltanto ieri. Il messaggio è chiarissimo: passata la tregua olimpica niente è cambiato in materia di diritti umani e libertà religiosa. Questo vuol dire che i vescovi e i sacerdoti fedeli al Papa e non ai dirigenti cinesi verranno perseguitati come sempre.
Monsignor Zhiguo è stato arrestato alla presenza di alcuni fedeli mentre stava celebrando la Messa delle 10.00. Quattro poliziotti lo hanno portato via senza spiegazioni. «Dopo le Olimpiadi – ha rivelato un sacerdote ad Asianews, l’agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere – in Cina tutto ritorna come prima».
Da quando nel 1980 Roma lo ha ordinato vescovo sotterraneo, monsignor Giulio Jia Zhiguo è vittima di persecuzioni, detenzioni, sevizie fisiche e psicologiche. Le volte che è stato messo in prigione, con i poliziotti che gli fanno il lavaggio del cervello per “convertirlo” alla causa della Chiesa di Stato, sono ufficialmente undici. Nel 2005, anno in cui morì Giovanni Paolo II, è stato rapito tre volte dalle autorità cinesi – a gennaio, luglio e novembre – e portato in una località segreta. In tutto ha trascorso in carcere 15 anni della sua vita. Tra gli ultimi arresti quello di un anno fa, il 25 agosto del 2007, quando il vescovo venne fermato perché cercava di diffondere tra i suoi parrocchiani la Lettera ai fedeli cattolici cinesi che il Papa aveva scritto in giugno.
Pechino arrestando il vescovo di Zhengding ha voluto colpire la provincia con il maggior numero di cattolici. Si calcola che nell’Hebei siano un milione e mezzo, di cui 110.000 sotterranei. Per questo dal 2005, in questa regione, la persecuzione si è fatta ancora più dura, con arresti di vescovi, sacerdoti e fedeli.
In tutta la Cina si contano venti milioni di persone fedeli alla Chiesa di Roma. Il dato è in crescita, così come per quella clandestina, che oggi conta oltre dieci milioni di membri.
di Simona Verrazzo, Libero 26/08/08


LA CINA MEDAGLIA D’ORO PER VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI
Il lungo elenco (molto incompleto) delle violazioni dei diritti, durante le Olimpiadi e per consentirne lo svolgimento “armonioso”. In carcere chi protesta o parla coi cronisti esteri, magari ai lavori forzati senza processo, né condanna. Denunciati casi di tortura…,
Asia News 22/08/2008
Pechino (AsiaNews/Chrd ) - In prigione dall’11 ottobre e ai lavori forzati senza processo né condanna, l’attivista per i diritti Liu Jie dal 15 agosto subisce la tortura chiamata "la panca della tigre". Il gruppo per la tutela dei diritti Chinese Human Rigths Defenders (Chrd) racconta le “normali” violazioni dei diritti nella Cina olimpica.
Liu ha protestato contro l’abusiva evizione della piccola industria casearia familiare e l’8 ottobre 2007, durante il 17° Congresso del Partito comunista, da Beian (Heilongjiang) è andata a Pechino per presentare ai leader una petizione contro l’esproprio di terreni, con 12.150 firme. Arrestata dalla polizia, non è stata processata perché il procuratore ha ritenuto mancare prova di reati. Così il 12 novembre è stata “condannata” per “istigazione al disordine e disturbo dell’ordine sociale” a 18 mesi di rieducazione-tramite-lavoro, veri lavori forzati, considerati una misura amministrativa e irrogati senza processo.
Liu, sofferente di cuore, malata di colecisti e con gravi problemi agli occhi, ha dovuto lavorare anche 14 ore al giorno. Il 15 agosto, per difendersi, ha dato una spinta a una guardia che la percuoteva. Da allora – denuncia Chrd - è sottoposta a questa tortura, consistente nel sedere sopra una trave con le mani legate dietro la schiena, le cosce legate alla trave e i piedi posti sopra mattoni e sollevati, così da creare forte tensione e dolore alle ginocchia.
