martedì 29 marzo 2011

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    IL PREZZO DI UNA GIOVINEZZA ETERNA - di Virginia Lalli - feti umani utilizzati per la preparazione di creme antirughe, medicinali e sperimentazioni, con un enorme giro d'affari - (ringraziamo Don Marcello Stanzione, che ci ha inviato questo articolo) - A 180 dollari si può comprare negli USA su prescrizione medica e via internet in Europa per 90 € , la crema antirughe ottenuta da  feti umano abortiti. – da http://www.riscossacristiana.it
2)    Verso l'eutanasia legale/Il "caso Englaro" diventa legge di Giacomo Rocchi, 25 marzo 2011, http://veritaevita.blogspot.com/2011/03/verso-leutanasia-legaleil-caso-englaro.html
3)    Verso l'eutanasia legale/Il "caso Englaro" diventa legge/2 di Giacomo Rocchi, da http://veritaevita.blogspot.com/2011/03/verso-leutanasia-legaleil-caso-englaro_26.html
4)    Salva 70 bambini dall'aborto per tener fede a un voto di Raffaella Frullone, 27-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
5)    ESTERI - SCENARIO/ Scola: così Libia e Nord Africa possono "rifare" l'Europa - INT. Angelo Scola - lunedì 28 marzo 2011 – il sussidiario.net
6)    28/03/2011 - PAKISTAN – STATI UNITI - Due cristiani uccisi, chiese bruciate: la risposta degli estremisti al rogo del Corano in Florida di Jibran Khan
7)    LA SCINTILLA CHE ACCENDE LA VITA di Mimma Piliego*
8)    Embrioni brevettabili? Le possibili alleanze di Carlo Bellieni, 28-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
9)    Nuova guarigione al santuario di Lourdes di Raffaella Frullone, 28-03-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
10)                      Fine vita: si faccia la legge ma il problema è culturale di Michele Aramini, 29-03-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
11)                      L'atomo, l'ipocrisia, il male di Massimo Camisasca, martedì 29 marzo 2011, il sussidiario.net
12)                      L’incredibile conversione di Abby Johnson, direttrice del più grande ente abortista - 28 marzo, 2011, da http://www.uccronline.it
13)                      Avvenire.it, 29 marzo 2011 - Lo scandalo degli sbarchi e quello che è già qui - Perché questa miseria non diventi paura di Davide Rondoni
14)                      Avvenire.it, 29 marzo 2011 - BIOETICA E POLITICA - Fine vita: «La volontà presunta? - Un obbrobrio giuridico» di Lucia Bellaspiga

IL PREZZO DI UNA GIOVINEZZA ETERNA - di Virginia Lalli - feti umani utilizzati per la preparazione di creme antirughe, medicinali e sperimentazioni, con un enorme giro d'affari - (ringraziamo Don Marcello Stanzione, che ci ha inviato questo articolo) - A 180 dollari si può comprare negli USA su prescrizione medica e via internet in Europa per 90 € , la crema antirughe ottenuta da  feti umano abortiti. – da http://www.riscossacristiana.it

I ricercatori dell’Università di Losanna durante le operazioni sui feti nell'utero, si  resero conto che i bambini, una volta nati, non avevano alcuna cicatrice. Le virtù di queste cellule di feto si sono allora rese evidenti: queste ultime potevano essere efficaci per trattare le vittime di ustioni. Un male per un bene?

Verificata l'ipotesi, i ricercatori di Losanna hanno deciso di associarsi ad un laboratorio privato, Neocutis, autorizzandolo a commercializzare la prima crema antirughe a base di cellule di pelle di feto.

I responsabili di Neocutis hanno dichiarato al giornale Le Parisien: «In nessun caso, noi incoraggeremo l'aborto».

Molti prodotti di tale casa contengono linee cellulari di origine fetale.

“The Guardian” nel 2004 ha pubblicato un articolo che illustra come una compagnia cinese usi i feti abortiti per la fabbricazione di cosmetici.
In generale, molte ricerche “mediche” sono state effettuate, e lo sono ancora oggi, sui bambini abortiti ancora in vita.

Il dottor Lawrence Lawn del Dipartimento di Medicina Sperimentale di Cambridge negli anni ‘70 compiva esperimenti su bimbi vivi abortiti. La sua  giustificazione è stata: “Usiamo semplicemente per il bene dell’umanità qualcosa che è destinato all’inceneritore… non li avrei mai fatti su un bambino vivo. Questo non sarebbe giusto”. Sempre in Inghilterra, la Langhman Street Clinic (specializzata in aborti) vendeva feti vivi tra la 18a e la 22a settimana al Middlesex Hospital. Philip Stanley, portavoce della Clinica, ha dichiarato: “La posizione è chiara. Un feto deve avere 28 settimane di vita perché sia riconosciuto legalmente come essere umano. Prima di questo momento equivale a spazzatura”.

Le cliniche abortive  rivendono a industrie farmaceutiche oppure ad istituti di ricerca i feti abortiti. Così nel silenzio felpato di questi “luoghi di morte” si è sviluppato un importante traffico che si stende su scala mondiale, e che nell’anno 2000 fruttava già un miliardo di dollari americani.

Certe cliniche consigliano la donna gravida di ritardare l’aborto. Fanno questo con lo scopo (non espresso) di ricevere bambini ben sviluppati, con organi funzionali, in perfette condizioni. Questi bambini di 18 settimane e più vengono estratti tramite un taglio cesareo. Con questo sistema il medico abortitore è in grado di soddisfare le più rigorose specificazioni dell’acquirente: l’industria farmaceutica, cosmetica o  ricercatori universitari.  Il cliente, che  pagherà il feto abortito tra i 70 e i 150 dollari lo riceverà col certificato che dice: estratto dal seno materno “in stato di vita”.

Secondo la rivista Time Magazine, il commercio degli organi umani è una cruda realtà, ed in certi paesi i bambini della strada vengono catturati per alimentare le “banche clandestine d’organi umani”.

Ecco alcuni esempi denunciati da giornalisti di come alcuni bambini abortiti sono stati sfruttati allo scopo di fornire organi umani.

Certi vaccini contro l’influenza vengono prodotti utilizzando polmoni di bambini abortiti, in sostituzione di uova di anitra.

Il 9 Gennaio 1980, la rivista Chemical Week ha rivelato che alcuni scienziati hanno tentato di produrre un vaccino contro il raffreddore. Per far questo avevano iniettato un virus di questa malattia nel dotto nasale di bambini non nati. Il 26 Luglio 1980, un giornale di Chicago, il Sun Time, ha riportato la notizia di esperienze fatte per verificare l’azione dei pesticidi sugli embrioni umani.

Una ditta farmaceutica si è servita di 14 piccoli abortiti per provare l’efficacia di alcuni prodotti da utilizzare contro l’ipertensione.

I reni di bambini non nati sono utilizzati per coltivare dei virus nelle ricerche sull’immunologia e la biochimica.

Gli intestini di bambini non nati sono utilizzati copiosamente nella preparazione del vaccino Salk, contro la Poliomielite.

Il 17 marzo 1996, una domenica, la televisione francese ha diffuso in rete nazionale un’emissione intitolata: “Gli embrioni umani sono utilizzati nel mondo”. Tra l’altro, la rete nazionale ha divulgato una tecnica nuova chiamata “nascita parziale”. Il medico prepara il corpo del bambino in modo che si presenti con le gambe e non con la testa. La testa deve rimanere bloccata all’interno dell’utero materno, la faccia in giù. Trovandosi in questa posizione il bambino non può gridare. Allora, mentre il bambino si agita disperatamente, il medico gli perfora il cranio presso la nuca, vi introduce un tubo e gli aspira il cervello. Un momento prima che il cranio sia vuotato del suo contenuto, il corpicino smette di agitarsi. Finito di succhiare, il medico tira fuori il corpicino e lo smembra. Separa le parti negoziabili, specialmente il cervello, e le confeziona non dimenticando di menzionare la garanzia: “In stato di vita”.

Ancora oggi, bambini abortiti sono usati come cavie di laboratorio. In particolare, per la preparazione di alcuni tipi di vaccino. È quanto riporta, nel 2005, la Pontificia Accademia per la Vita nella dichiarazione “Riflessioni morali circa i vaccini preparati a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti”: “Dal punto di vista della prevenzione di malattie virali come la rosolia, la parotite, il morbillo, la varicella, l'epatite A, è chiaro che la messa a punto di vaccini efficaci contro tali malattie, e il loro impiego nella lotta contro queste infezioni fino alla loro eradicazione, mediante una immunizzazione obbligatoria di tutte le popolazioni interessate, rappresenta indubbiamente una "pietra miliare" nella lotta secolare dell'uomo contro le malattie infettive e contagiose.
Tuttavia, questi stessi vaccini, poiché sono preparati a partire dai virus raccolti nei tessuti di feti infettati e volontariamente abortiti, e successivamente attenuati e coltivati mediante ceppi di cellule umane ugualmente provenienti da aborti volontari, non mancano di porre importanti problemi etici”.

