domenica 20 marzo 2011

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS , 20.03.2011
2)    Crocefisso, Strasburgo dà ragione all'Italia di Massimo Introvigne, 18-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
3)    Assolto per insufficienza di prove di Mario Palmaro, 18-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
4)    LA SANTA SEDE: NO AL TENTATIVO DI IMPORRE L'IDEOLOGIA DI GENERE - In merito alle conclusioni della 55ª Commissione sullo Status Femminile
5)    Considerazioni sulle Dat Di Rassegna Stampa - 18/03/2011 - Eutanasia – da http://www.libertaepersona.org
6)    Farmacisti, ecco perché possono obiettare - aborto - Il Cnb riconosce che è un operatore sanitario e può rifiutare farmaci che eliminano l’embrione - DA MILANO ENRICO NEGROTTI, Avvenire, 19 marzo 2011

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS , 20.03.2011

Di ritorno dalla visita pastorale di questa mattina alla Parrocchia romana di San Corbiniano all’Infernetto, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana in questa II Domenica di Quaresima:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Ringrazio il Signore che mi ha donato di vivere nei giorni scorsi gli Esercizi Spirituali, e sono grato anche a quanti mi sono stati vicini con la preghiera.

L’odierna domenica, la seconda di Quaresima, è detta della Trasfigurazione, perché il Vangelo narra questo mistero della vita di Cristo. Egli, dopo aver preannunciato ai discepoli la sua passione, "prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.

E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce" (Mt 17,1-2). Secondo i sensi, la luce del sole è la più intensa che si conosca in natura, ma, secondo lo spirito, i discepoli videro, per un breve tempo, uno splendore ancora più intenso, quello della gloria divina di Gesù, che illumina tutta la storia della salvezza. San Massimo il Confessore afferma che "le vesti divenute bianche portavano il simbolo delle parole della Sacra Scrittura, che diventavano chiare e trasparenti e luminose" (Ambiguum 10: PG 91, 1128 B).

Dice il Vangelo che, accanto a Gesù trasfigurato, "apparvero Mosè ed Elia che conversavano con lui" (Mt 17,3); Mosè ed Elia, figura della Legge e dei Profeti. Fu allora che Pietro, estasiato, esclamò: "Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia" (Mt 17,4).

Ma sant’Agostino commenta dicendo che noi abbiamo una sola dimora: Cristo; Egli "è la Parola di Dio, Parola di Dio nella Legge, Parola di Dio nei Profeti" (Sermo De Verbis Ev. 78,3: PL 38, 491). Infatti, il Padre stesso proclama: "Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo" (Mt 17,5).

La Trasfigurazione non è un cambiamento di Gesù, ma è la rivelazione della sua divinità, "l’intima compenetrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce. Nel suo essere uno con il Padre, Gesù stesso è Luce da Luce" (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 357).

Pietro, Giacomo e Giovanni, contemplando la divinità del Signore, vengono preparati ad affrontare lo scandalo della croce, come viene cantato in un antico inno: "Sul monte ti sei trasfigurato e i tuoi discepoli, per quanto ne erano capaci, hanno contemplato la tua gloria, affinché, vedendoti crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria e annunciassero al mondo che tu sei veramente lo splendore del Padre".

Cari amici, partecipiamo anche noi di questa visione e di questo dono soprannaturale, dando spazio alla preghiera e all’ascolto della Parola di Dio. Inoltre, specie in questo tempo di Quaresima, esorto, come scrive il Servo di Dio Paolo VI, "a rispondere al precetto divino della penitenza con qualche atto volontario, al di fuori delle rinunce imposte dal peso della vita quotidiana" (Cost. ap. Pænitemini, 17 febbraio 1966, III, c: AAS 58 [1966], 182). Invochiamo la Vergine Maria, affinché ci aiuti ad ascoltare e seguire sempre il Signore Gesù, fino alla passione e alla croce, per partecipare anche alla sua gloria.

DOPO L'ANGELUS

Nei giorni scorsi le preoccupanti notizie che giungevano dalla Libia hanno suscitato anche in me viva trepidazione e timori. Ne avevo fatto particolare preghiera al Signore durante la settimana degli Esercizi Spirituali.
Seguo ora gli ultimi eventi con grande apprensione, prego per coloro che sono coinvolti nella drammatica situazione di quel Paese e rivolgo un pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l’incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l’accesso ai soccorsi umanitari. Alla popolazione desidero assicurare la mia commossa vicinanza, mentre chiedo a Dio che un orizzonte di pace e di concordia sorga al più presto sulla Libia e sull’intera regione nord africana.

Chers pèlerins francophones, en ce dimanche, l’Évangile nous rapporte l’événement de la transfiguration de Jésus. Comme les disciples, quittons la rumeur du quotidien. Plongeons-nous dans la présence de Dieu Trinité qui donne sens à notre existence. Accueillons sa lumière ! Elle nous éclaire pour discerner le bien et le mal. Elle nous invite à la conversion du cœur pour nous libérer de l’égoïsme et de l’orgueil. Et ainsi notre volonté de vivre selon la grâce reçue au Baptême s’affermira. Que la Vierge Marie nous apprenne à collaborer pleinement, comme elle, au mystère de la Rédemption ! Je vous bénis de grand cœur ainsi que vos familles, particulièrement celles qui connaissent l’insécurité et la violence.

I am pleased to greet the English-speaking pilgrims present at this Angelus prayer. As we continue our journey through Lent, today at Mass we recall the Transfiguration of the Lord and how it prepared the Apostles for the coming scandal of the Cross. Strengthened by our faith in Jesus, true God and true man, may we be inspired, not scandalized, by the Cross given to our Saviour and to our fellow Christians who suffer with him throughout the world. Especially during this holy season, I invoke upon you and your families God’s abundant blessings!