Nel mese olimpico la Cina non ha interrotto le violazioni dei diritti, semmai ha aumentato controlli e misure detentive, per evitare qualsiasi protesta. L’elenco che segue è per necessità solo indicativo.
Interviste con la stampa estera
Il 6 agosto sono stati arrestati Zhang Wei e Ma Xiulan per “disturbo all’ordine pubblico”, perché il 4 agosto hanno raccontato a giornalisti esteri di avere presentato una petizione contro la demolizione coatta delle loro case nel distretto Qianmen di Pechino.
Per analoga accusa dal 29 luglio è in carcere Wang Guilan, di Enshi (Hubei): ha parlato al telefono con un cronista straniero.
Proteste pubbliche
Finora sono state presentate 77 richieste per fare dimostrazioni nelle 3 zone dove sono consentite, come indicato il 23 luglio dal Comitato organizzatore delle Olimpiadi, ma non sono state autorizzate. La polizia spiega che 74 sono state “ritirate”, 2 sono “sospese” per problemi procedurali e una sola è stata vietata. Fonti locali riferiscono che alcuni richiedenti (di cui sono indicati i nomi) sono stati messi agli arresti domiciliari o sotto sorveglianza, mentre altri sono stati soltanto rimandati alla città di provenienza. Wu Dianyuan di 79 anni e Wang Xiuying di 77 (nella foto) sono state condannate a un anno di rieducazione-tramite-lavoro per le ripetute richieste di fare una manifestazione: espropriate con la forza della loro casa di Pechino nel 2001, da allora chiedono giustizia e forse volevano raccontare in pubblico la loro storia. Per ora sono agli arresti domiciliari, “ma – dice un parente – possono essere portate via in ogni momento”.
Arresti di attivisti
Tra i tanti: il 31 luglio è stato arrestato Wang Rongqing del China Democracy Party, per “istigazione alla sovversione contro lo Stato”; il 2 agosto con la stessa accusa è finito in carcere Xie Changfa Wu Jianghe, pure del Cdp. Dal 6 agosto sono detenuti in luogo ignoto il pastore Zhang Mingxuan, capo della Federazione cinese delle Chieste domestiche, e la moglie Xie Fenglan. Già dal 16 maggio è in carcere Ren Shanyan, attivista per i diritti che si occupava dell’accusa di nepotismo mossa da un disabile contro Wang Yijun, vicecapo dell’Ufficio anticorruzione del distretto Lingdong, a Shuangyashan (Heilongjiang).
Huang Qi, direttore del Centro per i diritti umani di Tianwang, è detenuto dal 10 giugno e non ha ancora potuto vedere il proprio avvocato.
Invece Ding Zilin, Jiang Peikun e Qi Zhiyong, membri eminenti del gruppo Madri di Tiananmen, sono state soltanto “invitate” a lasciare Pechino durante i Giochi: ora sono tutte altrove.
E’ andata meglio ad altri attivisti, solo agli arresti domiciliari. Per limitarci alla sola Pechino: lo scrittore Liu Xiaobo, lo scienziato Jiang Qisheng, Zhang Zhuhua, Yu Jie membro della Chiesa domestica, Liu Junning, Zhou Li che lotta contro gli espropri coatti di case per costruire le opere olimpiche, il cristiano Xu Yonghai, gli avvocati Li Fangping e Jiang Tianyong e Li Heping.
E’ invece “scomparsa” poco prima dei Giochi Zeng Jinyan, da 2 anni sotto sorveglianza o agli arresti domiciliari, moglie del noto Hu Jia in prigione dal 27 dicembre.
Ma sono agli arresti o sotto sorveglianza altri attivisti nell’intero Paese, come l’avvocato Zheng Enchong di Shanghai, Yao Lifa nell’Hubei e Chen Xi del Guizhou.
Petizioni
Prima dei Giochi, in Pechino e altre grandi città è stata ordinata “tolleranza zero” contro chi vuole presentare petizioni alle autorità per chiedere giustizia, come diritto per ogni cittadino. Hu Shuzhen, attivista contro gli espropri di terre, il 5 agosto è stata rimpatriata con la forza nel villaggio Yonghuo (presso Zhongwei nel Ningxia) dove è sotto sorveglianza. Il 4 agosto Li Maofang, che lotta contro le demolizione coatta del villaggio di Chaoyanger (a Changsha nell’Hunan) è stata riportata indietro e imprigionata.
