Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: esegesi scientifica e lectio divina sono complementari - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale - CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 26 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI in occasione della preghiera mariana dell'Angelus, recitata con i fedeli ed i pellegrini presenti in Piazza San Pietro.
2) lettera padre Aldo Trento
3) Bimbi artificiali e amori folli. Il notiziario di Giovannino - Correva l’anno 1946 e l’ex IMI 6865, tornato a casa dopo due anni di soggiorno nelle colonie polacche e tedesche del signor Hitler, aveva un disperato bisogno di lavorare. Commuove pensare a Giovannino in quell’anno, al bisogno di lavorare, al posto accettato a “Milano Sera”, un giornale di sinistra, alla fatica di vivere, ma anche al desiderio di raccontare comunque belle storie, come quella che sarebbe cominciata di lì a poco, alla vigilia di Natale, con la prima favola di don Camillo e Peppone…
4) Vigilia di Forum cristiano-musulmano a Roma. Il punto di vista di un gesuita che vi parteciperà - Obiettivo dell'incontro è dire "una parola comune". Che era il titolo della lettera aperta scritta al papa da 138 studiosi islamici. Ma oltre che dire bisogna fare, sostiene padre Christian Troll. Specie in materia di libertà religiosa - di Sandro Magister
5) 26/10/2008 12:18 – VATICANO - Papa: Cristiani d’Oriente, vittime di intolleranze e crudeli violenze - Benedetto XVI lancia un nuovo appello per le chiese in Iraq e in India, perché sia garantita ai cristiani non privilegi, ma la dignità di poter vivere e collaborare alla vita della loro Patria. Egli chiede alle autorità civili di “non risparmiare alcuno sforzo” per garantire la legalità e alle autorità religiose di fare gesti “espliciti” di amicizia con i cristiani. Gli appuntamenti futuri con l’Africa nel 2009. Il ricordo di un missionario francescano, martire in Cina.
6) Scuola: che fare? - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 26 ottobre 2008 Dopo la guerra sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, siamo alla guerra di cifre sui partecipanti alla manifestazione a Romaal Circo Massimo, e intanto nessuno legge il decreto 133 e nessuno discute davvero di scuola
7) 26 ottobre 2008 - Frigo? L'avvocato Frigo? Ma chi è questo Frigo? – di Giuliano Ferrara
8) LA SINTESI DELLE PROPOSIZIONI FINALI - Il Papa: Sinodo, polifonia della fede - I VESCOVI CI CONDUCONO NELLA LETTURA DELLA BIBBIA - NELLA TRAMA DELLA STORIA LA PAROLA SOLCO AFFIDABILE - MARCELLO SEMERARO – Avvenire, 27 ottobre 2008
9) LA LEGGE 40 SFIDATA ORA DAL KIT SUPER- SICURO - Gran fervore mercantile attorno alle provette - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 26 ottobre 2008
10) Dalle università alle fondazioni: un sistema libero ed efficiente, sul modello europeo - Mario Mauro - lunedì 27 ottobre 2008 - IlSussidiario.net
11) SCUOLA/ 2. Garavaglia: il ruolo pubblico svolto dalle scuole paritarie è un bene per tutti, da difendere - INT. Mariapia Garavaglia - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
12) SPAGNA/ Grazie a Zapatero è nato Javier, il primo “bebè medicina”. Quanto è giusto gioire? - Redazione - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
13) ABORTO/ La pillola del giorno dopo e il miraggio di guarire dalla "malattia" della maternità - Carlo Bellieni - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
14) USA/ Io, soldato in partenza per l’Iraq, sceglierò così chi votare tra Obama e McCain - Redazione - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
15) USA/ Io, soldato in partenza per l’Iraq, sceglierò così chi votare tra Obama e McCain - Redazione - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Benedetto XVI: esegesi scientifica e lectio divina sono complementari - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale - CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 26 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI in occasione della preghiera mariana dell'Angelus, recitata con i fedeli ed i pellegrini presenti in Piazza San Pietro.
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Cari fratelli e sorelle,
con la Celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro si è conclusa stamani la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha avuto per tema "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Ogni Assemblea sinodale è una forte esperienza di comunione ecclesiale, ma questa ancor più perché al centro dell’attenzione è stato posto ciò che illumina e guida la Chiesa: la Parola di Dio, che è Cristo in persona. E noi abbiamo vissuto ogni giornata in religioso ascolto, avvertendo tutta la grazia e la bellezza di essere suoi discepoli e servitori. Secondo il significato originario del termine "chiesa", abbiamo sperimentato la gioia di essere convocati dalla Parola e, specialmente nella liturgia, ci siamo ritrovati in cammino dentro di essa, come nella nostra terra promessa, che ci fa pregustare il Regno dei cieli.
Un aspetto su cui si è molto riflettuto è il rapporto tra la Parola e le parole, cioè tra il Verbo divino e le scritture che lo esprimono. Come insegna il Concilio Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum (n. 12), una buona esegesi biblica esige sia il metodo storico-critico sia quello teologico, perché la Sacra Scrittura è Parola di Dio in parole umane. Questo comporta che ogni testo debba essere letto e interpretato tenendo presenti l’unità di tutta la Scrittura, la viva tradizione della Chiesa e la luce della fede. Se è vero che la Bibbia è anche un’opera letteraria, anzi, il grande codice della cultura universale, è anche vero che essa non va spogliata dell’elemento divino, ma deve essere letta nello stesso Spirito in cui è stata composta. Esegesi scientifica e lectio divina sono dunque entrambe necessarie e complementari per ricercare, attraverso il significato letterale, quello spirituale, che Dio vuole comunicare a noi oggi.
Al termine dell’Assemblea sinodale, i Patriarchi delle Chiese Orientali hanno lanciato un appello, che faccio mio, per richiamare l’attenzione della comunità internazionale, dei leaders religiosi e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà sulla tragedia che si sta consumando in alcuni Paesi dell’Oriente, dove i cristiani sono vittime di intolleranze e di crudeli violenze, uccisi, minacciati e costretti ad abbandonare le loro case e a vagare in cerca di rifugio. Penso in questo momento soprattutto all’Iraq e all’India. Sono certo che le antiche e nobili popolazioni di quelle Nazioni hanno appreso, nel corso di secoli di rispettosa convivenza, ad apprezzare il contributo che le piccole, ma operose e qualificate, minoranze cristiane danno alla crescita della patria comune. Esse non domandano privilegi, ma desiderano solo di poter continuare a vivere nel loro Paese e insieme con i loro concittadini, come hanno fatto da sempre. Alle Autorità civili e religiose interessate chiedo di non risparmiare alcuno sforzo affinché la legalità e la convivenza civile siano presto ripristinate e i cittadini onesti e leali sappiano di poter contare su una adeguata protezione da parte delle istituzioni dello Stato. Auspico poi che i Responsabili civili e religiosi di tutti i Paesi, consapevoli del loro ruolo di guida e di riferimento per le popolazioni, compiano dei gesti significativi ed espliciti di amicizia e di considerazione nei confronti delle minoranze, cristiane o di altre religioni, e si facciano un punto d’onore della difesa dei loro legittimi diritti.
Sono lieto inoltre di rendere noto anche a voi, qui presenti, ciò che ho già annunciato poc’anzi durante la Santa Messa: nell’ottobre del prossimo anno si svolgerà a Roma la II Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa. Prima di allora, a Dio piacendo nel mese di marzo, è mia intenzione recarmi in Africa, visitando dapprima il Camerun, dove consegnerò ai Vescovi del Continente l’Instrumentum laboris del Sinodo, e quindi in Angola, in occasione del 500° anniversario di evangelizzazione di quel Paese. Affidiamo le sofferenze sopra ricordate, come anche le speranze che tutti portiamo nel cuore, in particolare le prospettive per il Sinodo dell’Africa, all’intercessione di Maria Santissima.
Lettera di Padre Aldo Trento
Cari amici,
bisogna partire sempre dalla vita, dalla realtà e non dal fatto che siamo sposati, consacrati, scapoli o dal ruolo, perché è la vita che chiede l’eternità. Quante volte l’abbiamo cantato in “povera voce”, ma è come se tutto fosse scontato. Oggi è un giorno difficile per me a causa dell’insonnia, che oltre a farmi sentire stanco mi fa sudare in modo strano. Così con il clima a 40 gradi e per di più questa mia situazione vi lascio immaginare il mio stato d’animo. Ma da 20 anni sto imparando a ripetermi: “io sono Tu che mi fai”, “anche i capelli del mio capo sono contati”, “prima di formarti nel seno di tua madre ho pronunciato il tuo nome”, “sei come la pupilla dei miei occhi”. Ebbene, anche in barba a chi non sopporta la parola depressione e per questo come buon amico gliela auguro così capiranno cosa vuol dire diventare uomo e non rimanere dei pirla borghesi pieni di se stessi, dentro questa situazione, emotivamente negra, non è questo stato d’animo a definirmi, ma la certezza che Lui mi ama così come sono.
Oggi sono facilmente irritabile, eppure nessuno se ne accorge, si accorgono che sono stanco, ma la pace, la gioia del cuore vince tutto. Mi muovo già da tempo solo perché Lui mi muova e il mio stato d’animo è come assorbito, santificato da questa certezza. Per cui oggi ho potuto accogliere (vedi foto [non allegata]) questa piccola bambina, Celeste è il suo nome, ormai alla fine per colpa di una leucemia, trascurata a motivo della povertà. La mamma ha 31 anni e 8 bambini. Da sempre non sorride. La sua vita è stata solo stenti, dolore, miseria, violenza. Oggi, stando io nelle condizioni di cui sopra, l’ho ascoltata. I miei occhi rossi non riuscivano a sostenere il suo sguardo pieno di dolore. “Padre, sono figlia della violenza come tutti i miei 8 bambini. Violentata, picchiata a sangue, sono dovuta scappare dalle grinfie di un uomo che mi ha distrutta. Ho dovuta abbandonare i miei bambini nelle mani di questa bestia. Adesso il dolore della mia bambina di 12 anni mi ha inchiodato qui nella sua clinica…la prego di aiutarmi. Non ho piú lácrime da versare... mi sento come una statua...” La guardavo, vedendo nel suo volto una tristezza infinita come nella maggioranza delle donne di questo paese, ridotte ad animali, abbruttite dalla violenza. Eppure una tenerezza ed era già un’altra. Guardo la sua bimba, già senza capelli, dolori forti, non parla più, mi guarda fisso ma non sorride. Quanto dolore! Il mio cuore spesso ha paura che non resista, ma poi la Provvidenza mi recupera subito. Alcune ore prima ho celebrato il funerale di un “travestito”, un figlio di Dio di 28 anni morto di AIDS. Erano presenti gli altri amici ammalati di AIDS, questi miei figli prediletti. Nella breve omelia ho detto: “figli miei, siamo qui per celebrare la misericordia di Dio. Guardatelo, questo ragazzo, ha vissuto come un animale ed è morto come un santo. Vi ricordate com’era la sua faccia quando è arrivato da noi e ora guardatelo bene: è la faccia di un uomo vero. E’davvero il trionfo della misericordia che non distingue gli esseri umani in normali, omosessuali, travestiti, ermafroditi, ma che guarda ad ognuno come figlio. Amici, capite, che bello: per Dio siamo figli, siamo creature sue”. Mi guardavano commossi, loro gli emarginati, loro i lebbrosi del secolo XXI, loro giudicati la perversione del vizio…loro che mi vogliono bene, che ogni mattina bacio e mi inginocchio davanti ad ognuno, non importa se deformati da fattezze femminili o maschili finte. Loro che chiedono di confessarsi, che mi chiedono se la propria compagna o compagno con la stessa malattia possono venire a visitarli. E così, come mi dice la suora, approfitto per annunciare anche a loro la misericordia di Dio.