La produzione prosegue, nonostante in molti casi esistano alternative moralmente lecite con cellule ottenute da linee animali. Certo è che vi è una coincidenza temporale tra la scoperta di tali vaccini a fine anni ’60 - inizio anni ’70 e la concomitante ‘esplosione’ di leggi abortiste nei paesi cosiddetti “democratici”. Secondo le parole di Marshall McLuhan alla “meccanicizzazione della morte” e al “sonnambulismo collettivo” di fronte a simili trattamenti della vita ricordiamo ciò che  Giovanni Paolo II scrisse nell’Evangelium vitae (1995): “Ritroviamo l'umiltà e il coraggio di pregare e digiunare, per ottenere che la forza che viene dall'Alto faccia crollare i muri di inganni e di menzogne, che nascondono agli occhi di tanti nostri fratelli e sorelle la natura perversa di comportamenti e di leggi ostili alla vita, e apra i loro cuori a propositi e intenti ispirati alla civiltà della vita e dell'amore”.


(*) Virginia Lalli è avvocato, consigliere dell'Associazione “Avvocatura in Missione” e responsabile del settore donne per “Nuove Frontiere” onlus. Collabora con diversi enti umanitari, relatrice e curatrice di convegni sul tema dell'aborto e della L.194/78. Si occupa di attività formative ed educative ai Diritti umani.

Curatrice, con Alessia Affinito, del libro “L’aborto e i suoi retroscena. Vite e maternità spezzate” (Ed. IF Press 2010, pp. 246, euro 18,00)

Vedi anche i seguenti link:


Neocutis Technology:  http://www.neocutis.com/modules.php?modid=2



Verso l'eutanasia legale/Il "caso Englaro" diventa legge di Giacomo Rocchi, 25 marzo 2011, http://veritaevita.blogspot.com/2011/03/verso-leutanasia-legaleil-caso-englaro.html

16 ottobre 2007: La Cassazione, pronunciando sul ricorso di Beppino Englaro, che chiedeva di essere autorizzato ad interrompere l'alimentazione e l'idratazione artificiale per la figlia, che si trovava in stato di incoscienza nel cd. "stato vegetativo", afferma un principio: il padre/tutore ha il potere di decidere di far morire la figlia interdetta di fame e di sete.

9/2/2009: Eluana Englaro muore dopo che il padre/tutore, autorizzato dalla Corte d'Appello di Milano in forza della sentenza della Cassazione, l'ha autorizzato a sospendere alimentazione e idratazione.

26/3/2009: Il Senato della Repubblica approva un progetto di legge che recita:
"Ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato ...
In caso di interdetto, il consenso informato è prestato dal tutore che sottoscrive il documento"

Aprile 2011: Il progetto verrà approvato definitivamente?

(Ci diranno che il tutore deve prendere le sue decisioni avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della vita e della salute dell'incapace; ma taceranno sulla possibilità per il tutore di rifiutare terapie salvavita per l'interdetto.
Diranno che il rifiuto del tutore può essere impugnato dal medico, ma non spiegheranno che il medico non ha l'obbligo di impugnarlo.
Diranno che il tutore non può far interrompere alimentazione e idratazione artificiale all'interdetto come fece Beppino Englaro, ma non spiegheranno che può rifiutarsi di farle iniziare e può, ancora, rifiutare ogni altra terapia e perfino la respirazione artificiale ...).


Verso l'eutanasia legale/Il "caso Englaro" diventa legge/2 di Giacomo Rocchi, 26 marzo 2011, da http://veritaevita.blogspot.com/2011/03/verso-leutanasia-legaleil-caso-englaro_26.html

Chi ha scritto queste parole?
"Chi versa in stato vegetativo permanente è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita e dal diritto alle prestazioni sanitarie, a maggior ragione perché in condizioni di estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente";
"la scelta del tutore deve essere a garanzia del soggetto incapace, e quindi rivolta, oggettivamente, a preservarne e a tutelarne la vita".

Sono i giudici della Cassazione che, nel 2007, hanno consentito il "via libera" a Beppino Englaro per sospendere alla figlia interdetta l'alimentazione e idratazione artificiale, fino a farla morire.

Vedete quale è il "diritto alla vita" riconosciuto ai soggetti in stato vegetativo?
Comprendete in che modo la scelta del tutore deve essere "rivolta oggettivamente a preservarne e a tutelarne la vita"?

Dove sono scritte queste altre parole?
"riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile e indisponibile, anche ... nell'ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere";
"la scelta (del tutore sulle terapie all'incapace" è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita del soggetto incapace"

Si tratta del progetto di legge sulle DAT in discussione alla Camera dei Deputati.

Ci si domanda: il diritto alla vita dei disabili incapaci sarà tutelato nello stesso modo in cui la sentenza della Cassazione ha tutelato il diritto alla vita di Eluana Englaro?

Ma la sentenza della Cassazione, in realtà, voleva tutelare la "dignità" di Eluana Englaro, permettendone la morte:
"il tutore non può nemmeno trascurare l’idea di dignità della persona dallo stesso rappresentato manifestata, prima di cadere in stato di incapacità, dinanzi ai problemi della vita e della morte"

Guarda un po'; il legislatore delle DAT ha la stessa preoccupazione:
"riconosce e garantisce la dignità di ogni persona in via prioritaria rispetto all'interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e della scienza"

Paralleli inquietanti ...


Salva 70 bambini dall'aborto per tener fede a un voto di Raffaella Frullone, 27-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Quante volte, soprattutto nel momento del bisogno, preghiamo il Signore con ardore chiedendo una grazia e facendo un voto? «Signore se mi fai questa grazia ti prometto che da oggi in poi mi impegno a …», «Signore se mi concedi quanto ti chiedo, ti prometto che rinuncio a …». E quante volte poi il voto è rimasto inadempiuto e delle nostre promesse non sono rimaste che parole vuote?

Oggi noi vi raccontiamo la storia di un uomo che, per tenere fede ad una voto fatto a Dio in un momento tragico, ha salvato le vite di 70 bambini e cambiato per sempre quella delle loro madri.

Tong Phuoc Phuc è un 44enne vietnamita. Nel 2001 viveva nella città  costiera di Nha Trang con la moglie che aspettava il loro primogenito. La gravidanza però presentava delle complicazioni tali da mettere in serio pericolo le vite di mamma e figlio. Ecco che allora Phuc inizia a pregare, e incessantemente chiede al Signore  che il figlio nasca sano e che sua moglie sopravviva al parto «Se mi concedi questa grazie Signore – supplicava – ti prometto che mi impegnerò ad aiutare gli altri».

Non sapeva ancora quanto quella promessa avrebbe cambiato la sua e molte altre vite. Il parto si svolse senza problemi e il bambino nacque sanissimo, mentre la moglie di Phuc per riprendersi ebbe bisogno di una lunga permanenza in ospedale per le complicanze  della gravidanza. Fu in quel periodo che Phuc notò qualcosa di strano: «Vedevo molte donne entrare in ospedale col pancione e uscire senza il loro bambino… quando ho realizzato che tutte quelle donne avevano abortito sono rimasto scioccato e ho deciso che dovevo assolutamente fare qualcosa».

Da quel giorno Puch, che lavorava come muratore, inizia a risparmiare per riuscire a comprare un piccolo appezzamento di terreno fuori città. Poi inizia a recuperare feti abortiti dagli ospedali e dalle cliniche per seppellirli nel terreno e poter pregare per loro. All’inizio medici e infermieri pensavano fosse pazzo e anche la moglie era perplessa, soprattutto rispetto all’idea di risparmiare per costruire un cimitero per feti. Ma Puch era seriamente convinto e con costanza e determinazione bussava alle porte degli ospedali e portava via i corpicini abortiti, tanto che oggi sono 9000 i bimbi mai nati seppelliti nel suo cimitero «Questi bambini hanno un’anima – dice – e non voglio che la loro anima vaghi nel nulla senza che nessuno preghi per loro».

