Nella rassegna stampa di oggi:
1) L’UDIENZA GENERALE, 09.03.2011 - IL TESTO DELLA CATECHESI DEL SANTO PADRE SUL TEMPO QUARESIMALE IN LINGUA ITALIANA
2) Down, l'«imperfezione» è un valore umano di Danilo Quinto, 08-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
3) 08/03/2011 – BANGLADESH - Giochi di potere tra autorità tribali e ufficiali dietro il suicidio di una cristiana stuprata di Nozrul Islam
4) GERMANIA: CONDANNATI 35 GENITORI PERCHÉ CONTRARI ALL'EDUCAZIONE SESSUALE - Associazioni di 9 Paesi e 4 continenti difendono i diritti dei genitori
5) «Quaresima, per riscoprire una vita meravigliosa» di Antonio Giuliano, 09-03-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
6) Chi è felice? Di Lorenzo Albacete, mercoledì 9 marzo 2011, il sussidiario.net
7) Avvenire.it, 9 marzo 2011, Non è frutto di un’impostazione fideistica, ma razionale - Sono del tutto laici i motivi per dire sì alla legge sulle «Dat»
8) Avvenire.it, 9 marzo 2011 - Ancora a proposito di adozioni e di «single» - Ma le «dinamiche» non surrogano la famiglia di Francesco D'Agostino
L’UDIENZA GENERALE, 09.03.2011 - IL TESTO DELLA CATECHESI DEL SANTO PADRE SUL TEMPO QUARESIMALE IN LINGUA ITALIANA
Cari fratelli e sorelle,
Oggi, segnati dall’austero simbolo delle Ceneri, entriamo nel Tempo di Quaresima, iniziando un itinerario spirituale che ci prepara a celebrare degnamente i misteri pasquali. La cenere benedetta imposta sul nostro capo è un segno che ci ricorda la nostra condizione di creature, ci invita alla penitenza e ad intensificare l’impegno di conversione per seguire sempre di più il Signore.
La Quaresima è un cammino, è accompagnare Gesù che sale a Gerusalemme, luogo del compimento del suo mistero di passione, morte e risurrezione; ci ricorda che la vita cristiana è una “via” da percorrere, consistente non tanto in una legge da osservare, ma nella persona stessa di Cristo, da incontrare, da accogliere, da seguire.
Gesù, infatti, ci dice: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). Ci dice, cioè, che per giungere con Lui alla luce e alla gioia della risurrezione, alla vittoria della vita, dell’amore, del bene, anche noi dobbiamo prendere la croce di ogni giorno, come ci esorta una bella pagina dell’Imitazione di Cristo: “Prendi, dunque, la tua croce e segui Cristo; così entrerai nella vita eterna. Ti ha preceduto lui stesso, portando la sua croce (Gv 19,17) ed è morto per te, affinché anche tu portassi la tua croce e desiderassi di essere anche tu crocifisso. Infatti, se sarai morto con lui, con lui e come lui vivrai. Se gli sarai stato compagno nella sofferenza, gli sarai compagno anche nella gloria” (L. 2, c. 12, n. 2). Nella Santa Messa della Prima Domenica di Quaresima pregheremo: “O Dio nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima, segno sacramentale della nostra conversione, concedi ai tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita” (Colletta). E’ un’invocazione che rivolgiamo a Dio perché sappiamo che solo Lui può convertire il nostro cuore. Ed è soprattutto nella Liturgia, nella partecipazione ai santi misteri, che noi siamo condotti a percorrere questo cammino con il Signore; è un metterci alla scuola di Gesù, ripercorrere gli eventi che ci hanno portato la salvezza, ma non come una semplice commemorazione, un ricordo di fatti passati. Nelle azioni liturgiche, Cristo si rende presente attraverso l’opera dello Spirito Santo, quegli avvenimenti salvifici diventano attuali. C’è una parola-chiave che ricorre spesso nella Liturgia per indicare questo: la parola “oggi”; ed essa va intesa in senso originario e concreto, non metaforico. Oggi Dio rivela la sua legge e a noi è dato di scegliere oggi tra il bene e il male, tra la vita e la morte (cfr Dt 30,19); oggi “il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15); oggi il Cristo è morto sul Calvario ed è risuscitato dai morti; è salito al cielo e siede alla destra del Padre; oggi ci è dato lo Spirito Santo; oggi è il tempo favorevole. Partecipare alla Liturgia significa allora immergere la propria vita nel mistero di Cristo, la sua permanente presenza, percorrere un cammino in cui entriamo nella sua morte e risurrezione per avere la vita.
Nelle domeniche di Quaresima, in modo del tutto particolare in quest’anno del ciclo A, siamo introdotti a vivere un itinerario battesimale, quasi a ripercorrere il cammino dei catecumeni, di coloro che si preparano a ricevere il Battesimo, per ravvivare in noi questo dono e far in modo che la nostra vita recuperi le esigenze e gli impegni di questo Sacramento, che è alla base della nostra vita cristiana.
