venerdì 18 marzo 2011

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    L'ALLARME DI METER: IN CRESCITA LA PEDOFILIA CULTURALE E I PEDOPARADISI - Quasi 70.000 dai 0 ai 12 anni, le vittime di abusi segnalati soltanto nel 2010 - di Mirko Testa
2)    "Lectio divina". Il papa riporta tutti a scuola - Ai parroci di Roma Benedetto XVI ha insegnato come si leggono le Sacre Scritture. E così ai seminaristi. Ma la sua lezione è per tutti. E l'ha messa in pratica nel suo libro su Gesù di Sandro Magister
3)    Il crocefisso a scuola viola i diritti dell'uomo? Oggi la sentenza finale di Marco Respinti, 18-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
4)    «La maternità è un dono, non un errore da evitare» di Raffaella Frullone, 18-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

L'ALLARME DI METER: IN CRESCITA LA PEDOFILIA CULTURALE E I PEDOPARADISI - Quasi 70.000 dai 0 ai 12 anni, le vittime di abusi segnalati soltanto nel 2010 - di Mirko Testa

ROMA, mercoledì, 16 marzo 2011 (ZENIT.org).- Se da una parte i social network si stanno facendo sempre più attenti nel contrastare la piaga della pedofilia, dall'altra stanno aumentando esponenzialmente il fenomeno dell'infantofilia e quello della pedofilia “culturale”, favoriti anche dalla nascita di nuovi pedoparadisi come Tuvalu, in Oceania, e la Libia.
E' questo in sintesi quanto emerge di nuovo dal Report 2010 sulla pedofilia e la pedopornografia curato da Meter - l'associazione fondata e presieduta da don Fortunato di Noto - e presentato questo mercoledì durante una conferenza stampa tenutasi a Roma presso la Radio Vaticana.
Nel fare gli onori di casa, il direttore della Sala Stampa vaticana e dell'emittente pontifica, padre Federico Lombardi, ha detto: “Noi sappiamo quanto tutta la questione degli abusi sessuali, nei confronti dei minori, sia stata dibattuta in questi anni, quanto anche la Chiesa ne sia coinvolta per i motivi che sappiamo. L’attività di Meter è, in concreto, la dimostrazione che la Chiesa è coinvolta per lottare contro gli abusi sessuali dei minori, a tutto campo, anche nelle forme nuove che questo terribile dramma prende nella nostra società”.
Dare un volto alle vittime
E il Report ne è la prova tangibile: il dossier riunisce, infatti, i dati raccolti nel corso del 2010 dopo un attento monitoraggio della Rete Internet da parte di Meter, grazie anche all'accordo di cooperazione siglato nel 2008 con la Polizia Postale e che ha permesso di avviare indagini in Italia e nel mondo portando a numerosi indagati e arrestati per detenzione, divulgazione e sfruttamento sessuale di minori.
Innanzitutto, le cifre parlano di 69.850 vittime di abusi per il 2010. Tutti bambini in età prepuberale, cioè fino agli 11/12 anni circa, che lo scorso anno, per la prima volta, sono stati contati uno per uno, durante il monitoraggio della Rete e nelle segnalazioni dei siti pedopornografici. Poi c'è il problema ancora più allarmante dell'infantofilia, di cui, osserva don Di Noto, “la stampa parla raramente, anzi forse mai”, quel fenomeno cioè che prende di mira bambini da 0 a massimo 2 anni. Presente poi anche materiale foto e video in cui i minori compiono atti di autoerotismo oppure vengono ripresi mentre compiono atti sessuali.
“Le violenze sessuali perpetrate – ha detto don Di Noto – sono delle più tragiche e inenarrabili, riscontrabili spesso in contesti familiari e criminali, in alcuni casi sono stati ad hoc realizzati dei set fotografici, anche dentro tuguri. Abbiamo poi riscontrato delle violenze a cui i bambini sono sottoposti con animali. Tutto dietro a questa assurda violenza sessuale, cieca e bestiale”.
Un fenomeno allarmante che trova riflesso nelle cifre che parlano di una crescita pari quasi al 100%. In totale, dal 2003 al 2010 sono stati ben 689.394 i siti segnalati. Mentre solo per il 2010 sono 13.766 tra siti web, social network, servizi di scambio file foto e video e infine indirizzi email con contenuto pedofilo (nel 2009 erano stati 7.240).
Il 96% dei siti ha domini generici e specifici, mentre il 4% si compone di social network (2,28%) servizi scambio foto e video (1,51%) ed indirizzi email (0,16%). “Il sito personale – ha spiegato don Di Noto – è – ancora lo strumento preferito dai pedofili, che spesso scelgono di dotarsi di domini generici (80% dei casi) come .info, .com, .net. Domini apparentemente innocui che, però, nascondono foto e video di bambini violentati. Nel 20% dei casi, invece, abbiamo domini specifici provenienti da aree geografiche ben determinate”.
Ma se rispetto al 2009 sono scese le segnalazioni, che erano 1.560, è aumentato, però, il numero di siti segnalati. I riferimenti italiani, iscritti in social network e simili, erano 51: ora sono 65. Crescono anche le segnalazioni attraverso il forum Meter, che passano da 560 a 889, a testimonianza, ha osservato don Di Noto, di “una consapevolezza, di una coscienza più sviluppata, una sensibilità nuova da parte dei cosiddetti cittadini della Rete”.
Pedofilia pseudo culturale
“Oltre a questo – ha aggiunto –, cresce la cosiddetta pedofilia culturale, ossia la proliferazione di siti internet nei quali l’abuso e la violenza sessuale sui minori (perché di questo stiamo parlando) viene presentato come una 'libera scelta' che 'aiuta a crescere' il bambino e che in fondo riprenderebbe 'nobili' usanze della Grecia antica”.
Proprio questo mercoledì, 16 marzo, dopo anni di continue segnalazioni da parte dell’associazione Meter è scattata, tra l'altro, la prima operazione internazionale contro i “pedofili culturali” espressione di quella “strisciante lobby” che punta a far passare la pedofilia come un fatto naturale e normale.
Sul tema è quindi intervenuto anche Antonino D’Anna che, insieme a don Di Noto, ha scritto a quattro mani il volume “Corpi… da gioco” (LDC, 2010). Il giornalista ha infatti citato come caso esplicativo la nascita nel 2006 del partito olandese “Amore del prossimo, libertà e diversità” (NVD), il primo partito dichiaratamente pedofilo che riuscì a presentarsi alle elezioni politiche prima di venire sciolto nel 2010 e che prevedeva nel suo programma l’abbassamento dell’età per il consenso sessuale a sei anni.
Un'altra prova è anche l'esistenza della “Giornata dell’orgoglio pedofilo”, che si tiene tutti gli anni il 25 aprile con l’“Alice Day”, dedicato all’amore per le bambine e il “Boylove Day”, dedicato ai bambini, che si tiene invece il 23 giugno e a dicembre.
Il problema, ha però evidenziato Antonino D’Anna, è che cresce in molti pedofili anche la “presunzione, che arriva a diventare quasi una certezza di impunità”, tanto che nel 2010 Meter ha segnalato foto e video con 32 abusatori (tra cui anche donne) incuranti di mostrarsi a volto scoperto.
“Il pedofilo – ha spiegato ancora – è un malato lucido che ha la capacità di vivere quell'esperienza come normale”. E soprattutto, se nell'80% dei casi sono le bambine a subire gli abusi, nel 78% dei casi gli abusatori sono maschi, e contrariamente a quanto si afferma la maggior parte di questi ultimi non ha alle spalle un passato di abusi.