Ma la parte più straordinaria del voto di Puch ancora doveva venire. In Vietnam l’aborto è molto diffuso. Il paese asiatico nel 2010 è entrato nella classifica dei dieci stati con la più alta diffusione dell’interruzione di gravidanza, fenomeno che interessa soprattutto le ragazze con meno di 19 anni.. Nel 2006 nel solo ospedale di Ho Chi Minh City sono stati praticati 114 mila aborti, numero di gran lunga superiore a quello delle nascite. Purtroppo molte donne vietnamite vedono l’aborto come una scelta obbligata dal momento che vivono in situazioni di estrema povertà, le minorenni inoltre, temono di non riuscire a crescere il bambino visto che ai rapporti prematrimoniali quasi sempre segue un allontanamento della giovane da parte della famiglia. Non solo, ad incidere è anche il numero degli aborti di figlie femmine, pratica cui i mariti costringono le mogli che non portano in grembo un erede maschio.

Ecco che allora Puch decide di aprire la porta della sua casa alle madri in difficoltà accogliendo loro insieme ai lori piccoli. Il muratore garantisce loro un tetto e i pasti fino alla nascita del bambino e si impegna ad accogliere e allevare il piccolo fino al momento in cui la madre non si possa prendere cura di lui. Dal 2001 a oggi sono oltre 70 i bambini cui ha salvato la vita, 70 le donne alle quali è riuscito ad evitare il dramma dell’aborto soltanto parlando con loro mentre si recavano in ospedale con l’intenzione di interrompere la gravidanza. Almeno metà di queste donne hanno trascorso la gravidanza e i primi mesi di vita del bambino in uno dei due appartamenti che Puch ha allestito nel corso degli anni, anche grazie alle numerose offerte ricevute da chi veniva a conoscenza della sua storia.

«A volte arrivo ad avere fino10-13 mamme che vivono qui con i loro bambini naturalmente. Quando i letti che ho a disposizione sono occupati, dormono sul pavimento. E’ difficile anche per loro ma appena si rendono conto della gioia della quale si sarebbero private rinunciando ad un figlio e del dramma che avrebbero vissuto, affrontano tutto con uno spirito ottimista. Cerco solo di dare agli altri la stessa gioia che il Signore ha dato a me».

Minimizza Tong Phuoc Puch, recita filastrocche ad un bimbo mentre accarezza l’altro, rassicura le loro madri e le fa sentire parte di un’unica e grande famiglia. Ogni mattina cura i dettagli del cimitero che accoglie i feti come se fosse uno stupendo giardino, si ferma davanti alla statua della Vergine Maria e prega, poi lavora, torna a casa e si prende cura di tutte le vite che ha salvato o cambiato. Una storia straordinaria, ancor più straordinaria se si pensa a come è cominciata, con una supplica al Signore, con una grazia ottenuta, con una promessa mantenuta.


ESTERI - SCENARIO/ Scola: così Libia e Nord Africa possono "rifare" l'Europa - INT. Angelo Scola - lunedì 28 marzo 2011 – il sussidiario.net

All’Angelus di ieri Benedetto XVI ha rivolto un appello «a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l’immediato avvio di un dialogo, che sospenda l’uso delle armi». «Che la pace ritorni al più presto per quelle popolazioni e si fermino tragedie ulteriori - dice a ilsussidiario.net il cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia -, significa ridire con forza che ogni morto è di troppo. La pace però non è un automatismo utopistico, occorre costruirla ogni giorno nella realtà». «Noi europei - spiega ancora Scola - siamo vittime di una forte presunzione. Pensiamo di saper valutare e risolvere i problemi senza prendere in considerazione la testimonianza di chi vive in queste situazioni». A cominciare dai cristiani di quelle terre. E non esistono solo le pur importantissime istanze di partecipazione e di democrazia, ma anche le trasformazioni dell’islam. Una sfida nel quale si giocano i contorni spirituali dell’identità europea, e in particolare dell’Italia, cerniera tra nord e sud del mondo.

«Chiedo a Dio che un orizzonte di pace e di concordia sorga al più presto sulla Libia e sull’intera regione nord africana», aveva già detto Benedetto XVI all’Angelus di domenica 20 marzo. Che senso può avere parlare di pace quando la politica rivendica un’azione diretta a salvare le popolazioni dalla tirannia?

Parlare di pace in queste circostanze significa ovviamente esigere che la violenza delle armi, anche in questo caso, finisca e ceda il posto alla trattativa. Che la pace ritorni al più presto per quelle popolazioni e si fermino tragedie ulteriori, significa ridire con forza che ogni morto è di troppo. La pace però non è un automatismo utopistico, occorre costruirla ogni giorno nella realtà. Per questo, per ottenere la pace, la preghiera si pone, contro ogni scetticismo, come strumento efficace.

A ben vedere nemmeno le leve della realpolitik sembrano in grado di rispondere bene ai comandi. Questo da cosa dipende? Da una carenza di «strategia» o da un deficit culturale o di lungimiranza di altro tipo?
Io non sono un esperto, quello che posso rilevare è che spesso noi europei siamo vittime di una forte presunzione. Pensiamo di saper valutare e risolvere i problemi senza prendere i considerazione la testimonianza di chi vive in queste situazioni. Questo ci impedisce sovente di considerare tutti i fattori in campo. Molti collaboratori di Oasis che vivono sul posto ci invitano in questi giorni a porre precisi distinguo: la situazione del Nord Africa è diversa da quella del Medio Oriente, anche se le due aree sono in ebollizione. Quello che sta accadendo è un fenomeno in larga parte inatteso o non previsto in questi termini, ma ha connotati assai diversi da Paese a Paese: la Libia non è l’Egitto, conosciamo molto poco della Libia, così com’è radicalmente diverso quanto è accaduto a Tunisi. E ancora diverso è ciò che sta avvenendo in Siria.

E nello specifico, della Libia, Eminenza, cosa pensa?

Per l’attuale guerra in Libia vorrei ricordare il parere del card. Angelo Bagnasco, espressione di tutti noi vescovi italiani. Mi sembra un giudizio realistico: non si può stare fermi quando sono a rischio molte vite e la società civile. Ciò che diventa complesso da capire è poi in che cosa debba consistere questo intervento. Allora diviene irrinunciabile ascoltare molto attentamente la voce di persone come il vescovo di Tripoli che è lì da anni e conosce la situazione dall’interno.

Se ci allontaniamo per un attimo dalle vicende che riguardano la crisi libica, vediamo che tutto il Mediterraneo - a partire dagli attentati contro i cristiani della fine dell’anno scorso, poi con la crisi egiziana, etc. - vive una fase di instabilità senza precedenti. Che cosa sta cambiando?

Io credo che, come sempre nelle vicende umane, è solo nel tempo che un processo, per giunta così esplosivo e complesso, può essere compreso. Dobbiamo avere la pazienza di lasciare che tutti i fattori vengano a galla. Certamente non si può sottovalutare l’energica domanda di libertà, di dignità di vita, di democrazia, di lavoro che emerge da questi movimenti, ma ci sono altri aspetti che ancora non riusciamo a vedere e dovremo, invece, con molta cura cercare di capire. Per esempio: quale evoluzione potranno avere i diversi Islam a partire da questi fatti? Nello stesso tempo avanza quel processo che io chiamo “meticciato di civiltà e culture”: un processo storico, che tiene dentro una parte di violenza, una parte di imprevedibile ed anche di speranza, che non chiede il permesso di accadere, ma che noi possiamo almeno tentare di accompagnare, di governare.

Quanto la preoccupa la situazione dei cristiani in Medio Oriente? Si può ancora parlare - data la loro esiguità di presenza - di un loro particolare «compito» a fronte di queste circostanze?
La situazione dei nostri fratelli cristiani in Medio ed Estremo Oriente è assai dolorosa. Non possiamo permetterci di restare passivi, di non ascoltare la loro voce e il loro grido di aiuto. La Chiesa veneziana, nel percorso della Visita pastorale che ha investito tutta la diocesi, ha potuto collaborare con due persone straordinarie come il vescovo Luigi Padovese, assassinato in Turchia, e Shahbaz Bhatti, il ministro cristiano vittima di un recente attentato in Pakistan. La loro testimonianza ci costringe ad agire per la libertà minacciata della Chiesa in certi paesi a maggioranza musulmana. Il loro martirio ci documenta cosa significa vivere autenticamente da cristiani, cioè vivere del desiderio di seguire Gesù, di trovare un posto - come scrisse Bhatti nel suo testamento spirituale - ai piedi della sua croce per partecipare della sua risurrezione.

Tutti o quasi sono d’accordo nel riconoscere che una grande emergenza umanitaria è alle porte. Che cosa devono fare la politica e la società per essere all’altezza del compito?

