sabato 18 ottobre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Il Papa: «Basta violenza contro i cristiani» - di Andrea Tornielli
2) Una docente russa racconta la sua scoperta di Dio attraverso l'arte - Intervento al Sinodo di Natalja Fedorova Brovskaja - CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 17 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Una professoressa russa ha testimoniato di fronte al Sinodo dei Vescovi come attraverso l'arte cristiana sia riuscita a scoprire Dio e a sperimentare il suo amore.
3) Il Papa: la Chiesa, un'armoniosa melodia di carismi - Al termine del concerto dei Wiener Philharmoniker a San Paolo - CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 17 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Questo giovedì sera Benedetto XVI ha preso parte, insieme ai Padri sinodali, al concerto tenutosi nella Basilica di San Paolo fuori le Mura e offerto dalla Fondazione Pro Musica e Arte Sacra in occasione dell’Anno Paolino.
4) Il Sinodo ascolta l'esperienza di movimenti e nuove comunità - La Parola di Dio, chiave per comprendere queste realtà
5) Sinodo dei vescovi 2008 - LA PAROLA DI DIO NELLA VITA E NELLA MISSIONE DELLA CHIESA - Intervento di don Julián Carrón - presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione - mercoledì 8 ottobre 2008
6) La Parola di Dio: conoscenza di Cristo, missione ed ecumenismo - Roma, 10 ottobre 2008 – Sinodo dei Vescovi - Intervento di Paolo Pezzi, Arcivescovo della Madre di Dio a Mosca
7) Roma, 7 ottobre 2008 – Sinodo dei Vescovi - Intervento di Filippo Santoro Vescovo di Petrópolis – Brasile
8) La persecuzione anticristiana potrebbe estendersi a tutta l'India - Denuncia un Vescovo indiano presente al Sinodo –
9) La fede, avvocato convinto e convincente della ragione - Autore: Mazzoni, Lorenzo Curatore - venerdì 17 ottobre 2008 Fonte: CulturaCattolica.it - La fede non teme la scienza, ma le offre un’etica per l’uomo
10) Classi "ponte" per immigrati - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - venerdì 17 ottobre 2008 - Alla luce dei problemi concreti che si vivono in tante scuole delle regioni settentrionali il problema va affrontato rendendo obbligatorio un test di ingresso e corsi intensivi di lingua italiana.
11) «La parità passa per il buono scuola» - DA PADERNO DEL GRAPPA ( TREVISO) FRANCESCO DAL MAS, Avvenire, 18 ottobre 2008
12) Le risposte a chi afferma che la rinuncia alla sessualità è una scelta innaturale - Psiche e celibato - I luoghi comuni - di Manfred Lütz, Psichiatra, consultore della Congregazione per il Clero – L’Osservatore Romano, 18 ottobre 2008
13) Ricerca di verità è ricerca di una Persona - Anticipiamo la conclusione della relazione dell'arcivescovo rettore della Pontificia Università Lateranense, e presidente della Pontificia Accademia per la Vita, al convegno "Fiducia nella Ragione". Nella prima parte il relatore analizza le cause che, lungo lo sviluppo del pensiero umano, hanno portato allo smarrimento di una visione unitaria e, per contro, alla frammentarietà del sapere; soprattutto nelle scienze empiriche. Se da un lato la specializzazione ha favorito l'approfondimento di alcune conoscenze, la frammentazione che si è sostituita all'unità si traduce di fatto in una duplice sfiducia nei confronti della ragione nel cogliere la verità e nel credere che esista ancora una sola verità. La separazione creata tra filosofia e scienza, tra filosofia e religione, tra società e individuo, tra politica ed economia ha indebolito la cultura ingenerando una crisi d'identità frutto di un relativismo referenziale nei valori costitutivi della cultura stessa. Con la secolarizzazione viene meno la certezza della verità. Anzi l'idea di raggiungerla sarebbe solo illusione. Tolta ogni certezza veritativa l'uomo stesso viene disintegrato. Ridotto alla polvere primigenia ormai può solo sperare nel soffio rigenerante della Parola di Dio. - di Rino Fisichella – L’Osservatore Romano, 18 ottobre 2008


Il Papa: «Basta violenza contro i cristiani» - di Andrea Tornielli
Benedetto XVI a una delegazione di New Delhi: «Vi assicuro le mie preghiere in questi tempi difficili». Ma ricorda anche gli abusi sui fedeli in Irak e nelle altre parti del mondo da Roma


Benedetto XVI ha proclamato ieri quattro nuovi santi, tra i quali la prima santa indiana, suor Alfonsa dell’Immacolata Concezione, e davanti a una folla di migliaia di fedeli che sventolavano le bandiere dell’India ha lanciato un nuovo appello perché cessino le persecuzioni dei cristiani in Orissa e in Irak, e l’ondata di violenza che travolge il Congo.
Il Papa, al termine della lunga e suggestiva cerimonia, durante la quale ha canonizzato anche la religiosa svizzera Maria Bernarda Buetler, la laica ecuadoriana Narcisa Di Gesù Martillo Moran, e il sacerdote napoletano Gaetano Errico, ha detto che «le eroiche virtù di pazienza, fortezza e perseveranza nelle profonde sofferenze» della nuova santa indiana «ci ricordano che Dio dona sempre la forza necessaria per superare ogni prova». E ha aggiunto: «Come i cristiani dell’India devono ringraziare Dio per la loro prima figlia indiana a essere presentata alla pubblica venerazione, io assicuro le mie preghiere in questi tempi difficili. Raccomandando alle cure provvidenziali di Dio onnipotente coloro che si sono impegnati nella pace e nella riconciliazione. Io esorto - ha concluso Ratzinger - gli autori delle violenze a rinunciare a queste azioni e a unirsi con i loro fratelli e sorelle a lavorare insieme nella costruzione della civiltà dell’amore. Dio vi benedica tutti!».
Ad ascoltare il pontefice, oltre a 700 sacerdoti, duemila suore e quattromila fedeli indiani c’era anche una delegazione ufficiale inviata dal governo di New Delhi, guidata dal ministro del Lavoro, Oscar Fernandes, accompagnato dalla moglie e dal ministro dei Lavori pubblici del Kerala. Da mesi, com’è noto, la minoranza cristiana, specie nello Stato dell’Orissa, è vittima di violenze e persecuzioni da parte di fondamentalisti indù che vorrebbero eliminare la presenza di altri gruppi religiosi dal territorio. Fino a oggi sono state uccise circa sessanta persone, sono state distrutte oltre 180 chiese e 4.500 case di fedeli cristiani. Di suor Alfonsa, un esempio di santità particolarmente attuale per la situazione dell’India, il Papa ha ricordato che «visse una vita di sofferenze fisiche e spirituali» e che scrisse: «Considero un giorno senza sofferenza come l’ultimo giorno».
Il Papa all’Angelus ha poi salutato i gruppi di pellegrini legati agli altri santi canonizzati, quindi ha ricordato che ottobre è il mese del Rosario. E ha aggiunto: «A questo proposito, vi invito a pregare per la riconciliazione e la pace in alcune situazioni che provocano allarme e grande sofferenza: penso alle popolazioni del Nord Kivu, nella Repubblica democratica del Congo, e penso alle violenze contro i cristiani in Irak e in India, che ricordo quotidianamente al Signore». In Irak si è infatti registrata in questi giorni una recrudescenza della persecuzione fondamentalista contro i cristiani: è di sabato la notizia di migliaia di famiglie cristiane fuggite da Mosul, dopo che le loro case erano state date alle fiamme.
Il 26 dicembre scorso, festa di santo Stefano, il primo martire, Benedetto XVI aveva ricordato il martirio dei cristiani in molte zone del mondo. Non aveva citato esplicitamente luoghi o situazioni, si poteva intuire l’accenno alla «mappa del martirio» in Paesi dell’America latina, dell’Africa e dell’Asia, in particolare i Paesi islamici (dove ci sono cristiani «perseguitati, imprigionati, torturati... ») e la Cina (dove «si muore anche per la comunione con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa»).


Una docente russa racconta la sua scoperta di Dio attraverso l'arte - Intervento al Sinodo di Natalja Fedorova Brovskaja - CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 17 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Una professoressa russa ha testimoniato di fronte al Sinodo dei Vescovi come attraverso l'arte cristiana sia riuscita a scoprire Dio e a sperimentare il suo amore.
Natalja Fedorova Brovskaja, docente presso l'Università Statale Umanistica Russa e presso l'Accademia Russa di Belle Arti, ha presentato uno degli interventi più commentati tra quelli proposti durante i lavori assembleari.
"Per me l'arte cristiana – ha detto –, specialmente le icone russe e i dipinti rinascimentali italiani, sono diventati un cammino nello spazio della vita di Dio".
"Sono nata nell'URSS, il paese dell'ateismo di Stato. Non ho mai pensato a Dio e nessuno mi ha mai parlato di lui eccetto le opere d'arte, la musica e la letteratura", ha continuato.

"Oggi insegno storia dell'arte. La domanda principale che mi pongo è quali metodi e principi educativi possono aiutare i miei studenti a incontrare l'amore di Dio attraverso i loro studi”.
“É evidente – ha proseguito –: troveranno il loro Padre solo se io sarò capace di rimanere nell'ambito della Sua Parola".
"Ma come rimanervi durante una lezione o un seminario, quando è necessario decidere su problemi professionali concreti?”, si è domandata.
Tre gli aspetti importanti, a suo avviso, in tale ambito.
In primo luogo, "accogliere nel cuore l'opera d'arte come una preghiera del pittore. Insegnare a comprendere che si è immersi nell'atmosfera di questa preghiera proprio come un sacerdote per la sua celebrazione liturgica è immerso nella preghiera eterna di Cristo".
In secondo luogo, "guardare alla storia dell'arte con attenzione spirituale, cercando di leggerne il profondo simbolismo religioso. Ritengo che la Chiesa debba pregare costantemente per tutti i maestri e gli storici dell'arte, perché la vita dell'arte nel mondo è la storia sacra della misericordia di Dio".

