martedì 28 ottobre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Messaggio di Maria a Medjugorje del 25 ottobre 2008
2) Un libro per salvare Eluana - Sarà presentato il 29 ottobre presso la Sala stampa della Camera dei Deputati - di Antonio Gaspari - ROMA, lunedì, 27 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Verrà presentato mercoledì 29 ottobre, alle ore 11,00, a Roma presso la Sala stampa della Camera dei Deputati, il libro “Eluana è tutti noi. Perché una legge e perché non al ‘testamento biologico’” scritto da Carlo Casini - già magistrato, Presidente del Movimento per la Vita (MpV) -, Maria Luisa di Pietro - membro del Comitato Nazionale di Bioetica e Presidente di Scienza & Vita - e da Marina Casini - ricercatrice di Bioetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore - .
3) Appello al Presidente del Consiglio per salvare Eluana - di Antonio Gaspari - ROMA, lunedì, 27 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Paolo Deotto, coordinatore di un Forum on line dal titolo “ideologia ed eutanasia”, connesso al sito creato da don Beniamino Di Martino (www.storialibera.it), ha inviato una lettera aperta al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per salvare Eluana Englaro.
4) Scuola, ideologia, cultura - Autore: Mons. Luigi Negri Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Il Resto del Carlino, 28 ottobre 2008
5) Parola di Dio e libertà umana - Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it
6) La scure della Gelmini sulle scuole private - Giorgio Vittadini - martedì 28 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
7) SCUOLA/ Dal «disagio» del Sessantotto a quello di oggi - Redazione - martedì 28 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
8) SCUOLA/ La bottega dell’apprendista insegnante - Associazione Foe - martedì 28 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
9) In che modo lo Stato deve intervenire per risolvere la crisi economica? E chi deve ristabilire la “fiducia”? - Sussi Dario – IlSussidiario.net


Messaggio di Maria a Medjugorje del 25 ottobre 2008
Cari figli, vi invito tutti in modo speciale a pregare per le mie intenzioni affinché attraverso le vostre preghiere si fermi il piano di Satana su questa terra, che é ogni giorno più lontana da Dio, e mette se stesso al posto di Dio e distrugge tutto ciò che é bello e buono nell’anima di ognuno di voi. Per questo, figlioli, armatevi con la preghiera e il digiuno affinché siate consapevoli di quanto Dio vi ama e fate la volontà di Dio. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.


Un libro per salvare Eluana - Sarà presentato il 29 ottobre presso la Sala stampa della Camera dei Deputati - di Antonio Gaspari - ROMA, lunedì, 27 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Verrà presentato mercoledì 29 ottobre, alle ore 11,00, a Roma presso la Sala stampa della Camera dei Deputati, il libro “Eluana è tutti noi. Perché una legge e perché non al ‘testamento biologico’” scritto da Carlo Casini - già magistrato, Presidente del Movimento per la Vita (MpV) -, Maria Luisa di Pietro - membro del Comitato Nazionale di Bioetica e Presidente di Scienza & Vita - e da Marina Casini - ricercatrice di Bioetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore - .
Il libro edito dalla Società Editrice Fiorentina (www.sefeditrice.it) ricostruisce la dolorosa vicenda di Eluana Englaro, mettendo in risalto i rischi e le conseguenze di una passiva accettazione del distacco del sondino che alimenta e idrata la ragazza.
Il volume si interroga se sia necessaria una legge per salvare Eluana da una morte per fame e sete, quali siano le caratteristiche che dovrebbe avere, e se ci si debba limitare a intervenire sul fine vita o piuttosto introdurre il testamento biologico.
In alcune dichiarazioni a ZENIT, il Presidente del Movimento per la Vita ha affermato che “il caso di Eluana è una prova di come, sulle grandi questioni bioetiche, si continui a praticare una cultura di riduzione dell’umano, e si proceda ancora sulla base di ricostruzioni in­coerenti”.
Alla domanda su quali sono i casi di incoerenza, Casini ha preso ad esempio il famoso sondino usato per alimentare Eluana. Rivolgendosi ai giuristi ha chiesto: “Perché se lo toglie un cittadino è omicidio e se lo toglie un me­dico si vuole che non lo sia?”.
Sulla condizione vegetativa della Englaro, il Presidente del MpV si è chiesto “perché si continui a parla­re di Eluana come di una don­na che ha un elettroencefalo­gramma piatto, mentre la stes­sa Cassazione ha riconosciuto che la signorina Englaro è per­sona vivente e non prossima al­la morte”.
Ed ha aggiunto: “E’ questa differenza che rende impossibile, ad esempio, l’espianto degli organi. Infatti, se la condizione di Eluana fos­se considerata sufficiente per interrompere la vita si dovreb­be riformare la stessa normati­va sui trapianti”.

Casini ha precisato che Eluana “è una persona con una disabi­lità gravissima, ma, una persona vivente e non prossima alla morte”.
“Non è giusto che Eluana muoia per fame e per sete – ha sottolineato –. Eluana ha diritto all’assistenza che le è sempre stata amorevolmente prestata” perché “è sulla capacità di assistere le persone malate e in una condizione di disabilità che si misura la civiltà di una comunità”.
“Se una legge si deve fare – ha concluso Casini – che sia una legge di solidarietà e assistenza. Non una legge che condanna a morte i soggetti che una certa cultura indica come ‘inutili’ magari con il pretesto della ‘autodeterminazione’”.