Agli arresti domiciliari anche Chen Xiujuan del villaggio Laodong (città di Anda nell’Heilongjiang) che voleva protestare per una questione terriera: aveva da poco scontato 3 anni di rieducazione-tramite-lavoro a Qiqihar, dove è diventata disabile per le percosse e la mancanza di assistenza medica.
Internet
Il giornale online News Week (yizhou xinwen), specializzato nella difesa dei diritti umani, dice che in queste settimane esso ha subito attacchi via internet che hanno paralizzato tutti i suoi compiuti e reso illeggibile il sito. Anche se sono stati resi visibili vari siti in genere bloccati, come quello della Bbc, molti altri sono rimasti oscurati, quali lo stesso Chrd, Dajiyuan, 64tianwang, AsiaNews. Inoltre è aumentata la censura anche sui blog e sono oscurati molti più messaggi perché ritenuti avere contenuto “delicato”.
AsiaNews 22/08/2008


Mauro: Europa, vocazione al dialogo, IlSussidiario.net - lunedì 25 agosto 2008
Come possono paesi e popoli che si sono combattuti per anni, raggiungere una tregua, un accordo? Cosa possiamo fare per aiutarli? Cosa possiamo fare per riaffermare la centralità della persona al di sopra delle differenze politiche, etniche o religiose? All'incontro di oggi del Meeting di Rimini “Le condizioni della pace” sono stati invitati S. Em. Card. Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Amre Moussa, Segretario generale della Lega degli Stati Arabi, perchè ci aiutino a capire su quali basi si possa instaurare un dialogo sincero e rispettoso, un dialogo fondato su una conoscenza reciproca sempre più autentica che riconosca i valori comuni e, che, con lealtà, prenda atto e rispetti le differenze. Il dialogo interreligioso e interculturale costituisce una necessità per costruire insieme il mondo di pace e di fraternità ardentemente auspicato. Nella situazione in cui si trova il mondo oggi, è un imperativo per tutti i popoli impegnarsi nell’affrontare insieme le numerose sfide con le quali si confronta l’umanità, specialmente per quanto riguarda la difesa e la promozione della dignità dell’essere umano e i diritti che ne derivano. Il Ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, già Commissario europeo per la Giustizia, libertà e sicurezza, ci aiuterà a capire cosa possono fare i governi occidentali per aiutare i paesi in conflitto, quale sia il grado di intervento migliore, che ruolo possono giocare le organizzazioni non governative. Ci sono fortunatamente segni di speranza. Stanno nascendo sempre più spesso gruppi di rappresentanti religiosi che si incontrano regolarmente per approfondire le loro convinzioni e cercare quanto unisce nel rispetto delle differenze. Tra credenti non è possibile non convergere verso Dio e quindi trovare dei punti di contatto, ma la strada è lunga. La complessità di alcuni culti, che intrecciano politica e religione, le varie sfaccettature dell’adattamento dei milioni di immigrati che portano con sé culture e fedi differenti, sono elementi che richiedono approfondimento per uno scambio efficace di conoscenze e per un dialogo costruttivo e onesto. Le istituzioni europee devono sostenere attivamente tutti gli esempi di convivenza fra le diverse religioni e culture. Si tratta di un investimento decisivo ed è a un tempo il migliore contributo che possiamo dare al dialogo tra culture al di là del Mediterraneo, in Medio Oriente e nel Nordafrica. Noi non vogliamo lo scontro tra culture, ma desideriamo la pace in libertà e giustizia fra tutti i popoli e le fedi. Per questo motivo, vogliamo gettare un ponte intellettuale e culturale sul Mediterraneo volto a promuovere una società inclusiva in cui ognuno possa avere un ruolo attivo. Questo dialogo deve fondarsi sulla verità e sulla tolleranza. La tolleranza ha infatti senso solo se tiene conto dei fattori che costituiscono la nostra umanità. Una prospettiva interculturale significa costruire insieme un destino comune, lottare per la cooperazione e la fraternità e impone il bisogno di investigare i fondamenti di tutte le esperienze culturali. Oltre a