Von Herzen grüße ich alle deutschsprachigen Besucher auf dem Petersplatz, besonders die Pilgergruppe aus Bocholt. Im heutigen Evangelium sehen drei Jünger ihren Herrn mit leuchtendem Antlitz und im weißen Lichtgewand. Der Glanz vom Berg der Verklärung bescheint auch uns, weil Gott uns durch das Sakrament der Taufe in Licht gekleidet hat, damit wir selber „Licht der Welt" sein können. Bitten wir den Herrn, daß er unserem Leben das Dunkle der Sünde und der eigensinnigen Pläne nehme und unsere Herzen offen halte für seine Stimme. Dazu schenke er euch und euren Familien in dieser Fastenzeit seine besondere Gnade.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. En este segundo domingo de Cuaresma, la liturgia nos invita a reflexionar sobre el acontecimiento extraordinario de la Transfiguración. Jesús manifiesta el esplendor de su gloria, para testimoniar que la pasión es el camino de la resurrección. Os aliento, en este tiempo, a escuchar al Hijo predilecto del Padre, a alimentar vuestro espíritu con su Palabra y, así renovar con gozo en la noche de Pascua los compromisos bautismales. ¡Feliz domingo!

Lepo pozdravljam romarje iz Tržiča v Sloveniji! Na našem zemeljskem popotovanju potrebujemo postaje, kjer si odpočijemo, se okrepimo in preverimo smer. Naj bo to vaše romanje takšna duhovna postaja, da boste nato smelo napredovali na poti k vstalemu Kristusu, našemu Odrešeniku. Naj bo z vami moj blagoslov!

[Saluto cordialmente i pellegrini da Tržič in Slovenia! Nel nostro cammino terreno abbiamo bisogno di fermarci di tanto in tanto per riposarci, per riprendere il vigore e per verificare la direzione del percorso. Il vostro pellegrinaggio sia una tale sosta spirituale, affinché possiate progredire coraggiosamente verso Cristo Risorto, nostro Redentore. Vi accompagni la mia Benedizione!]

Zo srdca pozdravujem pútnikov zo Slovenska, osobitne zo Sobraniec, Medzilaboriec, Sniny a Bardejova. Bratia a sestry, Pôstna doba nás pozýva na obrátenie cez modlitbu, skutky milosrdenstva a počúvanie Božieho Slova. Na takéto prežívanie Pôstu rád udeľujem Apoštolské požehnanie vám i vašim drahým.

[Saluto di cuore i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti da Sobrance, Medzilaborce, Snina e Bardejov. Fratelli e sorelle, il Tempo della Quaresima ci invita alla conversione per mezzo della preghiera, dell’esercizio delle opere di misericordia e dell’ascolto della Parola di Dio. Per tale cammino quaresimale imparto volentieri la Benedizione Apostolica a voi ed ai vostri cari.]

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Wczoraj obchodziliśmy uroczystość świętego Józefa, Głowy Świętej Rodziny, Opiekuna Kościoła, a także mojego Patrona. Wszystkim, którzy w dniach rekolekcji watykańskich i we wspomnianą uroczystość zanosili do Boga modlitwy w mojej intencji, serdecznie dziękuję. Niech święty Józef oręduje w niebie za nami wszystkimi. Niech wspiera wasze rodziny w zmaganiach z trudami życia. Na nowy tydzień Wielkiego Postu z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Ieri abbiamo festeggiato la Solennità di San Giuseppe, Capo della Santa Famiglia, Custode della Chiesa e anche mio Patrono. Ringrazio di cuore tutti coloro che nei giorni degli Esercizi spirituali in Vaticano e nella solennità di ieri hanno rivolto preghiere per me. San Giuseppe interceda dal cielo per tutti noi e aiuti le vostre famiglie nell’impegno contro le avversità della vita. Vi benedico di cuore all’inizio di questa nuova settimana di Quaresima.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli venuti da Venezia, i promotori della campagna "Adotta un papà nel sud del mondo", rilanciata in occasione della festa di san Giuseppe, i membri del Movimento di Vita Cristiana provenienti da Salerno, l’Istituto di Istruzione Superiore di Palagonia e gli altri gruppi di studenti. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana, Grazie a tutti voi. Buona domenica!

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Crocefisso, Strasburgo dà ragione all'Italia di Massimo Introvigne, 18-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

La notizia che arriva da Strasburgo, dove la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso in sede di ricorso e con sentenza definitiva che l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche italiane non viola la libertà religiosa dei non cristiani e degli atei,  fa del 18 marzo 2011 una bella giornata per la libertà religiosa.

È la prima volta che una sentenza di primo grado resa all’unanimità (sette giudici a zero) è rovesciata dalla Grande Camera della Corte Europea in sede di ricorso, il che mostra come la Corte abbia compreso il rischio insito nella precedente decisione del 3 novembre 2009, che rovesciava la precedente giurisprudenza dello stesso tribunale europeo con argomenti ideologici e fumosi. Si deve essere grati all’attuale governo italiano – pubblicamente ringraziato dal Papa in diverse occasioni, tra cui quella dell’importante discorso del 10 gennaio 2011 al Corpo diplomatico – per avere perseguito con ostinazione il ricorso, e ai governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Russia, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, Romania e Repubblica di San Marino per avere voluto aggiungere i loro nomi a quello dell’Italia nella procedura di ricorso.

