sabato 4 ottobre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 03/10/2008 10:51 – INDIA - Lalji Nayak, martire per la fede in Orissa - di Nirmala Carvalho - Con un coltello ficcato nel collo, minacciato di morte, non ha rinunciato alla fede cristiana. Ma vi sono anche altri che sotto minacce sono stati costretti a convertirsi all’induismo. Cristiani feriti assaliti anche in ospedale. Nel distretto di Kandhamal altri tre villaggi attaccati. I missionari di Madre Teresa vogliono tornare per prendersi cura dei lebbrosi e dei tubercolotici.
2) In Croazia diminuiscono gli aborti e crescono le famiglie - Dal 1985 al 2005 le interruzioni di gravidanza scese del 91,1%
3) Il Papa: la Humanae vitae è un grande "sì" alla bellezza dell'amore
4) Dopo “Il Tempo” anche “Il Giornale” scrive che mi sarei “arruolato” nel Pdl di Berlusconi: è tutto falso – Magdi Cristiano Allam
5) Il cardinale Lozano Barragán al congresso dei medici cattolici europei riuniti a Danzica - No a proposte di bioingegneria lesive della dignità umana – L’Osservatore Romano 4 ottobre 2008
6) 3 ottobre 2008 - La coscienza libera di De Monticelli è abissale fino a diventare un’incognita - La libertà di coscienza e l’abiura di una cristiana laica – Giuliano Ferrara, Foglio.it
7) 2 ottobre 2008 - Abiura di una cristiana laica - “Questo è un addio. E’ un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla Chiesa italiana. Monsignor Betori nega la coscienza e la libertà ultima di essere una persona. Si rende conto?” - di Roberta de Monticelli – Foglio.it
8) RISPETTOSA OBIEZIONE ALLA PROFESSORESSA DE MONTICELLI - Chiedo anch’io la libertà di coscienza. Altra cosa dall’auto-determinazione - GIUSEPPE BETORI – Avvenire, 3 ottobre 2008
9) SCUOLA/ Quante confusioni quando si parla di libertà di educazione - Vincenzo Silvano - sabato 4 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
10) HUMANAE VITAE 40 ANNI DOPO - Monsignor Melina, preside del «Giovanni Paolo II» ha tracciato un rapporto tra l’«Humanae vitae» e la «Deus caritas est». Dal vescovo Anfossi una riflessione pastorale «Profezia di libertà contro ogni relativismo» - Caffarra: un’enciclica di drammatica attualità, Avvenire, 4 ottobre 2008
11) Formigoni: nessuna regalia a chi sperpera i fondi - DA ROMA ARTURO CELLETTI , Avvenire, 4 ottobre 2008


03/10/2008 10:51 – INDIA - Lalji Nayak, martire per la fede in Orissa - di Nirmala Carvalho - Con un coltello ficcato nel collo, minacciato di morte, non ha rinunciato alla fede cristiana. Ma vi sono anche altri che sotto minacce sono stati costretti a convertirsi all’induismo. Cristiani feriti assaliti anche in ospedale. Nel distretto di Kandhamal altri tre villaggi attaccati. I missionari di Madre Teresa vogliono tornare per prendersi cura dei lebbrosi e dei tubercolotici.
Bhubaneshwar (AsiaNews) – Lalji Nayak, torturato per costringerlo ad abbandonare la sua fede cristiana, è morto 2 giorni fa a causa delle ferite riportate. Il p. Manoj Nayak, dell’episcopio di Bhubaneshwar lo definisce “un martire per la fede”.
P. Manoj racconta: “Loro [gli assalitori radicali indù] gli hanno infisso un coltello al collo, minacciandolo di ucciderlo se non rinunciava alla sua fede cristiana. Lalji, anche se era tutto ferito e sanguinante, ha rifiutato di abbandonare la sua fede. È morto il 1° ottobre all’ospedale”.
Il villaggio di Lalji Nayak, a Rudangia, è stato attaccato dai fondamentalisti indù il 30 settembre scorso, alle 4 di mattina. Rudangia è all’interno del distretto di Kandhamal, l’epicentro da cui è iniziato il pogrom contro i cristiani da oltre un mese.
Gli assalitori hanno sorpreso le famiglie cristiane nel sonno e hanno colpito le persone con asce, bastoni, lance e coltelli. Nell’assalto, una donna cristiana, Ramani Nayak, una madre di famiglia, è stata uccisa. Almeno 6 persone sono state ferite e ricoverate all’ospedale di Behampur. Fra un bambino di 8 anni con sua madre e lo stesso Lalji Nayak.
Lo stesso giorno in cui è morto Lalji, i feriti sono stati attaccati anche dentro l’ospedale. P. Oscar Tete, superiore dei Missionari della Carità, il ramo maschile dell’ordine di Madre Teresa, ha dichiarato ad AsiaNews: “Il 1° ottobre una folla inferocita è entrata all’ospedale di Berhampur creando disordine e confusione. Sono stati fermati solo un momento prima di attaccare i 6 feriti. Ormai i cristiani sono presi di mira anche negli ospedali”. Quest’oggi p. Tete trasferirà i feriti scampati al linciaggio nella Casa Madre Teresa di Bhapur Bazar, sempre a Berhampur.
P. Oscar Tete era il responsabile del lebbrosario Shani Nivas a Srashananda, nel distretto di Kandhamal, che è stato distrutto dai radicali indù il 24 agosto scorso, all’inizio del pogrom.
P. Oscar racconta i fatti di quel giorno: “Avevamo appena lasciato la casa che ospita i malati, quando è arrivata una folla enorme. Hanno bruciato completamente l’edificio in cui erano ospitati i lebbrosi e anche la cappella, appena ricostruita dopo le violenze del dicembre scorso. Gli estremisti hanno cominciato a picchiare i malati per far loro confessare dove eravamo nascosti. Poi hanno versato qualche agente chimico nei loro occhi e hanno distrutto anche la nostra casa. Nei giorni seguenti siamo riusciti a portare questi lebbrosi e tubercolotici prima al campo di rifugio di Udaigiri e poi nella casa Madre Teresa di Berhampur”.
Da allora, in Orissa e in altri stati si registrano ogni giorni violenze e distruzioni. Ieri pomeriggio 120 case di cristiani sono state bruciate nel distretto di Baudh, confinante con quello di Kandhamal. Gli abitanti sono fuggiti nella foresta.
P. Oscar Tete non dispera e vuole ritornare a Srashananda, per prendersi ancora cura dei lebbrosi e dei tubercolotici. “Madre Teresa – dice - ci ha sempre chiesto di essere solidali con i poveri e i sofferenti. Non possiamo abbandonare la nostra missione”.
P. Manoj a Bhubaneshwar racconta anche una storia di umiliazione: il dolore di suo padre anziano che minacciato con una scure al collo, è stato forzato a convertirsi all’induismo. “Mio padre era il postino del distretto, una persona molto rispettata. È stato anche catechista della diocesi negli ultimi 30 anni. Il 27 agosto una folla di radiclai indù sono arrivati al villaggio di Tiangia e si sono scatenati prendendo di mira proprio mio padre, Analekt Nayak. Avevano preso informazioni su chi erano i leader della comunità. Hanno piazzato un’ascia sul collo di mio padre e lo hanno costretto a diventare indù. Ora, dopo più di un mese, mio padre è loro prigioniero, continuamente circondato da estremisti che non lo lasciano un istante. Ma il dolore di essere stato forzato a convertirsi all’induismo è la tortura più profonda che sta attraversando”.