Un conto è l’impeto di accoglienza, che dev’essere immediata verso chi si trova in una situazione di difficoltà così pesante. Un conto è la politica che deve essere ordinata ed organica anche in un caso di grave emergenza come questo. Il problema è assumersi tutti una corresponsabilità, tutta l’Europa è chiamata a giocarsi in questa situazione. Il nostro Paese deve predisporsi ad affrontare con realismo il fatto che si stanno presentando alle nostre porte decine di migliaia di persone. Certo, occorre tenere desto e lungimirante lo sguardo: le tragedie che segnano il Nord Africa e più in generale l’inizio del terzo millennio sono una provocazione formidabile della Provvidenza a pensare l’uomo del futuro. Che uomo vogliamo essere? Un io-in-relazione? Oppure un uomo che, certo, può avere a disposizione mezzi tecnoscientifici strabilianti, ma tende a fossilizzarsi in un’identità individuale e quindi ad involversi?

Secondo lei questa crisi in atto sta anche «misurando» l’unità europea?
Questo travaglio sta mostrando che l’Europa non può essere tenuta insieme solo dal cemento dell’euro, ma necessita di un’identità chiara, di una politica estera ed economica solida e di ampio respiro. Ma ciò sarà impossibile, lo ripeto, senza che uomini e popoli europei rispondano ad un grande quesito: “Chi vuol essere l’uomo del terzo millennio?” Forse la tragedia dell’arrivo di moltissimi uomini e donne dall’Africa, se saremo tutti più generosi, potrà provocatoriamente rappresentare un collante per la costruzione di un’Europa pacifica perché capace di aprirsi, con intelligente disponibilità, a chi è nel bisogno. Un’Europa che diventi espressione tangibile di quella condivisione tra i popoli indispensabile per il presente e il futuro e che noi, europei un po’ impagliati e seduti, ancora non siamo stati capaci di rendere progetto stabile di vita buona.

Lei, fin dall’inizio del suo mandato, ha centrato la sua missione di pastore sull’essere la Chiesa di Venezia ponte di dialogo tra oriente e occidente. Esiste una missione particolare che essa può svolgere in questo preciso momento storico?

Proprio in questo tempo, in cui in tutto il Nordest ci stiamo preparando ad accogliere l’ormai imminente visita del Santo Padre ad Aquileia e Venezia, stiamo aprendo gli occhi su una nuova sfida che attende Venezia e il Nordest intero: ritrovare l’originaria funzione di cerniera tra popoli e culture, ma non più solo tra l’Est e l’Ovest, ma anche tra il Nord e il Sud del mondo. Guardando alla carta geografica dell’area, balza all’occhio come l’Adriatico sia il vertice del Mediterraneo che qui, nelle nostre terre, entra nel cuore della vecchia Europa. Le circostanze ci stanno invitando a interrogarci su quale potrà essere questo necessario, “nuovo” Nordest, che come ai tempi dello splendore di Aquileia, da cui nacquero ben 57 Chiese, potrà ricomprendere Croazia, Slovenia, Austria, Baviera, parte dell’Ungheria. In una parola le regioni dell’Alpe Adria.




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28/03/2011 - PAKISTAN – STATI UNITI - Due cristiani uccisi, chiese bruciate: la risposta degli estremisti al rogo del Corano in Florida di Jibran Khan

A Hyderabad e Lahore una folla di fondamentalisti islamici ha preso di mira i luoghi di culto cristiani. Profanate diverse copie della Bibbia. Manifestazioni e slogan anti-americani in diverse città del Pakistan. Gli estremisti promettono nuove violenze, se Washington non condannerà a morte il pastore Jones. Vescovo di Islamabad: gesto di un “fanatico”.

Islamabad (AsiaNews) – Due fedeli uccisi, chiese attaccate, copie della Bibbia bruciate: la comunità cristiana pakistana è di nuovo vittima delle violenze dei fondamentalisti islamici, che hanno preso di mira diversi luoghi di culto nel Paese. A scatenare la violenza estremista, il folle gesto – condannato a più riprese dai cristiani in Pakistan e India – del pastore Wayne Sapp, che lo scorso 20 marzo in Florida ha bruciato un Corano, sotto la supervisione del predicatore evangelico Terry Jones. L’escalation di violenze ha innalzato l’allerta per la sorte di Asia Bibi, simbolo degli abusi commessi in nome della legge sulla blasfemia. Il vescovo di Islamabad/Rawalpindi definisce il reverendo Usa un “fanatico” che promuove insieme agli adepti una “ideologia violenta”, le cui conseguenze si ripercuotono “sui cristiani innocenti” del mondo.

Il 25 marzo scorso una folla di estremisti islamici ha attaccato una chiesa pentecostale a Hyderabad, uccidendo due cristiani e bruciando alcune copie della Bibbia. Testimoni oculari raccontano che i fondamentalisti si sono scagliati contro il luogo di culto cercando di appiccare il fuoco, ma un gruppo di fedeli ha difeso la chiesa. Le forze di sicurezza sono fuggite, lasciando i presenti in balia della folla. Gli assalitori lanciavano slogan anti-cristiani e in città è diffuso un sentimento di rabbia verso la minoranza religiosa. Il pastore della chiesa colpita riferisce che “nonostante la condanna del rogo del Corano” la comunità locale “è finita sotto attacco, perché pensano che siamo legati agli americani”. Egli sottolinea con forza che “siamo pakistani, nati in questa terra e non abbiamo alcun tipo di legame con gli Stati Uniti”. “Che colpa ne avevano – conclude – due persone innocenti, che non erano americani ma solo cristiani pakistani?”.

In un secondo episodio, è stata attaccata la Full Gospel Assembly Church a Lahore, nella zona di Badami Bagh. Anche in questo caso i fondamentalisti hanno bruciato la chiesa, scagliato copie della Bibbia in strada e hanno accusato i cristiani di blasfemia, perché avrebbero sparso pezzi del Corano poco lontano dalla chiesa. Durante l’attacco sono rimaste ferite alcune guardie, preposte alla sicurezza del luogo di culto.

Intanto nel fine settimana si sono ripetute le manifestazioni in diverse città del Pakistan – fra le altre Peshawar, Lahore e Islamabad – contro il rogo del Corano voluto dal pastore Terry Jones. I dimostranti hanno chiesto la morte del predicatore Usa, hanno bruciato la sua immagine e intonato slogan e canti contro gli Stati Uniti. Gli estremisti hanno pure minacciato altre rappresaglie e attacchi mirati contro i cristiani, se il governo di Washington non prenderà provvedimenti contro il pastore Jones.

La comunità cristiana pakistana, invece, si mostra solidale con i musulmani, condanna e manifesta contro il rogo del Corano. P. Anwar Patras, sacerdote cattolico, sottolinea che i cristiani sono anzitutto pakistani, “siamo nati in questa terra e qui saremo seppelliti, non abbiamo alcun legame con il pastore Terry Jones o le sue idee malate”. Condannando l’attacco, il religioso mostra cordoglio “per i due cristiani uccisi” e ribadisce che “la comunità è in pericolo”.

Le recenti violenze hanno innalzato il livello di allerta attorno ad Asia Bibi, la 45enne cristiana e madre di 5 figli, condannata a morte in base alla “legge nera” e in carcere, in attesa dell’appello. La Masih Foundation spiega che “nonostante le misure di sicurezza” adottate in cella, la donna è in pericolo. “Non riceve il cibo della prigione – continuano gli attivisti – ma le vengono forniti gli ingredienti per cucinarsi da sola il mangiare; prega e digiuna per se stessa e per l’attuale situazione” in Pakistan. Anche la Chiesa cattolica ha chiesto preghiere speciali per lei.

Interpellato da AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, afferma che “la dottrina cristiana insegna tolleranza e amore”, il pastore Usa è un “fanatico” che promuove una “ideologia malata”. Il prelato accusa il predicatore statunitense di non pensare “alla portata delle sue azioni” e ora i cristiani pakistani “vivono con maggior timore perché il suo gesto ha peggiorato la situazione”. “Vi sono minacce a chiese e testimonianze di bibbie bruciate in alcune zone – conclude mons. Anthony – ora cristiani innocenti dovranno affrontare le conseguenze”.