Victor, che tutti conoscono, e sul quale è nata una reazione a catena a livello mondiale, dividendo quanti mi scrivono in due partiti: quello perché viva e l’altro perché lo lasciamo morire. Quanto mi duole questo secondo partito. Se lo vedessero gemere, soffrire, si renderebbero conto del perché Gesù è morto per me e anche per loro. Ma perché voler eliminare il dolore dal mondo, quando questo dal peccato di Adamo è condizione inevitabile? E’come che io volessi togliermi la depressione, togliermi le notti insonni, togliermi l’ansia. Ma non è possibile. Posso prendere, e lo faccio, delle pastiglie per aiutare la mia pazza emotività, ma non posso, non chiedo a Gesù di togliermi la fatica perché sarebbe ripetere a Gesù quanto quel giorno Pietro gli disse perché non accettasse il dolore…e Gesù gli rispose: “allontanati da me, Satana, perché ragioni secondo il mondo e non secondo la volontà del mio Padre”. Chiaro che Victor soffre, lo vedo 24 ore al giorno. Ma possibile che ci sia chi si permetta di dirmi: lascialo morire. Quando non sono io che lo faccio vivere, ma il Mistero che lo crea in ogni istante. Ma possibile che non capiamo che la vita, non importa le condizioni in cui si manifesta, è sempre l’affermazione del “io sono Tu che mi fai”. Victor ha perfino il piccolo torace incurvato per il dolore, per la fatica del respiro, per le convulsioni. Ha la testa appoggiata nel cuscino con tante lacerazioni per decubito, non si può muovere…ma capite che per ognuno di noi è Gesù, è Gesù. Victor non è riconducibile alla sua dolorosissima malattia, perché è Cristo. E allora se è Cristo, capite che è il Paradiso qui in terra.
Io non posso stare senza contemplarlo, perché è il mio conforto, come in questi giorni in cui la fatica si fa sentire. Guardarlo, baciarlo, è sentire vibrare la dolce Presenza di Gesù che mi accarezza nei momenti difficili. Certamente senza prendere sul serio la vita, come ci ricorda Giussani nel Senso Religioso citando quel pezzo di un dialogo fra Richard e la veccine nonna Henry, è impossibile riconoscere in questi fatti la grande Presenza, il Mistero che da senso e bellezza a tutto… Quando lo si riconosce come mi ha detto l’altro giorno Cristina, la giovane mamma di una delle casette di Betlemme, con 14 bambini da 0 a 11 anni: “padre, da quando Dio mi ha tolto le mie uniche due figlie del mio matrimonio. Nageli di 6 anni e Natali di 9, e mi ha chiamato ad essere madre di tutti questi bimbi ho capito che per me essere madre significa non possedere mai i miei figli. Ogni attimo li guardo, li amo immensamente, ma so che non saranno mai miei e che prima o poi se ne andranno. Ma questa è la mia vocazione. Mi tortura il cuore, però se Gesù vuole questo è anche vero che mi ha regalato un vero cuore di mamma: farli crescere e poi lasciarli andare seguendo il disegno bueno di Dio... ed io rimanere ogni volta a ricominciare e pregare”. Questa è la santità.
Grazie a quanti mi siete amici.
P.Aldo
Bimbi artificiali e amori folli. Il notiziario di Giovannino - Correva l’anno 1946 e l’ex IMI 6865, tornato a casa dopo due anni di soggiorno nelle colonie polacche e tedesche del signor Hitler, aveva un disperato bisogno di lavorare. Commuove pensare a Giovannino in quell’anno, al bisogno di lavorare, al posto accettato a “Milano Sera”, un giornale di sinistra, alla fatica di vivere, ma anche al desiderio di raccontare comunque belle storie, come quella che sarebbe cominciata di lì a poco, alla vigilia di Natale, con la prima favola di don Camillo e Peppone…
Sembra davvero di leggere un notiziario di questi mesi, invece Giovannino Guareschi lo scrisse la bellezza di sessantadue anni or sono. Correva l’anno 1946 e l’ex IMI 6865, tornato a casa dopo due anni di soggiorno nelle colonie polacche e tedesche del signor Hitler, aveva un disperato bisogno di lavorare. Siccome il suo lavoro era quello del giornalista, ecco le proposte inviate a ripetizione all’EIAR, per diverse trasmissioni radiofoniche: novelle, addirittura una pièce gialla, ma anche notiziari, che anticipano in qualche modo quello stile guareschiano che vedrà la luce, pochi mesi dopo, all’uscita del primo numero di Candido.
GENTILI ASCOLTATRICI
Dall’archivio di Roncole Verdi, esplorato quasi riga per riga da Cristiano Dotti, emergono continuamente inediti, che rivelano quale fosse la straordinaria capacità dello scrittore di anticipare i tempi o, meglio, di saper mettere sotto la lente d’ingrandimento gli argomenti in grado di destare l’interesse dei lettori. In questo caso degli ascoltatori, anzi, delle ascoltatrici, perché è ad esse che Giovannino si rivolge: «Gentili ascoltatrici, ecco un fatto che vi interesserà moltissimo: anche in Europa cominciano a nascere figli artificiali. Abbiamo detto anche in Europa perché i giornali di pochi giorni fa annunciavano che in America sono già nati 9500 bimbi concepiti artificialmente».
Non c’è che dire: notizie dell’altro ieri o, magari, anche di oggi. Il tema della fecondazione assistita, che ha diviso e continua a dividere opinione pubblica, opinionisti e politici, era già oggetto della penna di Guareschi, quando le notizie correvano solo sulle pagine dei giornali. E proprio come farà sul “Candido”, Giovannino non si limita a riportare la notizia, ma commenta, da par suo, la novità dei «figli artificiali»: «Il bambino europeo in questione ha visto la luce a Tolone, e la stampa francese assicura che questo è il primo caso che si conosca di fecondazione artificiale e ciò sarebbe in aperto contrasto con la faccenda dei 9500 piccoli americani artificiali riferita poco fa. Ad ogni modo poco importa: è positivo che la scienza la quale ci ha dato il surrogato del caffè, del cuoio, della cioccolata, della gomma eccetera, è riuscita a darci anche il surrogato dell’amore. Noi non entriamo in merito ai particolari tecnici della faccenda: diciamo soltanto che questi esseri i quali nascono eludendo le sacrosante leggi della natura, questi fuorilegge della riproduzione, non potranno mai essere più cattivi degli uomini nati secondo i regolamenti naturali. E ciò è molto rassicurante.» Ecco il Giovannino del Candido, che stigmatizza il progresso, da lui sempre ben distinto dalla civiltà, ma si consola pensando che, in fondo, artificiali o naturali, gli uomini nascono tutti uguali: perciò non potranno essere né migliori né peggiori gli uni degli altri. È altro ciò che offende Guareschi: è l’ostentare le nuove frontiere della scienza come rimedio alle presunte mancanze della natura. Per Giovannino, la natura non ha mancanze, risponde solo alla Divina Provvidenza, quindi non ha bisogno di “correttivi” umani.
FOLLA DI NEONATI
Così, ecco che a far da contraltare alla notizia dei bimbi artificiali, arriva un parto plurigemellare, avvenuto in Columbia, a Cucutà: «Sono venuti alla luce quasi sei vispi maschietti. Diciamo quasi in quanto, per un po’ di tempo, i sanitari sono rimasti nel sospetto che un sesto bambino fosse in procinto di venire a tener compagnia agli altri cinque fratellini. Ma la cosa si è risolta in un falso allarme. Ciò ha impedito che il record delle Dionne venisse battuto, però ciò non impedisce di rallegrarci con i due giovani sposi di Cucutà i quali hanno dimostrato che, per la faccenda dei bambini, non c’è bisogno dell’intervento del progresso e che il vecchio sistema dà tuttora dei pregevolissimi risultati». Ancora una volta Guareschi rende la notizia leggera ma graffiante. Col suo stile inconfondibile contrappone la vicenda del parto di cinque gemelli, frutto del «vecchio sistema» dei due sposini colombiani, all’avvento del «surrogato dell’amore» che il progresso mette in campo, per usurpare alla natura il diritto di obbedire all’ordine del Creato. E non è tutto, perché Giovannino, visto che parla di bambini, riferisce di una tragedia della povertà: in Francia si fa mercato nero coi neonati. Con una manciata di sterline, da cento a quattrocento, si possono comprare, dalle donne dei bassifondi parigini, bambini da adottare. Fra i cinquecento e i mille bimbi sono stati oggetto di questo mercato nel solo 1945 e la richiesta è sempre altissima, nonostante la cronaca dell’anno appena trascorso racconti di soli 150 piccoli adottati, su duemila, che rimangono presso le famiglie, gli altri vengono «rimandati perché erano brutti o malati o antipatici». Qui, non c’è spazio per l’ironia, Guareschi non concede la penna a riflessioni meno che dolorose su questo orribile commercio che continua, anch’esso, ai giorni nostri e con la stessa indifferenza, quasi che non fossero neonati, ma pura e semplice merce da acquistare a suon di banconote. Dunque un notiziario che inizia con una nota di critica, senz’altro aspra ma non del tutto malevola, e termina con la cronaca di un dramma della miseria? Niente affatto.
Non dimentichiamo che Giovannino è un meraviglioso cantastorie: «Passiamo ad un altro argomento. Fiori. I fiori sono un argomento gradito alle donne, qui poi ne parliamo perché si tratta di fiori piovuti dal cielo e con finale in bianco velo e fiori d’arancio. Il fatto è che la signorina francese Madeleine Debinois, arrivata nel 1940 in Inghilterra con le truppe che si ritiravano da Dunquerque, si arruolò, divenne valente pilota e compì molti voli sulla Francia occupata a bordo di un aereo postale».