In Croazia diminuiscono gli aborti e crescono le famiglie - Dal 1985 al 2005 le interruzioni di gravidanza scese del 91,1%
di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 3 ottobre 2008 (ZENIT.org).- In un Europa in cui c'è un aborto ogni 28 secondi e un divorzio ogni 30, la Croazia va in totale controtendenza. Il Paese balcanico, infatti, dal 1985 al 2005 ha visto diminuire il numero degli aborti del 91,1% ed è l'unico Stato europeo in cui cresce il numero delle famiglie con almeno tre figli.
A spiegare "l'eccezione Croazia" è stato Andrea Mazzi, membro dell'Associazione "Comunità Papa Giovanni XXIII" attivo nel servizio "maternità difficile".
In un'intervista a ZENIT, Mazzi ha raccontato di essersi recato in Croazia durante l'estate e di aver verificato "un fenomeno pressoché unico nel mondo", ovvero "un fortissimo calo del numero di aborti a fronte di una legge che non è stata modificata e ancora oggi consentirebbe ampiamente l'aborto".
La Croazia ha circa 4, 5 milioni di abitanti. La legge sulla liberalizzazione dell'aborto risale al 1952, quando era ancora in vigore il regime comunista. L'ultimo provvedimento che ha riordinato la materia è la "Legge sulla pianificazione familiare" del 1978, che non è stata modificata dallo Stato croato una volta ottenuta l'indipendenza.
In base a questa legge, l'aborto è sostanzialmente libero nelle prime 10 settimane di gravidanza; in quelle successive ci deve essere l'approvazione preventiva di una commissione di medici e assistenti sociali sulla base di motivazioni quali problemi per la vita/salute della madre, malformazioni del bimbo, concepimento avvenuto durante uno stupro...
L'interruzione volontaria di gravidanza si svolge in strutture pubbliche (quasi sempre) o private autorizzate ed è a pagamento: costa circa 1.000 kune, cioè 140 euro, una cifra pari a quasi metà del salario medio di una donna.
Per quanto riguarda i numeri, dalle statistiche dell'Istituto Nazionale Croato per la Salute Pubblica risulta che nel 1985 gli aborti volontari sono stati 51.549 e nel 2005 sono stati 4.563, con una riduzione del 91,1%.
"Inoltre - ha sottolineato Mazzi - la Croazia è uno dei pochi paesi europei in cui in questi ultimi anni il numero di famiglie con almeno 3 bimbi, di cui almeno un minore di 15 anni, è in crescita".
Secondo il membro dell'Associazione "Comunità Papa Giovanni XXIII", è interessante notare anche che in Croazia "il numero delle persone con Hiv è estremamente basso (circa 500), uno dei più bassi in Europa".
Mazzi è convinto che una delle ragioni che potrebbero spiegare "l'anomalia Croata" è "la fede cattolica e la devozione, in particolare a Maria", che sono molto diffuse nel Paese.
A questo proposito, l'Arcivescovo Francisco Javier Lozano, Nunzio Apostolico in Croazia, ha affermato nel 2004 che "la Croazia è la nazione europea più cattolica oggi". "Non conosco alcun altro paese - ha detto - in cui il pubblico ascolta la Chiesa così tanto come in Croazia."
E' opinione condivisa che con la fine del comunismo la Chiesa abbia potuto assumere un ruolo pubblico che prima le era negato e incrementare fortemente la sua opera di larga educazione nella società.
L'identità cattolica, che è stata fortemente attaccata - soprattutto dai serbi - durante la guerra (1991-1995), è inoltre diventata uno dei simboli e degli elementi di coesione del Paese, e attira sempre più persone.
Oggi la Chiesa cattolica e i suoi pastori godono di grande attenzione e prestigio, e quest'ultimo, a differenza di quanto avviene nel resto d'Europa, è in crescita.
La Chiesa cattolica croata è schierata con molta chiarezza sui temi della difesa della vita e della famiglia. Nonostante il forte legame Chiesa-Nazione, in questi ultimi anni ha assunto molto spesso posizioni critiche verso il Governo, soprattutto su argomenti relativi a queste realtà.
Recentemente il tema è entrato anche nel dialogo ecumenico e interreligioso, tanto da arrivare nel dicembre 2004 ad una dichiarazione comune dal titolo "La vita umana è un dono di Dio", sottoscritta anche dalle Chiese ortodossa, evangelica e battista, così come dai musulmani.
Lo schierarsi dei credenti su questi temi ha una certa risonanza ed efficacia sulla società. Nel 2004 il Governo croato ha presentato un disegno di legge di modifica della normativa sulla fecondazione artificiale che avrebbe portato a una maggiore liberalizzazione della pratica (accesso a donne non sposate, fecondazione eterologa, selezione degli embrioni...). L'opposizione dei Vescovi e dei credenti ha portato il Parlamento sotto pressione a non approvare il progetto.
Lo stile utilizzato da molte realtà ecclesiali è quello di parlare al pubblico utilizzando argomenti non religiosi, che quindi possono essere condivisi da tutti, non solo dai cattolici, e un linguaggio semplice e accessibile. Si valorizzano gli aspetti positivi e belli delle realtà che si vogliono proporre: il matrimonio, la famiglia, la fedeltà, la castità..., ma si denunciano chiaramente anche i mail che la "cultura della morte" sta diffondendo.
Ad esempio, la Conferenza Episcopale Croata ha fortemente sponsorizzato il programma di educazione sessuale "Teen STAR", ideato dall'ONG "Voce dei genitori per i bambini", che promuove i valori positivi della famiglia e della vita usando argomenti non religiosi. Il programma viene presentato nelle parrocchie del Paese ed è stato approvato dal Ministero dell'Educazione, venendo utilizzato anche nelle scuole, dalle elementari alle superiori.
Tra le diverse associazioni di laici che si battono per la difesa della vita e della famiglia, un grande lavoro di sensibilizzazione è svolto dall'Obitelijski centar (Centro per la famiglia) di Zagabria, un'associazione cattolica animata dai coniugi Darka e Marijo Živković.
Insieme a un lavoro di informazione con video, libri, volantini, opuscoli e spiegazioni di medici, il Centro per la Famiglia ha diffuso libri di preghiere, tra cui rosari meditati, in cui si invita a pregare per la vita e la famiglia.
Partendo da un'argomentazione razionale e terrena, i coniugi Živković spiegano "perché l'aborto è l'uccisione di un bambino piccolo, debole, innocente e senza difese" e come "la genitorialità sia la più grande possibilità creativa che hanno gli uomini", concludendo con lo slogan: "Non promuoviamo le posizioni cattoliche perché sono cattoliche, ma perché sono le migliori. Migliori per tutti, non solo per i cattolici".
"Un piccolo segno significativo della sensibilità di questo Paese per la vita nascente - ha concluso Mazzi - è il fatto che nel 2000, a seguito di un concorso bandito dalla Zecca di Stato per un disegno per un'emissione straordinaria di una moneta per il Giubileo, sono state coniate 300.000 monete da 25 kune (ca. 3,5 euro) riportanti sul retro l'immagine di un bambino non nato, come simbolo del nuovo millennio che stava iniziando".


Il Papa: la Humanae vitae è un grande "sì" alla bellezza dell'amore
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 3 ottobre 2008 (ZENIT.org).- A 40 anni dalla pubblicazione dell'Enciclica Humanae vitae, "possiamo capire meglio quanto questa luce sia decisiva per comprendere il grande 'sì' che implica l'amore coniugale", ha affermato Papa Benedetto XVI in un Messaggio diffuso questo venerdì dalla Sala Stampa della Santa Sede.