LA SCINTILLA CHE ACCENDE LA VITA di Mimma Piliego*

ROMA, domenica, 27 marzo 2011 (ZENIT.org).- I progressi della medicina e della biologia hanno consentito di migliorare la qualità della vita attraverso sempre più nuove ed aggiornate tecniche terapeutiche. Tutto questo però, non deve farci smarrire le direttive morali. L’uomo non deve cedere alla tentazione di andare oltre i limiti di un ragionevole dominio sulla natura, ma deve tutelare e rispettare sempre e soprattutto la dignità dell’essere umano a partire dalla scintilla che accende alla vita.
“E’ gia uomo colui che lo sarà”. Questa affermazione di Tertulliano deve imporci delle importanti considerazioni: come la natura organizzi se stessa e quale sia il suo cammino naturale. Da medico sono abituata a rispondere alle mie domande attraverso una serie di dati che si concretizzano nei fenomeni, basandomi, quindi, sul metodo scientifico. Ho voluto approfondire la teoria di Conrad Hal Waddington, biologo e scienziato, dai molteplici interessi, che si occupò di paleontologia, genetica di popolazione, genetica dello sviluppo, embriologia e biologia teorica. Waddington fu autore di fondamentali ricerche nel campo dell’embriologia sperimentale e coniò il termine epigenesi.
La Teoria di Waddington, conosciuta come teoria dell’epigenesi, afferma che ogni organismo consuegue al definitivo piano strutturale attraverso un graduale accrescimento e differenziamento delle varie parti. Più semplicemente si tratta di una teoria secondo la quale le cellule embrionali si differenziano in una successione di stadi di sviluppo. Si determina una continua emergenza di una forma da stadi precedenti.
Questa teoria riconosce tre momenti importanti nella embriologia umana: a) La coordinazione b) La continuità c) La gradualità.
Prima fase: la coordinazione. Si manifesta dalla fecondazione, quando avviene la penetrazione dello spermatozoo all’interno dell’ovocita e la successiva fusione delle menbrane plasmatiche che li rivestono. Inizia una nuova vita umana: lo zigote allo stadio unicellulare. Dopo circa 15 ore dalla fecondazione i nuclei maschili e femminili presenti nello zigote ma ancora separati si avvicinano e s’incontrano, i due involucri nucleari che circondano questi nuclei si rompono determinando il mescolamento dei cromosomi paterni e materni in essi contenuti. Questa fase viene denominata cariogamia. L’incontro dei due nuclei (che nella specie umana non si fondono) non è determinante per la costituzione del nuovo individuo perchè l’informazione genetica (DNA) in essi contenuta già guida lo sviluppo a partire dalla fecondazione. Quindi possiamo affermare che un nuovo organismo della specie umana si costituisce dalla fusione dello spermatozoo con la cellula uovo: singamia.
Il processo si manifesta in una coordinata sequenza ed interazione di attività molecolari e cellulari, controllati dal nuovo genoma, il quale è modulato da una interrotta cascata di segnali trasmessi da cellula a cellula, e dall’ambiente interno ed esterno alla singola cellula. Questa proprietà suggerisce che gli eventi dello sviluppo, a partire dalla singamia, seguono un percorso definito e diretto di un programma intrinseco.
L’intero embrione ad ogni stadio, dalla singamia in poi, è un reale individuo e le singole cellule sono strettamente integrate in un unico processo dinamico mediante il quale esso traduce autonomamente, momento per momento, il suo proprio spazio genetico nel suo proprio spazio organismico. Tali dati vengono sostenuti da numerose pubblicazioni scientifiche.
P. M. Wassarman ha evidenziato come la fusione fra spermatozoo ed oocita a cui segue, in pochi secondi, la reazione corticale dell’ovocita, blocchi l’accesso ad altri spermatozoi presenti nella tuba di Falloppio. La formazione di una proteina chiamata oscillina, presente nello spermatozoo, aumenta la concentrazione di ioni calcio e la sua minore concentrazione pare sia determinante nella sterilità maschile. Altri studi (S. F. Gilbert) hanno dimostrato che esiste un dialogo complesso fra ovocita e spermatozoo. Lo studio di V. Balton-S. Moore-P. Brande evidenzia la presenza di geni attivi già allo stato di zigote. Per concludere voglio enunciare lo studio apparso sulla rivista “Nature: Your destiny from day one”. Lo studio giunge alla seguente conclusione: gli embrioni precoci di mammifero non sono masse amorfe di cellule alle quali vengono negate la dignità ed i diritti di ogni essere umano.
Seconda fase: la continuità. E’ innegabile che a partire dalla singamia inizi una nuova vita. Osservando dinamicamente questo ciclo nel tempo, si dimostra che procede senza interruzioni. Dallo zigote in poi è sempre lo stesso ed unico individuo umano con la sua propria identità, che si sta costruendo autonomamente, mentre passa ordinatamente da uno stadio all’altro, a stadi sempre più qualitativamente complessi.
Terza fase: la gradualità. Forma finale raggiunta gradualmente, attraverso vari passaggi obbligati ed insostituibili. Attraverso la legge della epigenesi sono stati dimostrati embriologicamente i vari passaggi che si sono attuati a partire dalla singamia: un nuovo essere vivente ha inizio con la fecondazione, che consiste nella penetrazione del gamete maschile, lo spermatozoo, portatore di un corredo cromosomico dimezzato, con l’ovocita femminile accogliente che dimora anch’essa con corredo cromosomico dimezzato. Entrambi pronti alla fusione singamica dei due nuclei in un nucleo unico che si traduce nella nascita di una nuova vita. Questo è il cammino tracciato dagli studi accademici dell’embriologia umana, non esistono stazioni intermedie o deviazioni improvvise durante il percorso che ci facciano pensare che in un qualunque momento del processo procreativo non si stia avendo a che fare con una vita, quindi con una persona umana.
Posso affermare, dagli studi universitari che hanno ispirato la mia disamina, che l’embrione non è un mero cumulo di cellule disponibili, come affermato da Norman Ford nel suo libro “ When did I begin”, ma è già un reale individuo umano in sviluppo che si autocostruisce secondo un disegno scritto nel suo genoma. Mi piace concludere facendo un esempio credo esaustivo: i genitori alla nascita di un figlio acquistano un album dove appongono le fotografie che ritraggono vari momenti della vita del loro figliolo. Oggi, i genitori, iniziano l’album con la prima ecografia ostetrica fatta dal ginecologo, dove si evidenzia la camera gestazionale, aspettando con gioia il giorno in cui si potrà dire al proprio figlio: osserva piccolo mio questo puntino eri e sei Tu.



Riferimenti Biblografici:
1) Scott F. Gilbert ( Swarthmore College), Developmental Biology, VI ed. 2000, p. 185.
2) Serra- R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione.
3) P. M. Wassarman, Zona pellucida glycoproteins, Annual review of biochemistry 1988.
4) B.M. Shapiro, Control of oxidant stress at fertilization, Science 1991
5) C.H. Waddington, Principles of embryology, London.
6) Nature: Luglio 2002, Your destiny from day one.
7) N. Ford, When did I begin, 1997.


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*La dr.ssa Mimma Piliego è medico in Medicina generale ed ha studiato presso la Facoltà di Bioetica dell'Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma.



E’ un’evidenza: quando si ragiona ci si allea. Magari non si sarà d’accordo su tutto, ma le alleanze sono possibili, ben al di là di quanto sbandiera il laicismo più sfrenato che vorrebbe le visioni etiche ridotte a tifoserie. E’ il caso della brevettabilità della vita umana embrionale: c’è chi vorrebbe usare gli embrioni umani come medicine, e ovviamente, in quanto farmaci come gli altri, brevettarli e farci i soldi. No, ha detto la Corte Federale tedesca nel 2006: gli esseri umani non si brevettano! Perché “contrario all’etica e alla politica pubblica”. E quello che da una parte stupisce ma anche dà speranza, è che la richiesta non sia stata fatta da gruppi religiosi, ma da Greenpeace, la nota e laicissima associazione ambientalista.

Dunque non per forza siamo diversi e dunque separati: ci si può incontrare, e collaborare.
Già collaborai col noto ambientalista Enzo Tiezzi, Premio Prigogine per l’ecologia, e da lui ricevetti e ricevemmo tutta la solidarietà nella lotta contro la manipolazione genetica degli esseri umani e la fecondazione in vitro. Dunque non mi risulta strana questa comunanza con gli ambienti “verdi” sui temi della vita e della manipolabilità della stessa. Ora, la rivista Nature riporta che la corte di giustizia della Comunità Europea dovrà giudicare il ricorso verso questa sentenza tedesca, sollevato da alcuni ricercatori. Speriamo che in Europa siano così lungimiranti come in Germania, e che l’Italia dia man forte per confermare la sentenza tedesca.