questo, essa richiede la preservazione di un’identità ed evita la proposta di modelli generici, che potrebbero facilmente condurre a una frammentazione culturale e a un’instabilità politica. È necessario poi impostare dei chiari obiettivi che promuovano il superamento del fondamentalismo radicale, attraverso la formazione dei giovani al valore della sacralità della vita. La vicenda dello scontro Russia - Georgia ci ha dimostrato che, quando vuole, l’Unione europea può tornare ad avere un ruolo per la convivenza tra i popoli. È infatti attraverso la mediazione di Sarkozy, attuale presidente del Consiglio dell'UE, che si è raggiunta la tregua e il ritiro delle truppe russe dalla zona occupata. L’accordo raggiunto rappresenta un passo in avanti per il raggiungimento della pace tra la Russia, la Georgia e le regioni interessate. La strategia dei diversi attori europei ha reso il nostro continente protagonista nel processo di pace georgiano. Del resto l’Unione europea stessa rappresenta ancora una non eguagliata esperienza di successo, che ha regalato ai nostri popoli più di 50 anni di pace e che nasce proprio dalla consapevolezza che “quello che ci unisce è più forte di ciò che ci divide”. Una consapevolezza che ha acquistato consistenza nell’alveo dell’amicizia cristiana che legava i padri fondatori.


GLI OCCHI SCONCERTATI DEL MONDO - SE L’INDIA DIMENTICA LA LEZIONE DI MADRE TERESA, Avvenire, 3 settembre 2008
ELIO MARAONE
La stagione del martirio, sino all’ef­fusione del sangue, per i cristiani del mondo non soltanto perdura ma anche si fa più larga e straziante, fra il diffuso disinteresse internazionale, e un fondato presagio di aggravamento. In India lo Stato dell’Orissa, dove si so­no scatenati fanatici indù, si è trasfor­mato in un regno del terrore. Con una violenza e una sistematicità senza pre­cedenti – denuncia la Conferenza epi­scopale indiana ( Cbci) – si sono re­centemente moltiplicati gli attacchi ai cristiani, alle loro case, ai luoghi di cul­to, alle istituzioni benefiche. Sotto i col­pi dei fanatici e, ciò che specialmente allarma, secondo un disegno preordi­nato, sono morte almeno 26 persone, 50 chiese e cinque conventi sono sta­ti distrutti, oltre quattromila abitazio­ni sono state assaltate, migliaia di cre­denti si nascondono bisognosi nella giungla per sfuggire a gruppi armati che ancora circolano indisturbati, no­nostante il governo dello Stato e quel­lo nazionale abbiano promesso di rafforzare l’ordine. Invano, almeno si­nora, si sono moltiplicati gli appelli al­l’India perché spezzi ovunque la cate­na delle violenze: ultimo in ordine di tempo quello lanciato da Nirmala Jo­shi, la superiora delle Missionarie del­la carità succeduta alla Beata Teresa di Calcutta, perché si getti via l’arma del­l’odio e la si sostituisca con l’amore, in India come nel mondo intero.
In India insomma « la situazione di paura continua e colpisce special­mente i cristiani » , come ha ricordato ieri alla Radio Vaticana il vicario epi­scopale per le chiese orientali a Delhi padre George Manimala. Ma il caso indiano non è purtroppo isolato e le persecuzioni dei cristiani si moltipli­cano in varie regioni del mondo, dal­l’Asia al Medio Oriente dall’Africa al­l’America Latina. Particolarmente do­lorosa e inquietante è la situazione della comunità cristiana in Iraq, ieri di nuovo nel mirino dei fondamentali­sti islamici. Nella diocesi di Mosul, già tristemente nota tra l’altro per il rapi­mento conclusosi tragicamente di monsignor Paulo Farj Rahho, negli ul­timi tre giorni due altri cristiani sono stati rapiti e uccisi da criminali fana­tici, mossi insieme dalla brama del de­naro del riscatto e dall’odio a sfondo religioso. La ripresa dei sequestri, de­gli omicidi, degli assalti feroci a uo­mini e cose che hanno costretto oltre due terzi dei fedeli a lasciare la dioce­si di Mosul ( bagnata dal sangue di al­meno 13 martiri!), denuncia l’ulterio­re aggravarsi di un terrore anti- cri­stiano che pure, come in India, i go­verni regionale e nazionale si erano impegnati a sradicare.