Il Papa si è rivolto ai partecipanti al Congresso internazionale "Humanae vitae: attualità e profezia di un'Enciclica", organizzato congiuntamente dal Pontificio Istituto "Giovanni Paolo II" per Studi su Matrimonio e Famiglia e dall'Università Cattolica del Sacro Cuore e in svolgimento questo venerdì e questo sabato presso l'Università Cattolica.
Nel suo messaggio, il Pontefice si concentra sull'importanza che continua ad avere il messaggio fondamentale dell'Humanae vitae oggi, affrontando la questione dell'amore coniugale come dono "senza riserve" degli sposi e la vita umana come "dono di Dio" e non come "l'obiettivo di un progetto umano".
"La possibilità di procreare una nuova vita umana è inclusa nell'integrale donazione dei coniugi", avverte il Papa. In questo modo, l'amore coniugale "non solo assomiglia, ma partecipa all'amore di Dio, che vuole comunicarsi chiamando alla vita le persone umane".
"Escludere questa dimensione comunicativa mediante un'azione che miri ad impedire la procreazione significa negare la verità intima dell'amore sponsale, con cui si comunica il dono divino", ha aggiunto.
Secondo il Papa, da ciò deriva la necessità di "riconoscere limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell'uomo sul proprio corpo", per evitare che il figlio diventi uno strumento soggetto "all'arbitrio degli uomini".
"E' questo il nucleo essenziale dell'insegnamento che il mio venerato predecessore Paolo VI rivolse ai coniugi e che il Servo di Dio Giovanni Paolo II, a sua volta, ha ribadito in molte occasioni, illuminandone il fondamento antropologico e morale", ha osservato il Papa.
"In questa luce, i figli non sono più l'obiettivo di un progetto umano, ma sono riconosciuti come un autentico dono, da accogliere con atteggiamento di responsabile generosità verso Dio, sorgente prima della vita umana".
"Questo grande 'sì' alla bellezza dell'amore comporta certamente la gratitudine, sia dei genitori nel ricevere il dono di un figlio, sia del figlio stesso nel sapere che la sua vita ha origine da un amore così grande e accogliente".
Il Papa ha anche ricordato che il ricorso ai metodi naturali permette alla coppia di "amministrare quanto il Creatore ha sapientemente iscritto nella natura umana, senza turbare l'integro significato della donazione sessuale".
A questo proposito, il Pontefice si chiede "come mai oggi il mondo, ed anche molti fedeli, trovano tanta difficoltà a comprendere il messaggio della Chiesa, che illustra e difende la bellezza dell'amore coniugale nella sua manifestazione naturale".
"La soluzione tecnica anche nelle grandi questioni umane appare spesso la più facile, ma essa in realtà nasconde la questione di fondo, che riguarda il senso della sessualità umana e la necessità di una padronanza responsabile, perché il suo esercizio possa diventare espressione di amore personale", ha osservato.
La tecnica, ha aggiunto, "non può sostituire la maturazione della libertà, quando è in gioco l'amore".
In questo senso, Benedetto XVI ha spiegato che la Chiesa difende il ricorso ai metodi naturali di pianificazione familiare come l'atteggiamento più conforme alla dignità umana, perché tali metodi richiedono "una maturità nell'amore, che non è immediata, ma comporta un dialogo e un ascolto reciproco e un singolare dominio dell'impulso sessuale in un cammino di crescita nella virtù".
"Solo gli occhi del cuore riescono a cogliere le esigenze proprie di un grande amore, capace di abbracciare la totalità dell'essere umano", ha dichiarato.
Rivolgendosi ai responsabili della pastorale matrimoniale e familiare, ha quindi chiesto loro di saper " orientare le coppie a capire con il cuore il meraviglioso disegno che Dio ha iscritto nel corpo umano, aiutandole ad accogliere quanto comporta un autentico cammino di maturazione".
Il Papa ha infine ringraziato e incoraggiato le ricerche che si stanno svolgendo sui ritmi naturali della fertilità e sul modo di combattere naturalmente la sterilità presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore attraverso l'Istituto Internazionale Paolo VI.
"Gli uomini di scienza vanno incoraggiati a proseguire nelle loro ricerche, allo scopo di prevenire le cause della sterilità e potervi rimediare, in modo che le coppie sterili possano riuscire a procreare nel rispetto della loro dignità personale e di quella del nascituro", ha concluso.


Dopo “Il Tempo” anche “Il Giornale” scrive che mi sarei “arruolato” nel Pdl di Berlusconi: è tutto falso – Magdi Cristiano Allam
Trovo scorretto scrivere: “Magdi Cristiano Allam sostiene di aver concordato con Berlusconi la discesa in campo con il centrodestra”. Non ho mai detto nulla di simile. Non meraviglia che il 68% degli italiani considerino i giornalisti dei bugiardi!
autore: Magdi Cristiano Allam

Cari amici,
Oggi, venerdì 3 ottobre 2008, il quotidiano “Il Giornale”, a pagina 14, taglio basso, riporta la seguente notizia breve con fotografia: “Pdl, Allam si arruola – Scelta di campo del vicedirettore del Corsera”. Si tratta di una notizia del tutto infondata, che prende spunto dal titolo sbagliato pubblicato ieri dal quotidiano “Il Tempo”, : Magdi Allam, “Entro in politica al fianco del Cavaliere”. Con un’aggravante. Nel testo della foto notizia del Giornale, si afferma: “Magdi Cristiano Allam, vice-direttore del Corriere della Sera sostiene di aver concordato con Berlusconi la discesa in campo con il centrodestra”. Ma dove? Ma quando? Non ho mai detto nulla di simile. Sono delle elucubrazioni del tutto gratuite di chi ha interesse ad accreditare una tesi ideologica, disprezzando la corretta dell’informazione e senza prendersi la briga di contattare il diretto interessato per verificare l’autenticità di ciò che mi è stato attribuito e, soprattutto, la fondatezza delle sue indebite conclusioni. Vi do un consiglio, cari amici: mai fidarsi dei giornalisti!
E’ l’ennesimo caso di “mala informazione” che illustra l’assenza di un giornalismo oggettivo e responsabile, che metta al centro l’etica e la persona. Una realtà di cui gli italiani sembrano finalmente prendere coscienza. Secondo i dati di tre indagini pubblicati ieri dal Centro di ricerche Astra, dal titolo “Futuro del giornalismo in Italia”, emerge che il 68% degli italiani ritiene che i giornalisti siano bugiardi; il 60% li ritiene incompetenti ed esagerati nel gonfiare le notizie; il 52% pensa che non sono indipendenti; il 65% che non sanno comunicare; il 64% che non hanno eticità; il 62% che sono ansiogeni; il 53% che non hanno rispetto per gli altri. Ebbene, cari amici, stamane ho sfogliato, come d’abitudine, una decina di giornali. Ho rintracciato questi dati soltanto sul quotidiano “Avvenire”, organo della Cei (Conferenza episcopale italiana). Che peccato! Sarebbe stata una straordinaria occasione per guardarsi allo specchio e cominciare, all’interno della categoria dei giornalisti, una sana autocritica per affrancarsi dalla deriva consumistica, sensazionalistica e scandalistica che prevale nel contesto ideologico del materialismo, relativismo, laicismo e multiculturalismo.