Appello al Presidente del Consiglio per salvare Eluana - di Antonio Gaspari - ROMA, lunedì, 27 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Paolo Deotto, coordinatore di un Forum on line dal titolo “ideologia ed eutanasia”, connesso al sito creato da don Beniamino Di Martino (www.storialibera.it), ha inviato una lettera aperta al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per salvare Eluana Englaro.
La lettera, su cui si stanno raccogliendo adesioni, riporta anche il parere qualificato degli avvocati Carlo Cigolini e Luigi Torre, di Genova, per una ipotesi di testo legislativo volto a difendere la vita di Eluana Englaro.
Nella lettera inviata la Presidente del Consiglio, si spiega che Eluana Englaro “non è affetta da alcuna patologia, né si può individuare alcun ‘accanimento terapeutico’ nel suo caso” e che, sospendendo l'alimentazione, la si condannerebbe “a una morte atroce, per fame e sete”.

“Sicché - continua la missiva - potremmo arrivare alla situazione assurda e disumana della magistratura che pronuncia una sentenza che è, nei fatti, una condanna a morte, senza alcuna legge che supporti questa decisione”.

Il signor Deotto spiega che sul sito di “Storia Libera” e sui forum ad esso collegati sono già stati lanciati appelli per scongiurare “questa barbarie”.
E si chiede: “L'Italia, Paese di grande civiltà, può forse consentire che, in base a una decisione moralmente inaccettabile e giuridicamente assurda, sia tolta la vita a una innocente?”.
Si ricorda anche che “le suore che da anni si prendono amorevolmente cura di Eluana Englaro hanno più volte ribadito il loro desiderio di continuare nel loro caritatevole impegno, hanno supplicato di non commettere un crimine che non troverebbe alcuna giustificazione”.

Nella lettera si propone poi l’articolo unico di una ipotesi legislativa, così come proposta dagli avvocati Carlo Cigolini e Luigi Torre, di Genova, secondo cui “ salvo contraria disposizione di legge che deroghi espressamente alla presente norma, l'autorità giudiziaria, di qualunque sede, grado e competenza, non ha in alcun caso il potere di autorizzare chicchessia a causare, direttamente od indirettamente, con comportamento attivo od omissivo, la morte di una persona”.
All’articolo due: “Ogni provvedimento emesso in violazione del comma 1, ancorché in data precedente all'entrata in vigore della presente legge, è nullo e privo di efficacia discriminante della condotta penalmente rilevante di chi vi avesse dato esecuzione o in qualunque modo vi avesse concorso”.

Inoltre gli avvocati Cigolini e Torre aggiungono questa considerazione: “In un caso come questo in cui ci sono sia la gravità (per la materia, vita o morte) sia l'urgenza (per l'irreversibilità degli effetti di una eventuale esecuzione), ben potrebbe il governo introdurre tale norma con decreto legge nel rispetto dei requisiti posti dall'art. 77 della costituzione”.


Scuola, ideologia, cultura - Autore: Mons. Luigi Negri Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Il Resto del Carlino, 28 ottobre 2008
martedì 28 ottobre 2008