Nel Messaggio che ho inviato per questa Quaresima, ho voluto richiamare il nesso particolare che lega il Tempo quaresimale e il Battesimo. Da sempre la Chiesa associa la Veglia Pasquale alla celebrazione del Battesimo: in esso si realizza quel grande mistero per cui l’uomo, morto al peccato, è reso partecipe della vita nuova in Cristo Risorto e riceve lo Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti (cfr Rm 8,11). Le Letture che ascolteremo nelle prossime domeniche e alle quali vi invito a prestare speciale attenzione, sono riprese proprio dalla tradizione antica, che accompagnava il catecumeno nella scoperta del Battesimo: sono il grande annuncio di ciò che Dio opera in questo Sacramento, una stupenda catechesi battesimale rivolta a ciascuno di noi. La Prima Domenica, chiamata Domenica della tentazione, perché presenta le tentazioni di Gesù nel deserto, ci invita a rinnovare la nostra decisione definitiva per Dio e ad affrontare con coraggio la lotta che ci attende per rimanergli fedeli. La Seconda Domenica è detta di Abramo e della Trasfigurazione. Il Battesimo è il sacramento della fede e della figliolanza divina; come Abramo, padre dei credenti, anche noi siamo invitati a partire, ad uscire dalla nostra terra, a lasciare le sicurezze che ci siano costruite, per riporre la nostra fiducia in Dio; la meta si intravede nella trasfigurazione di Cristo, il Figlio amato, nel quale anche noi diventiamo “figli di Dio”. Nelle Domeniche successive viene presentato il Battesimo nelle immagini dell’acqua, della luce e della vita. La Terza ci fa incontrare la Samaritana (cfr Gv 4,5-42). Come Israele nell’Esodo, anche noi nel Battesimo abbiamo ricevuto l’acqua che salva; Gesù, come dice alla Samaritana, ha un’acqua di vita, che estingue ogni sete; quest’acqua è il suo stesso Spirito. La Chiesa in questa Domenica celebra il primo scrutinio dei catecumeni e durante la settimana consegna loro il Simbolo, la professione della fede: il Credo. La Quarta Domenica ci fa riflettere sull’esperienza del “Cieco nato” (cfr Gv 9,1-41). Nel Battesimo veniamo liberati dalle tenebre del male e riceviamo la luce di Cristo per vivere da figli della luce. Nel cammino dei catecumeni si celebra il secondo scrutinio. Infine, la Quinta Domenica ci presenta la risurrezione di Lazzaro (cfr Gv 11,1-45). Nel Battesimo noi siamo passati dalla morte alla vita e siamo resi capaci di piacere a Dio, di far morire l’uomo vecchio per vivere dello Spirito del Risorto. Per i catecumeni, si celebra il terzo scrutinio e durate la settimana viene consegnata loro l’orazione del Signore: il Padre nostro.
Questo itinerario che siamo invitati a percorre anche noi è caratterizzato, nella tradizione della Chiesa, da alcune pratiche: il digiuno, l’elemosina e la preghiera. Il digiuno significa l’astinenza dal cibo, ma comprende altre forme di privazione per una vita più sobria. Tutto questo però non è ancora la realtà piena del digiuno: è il segno esterno - il digiuno - di una realtà interiore, del nostro impegno, con l’aiuto di Dio, di astenerci dal male e di vivere del Vangelo. Non digiuna veramente chi non sa nutrirsi della Parola di Dio.
Il digiuno, nella tradizione, è legato poi strettamente all’elemosina. San Leone Magno insegnava in uno dei suoi discorsi sulla Quaresima: “Quanto ciascun cristiano è tenuto a fare in ogni tempo, deve ora praticarlo con maggiore sollecitudine e devozione, perché si adempia la norma apostolica del digiuno quaresimale consistente nell’astinenza non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati. A questi doverosi e santi digiuni, poi, nessuna opera si può associare più utilmente dell’elemosina, la quale sotto il nome unico di ‘misericordia’ abbraccia molte opere buone. Immenso è il campo delle opere di misericordia. Non solo i ricchi e i facoltosi possono beneficare gli altri con l’elemosina, ma anche quelli di condizione modesta e povera. Così, disuguali nei beni di fortuna, tutti possono essere pari nei sentimenti di pietà dell’anima” (Discorso 6 sulla Quaresima, 2: PL 54, 286). San Gregorio Magno ricordava, nella sua Regola Pastorale, che il digiuno è reso santo dalle virtù che l’accompagnano, soprattutto dalla carità, da ogni gesto di generosità, che dona ai poveri e ai bisognosi il frutto di una nostra privazione (cfr 19,10-11).
La Quaresima, inoltre, è un tempo privilegiato per la preghiera. Sant’Agostino dice che il digiuno e l’elemosina sono “le due ali della preghiera”, che le permettono di prendere più facilmente il suo slancio e di giungere sino a Dio. Egli afferma: “In tal modo la nostra preghiera, fatta in umiltà e carità, nel digiuno e nell’elemosina, nella temperanza e nel perdono delle offese, dando cose buone e non restituendo quelle cattive, allontanandosi dal male e facendo il bene, cerca la pace e la consegue. Con le ali di queste virtù la nostra preghiera vola sicura e più facilmente viene portata fino al cielo, dove Cristo nostra pace ci ha preceduto” (Sermone 206, 3 sulla Quaresima: PL 38,1042). La Chiesa sa che, per la nostra debolezza, è faticoso fare silenzio per mettersi davanti a Dio, e prendere consapevolezza della nostra condizione di creature che dipendono da Lui e di peccatori bisognosi del suo amore; per questo, in Quaresima, invita ad una preghiera più fedele ed intensa e ad una prolungata meditazione sulla Parola di Dio. San Giovanni Crisostomo esorta: “Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà con la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza” (Omelia 6 sulla Preghiera: PG 64,466).
Cari amici, in questo cammino quaresimale siamo attenti a cogliere l’invito di Cristo a seguirlo in modo più deciso e coerente, rinnovando la grazia e gli impegni del nostro Battesimo, per abbandonare l’uomo vecchio che è in noi e rivestirci di Cristo, per giungere rinnovati alla Pasqua e poter dire con san Paolo “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Buon cammino quaresimale a tutti!
© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana
Down, l'«imperfezione» è un valore umano di Danilo Quinto, 08-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
«E’ una vergogna. Uno scandalo. Una cosa impensabile nella nostra società». Si dice questo quando accadono – sempre più spesso – episodi d’intolleranza nei confronti del bambini down o quando, com’è avvenuto di recente, un gruppo, sembra di oltre ottocento membri, ha organizzato un sito internet dal titolo "Deridiamo i bambini Down". Nel testo della presentazione, frasi del tipo “Come liberarci di queste creature in maniera civile? Ebbene sì signori... io ho trovato la soluzione: essa consiste nell'usare questi esseri come bersagli, mobili o fissi, nei poligoni di tiro al bersaglio. Una soluzione facile e divertente per liberarci di queste immonde creature".