Per converso, brillano naturalmente per la loro assenza tutti gli altri Stati europei: non stupisce la Spagna di Zapatero, un po’ di più la Germania e la Francia, pure su altre questioni più sensibili ai diritti dei cristiani. La storia giudiziaria della causa include anche il fatto che alla decisione di primo grado abbia partecipato il giudice italiano Vladimiro Zagrebelsky – noto campione del laicismo più ideologico – il cui mandato alla Corte Europea è terminato, felicemente per i sostenitori del crocefisso, nel gennaio 2010.

Lo studio delle motivazioni della sentenza, già disponibili in lingua inglese ovvero in lingua francese, è molto istruttivo. È vero che la sentenza della Grande Camera è stata raggiunta ad ampia maggioranza - quindici giudici contro due - ma all’interno della maggioranza si sono manifestate opinioni diverse. Vale la pena di leggere anche le motivazioni di chi ha votato contro: il giudice svizzero Giorgio Malinverni e quella bulgara Zdravka Kalaydjieva. Il loro testo, redatto da Malinverni, ribadisce l’argomento laicista secondo cui il crocefisso nelle scuole ha un effetto «incomparabile» sugli studenti e impone con una sorta di violenza la religione a giovani «spiriti che mancano ancora di capacità critica» grazie alla «forza coercitiva dello Stato». Questo laicismo estremo, per fortuna, è rimasto del tutto minoritario nella Grande Camera.

La maggioranza dei giudici ha assunto un atteggiamento di buon senso, ma che per altri versi si potrebbe definire minimalista. Dopo avere ricordato che nell’Europa allargata della Corte di Giustizia - che, va ricordato, non è collegata all’Unione Europea ed è emanazione di tutti i Paesi situati geograficamente in Europa e non solo di quelli UE - solo tre Stati vietano la presenza del crocefisso nelle scuole pubbliche - la Macedonia, la Georgia e la Francia (con l’eccezione dell’Alsazia e della Mosella, cui dopo la Prima guerra mondiale è rimasto uno statuto speciale) -, la Grande Camera non ha coltivato l’argomento «culturale» né, forse giustamente, ha seguito chi affermava che il crocefisso andava mantenuto nelle scuole perché è un simbolo culturale e nazionale piuttosto che religioso.

La Grande Camera ha ritenuto il crocefisso un simbolo anzitutto religioso - pure ammettendo che in Italia possa avere assunto anche significati secondari di carattere culturale - ma lo ha definito un «simbolo passivo». Non essendo accompagnato nelle aule scolastiche italiane da un indottrinamento religioso obbligatorio - la Corte ha più volte ritenuto in passato che un insegnamento della religione non obbligatorio non viola la libertà delle minoranze - né da preghiere ugualmente obbligatorie in classe, il crocefisso non ha quegli effetti proselitistici rispetto ai non cattolici denunciati dalla ricorrente nella causa originaria, la signora Soile Lautsi, e dai due giudici della Grande Camera dissenzienti.

La sentenza nota anche che il crocefisso è esposto in un contesto come quello italiano dove la libertà religiosa delle minoranze è garantita, e dove - l’esempio è esplicitamente sottolineato - nessuno vieta alle alunne musulmane di presentarsi a scuola con il velo (che copre solo il capo ed è, naturalmente, cosa diversa dal burqa). Nella sostanza si tratta secondo la Grande Camera di materia su cui spetta ai singoli Stati regolarsi come credono.

Probabilmente solo su un’argomentazione come questa - giuridicamente ineccepibile, ma culturalmente debole - si poteva ottenere l’ampia maggioranza che ha portato alla storica vittoria. Tre giudici hanno però voluto aggiungere alla sentenza le loro opinioni personali, favorevoli al dispositivo ma integrative nelle motivazioni. La giudice irlandese Ann Power e quello greco Christos Rozakis hanno introdotto l’elemento culturale del significato identitario del crocefisso nella storia dell’Italia e dell’Europa, sia pure con molta cautela.

Esemplare è la motivazione del giudice maltese Giovanni Bonello, il quale definisce l’avversione al crocefisso «una forma di Alzheimer storico», attacca l’«intolleranza degli agnostici e dei laicisti» e scrive senza infingimenti che «una Corte europea non può mandare alla rovina secoli di tradizione europea». Bonello ha anche sottolineato come la stessa Corte che aveva vietato il crocefisso aveva non solo consentita, ma dichiarata obbligatoria contro un divieto che il governo turco aveva cercato d’imporre, la diffusione presso i giovani e nelle scuole del romanzo Le undicimila vergini di Guillaume Apollinaire (1880-1918), opera certo di un letterato noto ma che inneggia «al sadismo e alla pedofilia». «Sarebbe stato molto strano, secondo me – conclude Bonello – che la Corte avesse difeso e protetto questo ammasso abbastanza mediocre di oscenità nauseanti, che a lungo ha circolato clandestinamente, fondandosi su una sua vaga appartenenza al ‘patrimonio europeo’ e nello stesso tempo avesse negato il valore di patrimonio europeo a un emblema che milioni di Europei hanno riconosciuto lungo tanti secoli come un simbolo senza tempo di redenzione attraverso l’amore universale».



Assolto per insufficienza di prove di Mario Palmaro, 18-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Il crocefisso può restare nelle aule scolastiche del nostro Paese. Ci ha messo 5 anni, ma alla fine la Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo ha concluso che l’Italia, esponendo l’immagine di Gesù in croce negli edifici pubblici, non viola i diritti umani. A Strasburgo la vicenda è approdata nel 2006, quando Sonia Lautsi, cittadina italiana nata finlandese, lamentò la presenza del crocifisso nelle aule della scuola pubblica frequentata dai figli. Nel 2009 la Corte aveva dato sostanzialmente ragione alla donna, provocando la decisa reazione del Governo italiano, che aveva domandato il rinvio alla Grande Chambre della Corte, ritenendo la sentenza 2009 lesiva della libertà religiosa individuale e collettiva come riconosciuta dallo Stato italiano. Ora è arrivata la sentenza, con 15 voti a favore e 2 contrari, che dà ragione all’Italia.