Probabilmente non si può parlare – al­meno, non ancora – di una strategia planetaria che punta distintamente al­la persecuzione dei cristiani. Tuttavia è innegabile che gli episodi di violen­za contro i credenti in Cristo stiano crescendo di numero e di tono, e non soltanto, come s’è accennato, in India e in Iraq. Come fratelli di fede e fratel­li nella stessa umanità abbiamo quin­di il dovere di accompagnare con la so­lidarietà la testimonianza dei cristiani perseguitati, e dare a questa solida­rietà la concretezza esigita dalle circo­stanze. Su questo orizzonte, il primo appuntamento è per venerdì prossi­mo, 5 settembre (festa della beata Ma­dre Teresa) stando all’appello lancia­to dalla Conferenza episcopale italia­na, con l’adesione della Diocesi di Ro­ma. La forza della preghiera è indi­scutibile, e formidabile. Anche per riu­scire a dare un senso alle colpe (magari di semplice omissione) che si adden­sano su organismi e governi, e al si­lenzio di capi religiosi (indù e musul­mani) che, quantomeno agli alti livel­li, non hanno finora condannato le violazioni della libertà religiosa, gli ol­traggi ai luoghi di culto, gli attentati al­lo stesso – sacro, irrinunciabile – dirit­to alla vita e alla fede.


Iraq, torna l’odio: rapiti e assassinati altri due cristiani - Avvenire, 3 settembre 2008
DI LUCA GERONICO
Un riscatto pagato, ma invano. La disperata colletta della famiglia a racimolare quei 20mila dollari che potevano significare un salvacondotto per la vita di Tariq Qattan. La notizia della morte dell’anziano caldeo, medico 65enne di Mosul, nel Kurdistan, è giunta ieri – ha rivelato AsiaNews – a vanificare ogni residua speranza di trarlo in salvo. Vile estorsione, ad opera di delinquenti, ma sempre ai danni di quei pochi caldei rimasti ancora a Mosul, un tempo la città culla del cristianesimo iracheno.
Tutto, sia pure in assenza di rivendicazioni o prove evidenti, lascia supporre la matrice estremistica islamica. Sempre a Mosul, tre giorni fa, il rapimento e l’uccisione di un altro cristiano, Nafi Haddad. Incerto, in questo ultimo caso, il pagamento o meno di un riscatto. Un triste copione che per qualche mese si era auspicato potesse non andare più in scena dopo i 47 morti registrati nella comunità cristiana nel 2007 (13 solo a Mosul fra cui padre Ragheed Gani) e il tragico rapimento il 13 marzo scorso dell’arcivescovo di Mosul, monsignor Paulo Faraj Rahho, e gli attacchi di gennaio a chiese e conventi. Negli ultime mesi la cronaca riferiva delle trattative per definire il ritiro del contingente straniero, i successi dell’esercito iracheno ritornato da pochi giorni ad avere il pieno possesso della provincia sunnita di al-Anbar, un anno fa covo di al­Qaeda e la tregua – l’ennesima – annunciata nel sud sciita dall’Esercito del Mahdi. Tutti elementi che sembrano promettere un Iraq più stabile e pacificato anche se venerdì scorso era stato l’arcivescovo dei latini di Baghdad, Jean Benjamin Sleiman, a lanciare l’allarme: nella generale «reticenza da parte dei mezzi di comunicazione e delle autorità» era venuto a conoscenza di «innumerevoli» sequestri di persona. Il segretario della locale conferenza episcopale, intervistato a fine agosto dalla sezione inglese di Aiuto alla Chiesa che soffre, aveva poi precisato che di norma «è il denaro il fine principale dei rapimenti» ma che «l’estremismo religioso è stato spesso un fattore rilevante». Violenze che certo non riguardano solo i caldei e che riaffiorano, non a caso ieri, nel giorno in cui il premier iracheno Nouri al-Maliki annuncia una nuova bozza di accorso sulla sicurezza fra Baghdad e Washington. Ma la morte e le intimidazioni colpiscono duramente una minoranza che non ha avuto nessun ruolo nel conflitto interno ma ha dovuto pagare uno dei prezzi più alti. La fuga nello sperduto entroterra del Kurdistan settentrionale come nei campi profughi giordani e siriani resta per molti caldei una triste scelta obbligata. Per questo ancora più struggente è l’appello al dialogo e al rispetto reciproco che l’arcivescovo di Kirkuk, Louis Sako, ha scritto ai «fratelli musulmani» della sua città all’inizio del Ramadan invocando «la pace sulla nazione irachena». Un «mese di sacrificio e di buone azioni» durante il quale chi «produce un’oncia di bene ne vedrà il risultato e colui che produce un’oncia di male vedrà il risultato», ricorda Sako citando il Corano. Una Chiesa martire capace di parlare, ancora una volta, di dialogo e di rispetto reciproco.