Davvero possiamo meravigliarci che queste cose accadano? Siamo proprio sicuri che cose di questo genere, invece di essere propagandate ed etichettate come inammissibili, indegne, incivili, incredibili – e chi più ne ha più ne metta – non rappresentino che dei segni del mutamento antropologico in cui viviamo? Di che cosa ci indigniamo, allora? Di episodi da codice penale o di come tutti noi - il genere umano, nel suo complesso – è mutato, dominato com’è da quel relativismo etico, che impedisce di distinguere il bene dal male? Siamo davvero così schizofrenici, che non riusciamo a guardare, con gli occhi della ragione, la realtà che abbiamo dinnanzi?
Due anni fa, in Gran Bretagna, due genitori, entrambi medici, decisero di dare alla loro bambina, affetta da sindrome down, un nuovo volto, sottoponendola ad una serie di interventi di blefaroplastica. Spiegò la madre: “E’ mia figlia a doversi adattare alla società, non il contrario”. Il bisogno – meglio, il desiderio - espresso era chiaro: rendere “normale” la loro bambina e renderle possibile una vita sociale.
Questo è il livello al quale ci siamo ridotti, questa è la logica – brutale, barbara – della nostra cosiddetta civiltà. Questa è la vera indignazione che dovrebbe scuoterci tutti. Pensiamo a quali sono le conseguenze di questo modo di pensare: sei al mondo perché devi avere una funzione sociale, quella decretata dai modelli che esistono e che impongono la tua utilità per la società, alla quale devi anche piacere per essere accettato, per essere rispettato, per avere una tua dignità. Altrimenti sei considerato un peso. Puoi essere accantonato e disprezzato, magari selezionato preventivamente e gettato via. La scienza – o una sua parte – in questo aiuta e tende a rimediare quel che ha creato Dio o a sostituirsi a Dio, in alcuni casi. Pensiamo a quel che avviene con l’abuso dello strumento della diagnosi prenatale, ad esempio.
Nell’ottobre del 2009, il British Medical Journal pubblicò un articolo nel quale si documentava come nell’arco di vent’anni in Inghilterra e Galles fossero leggermente diminuite (meno 1%) le nascite di bambini con sindrome down, mentre l’aumento dell’età materna ne faceva prevedere un incremento significativo (più 48%). “Il numero di diagnosi di sindrome di Down è cresciuto del 71% (da 1075 nel 1989/90 a 1843 nel 2007/2008) – sosteneva la ricerca - mentre i nati vivi sono diminuiti dell’1 per cento (da 755 a 743), a causa degli screening prenatali e delle conseguenti interruzioni di gravidanza. In assenza di screening prenatali e conseguenti aborti, il numero di nascite di persone con sindrome di Down sarebbe cresciuto del 48 per cento a causa della scelta dei genitori di far famiglia più tardi”. Analoghe indagini, condotte in molti Paesi, compresa l’Italia, dimostrano che la diagnosi prenatale è divenuta strumento conforme ad una “mentalità — a torto ritenuta coerente con le esigenze della «terapeuticità» — che accoglie la vita solo a certe condizioni e che rifiuta il limite, l’handicap, l’infermità”, come sostiene Giovanni Paolo II nell’”Evangelium Vitae”.
In Europa, i bambini affetti da sindrome down sono stimati in 300mila. Attualmente, in Italia un bambino su 1.200 nasce con questa condizione: circa 38.000 persone, di cui il 61% ha più di 25 anni. Una piccola minoranza imperfetta, ormai. Che forse ci dà fastidio o ci fa paura, abituati come siamo ad ammirare ed osannare solo quel che ai nostri occhi appare bello e perfetto e a non comprendere più – fino a volerla sopprimere “ab initio” - quanto sia importante l’imperfezione, che fa parte della natura umana. Questa è l’eugenetica del terzo millennio, non molto diversa, per finalità ed obiettivi, da quella che nacque negli Stati Uniti prima della seconda guerra mondiale, da quella nazista o da quella della Svezia socialdemocratica.
Quando ci organizziamo per garantire che i bambini, per nascere, debbano essere sottoposti al vaglio dell’accettazione preventiva, debbano essere in qualche modo certificati, come la merce che si vende, timbrati, come la carne, operiamo o no all’interno di un orizzonte che accetta solo quel che sia “perfetto”? Il rifiuto dell’anomalia, della diversità, non è, forse, da un lato rifiuto della vita – così come questa ci è stata donata – e dall’altro ricerca pervicace della perfezione e quindi eugenismo?
Il crinale che questa nostra modernità sembra abbia scelto può essere superato solo restituendo dignità al mistero della vita.
08/03/2011 – BANGLADESH - Giochi di potere tra autorità tribali e ufficiali dietro il suicidio di una cristiana stuprata di Nozrul Islam
La ragazza, di 14 anni, era stata stuprata un anno fa da nove uomini. La polizia ha arrestato il comitato locale cui si era rivolto il padre della ragazza per avere giustizia. La sentenza tribale prevedeva il pagamento di una somma alla famiglia. Il parroco in carcere per aver fatto da tramite, gli stupratori ancora a piede libero.
Dakha (AsiaNews) – Serafina Mardi, cristiana della tribù Santals, aveva solo 14 anni quando si è tolta la vita. Lasciata sola in casa, si è cosparsa di cherosene e si è data fuoco; quattro giorni dopo, il 21 febbraio, è morta a causa delle ustioni. Un anno fa, il 4 aprile, era stata stuprata da nove uomini del suo villaggio. Il padre, su consiglio dei capi del villaggio, non ha sporto denuncia all’autorità penale del Bangladesh e ha ricorso a un “tribunale” locale cristiano. Dopo oltre un anno ne è nato un accordo “amichevole”, che prevedeva come punizione per gli stupratori il pagamento di una somma di circa 1.400-1.500 euro alla ragazza e un matrimonio riparatore.