Si tratta in fondo di riconoscere kantianamente che “nessun essere umano può essere considerato uno strumento per altri umani”, ma deve essere sempre e solo visto come un fine in sé. E usare gli embrioni, piccolissimi esseri umani secondo la fede e la scienza, per curare qualcuno è inaccettabile. Tanto più brevettarli come fossero delle macchinine.



In qualunque libro di scuola media si insegna correttamente che l’inizio della nostra vita è l’unione delle due cellule che formeranno l’embrione; e come potrà un ricercatore o un politico lasciare insegnare al proprio figlio questa verità, che ha la stessa validità del teorema di Pitagora e le tabelline, e infatti sono entrambe insegnate a scuola…. e giustificare al figlio stesso che quando servono a qualcuno queste vite umane cessano di essere vite umane? Per magia? Rendiamo relative anche le tabelline e Pitagora?

Seguiremo la vicenda europea e invitiamo chi in Europa ha responsabilità a seguirla con attenzione e cura, perché ne va della dignità di ciascuno di noi, e della vita di tanti nostri piccoli simili.  Invitiamo anche gli amici di Greenpeace a dialogare su questo tema, perché non vogliamo mettere bandiere su nulla, ma solo cercare insieme a loro verità, dignità umana e rispetto dell’ordine naturale, che anche a loro sta a cuore, con tutte le legittime differenze e proprie distinzioni. Per questo merita lavorare insieme.


Nuova guarigione al santuario di Lourdes di Raffaella Frullone, 28-03-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Monsignor Emmanuel Delmas, vescovo della diocesi di Angers, in Francia, ha riconosciuto ieri la guarigione straordinaria di un pellegrino che si era recato a Lourdes. La vicenda risale al 2002 e riguarda Serge François, artigiano oggi in pensione, affetto da un ernia discale. L’uomo, allora 56enne, era stato operato due volte, e soffriva di una paralisi pressochè totale alla gamba destra quando decise di partecipare ad un pellegrinaggio diocesano al Santuario della Madonna di Lourdes.

Come il vescovo rimarca nel documento ufficiale siglato il 27 marzo, Serge François ha preso parte al viaggio come “ospedalizzato-malato”. Il 12 aprile 2002 l’uomo si è recato alla grotta di Massabielle per pregare la Madonna. Secondo il suo stesso racconto, mentre pregava, è stato «preso da un dolore così folgorante che credeva di morire. Dopo qualche minuto – racconta ancora – la sofferenza ha lasciato posto ad un’intensa sensazione di benessere e calore» e la sua gamba ha prima smesso di farlo soffrire e poi si è progressivamente rianimata. L’anno successivo, nel corso di un nuovo pellegrinaggio, François ha segnalato la sua guarigione al Bureau des constatations médicales di Lourdes, secondo la prassi.

Il primo dicembre 2008 il Comitato medico internazionale di Lourdes, composto da una ventina di medici, ha riconosciuto che la guarigione di Serge François era di carattere straordinario poiché immediata, completa, priva di relazione con terapie e duratura.

Il passo successivo per il riconoscimento ufficiale era il pronunciamento della diocesi di appartenenza del presunto miracolato. Pronunciamento che è arrivato ieri a firma del vescovo Monsignor Delmas «Nel nome della Chiesa riconosco il carattere straordinario della guarigione di cui ha beneficiato il signor Serge François a Lourdes. Questa guarigione è da considerare come un dono personale di Dio a quest’uomo, come un evento di grazia, come un segno di Cristo salvatore».


Fine vita: si faccia la legge ma il problema è culturale di Michele Aramini, 29-03-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Il clima di forte bipolarismo etico che caratterizza il dibattito nel nostro Paese non favorisce l’elaborazione e l’accoglienza condivisa delle leggi sulle questioni bioetiche. Dopo il forte scontro sulla legge 40 relativa alla FIVET, anche la legge sulle DAT sta completando il suo iter tra forti polemiche e tentativi di insabbiarla o di svuotarla  anche all’ultimo tratto.

Considerando ciò che è accaduto alla legge 40, che è stata fatta oggetto di una sistematica opera di smantellamento dei punti qualificanti, sia attraverso il rimando alla Consulta sia attraverso singole sentenze di tribunali c’è da essere preoccupati sul destino della nuova legge sulle Dat. È questa la ragione per la quale da certe posizioni cattoliche si vorrebbe rinunciare del tutto alla legge stessa. Come già l’onorevole Casini ha precisato, della legge c’è necessità, perché la macchina che si è messa in moto a suo tempo per far morire Eluana Englaro può portare altri frutti avvelenati.

La politica, il cui prestigio negli ultimi anni si è fortemente indebolito, lasciando spazio all’iniziativa garibaldina di certi magistrati, deve riprendere il suo compito di regolatore e di ricerca del bene comune. E tra i campi del suo intervento è certo che l’ambito della difesa della vita e della dignità di ogni persona è quello dove dire una parola precisa.

Non si deve avere timore dei magistrati, perché non tutti i magistrati sono culturalmente imbevuti della cultura libertaria dei diritti senza fondamento. Inoltre i magistrati sono tentati di sentenze creative proprio per il vuoto politico e per la mancanza di prese di posizione chiare.

Penso perciò che la legge sia necessaria per bloccare ogni possibile deriva eutanasica. Piuttosto si deve avere la preoccupazione di produrre un testo di qualità, semplice, chiaro che non presti il fianco a interpretazioni incerte o opposte. Visto che il testo dovrà tornare al senato, vale la pena di revisionarlo proprio in questa luce, al fine di fornire disposizioni facilmente comprensibili e univoche.

Esiste poi un secondo profilo che deve interessare i cattolici e le persone che condividono l’impegno per una vera difesa della dignità di ogni uomo dall’inizio alla fine naturale dell’esistenza. Si tratta proprio dell’aspetto culturale che aiuta a comprendere quale sia la giusta concezione della persona umana, quali siano i suoi veri  diritti, la giusta concezione della libertà e del suo profilo di autodeterminazione. Insomma non basta affidarsi al diritto, occorre generare una nuova cultura libera dall’ubriacatura dei diritti e libera dalle assurdità per cui i diritti degli animali sono sacri e l’embrione umano è solo oggetto biologico.

Il precedente della legge 40 non è incoraggiante. I valori morali e i beni giuridici difesi da quella legge non sono diventati patrimonio comune, direi neppure tra i cattolici. Per il futuro occorrerà attrezzarsi meglio.


L'atomo, l'ipocrisia, il male di Massimo Camisasca, martedì 29 marzo 2011, il sussidiario.net

La tragedia del terremoto che ha recentemente colpito il Giappone ancor’oggi interroga gran parte dell’opinione pubblica. Si è trattato di un evento naturale. Non possiamo e non dobbiamo perciò rintracciare le cause di esso in un’esplicita opera dell’uomo. Non dobbiamo neppure chiuderci in una logica antica, per cui si vede nel male accaduto una punizione divina diretta a coloro che sono morti (ho già parlato di questo nel precedente articolo). Ma di fronte alle gravi conseguenze a cui abbiamo assistito, alla messa in discussione delle misure di sicurezza di alcune centrali nucleari, alle contaminazioni di cibi e acque, tutti fatti che coinvolgono la responsabilità degli uomini, non possiamo esimerci da una riflessione profonda.
Non intendo analizzare i rischi legati alla costruzione delle centrali, perché non sono un esperto. Non posso però evitare di chiedermi: l’uomo non sta presumendo troppo da se stesso?
L’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande hanno da sempre affascinato l’umanità, sono stati l’oggetto del suo interesse indagatore, della sua fantasia e libertà costruttiva. Eppure, come la scoperta di mondi nuovi e lontani è costata innumerevoli vite tra gli esploratori, così la ricerca nel mondo dell’infinitamente piccolo sta mettendo a repentaglio le vite di migliaia di persone. L’enorme progresso della scienza e la sua continua specializzazione stanno lentamente convincendo l’uomo di poter controllare non solo la natura che lo circonda, ma la sua stessa esistenza.
Spesso la scienza viene strumentalizzata da motivazioni che esulano dalle sue competenze, dal convincimento che il progresso ci porterà a poter decidere del nostro destino, fino al punto che sono in molti a pensare: “siccome si può fare, allora va fatto”. Questa convinzione porterà a un aumento o a una diminuzione di felicità dell’uomo? I bisogni sempre nuovi che la corsa a fonti di energia alternative mette in luce, sono tutti essenziali? Cos’è veramente essenziale all’uomo?
Ognuno di noi è fatto per la felicità, ma non può arbitrariamente decidere come raggiungerla. Abbiamo bisogno che la conoscenza applicata al fare, la scienza applicata alle tecnologie, sia sempre più guidata, ordinata da una oculata e sincera considerazione del bene dell’uomo, invece che da interessi secondari.
Di una cosa sono assolutamente sicuro: quel che sta succedendo in Giappone è totalmente compreso nel mistero di Dio. Il protagonista della storia è Dio. Ma se Lui è il Sommo Bene, se vuole il bene dei suoi figli, perché permette il male? È la domanda a cui ho cercato di rispondere la scorsa settimana, ma ci terrei ad aggiungere qualche parola.
Dio ha voluto e vuole il bene, ha voluto e vuole la luce per l’uomo, perché Egli ama ciò che ha fatto. Non ci ha creato per la morte, non c’è invidia in Lui. Uno sguardo realistico sulla condizione dell’uomo ci porta l’immagine di una creatura che ha rifiutato e continua a rifiutare la luce di Dio. Non ha accettato di essere il secondo protagonista, non ha accettato di dipendere. È ciò che la Chiesa chiama “peccato originale”, senza del quale non solo la storia del mondo, ma quella di ognuno di noi risulta incomprensibile.
L’espressione “peccato originale” ci parla della nostra nativa fragilità. Ogni azione che l’uomo pone mette in luce un’ambiguità: “voglio il bene, ma faccio il male”. La scoperta di questa contraddizione ci costringe a riconoscere la necessità dell’aiuto di Dio e del suo perdono.
La storia è il teatro della lotta fra Dio e il demonio e questa lotta si combatte nel cuore di ciascuno. Se non si parte da qui tutto è ipocrisia. L’esperienza del proprio male riconosciuto e quindi del perdono accolto - perché non si può fare l’esperienza del perdono se prima non si riconosce di aver sbagliato - sgretola le nostre piccole misure per divenire l’alba di qualcosa di nuovo sopra le rovine.
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L’incredibile conversione di Abby Johnson, direttrice del più grande ente abortista - 28 marzo, 2011, da http://www.uccronline.it