Infine, "guardare alla persona dell'artista alla luce dell'amore di Dio. Vediamo che spesso la biografia del pittore è una via crucis e che il contenuto della croce consiste nei suoi peccati, nei suoi errori e nelle sue tentazioni, che purtroppo sono fin troppo noti”.
“Non tutti i pittori hanno vissuto come il Beato Angelico. Perché, malgrado le oscure circostanze della loro vita, hanno saputo creare opere altamente spirituali?", ha chiesto ancora.
"Il concetto di tale fenomeno non è soltanto scientifico – ha affermato –. È una storia dell'arte come storia della Parola di Dio, la storia della salvezza par la quale il Verbo Eterno - Gesù Cristo - è pronto a soffrire, a essere crocifisso e a morire nell'anima di ogni pittore per la crescita del suo talento, che è stato creato dal Padre come linguaggio del suo Figlio prediletto".


Il Papa: la Chiesa, un'armoniosa melodia di carismi - Al termine del concerto dei Wiener Philharmoniker a San Paolo - CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 17 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Questo giovedì sera Benedetto XVI ha preso parte, insieme ai Padri sinodali, al concerto tenutosi nella Basilica di San Paolo fuori le Mura e offerto dalla Fondazione Pro Musica e Arte Sacra in occasione dell’Anno Paolino.
Al termine della serata, inserita nella cornice del VII Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra, il Papa ha voluto ringraziare la Fondazione che ha organizzato l'evento e i componenti dei Wiener Philarmoniker, diretti da Christoph Eschenbach - da nove stagioni Direttore musicale dell’Orchestre de Paris – che hanno eseguito la sesta sinfonia di Anton Bruckner (1881), un'opera, ha commentato il Pontefice, “intrisa di religiosità e di profondo misticismo”.
“Nella sesta sinfonia si traduce la fede del suo autore, capace di trasmettere con le sue composizioni una visione religiosa della vita e della storia”, ha detto il Papa.
“Anton Bruckner – ha poi spiegato –, attingendo al barocco austriaco e alla tradizione schubertiana del canto popolare, ha portato, potremmo dire, alle estreme conseguenze il processo romantico di interiorizzazione”.
“Cari amici – si è quindi rivolto ai musicisti parlando in tedesco –, con la vostra professionalità e abilità artistica riuscite ogni volta a toccare i cuori di chi vi ascolta e in loro attraverso l'ascolto della meravigliosa musica di Bruckner a far vibrare tutte le corde del sentimento umano”.
“Con il vostro talento musicale mostrate loro il divino a partire dall'umano”, ha aggiunto.
“Ascoltando questa celebre composizione nella Basilica dedicata a san Paolo – ha aggiunto il Pontefice –, è spontaneo pensare ad un passaggio della Prima Lettera ai Corinzi in cui l’Apostolo, dopo aver parlato della diversità e dell’unità dei carismi, paragona la Chiesa al corpo umano composto da membra tra loro molto diverse, ma tutte indispensabili per il suo buon funzionamento”.
“Anche l’orchestra e il coro sono costituiti da strumenti e voci diverse, che accordandosi tra loro offrono un’armoniosa melodia, gradevole all’orecchio e allo spirito”, ha poi concluso.


Il Sinodo ascolta l'esperienza di movimenti e nuove comunità - La Parola di Dio, chiave per comprendere queste realtà
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 17 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Il Sinodo dei Vescovi ha ascoltato l'esperienza nell'annuncio della Parola di Dio dei movimenti ecclesiali e della nuove comunità, che ha rinnovato la vita di milioni di persone, spesso molto lontane dalla Chiesa.
Questo venerdì è risuonata nell'aula sinodale la testimonianza di Kiko Argüello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale, i cui statuti sono stati approvati recentemente dalla Santa Sede come uno dei frutti del Concilio Vaticano II.
Il centro di questa esperienza di vita cristiana, ha affermato l'uditore al Sinodo, è nell'annuncio che “Dio ha risuscitato dalla morte Gesù e lo ha costituito Kyrios”, Signore, “perché si possa annunciare a tutti gli uomini la conversione e la vita eterna: Dio ce l'ha fatto vivere e sperimentare con grande sorpresa e meraviglia in mezzo ai poveri delle baracche di Palomeras Altas in Madrid, dove abbiamo scoperto il tripode sul quale si basa la vita cristiana: parola di Dio, liturgia e comunità”.
“Uno dei tre pilastri del Cammino è la Parola di Dio, celebrata in piccola comunità”, ha spiegato al Sinodo evidenziando come il Cammino rappresenti un itinerario che permette di vedere i fatti della propria vita sotto la luce della Parola, Cristo.
Il Cammino Neocatecumenale è stato il movimento più citato negli interventi dei Vescovi, sempre positivamente, a causa del rinnovamento che sta portando nella scoperta o riscoperta della Parola. E' stato citato spesso anche il Movimento dei Focolari.
All'assemblea sta partecipando come uditrice Maria Voce, presidente dell'Opera di Maria-Movimento dei Focolari, che il 14 ottobre ha illustrato come la sua fondatrice, Chiara Lubich, abbia intrapreso insieme ad un piccolo gruppo di compagne “un cammino spirituale tracciato da una profonda riscoperta e vita del Vangelo” in piena Seconda Guerra Mondiale.
“Effetto di questa vita fu la nascita di una comunità formata da quanti, venendo in contatto con loro, cominciavano a loro volta a vivere con impegno ed entusiasmo il Vangelo comunicandosene le molte sorprendenti esperienze”, ha constatato.
“La consuetudine di comunicarsi reciprocamente le esperienze scaturite dalla vita della Parola contribuisce a suscitare una sempre più autentica evangelizzazione”.
La fondatrice diceva che il Movimento “rimarrà sulla terra veramente come altra Maria: tutto Vangelo, nient'altro che Vangelo, e, perché Vangelo, non morirà”.
Il Sinodo ha ascoltato anche Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, che ha riconosciuto che “oggi la gente è spaesata; ha paura del futuro. Parliamo delle difficoltà ad evangelizzare”.
“Ma la gente vuole ascoltare. Come aiutarla?”, si è chiesto. “Nutrendoci noi stessi della Parola di Dio. Il popolo sente chi la ama. In taluni cristiani e ministri della Parola, non se ne sente il gusto. Basta ascoltare alcune prediche”.
C'è un solo modo, ha detto: “Chi ascolta la Parola sa parlare ai cuori. Evangelizzare non è tecnica, ma traboccare della Parola”.
Per questo, ha chiesto che il Sinodo sia “il momento opportuno per far maturare nel popolo di Dio una stagione di amore per la Scrittura”.
Tra i fondatori di movimenti presenti al Sinodo c'è anche Luis Fernando Figari Rodrigo, Superiore Generale del Sodalitium Vitae Christianae, del Perù, che ha spiegato che “la Parola di Dio scritta per ispirazione dello Spirito interpella il profondo dell'essere umano e lo invita all'appassionante e indescrivibile incontro con il Signore Gesù”.
“In questo cammino è fondamentale la capacità di un silenzio attivo che implica non solo il fatto di ascoltare in modo adeguato, ma anche di farlo in Ecclesia, aprendo il cuore all'interiorizzazione e all'adesione alla Parola di Dio”.
“La Vergine Maria è il modello di ascolto, e di risposta alla Parola di Dio”, ha constatato.

Michelle Moran, presidente del Consiglio dell'International Catholic Charismatic Renewal Services (I.C.C.R.S.), della Gran Bretagna, ha insistito sulla relazione fondamentale che esiste tra lo Spirito Santo e la Parola di Dio.
“Il Rinnovamento Carismatico aiuta a promuovere una nuova apertura alle grazie e ai doni dello Spirito Santo – ha spiegato –. Si tratta di produrre risorse per aiutare le persone non solo ad avere accesso alle Scritture, aspetto importante, ma anche ad avere esperienze che cambiano la vita attraverso l'incontro con la Parola di Dio nel potere dello Spirito Santo”.
“Vorrei suggerire che a tutti coloro che sono coinvolti nel ministero della predicazione e della proclamazione venga offerta l'opportunità di sperimentare un rinnovamento dello Spirito Santo nella loro vita”, ha proposto.
“L'attenzione alla Parola di Dio guidata dallo Spirito Santo ci proteggerà dall'iperattivismo e ci porterà al fruttuoso impegno missionario con il mondo”, ha concluso.
Al Sinodo partecipa anche Moysés Louro De Azevedo Filho, fondatore e moderatore generale della Comunità Cattolica Shalom (Brasile), che ha spiegato come “attraverso i movimenti ecclesiali e le nuove comunità migliaia di persone hanno fatto un cammino di incontro con Gesù Cristo vivo e scoperto la gioia di essere Chiesa”.
“Questo incontro personale con il Risorto che è passato per la Croce e che soffia lo Spirito Santo è l'evento che trasforma la persona in discepolo, facendole scoprire la bellezza e la forza della Sua Parola”.
“A partire da questa esperienza nasce nel cuore del discepolo di Cristo la necessità vitale di alimentarsi della Parola di Dio e allo stesso tempo esso si sente spinto ad incontrarla in una lettura orante della Sacra Scrittura, nella Liturgia Eucaristica, e nell'impegno missionario di testimoniare la stessa Parola con fermezza e coraggio”, evidenziato.
Come Padre sinodale, per nomina di Benedetto XVI, partecipa anche il sacerdote Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, che ha parlato davanti all'assemblea l'8 ottobre.
“L'interpretazione della Bibbia è una delle preoccupazioni più sentite oggi nella Chiesa”, ha riconosciuto.
Carrón ha presentato la sfida posta dall'interpretazione moderna della Sacra Scrittura con queste parole dell'allora Cardinale Joseph Ratzinger: “Come mi è possibile giungere ad una comprensione che non sia fondata sull'arbitrio dei miei presupposti, una comprensione che mi permetta veramente d'intendere il messaggio del testo, restituendomi qualcosa che non viene da me stesso?”.
Ha quindi risposto citando il Concilio Vaticano II: “È Cristo che col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione”.
“Questo avvenimento – ha detto – non appartiene soltanto al passato, a un momento del tempo e dello spazio, ma rimane presente nella storia, comunicandosi attraverso la totalità della vita della Chiesa che lo accoglie”.
“L'esperienza dell'incontro con Cristo presente nella tradizione viva della Chiesa è un avvenimento e diventa, perciò, il fattore determinante dell'interpretazione del testo biblico”, ha concluso.