Ma la questione non si è risolta. Pare infatti che Serafina abbia deciso darsi fuoco – una pratica comune in Bangladesh – in seguito ad alcuni fatti occorsi dopo l’accordo. Il padre, ricevuti i soldi, li ha intestati a nome di una sorella della ragazza. Inoltre, uno dei colpevoli che avrebbe dovuto sposarla per riparare l’onta subita, si è rifiutato quando ha scoperto che nessuna legge lo obbligava al matrimonio. Il paradosso continua: dopo la morte di Serafina, il parroco del villaggio insieme agli uomini del comitato tribale che aveva pattuito la multa sono stati arrestati dalla polizia, mentre gli stupratori girano ancora liberi. Una storia come tante, in Bangladesh, come racconta una fonte di AsiaNews che chiede di restare anonima. Ma che alza un velo sui numerosi episodi di “giustizia fai-da-te”, legati ad autorità tribali, a cui le persone preferiscono rivolgersi anziché contattare la polizia e le autorità ufficiali.
“Tra i santals del villaggio – spiega la fonte – ci sono due comitati, uno di cristiani-cattolici e uno di non cristiani, che si fanno concorrenza per avere il controllo del potere. Quando il comitato di non cristiani ha saputo dell’accordo, ha denunciato i membri dell’altro comitato alla polizia, dicendo che avevano agito in maniera illegale, spingendo la ragazza al suicidio perché non aveva ottenuto giustizia, né il riconoscimento della propria dignità. Dopo l’accusa, 11 persone sono state arrestate, tra cui il parroco del villaggio che aveva fatto da tramite nella consegna dei soldi alla famiglia”.
Questi i fatti. Ma secondo la fonte, “il discorso è ben più complesso. Anzitutto, gli stupratori sono ancora liberi e nessuno pensa a loro. Su un piano strettamente giuridico, il padre e il comitato che ha stabilito l’accordo hanno sbagliato. Ma ci sono delle ragioni tutt’altro che trascurabili. Non parlo tanto del caso specifico, quanto di casi analoghi. Per secoli – spiega la fonte – l’autorità tradizionale ha retto la vita di questi popoli, dei Santals come di altri. Ha retto nel bene e nel male, perché talvolta i giudizi espressi sono vicini alla cultura moderna, altre no. Forse la scelta migliore – secondo la fonte – sarebbe quella di fare discernimento su quali casi possono essere lasciati a questi tribunali locali, piuttosto che abolirli del tutto”. Perché abolire quest’autorità “vuol dire sgretolare dall’interno la cultura di questi popoli”.
“Un altro punto su cui tutti tacciono – continua la fonte – è che nella realtà nessuno si fida della polizia e dell’autorità penale [ufficiale] in Bangladesh. Tutti sanno che andare dalla polizia per un caso del genere significa versare cifre considerevoli. Il tribunale e i giudici danno ragione a chi di fatto ha più soldi”. Questo dunque è un altro motivo per cui i capi villaggio e i sacerdoti, spesso, consigliano alle vittime di qualche crimine di ricorrere alle autorità locali, per poter sperare in una seppur minima forma di giustizia.
Questa mentalità “ha le sue pecche – tiene a precisare la fonte – ma non è buttando via l’intera tradizione di un popolo che si può trovare la soluzione. Eliminando di colpo tali istituzioni, si rischia di recare un grave danno all’equilibrio interno di questi popoli. Chi bisognerebbe davvero colpire, sono la polizia e la magistratura, meccanismi di un sistema corrotto”.
GERMANIA: CONDANNATI 35 GENITORI PERCHÉ CONTRARI ALL'EDUCAZIONE SESSUALE - Associazioni di 9 Paesi e 4 continenti difendono i diritti dei genitori
MADRID/BERLINO, martedì, 8 marzo 2011 (ZENIT.org).- L'ultimo caso diffuso dai media è quello di una madre tedesca in carcere per non aver fatto frequentare ai propri figli le lezioni di educazione sessuale nella scuola primaria statale.
Dal 2006, in Germania si contano 35 casi di genitori condannati per la stessa ragione. Molte associazioni difendono il diritto dei genitori di scegliere l'educazione dei propri figli in una questione tanto delicata.
Negli ultimi giorni è stata diffuso il caso di Irene Wiens, di Salzkotten, condannata a 43 giorni di prigione per aver rifiutato di far assistere i propri figli alla lezione di educazione sessuale nella scuola primaria.
Secondo una nota stampa inviata a ZENIT da Ignacio Pascual, dell'associazione “Profesionales por la Ética”, “la difesa giuridica di tale incredibile questione, già giunta al Tribunale Europeo dei Diritti Umani di Strasburgo, è diretta da Alliance Defense Fund (ADF), un'entità di ambito sovranazionale esperta nella protezione della libertà religiosa e di coscienza”.
Come ha spiegato il consulente legale dell'ADF, Roger Kiska, “sono i genitori, non il Governo, i responsabili ultimi dell'educazione dei figli. Incarcerare dei genitori perché esercitano dei diritti universalmente accettati è impensabile”.
“La famiglia Wiens basa i suoi diritti sulla Convenzione Europea per i Diritti Umani, che difende il diritto dei genitori di trasmettere ai propri figli la visione della sessualità conforme alle proprie convinzioni”.
“E' dunque perfettamente legale che i genitori decidano di non far frequentare ai propri figli le lezioni e le attività previste dall'educazione statale”, ha aggiunto. “Irene Wiens è in carcere per aver difeso i suoi quattri figli (tra i 10 e i 16 anni) da un'educazione sessuale interattiva che non coincide con la sua visione della sessualità”.
“Il caso della famiglia Wiens non è purtroppo il primo”, spiega la nota di “Profesionales por la Ética”. “Risulta sorprendente che dal 2006 ADF abbia contato in Germania 35 casi di genitori condannati per non aver fatto partecipare i propri figli a questo tipo di attività statali che si introducono pienamente nella morale e nelle credenze dei genitori e coinvolgono i bambini”. Le condanne includono multe (tra i 200 e i 1.200 euro) e/o carcere (da alcuni giorni a un mese e mezzo).