“Questo cambia quindi la prospettiva – ha affermato il fondatore di Meter –. Qui dovremmo fare un discorso a cielo aperto sul maschio e su come viene educato: qual è il suo rapporto con la donna? Qual è il suo rapporto con il sesso e la sessualità?”.
Social network più sicuri, peggiora Facebook
Buone notizie su altri fronti: scendono infatti le segnalazioni da social network, che passano da 851 a 315. “In questo caso – ha continuato don Di Noto – il decremento è presumibilmente da rinvenire grazie al controllo che i gestori dei social network hanno mostrato di attuare, anche davanti alle segnalazioni di Meter”.
Per quanto riguarda i social network, la diminuzione della presenza di pedofili è stata dovuta probabilmente ai controlli più severi messi in atto dai gestori. Nel 2009 sono state inviate 851 segnalazioni alla Polizia Postale, nel 2010 solo 315. Tra i network più gettonati: Grou.ps (143 segnalazioni), Ning (88), Facebook (42), Socialgo (20), Webs (14), Youtube (5). Crescono Socialgo, passato da 0 segnalazioni nel 2009 a 20, Facebook che va da quota 20 all’attuale 42, Meebo (da 0 a 2), Webs (da 0 a 14).
Scendono anche foto e video: nel 2009 i pedofili si sono serviti dei social network per caricare 29.250 foto, nel 2010 sono scese ad appena 9.750, ossia un decremento del 66% circa. I video, invece, sono passati da 2.607 nel 2009 a soli 896 per lo scorso anno.
Il business del peer-to-peer
Spesso però gli orchi fanno anche uso del file sharing, il peer to peer, cioè lo scambio interpersonale di materiale. Ecco allora 209 file segnalati contenenti ben 111.692 tra immagini e video di bambini abusati per il 99%, foto e l’1% video. “Prodotti rapidi, veloci da commercializzare e smerciare – ha spiegato don Di Noto –. Il peer-to-peer è comodo per i pedofili, e anche redditizio: il 70% delle indagini effettuate riguarda infatti la detenzione, produzione e divulgazione di materiale pedopornografico. Più in particolare, il principio di fondo è quanto mai semplice: più offri, più ricevi!”.
La Libia, oasi della pedopornografia
Per quanto riguarda invece l'ubicazione dei server che gestiscono questo traffico di materiale pedopornografico, per il 57% dei casi si trovano nei paesi europei, seguiti dall’America (38%), dall’Asia (4%), l’Africa (0,40%) e l’Oceania (0,27%). Per l’Africa il 100% dei domini segnalati è in Libia. Mentre per l’America abbiamo USA (94%), Repubblica Dominicana (2%), Ecuador (2%), Turks e Caicos (2%).
“Per l’Europa – ha illustrato il fondatore di Meter – la Russia prende il 99% dei domini, l’1% è diviso tra Italia, Liechtenstein, Ucraina, Romania, Slovacchia, Germania, Olanda, Grecia, Belgio. In Asia domina Hong Kong (50,1%), mentre il resto è diviso tra India, Cina, Giappone, Taiwan, Corea del Sud, Vietnam (2,3, 10,85, 16,5, 4,4% rispettivamente). Anche all’estremo angolo del mondo, l’Oceania, non mancano i domini pedopornografici. Si tratta, delle isole Cocos e Keeling (territorio australiano con meno di 600 abitanti nell’Oceano Indiano), le Tonga e Tuvalu, arcipelago di atolli a metà strada tra Hawaii e Australia”.
Questo a dimostrazione del fatto che laddove non esista una legislazione adeguata per contrastare la divulgazione di materiale di questo tipo, l'unico strumento su cui si puà fare affidamento è quello di sollecitare il server provider perché oscuri le immagini incriminate. Lavoro questo reso a volte ancora più complicato per il fatto che Russia e Usa offrono, per esempio, due piattaforme di servizio di anonimato, dove confluiscono migliaia di siti in grado così di eludere i controlli.
La risposta di Meter
Nel 2002 l'associazione di don Di Noto ha istituito un numero verde nazionale, 800.455.270, che da allora fino al 2010, ha ricevuto 21.035 chiamate di emergenza oltre ad offrire consulenze telefoniche. Chi ha chiamato Meter principalmente lo ha fatto, nel 2010 (sono state in tutto 1262, 103 delle quali dall'estero), per ottenere innanzitutto informazioni su adozioni e affidi, sospette denunce, ma anche assistenza psicologica, giuridica, segnalazioni, assistenza spirituale.
Meter sostiene, inoltre, progetti in Paraguay, Congo e Romania, offrendo denaro ad avvocati e psicologi per dare una identità ai cosiddetti “bambini invisibili” e assicurare loro un percorso psicoterapeutico. Oppure in Italia si costituisce parte civile nei processi fornendo un sostegno economico, spesso di grande utilità, ha spiegato il sacerdote siciliano, specie perché “non tutti possono accedere al patrocinio gratuito non esistendo un fondo per le vittime degli abusi sessuali, che potrebbe essere un aiuto concreto per quelle famiglie costrette ad affrontare spese legali enormi e dissanguanti”.
Esiste però anche un Centro di ascolto e prima accoglienza che nel 2010 ha seguito e fornito un aiuto concreto a ben 862 bambini, accettando anche le richieste di colloquio da parte di pedofili, e affrontando le nuove problematiche emergenti come il cyber bullismo o lo stalking online.
Importante anche l'aspetto legato alla prevenzione, formazione e informazione che Meter ha portato avanti attraverso 68 tra convegni e incontri focalizzati principalmente su internet e i nuovi media ma anche attraverso una presenza costante nelle scuole, creando sportelli di consulenza per i minori, i docenti e i genitori, dove è possibile rivolgersi per eventuali segnalazioni di qualsiasi tipo di abuso.
Dal 2002 al 2009, inoltre, Meter ha visitato ben 184 istituti, tra comprensivi e di Istruzione superiore. A questo proposito nel 2010, Meter ha condotto una indagine e sottoposto a un questionario 1.722 alunni di Padova, Bergamo, Catania e Siracusa per conoscere le loro abitudini legate all'uso del pc. Da questa indagine è emerso che nel 62% dei casi i giovani hanno sempre ricevuto inviti a incontrare persone conosciute on-line.
Meter al fianco della Chiesa
“Meter – ha tenuto a precisare don Di Noto – è al servizio della Chiesa, del Santo Padre, dei Vescovi e delle diocesi per quanto concerne la pastorale dei pre-adolescenti, degli adolescenti, dei giovani nell'ambito educativo e di accompagnamento nelle nuove forme di sfruttamento e di abuso nonché dei percorsi di fede alla luce della speranza risorgente”.
Nel 2009-2010 Meter è stata convocata dalla Conferenza dei Vescovi di lingua anglofona in Vaticano per rappresentare l'esperienza associativa come modello di servizio all'infanzia contro la pedofilia. L'associazione – che collabora anche con gruppioperanti in Francia, Austria, Svizzera, Brasile e Paraguay – tra il 2002 e il 2010 è stata chiamata a offrire la propria presenza e testimonianza in 38 diocesi italiane.
Esiste poi la Giornata nazionale dei bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indi­fferenza (GBV) che l’associazione Meter celebra ogni anno dal 1995 dal 25 aprile alla prima domenica di maggio e che dal 2002 è diventata un appuntamento in Italia e all’estero non solo per le realtà ecclesiali ma anche per la società civile e per le realtà politiche e culturali.