Sinodo dei vescovi 2008 - LA PAROLA DI DIO NELLA VITA E NELLA MISSIONE DELLA CHIESA - Intervento di don Julián Carrón - presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione - mercoledì 8 ottobre 2008

Beatissimo Padre,
Venerabili Padri,
Fratelli e sorelle:
L’Istrumentum laboris e la relazione generale hanno messo in evidenza che l’interpretazione della Bibbia è una delle preoccupazione più sentite oggi nella Chiesa (Instrumentum laboris 19-31). Il nocciolo della sfida sollevata dalla vicenda della interpretazione moderna della Sacra Scrittura l’aveva identificato anni fa l’allora cardinale Ratzinger: “Come mi è possibile giungere ad una comprensione che non sia fondata sull’arbitrio dei miei presupposti, una comprensione che mi permetta veramente d’intendere il messaggio del testo, restituendomi qualcosa che non viene da me stesso?” («L’interpretazione biblica in conflitto. Problemi del fondamento ed orientamento dell’esegesi contemporanea», in AA.VV., L’Esegesi cristiana oggi, Casale Monteferrato 1991, pp. 93-125).
In merito a questa difficoltà, il Magistero recente della Chiesa ci offre elementi per uscire da ogni possibile riduzione.
È stato pregio del Concilio Vaticano II aver recuperato un concetto di rivelazione come avvenimento di Dio nella storia. In effetti, la Dei Verbum permette di comprendere la rivelazione come l’avvenimento dell’autocomunicazione della Trinità nel Figlio “mediatore e pienezza di tutta intera la Rivelazione”, nel quale risplende la “profonda verità […] su Dio e sulla salvezza degli uomini” (DV 2), mediante lo Spirito Santo nella storia umana. È Cristo che “col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione” (DV 4). A buon diritto l’enciclica Deus caritas est ribadisce che “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (DCE 1; cf. FR 7).
Questo avvenimento non appartiene soltanto al passato, a un momento del tempo e dello spazio, ma rimane presente nella storia, comunicandosi attraverso la totalità della vita della Chiesa che lo accoglie. Infatti “la contemporaneità di Cristo rispetto all’uomo di ogni tempo si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa” (VS 25; cf. FR 11). Come gli Apostoli trasmisero “ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con lui e guardandolo agire” (cf. DV 7), così “la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede” (DV 8). Precisamente per questo carattere di avvenimento proprio della rivelazione e della sua trasmissione, la Costituzione conciliare sottolinea che, sebbene “espressa in modo speciale nei libri ispirati” (cf. DV 8), l’evento della rivelazione non coincide con la Sacra Scrittura. La parola della Bibbia attesta la Rivelazione; ma non la contiene in modo tale da poterla esaurire in se stessa. Per questo “la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura” (DV 9).
Se la rivelazione ha il carattere di un avvenimento storico, quando entra in contatto con l’uomo non può che colpirlo, provocando la sua ragione e la sua libertà. È quanto mostrano, nella loro semplicità, le narrazioni evangeliche, testimoniando lo stupore che suscitava la persona di Gesù in chi lo incontrava (cf. Mc 1,27; 2,12; Lc 5,9). La presenza di Gesù dilata lo sguardo affinché possiamo vedere e riconoscere ciò che abbiamo davanti (cf. Lc 24, Emmaus). È ciò su cui insiste l’enciclica Fides et Ratio quando afferma che “questa verità [della rivelazione], donata all’uomo e da lui non esigibile, si inserisce nel contesto della comunicazione interpersonale e spinge la ragione ad aprirsi ad essa e ad accoglierne il senso profondo” (FR 13).
L’enciclica, dunque, caratterizza l’impatto che la verità rivelata provoca nell’uomo che la incontra secondo un duplice impulso: a) dilatare la ragione per adeguarla all’oggetto; b) facilitarne l’accoglimento del suo senso profondo. Invece di mortificare la ragione e la libertà dell’uomo, la rivelazione permette di sviluppare entrambe al massimo della loro condizione originale.
Il rapporto con la tradizione vivente nel corpo della Chiesa consente a ciascun uomo di partecipare all’esperienza di coloro che incontrarono Gesù. Questi, stupiti dalla Sua eccezionalità unica, iniziarono un cammino che permise loro di raggiungere la certezza sulla Sua pretesa assoluta, cioè divina. Chi fa questo percorso non accetta in modo ingenuo la tradizione incontrata; al contrario, la sottopone a verifica permettendo così alla propria ragione di coglierne la verità.
L’esperienza dell’incontro con Cristo presente nella tradizione viva della Chiesa è un avvenimento e diventa, perciò, il fattore determinante dell’interpretazione del testo biblico. È l’unico modo di entrare in sintonia con l’esperienza testimoniata dal testo della Scrittura. Infatti, “la giusta conoscenza del testo biblico è accessibile dunque solo a chi ha un’affinità vissuta con ciò di cui il testo parla.” (PCB 70). Ho potuto documentare questo criterio ermeneutico in un episodio semplice ma significativo, capitato anni fa a Madrid. Una giovane che non aveva avuto alcun contatto con il cristianesimo, nell’incontrare una comunità cristiana viva ha cominciato a frequentarla, e a partecipare alla S. Messa. Dopo le prime occasioni in cui ascoltava il Vangelo ha commentato: «A loro è successo come a noi!». Era il presente ecclesiale che apriva al senso del racconto evangelico.
In sintesi, “la capacità di credere [degli apostoli] era completamente sostenuta e operata dalla persona rivelatrice di Gesù”, secondo la bella espressione di H.U. von Balthasar, e consentiva loro di cogliere il mistero della Sua persona e aderirvi. Analogamente oggi la nostra ragione ha bisogno dell’Avvenimento presente nella tradizione dei testimoni viventi per aprirsi al Mistero di Cristo, che ci viene incontro in loro. Ma soltanto potremo riconoscere in questi testimoni i tratti inconfondibili di Gesù Cristo, se abbiamo familiarità con la testimonianza unica, canonica, dei Suoi tratti assolutamente originali, offerta dalle Sacre Scritture. Icasticamente lo riassumeva sant’Agostino: “In manibus nostris sunt codices, in oculis nostris facta”.


La Parola di Dio: conoscenza di Cristo, missione ed ecumenismo - Roma, 10 ottobre 2008 – Sinodo dei Vescovi - Intervento di Paolo Pezzi, Arcivescovo della Madre di Dio a Mosca