Di fronte a questi casi, “Profesionales por la Ética” – associazione che collabora strettamente con ADF nella difesa dei diritti dei genitori europei – ha diffuso una dichiarazione per il riconoscimento dei diritti dei genitori di educare i figli in base alle proprie convinzioni.
Il documento definisce “inaccettabile” la repressione subita da questa madre tedesca e ricorda che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, il Patto per la Difesa dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali e la Lettera dei Diritti Fondamentali dell'UE, così come il Patto Internazionale di Diritti Civili e Politici, garantiscono il diritto dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni.
A questa dichiarazione si stanno unendo migliaia di cittadini anonimi. Il testo è stato sottoscritto anche da associazioni di nove Paesi e quattro continenti: Europa, Africa, Asia e America.
“Questa dichiarazione – ha spiegato Leonor Tamayo, responsabile dell'Area Internazionale di “Profesionales por la Ética” – sarà inviata al Governo federale tedesco e ai Governi dei vari Stati tedeschi, al resto dei Governi dei Paesi dell'UE e alle istituzioni europee competenti in diritti e libertà fondamentali”.
“La libertà di educazione – ha aggiunto – è drammaticamente ferita in Europa”. “Ancora una volta, è la società civile che deve levare la propria voce e denunciare gli abusi del potere, l'indifferenza e la complicità dei Governi e la mancanza di protezione dei cittadini, e chiedere il rispetto dei diritti fondamentali”.
«Quaresima, per riscoprire una vita meravigliosa» di Antonio Giuliano, 09-03-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
«L’apologetica, la difesa razionale della fede, comincia dentro di noi. Prima di guardare la pagliuzza nell’occhio dell’ “ateo”, proviamo a interrogarci sul nostro credo. Potremmo comprendere che la fede non è un semplice privilegio, ma un’esigenza d’amore. E la Quaresima è il tempo che ci aiuta a riscoprire l’essenziale, la vera gioia, quel senso di meraviglia dinanzi a tutto ciò che ci circonda». Che lo sguardo di Fabrice Hadjadj sia quello di un innamorato, stupito dalla realtà, basta vedere con quali occhi osserva la moglie e i suoi cinque piccoli figli che gli saltellano intorno mentre parla. Ma svela tutta la sua fama di pensatore lucido, quando argomenta sulla fede con chiarezza disarmante e una schiettezza che spiazza facilmente l’interlocutore. Filosofo francese convertitosi al cattolicesimo, Hadjadj, quarantenne di origini tunisine, nei giorni scorsi è intervenuto all’Università Cattolica di Milano su invito del Centro culturale di Milano per parlare di “Modernità e modernismo. A proposito del senso religioso”.
I suoi libri continuano a far molto “rumore”. Solo in Italia nell’ultimo anno sono stati pubblicati quattro testi: Mistica della carne (Medusa), Farcela con la morte (Cittadella) La terra strada del cielo (Lindau) La fede dei demoni (Marietti). Si cimenta con argomenti spinosi come il Maligno e le seduzioni della carne. Troppo difficile, visto il periodo, non cedere alla tentazione di chiederle come vive lei la Quaresima…
È un tempo di penitenza, ma spesso ci si inganna sul suo significato. La penitenza non ha come scopo la sofferenza, ma la gioia. D’altra parte la parola penitenza non viene da pena, ma da una parola latina che significa “ritorno”. È un tempo in cui si ritorna all’essenziale, ci si sbarazza di tutto quello che ci appesantisce per scoprire la gioia di Gesù Cristo, morto e risorto per tutti. Ogni persona è chiamata a vivere eternamente. Per questo si deve ricercare non la gioia per se stessi, ma quella che deriva dalla comunione con gli altri. Personalmente vivo già senza televisione, ma in questo periodo l’unico film che con mia moglie vediamo è Shoah di Claude Lanzmann su Auschwitz e i campi di concentramento: dura 9 ore, ma è un’opera grandiosa. Per il resto cerco di stare più con la famiglia e di pregare più intensamente, specie attraverso l’adorazione eucaristica.
La Chiesa raccomanda tre armi spirituali per riscoprire l’essenziale: digiuno, preghiera, carità.
Certo. Anche se il pericolo è di intendere queste pratiche in maniera farisaica: si potrebbero praticare tutte e non cogliere il senso della Quaresima. Se infatti si digiuna non è per privarsi. Ma per essere ancora più affamati di Cristo. Se si prega non è semplicemente per domandare delle cose, ma per entrare nella comunione con Colui che è la sorgente di ogni cosa. Sant’Agostino diceva che la preghiera non ha altro scopo che di far crescere in noi il desiderio della beatitudine. E quanto alla carità, non si tratta di dare soldi per sbarazzarsi del povero: ma di condividere e andare incontro a chi abitualmente non incontriamo. Essere vivi è essere aperti a quello che viene a sorprenderci. Se tutta la nostra vita si svolge dentro un programma, all’interno di una pianificazione, si diventa macchine.
Da quale tentazione devono guardarsi di più i credenti oggi?
Se guardiamo alle tre tentazioni di Gesù nel deserto vediamo che sono tutte legate tra di loro: c’è sempre il rischio di passare da una fede solo materiale a una disincarnata (lo spiritualismo), o a una fede che confonde carne e spirito. Mi guarderei bene dalla tentazione diabolica di inseguire la gloria umana piuttosto che quella divina. Un esempio è credere di servire la Chiesa facendo una propaganda in stile pubblicitario, dimenticando che il fine non è farsi dei clienti, ma incontrare delle persone. Non condivido la nuova evangelizzazione preoccupata soltanto delle tecnologie digitali: queste possono servirci, ma non sono essenziali. Il cristianesimo non è una tecnica di comunicazione ma una vita di comunione basata sull’incontro con una Persona, Cristo. E dunque la migliore “tecnica” sarà sempre di andare due a due e incontrare le persone fisicamente: non a caso tutti i sacramenti suppongono la prossimità fisica. Dal momento in cui i preti sono focalizzati solo sulle preoccupazioni tecnologiche, abbiamo perso di vista l’essenzialità dei sacramenti.