Un vicario episcopale dei bambini
Nel botta e risposta con i giornalisti, don Di Noto ha quindi toccato il tema del “vicario episcopale dei bambini” all'interno delle diocesi, “una proposta provocatoria da una parte – ha tenuto a precisare – ma attuabile, se uno vuole, dall'altra”, che non sottintende la creazione ex novo di figure o uffici, quanto la volontà di dare “un segno chiaro, evidente di come la Chiesa ama i bambini”.
“Mi chiedo spesso – ha confessato a questo proposito – perché nei consigli pastorali delle parrocchie ma anche delle diocesi esista la pastorale giovanile ma non quella del bambino. Quindi dovremmo reinventare il nostro modo di portare avanti il lavoro pastorale”.
Un fenomeno globale non per le piccole Procure
Un aspetto fondamentale che ha voluto poi segnalare è il rapporto tra Meter e le Procure distrettuali. Infatti, ha affermato il sacerdote siciliano, “non possiamo non ribadire che questo lavoro, il flusso delle segnalazioni, le indagini, avviate gli indagati e gli arresti sono il risultato di sinergie e collaborazione con le Procure distrettuali che coordinano i compartimenti di polizia postale italiani, unica specialità per il contrasto alla pedofilia”.
“Quindi – ha continuato –, non si può assolutamente pensare o proporre la frantumazione di tali indagini presso le piccole procure già oberate di altri compiti come alcuni hanno proposto con un emendamento presentato nei mesi scorsi alla Commissione Giustizia dove è in discussione la convenzione di Lanzarote (dl 1969-B)”, il documento del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale .

La competenza delle Procure distrettuali per i reati di pedofilia e pedopornografia online era stata introdotta dalla Legge 48 del 2008 in sede di ratifica della convenzione di Budapest sulla criminalità informatica del 23 novembre 2001.

“Peraltro – ha osservato don Di Noto –, a distanza di tre anni il Parlamento italiano ne sta ritardando l’approvazione, rallentando quindi l’entrata in vigore di norme che rendano più efficace il coordinamento delle procure distrettuali e la polizia postale, l’inasprimento delle pene per l’adescamento online (grooming), le norme per il contrasto contro l’istigazione alla violenza della cosiddetta pedofilia culturale. Facciamo appello alle istituzioni (Presidente della Repubblica, del Senato, della Camera, del Consiglio) perché si impegnino per l’approvazione, riconfermando un assetto che già di fatto è così”.
Inoltre, ha continuato, “noi siamo poveri. Siamo in agonia. E' vero che siamo una importante organizzazione a livello internazionale ma le risorse sono veramente irrisorie. Quindi c'è il rischio che potremmo chiudere anche domani, se non troviamo delle risorse concrete. Per questo il mondo della politica, delle regioni e degli enti locali dovrebbe aiutarci”.

La sfida e l'impegno
Per don Di Noto la sfida vera sta nel permettere alle “vittime che avevano perso la speranza di uscire dal tunnel del silenzio e di ritrovare la loro dignità. Dignità che è stata oscurata proprio da coloro che più di chiunque altro doveva proteggerli e amarli: genitori ed educatori”.
“Perché vi posso garantire – ha aggiunto – che quando Dio ascolterà il grido dei bambini, non ci sarà Chiesa che tenga, non ci sarà società che tenga, perché sarà Dio a gridare per loro; e non ci sarà coscienza che potrà essere sopita, perché Dio arriverà ad arrabbiarsi nella sua misericordia”.
“Qui nessuno dovrebbe rimanere in silenzio – ha concluso –. Tutti dovrebbero uscire fuori a fare una rivoluzione culturale”.