L’allarme del segretario della Conferenza episcopale Sleiman: «I nostri fedeli spariscono nella reticenza di media e autorità». Monsignor Sako: il Ramadan porti pace a tutto il Paese


I vescovi indiani al mondo: un piano dietro le violenze - Cristiani ormai alla macchia per sfuggire alle vendette. Avvenire, 3 settembre 2008
DA NEW DELHI
«Si tratta del peggior attacco subito dalle comunità cri­stiane in India negli ultimi anni. Gli estremisti hanno cercato di colpire tutti i fedeli, luoghi e simboli cristia­ni, quasi per cancellare le tracce di cristianesimo dalla zona. È u­na vera tragedia»: sono le drammatiche parole pronunciate all’a­genzia Fides da padre Babu Joseph, portavoce della Conferenza e­piscopale indiana. «L’area dove è scoppiata la violenza – ha conti­nuato padre Babu Joseph – non è ancora accessibile. Ma testimo­ni oculari raccontano di una violenza immotivata e indicibile. In pochi giorni sono state distrutte migliaia di case, centinaia di chie­se, tutto ciò dove c’era una croce era un obiettivo. È evidente che non si è trattato di un episodio isolato, ma di un’azione ben orga­nizzata e pianificata». «Abbiamo presentato al governo e alle massime autorità nazionali – ha aggiunto ancora il portavoce dei vescovi indiani – la situazione e abbiamo ricevuto solidarietà. Ma siamo comunque molto preoc­cupati e colpiti da tali eventi. I cristiani vittime degli attacchi, fuggi­ti nelle foreste, oggi sono in campi profughi. Ma la maggior parte di loro non tornerà nei villaggi di provenienza. Si trasferiranno in altri luoghi per scampare alla violenza e salvare la vita». Padre Babu Jo­seph ha sottolineato con forza che si tratta di una «grave violazione dei diritti umani, della libertà religiosa, dello stesso diritto alla vita» e per questo ha chiesto una mobilitazione internazionale.
Del clima di paura nella quale oramai vivono perennemente i cri­stiani ha raccontato a Radio Vaticana padre George Manimala, vi­cario episcopale per le Chiese orientali a Delhi. Che però non ha e­sitato a parlare della volontà di reagire, innanzitutto con la preghiera: «La situazione di paura continua, e colpisce specialmente i cristia­ni ma noi preghiamo per la pace e chiediamo a tutti i cattolici, ai cri­stiani, di pregare per la situazione in Orissa». Il vicario episcopale ha sottolineato «l’importanza del dialogo reciproco» in cui «anche il governo deve impegnarsi». Da parte dei cristiani, ha esortato, «è importante dare testimonianza di amore e di riconciliazione». Pa­dre Manimala ha raccontato che «sui giornali viene dato spazio al­la situazione in Orissa. I giornalisti hanno condannato le violenze. Non ho invece sentito finora nessun leader religioso indù parlare di questo. Ma va comunque detto che c’è una parte indù che cerca di mantenere l’armonia nel Paese».