Lei insiste molto sulla figura di Satana di cui si parla ancora poco anche nelle chiese. Il suo ultimo libro è addirittura dedicato a La fede dei demoni (Marietti, pp. 252, euro 25)…
Non sono io che insisto, ma è il Vangelo. Come nei telefilm ci sono i “profiler”, persone che cercano di dare un volto a chi ha commesso il crimine, anche per noi cristiani è molto importante conoscere il profilo del Maligno. Uno dei grandi errori è quello di pensare che il male radicale si trovi nell’ateismo o nel peccato della carne. Che cosa ci dice il Vangelo? Il Nemico per eccellenza non è né ateo, né ha carne. È un errore focalizzarsi solo sull’ateismo perché vuol dire dimenticarsi che il primo pericolo è una fede senza carità, una fede demoniaca. Se io non ho carità per tutti allora la mia fede diventerà una fede orgogliosa che è quella del demonio. Ripeto spesso che non è un caso se Gesù si rivolge a scribi e farisei: non erano atei, ma gli specialisti della fede, eppure furono quelli che lo crocifissero.
Lei non ama parlare molto della sua conversione, perché?
Non mi piace essere aneddotico e retrospettivo. La conversione è un punto di partenza non di arrivo. È come una nascita. Però non si può chiedere ai convertiti solo quel che è successo al momento del parto. Mi sono interrogato spesso sul mio battesimo che è stato qualcosa di straordinario. Però mi si domanda meno del mio matrimonio che pure è il compimento del mio battesimo. Potrei scrivere mille pagine sulla mia conversione. Ma se le dicessi ciò che mi ha fatto diventare cristiano sarei prigioniero di qualcosa che è passato. Io devo sempre poter dire che se sono cristiano è anche grazie lei che mi sta di fronte. Ciò che fonda la fede è innanzitutto la meraviglia dinanzi a ciò che mi circonda.
Che cosa l’affascina di più del cristianesimo rispetto ad altre religioni?
Sono persuaso dal mistero della Trinità: Dio è una comunione di tre persone e questo vuol dire che nel cristianesimo la sapienza non è una conoscenza, ma un incontro, con Gesù, che si completa in una comunione di persone. Non è una teoria o uno stato di serenità come in altre filosofie. Mi piace ripetere che nel cristianesimo i nomi propri sono più importanti dei nomi comuni e i volti sono più importanti delle idee. Il cristianesimo mi dice che ogni volto è sconvolgente e soprattutto non elimina nulla dell’esperienza concreta. Questo mi conduce all’altro grande mistero: l’Incarnazione. Il Verbo si è fatto carne significa che non si può più superare la carne dello spirito.
Se dovesse raccontare ciò che sta vivendo a un “ateo” da che cosa partirebbe?
Penso che bisogna innanzitutto evitare le etichette. È molto difficile definirsi "ateo". Ma se qualcuno si definisse così, per essere coerente non dovrebbe divinizzare nulla al posto di Dio, nessun altro idolo: denaro, tecnica, comunismo… Oggi va di moda dire “sono ateo”, “sono omosessuale” e così via… Nessuno dice: “sono un uomo”. L’importante per il credente è comprendere che dinanzi a sé c’è sempre un uomo. Uno che come me è esposto al peccato e alla morte e che forse ha un po’ meno coscienza del mistero. Ma come me è uno circondato da un non-conosciuto. Prima di porre degli argomenti con un “ateo”, bisogna sentire e vivere questa fraternità umana: si è capaci di ridere insieme? E di cantare insieme? Solo a partire da questo momento potremmo dialogare. I cristiani dicono che non bisogna dormire con una ragazza prima di aver trascorso tutto il tempo del fidanzamento e nello stesso tempo però ci sono cristiani che dicono che bisognerebbe argomentare con l’ateo senza passare da un periodo di “fidanzamento”: è una contraddizione totale.
Nel suo libro Mistica della carne (Medusa) affronta il tema della sessualità, un argomento su cui la Chiesa è spesso osteggiata…
È normale che ci sia opposizione. Il problema è che spesso l’insegnamento della Chiesa viene trasmesso male. Due sono gli errori principali. Da un lato si dice che la sessualità è “neutra” e va incanalata con il rispetto, con l’amore, ecc., … Così si fa passare una morale che concepisce la sessualità come un impedimento. Mentre la Chiesa dice che la sessualità in se stessa è buona, però va colta in tutta la sua profondità. Oggi si parla tanto di liberazione sessuale, ma in realtà viviamo una mutilazione della sessualità. Anche un castrato può avere relazioni sessuali, ma è una sessualità che non è aperta alla vita. E oggi viviamo nel regno dei castrati. L’altro errore è di cadere nell’ossessione sessuale. Cioè parlare ai giovani di “morale sessuale” e non dell’avventura eroica della vita cristiana. I giovani non accetteranno la morale sessuale se non si mostra loro lo scopo. Spesso si resta sul discorso del divieto, della regola: è un discorso farisaico. La morale è come la grammatica: è importante che ci sia per parlare, ma non si parla per fare grammatica. Se vogliamo interessare i ragazzi alla grammatica, dobbiamo innanzitutto mostrare loro la poesia della vita cristiana. È questa la vera sfida.
Chi è felice? Di Lorenzo Albacete, mercoledì 9 marzo 2011, il sussidiario.net
Negli ultimi tre anni, l’istituto di ricerca Gallup ha condotto un sondaggio su mille americani, selezionati casualmente, per misurare in qualche modo il grado della loro “felicità”. Le domande poste vertono su cose tipo lo stato emozionale, la soddisfazione nel lavoro, le abitudini alimentari, le preoccupazioni per la salute o il livello di stress.