Pubblichiamo questo articolo di Mons. L. Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro, per un utile approfondimento della questione scolastica, che occupa le prime pagine dei giornali.
Ho vissuto per quarant’anni nell’ambito dell’educazione e della scuola e mi sono occupato a fondo della libertà dell’educazione in Italia.
Intervengo per dire qualcosa di serio e di costruttivo che dia un po’ di dignità e ragionevolezza, cioè andando oltre quello che vediamo e sentiamo ogni giorno.
Abbiamo proprio visto di tutto: bambini che sfilano in corteo sotto striscioni che fanno fatica a leggere, insegnanti in lutto, politici che sproloquiano nelle scuole dell’infanzia, i reduci del ’68 che si infiltrano nei cortei come per prendere una boccata di ossigeno che allontani di qualche tempo l’ineluttabile “rigor mortis”.
Così il “virtuale” si è sostituito al reale: ed in un’orgia di isterismo e disinformazione abbiamo dimenticato la realtà quotidiana.
La realtà quotidiana è che nella scuola italiana si fa fatica a studiare e ad imparare perché l’insegnamento si è dequalificato. Abbiamo dimenticato che nella scuola italiana si può morire di spinello durante le ore di scuola; che durante gli intervalli si filmano scene di sesso che vengono poi inviate ormai a vari siti; che in certe scuole, non poche, durante l’intervallo gli insegnanti stanno tappati nell’aula professori per evitare violenze non solo verbali; che presidi e professori sono stati malmenati da genitori e studenti per protesta a certe valutazioni scolastiche; che più di una volta i carabinieri sono entrati in varie scuole ad arrestare studenti spacciatori di droga. Questa non è tutta la realtà, ovviamente, ma è un pezzo della realtà scolastica che dovrebbe interpellare tutti, soprattutto gli adulti, seriamente. Alcune delle cose predisposte dal Ministro – ovviamente mi evito un giudizio analitico che non mi compete – mi sembrano dettate dalla più grande virtù del popolo italiano: il buon senso. Comunque bisogna proprio riconoscere che in Italia sono impossibili due cose parlare male di Garibaldi e tentare di riformare la scuola. La scuola dello Stato Italiano fa corpo totalmente con l’idea della Nazione e dello Stato ed ha costituito negli ultimo 150 anni del nostro paese una sorta di liturgia di questo universale culto dello Stato.
La verità è che la scuola italiana è sempre stata al servizio non della Cultura, ma della ideologia dominante. Così abbiamo avuto la scuola unitaria e liberale e poi la scuola fascista e poi la scuola azionista e socialista. I cattolici sono stati così improvvidi che negli anni ’50 e ’60 hanno tirato fuori la strampalata teoria della scuola “neutra” che ha favorito la sua occupazione da parte delle più diverse ideologie rivoluzionarie e negative. Abbiamo avuto la scuola marxista e neo-marxista e radicaleggiante: e adesso abbiamo la scuola tecno-scientista.
Mi sembra venuto il momento di andare, se possiamo e vogliamo, oltre questo schema ideologico e ricordarci che la scuola non deve servire nessuna ideologia ma la cultura: cioè l’istanza di senso ultimo, di verità, di bellezza e di giustizia che caratterizzano la coscienza dell’uomo nel suo porsi immediato.
Allora forse ci si renderà conto che la scuola deve essere un ambito di convivenza libera, fra culture diverse (perché nel nostro Paese ci sono ormai culture diverse) e la convivenza libera e impegnata di queste culture deve sostenere un insegnamento, a tutti i livelli, appassionatamente critico: cioè formatore di personalità critiche.
Potrà apparire allora assolutamente legittimo e necessario il formarsi di un sistema scolastico che, gestito dallo Stato, sia libero e pluralistico nelle sue articolazioni educative, culturali e didattiche. Senza pluralismo educativo e scolastico muore la democrazia: perché la democrazia è anzitutto un costume, un dialogo profondo, libero e rispettoso fra culture diverse, che proprio nella consapevolezza critica della propria diversità contribuiscono al bene comune del Paese.
Marco Minghetti, ministro della Pubblica Istruzione del neonato Regno di Italia concludeva il dibattito parlamentare sullo stato dell’istruzione del Paese nel 1864 con queste parole: “In linea di principio sarebbe meglio un sistema di libertà scolastica, ma se ne approfitterebbero i clericali”.
Dobbiamo amaramente riconoscere che la questione scolastica, in Italia, è ferma a queste parole.
Nel dibattito (si fa per dire) che si è acceso in questi mesi tre personalità (e non della “mia parrocchia”) mi hanno colpito per l’intelligenza, la libertà e l’equilibrio con cui sono intervenute: Luigi Berlinguer, Giampaolo Pansa ed Aldo Forbice. Oltre ovviamente il Presidente della Repubblica Giorgio Napoliotano, cui va la mia gratitudine di cittadino italiano e di vescovo della Chiesa Cattolica.
+ Luigi Negri, Vescovo di San Marino - Montefeltro


Parola di Dio e libertà umana - Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it
martedì 28 ottobre 2008
Un’obbedienza alla Parola di Dio che non è attacco alla libertà ma sviluppa tutte le possibilità della nostra libertà
«Il Sinodo sta per finire, ma il camminare insieme sotto la guida della Parola di Dio continua. In questo senso, siamo sempre anche in “sinodo”, in cammino comune al Signore sotto la guida della Parola di Dio.
L’Instrumentum laboris aveva parlato di polifonia delle Sacre Scritture. E mi sembra possiamo dire adesso, nei contributi di questo Sinodo, abbiamo anche sentito una bella polifonia, una sinfonia della fede, con tanti contributi, anche da parte dei delegati fraterni. Così abbiamo realmente sentito la bellezza e la ricchezza della Parola di Dio» [Benedetto XVI, Saluto al termine del pranzo, 25 ottobre 2008].