FIORI NUZIALI
E ancora: «Tutte le volte che passava nel cielo del villaggio bretone dove erano rifugiati i suoi genitori, non mancava mai di lanciare un mazzolino di fiori al quale era legato un cartoncino recante il suo semplice nome: Madeleine. Mai giunsero i fiori ai genitori: li raccolse invece un ufficiale inglese che viveva clandestinamente nel villaggio e sapeva benissimo quando passava l’aereo postale recante a bordo la ragazza. E conservò quei fiori e, tornato in Inghilterra, ricercò la misteriosa Madeleine. E, trovatala, cosa volevate che facesse quando l’ebbe trovata? Se ne innamorò d’urgenza e la sposò rapidissimamente. Non bombe, dagli apparecchi, ma mazzolini di fiori con biglietto da visita delle aviatrici e, alla fine delle ostilità profumate, matrimonio fulminante. Questa è la guerra che preferiamo!». Ed era appena finita, la guerra che, al contrario della ragazza francese, aveva fatto cadere sulle città grappoli di bombe anziché mazzi di fiori. Ma Guareschi aveva già dimenticato le distruzioni e l’odio, lui della guerra voleva solo raccontare la bella favola dell’aviatrice innamorata, una favola che preludeva alla fine del notiziario datato 1946: «Come notizia finale, ecco la famosa cantante americana Grace Moore che pare voglia assumere la cittadinanza fiorentina. Quanta gente che, una volta arrivata in Italia non vuol più andarsene via. E questo ci commuove profondamente».
E commuove anche pensare a Giovannino in quell’anno, al suo ritorno dalla prigionia, al bisogno di lavorare, al posto accettato a “Milano Sera”, un giornale di sinistra, alla fatica di vivere, ma anche al desiderio di raccontare comunque belle storie, come quella che sarebbe cominciata di lì a poco, alla vigilia di Natale, con la prima favola di don Camillo e Peppone.
di Egidio Bandini
LIBERO 26/10/08
Vigilia di Forum cristiano-musulmano a Roma. Il punto di vista di un gesuita che vi parteciperà - Obiettivo dell'incontro è dire "una parola comune". Che era il titolo della lettera aperta scritta al papa da 138 studiosi islamici. Ma oltre che dire bisogna fare, sostiene padre Christian Troll. Specie in materia di libertà religiosa - di Sandro Magister
ROMA, 27 ottobre 2008 – Il primo incontro del Forum cattolico-islamico nato dalla lettera aperta "A Common Word" (vedi foto) indirizzata un anno fa al papa e ad altri leader cristiani da 138 esponenti musulmani è sempre più vicino. Si terrà a Roma dal 4 al 6 novembre.
Il tema generale è: "Amore di Dio, amore del prossimo". Con in più questi due temi annessi: "Fondamenti teologici e spirituali" e "Dignità umana e rispetto reciproco".
La sessione finale del 6 novembre sarà pubblica e i partecipanti saranno ricevuti da Benedetto XVI.
L'agenda del seminario è stata fissata lo scorso marzo da due delegazioni riunite a Roma. A rappresentare i 138 c'erano Abd al-Hakim Murad Winter, inglese, professore a Cambridge, Aref Ali Nayed, libico, anche lui docente a Cambridge e membro dell'Inter-Faith Program di questa università, Ibrahim Kalin, turco, professore alla Georgetown University di Washington, Sohail Nakhooda, giordano, direttore di "Islamica Magazine", e l'italiano Yahya Sergio Yahe Pallavicini.
La parte cattolica era rappresentata dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, da due dirigenti di curia esperti nel ramo, Pier Luigi Celata e Khaled Akasheh, e da due islamologi: padre Miguel Angel Ayuso Guixot, preside del Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica, PISAI, e il gesuita tedesco Christian W. Troll, professore alla Pontificia Università Gregoriana.
Hanno preceduto il prossimo Forum romano numerosi altri incontri cristiano-islamici, in varie località e per iniziativa di diverse persone e istituti.
L'ultimo si è tenuto a Istanbul il 24 e il 25 ottobre su "Le relazioni tra la ragione la fede nell'islam e nel cristianesimo". L'hanno organizzato i frati cappuccini della Turchia, il PISAI e l'università turca di Marmara.
Un altro incontro importante si è tenuto all'inizio della scorsa settimana a Bruxelles, promosso dalla Conferenza delle Chiese Europee, KEK, e dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, CCEE. In esso ha preso la parola, tra gli altri, il cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux.
Ricard ha rilanciato un'idea carissima a papa Benedetto XVI: la necessità, cioè, che i musulmani facciano anch'essi un cammino simile a quello che ha portato negli ultimi due secoli la Chiesa cattolica ad "accogliere le vere conquiste dell'Illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio".
E sulla libertà religiosa ha insistito moltissimo, sottolineando che essa non deve restare chiusa nell'intimo perché "ha una dimensione sociale". Ricard ha aggiunto che "la libertà religiosa comporta il rispetto della libertà di coscienza: la possibilità di aderire liberamente a una religione o di abbandonarla. So che questo è un problema sensibile per un buon numero di musulmani. Ma io credo che una piena integrazione nella società europea implichi questa libertà, così come è necessario che il principio di libertà religiosa abbia valore reciproco, sia valido cioè tanto in Europa come nei paesi musulmani".
* * *
Un'altro momento della marcia d'avvicinamento al Forum romano del 4-6 novembre è stata la conferenza tenuta a Cambridge il 14 ottobre dal gesuita islamologo Christian W. Troll, alla presenza di studiosi musulmani e del primate della Chiesa anglicana, l'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams.
La conferenza di Troll, riprodotta integralmente qui sotto, è interessante per vari motivi.
Anzitutto, il professor Troll sarà uno dei partecipanti di spicco del Forum del 4-6 novembre, che ha contribuito anche a organizzare.
Inoltre, è uno degli islamologi più ascoltati da Benedetto XVI. Il papa lo chiamò a introdurre il seminario a porte chiuse sull'islam tenuto con i suoi ex allievi a Castel Gandolfo nel settembre del 2005.
E ancora, parlando a Cambridge, Troll aveva tra gli ascoltatori i due principali estensori della lettera dei 138, i professori Abd al-Hakim Murad Winter e Aref Ali Nayed, entrambi membri dell'Inter-Faith Program della Divinity Faculty di questa università, ed entrambi protagonisti del prossimo Forum romano.
Ecco dunque il testo della conferenza:
L'impegno futuro cristiano-islamico di Christian W. Troll
Consentitemi, prima di tutto, di esprimere la mia gratitudine a Dio per aver ispirato un piccolo gruppo di fedeli musulmani a scrivere la lettera aperta "A Common Word" (ACW) del 13 ottobre 2007, e numerosi altri eminenti guide e studiosi musulmani a firmarla. Lasciatemi ringraziare Dio anche per aver ispirato l'arcivescovo di Canterbury a scrivere la sua risposta: "A Common Word for the Common Good" (ACWCG), dopo aver chiamato a consulto all'inizio di quest'anno un buon numero di cristiani di diverse denominazioni ed aver ascoltato con attenzione le loro risposte a ACW. Queste due iniziative hanno contribuito in modo significativo a far progredire il dialogo religioso tra musulmani e cristiani. Dico qui la mia piena concordia con ciò che l'arcivescovo ha scritto all'inizio della sua profonda e ispirata risposta ad ACW: "Solo aprendoci alla prospettiva trascendente alla quale la vostra lettera è orientata, e alla quale anche noi guardiano, noi troveremo le risorse per una dedizione radicale, trasformante, non violenta, a favore dei più profondi bisogni del nostro mondo e della nostra comune umanità".
I due documenti non perdono tempo nei complimenti di circostanza, né scansano le contestazioni e le critiche, ma dall'inizio alla fine mantengono un attitudine di ascolto, di gentilezza, di rispetto, nella consapevolezza della comune responsabilità di fronte a Dio, il genere umano e l'intero creato. Di fatto, essi aprono la possibilità di un nuovo stadio nel processo in corso dell'incontro cristiano-islamico.
Sono stato invitato a questa sessione sul tema "L'impegno futuro cristiano-islamico", alla luce dei due documenti citati e di altre risposte e discussioni nella scia di "A Common Word", per svolgere alcune riflessioni su "I modi migliori di praticare l'impegno cristiano-islamico".
Gli autori di ACW hanno giustamente fatto appello alla responsabilità politica e sociale di cui sono portatori cristiani e musulmani, anche solo per il fatto di costituire circa la metà della popolazione del mondo. Noi possiamo rendere giustizia a questa responsabilità ed esaudire le attese espresse nei due documenti, con un minimo di credibilità, solo se abbiamo il coraggio e la fiducia di parlarci gli uni gli altri su ciò che ci muove nel profondo dei cuori e delle menti, mentre riflettiamo sul reale incontro nei fatti tra cristiani e musulmani. Siamo davvero preparati a un'autocritica onesta, siamo desiderosi di ascoltare e magari di accettare ogni critica argomentata che ci proviene dai nostri interlocutori nel dialogo, ed anche da interlocutori di una società ancor più vasta?
Questo contributo inizia dalla comune affermazione del posto assolutamente centrale tenuto in ciascuna delle due fedi dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo, ossia dal duplice comandamento dell'amore. Senza entrare nelle impegnative questioni teologiche toccate da ACW e ACWCG, mi soffermerò brevemente su cinque precise questioni che sembrano richiedere attenzione ed azione, da parte dei cristiani e dei musulmani, sempre tenendo presente il tipo particolare di incontro in questione.
1. Il duplice comandamento dell'amore e il continuo centrarsi su di sé dell'uomo
ACW, sorprendentemente alla luce del ritratto che il Corano fa della condizione dell'uomo, dice poco a proposito di quelle realtà costanti che contrassegnano la vita umana individuale e associata come, ad esempio, la dimenticanza di Dio e la ribellione contro di lui, o l'oppressione nel senso dell'eccedere i giusti limiti di comportamento nel trattare con gli altri, violando i diritti umani essenziali, specialmente quelli dei deboli e degli emarginati. Pensa forse ACW che gli esseri umani, se solo sufficientemente e volonterosamente istruiti sul duplice comandamento dell'amore, potranno e vorranno superare questa situazione problematica? ACW non discute i modi in cui l'amore di Dio è capace di arrivare e sanare "la situazione dell'uomo". Al contrario, la risposta dell'arcivescovo dice che "quando Dio agisce verso di noi con compassione per liberarci dal male, per sanare le conseguenze della nostra ribellione contro di lui e per farci capaci di invocarlo con fiducia, il suo è un naturale, ma non automatico, fluire all'esterno del suo agire eterno". Abbiamo in comune noi, cristiani e musulmani, una consapevolezza del nostro bisogno di essere liberati da Dio nella libertà del suo dono di amore? In questo caso, la nostra risposta d'amore all'agire di Dio sembrerebbe richiedere pentimento, preghiera per un'intima purificazione così come per una purificazione fatta di atti di compassione, la pratica dell'autocritica come individui e come persone associate, e la preghiera perché possiamo essere sanati, redenti e rigenerati dalla forza dell'amore di Dio che si dona.