Santità, reverendissimi padri sinodali, cari fratelli e sorelle!
Ritengo urgente, nel momento storico attuale, non disgiungere la Parola di Dio dall’evento di Cristo stesso. Egli è il Logos, la comunicazione del Padre, il Suo volto (cf. Col 1,15 e anche 2Cor 4,4), anzi, nel Vangelo, Gesù arriva a dire “chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9; cf. Gv 6,46).
La sua vita si è trasmessa e tale trasmissione dura fino ai nostri giorni.
Testimonianza degli uomini che partecipano dell'evento Cristo e testimonianza della parola scritta, della Scrittura, si richiamano dunque reciprocamente e sono necessarie l'una all'altra.
Mi sembrano in questo senso decisive le parole con cui Benedetto XVI inizia la sua enciclica sulla carità: “All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”.
La parola biblica deve incarnarsi nella bellezza dei suoi testimoni. Ritengo perciò tuttora valido un giudizio formulato ormai parecchi anni fa da don Luigi Giussani proprio in questa aula sinodale: “L’uomo di oggi attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la vita loro è cambiata. E’ un impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi: un avvenimento che sia eco dell’avvenimento iniziale”.
Nell’Instrumentum laboris, (48), viene acutamente osservato che “Facendo della Parola di Dio e della Sacra Scrittura l’anima della pastorale [il vescovo] è in grado di portare i fedeli all’incontro con Cristo” [...] “affinché per propria esperienza i fedeli vedano che le parole di Gesù sono spirito e vita (cf. Gv 6, 63) [...]”.
II
Essere dunque testimoni della Persona di Gesù Cristo, Logos fatto carne. Mettere le persone in presenza di una Persona vivente. O secondo le splendide parole di S. Paolo: essa deve “disegnare Cristo crocifisso davanti agli occhi” degli uomini. In questo lavoro “iconografico” di cui Paolo ci parla, tutta la persona del testimone è impegnata.
Cristo mi viene incontro dall’esterno, in modo sempre nuovo, in un modo affascinante e anche sorprendente. Mi chiama continuamente a “cambiare direzione”, ad uscir fuori da me stesso per lasciarmi “cingere” da Lui, e lasciarmi portare dove non io, ma Lui vuole (Gv 21, 18). E questo “dove” è sempre la missione.
La stessa missione diviene allora fonte di autentica e sempre più profonda conoscenza di Cristo, dello “splendore della gloria di Dio che rifulge sul suo Volto” (2Cor 4, 6). Tale splendore di Cristo accende in noi un fuoco, diventa desiderio di testimoniarLo. San Paolo descrive così questo circolo virtuoso: “L’amore dimostratoci da Cristo ci strugge al pensare questo: Che se uno è morto per tutti, allora tutti sono morti. Ed egli è morto perchè coloro che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro” (cfr. 2Cor 5, 14-16).
La memoria dell’amore di Cristo esaurisce il contenuto del pensiero di Paolo. Egli si abbevera continuamente alla Parola di amore che Dio ha pronunciato. Essa è sempre attuale per lui, non si stanca mai di ascoltarLa e di stupirsene.
III
La Parola di Dio può essere sorgente di vero ecumenismo. Si dice nell’Instrumentum laboris (54) che “l’ascolto della Parola di Dio è prioritario per il nostro impegno ecumenico. Non siamo infatti noi a fare o ad organizzare l’unità della Chiesa. La Chiesa non fa se stessa e non vive di se stessa, me della Parola creatrice che viene dalla bocca di Dio”.
“Ex uno Verbo omnia et unum loquuntur omnia, et hoc est Principium quod et loquitur nobis” (Da una sola Parola tutto, e una sola Parola tutto grida, e questa Parola è il Principio che parla dentro di noi). dice la frase forse più bella dell’Imitazione di Cristo.
Abbiamo a rinnovare fra i cristiani la tensione verso la persona stessa di Cristo, il desiderio di conoscerne più profondamente il mistero. Attraverso l'incontro con il Verbo fatto carne, reso possibile dallo Spirito, riscopriamo la comunione con Lui: è la forza dello Spirito di Cristo Risorto che attira il popolo disperso verso il Suo unico corpo.


Roma, 7 ottobre 2008 – Sinodo dei Vescovi - Intervento di Filippo Santoro Vescovo di Petrópolis – Brasile
1. “Il Verbo si fece carne”(Gv 1,14): Parola di Dio, ultima e definitiva è Gesù Cristo, la sua persona, la sua missione, la sua storia, intimamente unite, secondo il piano del Padre, che culmina nella Pasqua ed ha il suo compimento quando Gesù consegnerà il Regno al Padre (cf. 1 Cor 15,24). Egli è il Vangelo di Dio ad ogni persona umana (cf. Mc 1,1). (Instrumentum Laboris 9 c).
La Parola di Dio è un fatto; è la persona di Gesù Cristo che gli Apostoli hanno incontrato quando camminava lungo il mare della Galilea e che la Chiesa proclama come uno che può essere incontrato oggi nelle strade della nostra vita.
C’è una sfida che questo annunzio deve superare per non essere un mito consolatorio, inventato dall’uomo in cerca di ragioni per vivere; la sfida è innanzitutto antropologica. E cioè se questo fatto si dimostra capace di superare lo spazio e il tempo come qualcosa che non decade, che non si logora e risponde in maniera unica e singolare all’attesa del cuore dell’uomo.
L’esperienza mostra che le cose brillano e col tempo si consumano; già diceva l’antico poeta greco Mimnermo: “Come le foglie che fa germinare la stagione della primavera” e con lui, Arnault, Leopardi e la letteratura di tutti i tempi. Anche l’io decade e ciò che ci aveva affascinato, col tempo perde valore, si consuma o non ci attrae più. La grande domanda, che anche la cultura contemporanea non può negare, è se esiste qualcosa che realizzi pienamente le esigenze del cuore e che duri nel tempo, per sempre.
Leggiamo nella Dei Verbum “Gesù Cristo, dunque, Verbo fatto carne, mandato come ‘uomo agli uomini’, ‘parla le parole di Dio’ (Gv 3,34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (cf. Gv 5,36; 17,4)” (n. 4). La Parola eterna si identifica con quest’uomo e in Lui trovano compimento la Legge e i Profeti.
2. La dinamica dell’incarnazione pone l’altra sfida che è importante approfondire: la sfida del metodo. La Parola fatta carne indica non solo un contenuto salvifico, ma anche un metodo mediante il quale gli apostoli cominciano a capire se stessi. Nell’incontro con Gesù si risveglia qualcosa che in loro era addormentato e cominciano a intravedere qualcosa di positivo per il loro destino.
Il metodo implicato dall’incarnazione, tema questo sviluppato da don Giussani, è il seguire quell’avvenimento in cui il miracolo si fa presente: l’esperienza di un fatto umano che rivela qualcosa che va oltre, la presenza della salvezza. In tutti gli incontri biblici con Andrea, Giovanni, Pietro, Zaccheo, la samaritana eccetera, seguendo quell’uomo si incontrava altro, il destino, il Padre. Questo stesso metodo continua dopo la risurrezione attraverso l’incontro con il corpo visibile di Cristo, la Chiesa, avendo Pietro come capo. Il Nuovo Testamento e la Tradizione della Chiesa ci indicano il dinamismo di questo metodo che consiste nel coinvolgimento della vita con questo fatto che, nella forza dello Spirito e per mezzo del suo corpo, si fa a noi contemporaneo e raggiunge i confini del mondo.
Per questa ragione, nell’attuale discussione sui ministeri, ci permettiamo di osservare che questi, per se stessi, non suscitano l’incontro, ma finiscono per aumentare la burocratizzazione della Chiesa. Ciò che suscita l’incontro è solamente l’azione dello Spirito che, come dice la Lumen Gentium 12, è all’origine dei doni gerarchici e dei doni carismatici. Per mezzo dei carismi lo Spirito mostra attraente il volto di Cristo anche per l’uomo di oggi e suscita la sequela della Parola fatta carne.
Nella V Conferenza di Aparecida i Vescovi dell’America Latina, riprendendo il Discorso inaugurale di papa Benedetto, hanno detto:
“La Chiesa non cresce per proselitismo, ma ‘per attrazione’: come Cristo ‘attira tutti a sé’ con la forza del suo amore” _ftn1. La Chiesa ‘attrae’ quando vive in comunione, poiché i discepoli di Gesù saranno riconosciuti se si amano gli uni gli altri come egli li ha amati (cf. Rm 12,4-13; Gv 13,34)” (159).
La Chiesa offre agli uomini, assetati di vita vera e non di illusioni, l’attrazione dell’amore di Cristo che si offre nell’incontro con i suoi discepoli e che costituisce il metodo della sequela della Parola.
Ed ancora,ilDocumento diAparecida continua:
“La natura stessa del cristianesimo consiste, pertanto, nel riconoscere la presenza di Cristo e nel seguirlo. Questa è stata la meravigliosa esperienza di quei primi discepoli che, incontrando Gesù, rimasero affascinati e pieni di stupore dinanzi alla eccezionalità di chi parlava loro, dinanzi al modo come li trattava, dando risposta alla fame e sete di vita dei loro cuori. L’evangelista Giovanni ci ha raccontato, con forza icastica, l’impatto che la persona di Gesù produsse nei primi due discepoli, Giovanni e Andrea, che lo incontrarono. Tutto comincia con la domanda: “Che cercate?” (Gv 1,38). Alla quale fece seguito l’invito a vivere un’esperienza: “Venite e vedrete”(Gv 1,39). Questa narrazione rimarrà nella storia come sintesi unica del metodo cristiano” (244).
3. Di qui scaturisce il discepolo missionario. “Questa è la sfida fondamentale che stiamo affrontando: mostrare la capacità della Chiesa di promuovere e di formare discepoli e missionari che corrispondano alla vocazione ricevuta e sappiano comunicare ovunque, trasbordando di gratitudine e gioa, il dono dell’incontro con Cristo.
Non abbiamo altro tesoro all’infuori di questo. Non abbiamo altra felicità o priorità, se non quella di essere strumento di Dio nella Chiesa, perché Gesù Cristo venga incontrato, seguito, amato, adorato, annunciato e comunicato a tutti, nonostante tutte le difficoltà e le resistenze” (14).
Dinanzi alla sfida del secolarismo, del relativismo e delle nuove denominazioni religiose la Chiesa ripropone i tratti inconfondibili della Persona di Cristo, Parola fatta carne e risposta definitiva al cuore delle persone del nostro tempo. Per la forza irresistibile dello Spirito nasce la conversione costante, la testimonianza, l’annuncio.
Il sacro Sinodo della Parola è il Sinodo della missione.