E’ stata anche una scuola dell’ascolto. “Abbiamo ascoltato gli uni gli altri – ha osservato Benedetto XVI -. E’ stato un ascolto reciproco. E proprio ascoltandoci gli uni e gli altri abbiamo imparato meglio ad ascoltare la Parola di Dio. Abbiamo fatto esperienza di come sia vera la parola di san Gregorio Magno: la Scrittura cresce con chi la legge. Solo alla luce delle diverse realtà della nostra vita, solo nel confronto con la realtà di ogni giorno, si scoprono le potenzialità, le ricchezze nascoste della Parola di Dio. Vediamo che nel confronto con la realtà si apre in modo nuovo anche il senso della Parola che ci è donata nelle Scritture. Ci siamo realmente arricchiti. Abbiamo visto che nessuna meditazione, nessuna riflessione scientifica può da sé tirare fuori da questa Parola di Dio tutti i tesori, tutte le potenzialità che si scoprono solo nella storia di ogni vita. Così siamo realmente arricchiti. Non so se il Sinodo è stato più interessante o edificante. In ogni caso è stato commovente. Siamo arricchiti da questo ascolto reciproco. Nell’ascoltare l’altro, ascoltiamo meglio anche il Signore stesso. E in questo dialogo dell’ascoltare impariamo poi la realtà più profonda, l’obbedienza alla Parola di Dio, alla conformazione del nostro pensiero, della nostra volontà al pensiero e alla volontà di Dio. Un’obbedienza che non è attacco alla libertà ma sviluppa tutte le possibilità della nostra libertà”.
E’ una descrizione della metodologia vissuta dell’ascolto personale prima e quindi comunitario poi della Parola di Dio, esperimentando un’obbedienza che non è attacco alla libertà, ma che sviluppa tutte le possibilità della nostra libertà. Certo per capire questo sinodo ci sarà molto da studiare e tutti, ecclesiastici e laici, lo dovremmo fare. Ma nessuna meditazione, nessuna riflessione scientifica può da sé tirare fuori da questa Parola di Dio tutti i tesori, tutte le potenzialità che si scoprono nella creazione, nella storia umana, nella particolare storia di Israele con la testimonianza delle Scritture, nel Nuovo Testamento con il Verbo, la Parola in persona fatta carne, risorto presente nell’Eucaristia e che agisce sacramentalmente nel suo corpo, in vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidata che è la Chiesa. Quindi non è tanto il sinodo da capire come interessante, ma il metodo commovente per il tema e il ruolo che la lettera di amore o immediatamente evidente o da scoprire che la Sacra Scrittura ha ricoperto o dovrà sempre più ricoprire in futuro all’interno della vita e della missione della Chiesa.
Tra i 253 Padri sinodali, di cui 32 nominati direttamente dal Papa, con 41 esperti e 37 uditori lavorare, camminare insieme sotto la guida della Parola di Dio non è stato scontato, è stato impegnativo, agli inizi anche un po’ duro come lo sarà, anche alla luce del documento post-sinodale, per tutta la Chiesa nella cui coscienza non è ancora entrata completamente una delle quattro più importanti Costituzioni conciliari cioè la Dei Verbum, per cogliere la Parola di Dio nel creato, nella storia umana, nella fede professata, vissuta e pregata in tutta la Tradizione, soprattutto celebrata nella liturgia. Cogliere, capire, seguire questa Parola di Dio, questa presenza continua del Verbo incarnato e risorto non accade in modo spettacolare da costringere cioè senza libertà e quindi senza amore. Ed è sempre in agguato la tentazione, anche nel vissuto ecclesiale, di prenderla ciascuno a modo proprio.
Sulla Bibbia a volte si è questionato troppo, ci si è fermati quasi esclusivamente sull’analisi storico critica, letteraria, pur necessaria, senza sviluppare altrettanto la dimensione spirituale, teologica della Lectio divina. Altre volte è rimasta ai margini, affogata tra le devozioni particolari, pur pastoralmente molto importanti a livello popolare a cominciare dai pellegrinaggi e dal rosario. La Sacra Scrittura in ogni famiglia non va dimenticata sugli scaffali o riservata agli specialisti del suo passato. Nell’incertezza di questo periodo storico e di questa società, con l’aiuto della certezza della fede completa della Chiesa che il Catechismo e il suo Compendio offrono, della sua chiarezza e bellezza che rendono luminosa la vita dell’uomo anche oggi, urge la prassi della Lectio divina in ogni famiglia. Essa si apre con la lettura coinvolgendo i figli, magari quotidiana, di un testo con l’interrogativo: cosa mi dice il testo, aiutati dalle note bibliche di un’esegesi canonica? Che cosa dice, meditandola, ruminandola, Dio a noi, a ciascuno personalmente? Pregandola che cosa diciamo noi, ciascuno di noi al Signore in risposta alla sua Parola oggi, in questo momento storico, con queste circostanze? E contemplandola in silenzio quale conversione della mente, dell’orizzonte di vita, del cuore?
Veramente Benedetto XVI rilanciando uno dei capisaldi della riforma conciliare racchiuso nella Dei Verbum dà la possibilità unica pastoralmente di riscoprire Dio al centro dei propri pensieri e delle proprie azioni in questo contesto di secolarizzazione, di relativismo imperante, di trasgressività etico – morale da evangelizzare. E’ stato lo stesso successore di Pietro a guidare la svolta di percezione della Parola di Dio soprattutto nella testimonianza delle Scritture che la Chiesa in continuità non può non richiedere, radicandola nella storia umana anche attuale nella consapevolezza della presenza del Risorto: è Lui che parla quando soprattutto liturgicamente si leggono le Scritture nell’annuncio, nella comprensione della catechesi, nella dimensione profetica dell’omelia.
Dal 5 ottobre, inizio del Sinodo quando la comunicazione sociale era tutta presa da una crisi finanziaria inattesa e sconvolgente, Papa Benedetto ha avuto il coraggio di riporre in Dio e nella sua Parola in Persona le basi di fiducia anche nel presente superando ogni tentazione idolatrica del denaro, pur necessario. E’ stata una svolta coraggiosa di prospettiva anche per la pastorale cattolica ad ogni livello.
In un secondo momento, il 14 ottobre, con un intervento a braccio di otto minuti, riportato dall’Osservatore Romano, durante il libero dibattito quotidiano, ha chiarito che occorre fare il salto di qualità perché il vissuto ecclesiale di comunione fraterna apostolico e missionario possa essere riconosciuto ecumenicamente e nel dialogo interreligioso e culturale da tutti come testimone dell’amore di Dio, leggendo, ascoltando, pregando, contemplando Dio, amico dell’intelligenza, che parla a ciascuno e all’umanità tutta. Ha chiesto l’urgenza di mettere insieme, sia a livello accademico per poterlo fare a livello pastorale, i due piani di comprensione, quello scientifico – noto ormai come metodo storico-critico – e quello spirituale e teologico, che aiuta a cogliere la Parola di Dio, Dio in persona che parla anche oggi come allora attraverso la fede soprattutto, anche se non esclusivamente,nella testimonianza delle Scritture.
I partecipanti dell’assemblea sinodale, come emerge dalle 55 proposizioni e dal lungo Messaggio del Sinodo al Popolo di Dio, se ne sono resi conto gradualmente, offrendo al Papa il materiale da far confluire in un documento per tutta la Chiesa e immediatamente, soprattutto con il messaggio, un testo da “studiare, approfondire, presentare” in fatti concreti.
Il messaggio lancia un obiettivo molto concreto: in ogni casa la sua Bibbia per una Lectio quotidiana da comprendere con il Catechismo e il suo Compendio per rendere familiare l’ascolto dell’unico libro dei 73 cioè il Cristo Crocefisso risorto, con una attenzione tutta particolare ai giovani da innamorare della Parola di Dio nello sviluppo educativo alla fede professata, celebrata, vissuta, pregata anche con la Liturgia delle ore. Si tratta di quell’essenzialità della fede con cui Gesù con le parabole rendeva semplici insegnamenti difficili.
La Parola di Dio ha spinto i Padri sinodali ad un appello per la giustizia e la pace nelle regioni d’Oriente: Terra Santa, Libano, Iraq, India.