Non si può che gioire della solenne decisione assunta dai giudici del vecchio continente, anche se non manca qualche elemento di perplessità, su cui sarà bene riflettere.

Innanzitutto, l’oggetto del contendere. Si trattava infatti di decidere se la visione del crocefisso nuoce ai bambini. Una ipotesi lunare, degna di un racconto di Dino Buzzati o di un romanzo di Isaac Asimov. Perché, un conto è porre apertamente in questione il diritto del cristianesimo di apparire come fenomeno pubblico e civile. Arrivando magari alle conclusioni cui sono giunti molti paesi islamici, nei quali i cattolici sono perseguitati, o costretti a vivere la fede in modo privatissimo. Una situazione inaccettabile, che però nessun persecutore si sogna di giustificare invocando il rispetto dei diritti umani: semplicemente, tali diritti li nega, apertamente.

Ma un altro paio di maniche è invece cercare di perseguitare il fatto cristiano, facendo finta di agire nel rispetto dei sacri valori della dignità dell’uomo. La paradossalità del procedimento avviato davanti alla Corte di Strasburgo sta proprio in questa logica truffaldina e capovolta. Alla fine, il crocifisso resta al suo posto, ma il motivo che sta alla base di questo risultato lascia di stucco: secondo i giudici, infatti, non sussistono elementi che provino l’eventuale influenza sugli alunni del simbolo della religione cattolica. In pratica, è come dire: il crocifisso può restare appeso in aula, perché non ci sono prove sufficienti che possa nuocere alla salute dei fanciulli. In punta di diritto, se ne potrebbe ricavare l’impressione di una sorta di “assoluzione per insufficienza di prove”, per usare il linguaggio del vecchio codice di procedura penale.

Inoltre, sembra di capire che quell’Uomo mandato al patibolo, inchiodato al legno e trapassato da una lancia, viene trattato dalla burocrazia e dai giudici europei come un materiale radioattivo di incerta provenienza, un meteorite piovuto dallo spazio profondo, un isotopo sconosciuto. Farà male? Non farà male ai nostri bambini? La sentenza dice che non ci sono abbastanza prove per dirlo. Però, attenzione: non si sa mai. Il crocifisso presentato come il nocciolo duro di un reattore nucleare, al quale possono avvicinarsi solo uomini in tuta bianca e mascherina. E i bambini lontano, sennò chissà che trauma.

Ma c’è un altro passaggio della sentenza che lascia sconcertati: la riduzione della Croce a soprammobile senza vita. “Il crocefisso  - dicono i giudici - è un simbolo essenzialmente passivo" e la sua influenza sugli alunni non può essere paragonata all’attività didattica degli insegnanti.

Poveri magistrati della vecchia Europa: cercano faticosamente di dimostrare che quell’oggetto può restare dov’è perché è morto. Ma proprio la loro sentenza, e gli anni di carte bollate, e di cavilli, e di ricorsi, dimostrano che l’Uomo della Croce è più vivo che mai. E che molti, troppi uomini, hanno paura di Lui.


LA SANTA SEDE: NO AL TENTATIVO DI IMPORRE L'IDEOLOGIA DI GENERE - In merito alle conclusioni della 55ª Commissione sullo Status Femminile

NEW YORK, venerdì, 18 marzo 2011 (ZENIT.org).- La Santa Sede ha denunciato un nuovo tentativo di imporre, anche contro il parere di molti Paesi, una visione basata sull'ideologia di genere nelle conclusioni della 55ª sessione della Commissione sullo Status delle Donne e delle Bambine del Consiglio Economico e Sociale dell'ONU (ECOSOC).

Nel suo intervento del 14 marzo, l'Osservatore Permanente, monsignor Francis Chullikatt, ha affermato chiaramente “la necessità di rispettare il valore e la dignità inerenti a tutte le donne e le bambine, fondamentali per il loro autentico progresso”.

Ha anche espresso le riserve della Santa Sede di fronte alla redazione finale delle conclusioni della Commissione sullo Status Femminile dell'ECOSOC, che, ha denunciato, tentano di imporre nuovamente - come in occasioni precedenti - l'ideologia di genere.

Rispetto all'inclusione del termine “genere” nelle conclusioni della Commissione, monsignor Chullikatt ha lamentato che nel testo attuale sia stato adottato “un nuovo paragrafo del preambolo con l'intenzione di eliminare i dubbi sulla promozione di una nuova definizione di genere”.

“Questo programma non può trovare posto in un documento patrocinato dalle Nazioni Unite, soprattutto riguardo alle donne e alle bambine”, ha affermato.

Il presule ha quindi ricordato che nel diritto dei trattati l'unica definizione di “genere” che vincola gli Stati membri è quella contenuta nello Statuto di Roma del Tribunale Penale Internazionale, che dichiara che “il termine 'genere' si riferisce ai due sessi, maschile e femminile, nel contesto della società”.

“A ragione, durante i negoziati, molte delegazioni hanno ribadito l'uso di 'genere' per riferirsi a 'donne e uomini', maschile e femminile, in base al suo uso concordato in precedenza, durante e dopo la negoziazione della Dichiarazione di Pechino e della Piattaforma d'Azione”.