La persecuzione anticristiana potrebbe estendersi a tutta l'India - Denuncia un Vescovo indiano presente al Sinodo -
ROMA/NUOVA DELHI, venerdì, 17 ottobre 2008 (ZENIT.org).- “Gli attacchi contro i cristiani in India rischiano di trasformarsi in una persecuzione generalizzata se i Governi non interverranno in tempo a fermare l'azione dei gruppi estremisti indù”.
E' l'avviso lanciato dal Vescovo di Tiruchirapalli, monsignor Anthony Devotta, interpellato dal quotidiano vaticano “L'Osservatore Romano”.
“Dall'Orissa, dove la situazione è più grave, l'ondata di intolleranza può dilagare in altri Stati 'più tranquilli' della nazione, oramai entrata, come altre nel mondo, nel vortice oscuro del fondamentalismo religioso prodotto dalla secolarizzazione delle società”.
Monsignor Devotta, in questi giorni a Roma per il Sinodo dei Vescovi, ha rivelato che nello Stato del Tamil Nadu, dove si trova la sua Diocesi, anche se la situazione non è ancora così grave “gli attacchi contro i cristiani in India rischiano di trasformarsi in una persecuzione generalizzata”.
“Il fondamentalismo religioso sta dilagando oramai in ogni parte del mondo ed è un segno dei tempi”, ha aggiunto.
In generale, ha spiegato il presule, i Governi dei vari Stati, pur tutelando la comunità cristiana, “per fini utilitaristici a livello politico, spesso 'chiudono un occhio' sulle violenze degli estremisti indù”.
In alcuni luoghi come l'Orissa, dove governa un partito fondamentalista, “la violenza è oramai ai massimi livelli. Coloro che praticano l'ideologia della 'Hindutva' vogliono la trasformazione dell'India in uno Stato teocratico e qualsiasi mezzo per raggiungere tale obiettivo è utilizzabile”.
L'agenzia AsiaNews ha denunciato che, in base alle testimonianze dei sacerdoti nell'Orissa, dietro la violenza anticristiana esiste un piano metodico: i fondamentalisti, aiutati anche dalla polizia, proibiscono ai cristiani di incontrarsi e pregare, cercano di uccidere i nuovi convertiti e occupano il terreno delle chiese distrutte.
In questi giorni è stata inoltre presentata un'iniziativa legale per impedire le conversioni nello Stato indiano di Karnataka, com'è già successo in Orissa, Gujerat, Madhya Pradesh e Rajasthan, come misura per frenare il presunto proselitismo dei cristiani, informa “L'Osservatore Romano”.
Dall'altro lato, cresce la protesta contro la persecuzione anticristiana: secondo l'agenzia Fides, il Consiglio nazionale per l'integrazione in India, un organismo formato da religiosi, politici e rappresentanti sociali che non si riuniva da tre anni, ha presentato una proposta, il “Communal Violence Bill”, per “fermare la spirale di violenza”.
Uno dei suoi membri è l'Arcivescovo di Delhi, monsignor Vincent Concessao, che ha ribadito la volontà della Chiesa cattolica, nonostante la violenza, di portare avanti la sua opera assistenziale a favore dei più poveri.
Da questo giovedì, una delegazione del Consiglio Mondiale delle Chiese (World Council of Churches, WCC), guidata dal segretario generale Samuel Kobia, sta compiendo una visita in India in e Sri Lanka di fronte all'“allarmante crescita dell'intolleranza religiosa”.


L'Enciclica “Fides ed Ratio”, una “meravigliosa costruzione architettonica” - Convegno internazionale sulla “Fiducia nella Ragione” organizzato dalla Lateranense
ROMA, venerdì, 17 ottobre 2008 (ZENIT.org).- “Una meravigliosa costruzione architettonica” è ciò che appare l'Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et Ratio agli occhi del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano.
Il porporato è intervenuto questo giovedì al Convegno “Fiducia nella Ragione”, organizzato dalla Pontificia Università Lateranense di Roma in occasione del decimo anniversario del testo di Papa Wojtyła.
Nel suo discorso, il Cardinale ha ricordato che il tema del rapporto tra fede e religione e tra verità e libertà “è sempre stato a cuore a Papa Giovanni Paolo II”, che come professore di Filosofia e Antropologia si era sempre interessato alle correnti filosofiche contemporanee, e da Papa amava organizzare a Castel Gandolfo, durante il soggiorno estivo, dei meeting con professori ed esperti di varia estrazione.
“Pertanto già nel 1986, colpito da ciò che diverse mode culturali andavano sempre più diffondendo, la dimissione cioè della ragione dalla sua capacità di conoscere il vero, aveva stilato un progetto di documento esattamente sul nostro tema, di una decina di pagine”, ha aggiunto nel testo riportato da “L'Osservatore Romano”.
Un primo testo organico, tuttavia, venne presentato solo nel 1995, e dopo un iter complessivo di ben dodici anni la Fides et Ratio venne pubblicata nel 1998.
Le fasi successive della sua elaborazione, ha osservato il Cardinal Bertone, hanno portato alla stesura definitiva di un'Enciclica che va considerata “una meravigliosa costruzione architettonica articolata in sette capitoli, che offre una visione precisa, a tratti sofferta, del rapporto tra fede e ragione”, “una costruzione che dimostra la solidità dell'inscindibile rapporto tra fede e ragione e di conseguenza tra filosofia e teologia, rapporto poggiante sui tre fondamentali pilastri descritti nei primi tre capitoli”.
Nel quarto capitolo, “Il rapporto tra la fede e la ragione”, “come in un meraviglioso affresco murale” appaiono “le tappe fondamentali dell'incontro tra fides e ratio”, proseguendo nei tre successivi ad offrire “a queste problematiche antiche e moderne le risposte sempre valide che formano il patrimonio dottrinale della Chiesa: il capitolo quinto parla degli Interventi del magistero in materia filosofica, nel capitolo seguente sono descritti i problemi dell'Interazione tra teologia e filosofia, e nel capitolo settimo le Esigenze e compiti attuali, esplicitando le esigenze della parola di Dio e i compiti irrinunciabili della teologia”.
Nella conclusione, il Papa “sottolinea nuovamente il valore della filosofia nei confronti dell'intelligenza della fede, il rapporto tra fede e ragione, e rivolge un appello a tutti – filosofi, teologi, formatori, scienziati, ricercatori, pastori e fedeli – chiedendo 'di guardare in profondità all'uomo, che Cristo ha salvato nel mistero del suo amore, e alla sua costante ricerca di verità e di senso'”.
“Diversi sistemi filosofici – aggiunge –, illudendolo, lo hanno convinto che egli è assoluto padrone di sé, che può decidere autonomamente del proprio destino e del proprio futuro confidando solo in se stesso e sulle proprie forze”.
La grandezza dell'uomo, tuttavia, “non potrà mai essere questa”.
“Determinante per la sua realizzazione sarà soltanto la scelta di inserirsi nella verità, costruendo la propria abitazione all'ombra della sapienza e abitando in essa – osservava il Papa –. Solo in questo orizzonte veritativo comprenderà il pieno esplicitarsi della sua libertà e la sua chiamata all'amore e alla conoscenza di Dio come attuazione suprema di sé”.
Il rettore della Lateranense e presidente della Pontificia Accademia per la Vita, monsignor Rino Fisichella, ha analizzato dal canto suo nel corso del Convegno le cause che hanno portato allo smarrimento di una visione unitaria e alla frammentarietà del sapere, soprattutto nelle scienze empiriche.
Tale frammentazione, ha osservato, si traduce in una duplice sfiducia nei confronti della ragione nel cogliere la verità e nel credere che esista ancora una sola verità. Con la secolarizzazione, del resto, è venuta meno la certezza della verità, e anzi già l'idea di raggiungerla sarebbe solo un'illusione.
Evidenziando le “esigenze irrinunciabili della Parola di Dio”, nell'Enciclica si sostiene che la Sacra Scrittura “presenta in sé una visione filosofica dell'uomo e del mondo che coniuga insieme rivelazione e intelligenza personale”.
Il testo, spiega monsignor Fisichella, “propone la via per il raggiungimento dell'unità del sapere nel superamento della conoscenza relegata alla sfera della sperimentazione o delle scienze empiriche”.
“La sfida che si deve compiere è quella di ritrovare l'unità del sapere come condizione non solo per la filosofia e la teologia di poter dialogare tra di loro su contenuti autonomi e pur sempre reciproci, ma soprattutto per essere in grado di fornire al nostro contemporaneo la risposta di cui ha insaziabile bisogno: quella del senso”.
“Privo di questo orizzonte di senso della propria esistenza, cade nei tentacoli della sola conoscenza empirica, sperimentale e diventa incapace di comprendere a pieno il suo mistero, la sua vocazione e il progetto della sua personale esistenza in questo mondo e in questa storia”.


La fede, avvocato convinto e convincente della ragione - Autore: Mazzoni, Lorenzo Curatore - venerdì 17 ottobre 2008 Fonte: CulturaCattolica.it - La fede non teme la scienza, ma le offre un’etica per l’uomo
Come al solito (ricordate il discorso di Ratisbona?) i mass media hanno isolato dal contesto una singola parte di una frase, per trasformare un discorso del Papa in un quasi offensivo attacco alla scienza e agli scienziati. Ad esempio il “Corriere della sera” titola: “Gli scienziati tentati da facili guadagni”, e pone come sottotitolo: “Gli scienziati arroganti e pericolosi senza l’aiuto della filosofia e della teologia”. Ma è proprio così?
Proviamo a leggere cosa in realtà ha detto Benedetto XVI nel commemorare il decimo anniversario dell’enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II. Nella prima parte del discorso si riprendono i punti fondamentali dell’enciclica, sottolineandone la grande apertura nei confronti della ragione: una ragione che sia aperta alla verità. Per questo l’enciclica afferma: “È la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa così avvocato convinto e convincente della ragione”.
Dov’è allora il problema? Benedetto XVI lo individua in una restrizione del concetto di ragione, quando si è verificato “uno slittamento da un pensiero prevalentemente speculativo a uno maggiormente sperimentale. La ricerca si è volta soprattutto all’osservazione della natura nel tentativo di scoprirne i segreti […]. Questo cambiamento non è stato indolore […] La conquista scientifica e tecnologica, con cui la fides è sempre più provocata a confrontarsi, ha modificato l’antico concetto di ratio; in qualche modo, ha emarginato la ragione che ricercava la verità ultima delle cose”.
Ecco il punto: da una parte la fede non teme lo sviluppo della scienza; ma la scienza non è in grado di elaborare principi etici. Se l’autonomia della scienza diventa assoluta indipendenza, pretesa di conoscere e di trasformare tutto, anche la natura, nasce una vera arroganza: quella di sostituirsi al Creatore. Allora la preoccupazione è quella di “mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perché permanga nel solco del suo servizio all’uomo […] La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti indispensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo di rischi.”
Come si vede si tratta non di un’accusa alla scienza o agli scienziati, ma di una preoccupazione della Chiesa che non si smarrisca la ricerca della verità, cadendo in un relativismo che alla fine diventa nichilista.
E la verità, il Papa non poteva non ricordarlo, è Cristo: “La verità di Cristo, in quanto tocca ogni persona in cerca di gioia, di felicità e di senso, supera di gran lunga ogni altra verità che la ragione può trovare. È intorno al mistero, pertanto, che la fides e la ratio trovano la possibilità reale di un percorso comune.