La scure della Gelmini sulle scuole private - Giorgio Vittadini - martedì 28 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Una certa mitologia ideologica che sta alimentando lo sciopero del 30 e che viene ad arte replicata nelle manifestazioni degli studenti, afferma che i tagli alla scuola pubblica sono fatti per finanziare la scuola privata. Ma non è così. Nel “Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009 e il bilancio pluriennale per il triennio 2009-2011” la voce complessiva riguardo l’istruzione è aumenta di 656milioni di euro: all’istruzione primaria andranno oltre 242milioni di euro in più, all’istruzione secondaria di primo grado 228milioni di euro in più, all’istruzione secondaria di secondo grado 395milioni di euro in più. Invece, il capitolo di bilancio riguardo l’istituzione scolastica non statale passa dai 535milioni e 318mila euro del 2008 ai 401milioni e 924mila euro per le previsioni del 2009, ovvero 133milioni e 393mila euro in meno. Inoltre, la voce “istruzione non statale” prevede per il 2010 una cifra pari a 406milioni e 121mila euro e per il 2011 la cifra di 312milioni e 410mila euro.
C’è da precisare inoltre che la riduzione non riguarda le scuole medie e superiori, ma la scuola materna e la scuola elementare, livelli di scuola che hanno sempre ricevuto fondi statali. Sono scuole gestite da ordini religiosi o cooperative di famiglie, situate nei quartieri periferici e nei paesi a cui molte famiglie “del popolo”, spesso poco abbienti, mandano i figli perché sanno che vengono assicurati nello stesso tempo un’educazione ricca di ideali ed un alta qualità di insegnamento. Accolgono infatti ben 531.258 bambini su 1.652.689 della scuola dell’infanzia e 196.776 su 2.820.150 bambini della scuola primaria. Determinate è il loro contributo al buon livello qualitativo raggiunto dalla scuole materne ed elementari italiane, sancito dalle inchieste internazionali.
Tuttavia, alla faccia della parità giuridica sancita dal ministro Berlinguer, non solo non si mette in programma di garantire l’effettiva libertà delle famiglie di scegliere le scuole paritarie attraverso detrazioni e deduzioni fiscali, ma le si vuole affossare definitivamente attraverso questi tagli di fondi che costringeranno le scuole ad aumentare le rette aggravando ulteriormente la situazione delle famiglie o addirittura a chiudere.
La legge 133/08 impone di ridurre il debito pubblico nazionale senza ricorrere all’aumento della pressione fiscale, rispettando così gli accordi internazionali e quindi i tagli anche per il comparto dell’istruzione sono inevitabili. Tuttavia, ogni ministero può decidere liberamente come effettuare i tagli ed è quindi ancora possibile correggere questa scelta, tanto più che il taglio medio imposto dal Ministero del tesoro a ogni ministero è del 10%, mentre i tagli previsti per la scuola libera sono del 25-30%!Per questo 40 deputati della maggioranza hanno firmato un emendamento che propone di effettuare riduzioni di spesa del Ministero della pubblica istruzione in settori meno strategici. Sono pronti a votarlo anche molti deputati dell’opposizione, consci che si tratta di battaglia bipartisan di tante famiglie per la difesa della “biodiversità” della scuola italiana. Chi, sia nel mondo cattolico che in quello laico si astiene dal prendere posizione, sia conscio di collaborare all’ulteriore desertificazione della scuola italiana, per il male di tutti.
Il Riformista, 28 ottobre 2008