Per maggiori informazioni: www.associazionemeter.org


"Lectio divina". Il papa riporta tutti a scuola - Ai parroci di Roma Benedetto XVI ha insegnato come si leggono le Sacre Scritture. E così ai seminaristi. Ma la sua lezione è per tutti. E l'ha messa in pratica nel suo libro su Gesù di Sandro Magister

ROMA, 17 marzo 2011 – Nel secondo volume di "Gesù di Nazaret", come già nel primo, Benedetto XVI propone una lettura dei Vangeli non solamente storico-critica, né soltanto spirituale, ma storica e teologica insieme: l'unica lettura a suo giudizio capace di far incontrare il Gesù "reale".

"Si tratta di riprendere finalmente – scrive nella prefazione del libro – i principi metodologici per l'esegesi formulati dal Concilio Vaticano II in 'Dei Verbum' 12. Un compito finora purtroppo quasi per nulla affrontato".

Questi principi, papa Joseph Ratzinger li aveva richiamati con forza intervenendo al sinodo dei vescovi del 2008, dedicato proprio alla lettura delle Sacre Scritture.

E li ha ribaditi nell'esortazione apostolica postsinodale "Verbum Domini", diffusa lo scorso anno a consuntivo di quel sinodo.

Benedetto XVI ha talmente a cuore questo tipo di lettura delle Sacre Scritture che lo adotta sempre più di frequente anche negli incontri che ha con i sacerdoti e i seminaristi.

Nei giorni scorsi l'ha fatto due volte: il 4 marzo con gli studenti del Pontificio Seminario Romano e il 10 marzo con i preti della diocesi di Roma.

Papa Ratzinger usa riunire attorno a sé i preti di Roma ad ogni inizio di Quaresima. Negli anni passati aveva risposto alle loro domande. Quest'anno, invece, ha tenuto loro una "lectio divina", a commento di un passo degli Atti degli Apostoli.

Che cosa sia una "lectio divina", Benedetto XVI l'ha rispiegato nella "Verbum Domini". È una "lettura orante" delle Sacre Scritture che si compone di quattro momenti fondamentali:

– la "lectio": che cosa dice il testo biblico in sé;

– la "meditatio": che cosa dice il testo biblico a noi;

– la "oratio": che cosa diciamo noi a Dio in risposta alla sua Parola;

– la "contemplatio": la conversione della mente, del cuore e della vita che Dio chiede a noi.

Agli studenti del Pontificio Seminario Romano, cioè ai futuri nuovi sacerdoti della diocesi di Roma, incontrati la sera del 4 marzo, Benedetto XVI ha tenuto una "lectio divina" su un passo del capitolo 4 della lettera di Paolo agli Efesini.

Il papa si è soffermato su alcune parole chiave, nella loro lingua originale: la chiamata (che in greco, ha detto, ha la stessa radice del "Paraclito", lo Spirito Santo), l'umiltà (la stessa parola greca che san Paolo adopera per indicare l'abbassamento del Figlio di Dio fino a farsi uomo e a morire sulla croce), la dolcezza (la stessa parola greca che si ritrova nelle Beatitudini).

Il testo integrale della "lectio divina" del papa con i seminaristi di Roma è ora nel sito del Vaticano, in più lingue:

> "Sono molto felice di essere qui..."

Ai preti di Roma, invece, papa Ratzinger ha commentato il cosiddetto "testamento pastorale" di san Paolo, il suo commovente discorso d'addio ai cristiani di Efeso e di Mileto, riportato negli Atti degli Apostoli al capitolo 20.

La "lectio" è stata tenuta nell'Aula della Benedizione, dietro la fronte superiore della basilica di San Pietro, quella da cui i papi si affacciano dopo che sono stati eletti e per le benedizioni solenni.

Benedetto XVI ha parlato per oltre un'ora, a braccio, con davanti semplicemente un foglio con degli appunti.

La trascrizione, con i necessari controlli, ha quindi richiesto tempo. E così, quando è stata resa pubblica, era ormai ritenuta dai media troppo "vecchia" per fare notizia.

Di conseguenza quasi nessuno, oltre i sacerdoti presenti, ne ha saputo qualcosa.

Eppure la "lectio divina" tenuta nell'occasione dal papa è di quelle che meritano di essere lette e gustate per intero. È un esempio di prim'ordine di aderenza sia alla lettera che allo spirito delle Sacre Scritture, sulla scia di Origene, Ambrogio, Agostino, Gregorio, dei Padri della Chiesa e dei grandi teologi medievali. Con un'attenzione viva alle sfide del tempo presente e all'incidenza della Parola di Dio sulla nostra vita.

Eccone qui di seguito alcuni passaggi, con lo stile tipico del linguaggio parlato.

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"NON UN CRISTIANESIMO 'À LA CARTE', SECONDO I PROPRI GUSTI..." di Benedetto XVI


Cari fratelli, [...] abbiamo ascoltato il brano degli Atti degli Apostoli (20, 17-38), nel quale san Paolo parla ai presbiteri di Efeso, raccontato volutamente da san Luca come testamento dell’apostolo, come discorso destinato non solo ai presbiteri di Efeso, ma ai presbiteri di ogni tempo. San Paolo parla non solo con coloro che erano presenti in quel luogo, egli parla realmente con noi. Cerchiamo quindi di capire un po’ quanto dice a noi, in quest’ora. [...]

“Ho servito il Signore con tutta umiltà” (v. 19). “Umiltà” è una parola-chiave del Vangelo, di tutto il Nuovo Testamento. [...] Nella lettera ai Filippesi, san Paolo ci ricorda che Cristo, il quale era sopra a noi tutti, era realmente divino nella gloria di Dio, si è umiliato, è sceso facendosi uomo, accettando tutta la fragilità dell’essere umano, andando fino all’obbedienza ultima della croce (2, 5-8). Umiltà non vuol dire una falsa modestia – siamo grati per i doni che il Signore ci ha dato –, ma indica che siamo consapevoli che tutto quanto possiamo fare è dono di Dio, è donato per il Regno di Dio. In questa umiltà, in questo non voler apparire, noi lavoriamo. Non chiediamo lode, non vogliamo “farci vedere”, non è per noi criterio decisivo pensare a che cosa diranno di noi sui giornali o altrove, ma che cosa dice Dio. Questa è la vera umiltà: non apparire davanti agli uomini, ma stare sotto lo sguardo di Dio e lavorare con umiltà per Dio, e così realmente servire anche l’umanità e gli uomini.

“Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi” (v. 20). San Paolo ritorna, dopo alcune frasi, di nuovo su questo punto e dice: “Non mi sono sottratto al dovere di annunciarvi tutta la volontà di Dio” (v. 27). Questo è importante: l’apostolo non predica un cristianesimo “à la carte”, secondo i propri gusti, non predica un Vangelo secondo le proprie idee teologiche preferite; non si sottrae all’impegno di annunciare tutta la volontà di Dio, anche la volontà scomoda, anche i temi che personalmente non piacciono tanto.

È la nostra missione di annunciare tutta la volontà di Dio, nella sua totalità e ultima semplicità. [...] E penso che il mondo di oggi sia curioso di conoscere tutto. [...] Questa curiosità dovrebbe essere anche la nostra: [...] di conoscere veramente tutta la volontà di Dio e di conoscere come possiamo e come dobbiamo vivere, qual è la strada della nostra vita. Quindi dovremmo far conoscere e capire – per quanto possiamo – il contenuto del "Credo" della Chiesa, dalla creazione fino al ritorno del Signore, al mondo nuovo. La dottrina, la liturgia, la morale, la preghiera – le quattro parti del Catechismo della Chiesa Cattolica – indicano questa totalità della volontà di Dio.

E anche è importante non perderci nei dettagli, non creare l’idea che il cristianesimo sia un pacchetto immenso di cose da imparare. Ultimamente è semplice: Dio si è mostrato in Cristo. Entrare in questa semplicità – io credo in Dio che si mostra in Cristo e voglio vedere e realizzare la sua volontà – ha dei contenuti e, a seconda delle situazioni, possiamo poi entrare nei dettagli o meno, ma è essenziale che si faccia capire anzitutto la semplicità ultima della fede. Credere in Dio come si è mostrato in Cristo è anche la ricchezza interiore di questa fede, dà le risposte alle nostre domande, anche le risposte che in un primo momento non ci piacciono e che sono tuttavia la strada della vita, la vera strada. Quando entriamo in queste cose anche non così piacevoli per noi, possiamo capire, cominciamo a capire che è realmente la verità. E la verità è bella. La volontà di Dio è buona, è la bontà stessa.

Poi l’apostolo dice: “Ho predicato in pubblico e nelle case, testimoniando a giudei e greci la conversione a Dio e la fede nel Signore Nostro Gesù” (v. 20-21). Qui c’è un riassunto dell’essenziale: conversione a Dio, fede in Gesù. Ma rimaniamo un attimo sulla parola “conversione”, che è la parola centrale o una delle parole centrali del Nuovo Testamento, [...] in greco “metànoia”, cambiamento del pensiero, [...] cioè reale cambiamento della nostra visione della realtà.

Siccome siamo nati nel peccato originale, per noi realtà sono le cose che possiamo toccare, sono i soldi, sono la mia posizione, sono le cose di ogni giorno che vediamo nel telegiornale: questa è la realtà. E le cose spirituali appaiono un po’ dietro la realtà. “Metànoia”, cambiamento del pensiero, vuol dire invertire questa impressione. Non le cose materiali, non i soldi, non l’edificio, non quanto posso avere è l’essenziale, è la realtà. La realtà delle realtà è Dio. Questa realtà invisibile, apparentemente lontana da noi, è la realtà.

Imparare questo, e così invertire il nostro pensiero, giudicare veramente come il reale che deve orientare tutto è Dio, questo è la parola di Dio. Questo è il criterio, Dio, il criterio di tutto quanto faccio. Questo realmente è conversione: se il mio concetto di realtà è cambiato, se il mio pensiero è cambiato. E questo deve poi penetrare tutte le singole cose della mia vita: nel giudizio di ogni singola cosa prendere come criterio che cosa dice Dio su questo. Questa è la cosa essenziale, non quanto ricavo adesso per me, non il vantaggio o lo svantaggio che avrò, ma la vera realtà, orientarci a questa realtà.

Dobbiamo proprio – mi sembra – nella Quaresima, che è cammino di conversione, esercitare ogni anno di nuovo questa inversione del concetto di realtà, cioè che Dio è la realtà, Cristo è la realtà e il criterio del mio agire e del mio pensare; esercitare questo nuovo orientamento della nostra vita.


Il crocefisso a scuola viola i diritti dell'uomo? Oggi la sentenza finale di Marco Respinti, 18-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Oggi la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo emetterà la sentenza d’appello definitiva a chiusura dell’ultimo grado di ricorso processuale sull’annosa questione relativa alla liceità di appendere o meno i crocifissi nella aule delle scuole italiane. Il verdetto sarà insomma inappellabile.

Secondo quanto annunciato nei giorni scorsi dai giornali di Strasburgo, il pronunciamento della Grande Chambre, composta da un collegio di 17 giudici, dovrebbe giungere attorno alle ore 15,00.
La sentenza di oggi giunge dopo un iter durato quasi dieci anni, che ha diviso l’opinione pubblica e acceso il dibattito anche - giustamente - politico.

Tutto nacque nell’oramai lontano 2002. In nome del principio della laicità dello Stato, una cittadina italiana di origine finlandese, Soile Lautsi Albertin, chiese all’istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre di Abano Terme, in provincia di Padova, frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocefissi dalle aule. La direzione rispose negativamente e ogni successivo ricorso intentato dalla Lautsi Albertin venen analogamente respinto.

Quando, nel dicembre 2004, la Corte Costituzionale bocciò pure il ricorso presentato dal Tar del Veneto, tutto ritornò al Tribunale amministrativo regionale e questo, nel 2005, respinse ancora una volta l’ennesimo ricorso della querelante sostenendo che il crocifisso è simbolo della storia e della cultura italiana e quindi dell’identità stessa del Paese, anzi il simbolo stesso dei princìpi di eguaglianza, libertà, tolleranza e laicità che stanno alla base dallo Stato italiano. Anche il Consiglio di Stato confermò, nel 2006, questa medesima posizione.