Classi "ponte" per immigrati - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - venerdì 17 ottobre 2008 - Alla luce dei problemi concreti che si vivono in tante scuole delle regioni settentrionali il problema va affrontato rendendo obbligatorio un test di ingresso e corsi intensivi di lingua italiana.
Negli ultimi anni è diventata prassi diffusa inserire nelle scuole italiane di ogni ordine e grado - e in qualsiasi momento dell’anno scolastico - studenti stranieri, benché privi di una conoscenza della lingua italiana adeguata ad affrontare il percorso educativo e formativo.

Gli inserimenti avvengono:
- senza offrire agli insegnanti né occasioni di formazione né strumenti di lavoro adeguati;
- senza supportare l’impegno degli studenti stranieri con corsi preparatori obbligatori di lingua italiana e itinerari di orientamento che partano dalle loro competenze linguistiche effettive.

Questa modalità di inserimento degli studenti stranieri, all’insegna dell’emergenza e della capacità di arrangiarsi di docenti e alunni, finisce per alimentare l'insofferenza e la discriminazione verso gli stranieri che a parole si dice di voler combattere e produce:
a) il disorientamento dei genitori degli alunni italiani, con conseguente fuga verso scuole che limitino al minimo gli inserimenti degli stranieri;
b) una programmazione didattica sempre più incerta e una valutazione formativa e certificativa non veritiera.

Detto che è bene distinguere che cosa si intenda per alunno “straniero” operando almeno tale distinzione:
alunni stranieri residenti in Italia da più di due anni
alunni di nuova immigrazione (questa distinzione è già in uso in USP)
Alla luce dei problemi concreti che si vivono in tante scuole delle regioni settentrionali il problema va affrontato rendendo obbligatorio un test di ingresso e corsi intensivi di lingua italiana. In tal senso la mozione votata da Lega e PDL pone delle questioni condivise da molti insegnanti.
Occorre però che fissati centralmente dei criteri la realizzazione concreta dei percorsi da realizzare per l'inserimento nelle classi ordinarie sia lasciato all'autonomia delle scuole perché le situazioni dei singoli alunni e dei singoli contesti sono troppo differenziate.


«La parità passa per il buono scuola» - DA PADERNO DEL GRAPPA ( TREVISO) FRANCESCO DAL MAS, Avvenire, 18 ottobre 2008
I Fratelli delle Scuole Cristiane: serve anche per risparmiare E sulle riforme scolastiche: classi-ponte no, voto di condotta sì

L a soluzione del tema della parità scolastica? I Fratelli delle Scuole Cri­stiane non hanno dubbi: è il buono scuola. Attenzione, però. Il buono non è un contributo più o meno regolare. « Per noi Lasalliani – spiega fratel Donato Pet­ti, visitatore della Provincia Italia – il buo­no scuola fa riferimento alla cifra del co­sto medio che lo Stato spende per i cit­tadini alunni e che l’Istat ha calcolato in 8.200 euro » .
A Paderno del Grappa, sulla Pedemon­tana Trevigiana, dove si trova uno dei più prestigiosi istituti della congregazione, si sta svolgendo il primo incontro fra i coordinatori educativi e didattici delle scuole cristiane e i direttori, laici i primi, Fratelli lasalliani i secondi. Ben 30 i com­plessi gestiti in Italia, con 15mila allievi e 1500 docenti; nel mondo sono presen­ti con un arcipelago di altre realtà, fra cui 73 università che da sole hanno 2 milio­ni di studenti. E proprio dalle falde del monte Grappa è partito un appello al­l’indirizzo del governo e del Parlamento. « Nella prossima Finanziaria, se volete ri­sparmiare nella scuola, riconoscete fi­nalmente il buono alle scuole paritarie » . Troppo importante la compresenza di coordinatori e direttori per non soffer­marsi anche su questo aspetto, oggi stra­tegico, ancorché altri siano gli obiettivi del convegno. Il primo: comporre i prin­cipi e le indicazioni pastorali per l’ela­borazione del progetto delle comunità scolastiche e dei centri educativi lasal­liani ( i quali hanno alle spalle una storia di ben 370 anni). Il secondo: la pro­grammazione educativa e didattica, in sintonia con il Progetto pastorale della Provincia italiana ( « Dio abita la tua sto­ria » ) dei Lasalliani. Fratelli, questi, chia­mati a incarnare e vivere – si è detto – la spiritualità e il carisma del La Salle, alla luce della Parola di Dio e in un’esperienza di comunione e di unità a servizio delle vecchie e nuove povertà. Tanto per testi­moniare ancora una volta che una con­gregazione come questa sa promuovere il master per educatori cristiani, che sta già dando ottimi risultati, e al tempo stes­so pratica la frontiera della solidarietà. « Continuiamo a dare risposte educative concrete sul fronte della povertà mate­riale, della insicurezza, della solitudine e dell’abbandono – fa sintesi fratel Dona­to –. Vogliamo dare una risposta alla po­vertà degli esclusi, degli immigrati ex­tracomunitari e di chi è senza Dio » .
Per i Lasalliani l’educazione non è solo una missione, ma un fatto di cuore; è tra­smissione di certezze e di valori, è testi­monianza di valori condivisi. È il perse­guimento di un giusto equilibrio tra la li­bertà e l’autorevolezza. E, per restare nel­l’attualità, è anche sfida al dialogo inter­religioso e interculturale. « Ecco perché – spiega Mario Rusconi, dirigente scola­stico a Roma, vicepresidente dell’asso­ciazione nazionale dei presidi e stretto collaboratore delle Scuole cristiane – ri­teniamo che l’integrazione dei ragazzi stranieri non passi per le classi- ponte, ma al tempo stesso siamo favorevoli al­la considerazione del voto di condotta nella valutazione finale dello studente » . Stiamo parlando degli elementi di rifor­ma introdotti dal ministro Gelmini che pure hanno trovato motivo di dibattito a Paderno. « La rivitalizzazione dell’edu­cazione civica – afferma ancora Rusconi – va proprio in direzione di una nuova autorevolezza della scuola da parte de­gli studenti » . E per essere autorevoli – ci­tiamo sempre il dirigente del Liceo New­ton di Roma a proposito del tema del giorno – non si può sostenere che chiu­deranno 4mila scuole, quando invece si tratta di accorparne soltanto qualche centinaio.


Le risposte a chi afferma che la rinuncia alla sessualità è una scelta innaturale - Psiche e celibato - I luoghi comuni -
di Manfred Lütz, Psichiatra, consultore della Congregazione per il Clero – L’Osservatore Romano, 18 ottobre 2008