Ieri, giovedì 2 ottobre, il quotidiano romano “Il Tempo”, aveva un piccolo titolo in prima pagina che recitava: Magdi Allam, “Entro in politica al fianco del Cavaliere”. A pagina 9 il servizio di apertura riportava questo titolo a caratteri cubitali: “Scendo in politica con Silvio”. Nel sommario si legge: Parla Magdi Allam: “I tempi sono maturi per passare all’azione”. Ebbene si tratta di un mastodontico errore: io non ho mai detto che intendo scendere in politica con il Cavaliere Silvio Berlusconi. Ho segnalato subito l’errore all’amico e direttore editoriale del Tempo, Roberto Arditti, con un sms in cui ho scritto: “Grazie per l’intervista. Il titolo è forzato ma comprendo”. Comprendo le logiche aberranti che porta a forzare i titoli per adeguarli al proprio orientamento ideologico e politico. Ecco perché d’ora in poi non rilascerò più interviste telefonicamente e pretenderò di vedere il testo definitivo e i titoli dell’intervista prima della pubblicazione.
L’intervista al “Tempo” (il testo pubblicato lo potete leggere nella rubrica “L’Intervista” all’interno del nostro sito) l’ho rilasciata telefonicamente alla giornalista Giancarla Rondinelli (g.rondinelli@iltempo.it) mentre ero in viaggio per Como nella tarda mattinata di mercoledì 1 ottobre. Abbiamo parlato per circa un quarto d’ora dei contenuti del mio libro autobiografico “Grazie Gesù, La mia conversione dall’islam al cattolicesimo” e, soltanto verso la fine, mi ha rivolto alcune domande sul mio impegno politico. Nel testo riportato dal “Tempo” si riporta solo una sintesi, non sempre fedele, delle mie dichiarazioni. Comunque mi limito a proporvi il testo pubblicato.
Dopo aver affermato che i tempi sono maturi per «Per passare ad un'azione concreta in campo politico», Giancarla mi ha chiesto: Ne ha già parlato con qualcuno? Io rispondo:
“Beh, io ne avevo già parlato con Berlusconi nel 2006, in quel caso però non si arrivò ad un'intesa. Di certo, per quanto mi riguarda non ci sono spazi di dialogo con l'attuale sinistra, ammalata di buonismo, multiculturalità, una sinistra agli antipodi dei valori e delle regole fondanti della civiltà cristiana”.
Come potete constatare, qui di Berlusconi parlo al passato, faccio riferimento a un evento del 2006, anche se per la verità è del 2005, ma non importa, l’importante è che si tratta di un evento che si è concluso.
Di Berlusconi torno a parlare successivamente in chiave critica. Dopo aver sostenuto “la necessità di far sì che la politica metta al centro i valori veri, abbia nell'etica il suo elemento fondante e si proponga l'obiettivo di realizzare il bene comune”, e dopo aver chiarito che “tutto questo, attualmente manca. A destra come a sinistra, e anche al centro”, mi si attribuiscono queste parole: “È ardua ma è l'unica via giusta. Altrimenti si arriverà al punto in cui Berlusconi, leader politico dalla straordinaria dote della franchezza, ci dirà magari che su alcuni ddl, riguardanti il piano dei valori, ci può essere un regime anarchico, dove ognuno esprime quello che meglio crede. Per un cattolico questo non è accettabile”.
Ed è a questo punto che Giancarla mi domanda: “Per questo lei più volte ha invocato la nascita di un nuovo soggetto politico”? A cui rispondo: “Sì. È necessario che nasca e anche al più presto. Un nuovo soggetto politico che abbia al centro il bene comune”.
Ecco perché, cari amici, il titolo corretto alla mia intervista a “Il Tempo” è "I tempi sono maturi per un nuovo soggetto politico che abbia al centro i valori, le regole, l'identità e la civiltà cristiana". Altro che “Scendo in politica con Silvio”!
Purtroppo non si tratta di un fatto isolato. La tendenza della stampa a snaturare non solo i titoli ma anche ad alterare i testi delle interviste, e ancor di più dei servizi descrittivi di eventi che concernono un personaggio sgradito, è assai diffusa. Ad esempio. Sempre il 2 ottobre, il quotidiano “La Provincia” di Como, dove il giorno precedente avevo tenuto un affollato incontro pubblico con monsignor Alessandro Maggiolini, vescovo emerito di Como ed uno dei portabandiera del cattolicesimo affrancato dal relativismo, dall’islamicamente corretto e dal buonismo, ha pubblicato un sottotitolo che recita: “Il giornalista non fa sconti ai fedeli dell’Islam (con la “I” maiuscola in accondiscendenza all’islamicamente corretto!): con loro dialogo impossibile”.
Ebbene io mi sono sgolato, anche nel corso dell’incontro con Maggiolini, a chiarire che pur essendo convinto che non esista un islam moderato, con i musulmani è invece possibile, anzi doveroso, dialogare e costruire insieme una civile convivenza e una comune civiltà dell’uomo, a condizione che rispettino i diritti fondamentali dell’uomo e condividano i valori fondanti della nostra civiltà giudaico-cristiana.
Cari amici, vi saluto con la convinzione che è giunta l’ora di assumerci la responsabilità storica di agire da protagonisti per affrancarci dall’ideologia suicida del relativismo che affligge l’Occidente e dall’ideologia omicida del nichilismo che arma l’estremismo islamico, per affermare con coraggio e difendere con tutti i mezzi la Civiltà della Fede e Ragione. Andiamo avanti insieme sul cammino della Verità, Vita, Libertà e Pace, per un’Italia, un’Europa e un mondo che considerino centrali i valori e le regole, della conoscenza oggettiva, della comunicazione responsabile, della sacralità della vita, della dignità della persona, dei diritti e doveri, della libertà di scelta, del bene comune e dell’interesse generale, promuovendo un Movimento di riforma etica dell’informazione, della società, dell’economia, della cultura e della politica. Con i miei migliori auguri di sempre nuovi traguardi, successi ed un mondo di bene.
Magdi Cristiano Allam


Il cardinale Lozano Barragán al congresso dei medici cattolici europei riuniti a Danzica - No a proposte di bioingegneria lesive della dignità umana – L’Osservatore Romano 4 ottobre 2008
I medici cattolici devono essere "punta di lancia" nella battaglia contro le ideologie proposte da alcuni organismi internazionali, che mirano a imporre un'ingegneria sociale dove l'uomo perde la sua identità di persona: è questa l'esortazione che il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, ha rivolto nei giorni scorsi da Danzica, in Polonia, all'xi congresso della Federazione europea delle associazioni dei medici cattolici sul tema "La legge naturale e la legge statutaria nella medicina europea d'oggi".
Il porporato ha inaugurato i lavori celebrando la messa nella cattedrale, affermando all'omelia che "la missione del medico oggi inevitabilmente esige di dare risposte alle urgenti questioni etiche e morali. Chiediamo allo Spirito Santo - ha aggiunto - che ci illumini non solo per trovare le risposte adeguate, ma anche di essere Cristo nel campo della medicina per tutta la società".
Ai lavori congressuali, svoltisi presso l'Accademia medica della città polacca, hanno preso parte trecento medici, giunti soprattutto dal Paese ospitante, ma anche da numerosi altri del vecchio continente. Il programma prevedeva cinque sessioni tematiche, che sono state affrontate nel corso di due intense giornate. Ben trentacinque i relatori intervenuti. Al presidente del dicastero per la pastorale della salute è stata affidata la prolusione, durante la quale ha esposto il "Nuovo paradigma" dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e la sua componente genetico-filosofica, come proposta per una bioetica globale che determina legislazioni internazionali spesso non conformi con i principi etici ai quali dovrebbero attenersi i medici cattolici. "Questi ultimi - ha ammonito - devono essere consapevoli del secolarismo che dilaga attraverso l'imposizione di certe politiche e cercare di contenerle, presentando il vero volto della salute". Per il cardinale Lozano Barragán, infatti, i medici cattolici dovrebbero impegnarsi a ricercare le radici dell'attacco alla Chiesa e alla società contro la vita, che è sempre più evidente soprattutto in Europa e nei Paesi occidentali.