Contro i diritti umani

Purtroppo, ha denunciato monsignor Chullikatt, “durante i negoziati del testo attuale, alcune delegazioni hanno cercato di avanzare ancora una volta, attraverso gli 'studi di genere', verso una radicale definizione di 'genere', che afferma che l'identità sessuale in qualche modo si può adattare indefinitamente con fini nuovi e diversi, non riconosciuti nel diritto internazionale”.

I promotori di questo tentativo di ridefinire il genere hanno inoltre eliminato nel testo il riferimento ai diritti umani, “nonostante il sostegno schiacciante a favore della loro inclusione”, e si sono anche opposti “al riferimento alla dignità inerente e al valore delle donne e degli uomini, un principio profondamente radicato nel sistema dei diritti umani”.

“Alla luce di queste tendenze, la comunità internazionale deve essere consapevole del fatto che questo programma per ridefinire il 'genere', a sua volta, mette in discussione la base stessa del sistema dei diritti umani”, ha sottolineato il presule.

L'Osservatore vaticano ha anche denunciato che “questo avvicinamento radicale è legato alla mancanza di riferimento ai 'diritti' dei genitori, in particolare al loro diritto di scegliere l'educazione per i propri figli, inclusa l'educazione sull'autentico valore umano, il matrimonio e la famiglia”.

Anche se i diritti dei genitori “sono specificati nell'UDHR, il Patto Internazionale di Diritti Politici e Civili e il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali”, vari “tentativi di includere il linguaggio dei diritti umani dei genitori nello stesso modo rispetto ai termini delle responsabilità genitoriali sono stati respinti”.

“E' una questione importante, quando si considera che i diritti dei genitori e i doveri sono fermamente radicati nel diritto internazionale e questi diritti sono correlativi ai doveri, essendo i primi necessari per poter realizzare i secondi”, ha ribadito.

Il presule ha anche ricordato le riserve della Santa Sede, come in occasioni precedenti, “riguardo al significato della definizione di 'salute riproduttiva e sessuale', che non dovrebbe includere l'aborto o i servizi dell'aborto”.

La Santa Sede, ha sottolineato, “non sostiene in alcun modo gli anticoncezionali o l'uso del preservativo, sia come misura di pianificazione familiare che come parte dei programmi di prevenzione dell'Hiv/Aids o di lezioni/programmi di educazione sessuale”.

“La Santa Sede – come molte donne di tutto il mondo – è convinta che il vero progresso della donna  sia fortemente legato al riconoscimento e all'effettiva applicazione dei suoi diritti, dignità e responsabilità. Entrambi, donne e uomini, sono chiamati ad accoglierli, difenderli e promuoverli, per un rinnovato impegno nei confronti dell'umanità”, ha concluso monsignor Chullikatt.


Considerazioni sulle Dat Di Rassegna Stampa - 18/03/2011 - Eutanasia – da http://www.libertaepersona.org

Leggo con un senso di profondo stupore la replica del presidente del Movimento per la Vita alle ineccepibili argomentazioni di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, cui vanno aggiunte le preoccupanti ed altrettanto stringenti informazioni e considerazioni dell'on. Mantovano, sulla proposta di legge in materia di fine vita e i relativi emendamenti.

 Quella replica fa sorgere in me alcune pressanti domande. La prima è la seguente: non si rende conto l'on. Casini di quanto pericolosa, controproducente, illogica, e per di più sovversiva dell'ordinamento costituzionale vigente, sia la sua affermazione secondo cui "i giuristi sanno che l'ordinamento effettivo non è quello che sembra (e sottolineo questo "sembra") a qualcuno di loro, ma quello che risulta dall'interpretazione giurisprudenziale"? A me, viceversa, i professori che ho avuto all'università avevano sempre insegnato - così come peraltro ho sempre ritenuto - che l'operatore del diritto - e tale è prima di ogni altro il giudice - deve rapportarsi con un contesto normativo oggettivo che lo precede e lo trascende. Determinare tale contesto, e dunque stabilire "l'ordinamento (giuridico) effettivo", è compito del potere politico-legislativo, e cioè del Parlamento, e non di quello giudiziario. Il dovere e la funzione del giudice, invece, consistono nell'individuare e nell'applicare con la maggior possibile precisione - in base a criteri che sarebbe qui fuor di luogo illustrare, ma sempre di natura logico-conoscitiva, mai volitiva, e dunque arbitraria - la disciplina prevista dall’ordinamento giuridico ai singoli casi concreti.

Con quest'opera euristica, e cioè di ricerca della soluzione esatta, e quindi giusta, sia pur solo nel ristretto senso di conforme al diritto vigente, una magistratura che non debordi dalle sue funzioni contribuisce anche a garantire quel bene inestimabile che è la certezza del diritto. Questo, e precisamente questo, vuol dire la Costituzione quando all'articolo 101 stabilisce che "i giudici sono soggetti alla legge". Ed è soltanto nel presupposto di questa soggezione che la stessa Carta fondamentale all'articolo 101 garantisce all'ordine giudiziario l'autonomia e l'indipendenza da ogni altro potere e agli articoli 104 e 105 istituisce, con compiti ben precisi e ristretti, il Consiglio superiore della magistratura. Preso invece come l'intende il presidente del Movimento per la Vita, il vocabolo "interpretazione" perde il suo sin qui pacifico significato per assumere quello, addirittura contrario, di arbitraria (e insisto su questo aggettivo) espressione di volontà da parte di un sedicente interprete, che in realtà esorbita dalle sue competenze ed invade il campo del legislatore, usurpandone le funzioni.