Nel 2007 la Lautsi Albertin fece allora ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Questa, con una decisione pronunciata il 3 novembre 2009 da una Camera allora composta da sette giudici, diede ragione alla donna stabilendo che l’esposizione di un simbolo religioso - in teoria uno qualsiasi, ma in pratica (solo) il crocifisso - in un luogo pubblico, in specie nelle aule scolastiche, limita il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni così come il diritto degli studenti di credere o di non credere.

In nome della pretesa “neutralità” dello Stato in materia religiosa, con quella decisione senza precedenti la Corte si è cioè arbitrariamente arrogata il diritto di intervenire negli ordinamenti giuridici degli Stati europei, legiferando positivamente contro la coscienza e la libertà dei cittadini così come in aperta conflittualità con quanto stabilito sovranamente da ciascun Paese.

«La presenza del crocefisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche - si legge infatti in quella sentenza - potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso. Avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione». Ciò «potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose o sono atei». Inoltre la Corte «non è in grado di comprendere come l’esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolcieismo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana». In quella sede fu pure sentenziato che il governo italiano dovesse risarcire la Lautsi Albertin di 5mila euro per i “danni morali” subiti.

Vale peraltro la pena osservare che nell’emettere tale sentenza la Corte invocò l’articolo 2 del Protocollo n. 1 nonché l’articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: il primo riguardante il diritto all’istruzione, il secondo il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Vale la pena notaro perché questi articoli della Convenzione, invocati dalla Corte per bandire il crocifisso, sono gli stessi che oggi invocano - cioè giudicano violati a proprio danno - decine di famiglie cristiane tedesche per difendersi dalla galera comminata loro nel momento in cui ritengono lesivo della dignità umana e contrario al proprio credo il sottoporre i figli agli “allegri” programmi di educazione sessuale che lo Stato impone a tutte scuole, persino a quelle confessionali, evitando quindi, in quei giorni, di mandare i ragazzi in classe.

A fronte della sentenza del 2009 sul crocifisso il governo italiano intervenne immediatamente, presentando, il 28 gennaio 2010, ricorso in appello. Al suo fianco presentarono ricorso anche Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, San Marino, Russia, Principato di Monaco e Romania. Il caso venne quindi affidato alla Grande Chambre, l’organo di detta Corte a cui spettano i pronunciamenti relativi a casi che sollevano grave questioni di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e questioni di importanza generale. Che la questione sia cioè di rilevanza fondamentale non sfugge ad alcuno.

Alla vigilia della discussione di Strasburgo, il 16 giugno scorso, la presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, ha affermato che «la presenza dei simboli religiosi e in particolare della croce, che riflette il sentimento religioso dei cristiani di qualsiasi denominazione, non si traduce in un'imposizione e non ha valore di esclusione, ma esprime una tradizione che tutti conoscono e riconoscono nel suo alto valore spirituale, e come segno di un'identità aperta al dialogo con ogni uomo di buona volontà, di sostegno a favore dei bisognosi e dei sofferenti, senza distinzione di fede, etnia o nazionalità», auspicando dunque « che nell’esame di una questione così delicata si tenga conto dei sentimenti religiosi della popolazione e di questi valori, come pure del fatto che in tutti i Paesi europei si è affermato e si va sviluppando sempre più positivamente il diritto di libertà religiosa, di cui l’esposizione dei simboli religiosi rappresenta un'importante espressione».

Dunque, il 30 giugno, la Grand Chambre ha ascoltato, in seduta pubblica, le parti direttamente interessate ed esaminato le memorie presentate da “terzi”. Poi la lunga attesa della sentenza.
Opportuno è peraltro ricordare che, nel frattempo, la Corte italiana di Cassazione ha affrontato un altro caso assi specifico non privo di qualche assonanza se non altro culturale con il “caso Lautsi Albertin”. Vale a dire il caso del magistrato Luigi Tosti, rifiutatosi di svolgere regolare udienza in tribunale proprio per la presenza, sulla parete dell’aula, del crocifisso incriminato, e ostinatosi nell’interruzione del servizio anche dopo che gli era stata messa a disposizione un’aula di giudizio priva di simboli religiosi Tosti spiegava il proprio atteggiamento affermando che la presenza del crocifisso in altre aule avrebbe comunque leso i diritti di libertà religiosa degli utenti delle stesse. Il 14 marzo la Cassazione è dunque arrivata a sentenza e ha stabilito che, siccome non spetta al singolo individuo, nemmeno se magistrato, tutelare la laicità dello Stato o i diritti di libertà religiosa di altri soggetti, il rifiuto della prestazione lavorativa da parte di Tosti è ingiustificato. Né la persistenza del rifiuto può essere giustificata, come sostenuto dal magistrato, dalla negazione dell’autorizzazione a esporre nelle aule giudiziarie - in alternativa, volutamente polemica - la menorah, simbolo della religione ebraica. La Cassazione ha infatti rilevato che attualmente non esistono in Italia disposizioni legislative che consentano l’esposizione di simboli religiosi diversi dal crocifisso nei luoghi pubblici che si trovano sul nostro territorio nazionale.

Ora, sul piano strettamente giuridico questa decisione, proprio perché legata a un caso davvero specifico, è estensibile solo difficilmente a criteri di ordine generale. Nondimeno, essa evdienzia un orientamento assi chiaro nell’ordinamento giuridico italiano: proprio quello che con la sentenza del 3 novembre 2009 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo mostrò spavaldamente di voler ignorare e  calpestare nel “caso Lautsi Albertin”.

Oggi è dunque il giorno dell’epilogo. Delle due, infatti, l’una. Se il ricorso del governo italiano (sostenuto virtuosamente da numerose cancellerie europee) avrà la meglio, verrà rafforzata per sempre una norma giuridica decisiva che stabilisce un principio di civiltà onorevole per l’intera Europea nonché valido per tutti gli Stati che lo compongono. Se invece, in modo altrettanto definitivo, il ricorso italiano perderà in aula, mostrare Gesù crocifisso ai nostri figli che sui banchi di scuola (pagati dalle nostre tasse) siedono per imparare qualcosina della verità delle cose - quel Gesù che pende crocifisso sul capo dei loro insegnanti- sarà un reato grave da punire. Anzi, data la natura del tribunale giudicante, una lesione dei diritti umani.