Questa consapevolezza produrrà in noi uno sforzo risoluto verso una onesta autocritica, così come un intenso desiderio di ricevere istruzioni e di essere purificati e trasformati dall'ascolto di ciò che Dio vuole dirci attraverso i nostri interlocutori nel dialogo, siano essi seguaci dichiarati di una fede religiosa o no. Riteniamo il nostro dialogo sufficientemente sostenuto da queste convinzioni e le nostre attitudini modellate da esse?
2. Il duplice comandamento dell'amore come chiave di interpretazione delle Sacre Scritture
L'arcivescovo di Canterbury ha messo in rilievo la differenza sostanziale tra come i cristiani e i musulmani comprendono ciò che sono le Sacre Scritture, come anche i posti differenti tenuti dalle rispettive Scritture nell'insieme delle loro teologie. Concordo pienamente con lui quando dice che, a dispetto di queste differenze, "studiare le nostre Scritture insieme può continuare a procurare momenti fruttuosi nel nostro impegno reciproco nel processo di costruire una casa insieme". Di fatto ritengo che sforzi risoluti ed efficaci, nel promuovere lo studio da cima a fondo della tradizione religiosa dell'interlocutore musulmano o cristiano del dialogo, siano essenziali specialmente tra gli studiosi di religione, musulmani e cristiani. Tale studio dovrebbe essere caratterizzato al tempo stesso da empatia e da rigore critico, e dovrebbe sforzarsi di comprendere le singole dottrine dentro l'insieme dell'universo di fede dell'interlocutore nel dialogo. Abbiamo studiosi cristiani dell'islam e studiosi musulmani del cristianesimo sufficientemente preparati in questa visione d'insieme? Uno studio critico e al tempo stesso empatetico dell'interlocutore nel dialogo implicherebbe che sempre più cristiani studino l'islam come i musulmani lo vedono idealmente e anche come esso è stato ed è vissuto in concreto; allo stesso modo, implicherebbe che sempre più musulmani studino gli insegnamenti normativi così come le realtà empiriche della fede cristiana e della tradizione della cristianità, con una pari attitudine di apertura critica. In questo modo, dottrine quali ad esempio "l'alterazione delle scritture blbliche fatte da ebrei e cristiani" (tahrif), "l'incarnazione di Dio nel Messia Gesù", "la Santa Trinità di Dio", "la natura increata del Corano", "Maometto sigillo dei profeti" (khatam an-nabiyyin) potrebbero essere meglio apprezzate anche da coloro che non possono accettarle nella fede. Avanzo qui la richiesta di un insegnanento critico cristiano-musulmano contrassegnato dalla volontà di comprendere, olte che di amare. Perché non riformulare anche in questo modo la regola d'oro: Cerca di comprendere la fede dell'altro come tu vorresti che la tua fede sia compresa?
Quei musulmani e quei cristiani che percorrono il difficile sentiero dell'applicazione intelligente delle moderne scienze umane alle grandi antiche discipline delle loro rispettive tradizioni tradiscono forse la loro fede e agiscono contro la carità? No. I cristiani e i musulmani impegnati nello studio dell'altra fede devono percorrere questo difficile sentiero in uno spirito di comprensione caritatevole ed empatetica. Dove questo spirito manca, negli studi delle tradizioni degli uni e degli altri, noi tradiamo gli imperativi fondamentali che sono comuni a entrambe le nostre fedi circa l'amore e il rispetto del nostro prossimo.
3. Il duplice comandamento dell'amore e i diritti umani
Solo piuttosto di recente le Chiese cristiane e pochi individui e gruppi (almeno di una certa dimensione) musulmani hanno modificato il loro insegnamento sui diritti umani, in via di principio. Hanno compiuto una svolta e sono diventati sostenitori e difensori dei diritti umani. Dio stesso, essi argomentano, ha fondato tali diritti, come parte dell'intima natura dell'uomo. Questa è la ragione decisiva per cui tali diritti reclamano il rispetto incondizionato sia da parte dello Stato che da parte della Chiesa. Diritti umani e diritti divini non possono essere messi in campo gli uni contro gli altri. I diritti umani danno espressione alle condizioni minime che proteggono la dignità che è dovuta alla persona umana come creatura di Dio. In questo senso, riconoscere e rispettare i diritti umani non è nulla di diverso che obbedire alla volontà di Dio; in effetti, vi sono molti credenti per i quali la promozione dei diritti umani è un aspetto dell'obbedienza al duplice comandamento dell'amore. Ho ragione o sbaglio quando sostengo che coloro che hanno firmato ACW implicitamente riconoscono i diritti umani? La parola "islam" significa "sottomissione alla volontà di Dio". Quindi, se i diritti umani corrispondono alla volontà divina, è giusto dire che l'islam per sua natura comporta l'obbligo di riconoscerli, assieme a tutti gli uomini di buona volontà?
4. Il duplice comandamento dell'amore e l'organizzazione dello stato in società multietnica e multireligiosa
Nel dialogo cristiano-musulmano la questione della corretta relazione tra la religione e lo Stato gioca un ruolo importante. L'alto interesse della gran parte dei cristiani e di molti musulmani per la separazione tra la religione e lo Stato non sembra primariamente dovuta a ragioni filosofiche o ideologiche. Molto più importanti e assolutamente necessarie, per capire questa separazione, sono le vicende storiche che hanno portato ad essa: in Occidente sono state specialmente le guerre confessionali dopo la Riforma protestante e, più avanti, le dittature fasciste e comuniste del XX secolo. Dei limiti sono così imposti sia alla religione che allo Stato, che a loro volta li accettano. Ciò deriva dal convincimento che questa mutua demarcazione è utile a entrambe le parti e consegue da quell'amore del prossimo che consiste nel rispettare l'identità religiosa e confessionale dell'altro, anche se l'insegnamento associato con tale identità è respinto come inadeguato o falso. Ciò esclude l'obiettivo di imporre un ordine statuale islamico o cristiano. Ciò comporta l'idea che la separazione tra lo Stato e le religioni serve la coesistenza pacifica di tutti i popoli. Il ruolo neutrale che è prescritto allo Stato trattiene lo Stato dallo sviluppare una esagerata, pseudoreligiosa comprensione di sé e anche trattiene particolari religioni dal piegare il potere e la violenza ai propri interessi. Il tentativo di stabilire Stati cristiani è fallito con enormi costi per tutte le parti. Niente fa pensare che degli stati islamici possano funzionare meglio. Qui la questione cruciale è ancora una volta la comprensione dei diritti umani. Io penso che dovremmo intensificare il dialogo su questo punto.
Lo Stato moderno deve preservare la sua neutralità religiosa. Possiamo resistere insieme a tutti i tentativi, da qualsiasi parte provengano, di creare passo dopo passo spazi di dominio di una Legge direttamente derivata da testi ritenuti divinamente rivelati e alla fine uno Stato governato da un simile corpo di leggi?
5. Il duplice comandamento dell'amore e la violenza nel nome della religione
Nessuna religione può dirsi libera dal fatto che della violenza sia stata o sia tuttora perpetrata in suo nome. Il fardello così ereditato non può sparire per incanto. Perché il passato e la sua memoria siano sanati ci vuole di più che un accordo sui fatti, anche se il solo far questo può essere molto difficile. Tutte le religioni devono affrontare il compito di fare chiarezza sulla loro relazione con la violenza, per il bene del futuro. Ciò va molto al di là del problema della Guerra Santa. Come una religione deve agire con gli esseri umani che si allontanano da essa? E come con coloro che falsificano o diffamano o ridicolizzano la fede? Nell'Occidente cristiano per secoli chi era giudicato colpevole di apostasia, eresia e bestemmia era minacciato o punito con la morte. Questo è il passato, sperabilmente per sempre. Il principio capitale secondo cui nessuno deve essere costretto a credere (cfr. Corano 2, 256) arriva ad essere pienamente realizzato solo se garantisce anche la libertà di abbandonare la fede, di comprenderla in modo differente, o anche di disprezzarla. Sono fortemente convinto che compete esclusivamente a Dio giudicare il peso di simili scelte. Solo Lui è capace di vedere chiaro nel profondo dei cuori delle donne e degli uomini. Di conseguenza noi dovremmo guardarci dal voler anticipare il Suo giudizio.
Prima di concludere consentitemi di fare una proposta pratica: non potrebbe il Cambridge Inter-Faith Programme, nello spirito di ACW, costituire un comitato di lavoro permanente cristiano-musulmano (non voglio chiamarlo un comitato di guardiani) che accolga e valuti le denunce da parte di musulmani e cristiani circa modi di agire e di parlare ad opera di individui e istituti musulmani e cristiani che sembrino contraddire clamorosamente lo spirito e i principi del dialogo al quale questi stessi individui ed istituti si sono impegnati?
Conclusioni
Il dialogo tra cristiani e musulmani è probabilmente soltanto agli stadi iniziali. Esso esige pazienza e fiducia, sforzo costante e cuori aperti. È la nostra fede, prima di tutto, che ci comanda di parlarci l'un l'altro a dispetto di tutte le scoraggianti esperienze delle nostre relazioni passate e presenti. In altre parole, Dio aspetta da noi un dialogo, il Dio che noi cristiani invochiamo insieme con voi musulmani come il misericordioso, il giusto, l'amorevole e il paziente. Noi dobbiamo gratitudine a Dio e anche agli autori della lettera aperta, così come all'arcivescovo di Canterbury, per aver efficacemente focalizzato le nostre aspirazioni e preghiere sul progrediente pellegrinaggio di incontro tra gli uni e gli altri, verso di Lui.
26/10/2008 12:18 – VATICANO - Papa: Cristiani d’Oriente, vittime di intolleranze e crudeli violenze - Benedetto XVI lancia un nuovo appello per le chiese in Iraq e in India, perché sia garantita ai cristiani non privilegi, ma la dignità di poter vivere e collaborare alla vita della loro Patria. Egli chiede alle autorità civili di “non risparmiare alcuno sforzo” per garantire la legalità e alle autorità religiose di fare gesti “espliciti” di amicizia con i cristiani. Gli appuntamenti futuri con l’Africa nel 2009. Il ricordo di un missionario francescano, martire in Cina.