Si ritiene che questi e altri aspetti possano dare un’indicazione della qualità della vita negli Stati Uniti di oggi. Secondo un articolo di Catherine Rampell sul NY Times di domenica scorsa, le informazioni tratte dal sondaggio vengono usate per calcolare un indice, denominato "Gallup-Healthways Well-Being Index", ripartito per aree geografiche e secondo altri criteri demografici.
Quest’anno, il NY Times ha chiesto a Gallup di presentare i risultati descrivendo le caratteristiche della persona che, dal sondaggio, risulterebbe come “la persona più felice” dell’America odierna.
Ecco la descrizione fornita da Gallup: la persona più felice oggi in America è maschio (sia questo anno che l’anno scorso, secondo il sondaggio negli Stati Uniti gli uomini sono più felici delle donne), americano di origine asiatica, ebreo osservante e attorno ai 65 anni (anche qui, come l’anno scorso, gli anziani sono più felici delle persone di mezz’età). Inoltre, è sposato, con figli, vive alle Hawaii e guadagna circa 130000 dollari all’anno occupandosi dell’azienda di sua proprietà.
Basandosi su queste informazioni, il NY Times ha provato a cercare una persona reale che corrispondesse alle caratteristiche descritte, ed è riuscito a trovarla.
Secondo il Times, la persona oggi più felice in America è un uomo di nome Alvin Wong, alto quasi 1,78, cino-americano, 69 anni, ebreo osservante, sposato con figli, e che vive a Honolulu. Con la sua azienda operante nel settore sanitario guadagna circa 120000 dollari all’anno.
Il NY Times ha chiesto al signor Wong quale fosse la sua filosofia sulla felicità: cosa rende la vita felice? La sua risposta non è stata propriamente aristotelica, né platonica, neppure stoica, etc. Ha detto semplicemente: “Se non riesci a ridere di te stesso, la tua vita rischia di essere piuttosto terribile”.
Non so come definire esattamente questa posizione filosofica nella quale la perfezione umana è descritta o misurata con la capacità di ridere di se stessi, ma se è vera, allora io sono una delle persone più felici di questo mondo.
Nella ricerca vi sono altri dettagli interessanti circa la propensione al ridere, per esempio le donne ridono più degli uomini e gli ispanici più di ogni altro gruppo etnico, con questa graduatoria: ispanici, asiatici, neri, bianchi e poi gli altri. In generale, tra i 30 e i 34 anni si ride di più, poi vengono quelli da 65 anni in su, mentre tra i 45 e i 54 anni si trovano quelli che ridono di meno.
Il sondaggio Gallup indica anche dove si è più infelici oggi negli USA e il poco ambito primo posto va a Detroit, Michigan. A proposito, il minor numero di persone sorridenti è stato trovato in West Virginia.
Questo articolo e le informazioni che contiene potrebbero confermare l’impressione che molti hanno circa l’incapacità degli americani ad avere un senso profondo di ciò che è realmente la vita, dato che il loro idolo è il successo materiale e professionale. Personalmente non penso che le cose stiano così, ma che invece l’americano medio desideri ciò che tutti vogliono, cioè, una famiglia, la sicurezza per la famiglia, la salute, la pace e la libertà dello spirito. A mio parere, l’affermazione del signor Wong indica che la strada verso questa felicità includa anche il non prendersi troppo sul serio.
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Avvenire.it, 9 marzo 2011, Non è frutto di un’impostazione fideistica, ma razionale - Sono del tutto laici i motivi per dire sì alla legge sulle «Dat»
«Il testamento biologico permette a ciascuno di far valere la propria volontà evitandogli di subire l’imposizione di principi confessionali». È una tesi ricorrente in questi giorni di confronto parlamentare e mediatico sulla legge che dovrà normare le Dichiarazioni anticipate di trattamento, ma si tratta di un teorema erroneo da molti punti di vista.
Chiarito, infatti, e sottolineato che si deve evitare l’accanimento terapeutico, il problema morale che si pone è relativo all’esecuzione di una dichiarazione di volontà scritta da chi, in passato, ha affermato che vuole in futuro essere lasciato morire o addirittura ucciso, anche se non ci sarà nei suoi riguardi alcun accanimento. Ora, per criticare questa forma di espressione delle scelte di fine vita (che qualcuno vorrebbe nella modalità vincolante del «testamento biologico») ci sono molti argomenti razionali e laici, per nulla confessionali, tanto è vero che ci sono anche persone non credenti che li utilizzano.
Intanto, se un soggetto vuole essere ucciso, la sua volontà non deve autorizzare nessuno ad accontentarlo perché la sua uccisione calpesta in modo gravissimo la sua incancellabile, e mai sminuibile, preziosità. Proprio per questo la vita di ogni uomo e di ogni donna dev’essere onorata sempre, in ogni condizione e circostanza, prestando soccorso e cura. Sarebbe perciò profondamente ingiusto acconsentire a una richiesta "non attuale" di sospensione di terapie e azioni che siano utili, efficaci, non rischiose né significativamente dolorose in questa attività di soccorso e cura, perché una persona che non è più in grado di comunicare potrebbe aver cambiato idea – rispetto a quanto scritto tempo addietro – ma non riuscire a manifestarla.
È noto il caso di Sylvie Ménard, allieva di Veronesi che ha guidato un reparto dell’Istituto dei tumori di Milano, energicamente battutasi per la legalizzazione dell’eutanasia. Poi, però, ammalatasi di cancro, ha cambiato radicalmente la sua volontà: «Adesso che per me la morte non è più un concetto virtuale non ho nessuna voglia di andarmene. [...] Anche se concluderò la mia vita in un letto con le ossa che rischiano di sbriciolarsi, io ora voglio vivere fino in fondo la mia esistenza». Quanto al testamento biologico, «da sana l’avrei sottoscritto, oggi l’avrei voluto stracciare». Che situazione atroce per chi non è più in grado di stracciarlo o di comunicare...