«La maternità è un dono, non un errore da evitare» di Raffaella Frullone, 18-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

«Si parla tanto di prevenzione, ma si previene una malattia, una patologia, non una gravidanza. La maternità non è un errore, un rischio da cui guardarsi, ma un dono». Così Medua Boioni Dedè, già Presidente e tra i fondatori della confederazione italiana centri regolazione naturale fertilità commenta l’articolo apparso sul quotidiano Repubblica del 15 marzo dal titolo “Sesso sicuro – Nuovi contraccettivi, dal condom per lei allo stick sottopelle”. Il pezzo, inserito nella sezione “Salute” è accompagnato da una serie di commenti e approfondimenti e tra i titoli leggiamo “In arrivo anche in Italia gli ultimi metodi per evitare gravidanze indesiderate. Per le giovanissime si parla di doppia protezione: preservativo contro patologie sessuali e pillola anticoncezionale”. E poi ancora “E venne l’era dell’amore senza paura”.

Dottoressa Boioni, che cosa non la convince di quanto letto in queste pagine?
Direi tutto, ma soprattutto l’aspetto culturale e sociale, si dà per scontato che i giovanissimi abbiano o comunque cerchino di avere una vita sessuale attiva, ma non è sempre così, anzi. Gli adolescenti cercano amore, qualcosa che sia duraturo e non effimero, non possiamo rispondere a questi bisogni con i preservativi. Senza contare che ci sono delle conseguenze pesanti per gli adolescenti che vivono una sessualità precoce, ma di questo non si parla…

Quale tipo di conseguenze?
Innanzitutto psicologiche. I ragazzi vivono il primo rapporto come una prova, ma spesso rimangono frustrati perché non è come lo hanno immaginato, le ragazze invece aspettano con ansia questo momento perché perdendo la verginità si sentono più donne, ma poi rimangono molto deluse. Queste sensazioni negative spesso si trascinano negli anni, nelle relazioni. Purtroppo ho avuto a che fare con cinquantenni che ancora non avevano elaborato i traumi della prima volta, e ovviamente neanche lo sapevano… Queste sono cose che non si raccontano l’unico rischio da cui il mondo adulto sembra voler mettere al riparo i ragazzi è quello di avere un figlio, di compiere l'errore di rimanere incinta, ma una vita che nasce non è un rischio e tantomeno un errore. Inoltre ci si scorda di dire la cosa fondamentale, e cioè che per programmare una gravidanza l’unica cosa su cui agire è il proprio comportamento. Autocontrollo e autodeterminazione non sono dei paletti o delle restrizioni, ma anzi degli ingredienti essenziali per vivere a pieno l’intimità e la comunione con l’altra persona, che non può ridursi ad un incontro fisico.

Qualcuno non sarebbe d’accordo…
Nonostante quello che si crede non possiamo scindere il corpo dalla psiche e dalle emozioni, nemmeno l’uomo. Aneliamo comunque all’amore, non siamo soddisfatti dal piacere, perché il piacere finisce, quindi nessuno può dire che traiamo gioia da un incontro soltanto genitale.

Eppure la sessualità, o meglio il libertinaggio dei costumi e la promiscuità sono diventati la normalità e l’unica preoccupazione sembra non essere l’amore, bensì la contraccezione…
La mentalità contraccettiva non è altro che il rifiuto della possibilità del concepimento, in quanto l’ipotesi si una vita che nasce da un lato terrorizza i genitori, dall’altro è vista dai giovani come una possibilità remotissima. Così si ricorre all’educazione sessuale che però di educazione ha ben poco. Si spiegano gli strumenti con i quali scongiurare il rischio di una gravidanza, ma l’educazione ha ben altro scopo: quello di aiutare la persona a far uso di tutte le sue dimensioni comprese la ragione, l’intelligenza e la capacità di autocontrollo. Dico sempre ai ragazzi che incontro che chi ama davvero l’altra persona è in grado di autocontrollarsi, perché mette al centro l’altra persona, e qui non si tratta soltanto si evitare una gravidanza, ma di incontrare davvero l’altra persona. Si può provare un po’ di piacere, ma la gioia è tutt’altro…

Sempre sulle pagine di Repubblica la sessuologa Roberta Giommi dice “Costruire una mentalità preventiva è il sogno di chi si occupa di educazione alla sessualità e all’affettività”, è d’accordo?
Sarà il sogno suo, non certo il mio. O meglio se il sogno è fare in modo che le persone traggano dalla genitalità il massimo del piacere, allora sono d’accordo, ma questa non è sessualità. La Giommi parla di sesso e fertilità, sesso e sicurezza, mi chiedo se si sia scordata il binomio sesso e amore. Per me il sogno è fare in modo che le persone scoprano come attraverso il corpo si può mostrare amore all’altra persona, un amore che soddisfa e realizza l’intimo dell’uomo e della donna, in una donazione che ci consegna all’altro per l’eternità, qualcosa che dura al di fuori del rapporto sessuale, che è progetto di vita, che è il costruire qualcosa, all’interno della quale ovviamente rientrano anche i figli. Se ci si mettono dei valori dentro il rapporto sessuale si rinnova ogni giorno, perché cresce e diventa fecondo, un bambino non diventa un rischio ma il frutto di un rapporto. Il piacere non ci soddisfa perché passa. E’ la gioia che resta nel cuore...



Oggi in Spagna, domani in Italia? di Massimo Introvigne, 18-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Benedetto XVI ha concluso il suo messaggio del 16 marzo al presidente Napolitano ricordando che alla Chiesa "lo Stato Italiano ha offerto e continua ad offrire una collaborazione preziosa, di cui la Santa Sede fruisce e di cui è consapevolmente grata". Questa affermazione non è scontata, perché non dovunque è così.