A conclusione dei lavori i partecipanti hanno approvato una dichiarazione relativa al codice etico del medico cattolico. In proposito il presidente della Feamc, professor Josef Marek, ha messo in risalto che i medici cattolici sono chiamati a combattere oggi contro le procedure non etiche nel campo della biologia e della medicina; tuttavia non possono soffermarsi a dire semplicemente no all'aborto, alla clonazione, oppure all'eutanasia etc. Occorre andare oltre - ha detto - promuovendo la cultura e l'inestimabile valore della vita. Una particolare attenzione è stata riservata ai problemi delle fasce deboli. Bisogna - ha avvertito Mark - sostenere le cure palliative e spirituali per gli anziani; riguardo ai bambini, occorre educarli per difenderli dalla criminalità e dalla droga; riguardo alle persone disabili, aiutarle a essere più rispettate. "È fondamentale - ha concluso - che i medici cattolici siano veri professionisti, ma anche persone affidabili e con grandi doti umane". E da questo punto di vista il cardinale Lozano Barragán ha potuto cogliere segni di speranza, sebbene in Europa si presentino notevoli differenze a seconda delle aree geografiche. "Soprattutto nella parte centro-orientale del continente i medici cattolici sembrano molto interessati a questo dibattito" ha detto, aggiungendo che situazioni analoghe sono riscontrabili in Spagna e Portogallo. Ben diversa la realtà nel Nord Europa, dov'è però possibile cogliere un aspetto positivo nell'ecumenismo promosso da medici cattolici e di altre confessioni cristiane. "Ci sono dunque motivi di speranza per un risveglio delle coscienze e dell'impegno - ha concluso - visibili soprattutto in Polonia e in Slovacchia, in quei Paesi cioè di tradizione cattolica nei quali medici coraggiosi hanno mantenuto vivo il loro senso del dovere in ambienti totalmente contrari se non ostili addirittura alla vita".
(©L'Osservatore Romano - 4 ottobre 2008)


3 ottobre 2008 - La coscienza libera di De Monticelli è abissale fino a diventare un’incognita - La libertà di coscienza e l’abiura di una cristiana laica – Giuliano Ferrara, Foglio.it
Ieri Roberta De Monticelli ha abiurato su questo giornale ogni relazione personale con la chiesa cattolica, che ama e nella quale non si riconosce più, e lo ha fatto con dolore (come ha scritto). De Monticelli è una filosofa e una cristiana laica di idee ferventi, notevole erudizione, sensibilità nell’interpretazione dei testi e chiara scrittura (mi sono occupato di un suo libretto interessante e vivido sulla relazione tra cristianesimo ed etica qualche tempo fa nel Foglio). Il punto di rottura la filosofa (e donna di fede) lo ha individuato in due dichiarazioni di monsignor Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, rilasciate alla stampa nella sua qualità di segretario uscente della Conferenza episcopale italiana. La prima dichiarazione dice che, in materia di vita e morte (perché di questo poi si tratta, quando si parla di testamento biologico e affini), “la decisione non deve spettare alla persona”. La seconda dichiarazione reca un sonante: “Non siamo per il principio di autodeterminazione”.
Naturalmente non m’immischio nella questione personale dei rapporti tra la credente De Monticelli e la chiesa, per quanto sia considerata simbolica e necessariamente pubblica dalla stessa scrittrice che la pone, perché dalla chiesa sono fuori, e non ho la fede cristiana pur cercando di essere un tipo d’uomo cristianissimo. Ma il resto, ovvero le idee, l’etica, l’antropologia, la storia, la verità, l’autorità, la coscienza e la libertà, questo è pane per i nostri denti di liberali metodologici, di radicali e conservatori, di laici devoti che non si sottomettono al conformismo ideologico del mondo ultrasecolarizzato. Anche perché le due dichiarazioni ecclesiali incriminate, secondo le quali non è necessariamente e sempre il soggetto che decide di sé, e l’autodeterminazione è un principio da respingere, sono miele per le mie orecchie (disimpegnate dall’autorità del vescovo, ma non dalla rilevanza delle sue idee). Miele, proprio miele. In un senso che tutto il nostro lavoro giornalistico, lato filosofico e antropologico, cerca di mostrare. E che ora cerco di precisare.
La coscienza libera di Roberta De Monticelli è, come direbbe il geniale antropologo e filosofo tedesco Odo Marquard, abissale. Abissale fino a diventare un’incognita. Io liquido il diavolo, come scrisse Joseph Ratzinger, fonte ispiratrice di Marquard, e mi faccio imputato umano, troppo umano, per la questione del male. Non è più Dio, come nella antica e medievale teodicea, che porta il fardello del male nel mondo, magari attraverso il suo angelo caduto. Eliminato Dio, il compito tocca all’uomo, che inventa con la filosofia della storia la ipertribunalizzazione della storia stessa, si fa imputato e giudice contemporaneamente, e alla fine naturalmente si assolve in questo grande teatro antigiuridico.
Lo strumento della grande assoluzione è la libertà di coscienza intesa come un assoluto misterioso, originario, spiritualmente indipendente dalla società, dalle istituzioni, dalla religione, dal costume, dalla cultura e dalla storia. Un assoluto soggettivo che non è oggettivabile, che non si forma nella società razionale e politica ma nel cuore. La coscienza mi porta a decidere quando devo morire, e con la stessa cogenza mi impedisce di considerarmi colpevole quando a morire per volontà della mia libera coscienza è un bambino nella mia pancia. Posso anche socialmente dare la morte, disidratare e affamare i corpi, perché la legge della mia coscienza è formalisticamente, nonché spiritualmente, superiore alla carità, all’amore.
Per invocare la libertà soggettiva senza confini in fatto di vita e di morte, in regime di piena autodeterminazione personale, così come fa la De Monticelli, bisogna considerare la coscienza libera e padrona come l’unica voce di Dio che l’uomo debba ascoltare, come un sostituto della parola, della liturgia e, in termini laici, della comunità politica e della socialità morale dell’esistenza umana. La coscienza interiore diventa legge obbligante, la nuova tavola dei comandamenti riscritta dall’umanità per il suo uso moderno. In nome di quella assolutizzazione della libera coscienza, una concezione di derivazione teologica luterana, dunque spiritualmente immensa e impregnata di genio religioso, una sorta di sintesi esplosiva di certi aspetti del paolinismo e dell’agostinismo, tutto è affidato al lato irrazionale e misterioso della fede, niente resta per la fede petrina che è tenuta a spiegare la sua ragione. Niente resta, appunto, per la chiesa e per il Papa, e niente resta per il fondamento naturale indiscutibile delle costituzioni liberali moderne, per la Grundnorm, la norma fondamentale.