Città del Vaticano (AsiaNews) – L’ultima parola di Benedetto XVI ricordando il Sinodo dei vescovi sulla “Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” e dedicata alla situazione di persecuzione delle Chiese in Iraq e in India. Parlando prima della preghiera dell’Angelus, davanti alle decine di migliaia di pellegrini radunati in piazza san Pietro, egli ha detto di far suo un appello lanciato due giorni prima dai Patriarchi delle Chiese orientali, a conclusione del Sinodo, per richiamare la comunità internazionale, i leader religiosi e ogni uomo e donna di buona volontà “sulla tragedia che si sta consumando in alcuni Paesi dell’Oriente, dove i cristiani sono vittime di intolleranze e di crudeli violenze, uccisi, minacciati e costretti ad abbandonare le loro case e a vagare in cerca di rifugio”. “Penso – ha aggiunto il pontefice - in questo momento soprattutto all’Iraq e all’India”.
“Sono certo – ha continuato il papa - che le antiche e nobili popolazioni di quelle Nazioni hanno appreso, nel corso di secoli di rispettosa convivenza, ad apprezzare il contributo che le piccole, ma operose e qualificate, minoranze cristiane danno alla crescita della patria comune. Esse non domandano privilegi, ma desiderano solo di poter continuare a vivere nel loro Paese e insieme con i loro concittadini, come hanno fatto da sempre”.
In Iraq e in India, le violenze sembrano diffondersi anche a causa del silenzio e dell’inazione delle autorità politiche. Per questo il pontefice afferma: “Alle Autorità civili e religiose interessate chiedo di non risparmiare alcuno sforzo affinché la legalità e la convivenza civile siano presto ripristinate e i cittadini onesti e leali sappiano di poter contare su una adeguata protezione da parte delle istituzioni dello Stato. Auspico poi che i Responsabili civili e religiosi di tutti i Paesi, consapevoli del loro ruolo di guida e di riferimento per le popolazioni, compiano dei gesti significativi ed espliciti di amicizia e di considerazione nei confronti delle minoranze, cristiane o di altre religioni, e si facciano un punto d’onore della difesa dei loro legittimi diritti”.
Benedetto XVI ha ricordato ancora una volta i suoi futuri appuntamenti con l’Africa, già citati nella messa di conclusione del Sinodo tenuta poche ore prima nella Basilica di san Pietro: “Nell’ottobre del prossimo anno si svolgerà a Roma la II Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa. Prima di allora, a Dio piacendo nel mese di marzo, è mia intenzione recarmi in Africa, visitando dapprima il Camerun, dove consegnerò ai Vescovi del Continente l’Instrumentum laboris del Sinodo, e quindi in Angola, in occasione del 500° anniversario di evangelizzazione di quel Paese”. Concludendo egli ha detto: “Affidiamo le sofferenze sopra ricordate, come anche le speranze che tutti portiamo nel cuore, in particolare le prospettive per il Sinodo dell’Africa, all’intercessione di Maria Santissima”.
Dopo la preghiera mariana, Benedetto XVI ha salutato i pellegrini in diverse lingue. Ai saluti in italiano ha ricordato i fedeli di Velletri-Segni, "venuti con il vescovo mons. Vincenzo Apicella in occasione del centenario della nascita del Servo di Dio Padre Ginepro Cocchi, Frate Minore, sacerdote e missionario in Cina, dove morì per la fedeltà a Cristo nel 1939". "L’esempio di Padre Ginepro - ha aggiunto il papa - sia sempre per voi di stimolo ad una coraggiosa testimonianza del Vangelo".
Scuola: che fare? - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 26 ottobre 2008 Dopo la guerra sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, siamo alla guerra di cifre sui partecipanti alla manifestazione a Romaal Circo Massimo, e intanto nessuno legge il decreto 133 e nessuno discute davvero di scuola
Siamo alle solite.
Berlusconi che dice o non dice – State buoni se potete - altrimenti arriva la polizia. E via le polemiche e le discussioni, se davvero il Presidente del Consiglio parlò così, se invece lo hanno capito male, se lo hanno capito bene ma interpretato faziosamente.
Ora dopo la manifestazione al Circo Massimo, rieccoci a discutere se i numeri sono quelli dettati dagli organizzatori o se invece sono quelli dati dalla polizia.
Insomma, fate un calcolo di quanti metri quadrati ci sono al circo Massimo e quante persone ci stanno non troppo assiepate in un metro quadrato e finiamola!
La foto scattata dall’elicottero e pubblicata sui blog del PD chiarisce l’arcano, non potevano essere milioni.
Ma ora finiamola e cominciamo a parlare di cose serie.
Cominciamo a parlare di scuola, di come fare per salvarla.
Perché pro Gelmini o contro la Gelmini, sta di fatto che nessuno nasconde che serve qualcuno che faccia qualcosa perché i buoi sono oramai scappati dalla stalla.
L’altra mattina al bar davanti all’istituto “Caterina da Siena” di Milano, (chissà perché hanno omesso il Santa) una signora diceva al barista – questa è la volta buona, sulla riforma della scuola sono caduti tutti, vedrai che cade anche questo Governo –
Insomma, della scuola - non ce ne può fregar de meno – come dicono nella capitale, l’importante è che ci si scambino le poltrone.
Ieri a casa mia sono 'transitati' tra figli e fidanzate, sei universitari, orientamento alle ultime elezioni: lega, centro destra, sinistra, estrema sinistra, nessuno di loro era andato alla manifestazione, né a Roma né a Milano.
Passi per la “Bocconiana” la sua Università è privata, ma gli altri, tutti iscritti a Università Statali?
Qualunquisti? Apatici? Non direi, avevano il problema dell’esame da dare, della lezione di spagnolo, della prof che spiega malissimo, tutti a dire che bisogna cambiare, migliorare, che non si possono attendere mesi per presentare la tesi, che si fanno esami inutili e non si studia inglese e che nelle loro Università in questi giorni si studiava, altro che manifestazioni, e come loro la maggioranza degli studenti.
Io allora mi chiedo, ma invece di perderci in chiacchiere, di perdere tempo a discutere sulle dichiarazioni del premier o sul numero dei partecipanti alle manifestazioni, non potremmo parlare di scuola?
Capire cosa c’è da rifare e riformare, quali sono i privilegi ai quali dobbiamo rinunciare?
Se c’è stato, è c’è stato lo sappiamo, spreco, clientelismo, Università clonate per far contenti i baroni della cultura, rendiamoci conto che la festa è finita.
Poi saranno pure sbagliati i tagli uguali per tutti, ma resta il fatto che le cose così non possono permanere.
Diceva venerdì uno studente intervistato da Radiopopolare che - la scuola ha un sacco di problemi, non doveva venire la Gelmini a dirlo, lo denunciano da anni gli studenti – bravi, ma circa le cose da fare per risolvere i problemi nemmeno una parola, solo la certezza che non si possono ridurre le assunzioni, altrimenti si rischia di avere insegnanti senza posto.
Qui più che un nuovo ’68, pare un vecchio ‘rabelot’ perché i giovani manifestano non per una società nuova, ma per mantenere lo status quo, non c’è nemmeno l’utopia della fantasia al potere, che tanti danni ha fatto, ma che nessuno osa spodestare.
26 ottobre 2008 - Frigo? L'avvocato Frigo? Ma chi è questo Frigo? – di Giuliano Ferrara
Notizia esplosiva e ridicola dei giorni scorsi. Se c’è accordo sulla Rai, allora alla Corte costituzionale sarà eletto l’avvocato Pecorella. Sennò, bè, alla fine viene eletto Giuseppe Frigo, un avvocato che porta due magnifici e grandi mustacchi. Berlusconi dovrebbe approfittare del momento magico per introdurre qualcosa di nuovo nella democrazia repubblicana, per diventare un riformatore. Detto con tutto il rispetto: ma chi è mai l’avvocato Giuseppe Frigo? Certo, uno può informarsi. C’è Google. Weekypedia. Il Who’s Who. E ci sono i giornali, che qualche notiziola ogni tanto la rimediano e la riferiscono. E gli annali giudiziari, le riviste specializzate… ma è chiaro che la mia domanda è un’altra: chi è per la democrazia istituzionale l’uomo che le Camere hanno eletto senza discussione nella Corte suprema, quella che dovrebbe decidere cose basilari come la costituzionalità delle leggi, e dunque ispirare l’insieme del nostro sistema giuridico quando si tratti dei nostri diritti, delle libertà civili e di altre questioni di vita o di morte per una moderna democrazia?
Come per il Presidente della Repubblica, uno scandalo inutilmente gridato in passato da questo giornale, anche per i giudici costituzionali le Camere procedono all’elezione riunendosi a data certa nella forma del “seggio elettorale”. Questa formula significa che è vietato discutere il nome della persona candidata, è espressamente vietato interrogarla e ascoltare dalla sua viva voce quale sia la sua cultura giuridica o politica o civile prevalente, quale sia la sua esperienza dei problemi che incontrerà nella lunga fase della sua vita (nove anni) in cui si prenderà cura di noi al vertice di autorevoli istituzioni. La istituzione parlamentare degli hearing, delle audizioni, che è una delle qualità legittimanti della funzione di controllo dei parlamenti anglosassoni, da noi è sconosciuta, la si usa solo in funzione informativa e consultiva per ascoltare talvolta i membri del governo, il governatore della Banca d’Italia, autorità varie e rappresentanti della società civile (se avanza il tempo).
Lasciamo adesso stare il quadro generale. Non chiedo riforme globali, così difficili da impostare, discutere e varare (eppoi per demagogia magari un referendum le seppellisce). Ma sarebbe così complicato (è solo una proposta, ma è una proposta) fare in modo che i membri della Corte costituzionale siano in ogni caso, sia quando eletti dal Parlamento sia quando designati da altre fonti decisionali, sottoposti a audizione parlamentare e a un voto consultivo? I presidenti delle Camere non potrebbero riunirsi e far valere per una volta un punto di vista riformatore nuovo, magari d’accordo con il capo dell’esecutivo? Onorevole Fini e senatore Schifani, perché non ci provate voi?
Sarebbe una piccola ma significativa rivoluzione culturale. Si saprebbe chi e perché va a sorvegliare il diritto costituzionale in Italia. Si potrebbe vagliare in un dibattito pubblico e trasparente la sua qualificazione e la sua filosofia della legge e dello stato e dei diritti individuali e sociali. Sarebbe un modo per sottrarre a quella logica da Rotary club o da piccola massoneria di servizio una serie di nomine che esprimono alla fine il potere della democrazia, ma lo fanno con regole che oggi negano la democrazia come controllo rappresentativo dei cittadini attraverso le assemblee elettive. La stampa non sarebbe ridotta a raccogliere pettegolezzi, e l’interesse culturale per la Costituzione vivente cancellerebbe quello che oggi è il pomposo omaggio di prammatica a una cultura costituzionale morta.