Mi domando ancora: posta questa sua concezione di quello che egli chiama "l'ordinamento giuridico effettivo", implicitamente ma chiaramente riconoscendone la legittimità, come può l'on. Casini non rendersi conto degli esiti del proprio pensiero? Se e quando verrà varata la nuova legge, ed i giudici, molto probabilmente, la "interpreteranno" giungendo ai medesimi mortiferi risultanti cui abbiamo assistito nel caso di Eluana - con uno strappo normativo che per i motivi nitidamente illustrati da Gnocchi, Palmaro e Mantovano, sarebbe meno grave e vistoso - egli, per un minimo di coerenza logica, dovrà rispettosamente chinare il capo e riconoscere che quella sentenza e con essa le altre che verosimilmente la accompagneranno e la seguiranno - magari previo qualche ricorso alla Corte costituzionale, agevolato da innegabili fessure che caratterizzano il progetto in questione - costituiranno appunto "l'ordinamento (giuridico) effettivo".

 Il rischio è tanto maggiore ove si consideri che le citate fessure, se passeranno le modifiche segnalate dall'on. Mantovano nella sua lettera apparsa su "Il Foglio" del 25 febbraio 2011, si trasformeranno in enormi, irreparabili squarci. La verità è che non si può non condividere l'affermazione di Gnocchi e Palmaro secondo cui gli articoli 575 (omicidio), 579 (omicidio del consenziente), 580 (istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) del codice penale costituiscono un inequivocabile complesso normativo, catafratto a tutela della intangibilità e sacralità della vita umana, quale presupposto di ogni altro diritto.

Un complesso che non può essere scavalcato se non sulla base di una ferma e determinata volontà disapplicativa. Altrochè l'asserito vuoto normativo, strumentalmente invocato dalla Cassazione nella sentenza sul caso Englaro per arrogarsi una competenza che esplicitamente essa stessa riconosce rientrare nell'ambito delle attribuzioni del legislatore, per giunta nella più delicata delle materie: quella della vita! Ne è prova il fatto che nella citata sentenza, la numero 21748 del 2007, il diritto penale italiano non è neppur menzionato, quasi appartenesse ad un altro pianeta, o quasi che tra esso e il diritto civile vi fosse una assoluta incomunicabilità. In compenso vi sono menzionate, fra l'altro, una sentenza dell'House of Lords, una della Corte Suprema del New Jersey e una relativa allo stato del Missouri, tutte citazioni molto trendy in clima di diffusa anglofonia, ma che ad un povero giurista di provincia non sembrano sufficienti a giustificare la totale dimenticanza del codice penale italiano, e proprio in articoli fondamentali.

Dalle due domande sin qui rivolte all'on. Casini ne scaturisce una terza, peraltro in esse già implicita: non si rende egli conto che la sua identificazione fra "interpretazione giurisprudenziale" e "ordinamento (giuridico) effettivo" sovverte il nostro sistema costituzionale, fondato sulla divisione dei poteri (dove per giunta la magistratura non è un potere vero e proprio ma un "ordine") e, al limite, svuota completamente le prerogative del Parlamento, cancellando di riflesso la sovranità popolare per sostituirvi l'arbitrio, e dunque la tirannia, dei giudici? Al punto in cui siamo giunti non si può più sottacere la cruda verità: ci troviamo di fronte ad una magistratura che deborda sistematicamente dalle proprie competenze, giungendo a teorizzare ripetutamente, al suo massimo livello, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che "la figura dell'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzione riservata al legislatore è di rilievo meramente teorico" perché "secondo le più recenti e accreditate teorie" l' "attività interpretativa", e cioè quella del giudice "non ha una funzione meramente euristica" (vale a dire, come si diceva, di ricerca del significato del precetto), "ma si sostanzia in opera creativa della volontà di legge nel caso concreto" (ex plurimis, Cass. Sez. Un. 14.7.2005 nr. 14811).

Per dirla alla buona: poiché il giudice ha l'ultima parola su tutti i casi concreti, se "in base alle più recenti e accreditate teorie" fatte proprie dalla Cassazione, il suo ruolo interpretativo è da intendersi come "creativo", se ne desume che la "volontà di legge" è sempre la sua. Se ne desume, magari un po’ brutalmente, che i parlamentari possono andare tranquillamente a scaldarsi al sole dei tropici. In questo ordine di idee sempre le Sezioni Unite (sentenza n. 27335 del 2008), sia pure in un contesto penosamente contraddittorio, hanno enunciato lo stesso concetto, valorizzando "recenti teorie post illuministiche".

Dove per teorie post illuministiche si allude con tutta evidenza a teorie che escludono la dottrina della separazione dei poteri formulata da Montesquieu. Peccato però che, a prescindere da ogni giudizio di valore, lo schema costituzionale di Montesquieu sia quello su cui è costruita la nostra Carta costituzionale, che senza di esso verrebbe praticamente abrogata, dato che il Parlamento, titolare del potere legislativo, è il luogo e il mezzo attraverso cui, in linea primaria, si esprime la sovranità popolare. L'on. Casini, con la sua concezione del diritto, legittima ed avvalora, per il passato e per il futuro, le infrazioni dell'ordine costituzionale di cui la magistratura si è resa responsabile in questi ultimi anni, e di cui, date le citate premesse dottrinali, con ogni probabilità si renderà responsabile anche in avvenire.

E ciò con l'aggravamento che forse la più flagrante di tali violazioni dovrebbe averlo particolarmente colpito quale presidente del Movimento per la Vita. Alludo all'assalto permanente cui viene sottoposta la famosa "legge 40" sulla procreazione medicalmente assistita. Un assalto più volte accoratamente denunciato dal quotidiano cattolico "Avvenire" che, ad esempio, nel supplemento "E' vita" del 10 febbraio 2011, parla di una vera e propria "catena di smontaggio" e si domanda "quale strategia alberga dietro questi interventi demolitori di una legge che ... si vuole rendere radicalmente iniqua".