Ce lo ricorda una relazione della professoressa Lourdes Ruano Espina, docente nella storica Facoltà di Diritto dell'Università di Salamanca, che io stesso ho avuto il piacere di presentare nel seminario su "Intolleranza e discriminazione contro i cristiani in Europa" tenuto lo stesso 16 marzo al Parlamento Europeo a Bruxelles. La bella relazione della professoressa Ruano Espina ha fatto rumore, e ha avuto qualche eco anche sulla stampa italiana.

La Costituzione spagnola, secondo la docente di Salamanca, prevede di per sé un sistema di "laicità positiva", non ostile alla libertà religiosa. Include una "neutralità" in materia di religione che è cosa diversa dal "separatismo stretto" alla francese. Il governo Zapatero cerca però di "reinterpretare la Costituzione in senso restrittivo", perseguendo l'"instaurazione di un sistema di tipo laicista, assolutamente relativista, che cerca di relegare il fenomeno religioso all'ambito puramente privato". Per di più Zapatero persegue questo obiettivo in modo strisciante, senza proporre una modifica della Costituzione per cui non ha i numeri in parlamento.

La Ruano Espina ha mostrato come, agendo d'intesa con il governo e trovando una sponda in una parte della magistratura, sono lobby anticattoliche private a iniziare processi che permettono poi a Zapatero di sostenere che c'è una domanda di laicismo diffusa nel Paese. Per esempio nei Paesi baschi un'associazione anticlericale, Alternatiba, ha chiesto la realizzazione di un inventario delle opere d'arte a contenuto religioso esposte negli uffici pubblici in presunta violazione del principio di laicità per valutarne la rimozione, a cominciare dal quadro di sant'Ignazio di Loyola (1491-1556), da sempre bestia nera dei laicisti, esposto a San Sebastián nel Palazzo Forale e opera di Elías Salaberría (1883-1952). Altrove sono in corso azioni legali per la rimozione della statua del Sacro Cuore a Monteagudo e della croce sulla Sierra de Orihuela, e per l'eliminazione negli atti dell'Ordine degli Avvocati di Siviglia di ogni menzione dell'Immacolata Concezione, loro patrona. Il Tribunale Amministrativo di Murcia ha deciso invece che la Messa annuale celebrata dall'Ordine locale in memoria degli avvocati deceduti nei dodici mesi precedenti non viola il principio di laicità, ma si tratta di una vittoria precaria e l'opposizione dei legali filo-Zapatero prosegue.

Altri gruppi passano all'azione violenta. Nel mese di novembre 2010, in un episodio che ricorda quello romano dell'Università La Sapienza dove nel 2008 fu impedito di parlare al Papa, un gruppo di docenti e studenti dell'Università Autonoma di Madrid ha minacciato contestazioni in occasione di una visita del cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e presidente della Conferenza episcopale spagnola. Come il governo Prodi aveva fatto con il Papa, anche il governo Zapatero ha affermato di non potere garantire l'ordine pubblico, e la visita è stata annullata.
Il 9 gennaio 2011 la cappella dell'Università di Barcellona, che funzionava dal 1988, è stata chiusa. La polizia ha dichiarato di non essere in grado di garantire la sicurezza dopo che la celebrazione settimanale della Messa era stata ripetutamente interrotta da gruppi anticlericali. A Madrid una cappella universitaria è stata profanata da studentesse che hanno fatto irruzione durante la Messa, si sono denudate e hanno iniziato a baciarsi fra loro inneggiando ai diritti delle lesbiche.

Gli obiettivi del governo vanno ben oltre la chiusura di qualche cappella. Si tratta d'intimidire la Chiesa e di dichiarare irrilevante la voce dei cattolici per negare, in particolare, la possibilità dell'obiezione di coscienza nei confronti delle leggi che hanno introdotto il "matrimonio" omosessuale (2005), la fecondazione artificiale eterologa (2006), il riconoscimento come genere dei transessuali nelle carte di identità (2007), l'aborto anche oltre i limiti della legge precedente (2010). Nel 2009 una sentenza ha negato il diritto di giudici e funzionari all'obiezione di coscienza nella celebrazione di "matrimoni" omosessuali.

Un terreno di scontro particolarmente importante fra la Chiesa spagnola e il governo - cui ha fatto cenno anche Benedetto XVI nel suo discorso annuale al Corpo diplomatico del 10 gennaio 2011 - è la legge del 2006 che introduce nelle scuole i corsi di "Educazione per la cittadinanza", i quali comprendono una "educazione sessuale e riproduttiva obbligatoria", che persegue lo scopo dichiarato di una "ricostruzione dei valori" dei giovani spagnoli con riferimento in particolare all'identità di genere, all'omosessualità, alla contraccezione e all'aborto. È chiaro che i valori da "ricostruire" sono quelli dei giovani cattolici fedeli al Magistero: quanto agli altri, il numero di aborti e la denatalità in Spagna mostrano che forse non hanno bisogno dell'indottrinamento governativo.

Benché la legge - che dovrebbe entrare in vigore su tutto il territorio nazionale con l'anno scolastico 2011-2012 - non preveda l'obiezione di coscienza, già 53.000 alunni e famiglie si sono dichiarati obiettori, e più di duemila si sono rivolti ai tribunali con l'intenzione - ove non ottengano soddisfazione - di proseguire la loro azione di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. In Andalusia, dove l'insegnamento è già in vigore, il Consiglio superiore dell'educazione il 4 marzo scorso ha negato la promozione a due alunne, nonostante i buoni risultati scolastici, per avere rifiutato di partecipare ai corsi di "Educazione per la cittadinanza".

La Ruano Espina ha concluso ricordando che "la libertà religiosa non esiste perché lo Stato la riconosce. I diritti della persona sono anteriori e superiori ai diritti positivi, e lo Stato è obbligato a proteggerli e salvaguardarli, così che la loro protezione e garanzia giustificano l'esistenza stessa dello Stato e i suoi poteri".

Nel 1936 l'attivista politico antifascista e laicista italiano Carlo Rosselli (1899-1937) pronunciò un discorso molto famoso dal titolo "Oggi in Spagna, domani in Italia". Non parlava di Zapatero, ma è forse pensando sia alla Spagna sia a politici italiani che studiano da Zapatero che il Papa ha voluto ricordare la "collaborazione preziosa" che il governo italiano "continua a offrire" alla Chiesa.