LA SINTESI DELLE PROPOSIZIONI FINALI - Il Papa: Sinodo, polifonia della fede - I VESCOVI CI CONDUCONO NELLA LETTURA DELLA BIBBIA - NELLA TRAMA DELLA STORIA LA PAROLA SOLCO AFFIDABILE - MARCELLO SEMERARO – Avvenire, 27 ottobre 2008
Il Messaggio del Sinodo che oggi si conclude, pubblicato ieri integralmente su queste pagine, è stato scritto con l’intento di raggiungere « l’immenso orizzonte di tutti coloro che nelle diverse regioni del mondo seguono Cristo come discepoli e continuano ad amarlo con amore incorruttibile ». Si tratta, però, anche di una voce ansiosa d’entrare nella casa di ogni persona per veicolare a favore di ciascuno la Parola di Dio. Più che di un ' Messaggio' sulla Parola di Dio, intendo dire, il testo ora a nostra disposizione è, in qualche modo, la stessa Parola di Dio che, utilizzando gli strumenti umani e gli stessi mass media, si fa 'messaggio'. A tal punto, infatti, lo compongono le parole della Scrittura, da farne quasi un 'centone', un mosaico di cui la gran parte dei tasselli sono pietre cavate dalla Sacra Scrittura. «Intessuto di Sacra Scrittura, spazia dall’Antico al Nuovo Testamento e ne fa il testamento di Dio al suo popolo»: è infatti il giudizio entusiasta rilasciato dal patriarca greco-melkita d’Antiochia Gregorio III Laham. A proposito, poi, di tessuti, è lo stesso titolo a suggerire l’immagine quando ricorre al termine 'trama' per dirci il luogo della Parola di Dio: nella trama della storia. Nella linearità, ma pure nella tortuosità del suo svolgersi, la storia è una sorta di trama, che diventa storia di salvezza quando è incontrata dall’ordito, che è la Parola di Dio. 'Parola e storia', un binomio fondamentale. Anzitutto, perché c’è proprio la Parola di Dio, come ricorda il Messaggio, all’origine della storia umana. Dio disse. Non cesserà mai nel cuore credente lo stupore per questa indebita – cioè liberissima – Parola. Non udita da alcuno, ma più efficace di ogni altra. Parola 'prima' ed 'unica', da cui tutte le altre parole - anche le nostre più umili e perfino le più inutili - dipendono e sono giudicate. In questo congiungimento di Parola e storia c’è anche la nostra missionarietà. K. Barth ripeteva spesso che tra Bibbia e giornale dovrebbe come scoccare una scintilla. Ciò che intendeva non è distante da quanto è scritto nel Messaggio riguardo all’omelia, dove «il ministro dovrebbe trasformarsi anche in profeta».
Per distinguerne le sue parti il Messaggio ha scelto di ricorrere a termini fortemente evocativi, a parole-simbolo, ciascuna quasi corrispondente a una ' declinazione della Parola di Dio': la sua voce, il suo volto, la sua casa, le sue strade. 'Voce' e 'volto' alludono alla dinamica del mistero dell’Incarnazione. 'Casa' e 'strada' sono simboli della comunione e della missione. Nel 'terzo pilastro' su cui è edificata la 'casa della Parola' c’è la lectio divina, che è stata come la 'litania' sinodale. Si tratta del simultaneo leggere la Scrittura e ascoltare la Parola di Dio, fondato sul fatto che la Parola di Dio «precede ed eccede la Bibbia». Ma poi la Parola vuole « incontrare il grande pellegrinaggio che popoli della terra hanno intrapreso alla ricerca della verità, della giustizia e della pace».
Il Messaggio ripete ciò che S. Gregorio Magno scrisse nei suoi Moralia in Job (cf. V, XXIV, 16): la vita dei buoni è una pagina biblica vivente. Ed è proprio questa vita honorum che da ultimo – come già ebbe a scrivere Giovanni Paolo II – è comprensibile «anche da chi, deluso dall’inflazione delle parole umane, cerca essenzialità e autenticità nel rapporto con Dio, pronto a cogliere il messaggio emergente da una vita in cui il gusto della bellezza e dell’ordine si coniugano con la sobrietà» (Lettera all’Abate di Subiaco, 7 luglio 1999).
Con il richiamo al silenzio si chiude pure il Messaggio, mentre ci torna alla memoria l’annotazione biografica di Clemente Rebora: «La Parola zittì chiacchiere mie».
LA LEGGE 40 SFIDATA ORA DAL KIT SUPER- SICURO - Gran fervore mercantile attorno alle provette - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 26 ottobre 2008
N on se ne parla come un tempo: la ricerca sulle cellule staminali non occupa più le prime pagine dei quotidiani come accadeva prima. Poche le notizie riportate, niente più titoli urlati, spuntano persino qua e là inviti alla cautela e a diffidare delle promesse di viaggi della speranza.
Eppure non è certo diminuito il lavoro dei ricercatori né l’interesse per i risultati: le scoperte sulle staminali continuano a susseguirsi e a essere pubblicate nelle riviste specializzate, ma non hanno la stessa eco mediatica. Il motivo principale è che la scoperta dello scienziato giapponese Shinya Yamanaka, le staminali pluripotenti indotte (o «Ips») – simili a quelle embrionali ma ricavate da cellule adulte –, ha reso ormai superata la ricerca sugli embrioni. Tante risorse umane e soprattutto ingenti capitali si stanno riconvertendo proprio allo studio delle Ips. È crollato l’interesse scientifico per la cosiddetta clonazione terapeutica (che nessuno è riuscito finora a realizzare negli esseri umani) e il sostanziale silenzio caduto sull’argomento dimostra quanto tutte quelle notizie sensazionali fossero date in modo strumentale e ideologico, finalizzate a permettere un libero utilizzo di embrioni umani, anziché per ottenere quelle cure e terapie che invece tutti ci auguriamo.
La battaglia adesso sembra essersi spostata sul terreno della diagnosi preimpianto: cioè la possibilità o meno di effettuare analisi genetiche sugli embrioni ottenuti da fecondazione in vitro per poter scegliere i 'migliori', scartando i malati e trasferendo in utero solo quelli sani. Sappiamo che l’analisi preimpianto attualmente può avere solo questo scopo eugenetico visto che, una volta individuata l’eventuale anomalìa, non esistono a oggi terapie in grado di curare gli embrioni. È un’analisi con un elevato grado di incertezza nei risultati – tanto che a chi vi si sottopone viene consigliata comunque l’amniocentesi –, con la quale è possibile danneggiare gli embrioni stessi. E per effettuarla è necessario averne a disposizione tanti: non ha senso farla solo per conoscere «il grado di salute biologica del futuro individuo», come invece suggeriva ieri Edoardo Boncinelli dal Corriere della Sera. La nostra legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita – che, beninteso, non è una norma cattolica, visto che il magistero della Chiesa interdice la fecondazione in vitro – non consente questa procedura dichiaratamente selettiva. Ma per una curiosa coincidenza, mentre siamo in attesa di un’importante sentenza della Corte Costituzionale sulla legge 40 che potrebbe aprire le porte proprio alla diagnosi preimpianto e alla selezione del 'figlio perfetto', ecco apparire notizie su esami genetici 'low cost' per scovare le malattie ereditarie. Per 'soli' duemila euro sarebbe infatti in arrivo un test che promette di stanare addirittura 15 mila difetti genetici, praticamente tutti. Nulla si dice su come faccia a garantire la certezza del risultato, nulla sulla sua accuratezza, nulla sull’efficacia, tantomeno sulle vittime di tanto repulisti: solamente si sottolinea che questo test propagandato come 'miracoloso' sarà vietato in Italia. La colpa? Della legge 40, ovviamente. Ma è proprio questa legge che garantisce l’embrione umano difendendolo da qualsiasi pratica selettiva e dai ricorrenti tentativi di far credere che gli esami genetici sarebbero facili, sicuri, 'infallibili'.
Il messaggio che simili notizie finiscono con l’inviare è chiaro: basta poco per fare pulizia nella specie umana. Degli enormi interessi economici che spingono alla diffusione indiscriminata di questo tipo di esami neanche un accenno.
Insomma, è arrivato il momento dei consigli per gli acquisti.
Dalle università alle fondazioni: un sistema libero ed efficiente, sul modello europeo - Mario Mauro - lunedì 27 ottobre 2008 - IlSussidiario.net
Sono tre le priorità che il Ministro Gelmini tiene in considerazione nella sua riforma e sulle quali i paesi europei stanno convergendo per riformare seriamente il sistema dell'istruzione universitaria: autonomia gestionale, autonomia finanziaria e gestione efficiente dei finanziamenti, legati ai risultati ottenuti dall'istituto.
Nella stragrande maggioranza dei paesi europei c'è una chiara tendenza a concedere una sempre più ampia autonomia agli istituti di istruzione superiore, per quanto concerne la libertà di educazione, ma anche, e forse in particolar modo, nella gestione del bilancio istituzionale. In alcuni paesi, come ad esempio nel Regno Unito, il sistema di istruzione superiore opera tradizionalmente con un altissimo grado di autonomia, anche a livello finanziario. Anche le università olandesi godono da più di 20 anni di grande autonomia. Dal 1997 perfino in Islanda è cominciato un processo in questa direzione. Gli altri paesi europei hanno iniziato questo processo solo recentemente, incentrando le proprie politiche su piani strategici di sviluppo per la gestione delle risorse finanziarie che sono basate sui bisogni specifici di ciascun paese. Il processo è accompagnato da vari meccanismi di accountability che possono prendere la forma di relazioni annuali o audit interni ed esterni.
Nella parte fiamminga del Belgio, l'istruzione superiore è stata storicamente controllata in modo rigoroso dallo Stato. Oggi c'è grande autonomia, che è il risultato del progressivo coinvolgimento degli staff e degli studenti nella formazione delle politiche e nella gestione dei soldi.
In Grecia, una legge recentemente adottata dal Parlamento ridurrà il controllo del Ministero dell'istruzione sulla gestione delle risorse finanziarie. Ogni università adotterà un piano di sviluppo quadriennale al quale sarà direttamente legato il finanziamento pubblico.
La proposta del ministro Gelmini di trasformare le università in fondazioni ha una lunga serie di precedenti europei: in Francia la legge varata nell'agosto 2007 che conferisce un'importante autonomia gestionale e finanziaria, oltre a garantire nuove responsabilità e autorità in materia finanziaria, offre la possibilità di creare fondazioni universitarie o partnership con aziende. Dal 2007 anche in Portogallo, con il nuovo sistema di istruzione superiore, viene data la possibilità agli istituti pubblici di avere lo status di fondazioni, con un aumento esponenziale dell'autonomia, soprattutto in termini finanziari.
In Finlandia, nel 2007 è stata avanzata una proposta per cui ogni università possiede lo status legale di fondazione.