Nell’ottobre 2009 Abby Johnson si è licenziata. Una scelta che fanno in tanti, d’altraparte. Bisogna allora dire che la Johnson era la direttrice di uno dei più importanti centri del Planned Parenthood degli Stati Uniti, cioè l’ente abortista più grande del mondo. La faccenda diventa assolutamente singolare se si viene a sapere che ha abbandonato la direzione dell’impero abortista dopo aver assistito ad un aborto in diretta, per andare a lavorare in un centro a favore dei diritti del nascituro, operando fianco a fianco con quanti pregavano per la sua conversione.

E’ una delle tante storie incredibili, rimbalzata alllora su tutti i quotidiani del mondo, come si può vedere ad esempio su The Washington Times, The Telegraph, Foxnews o AbcNews. La Johnson, 29 anni, ha lavorato per otto anni al Planned Parenthood fino a che -come dicevamo- ha assistito nel settembre 2009, attraverso una trasmissione per ultrasuoni, ad un feto “strizzato” mentre veniva aspirato via dal ventre materno. E’ più o meno ciò che è accauto a Bernard Nathanson, uno dei medici abortisti più noti degli USA miracolosamente convertitosi e passato con i pro-life proprio dopo l’introduzione degli “ultrasuoni” (cfr. Ultimissima 24/2/11).

Il 6 ottobre ha lasciato il suo lavoro di direttrice del centro di Bryan (Texas) e si è recata alla Coalition for Life (Coalizione per la Vita), un gruppo pro-vita che in quel momento stava partecipando in varie città statunitensi alla campagna “40 Giorni per la Vita”, seguita da 7 ex-collaboratori di clinche abortiste. La Johnson ha rivelato ciò che accade in tutto il mondo, cioè che il denaro non era speso per la prevenzione ma per gli aborti. A FoxNews.com ha dichiarato che riceveva istruzioni dai suoi capi regionali per incrementare il numero di aborti realizzati, per aumentare i profitti. Anche lei -leggiamo su Zenit.it, ha raccontato, ha iniziato a pregare per coloro che erano i suoi colleghi.

Nel gennaio 2011 Abby Jonshon (qui il suo sito web), nonostante i continui attacchi personali, ha pubblicato un suo libro di memorie nel quale spiega i motivi per cui ha lasciato l’industria dell’aborto per entrare nelle file del Movimento per la Vita. Il sito LifeNews pubblica il primo capitolo. Nel volume racconta del perché respinge la contraccezione e ha deciso di entrare nella Chiesa cattolica. Fin da subito è rimasta sconcertata notando che quel bambino non nato, dopo 13 settimane, era identico all’immagine che aveva visto di sua figlia durante la gravidanza. Questo bambino si dimenava e si torceva su se stesso per evitare di essere aspirato dagli strumenti. «Quel bambino si strizzava come un canovaccio, si arricciava su se stesso. Poi cominciò a scomparire nella cannula davanti ai miei occhi. L’ultima cosa che vidi fu la sua spina dorsale perfettamente formata venire risucchiata dal tubo, e poi era sparito», si legge nei primi capitoli. Il titolo è “UnPlanned” (SaltRiver 2011). Rivela anche, per la prima volta, di aver abortito due volte durante la sua vita passata. A causa della battaglia legale con la Planned Parenthood che ne seguì, non potè parlare dei molti aspetti su cui si basa il business del Planned Parenthood e del suo trattamento delle donne. La causa però è fallita e ora finalmente questo libro è stato pubblicato. Altri dettagli sono raccontati sulla Catholic News Agency.


Avvenire.it, 29 marzo 2011 - Lo scandalo degli sbarchi e quello che è già qui - Perché questa miseria non diventi paura di Davide Rondoni

Rudolf è morto di freddo, in uno scantinato. Era di colore, ma nato in Italia. Non è successo nei meandri di una grande metropoli, Roma o Milano, dove l’anonimato della disperanza miete vittime con i suoi precisi missili, invisibili e fatali. È successo a Meldola, dolcissimo paese a dieci chilometri da Forlì in piena Romagna. È successo nella periferia. Nella parte migliore d’Italia, si dice, almeno per quel che riguarda la tenuta del cosiddetto Welfare. Delle relazioni di sostegno. Mentre gli occhi di tutti si puntano su Lampedusa, e sembra che quella ondata di corpi ci metta in difficoltà, rischiamo di non vedere la difficoltà che già è sbarcata.

Nessun posto è un’isola. Alcuni dicono che stiamo andando verso un medioevo della necessità. Sia a causa di fenomeni macroscopici che muovono da fuori dei nostri confini, sia per implosioni, per crisi interne. E interiori. Il Welfare non tiene, dicono. Problemi di tagli. Di nuove emergenze. Problemi legati alla bassa natalità, allo smembrarsi di quel Welfare naturale che sono le famiglie. E cresce un’aria di insicurezza. Come se ci aspettasse un’età più dura. Un’età dove saremo costretti a convivere con micidiali impotenze. Dove lo spettacolo della miseria, dell’accattonaggio, della vita precaria occuperà altro spazio sulle scene visibili e meno visibili della nostra società. Dove vedremo cose che non immaginavamo. Il povero ragazzo morto di freddo a Meldola, qualche tempo fa la morte di stenti, assurda, di un piccolo di pochi mesi, in piazza Maggiore a Bologna, città ex-vetrina della "buona" amministrazione.

Cose che non immaginavamo. E ci prepariamo a vedere quel che non ci lascerà tranquilli. Per niente tranquilli. A Lampedusa, a Meldola. Ovunque. Un medioevo che torna, dice qualcuno usando a vanvera parole e categorie. Perché il medioevo fu un tempo più duro di questo. Per certe cose. Francesco baciò il lebbroso. I mendicanti erano molti per città e campagne. Un tempo duro. Ma altrettanto dura della indigenza era la speranza tra gli uomini. E forte, all’ombra delle cattedrali che si ergevano per testimoniare il legame con il cielo e tra gli uomini, era l’azione della carità. Forte era in quel medioevo che abbiamo alle spalle (e davanti) la difficoltà alla sopravvivenza. E nelle vie delle nostre città era – e sarà – avvilente lo spettacolo dell’arte di arrangiarsi, l’arroganza dei malvissuti, la fastidiosa presenza del povero. Ma grande era anche lo spettacolo di una civiltà impegnata, con sodalizi, confraternite, iniziative di gente di ogni censo tese a rispondere con lo slancio di una carità operosa, ad abbracciare lo sventurato. Sarà ancora così?