 La particolare gravità istituzionale di questi assalti consiste nel fatto che la detta legge non solo fu approvata dopo annosa discussione e con sofferta decisione del Parlamento, ma venne anche implicitamente, eppur inequivocabilmente, confermata dal popolo con clamorosissimo "flop" del relativo referendum abrogativo. Lo sfregio alla sovranità popolare legittimato in nome della vittoria di un concorso appare qui più che altrove in chiarissima luce. Del resto, tornando al caso Englaro, val la pena di ricordare che, commentando l'esito della procedura che portò alla morte una giovane donna, l'on. Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato e proveniente dalle file della magistratura, a quanto riferì il Corriere della Sera del 10 luglio 2008, così testualmente si espresse: "Non possono essere i giudici a prendere decisioni così importanti. Serve una legge sul testamento biologico".

E in realtà il protagonismo della magistratura svuota e condanna all'irrilevanza, insieme con l'opera del Parlamento, anche le battaglie dell'opposizione, ridotta a un ruolo di supporto e subalterno rispetto a un vero e proprio partito dei giudici. Il commento dell'on. Finocchiaro comporta in via logica un'ulteriore deduzione: posto che la morte per abbandono di Eluana è innegabilmente in inscindibile nesso causale con la sentenza della Corte di Cassazione e col decreto della Corte di Appello di Milano che decisero il suo caso, se, come sostiene quella senatrice, tali pronunce furono emanate in difetto di una legge che le autorizzasse, e dunque contra legem, che si dovrà dire dei giudici che la emanarono?

Altrochè l'immunità parlamentare, tanto esecrata specialmente dai giudici. In realtà non si riesce a capire per quale misterioso principio giuridico qualunque decisione di P.M. o di giudice, anche se presa in evidente e sfacciata mala fede - poniamo una condanna all'ergastolo - sol perché riveste la forma di provvedimento giudiziario vada sostanzialmente sempre e comunque esente da pena. La verità è che la proposta di legge sul fine vita rischia di giustificare i mortiferi provvedimenti che la hanno motivata, lasciando, almeno in qualche misura, intendere che il difetto era nella legge e non nei giudici che l'hanno violata. Il problema principale infatti non è nella legislazione, ma nella magistratura.

Una nuova magistratura animata da nefasto protagonismo, che, a partire dai tempi di "Mani pulite", con lenta erosione e fornendosi reciproci sostegni, paradossalmente appellandosi - anche con indecorose sceneggiate - alla Costituzione, ne ha gradualmente stravolto l'ordinamento snaturandone vieppiù le istituzioni, fin quasi a sovvertirle. Una magistratura siffatta va ricondotta con estrema urgenza nei suoi argini, con misure ben più appropriate e decise di quelle messe in cantiere - tra i suoi incostituzionali schiamazzi - dall'attuale governo. Va peraltro detto che già la possibilità accordata al medico dall’art. 3 del progetto base di sospendere l’idratazione e l’alimentazione, apre al medesimo la via di una valutazione discrezionale, difficilissima da contestare.

E chi poi effettuerebbe contestazioni se fossero gli stessi congiunti ad insistere per l’abbandono terapeutico? Senza contare, a tacer d’altro, che il testamento biologico introdotto sotto nuova sigla schiude vastissimi spazi di intervento ad una Corte Costituzionale di cui sono ben note le propensioni. Il tutto con il risultato di ridurre la legge ad una mera cortina fumogena. Per quanto concerne specificamente il fine vita, a mio avviso, in attesa delle auspicate riforme, l'unica soluzione è metterci una temporanea pezza con un articolo unico che, in caso di incoscienza o incapacità del paziente, vieti sempre e comunque con congrua pena, salvo altra maggiore nel caso che il fatto costituisca più grave reato, la sospensione di alimentazione ed idratazione, anche artificiali. Lector quidam Il Foglio, 16 marzo 2011


Farmacisti, ecco perché possono obiettare - aborto - Il Cnb riconosce che è un operatore sanitario e può rifiutare farmaci che eliminano l’embrione - DA MILANO ENRICO NEGROTTI, Avvenire, 19 marzo 2011

S i dibatte tra il diritto all’obie­zione di coscienza – general­mente riconosciuto – per il farmacista e il diritto della donna a ottenere la prescrizione della pil­lola del giorno dopo il parere e­spresso il mese scorso dal Comi­tato nazionale per la bioetica (Cnb), e ora reso noto per intero. Un parere che costituisce un pas­so avanti importante verso il rico­noscimento del diritto del farma­cista, in quanto operatore sanita­rio, a non compiere atti che lo pon­gano in contrasto con i propri con­vincimenti scientifici ed etici. Di­vergono però in maniera più am­pia le posizioni dei componenti del Cnb riguardo all’opportunità e alle modalità di regolare per leg­ge questo diritto all’obiezione.