Altro punto importante, che il ministro Gelmini sottolinea costantemente quando punta il dito sull'inefficienza del sistema e sulla necessità di tagliare gli sprechi, è il legame diretto tra i risultati perseguiti dall'Università e i finanziamenti ottenuti, Anche questo "format" ha parecchi fruitori all'interno dell'Unione europea: i governi sono sempre più interessati ad un'ottimizzazione del bilanciamento tra le risorse finanziarie che investono nell'istruzione superiore e il risultato complessivo del settore. Si moltiplicano gli esempi di Governi che guardano al risultato del presente per la previsione futura dell'allocazione delle risorse. Le modalità possono essere due: solitamente il processo prevede una negoziazione del bilancio che porta alla stipulazione di un contratto tra l'istituto e il Ministero, o comunque con chi eroga i finanziamenti. La seconda modalità prevede l'utilizzo di una formula "budgeting systems" che include indicatori di performance. In alcuni paesi, come il Regno unito dall'1986 e l'Estonia dal 2002, tali politiche sono già pienamente integrate nel sistema, in altri, riforme analoghe sono state recentemente adottate (in Austria nel 2007), o sono in dirittura d'arrivo (Belgio fiammingo, Spagna e Romania). Per arrivare a riforme di questo tipo un po' tutti i paesi dell'Unione stanno aumentando l'attenzione sull'utilizzo di sempre più precisi e complessi strumenti di monitoraggio dell'efficienza dell'istruzione superiore. In Francia, la legge del 2006 sulla finanza pubblica, rinforza il legame tra finanziamento e risultato basandosi su obiettivi e indicatori. In Finlandia, la riforma del sistema di finanziamento che ha avuto inizio nel 1990, prevede che gli obiettivi e le risorse utili per raggiungere tali obiettivi vengano determinati con un negoziato tra gli istituti e il Ministero dell'istruzione. Nel Regno Unito il finanziamento per supportare le infrastrutture di ricerca è distribuito selettivamente, dopo i controllli periodici del Research Assessment exercise (RAE). Questo sistema di monitoraggio permette di mantenere e sviluppare la competitività della ricerca negli istituti britannici. Dal 1990 in Norvegia la pianificazione è orientata sul risultato, anche qui bilanciando obiettivi e indicatori per "misurare" i risultati, tutto questo per salvaguardare le importantissime ma vulnerabili attività accademiche.
Questa panoramica è la dimostrazione del fatto che in Europa la corrente anti-centralista e anti-statalista è assolutamente dominante. Libertà e quindi sussidiarietà sono ormai il sale della concezione del sistema scolastico e universitario. È tempo che anche da noi ci si renda conto che protestare, in nome di un'ideologia defunta, contro chi lavora in questo senso vuol dire protestare contro la propria libertà. La proposta di legge N. 6338/2006 sulla diversificazione dell'offerta formativa dell'On. Nicola Rossi va elogiata proprio perchè partita da chi oggi sta all'opposizione e apre la porta del dialogo nella giusta direzione, che come abbiamo visto, mette d'accordo la maggioranza degli Stati europei.
SCUOLA/ 2. Garavaglia: il ruolo pubblico svolto dalle scuole paritarie è un bene per tutti, da difendere - INT. Mariapia Garavaglia - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Senatrice Garavaglia, nonostante il clima di scontro dell’ultimo periodo, la scuola è e deve rimanere un banco di prova per un vero riformismo. Archiviata la manifestazione di sabato, è ora possibile ripartire per trovare punti di accordo tra maggioranza e opposizione?
Purtroppo il tema dell’incontro è stato impedito da come è stata posta da parte del governo la soluzione ai problemi della scuola. Quando il ministro Gelmini ha tenuto la sua prima audizione alle commissioni parlamentari, io mi sono lasciata andare ad espressioni di apprezzamento, indicando che si poteva prospettare un grande lavoro comune per il rilancio del nostro sistema scolastico. Poi, l’estate scorsa, è arrivato il decreto finanziario, in cui, prendere o lasciare, ci sono stati una serie di articoli a nostro modo di vedere tremendi, che mettono la scuola in ginocchio. Anche su questo noi abbiamo detto che avremmo lavorato in comune, cercando delle soluzioni in parlamento, anche perché sappiamo che l’Istruzione, come è successo anche nelle precedenti legislature, si trova in difficoltà a far valere di fronte al ministero dell’Economia le proprie ragioni.
Ma il dialogo può ripartire?
Io ribadisco che è un grande dolore il fatto che non si sia ancora trovata un’intesa, perché la scuola non può essere un terreno di scontro; dovrebbe invece essere argomento di dibattito, e su questo io sono disposta in ogni momento a ricominciare da capo. Ma se non c’è dibattito parlamentare e non c’è la possibilità di introdurre emendamenti, allora non ci può essere dialogo. Noi comunque non cambiamo parere, e aspettiamo che il governo apra una discussione, perché abbiamo idee che possono servire.
Un tema fondamentale, su cui si possono trovare convergenze tra maggioranza e una parte dell’opposizione, è la difesa della parità scolastica. Si teme però che in finanziaria possano essere previsti tagli, e c’è chi già protesta all’interno della maggioranza: cosa fare su questo terreno?
Io tengo alla scuola paritaria, come scuola che svolge un’importante funzione pubblica, da cui lo Stato non deve ritrarsi. Se la scuola paritaria risponde ai requisiti che le consentono di svolgere questa funzione, allora deve essere aiutata e sostenuta; e naturalmente è meglio aiutare il non profit che il profit. Noi, naturalmente, diciamo anche che la scuola deve essere valutata; quindi non è la scuola dei cosiddetti diplomifici che deve esser aiutata, bensì la scuola paritaria rappresentata dai tanti istituti seri che svolgono un lavoro di grande valore. Ad esempio, le scuole costituite da cooperative di genitori, così come la gran parte delle scuole cattoliche non sono diplomifici, e si inseriscono a pieno titolo in quelle realtà che svolgono una grande e utile funzione pubblica. Direi anche che il finanziamento, decretato con criteri rigorosi, può essere utile per distinguere e creare una selezione tra scuole che hanno valore e quelle che non l’hanno.
In effetti la difesa della parità ha un vero e proprio valore culturale, di cui può giovare l’intero sistema scolastico, non solo le scuole private.
Faccio un parallelo con la sanità, di cui mi sono a lungi occupata: nel campo sanitario il privato accreditato entra nella programmazione pubblica e corrisponde a criteri su cui il pubblico opera un controllo. Questo sistema misto pubblico-privato, basato sul criterio fondamentale dell’accreditamento, crea un bene per tutti. Motivo per cui non ci devono essere assolutamente disparità di trattamento, perché tutte le realtà che, in forme diverse, rientrano in questo sistema creano un bene per tutti.
La parità si colloca comunque sulla scia del più ampio discorso dell’autonomia; si parla anche della trasformazione della governance delle scuole, con il passaggio a fondazioni, come previsto ad esempio dal ddl Aprea: cosa ne pensa?
La scelta sta diventando difficile, perché se i tagli continuano la scelta della fondazione sarà solo una scappatoia per trovare fondi privati. Scuola e università sono un patrimonio di tutti, e soprattutto in momenti di crisi come questo è sbagliato pensare che l’affluenza di fondi da parte del privato possa essere un’ancora di salvezza per la scuola e l’università. Il ddl Aprea rimane comunque un progetto positivo; diciamo però che se si garantisce parità e autonomia vera, non è lo stato giuridico che conta. L’importante è guardare alla scuola come sede dell’autonomia e della libera scelta per le famiglie. Se garantisco l’autonomia e un budget da gestire, poi ogni scuola costruisce la propria risposta formativa, tenendo conto delle esigenze del territorio e della personalizzazione dei progetti educativi.
SPAGNA/ Grazie a Zapatero è nato Javier, il primo “bebè medicina”. Quanto è giusto gioire? - Redazione - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
L’Ospedale Virgen del Rocío di Siviglia ha annunciato come un successo la nascita di Javier, fratello di un bambino affetto da una grave malattia ereditaria. Questo neonato è stato generato, insieme ad altri embrioni “fratelli”, attraverso tecniche di fecondazione assistita, ed è stato selezionato tra tutti perché sano e perché ha un profilo di istocompatibilità identico a quello del suo fratello malato. In tal modo potrò donargli cellule staminali di tipo ematopoietico. Per questa ragione è conosciuto tra i mass media come il “bebè medicina”.
Suo fratello è affetto da talassemia major, una malattia cronica che produce grave anemia, facile suscettibilità alle infezioni, deformità ossee e depositi di ferro nel fegato e nel cuore. Per questo ha bisogno di continue trasfusioni e di cure che evitino il conseguente accumulo di ferro nell’organismo. Le possibilità di cura dipendono dal trapianto di cellule staminali della serie ematopoietica. Queste cellule si possono ottenere dal midollo osseo e dal sangue del cordone ombelicale di donatori compatibili, che possono essere familiari o meno.
Che vantaggi portano le tecniche di fecondazione assistita in questo contesto? Permettono di generare molti embrioni “fratelli” del paziente, aumentando quindi la probabilità di ottenere donatori compatibili. Togliendo una o due cellule dall’embrione quando è composto da otto cellule e facendo degli studi genetici - diagnosi preimpianto - è possibile identificare gli embrioni ammalati e disfarsene. È inoltre possibile, con questa stessa tecnica, selezionare quegli embrioni che hanno un profilo di istocompatibilità simile a quello del fratello malato e sceglierne uno per impiantarlo.
Il trapianto da un donatore scelto in questo modo ha una probabilità di successo leggermente superiore a quella di un donatore non familiare. In sintesi, le tecniche di fecondazione assistita, insieme alla diagnosi preimpianto, cercano di ottenere un donatore idoneo senza la malattia, appunto un “bebé medicina”.
Tuttavia, non ci sono solo vantaggi. Il numero di nascite di donatori per ciclo di fecondazione in vitro è stato finora molto basso (intorno al 15% per ognuno dei casi pubblicati). Il processo per ottenere il donatore è lento (richiede almeno 19 mesi per ottenere il sangue dal cordone ombelicale). I costi (o i benefici, a seconda dal punto di vista) sono molto elevati. Il numero di cellule ottenute dal sangue del cordone ombelicale possono essere insufficienti per il trapianto, e il bebè può quindi cessare di essere un donatore di midollo osseo (senza il suo consenso) per curare il fratello.
Perciò, di fronte ad altre forme per trovare donatori, questa tecnica presenta forti limiti. Il più importante è che le tecniche di riproduzione assistita mettono in forte pericolo il bambino così concepito (si veda l’ampia documentazione su Lancet 2007; 370:351). Rispetto ai bambini generati naturalmente: la mortalità perinatale o neonatale raddoppia; le probabilità di avere una malattia che richiede le cure di un’unità intensiva neonatale è maggiore di 1,5 volte; il rischio di prematurità estrema - con tutte le sue conseguenze negative - è triplicata; il rischio di gravi malformazioni in questi bambini è aumentato del 30%; c’è la crescente preoccupazione per la maggior probabilità di malattie legate all’impronta genetica (imprinting disorders) e ad altre alterazioni epigenetiche collegate con un ambiente artificiale di concepimento. Inoltre il rischio di paralisi celebrale è triplo, il rischio di alterazioni dello sviluppo neurologico è quadruplo, e attualmente si comincia a riscontrare un rischio più elevato di malattie cardiovascolari e di diabete in età adulta.