SCUOLA/ Dal «disagio» del Sessantotto a quello di oggi - Redazione - martedì 28 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
«Quando sono cominciate le agitazioni, ci siamo mossi spinti da un disagio più o meno generico e imprecisato che sentivamo verso la scuola. È un disagio che tutti avvertiamo, chi in maggiore chi in minore misura; ma quando questo disagio non è più sentito dal singolo studente verso il singolo professore, ma da tutta la massa studentesca verso l’autorità scolastica, allora comincia a nascere una coscienza di categoria che determina fra sé e la controparte uno stato di tensione». Non è una frase scritta in questi febbricitanti giorni di subbuglio scolastico. È tratta dal Bollettino del Movimento studentesco del Manzoni, un liceo milanese, del giungo 1968.
Su il Sussidiario di venerdì scorso Giovanni Cominelli concludeva il suo editoriale a commento di quanto sta avvenendo nelle scuole con queste parole: «Il rischio che si profila è il passaggio dal disagio alla rabbia».
È chiaro che i paralleli storici sono sempre impropri e che, quindi, non vale la pena stare a disquisire se e quanto le proteste studentesche di questi giorni configurino un movimento di protesta paragonabile a quello di quarant’anni fa. Ed è singolare che l’ondata delle rievocazioni del «formidabile» «anno degli studenti» (definizioni rispettivamente di Mario Capanna e Rossana Rossanda) cui abbiamo assistito prima dell’estate si sia smorzata proprio in questo autunno che ha visto montare la protesta studentesca. Pur di non citare il Sessantotto, un quotidiano ha addirittura riesumato, come antecedente storico dell’attuale momento, il lontanissimo (e pressoché sconosciuto agli studenti) 1848. L’accostamento delle due frasi suggerisce, comunque, alcune riflessioni.
Anzitutto la constatazione che c’è un «disagio». Per quanto «generico e imprecisato» allora, per quanto soffocato dalla musica degli ipod e dalla massa delle sollecitazioni esterne ora, il disagio è la cifra con cui gli studenti leggono la propria condizione. Da anni si è imposta una espressione che descrive in modo pregnante la vera questione: «emergenza educativa». Il disagio manifestato dagli studenti ne è una spia drammatica ed ogni ipotesi di cambiamento (o di mantenimento dello status quo) che non prenda in considerazione quella emergenza è una violenza nei confronti dei giovani. Del resto proprio l’incapacità del mondo adulto di rispondere alla domanda di autenticità che saliva dagli studenti è stata una delle cause della deriva giovanile che ha fatto seguito all’impeto iniziale del Sessantotto. Una deriva, non dimentichiamolo, che ha voluto dire violenza, anni di piombo, ma anche reazioni evasive in paradisi più o meno artificiali. Tutte forme della «rabbia» citata da Cominelli.
Qui si pone una seconda questione che la frase degli studenti del Manzoni evoca. È evidente che ad un certo punto il loro disagio ha trovato un facile canale interpretativo e una semplicistica ipotesi di soluzione: l’ideologia. Tutti gli storici del Sessantotto mettono in rilievo che l’inizio della protesta ha avuto un carattere, diciamo così, riformista: si voleva una scuola più democratica e aperta all’attualità, una formazione meno libresca, una maggior libertà di espressione. Ad un certo punto avvenne però una svolta: raggiunti dalle formulazioni ideologiche degli universitari, gli studenti delle superiori hanno cominciato a dirsi e a dire che quel loro «disagio» poteva trovare adeguata lettura solo all’intero di una analisi generale della società, che non bastava ottenere dei miglioramenti immediati ma occorreva contestare globalmente il sistema, che era giunto il momento «fare la rivoluzione» per costruire un nuovo assetto sociale ed economico non capitalista. I criteri di interpretazione della società e gli strumenti per cambiarla sono stati forniti dal marxismo, nelle sue multiformi espressioni, dall’ortodossia leninista al maoismo. Insomma, quarant’anni fa il passaggio dal disagio alla rabbia è stato mediato dalla lente distorcente dell’ideologia marxista. Non è facile prevedere se anche oggi si replicherà un fenomeno analogo. Da più parti si dice che le ideologie sono finite, ma non ne sarei così convinto. Se l’ideologia è la sovrapposizione di una idea interpretativa alla semplicità del dato reale, è facile immaginare che anche oggi «cattivi maestri» tenteranno di imporre sul disagio dei giovani le loro idee (magari non strutturate come il defunto marxismo, ma più soft) e, forse anche, di sfruttarne la rabbia.