Il problema posto da De Monticelli va rovesciato. Come ha suggerito tra gli altri un illuminista e laico americano, Austin Dacey, nel suo libro sulla coscienza secolare moderna, di cui si è parlato in un bel colloquio con lui di Amy Rosenthal nel Foglio del 16 settembre. Per generazioni in occidente si è affermata l’idea che le questioni di coscienza sono faccende private che non hanno un loro posto nella vita pubblica. Ma questo, ci ha detto Dacey convergendo con una linea di ricerca del Foglio attiva da molti anni, è “un tradimento della tradizione del liberalismo laico”, perché “le questioni di coscienza devono essere sottratte al potere dello stato, ma questo non significa che siano private nel senso di soggettive o personali”. Dacey cita Spinoza, Kant, Locke, Jefferson, Madison e Mill per dire che questi colossi del liberalismo moderno non pensavano che lo statuto della coscienza, anche di quella etica e teologica, consista “in ragioni private che non hanno posto nella politica”. Per quei profeti del mondo moderno, al contrario, “l’ordine liberale è quello che fa emergere queste verità aprendo uno spazio nella vita pubblica in cui i cittadini possano discuterne insieme nel corso di una conversazione libera e priva di ogni ipoteca esterna”.
Lo stato non ti può imporre un suo pensiero in tema di vita o di morte, in tema di morale e distinzione del bene e del male. Ma la norma pubblica in materia, quando ce ne sia bisogno, non è la semplice autorizzazione procedurale a fare ciascuno quel che crede. La norma o la scelta di sottrarre un certo campo dell’azione umana alla norma devono nascere da una discussione informata in cui trovi spazio, in senso pieno e ricco, il punto di vista religioso, cioè quello di una fede che si incarna in un’istituzione. Con la coscienza misteriosa e abissale dell’homo compensator, quell’uomo senza Dio che secondo Marquard si assolve mentre si fa giudice di se stesso, non si fanno le leggi, non si praticano né il terreno della morale né quello del diritto, al massimo si fa il caos interiore di una fede fervente che rifiuta di dire le sue ragioni. E che nel mascheramento moderno, un secolarismo che diventa religione dei diritti individuali, si fa chiamare libertà dell’individuo e autodeterminazione.


2 ottobre 2008 - Abiura di una cristiana laica - “Questo è un addio. E’ un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla Chiesa italiana. Monsignor Betori nega la coscienza e la libertà ultima di essere una persona. Si rende conto?” - di Roberta de Monticelli – Foglio.it
Questo è un addio. A molti cari amici – in quanto cattolici. Non in quanto amici, e del resto sarebbe un fatto privato. E’ un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica italiana, un addio anche accorato a tutti i religiosi cui debbo gratitudine profonda per avermi fatto conoscere uno dei fondamenti della vita spirituale, e la bellezza. La bellezza delle loro anime e quella dei loro monasteri – la più bella, la più ricca, e oggi, purtroppo, la più deserta eredità del cattolicesimo italiano. O diciamo meglio del nostro cristianesimo. L’eredità di Benedetto, di Pier Damiani, di Francesco, dei sette nobili padri cortesi che fondarono la comunità dei Servi di Maria, di tanti altri uomini e donne che furono “contenti nei pensier contemplativi”. E anche l’eredità di mistici di altre lingue e radici, l’eredità, tanto preziosa ai filosofi, di una Edith Stein, carmelitana che si scalzò sulle tracce della grande Teresa d’Avila.
Questo addio interessa a ben poche persone, e come tale non meriterebbe di esser detto in pubblico. Ma se oggi scrivo queste parole non è certo perché io creda che il gesto o la sua autrice abbiano la minima importanza reale o morale: bensì per un senso del dovere ormai doloroso e bruciante. Basta. La dichiarazione, riportata oggi su “Repubblica”, di Mons. Betori, segretario uscente della Cei, e “con il pieno consenso del presidente Bagnasco”, secondo la quale, per quanto riguarda la fine della propria vita, alla volontà del malato va prestata attenzione, ma “la decisione non deve spettare alla persona”, è davvero di quelle che non possono più essere né ignorate né, purtroppo, intese diversamente da quello che nella loro cruda chiarezza dicono.
E allora ecco: questa dichiarazione è la più tremenda, la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale: la coscienza, e la sua libertà. La sua libertà: di credere e di non credere (e che valore mai potrebbe avere una fede se uno non fosse libero di accoglierla o no?), di dare la propria vita, o non darla, di accettare lo strazio, l’umiliazione del non esser più che cosa in mano altrui, o di volerne essere risparmiato. Sì, anche di affermare con fierezza la propria dignità, anche per quando non si potrà più farlo. E’ la possibilità di questa scelta che carica di valore la scelta contraria, quella dell’umiltà e dell’abbandono in altre mani. Ma siamo più chiari: quella che Betori nega è la libertà ultima di essere una persona, perché una persona, sant’Agostino ci insegna, è responsabile ultima della propria morte, come lo è della propria vita. Fallibile, e moralmente fallibile, è certo ogni uomo. Ma vogliamo negare che, anche con questo rischio, ultimo giudice in materia di coscienza morale sia la coscienza morale stessa? Attenzione: non stiamo parlando di diritto, stiamo parlando di morale. Il diritto infatti è fatto non per sostituirsi alla coscienza morale della persona, ma per permettergli di esercitarla nei limiti in cui questo esercizio non è lesivo di altri. Su questo si basano ad esempio i principi costituzionali che garantiscono la libertà religiosa, politica, di opinione e di espressione.
Oppure ci sono questioni morali che non sono “di competenza” della coscienza di ciascuna persona? Quale autorità ultima è dunque “più ultima” di quella della coscienza? Quella dei medici? Quella di mons. Betori? Quella del papa? E su cosa si fonda ogni autorità, se non sulla sua coscienza? Possiamo forse tornare indietro rispetto alla nostra maggiore età morale, cioè al principio che non riconosce a nessuna istituzione come tale un’autorità morale sopra la propria coscienza e i propri più vagliati sentimenti? C’è ancora qualcuno che ancora pretenda sia degna del nome di morale una scelta fondata sull’autorità e non nell’intimità della propria coscienza? “Non siamo per il principio di autodeterminazione”, dichiara mons. Betori, e lo dichiara a nome della chiesa italiana. Ma si rende conto, Monsignore, di quello che dice? Amici, ve ne rendete conto? E’ possibile essere complici di questo nichilismo? Questa complicità sarebbe ormai – lo dico con dolore – infamia.
di Roberta de Monticelli


RISPETTOSA OBIEZIONE ALLA PROFESSORESSA DE MONTICELLI - Chiedo anch’io la libertà di coscienza. Altra cosa dall’auto-determinazione - GIUSEPPE BETORI – Avvenire, 3 ottobre 2008
Sul ' Foglio' di ieri, Roberta de Monticelli prende spunto da alcune mie dichiarazioni, nel contesto di una conferenza stampa, per dare il suo « addio » « a molti cari amici - in quanto cattolici » , « un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica » .
Trovarmi coinvolto in una così seria decisione mi turba, ma vorrei ricordare che quella parola, « addio » , percepita di primo acchito sinistra, contiene in sé una radice promettente. E’ la preposizione ' ad' che spinge verso altro, in ogni caso fuori dal soggetto.
E in effetti visto che l’argomento del contendere è la ' fine della vita', tutto cambia a seconda se la vita è destinata oppure senza scopo. In altre parole se la vita si spiega da sé o sottostà come tutta la realtà a quel principio per cui nessuno trova in se stesso la spiegazione del proprio essere. Se si tiene conto di questo, forse si riesce a capire cosa nasconda la parola ' autodeterminazione', che vorrebbe fare a meno di questa evidenza.
E se la signora de Monticelli avesse colto tale passaggio, avrebbe certo compreso che dietro le mie parole « non spetta alla persona decidere » si cela non la negazione della coscienza, ma semmai dell’autosufficienza. Per questo, proprio appellandomi alla coscienza, che l’illustre interlocutrice difende con tanta passione, non posso non prendere le distanze dalla posizione che mi costruisce addosso e che mi viene attribuita senza fondamento.