Un altro caso è quello di Jean-Dominique Bauby, un giornalista francese che ha trascorso l’ultima parte della sua vita completamente immobilizzato, con l’unica residua capacità di muovere un ciglio. Ebbene, sbattendo il ciglio Jean-Dominique è riuscito lentamente a "dettare", perché divenissero un libro, i suoi pensieri e i suoi desideri, che all’inizio furono quelli di morire, ma poi, grazie all’affetto ricevuto, si trasformarono radicalmente nel desiderio di sopravvivere. Da notare che egli non è stato sorretto da motivazioni religiose, come si coglie dal libro e dal bellissimo film Lo scafandro e la farfalla che ripercorre con sostanziale fedeltà la vicenda.
Sono solo due esempi tra i molti possibili, che mostrano come, a seconda delle situazioni in cui ci troviamo, le nostre volontà possono cambiare molto, come non ci saremmo mai aspettati. Persino nei malati gravi, che inizialmente hanno desiderato di morire, in seguito prevale quasi sempre l’attaccamento alla vita, purché essi siano assistiti e confortati e purché vengano loro somministrate le cure palliative contro il dolore.
È vero che non possiamo esser certi che un malato abbia cambiato idea, ma si deve applicare comunque e sempre il principio di precauzione: se al riguardo sorge anche il minimo dubbio, non si debbono sospendere azioni proporzionate senza le quali una persona muore.
Ovviamente gli argomenti appena svolti sono solo accennati e richiederebbero ben altre specificazioni. Ma una cosa è chiara: non hanno nulla di confessionale, con buona pace di chi insiste nel parlare di una legge da rifiutare a priori perché «imposta» da chi ha una visione cristiana della vita e, addirittura, dalle «gerarchie ecclesiastiche». È solo una scusa, irrazionale e dunque mal congegnata.
Avvenire.it, 9 marzo 2011 - Ancora a proposito di adozioni e di «single» - Ma le «dinamiche» non surrogano la famiglia di Francesco D'Agostino
Con un comunicato stampa, l’Associazione italiana di psicologia prende posizione in merito a una recente sentenza della Corte di Cassazione, in un passo della quale emerge un auspicio a che il legislatore possa «provvedere nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell’adozione legittimante». Agli psicologi poco interessa, ovviamente, valutare il portato di questa sentenza, che giustamente Giuseppe Anzani ha considerato poco più che un’«uscita maldestra» (Avvenire del 16 febbraio scorso); essi colgono l’occasione per criticare coloro che, nel dibattito seguito alla sentenza, hanno ribadito che i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e di un padre. Queste sarebbero affermazioni «che non trovano riscontro nella ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psico-sociale degli individui».
Secondo i risultati delle ricerche psicologiche, continua il comunicato, sarebbe assodato che «il benessere psicosociale dei membri dei gruppi familiari non sia tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno». In conclusione, non sarebbero «né il numero né il genere dei genitori – adottivi o no che siano – a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano».
Attendo che queste affermazioni (che sono palesemente finalizzate a legittimare aperture normative a forme di familiarità 'alternative') siano corroborate da prove adeguate e condivise. La questione rilevante, però, non è questa, ma piuttosto il fatto che l’affidamento dei bambini non è in prima battuta un problema psicologico, bensì antropologico, perché volto a tutelare prima ancora che la felicità soggettiva dei singoli, l’ordine delle generazioni. È evidente che a nessuno è preclusa la possibilità 'crescere bene' e di realizzarsi nella vita, per quanto drammatiche possano essere le sue esperienze familiari. Le risorse dell’animo umano sono sconfinate e riescono a bilanciare le vicende più tragiche e umilianti; l’amore (non c’è bisogno di ricordare le biografie di tanti piccoli eroi di Dickens) può farsi strada nei modi più imprevisti e ottenere risultati straordinari. Ismaele viene abbandonato da suo padre Abramo e ciò non di meno diviene progenitore di un 'grande popolo'. Non si tratta di negare «che ciò che è importante per il benessere dei bambini è la qualità dell’ambiente familiare che i genitori forniscono loro, indipendentemente dal fatto che essi siano conviventi, separati, risposati, single, dello stesso sesso» (come sostiene il comunicato degli psicologi). Non su tutto, ma su una parte di questa affermazione (che non è integralmente suffragata da prove adeguate) potremmo anche concordare, almeno in linea di principio. Ma ciò che dovrebbe piuttosto stare a cuore a tutti è riaffermare che ogni società, o almeno certamente la 'nostra' società, si fonda su strutture familiari stabili e riconosciute, dotate di una potenziale e naturale fecondità, di un fondamento morale personale (il reciproco impegno dei coniugi) e di un riconoscimento giuridico pubblico (il matrimonio). Non a caso la Cassazione, quale che sia il giudizio che si voglia dare della sua sentenza, elabora un auspicio di allargamento della normativa sull’adozione solo «nel concorso di particolari circostanze». Dovrebbe essere chiaro agli occhi di tutti che la cura e la protezione cui hanno diritto i bambini vanno ordinariamente garantite da una coppia genitoriale e da un 'normale' contesto familiare e non da una mera 'buona volontà' psicologica di adulti disposti generosamente a prendersi cura di loro. È la famiglia la struttura istituzionale che garantisce l’ordine delle generazioni, come prova il fatto che lo garantisce, per dir così, spontaneamente e non certo per osservanza di un obbligo legale.
Concludendo il suo comunicato, l’Associazione italiana di psicologia «invita i responsabili delle istituzioni politiche, sociali e religiose del nostro paese a tenere in considerazione i risultati che la ricerca scientifica ha prodotto sui temi in discussione». Auspico, con pari fermezza, che, oltre ai risultati di ricerche psicologiche, si tengano presenti quelli della riflessione antropologica e giuridica in materia e soprattutto del portato di quell’esperienza storica e morale plurisecolare, di cui siamo tutti gli eredi.