SCUOLA/ La bottega dell’apprendista insegnante - Associazione Foe - martedì 28 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Va educata l’umanità degli apprendisti insegnanti, invitandoli – in un rapporto condiviso con i maestri artigiani – a vivere tutti i giorni:
a) un’indomita quotidiana passione per il reale ;
b) una certezza ideale alimentata dall’esperienza di un io che va alla ricerca ogni giorno delle ipotesi di soluzione alle esigenze costitutive del proprio “ cuore” (Giussani) ;
c) un concepirsi in unità con la compagnia del soggetto educante a cui comincia ad appartenere. Allora gli apprendisti imparano a rischiare la totalità del loro io, sia nello specifico della didattica che nello sguardo, pieno di realismo, verso i ragazzi; imparano, vivendo, che l’etimologia del loro mestiere implica un “magis” (di più) che impregna l’etimologia della parola “ magister”, mentre quella dei loro allievi ha insito nel termine “discepolo” il verbo “ discere” (imparare)
Gli apprendisti imparano ad essere autorevoli (non autoritari né permissivi) se pongono in classe una “presenza” (adsum, adesse,, sono di fronte a te) ; tale presenza è fatta dei punti A,B,C soprascritti; essa è confortata di una compagnia educativa che li precede, li sostiene, li rilancia continuamente verso il compito educativo e didattico che è stato loro affidato; cioè sono chiamati ad “esserci” per “e-ducere” (far venire fuori) il “tu” dell’alunno. Gli apprendisti incanalano l’istintività, addestrano la libertà del discepolo dentro l’alveo di un percorso che promette loro una conoscenza conveniente, interessante, che li farà diventare grandi. Gli apprendisti sono gli argini entro cui il torrente dell’adolescenza dei ragazzi non deborda; nello stesso tempo costituiscono il sentiero che il discepolo percorre per non restare, come Peter Pan , nell’Isola che non c’è.
La didattica s’impara nella bottega quotidiana dell’opera, guardando e seguendo i maestri che :
- ti mostrano quali siano i nodi irrinunciabili del programma della disciplina che devi spiegare e consegnare alla ragione e al cuore dei discepoli
- ti fanno imparare come si usa un manuale, quali parti del capitolo , quali documenti soprattutto vanno svolti durante la lezione;
- ti mostrano come deve essere usato uno strumento attinente la tua disciplina, come va preparato, declinato e vissuto un gesto capace di rendere gli alunni protagonisti del sapere che hanno acquisito
- ti fanno vedere come si articolano i tempi e i linguaggi della lezione, qualunque sia l’argomento che devi trattare
- oppure i maestri stessi fanno agli apprendisti una “lectio magistralis”, su che cosa? Per esempio su alcuni contenuti significativi della tradizione pedagogica, didattica dell’opera: per cui una “ lectio” sulla civiltà medioevale, sulle stelle, sull’affettività adolescenziale, sul rapporto sogno/realtà, sull’impressionismo, su Leopardi, Manzoni, Dante Alighieri, Ungaretti, Montale etc…
- infine , ti mostrano come si mantiene la disciplina in classe, il valore della regola, della sanzione che va applicata senza mai dimenticare che, subito dopo, all’alunno va consegnata una strada su cui ricominciare, così che egli non sia mai definito dal suo errore, ma rilanciato sempre dentro un’ipotesi di positività , su cui rilanciare l’uso della sua libertà, della sua ragione, del suo cuore.
Succede che i giovani apprendisti di questo mestiere facilmente si scoraggino di fronte alla drammaticità quotidiana del lavoro educativo-didattico: la delusione delle aspettative, la disattesa di certi progetti, la non corrispondenza affettiva o intellettiva dei discepoli….. i maestri aiutano gli apprendisti a capire che questo affascinante mestiere s’impara nel tempo, dentro un’esperienza fatta di apparenti sconfitte per giungere ad una meta che ancora non si vede, ma che si raggiungerà, nella misura in cui si va in classe sempre a partire da un desiderio e non da un dovere, dallo svolgimento di una mera funzione.
Non si tratta di essere adeguati ai ragazzi, alla materia che s’insegna, ma a se stessi; quella che conta è sempre la lealtà con la propria umanità, è l’impeto appassionato quotidiano con cui l’apprendista vive la passione per il reale : questa è la carta vincente
Sappia l’apprendista che l’errore professionale , il difetto o l’eccesso di sguardo sul discepolo sono le forche caudine da cui passa tutti i giorni e non deve mai scandalizzarsi degli errori della propria strategia didattica o della connivenza sentimentale con i discepoli; questi errori vanno sempre riconosciuti (ringraziando i maestri che te li fanno notare, ma che ti confortano nel riprendere il cammino); questi errori non sono l’obiezione per trasformarsi da impacciati apprendisti e maestri veri; questi errori sono la condizione, attraverso cui passare per diventare autentici educatori.
(Giovanni Mocchetti)