Sono infatti sinceramente amareggiato che la mia dichiarazione sia stata letta come « la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale » . Insomma, sarei io – e la Chiesa con me – ad autorizzare il male, negando la possibilità di fare il bene, e farei tutto questo perché non sono per « il principio di autodeterminazione » . Qui si sta costruendo un grande malinteso, legato a cosa significhi in questo contesto il « principio di autodeterminazione » : non si può confondere la libertà di coscienza con la possibilità di fare quello che ci pare. Anche se ragionassi in termini puramente laici, non potrei giustificare un assassinio dicendo che l’ho fatto per rivendicare la mia libertà di coscienza. La legge che punisce l’omicidio non elimina la libertà di coscienza: anzi la piena libertà dell’assassino è il primo presupposto della condanna.
Non possiamo confondere, insomma, la libertà della nostra coscienza con la legittimità delle nostre azioni. Il « principio di autodeterminazione » non è mai stato un caposaldo della dottrina della Chiesa: quando S. Agostino scrive « ama e fa’ ciò che vuoi » , indica che le nostre azioni sono buone solo quando si ispirano a Dio, che è Amore. La coscienza è la sede della nostra scelta, è il luogo dove decidiamo, ma non è il criterio della scelta. Il criterio non ce lo diamo da soli: ce lo dona Dio, che è Amore, ed è percepibile ad ogni indagine razionale come il fondamento della nostra stessa identità o natura. Allo stesso modo, la vita non ce la diamo da soli, ma ci viene donata. Difendere questo dono è difendere il bene: difendere la vita significa difendere la possibilità della coscienza, non negarla. Se non sono vivo, certo non posso scegliere. È proprio questa precedenza della vita rispetto ad ogni scelta, questo dono che mi viene fatto, che mi orienta nel valutare le opzioni di fronte a me. Del resto, anche la mia coscienza non me la sono data: genitori, insegnanti, amici mi hanno insegnato a parlare e a pensare.
Questo tipo di considerazioni porta San Tommaso a insistere tanto sulla prudenza come regola per l’azione: se non si può scegliere in astratto, ma solo a partire dalle concrete situazioni della vita personale, non si può essere buoni in astratto, come vorrebbe l’astratto « principio di autodeterminazione » .
Bisogna cercare di essere « il più buoni possibile » nelle circostanze date: per questo la Chiesa si è decisa per una legge sul ' fine vita'. Un realismo, il suo, che è da sempre il criterio ispiratore della riflessione cattolica, nello sforzo di rendere possibile una scelta buona nella vita di tutti i giorni.
La vita che viviamo è frutto di relazioni che la generano, sia nel momento del concepimento, sia durante tutto il suo corso. Queste relazioni non terminano con la sofferenza: il dolore non colpisce solo chi soffre – a volte in condizioni estreme – ma anche chi attorno è testimone di tale sofferenza. Tale comune sentire umano – direi questo consentire – sta da sempre a cuore alla Chiesa: davvero non vale niente? E questa passione per l’uomo sarebbe davvero « nichilismo » come conclude l’articolo su Il Foglio? O forse nichilismo è credere che non ci sia nulla oltre l’individuo e la disperata coscienza della sua solitudine?
Spero che Roberta de Monticelli – e quanti sono interessati a un dialogo sulla bellezza, la libertà, la vita – non rinunci alla possibilità di un incontro con chi segue Gesù, che è venuto non « per condannare il mondo, ma per salvare il mondo » ( Gv 12,47). Per questo mi auguro che il suo sia solo un ' arrivederci'.


SCUOLA/ Quante confusioni quando si parla di libertà di educazione - Vincenzo Silvano - sabato 4 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Che Repubblica sia un giornale non propriamente schierato a favore della libertà di scelta educativa, è un fatto risaputo. Nessuna meraviglia, dunque, se sfogliandolo si trova un articolo poco benevolo nei confronti di quanto il Santo Padre ha dichiarato sulla parità scolastica in occasione del Convegno del Centro Studi sulla Scuola Cattolica.
Ma quando al legittimo diritto di critica si aggiunge la falsità, nella forma di un vero e proprio capovolgimento della realtà, forse è il caso di dare una risposta.
Il “ragionamento” fatto da Marco Politi (“Scuola, nuovo appello del Papa: piena parità tra cattoliche e statali”, 26 settembre, pag. 26), infatti, oltre ad essere tendenzioso, contiene anche una vera a propria distorsione della realtà. Si chiede il bravo giornalista: perché mai il Papa chiede la parità? E’ evidente, risponde: «la Chiesa cerca ad ogni costo finanziamenti, perché gli istituti cattolici non tirano molto in termini di mercato». E che non tirino molto, è dimostrato a suo parere dal fatto che «tolti i settecentomila bambini degli asili, soltanto 269.000 ragazzi frequentano le elementari, le medie e le superiori confessionali. Gli studenti di medie e superiori sono più o meno 130 mila, perché nonostante tutto i genitori italiani preferiscono la scuola pubblica dove si mescolano tutte le credenze».
Capito? I genitori preferiscono gli asili non statali, forse perché l’educazione religiosa va bene (o è irrilevante) per i bimbi piccoli; poi però, quando si comincia a fare i conti sul serio con la realtà, la scuola statale “dove si mescolano tutte le credenze” è la soluzione migliore per tirare su persone preparate e consapevoli.
Premesso che il Papa non ha chiesto finanziamenti, ma ha a cuore –e l’ha esplicitamente affermato – la libertà di scelta educativa per le famiglie, e questa può realizzarsi benissimo anche senza dare direttamente soldi alle scuole “confessionali” (come ci dimostra l’esempio della Dote lombarda), la ragione per cui meno studenti frequentano le scuole secondarie non statali di primo e secondo grado è, molto semplicemente, un’altra: costano di più. E conseguentemente sono anche di meno. La storia d’Italia ci documenta che lo Stato ha, sin dall’inizio, espropriato le scuole di ogni ordine e grado alle congregazioni religiose, ed in particolare quelle che impartivano un’istruzione ai ragazzi più grandi, lasciando alla Chiesa solo qualche piccolo spazio nell’ambito dell’educazione dell’infanzia.
Oggi, creare e mantenere una scuola secondaria di primo o secondo grado ha un costo notevole, che necessariamente si riflette nelle rette chieste alle famiglie. Senza una reale parità economica, il confronto con le scuole statali è assolutamente impari: in termini economici si chiama concorrenza sleale. Eppure, nonostante ciò (a ribaltamento del ragionamento di Politi), ci sono decine di migliaia di famiglie che preferiscono mandare i propri figli grandi alle scuole non statali. E, fra queste (guarda un po’), tanti politici di sinistra. Chissà perché….
Lancio un guanto di sfida a Repubblica: realizziamo una vera parità economica fra statale e non statale e poi, nel giro di qualche anno, ne riparliamo. Vedremo se davvero le famiglie preferiscono le scuole dove si mescolano tutte le credenze o se, prive dell’onere di rette gravose (quando non insostenibili) per i bilanci familiari, manderanno i figli alle cosiddette “scuole confessionali”. Ma, forse, gli amici di Repubblica questo rischio non vogliono correrlo…


HUMANAE VITAE 40 ANNI DOPO - Monsignor Melina, preside del «Giovanni Paolo II» ha tracciato un rapporto tra l’«Humanae vitae» e la «Deus caritas est». Dal vescovo Anfossi una riflessione pastorale «Profezia di libertà contro ogni relativismo» - Caffarra: un’enciclica di drammatica attualità, Avvenire, 4 ottobre 2008
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
« La forza della profezia dell’Humanae Vitae consiste precisamente nel suo mettere in guardia l’uomo da un potere che potrebbe devastarne la dignità; dal mettere la propria umanità 'a disposizione' di una libertà e di una deliberazione pubblica che non riconosce più l’esistenza di una verità circa l’uomo». Ha steso un filo su questi ultimi quarant’anni il cardinale Carlo Caffarra arcivescovo di Bologna. A un capo c’è Paolo VI con l’enciclica del 1968.