Il celibato è una provocazione. In un mondo che non crede più a una vita dopo la morte questa forma di vita rappresenta la protesta permanente contro la superficialità collettiva. Il celibato è il messaggio vissuto che annuncia che il mondo terreno, con le sue gioie e i suoi dolori, non è tutto. Questo fa inquietare molti, perché mette in discussione la loro concezione di vita. E non soltanto attraverso un testo oppure attraverso un discorso buttato lì, bensì attraverso un'evidente scelta di vita. Senza ombra di dubbio, se con la morte si concludesse tutto, il celibato sarebbe un'idiozia. Perché rinunciare all'amore intimo di una donna, perché rinunciare al toccante incontro con i propri figli, perché rinunciare alla sessualità? Solo se la vita terrena è un frammento che troverà nell'eternità il suo compimento, allora il celibato, come forma di vita, può mettere in luce questa vita che è, di fatto, ancora da riscuotere. Solo così, questa forma di vita annunzia a gran voce una vita in pienezza, che fu già intuita dagli uomini di ogni epoca (quale oggetto della loro Sehnsucht), la cui realtà è divenuta però visibile a tutti gli uomini solo attraverso l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo, e in particolare, attraverso la Sua morte e la Sua Resurrezione miracolosa.
Gli oppositori del celibato non di rado insinuano che il celibato per amore del regno dei cieli, vissuto in un monastero, lontano dal mondo, non è da biasimare; tuttavia all'interno della comunità parrocchiale, "nel mondo", si dovrebbe permettere il ministero pastorale a viri probati, ossia a uomini sposati veterani (dunque "provati"). Spesso sono le stesse persone a volersi sbarazzare delle differenze nette tra sacro e profano, tra clero e laici, e, ancora, tra temi mondani ed ecclesiastici. Certamente, la fede in un Dio che si è fatto uomo costituisce una massiccia irruzione della sacralità nella secolarità. I primi cristiani avvertivano chiaramente che i vecchi concetti pagani di sacro e profano non potevano essere semplicemente trasferiti al cristianesimo. Non esisteva più una brusca separazione. I cristiani percepirono che il cristianesimo era "una differenza che fa la differenza", come si direbbe oggi nella terapia sistemica.
Tale differenza, che faceva la differenza, tuttavia sembrò essere minacciata dopo la svolta costantiniana. Improvvisamente le posizioni direzionali nell'impero furono occupate da cristiani. L'essere cristiano, per dirla in modo laico, non era più uno svantaggio, bensì un vantaggio. Il cristianesimo sembrò correre il pericolo di arenarsi. E, proprio in quest'epoca, il celibato iniziò la sua marcia trionfale. Noi sappiamo oggi che il celibato aveva già radici apostoliche, tuttavia divenne ora l'ancora di salvataggio spirituale per una Chiesa promossa dall'imperatore e dall'impero. Come responsabili delle comunità si vollero ben presto dappertutto uomini celibi.
La grande stima verso questa forma di vita si protrae lungo tutta la storia della Chiesa. Già il Sinodo di Elvira (306-309), ma poi soprattutto la riforma gregoriana dell'xi secolo e le riforme successive al grande Concilio di Trento si sforzarono di dare luce e risalto al sacro celibato. Viceversa, nei tempi di debolezza per la Chiesa, anche il celibato entrò in crisi. All'inizio del xix secolo si sviluppò, nell'attuale arcivescovado di Friburgo, un "movimento anticelibato" sostenuto da 156 sacerdoti. Quando poi nel xix secolo si arrivò inaspettatamente alla nuova ascesa della Chiesa cattolica, la campagna anticelibato si dissolse da sé. Anche durante la crisi successiva al concilio Vaticano ii fu nuovamente il sacro celibato a finire sotto tiro. Eppure proprio nei movimenti spirituali, nuovamente rifioriti, il celibato godette di rinnovata grande considerazione.
Il padre della psicologia moderna, Sigmund Freud, in nessun modo simpatizzante per la Chiesa e il cristianesimo, ha saputo strappare in modo magistrale ai movimenti paleocristiani a favore del celibato alcuni aspetti positivi: "In epoche durante le quali la soddisfazione amorosa non incontrava difficoltà, come ad esempio durante il declino delle culture antiche, l'amore divenne privo di valore, la vita vuota e furono necessarie forti reazioni indotte al fine di ristabilire gli indispensabili valori affettivi, nonché i valori legati a passioni ed emozioni. In tale contesto si è ritenuto che la corrente ascetica del cristianesimo abbia creato valori psichici per l'amore, che l'antichità pagana mai avrebbe potuto conferirgli". D'altra parte, durante la discussione sul celibato dei secoli passati, vennero utilizzate quasi sempre forzate argomentazioni psicologiche erronee e senza cognizione di causa. Pertanto si udì da contemporanei poco illuminati che "rinunciare" alla sessualità non sarebbe naturale. Ma, considerando bene la questione, vale certamente il contrario: chi non riesce a rinunciare all'esercizio della sessualità non è in grado di unirsi in vincolo matrimoniale. Il serio dibattito relativo agli abusi sessuali all'interno del matrimonio, che in molti Paesi è stato portato alla ribalta da parte delle femministe, rende evidente che la sessualità umana non deve in alcun modo essere considerata come una pentola a pressione, per la quale il vapore sessuale possa essere semplicemente scaricato attraverso l'aiuto di una donna. Tali fraintendimenti della sessualità, che denotano una natura non matura e sprezzante dell'essere umano, e che vedono la donna solo come oggetto di soddisfazione di un impulso personale, hanno un ruolo chiave nella critica al celibato. Una sessualità matura non è solamente primitivamente naturale. La natura dell'essere umano è da sempre coltivata umanamente. In una coppia di sposi maturi entrambi i partner sono attenti ai bisogni dell'altro. Vi sono diversi motivi perché, per un periodo o in modo continuativo, anche in una coppia sposata non si possa vivere a pieno la sessualità genitale; per esempio a causa di una malattia temporanea, oppure a causa di un handicap permanente. Eppure, una relazione di coppia davvero profonda non viene certamente distrutta da questo, bensì talvolta ne viene addirittura arricchita. Allo stesso modo anche la questione del celibato non dovrebbe concentrarsi solo sulla questione della sessualità genitale, bensì si dovrebbe vedere nel celibato una forma di relazione determinata, che lega una relazione profonda con Dio a una feconda relazione con le persone affidate alle cure pastorali del sacerdote.
La psicoanalista Eva Jäggi, nel suo libro sulla vita da single, ha definito la persona consapevole che vive da single come particolarmente importante anche per tutte le persone che vivono in un rapporto di coppia, poiché il single rende consapevoli anche gli sposati del fatto che essi non sono solamente in funzione di un rapporto, bensì hanno un loro valore proprio.
Partendo dalla mia esperienza di terapeuta posso confermare che l'inaridimento della vita spirituale spesso precede la crisi del celibato. Quando un sacerdote non prega più regolarmente, quando egli stesso non si accosta più al sacramento della riconciliazione, in altre parole, quando egli non intrattiene più una relazione vitale con Dio, allora egli come sacerdote non è più fecondo. Infatti, le persone si rendono conto che da quest'uomo di Dio non emana più la forza dello spirito di Dio. Il solo realizzare questo porta il sacerdote in questione ad una condizione di frustrazione e di insoddisfazione verso il proprio ministero di sacerdote. Quando poi, in una tale situazione, si affaccia la possibilità di una relazione esterna, allora il sacerdote corre fortemente il rischio di abbattere gli argini di per sé già marci. Al contrario, un sacerdote che vive la propria fede con convinzione e ne dà testimonianza, è una guida spirituale feconda, in grado, in questo modo, di gustare la gioia che deriva dalla direzione spirituale delle anime. Per il sacerdote è importante anche confessare i fedeli, poiché questo stabilisce un contatto esistenziale con le persone. Il celibato rende il sacerdote libero per relazioni di direzione spirituale intense. Egli può dedicarsi, sia dal punto di vista del tempo che dal punto di vista esistenziale, in modo più ampio alla direzione spirituale, rispetto a quanto potrebbe fare se fosse sposato. Il fatto che i pastori evangelici in Germania presentino la più alta percentuale di separazioni è certamente legato al fatto che la direzione spirituale intensa e il matrimonio sono difficilmente conciliabili. Ma questa libertà a favore dei fedeli, ottenuta attraverso il celibato, deve essere utilizzata anche dal sacerdote. Un celibato consumato solo dietro la scrivania oppure una vita da funzionario sono difficilmente vivibili. Una guida spirituale zelante ha addirittura più esperienze di vita di non pochi sposati. Non è vero quanto si sente dire talvolta, ossia che una guida spirituale sposata sarebbe meglio in grado di accompagnare le coppie di sposi. Una guida spirituale sposata, così come un terapeuta, corre sempre il pericolo di rivivere inconsapevolmente nel caso che ha dinnanzi le esperienze del proprio matrimonio e di trasformare le proprie emozioni in azioni, senza riflettere, per un meccanismo psicologico. Perciò egli necessita solitamente di un monitoraggio, proprio per impedire che ciò avvenga. Al contrario, una buona guida spirituale ha considerevoli esperienze esistenziali con molte coppie sposate. E da ciò egli può attingere per taluni casi difficili. Questo spiega, per esempio, la sorprendente fecondità degli scritti sul matrimonio di quel grande pastore di anime che fu il servo di Dio Giovanni Paolo II.
Partendo da qui sono poi importanti anche le buone amicizie, per mantenere il contatto con la quotidianità e la normalità. Il celibato non deve cagionare una condizione di eremitaggio. Sant'Agostino riteneva consigliabile che i sacerdoti celibi vivessero insieme in una stessa casa. Una tale comunità che vive sotto lo stesso tetto e che è, nel contempo, anche comunità spirituale, favorisce, fra l'altro, la necessaria correctio fraterna, la critica costruttiva che anche in una coppia di sposi fa sì che non si devii dal cammino. In questo modo diviene evidente che il celibato non significa tanto solitudine, quanto piuttosto l'essere liberi per le persone e per un incarico particolare.
In particolare, il celibato non è per i narcisisti, che dal punto di vista psichico ruotano solo su se stessi e sono interessati solo a sé. Non sono eventuali anomalie sessuali il problema più diffuso nella selezione dei candidati agli ordini sacri, bensì il narcisismo, perché il tipo di ministero che esercita il sacerdote è per i narcisisti una tentazione quasi irresistibile. Il pronunciare una predica dinnanzi ai fedeli, che non gli verrà contestata da nessuno, vestito con abiti solenni, è per il narcisista la realizzazione di tutti i desideri più intimi. Eppure la vera soddisfazione non viene contemplata come accade per tutti i bisogni viziati. Il sacerdote deve però avere una mentalità addirittura contraria. Egli deve soprattutto interessarsi degli altri esseri umani e delle loro miserie, deve dimenticarsi di sé, e deve rendere visibile, dietro la lucentezza delle sue parole, lo splendore di Dio piuttosto che la propria misera luce.
(©L'Osservatore Romano - 18 ottobre 2008)