Il parere del Cnb («Nota in merito alla obiezione di coscienza del far­macista alla vendita di contrac­cettivi d’emergenza») ha il merito di stabilire in maniera inequivo­cabile che il farmacista è un ope­ratore sanitario in base alla nor­mativa vigente, a partire dal regio decreto del 1938 su professioni e arti sanitarie per finire con la leg­ge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (833/1978). È stato il presidente della Federazione degli Ordini dei farmacisti (Fofi), Andrea Mandelli, a sottolineare il ruolo in­discutibilmente sanitario del far­macista. Da questa premessa – os­serva il documento approvato (25 favorevoli, 2 astenuti e 2 contrari) – derivano «decise implicazioni sulla possibilità giuridica che, in analogia a quanto avviene per al­tre figure professionali sanitarie (legge 194/1978, legge 40/2004) venga necessariamente ricono­sciuta anche a questa categoria professionale il diritto all’obiezio­ne ». Questo passaggio però non esau­risce la questione. Infatti un grup­po di 15 componenti del Cnb ri­tiene che «si possa estendere al far­macista il diritto all’obiezione di coscienza relativamente alla ven­dita dei cosiddetti contraccettivi d’emergenza». Un altro gruppo, di 9 persone, pur d’accordo con la «assoluta correttezza deontologi­ca ed etica del farmacista che in­vochi la clausola di coscienza», ri­tiene complesso l’eventuale «rico­noscimento legislativo» di questo diritto. Sia perché «non si può as­similare la figura del farmacista a quella del medico», sia perché do­vrebbe essere preliminarmente garantita «con assoluta certezza» che alla donna venga consegnato il farmaco prescritto dal medico (un membro del Cnb lo ritiene prioritario rispetto al diritto all’o­biezione). Il Cnb conclude per­tanto invitando il legislatore – in un’eventuale legge – a prevedere gli strumenti necessari perché sia rispettato il diritto della donna a ottenere il farmaco richiesto.


FINE VITA: PERCHÉ DIRE SÌ A QUESTO DISEGNO DI LEGGE - L’argine del diritto sbarra il passo all’eutanasia - MARIANNA GENSABELLA FURNARI * - * professore straordinario di Filosofia morale, Università di Messina componente del Comitato nazionale per la bioetica – Avvenire, 20 marzo 2011

Una legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) potrebbe destare perplessità: come disciplinare con la mano rigida del diritto questioni delicate quali la relazione paziente-medico? Come entrare nella sfera più intima, là dove viviamo l’angoscia di morte? Tuttavia una legge appare, oggi in Italia, necessaria e urgente, sia per il rischio di una deriva eutanasica della giurisprudenza che per il proliferare di testamenti biologici in tanti Comuni.

Il disegno di legge in discussione alla Camera, anche se in alcuni punti perfettibile, appare in questa luce un argine opportuno, condivisibile per almeno due motivi: il carattere non vincolante, e il no alla sospensione di idratazione e alimentazione artificiale.

Ricordiamo come sul carattere «non assolutamente vincolante» delle Dat si sia espresso all’unanimità il Comitato nazionale per la bioetica nel noto parere del 2003, e come in questo senso si muova – ancor prima – la Convenzione di Oviedo del 1996, che all’articolo 9 parla di «desideri precedentemente espressi» che devono essere «tenuti in considerazione», non eseguiti in ogni caso. In gioco vi è il senso stesso del rapporto paziente­medico: un rapporto tra alleati, all’insegna della fiducia, o un rapporto tra estranei, all’insegna della diffidenza, dell’esigenza di difendersi, vincolandosi a un testo?

Quale relazione di cura se i medici si trasformassero in asettici esecutori di volontà anticipate? All’estensione nel tempo di un’autonomia del paziente senza contraddittori corrisponderebbe un affievolirsi della responsabilità umana e professionale del medico. Il senso etico delle Dat – continuare un dialogo anche in casi di incapacità – richiede che la voce del medico continui a parlare e che quella del paziente sia ascoltata per ciò che è: una voce che viene da una situazione altra.

Sulla sospensione di idratazione e alimentazione artificiale va posta innanzitutto una domanda: si tratta o no di eutanasia? Per eutanasia, infatti, non intendiamo solo l’azione, ma anche – come indica la Dichiarazione sull’eutanasia della Congregazione per la dottrina della fede del 1980 – l’omissione che «di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare il dolore». Quando si tratta di sospendere cure necessarie alla vita, come l’idratazione e l’alimentazione artificiale, non si può quindi cadere nel tranello di un’impropria distinzione tra eutanasia e 'lasciar morire', quasi che quest’ultimo sia un opportuno e naturale 'lasciare andare'. Certo, anche queste cure possono in casi limite risultare inefficaci al punto da configurarsi come accanimento clinico: ma si tratta di casi limite, appunto, cioè di sospensioni da valutare sempre e solo 'in situazione'.

La paura della sofferenza, di una morte prigioniera delle macchine, non deve offuscare le coscienze, creare confusione e cedimenti. Il no all’accanimento clinico e il no all’eutanasia omissiva sono difesi ambedue nel disegno di legge: il primo legittima il rifiuto di cure sproporzionate alla situazione che il paziente vive; il secondo vieta la rinuncia a cure proporzionate che sostengono la vita. Nei casi di pazienti in stato vegetativo o affetti da altre patologie che compromettono la coscienza, a essere giudicata insopportabile non è la cura ma la vita: la rinuncia alle cure coincide con la rinuncia alla vita ed è finalizzata a questa. A essere intaccato in questo caso non è solo il principio dell’indisponibilità della vita, messo in crisi dalla libertà del soggetto, ma anche il principio dell’inviolabilità della vita, chiamato in causa dalla responsabilità di chi pone in atto la rinuncia. Si chiede al medico di attuare nel modo più indolore possibile un intervento attivo/omissivo, nella consapevolezza che ciò causerà sicuramente la morte, e per causarla. Se tale richiesta venisse legittimata l’eutanasia entrerebbe nel nostro ordinamento, nelle nostre vite, nelle nostre relazioni – terapeutiche e non –, per la via meno evidente, la più subdola: quella dell’omissione.

Il progetto di legge in discussione alla Camera pone un argine prezioso perché difende princìpi fondamentali per l’etica e per il diritto, come l’indisponibilità e l’inviolabilità della vita umana: princìpi a cui non possiamo rinunciare né come credenti né come cittadini di uno stato laico, poiché difendono la vulnerabilità che segna ogni vita umana.