In che modo lo Stato deve intervenire per risolvere la crisi economica? E chi deve ristabilire la “fiducia”? - Sussi Dario – IlSussidiario.net
lunedì 27 ottobre 2008
Gli interessanti articoli di Tarantini e Giannino sulla crisi finanziaria, l’intervento dello Stato e la necessità di ripristinare la fiducia, hanno provocato molti commenti, che hanno in comune un elemento un po’ trascurato nelle analisi di questi giorni.
Cominciamo da Maurizio Rampinelli: «…hanno ragione Graziano Tarantini e Oscar Giannino e tanti altri …a dire che lo Stato non è un buon manager o imprenditore (Alitalia docet), ma perchè assieme allo Stato non si chiede di farsi da parte anche al management di quelle banche che hanno fatto un po' male i conti? E' troppo facile, dopo che lo Stato ha salvato situazioni "difficili" che siano sempre "lor signori" che quelle stesse situazioni hanno contribuito a creare, a risalire sulla plancia di comando (sempre Alitalia docet: quanti manager che hanno contribuito ad affossare Alitalia hanno preso buonuscite da capogiro invece che pedate nel "di dietro" e oggi magari sono ancora a dirigere altre "imprese" statali e non)!»
Credo che sia una posizione condivisa dalla maggioranza degli italiani: è probabile che lo Stato debba intervenire, anche se questo costerà a tutti, è altrettanto probabile che lo Stato debba uscire al più presto, per evitare che continui a costare a tutti, ma paghi anche chi è responsabile dello sfascio. Posizione ragionevole, punto di partenza di ogni discorso sui sistemi e sulla loro bontà o meno.
Ecco altri stralci dai commenti: «Per quanto ancora lo Stato dovrà "ridare agibilità alla liquidità interbancaria" cioè soldi e favori, ai signori della finanza e delle banche (so che ci sono anche persone degne e onorevoli in questi settori, io sto parlando degli altri, che non sono pochi)?» (Andrea Gualandi); «Lobbies interessate hanno spinto la privatizzazione e riduzione dei controlli, i conflitti di interesse tra controllati e controllanti, la ridicolizzazione dei reati e delle pene, la riduzione della sicurezza sul lavoro» (Gaetano Greco)
Emerge la esigenza della responsabilità, intrinsecamente connessa alla autorità: «Lo Stato è necessario per una convivenza civile e si deve basare su leggi non solo naturali, ma anche su quelle positive (non passare col rosso, ad esempio). Queste regole ci devono essere, soprattutto quando i bambini sono capricciosi e in malafede, come i grandi finanzieri attuali, che hanno creato strumenti economici devastanti» (Michele Maioli); «Lo Stato faccia il regolatore ma sia anche autorevole e credibile: individui se ci sono e di chi sono le responsabilità visto che ha (abbiamo) sborsato diversi soldini» (Giuseppe Soli); «Le nostre aspirazioni non possono ledere le altrui e purtroppo oggi scontiamo tutti una finanza globale leggera e con ambizioni paradisiache per pochi eletti» (Paola Corradi).
Efficace il parallelo fatto da Michele Maioli tra i bambini e i grandi finanzieri. Quando un bambino fa un capriccio è perché vuol seguire la sua voglia del momento, senza tener conto di ciò che la realtà, o i genitori, imporrebbero. Sostituite al leccalecca l’eccessivo guadagno sul breve termine, ai genitori le regole e i parametri bancari, alla realtà di un probabile mal di pancia l’assunzione di rischi irrealisticamente elevati, e avrete la descrizione di gran parte di questa crisi. Un’altra buona parte è spiegabile dall’altro termine: malafede. Non vedo infatti quale altro termine si possa impiegare per chi ha messo sul mercato prodotti che ora tutti, comprese le autorità, definiscono “tossici”. Se chi inquina un fiume finisce in galera (o almeno rischia), altrettanto dovrebbe essere per chi ha inquinato un mercato essenziale per l’intera economia, come quello finanziario.
Un ultima citazione: «La fiducia la si dà a qualcuno e non al sistema. Il lavoro da fare è molto, su ogni promotore, su ogni dirigente di impresa finanziaria, su ogni imprenditore che si apre al mercato e, naturalmente, su ogni investitore. Il male non è né lo Stato né il mercato, ma piuttosto l'assenza di un loro orientamento al bene di tutti» (Paolo Careri).
Condivido pienamente questo commento: la fiducia ha da essere riposta nelle persone, così come sempre personale è la responsabilità. Fiducia e responsabilità sono due facce di una stessa medaglia: non si dà fiducia a un irresponsabile, e se qualcuno mi affida qualcuno o qualcosa, io ne divento responsabile. Ciò vale a maggior ragione per il mondo bancario e finanziario, che non può che essere basato sulla fiducia. Anzi, qui la fiducia è talmente radicata da diventare talvolta cieca.
Il punto è che con la progressiva virtualizzazione di molti rapporti, attraverso internet, e-mail, segreterie telefoniche, etc., la fiducia rischia di essere sempre più data a dei sistemi, senza una faccia che possa, appunto, ispirare fiducia. Ma la responsabilità non può che rimanere personale e tocca alle persone conquistare la fiducia anche per conto dei sistemi di cui sono responsabili. Anche lo Stato è un sistema e la responsabilità è anche qui delle persone che lo compongono ed è la più elevata, perché riguarda l’intera comunità. Paolo Careri indicava come male l’assenza di un orientamento al bene di tutti: è questo un punto su cui si dovrebbe attentamente riflettere, qualcuno magari recitare anche il mea culpa, e da questa riflessione non sono certo esclusi né politici, né operatori economici.