Ricerca di verità è ricerca di una Persona - Anticipiamo la conclusione della relazione dell'arcivescovo rettore della Pontificia Università Lateranense, e presidente della Pontificia Accademia per la Vita, al convegno "Fiducia nella Ragione". Nella prima parte il relatore analizza le cause che, lungo lo sviluppo del pensiero umano, hanno portato allo smarrimento di una visione unitaria e, per contro, alla frammentarietà del sapere; soprattutto nelle scienze empiriche. Se da un lato la specializzazione ha favorito l'approfondimento di alcune conoscenze, la frammentazione che si è sostituita all'unità si traduce di fatto in una duplice sfiducia nei confronti della ragione nel cogliere la verità e nel credere che esista ancora una sola verità. La separazione creata tra filosofia e scienza, tra filosofia e religione, tra società e individuo, tra politica ed economia ha indebolito la cultura ingenerando una crisi d'identità frutto di un relativismo referenziale nei valori costitutivi della cultura stessa. Con la secolarizzazione viene meno la certezza della verità. Anzi l'idea di raggiungerla sarebbe solo illusione. Tolta ogni certezza veritativa l'uomo stesso viene disintegrato. Ridotto alla polvere primigenia ormai può solo sperare nel soffio rigenerante della Parola di Dio. - di Rino Fisichella – L’Osservatore Romano, 18 ottobre 2008
È importante una breve ermeneutica di Fides et ratio per verificare più direttamente il pensiero sottostante. Il numero che contiene il richiamo all'unità del sapere è inserito all'interno del settimo e ultimo capitolo dell'enciclica, "Esigenze e compiti attuali". Già il titolo lascia trasparire l'idea sottostante: al termine della sua riflessione, il Papa intende diventare propositivo circa il compito che spetta alla Chiesa nel dare risposta al rapporto tra fede e ragione. Il contesto immediato del nostro numero parte dall'evidenziare le "esigenze irrinunciabili della Parola di Dio". La Sacra Scrittura - sostiene Fides et ratio - presenta in sé una visione filosofica dell'uomo e del mondo che coniuga insieme rivelazione e intelligenza personale: "La convinzione fondamentale di questa "filosofia" racchiusa nella Bibbia è che la vita umana e il mondo hanno un senso e sono diretti verso il loro compimento, che si attua in Gesù Cristo" (80). La creazione, l'uomo all'interno di essa, il problema del male e della libertà pongono la questione del senso in maniera inevitabile e richiedono una risposta. Il cristianesimo, inoltre, pone il mistero dell'incarnazione come la chiave interpretativa dell'enigma umano e della storia. Per questo Fides et ratio può concludere: "In questo mistero le sfide per la filosofia si fanno estreme, perché la ragione è chiamata a far sua una logica che abbatte le barriere in cui essa stessa rischia di rinchiudersi. Solo qui, però, il senso dell'esistenza raggiunge il suo culmine. Si rende intelligibile, infatti, l'intima essenza di Dio e dell'uomo" (80). La logica dell'enciclica prosegue nel mostrare l'attuale "crisi di senso" e la conseguente "frammentarietà del sapere" per il moltiplicarsi delle risposte che giungono dal pluralismo delle conoscenze scientifiche. La presenza di un inevitabile acuirsi del relativismo, non solo nell'ambito gnoseologico, ma purtroppo anche in quello etico, spingono Giovanni Paolo II a identificare alcune "esigenze" che la filosofia dovrebbe fare proprie se vuole rimanere nell'orizzonte di una conoscenza coerente alla sua epistemologia. L'unità del sapere, pertanto, viene identificato da Fides et ratio nel recupero della "dimensione sapienziale" (81) da parte della filosofia: "È necessario, anzitutto, che la filosofia ritrovi la sua dimensione sapienziale di ricerca del senso ultimo e globale della vita. Questa prima esigenza, a ben guardare, costituisce per la filosofia uno stimolo utilissimo ad adeguarsi alla sua stessa natura. Ciò facendo, infatti, essa non sarà soltanto l'istanza critica decisiva, che indica alle varie parti del sapere scientifico la loro fondatezza e il loro limite, ma si porrà anche come istanza ultima di unificazione del sapere e dell'agire umano, inducendoli a convergere verso uno scopo e un senso definitivi. Questa dimensione sapienziale è oggi tanto più indispensabile in quanto l'immensa crescita del potere tecnico dell'umanità richiede una rinnovata e acuta coscienza dei valori ultimi" (81). Questo orizzonte sapienziale, di fatto, ruota attorno alla domanda di senso, al riconoscimento che la ragione è capace di conoscere la verità e alla dimensione metafisica del sapere. In altri termini, l'enciclica propone la via per il raggiungimento dell'unità del sapere nel superamento della conoscenza relegata alla sfera della sperimentazione o delle scienze empiriche: "Desidero solo affermare che la realtà e la verità trascendono il fattuale e l'empirico, e voglio rivendicare la capacità che l'uomo possiede di conoscere questa dimensione trascendente e metafisica in modo vero e certo, benché imperfetto e analogico" (83).
Prima di giungere al nostro testo, Fides et ratio compie un ultimo passo che ritengo essere determinante. In una battuta, si viene a identificare il percorso che nel versante filosofico e teologico di dovrebbe compiere: "Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l'interiorità dell'uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge. Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione" (83). Se si vuole, si è dinanzi solo a un cambiamento terminologico, ma il concetto permane identico. La sfida che si deve compiere è quella di ritrovare l'unità del sapere come condizione non solo per la filosofia e la teologia di poter dialogare tra di loro su contenuti autonomi e pur sempre reciproci, ma soprattutto per essere in grado di fornire al nostro contemporaneo la risposta di cui ha insaziabile bisogno: quella del senso. Privo di questo orizzonte di senso della propria esistenza, cade nei tentacoli della sola conoscenza empirica, sperimentale e diventa incapace di comprendere a pieno il suo mistero, la sua vocazione e il progetto della sua personale esistenza in questo mondo e in questa storia.
L'accenno conclusivo dell'enciclica al fatto che è necessaria una filosofia capace di svolgere un ruolo di mediazione con il peculiare sapere che proviene dalla rivelazione, permette di addentrarsi in un'ulteriore considerazione. L'unità del sapere ha un suo profondo richiamo e fondamento nell'istanza rivelativa perché il mistero dell'incarnazione fa emergere nello stesso tempo sia la verità offerta a ognuno nella storia che è chiamato a vivere sia la risposta ultima e definitiva alla domanda di senso. Il cristianesimo vive della rivelazione di Dio nella storia. Resta, inevitabilmente il grande problema ancora irrisolto per molti versi: come riuscire a individuare all'interno della Parola di Dio quanto è oggetto di rivelazione per la nostra salvezza. Qui subentra la tematica del rapporto verità rivelata e interpretazione della Scrittura. È innegabile che siamo dinanzi a un'istanza ermeneutica a cui nessuno può sottrarsi; questa, comunque, non può rifiutarsi di confrontarsi con l'istanza veritativa immessa nella rivelazione di Gesù Cristo. Quanto Gesù ha rivelato non può essere confinato nello spazio del suo tempo; proprio perché è "rivelazione" di Dio all'umanità nella storia, porta con sé l'istanza di universalità che non le può essere tolta. È evidente che siamo dinanzi alla pretesa cristiana di presentare un evento particolare che ha in sé le caratteristiche universali.
Se si accetta l'esigenza dell'unità del sapere è necessario, pertanto, ritornare alla questione di sempre: il senso dell'esistenza. Non tanto, quindi, perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla, ma perché io esisto in questo tempo e cosa sarà della mia vita dopo il tempo che mi è concesso di vivere. Diverse scappatoie sono già state trovate nella storia del pensiero; eppure non hanno esaurito la domanda. Al contrario, essa permane con la sua forza di provocazione che attende una risposta che soddisfi. L'identità personale, d'altronde, è intimamente legata con la risposta che ogni singola persona è in grado di addurre. Il fondamento su cui costruire non è unico; il problema è se esso sia realmente in grado di tenere insieme la persona nella pluralità delle sue manifestazioni e nella dinamica della sua esistenza in relazione agli eventi e alle esperienze che compie.
L'unità del sapere, alla fine, trova proprio nella possibilità di incontrarsi con la fede il suo termine ultimo. La fede non è un atto estraneo alla persona, ma è il suo esprimersi in pienezza di libertà. Non è un caso che la concezione cattolica della fede richieda che ogni atto sia carico di intelligibilità. L'assioma classico fides si non intelligitur nulla est, ha la sua valenza veritativa proprio in questa unità profonda che lega fede e conoscenza. Non una a scapito dell'altra né una in competizione con l'altra; entrambe vivono di un profondo equilibrio che consente di vedere attuato il desiderio di ogni persona di conoscere la verità e di poterla raggiungere. Il senso dell'esistenza, pertanto, si fonda su un'unità che abbraccia in sé ciò che è peculiare del cristianesimo: un'attenzione a tutta la persona, senza sminuirla in nulla, nella sua capacità di poter abbandonare se stesso in un atto di amore pieno e duraturo in colui che è la sorgente stessa dell'amore. Il senso di un percorso trova il suo fine nella realizzazione di ciò che aveva spinto il suo movimento iniziale: il senso alla luce dell'amore.
Con ragione, quindi, Fides et ratio può affermare: "L'uomo si trova in un cammino di ricerca, umanamente interminabile: ricerca di verità e ricerca di una persona a cui affidarsi. La fede cristiana gli viene incontro offrendogli la possibilità concreta di vedere realizzato lo scopo di questa ricerca. Superando lo stadio della semplice credenza, infatti, essa immette l'uomo in quell'ordine di grazia che gli consente di partecipare al mistero di Cristo, nel quale gli è offerta la conoscenza vera e coerente del Dio Uno e Trino. Così in Gesù Cristo, che è la Verità, la fede riconosce l'ultimo appello che viene rivolto all'umanità, perché possa dare compimento a ciò che sperimenta come desiderio e nostalgia" (33).
(©L'Osservatore Romano - 18 ottobre 2008)