Nei più domina un timore attonito. Ci si guarda attorno con sgomento. Si dice: che mondo lasciamo ai nostri figli. Si dice: qualcuno si muova. E si chiede che lo Stato, la politica, la polizia o chi... si attivi per sgombrare il campo dal nostro disagio. Da questa umanità ferita, non romantica, lacera, sperduta. E invece il campo si ingombra di più. E quel che non vediamo direttamente ce lo danno i media. Le istituzioni possono arrivare fino a un certo punto, la coperta è stretta e a volte cucita o tagliata male, E così il futuro sembra un assedio.

Il Vangelo ammoniva l’uomo presuntuoso che ritiene di poter eliminare lo scandalo della miseria dal mondo. Ma è lo stesso Vangelo che in molte epoche ha educato il cuore del popolo facendo sorgere miriadi di iniziative di carità e di sollecitudine. Ora, di fronte alle emergenze note come Lampedusa, sia a quelle ignote come Meldola abbiamo bisogno di istituzioni responsabili. Ma abbiamo soprattutto bisogno del Vangelo.

Senza l’annuncio del Dio che si fa carne per tutti avremo solo lo scandalo duro della miseria che diventa paura e non lo spettacolo della speranza che diviene carità mai domabile.


Avvenire.it, 29 marzo 2011 - BIOETICA E POLITICA - Fine vita: «La volontà presunta? - Un obbrobrio giuridico» di Lucia Bellaspiga

È una legge «che può essere migliorata». Che forse «rappresenta il male minore». Ma di certo «una legge va fatta, perché se è vero che ogni essere umano ha il diritto di poter scegliere come vuole morire, per le persone in stato vegetativo il problema si complica» e un «obbrobrio come quello della volontà presunta» accaduto con il caso Englaro non deve più accadere. Lo sostiene chi da venti anni lavora quotidianamente accanto ai pazienti in stato vegetativo: Mauro Zampolini, direttore del Dipartimento di riabilitazione Asl 3 della Regione Umbria e dell’Unità gravi cerebrolesioni all’ospedale di Foligno.

La sua posizione sembra corrispondere a quella che in modo affrettato viene spesso attribuita al mondo cattolico o a un’area politica conservatrice. Invece?
Invece io sono un uomo di sinistra e un non credente, ma tutto questo non c’entra: parlo come medico che da sempre si occupa di cerebrolesioni gravissime. Chi da decenni segue queste cose sa molto bene che uno stato vegetativo è una persona a tutti gli effetti, un paziente con una gravissima disabilità ma ben vivo. E allora stare intorno al suo capezzale a discutere se cibo e acqua siano una terapia francamente è solo un escamotage per non chiamare le cose con il loro nome: diciamo chiaro che il vero obiettivo è l’accompagnamento alla morte.

Ovvero?
A me non piace usare la parola eutanasia, ma sostenere che alimentare e idratare un disabile non autosufficiente è una terapia significa voler percorrere una scorciatoia verso un accompagnamento lento e doloroso alla morte per fame e per sete. Il problema è complesso, io non ho soluzioni in tasca, ma su argomenti tanto importanti mi aspetterei un dibattito sereno e non ideologizzato. Per chi ha fede la vita appartiene a Dio, per chi non crede appartiene all’uomo, ma per noi che lavoriamo sul campo la questione è tutt’altra: non possiamo non sapere che in generale per tutti i pazienti incapaci di comunicare c’è un problema oggettivo in più, che riguarda la volontà espressa in passato. Non a caso tanti malati di Sla - ovvero pazienti lucidi fino alla fine - che un tempo avevano dichiarato di non voler essere salvati, quando invece stanno per morire chiedono la tracheotomia. Lo stesso avviene molto spesso con le neoplasie... Insomma, quando una persona entra davvero nella condizione di malattia grave, anche se prima aveva chiesto di morire alla fine sceglie di vivere.

Per questo una legge che tuteli l’incapace e che lasci spazio di manovra anche al medico è necessaria?
La "volontà presunta" non convince affatto. Nel caso di Eluana Englaro c’era un padre che diceva «mia figlia in passato ha detto che avrebbe preferito morire»... È una prospettiva grave, che potrebbe porre scenari molto problematici: chi è che presume le volontà altrui? Su quali basi? Posto anche che a farlo sia una brava persona, chi può escludere che nel frattempo il paziente abbia cambiato idea, o che quelle parole dette un tempo siano state buttate lì senza una vera cognizione?

C’è chi critica il fatto che, secondo la proposta di legge, l’ultima parola spetti al medico e che in caso di immediato pericolo di vita le Dat non si applichino.
A me preoccupa un po’ che il medico debba decidere rispetto a una volontà pregressa "quando la situazione è estrema", concetto che andrebbe chiarito meglio, proprio per tutelare il medico stesso. Non ho una ricetta, ma lascerei spazio al vecchio buon senso, con un medico e una famiglia alleati e il rifiuto sia dell’accanimento terapeutico sia di ogni forma di eutanasia.

A questo proposito, c’è poca chiarezza anche tra i fautori della dolce morte: prima dichiarano che «eutanasia è parola esecrabile», poi a fatti la invocano.
Alcuni colleghi con cui dialogo spesso e volentieri hanno il difetto di non chiamare le cose col loro nome. Così capita che Ignazio Marino dica di non volere l’eutanasia, ma la sospensione di cibo e acqua sì... L’evento finale è lo stesso. Se si vuole parlare di eutanasia, almeno si abbia il coraggio di proporre metodiche più adeguate.

Altra grande lacuna è la reale conoscenza degli stati vegetativi e di una loro coscienza.
Per noi che da molti anni riabilitiamo gli stati vegetativi, la questione è lampante: sono tutt’altro che dei "vegetali", non sono mai del tutto distaccati dall’ambiente, sono sensibili a suoni, voci, situazioni di pericolo e molto altro. Le più recenti ricerche dimostrano la presenza di una coscienza anche minima, ma noi lo abbiamo sempre saputo a partire dalle nostre osservazioni cliniche. Sono persone che percepiscono quanto avviene loro intorno, ma non possono comunicarlo: si parla di una "coscienza nucleare", un nucleo di coscienza per cui elaborano e ributtano fuori le cose più semplici, ecco allora i famosi sorrisi o le espressioni di paura che davvero si vedono sui loro volti.
<+nero>In questi anni aumentano i convegni sul costo delle "vite inutili"... Neonazismo strisciante?
<+tondo>È un tema inaccettabile, che in Italia sta emergendo con 20 anni di ritardo rispetto all’Inghilterra: se spendo tanto per i disabili non me ne resta per gli altri... Un tema brutale ma in crescita, perché le tecniche di riabilitazione e di supporto alla vita sono sempre più efficaci e i casi di sopravvivenza aumentano. Io lo vivo nei ricoveri quotidiani: giovani che ci arrivano con un’emorragia cerebrale e che cinque anni fa sarebbero morti ora ce la fanno, e poi giungono da noi per la riabilitazione.

Ne vale la pena? Qualcuno li chiama bambole rotte...
Eccome! Per colpa anche dei media, c’è una percezione falsa per cui si pensa che lo stato vegetativo sia per sempre. In realtà è un passaggio transitorio che va dal coma a un successivo miglioramento. Inoltre ho condotto uno studio sui 50 centri italiani di gravi cerebrolesioni raccogliendo i dati di 2.600 persone, e di questi un quarto arriva in stato vegetativo ma solo una minima parte ci resta. Comunque è fuorviante parlare sempre e solo di stati vegetativi, dato che esistono molte altre disabilità gravissime, che per noi riabilitatori non sono differenti per strategie e carico assistenziale, come la sindrome di locked-in o altre ancora.

Tra l’altro il confine tra minima coscienza e stato vegetativo è così labile...
Io mi sono fatto un’idea empirica: che tutti gli stati vegetativi col tempo evolvono in stati di minima coscienza. Di questo occorre dibattere seriamente, non di togliere cibo e acqua! E poi bisogna ritrovare il concetto vecchio della medicina per cui la famiglia era protagonista nella vita ospedaliera: noi a Foligno i familiari li accogliamo dentro, attivi e coscienti rispetto al problema, teniamo le riunioni tra medici alla loro presenza, e tale strategia è sempre vincente. Prima di tutto riescono a maturare e questo è propedeutico al dopo, quando il paziente torna a casa e i suoi cari hanno già imparato tutto ciò che c’è da fare. Questo aiuta a non rifiutare con spavento la disabilità, a non fare scelte sbagliate, a non staccare i sondini ma a stare loro accanto per cogliere quei segnali di vita che sempre ci sono. E per fare questo nessuno è più addestrato dei familiari più cari.