All’altro Benedetto XVI e la sua insistenza sull’amore e sulla ragione, contro ogni relativismo. Il Papa bresciano – ha detto il porporato, aprendo ieri una due giorni dell’Università Cattolica di Roma sull’Attualità e profezia dell’enciclica – intuì che l’introduzione della contraccezione chimica era una «svolta epocale nella costituzione del rapporto tra l’uomo e la tecnica». Quello tedesco (che ieri ha inviato al simposio il messaggio pubblicato nella pagina a fronte) in un contesto culturale come quello odierno, in cui il rischio è di degradare la ragione a «mera ratio technica », non si stanca di dire al mondo che «o si allargano gli spazi della ragione o l’uomo è in pericolo mortale», ha affermato Caffarra. Infatti, se la libertà viene sradicata dalla verità e si nega che esista una natura umana, ha argomentato, il rischio è di consegnare l’uomo a «prevaricazioni senza limiti». È sul versante della verità non tanto di quello della praticabilità che oggi si mette in questione la dottrina cattolica. E questo, spiega il silenzio caduto su un’enciclica, che invece è di «drammatica attualità». Un silenzio che stride con i clamori che accompagnarono l’uscita del testo, in pieno Sessantotto, incentrandosi soprattutto sul 'no' alla pillola, allora considerata baluardo di libertà, conquista dell’emancipazione. Il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, ha messo in risalto il «coraggio» con cui Montini «ha resistito all’enorme pressione dell’opinione pubblica e alla vivace opposizione di molti teologi». Oggi il compito è «mettere in luce che il cristianesimo non è nemico dell’eros umano, ma lo guarisce e lo esalta». È relazione, che supera gli egoismi e fa «maturare legami profondi». Per questo sia Antonelli, sia Caffarra hanno individuato uno snodo nella questione educativa. «Occorre un intelligente e costante sostegno educativo, perché le persone, sottoposte a molteplici condizionamenti psicologici e culturali, possano sempre di più comprendere e vivere l’amore come dono di sé e come comunione», ha concluso Antonelli. Al convegno, promosso dal Centro studi e ricerche sulla regolazione naturale delle fertilità della Cattolica, dalla Confederazione italiana dei centri che si occupano di questo aspetto della sessualità, nonché dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia, ha inviato un telegramma anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
«L’iniziativa congressuale rappresenta una significativa opportunità per approfondire i recenti risultati conseguiti nell’analisi delle problematiche relative ad una procreazione responsabile», ha scritto il Capo dello Stato. Ad aprire i lavori era stato Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Ateneo fondato da Agostino Gemelli. La «testimonianza» di Paolo VI – ha detto – è per tutti uno «straordinario invito» a «non rinunciare a mettere in pratica la coerenza, nel confronto e nella ricerca di un dialogo con la modernità che non si pieghi alle sue logiche, ma ne tenti una mediazione positiva a partire dai valori irrinunciabili, prendendosi anche la responsabilità di pronunciare quei 'no' che dischiudono il grande 'sì' di Dio all’uomo». Un discorso attuale, ha detto Ornaghi, visti «i molti non agevoli frangenti in cui, anche in queste ultime settimane la Chiesa difende la dignità della vita umana, la sua unicità e ricchezza e l’urgenza di tutelarla da ogni deriva culturale o legislativa che ne comprometta il rispetto». Dopo la giornata iniziale – conclusa da un intervento pastorale del vescovo di Aosta Giuseppe Anfossi, presidente della Commisione Cei per la famiglia e la vita – stamattina i convegnisti si recheranno in Vaticano per una Messa celebrata dal cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone.
Antonelli: il cristianesimo non è nemico dell’eros, ma lo guarisce e lo esalta Occorre però un costante sostegno educativo Ornaghi: parole per difendere la vita umana, la sua unicità e ricchezza


Formigoni: nessuna regalia a chi sperpera i fondi - DA ROMA ARTURO CELLETTI , Avvenire, 4 ottobre 2008
F ormigoni sceglie il convegno dei gio­vani di Confindustria in scena a Capri, per scandire l’atto d’accusa. Per dire no alle «regalie» distribuite ai comuni e alle re­gioni che non tengono conto del pareggio di bilancio e amministrano in modo dissenna­to le finanze pubbliche. E per puntare il dito contro la generosità del governo nel riempi­re i buchi di bilancio riscontrati nelle ammi­nistrazioni di Catania e Roma e nel deficit ac­cumulato dalla Regione Lazio per la spesa sanitaria. «A Catania e a Roma – spiega il go­vernatore della Lombardia – vengono date delle cifre che non sono un prestito... Credo che così si va ad accendere la miccia sotto il malcontento dei comuni virtuosi scatenan- do le rivendicazioni di chi amministra saggia­mente ». I soldi dividono, ma il governatore della Sicilia Raffaele Lombar­do mette nero su bianco la promessa: «Quando ricevo un prestito, la pri­ma cosa che mi viene in mente la mattina quan­do mi sveglio, è che devo restituirlo», ripete impegnandosi a rimborsare lo Stato per il prestito attribuito a Catania ed elargito per ripianare il deficit dell’amministrazione et­nea. «Restituiremo questi 140 milioni pur­ché non si parli più di regali o elemosine», va avanti. Eppure molti rumoreggiano. Molti hanno qualcosa da dire. Lo stanziamento dei fondi a favore di Roma Capitale «va bene, ma va fatto qualcosa anche per le altre grandi città», spie­ga il sindaco di Torino Sergio Chiamparino puntualizzando la sua intenzione di «capire meglio la ripartizione dei fondi per i comuni». In­somma non tutto è ancora chiaro. E anche le dichiarazioni di sindaci e governatori so­no 'segnate' dalla prudenza. «Buon inizio, ma occorre vigilare», commenta il governa­tore della Basilicata Vito De Filippo. «Bene, ma ora inizia il percorso a ostacoli», spiega il presidente della Puglia Nichi Vendola. «Evi­terei gli squilli di tromba. Siamo ai prelimi­nari per realizzare una cornice e del quadro c’è solo un abbozzo in idea. C’è ancora mol­to da chiarire e molto da lavorare», com­menta il presidente della Calabria Agazio Loiero. Non c’è una lettura che unisce. Ale­manno, sindaco di Roma, è soddisfatto: «È u­na riforma in cui ci possiamo ritrovare pie­namente ». Ma Filippo Penati, il presidente della provincia di Milano, frena gli entusia­smi: «Questo federalismo non mi piace per­ché al di là delle buone intenzioni è un fede­ralismo al contrario. E al Nord rischia di far crescere la rabbia». Si aspetta di capire e si ac­cavallano le reazioni. «Siamo contenti per il sostegno finanziario alla nostra città... Ma ho paura che su tutto il resto ci sia molta con­fusione », dice il presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti.
Il presidente della Lombardia punta il dito sul caso Catania e sul deficit del Lazio Il governatore siciliano: penso a come restituire i soldi