Così il “bebè medicina” corre un rischio di salute per nulla trascurabile. Senza aver provato con donatori alternativi che non corrono nessun rischio (banca del sangue del cordone ombelicale) o limitatissimo (donatori di midollo osseo).
La nascita di Javier è una gioia. È un desiderio condiviso che, quando si realizzerà il trapianto di sangue di cordone ombelicale o di midollo, suo fratello non lo rigetti e si veda liberato dalla sua malattia. Tuttavia non è accettabile che un numero sconosciuto di embrioni “fratelli” di Javier siano stati generati senza alcun interesse per loro e che siano stati poi eliminati come si fa con una medicina inutile. Né tanto meno si accorda con il valore immenso di Javier che egli, solo perchè utile come donatore, sia stato sottoposto ai notevoli rischi delle tecniche di fecondazione assistita.
(Ana Martín Ancel, membro della European Society for Pediatric Research)
ABORTO/ La pillola del giorno dopo e il miraggio di guarire dalla "malattia" della maternità - Carlo Bellieni - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
I medici hanno l'obbligo deontologico di "adoperarsi per tutelare l'accesso alla prescrizione nei tempi appropriati" della pillola del giorno dopo alle donne che ne facciano richiesta. E' quanto si afferma nel documento 'Etica e deontologia di inizio vita', varato dal Consiglio nazionale della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo).
Lette alcune conclusioni del convegno FNOMCeO, ci resta un po’ d’amaro in bocca. Che il medico si debba adoperare per la salute dei pazienti è ovvio; ma dovrebbe essere altrettanto ovvio che, come chiede il Sottosegretario Roccella, nelle discussioni si debba partire dai dati e non dai presupposti. Insomma, la questione della pillola del giorno dopo ci lascia insoddisfatti. Perché? Non è un diritto del paziente quello di essere curato? Certo. Ma ci sono due cose che evidentemente sfuggono. La prima è l’oggetto di cui parliamo: la “pillola” non è un mero anticoncezionale, ma può agire anche a “concezione” avvenuta, impedendo che l’embrione sopravviva (questo lo si legge anche in siti che nulla hanno in contrario alla “pillola”). E questo è un aborto. E deve rientrare nella disciplina della legge 194.
Secondo, è il diritto ad averla, perché se è un farmaco ormonale complesso (non un farmaco “da banco”, cioè senza bisogno di prescrizione) con possibili effetti collaterali (e possibilità che non sia l’unica risposta al problema della paziente!) il medico deve darlo “secondo scienza e coscienza” e non a semplice richiesta, altrimenti tanto varrebbe che lo vendessero al supermercato…
Il vero punto della questione è che certo esiste il trauma di una gravidanza imprevista, ma c’è anche il trauma della solitudine e dell’ignoranza: perché lo Stato e la società non si fanno carico di questo? Invece le uniche due parole che Stato e società sanno dire sulla sessualità delle giovani sono: “preservativo e IVG”, che ricordano un po’ il motto “libro e moschetto” di antica memoria. La legge 194 almeno ha (ma dovremmo dire “aveva”, dato che è bypassata dalla “pillola” suddetta) alla base il tentativo di “socializzare” la gravidanza, cioè di non lasciare la donna sola in un cantuccio senza alternative se non quella di affrontare una società che emargina e deride chi ha un figlio da giovane (o se lo fa quando ancora “tutte ma proprio tutte” le condizioni non sono favorevoli)… oppure di sbarazzarsene. “Socializzare” è dare tutte le possibilità economiche e sociali per avere un figlio e dare tutte le possibilità culturali perché fare un figlio-non-pianificato-e-non-necessariamente-perfetto non sia un’operazione da extraterrestri. Ma questo oggi è semplicemente negato: troppo facile per lo Stato e la società aprire la porta dell’eliminazione dell’embrione o della supposta cancellazione dalla memoria di un rapporto che avrebbe potuto diventare generativo e fecondo.
Ma se l’IVG zoppica, anche l’altro vessillo del novello motto, il preservativo, non gode di buona salute: non è infatti l’elisir che vorrebbero far apparire: semplicemente perché in una cultura che non educa alla conoscenza del proprio corpo, dei propri ritmi fecondi, dei propri sentimenti, dare un preservativo (e una pillola) e basta, è anche meno di dare il pesciolino a chi muore di fame invece di insegnargli a pescare.
Insomma, come dice l’on Roccella ai medici della FNOMCeO, “Riflettete su pillola e aborto!”, perché non se ne parli solo come forme di autoterapia (di quale malattia?). Già: per la legge italiana l’aborto è l’unica “terapia” che la persona possa auto-prescriversi (con il passaggio quasi formale dal medico) per l’unica “malattia” che la persona possa autodiagnosticarsi (almeno entro i 90 giorni) senza quasi interferenze: il rischio per la salute dovuto ad una nascita.
Ci sarebbe piaciuto che i medici italiani della FNOMCeO avessero riflettuto insomma perché non si abbia a creare una società di persone che sanno solo fuggire dai problemi senza imparare a costruire e affrontarli, senza conoscere se stessi e senza migliorare le proprie attitudini; perché lo Stato non sia solo quello che apre la porta a questa fuga. Questo è il reale compito del medico, che non può essere solo un “fornitore” di un servizio a chi da “paziente” è diventato “utente” all’interno di strutture che da “Ospedali” sono diventate “Aziende”.
USA/ Io, soldato in partenza per l’Iraq, sceglierò così chi votare tra Obama e McCain - Redazione - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Questa tornata elettorale, con i suoi molti dibattiti su come il nostro paese dovrebbe progredire nel futuro, non è qualcosa di lontano o astratto. Sono infatti in procinto di partire per la guerra.
Come molti miei amici cattolici, considero le prossime elezioni fra le più importanti della nostra vita. Da cattolici profondamente impegnati nel mondo, abbiamo il compito di formare la nostra coscienza attraverso gli insegnamenti della Chiesa. Dobbiamo quindi scegliere con prudenza il candidato da sostenere, in base ai programmi politici proposti. La domanda che occorre farsi è: chi di loro due servirà meglio il bene comune?
Il leader che scegliamo come nostro Presidente deciderà letteralmente il destino di molti americani nati e ancora in grembo. Non possiamo ignorare questa realtà. Ho passato molto tempo a guardare, ascoltare e seguire i candidati. Come tanti, vorrei anch'io creare il mio candidato, così come si costruisce il famoso "Mr. Potato Head" mettendo insieme i vari pezzi del giocattolo; ma questo non è possibile e nemmeno desiderabile, per molte ragioni.
La prima e più importante constatazione è il bisogno di accogliere la realtà per quello che è e non per quello che si vorrebbe che fosse. È facile cadere nella trappola ideologica di cercare di trovare il candidato perfetto, dimenticando la profonda verità antropologica che tutti, uomini e donne, sono peccatori. Quindi, non deve mai essere dimenticato che vi è chi si fa promotore di politiche che non sono molto diverse dal male.
Come dobbiamo procedere allora? Per rispondere a questa domanda, permettetemi di raccontarvi la mia esperienza personale dell’incontro con un uomo che io considero un santo cattolico. Un po' di anni fa, poco prima della sua morte, ho avuto il privilegio di incontrare e di mangiare “in comunione” con il mio eroe personale, Monsignor Luigi Giussani.. Lasciatemi spiegare perché è il mio “eroe” e perché lo considero un “santo”.
Ho ricercato la Verità per tutta la vita, con un desiderio incessante di conoscere, amare e servire Dio. Un cammino di fede che mi ha portato dal protestantesimo evangelico al buddismo, dall'islam allo spiritualismo dei Native Americans, dalla massoneria all'ortodossia russa e finalmente alla "Pienezza della Verità" che è il cattolicesimo.
Attraverso l'esempio vivente di Don Giussani, Cristo mi ha insegnato ad amare mia moglie e i miei figli con una profondità che sarebbe impossibile senza di Lui. Posso onestamente dire che la mia vocazione come soldato è stata salvata grazie a Don Giussani. Ora posso amare i miei soldati nella profondità del loro essere e ringraziare Dio ogni giorno per come loro mi rendono evidente Cristo. Don Giussani incarna per me ciò che un vero leader deve essere. Un vero leader è prima di tutto uno che serve.
Durante l'incontro, questo Apostolo di Cristo, Don Giussani, mi disse della sua grande speranza e affezione per l’America. Continuò dicendo che considerava l’America come il Sacro Romano Impero. Poi mi guardò dritto negli occhi e mi disse: «I cattolici in America devono essere fedeli al Santo Padre e facendo così salveranno l’America. Non solo l'America come paese ha un grande ruolo di responsabilità in questo mondo, ma ogni cattolico in questo paese ha una grande missione e un grande compito».
La verità di quelle affermazioni sta ancora risuonando in me.Basta considerare le questioni della vita, dall'aborto alla ricerca sulle cellule staminali, dall’eutanasia alla teoria della giusta guerra. Dobbiamo anche considerare cosa insegna la Chiesa attraverso il Santo Padre sul matrimonio e sulla famiglia. Seguiamo la loro guida amorevole su questi temi. Sono convinto che la Madonna intercederà perché Dio guidi la Chiesa e ognuno di noi in questi tempi. Invece di cadere nella disperazione nel tentativo di stabilire quale sia il bene comune, dovremmo avere una grande speranza.
Nella difficoltà di capire quale sia il candidato che sembra più ragionevole votare, ho rivolto ai miei amici questa domanda: «La Madonna è il modello della nostra fede, ci insegna cosa vuol dire essere cattolici, essere umani, e io non posso fare a meno di pensare chi sosterrebbe se fosse al nostro posto. Quali politiche appoggerebbe? Sceglierebbe per la pace o per uno stato di guerra continua? Ignorerebbe la sofferenza dei poveri, di quelli privi di assistenza sanitaria? Predicherebbe l’odio contro gli immigrati? Queste sono cose su cui mi interrogo, cose su cui prego».
Credo che sia di aiuto riflettere sulle parole di Papa Giovanni Paolo II in un’omelia pronunciata il 23 gennaio1999 nella basilica della Madonna di Guadalupe a Città del Messico. Io ho avuto il privilegio di andare due volte in pellegrinaggio a questa incredibile basilica, prima ancora che diventassi cattolico, ma anche allora ho avuto ugualmente la possibilità di riconoscere il miracolo della Madonna. Il titolo di questa parte dell’omelia era: «Benedetta sei tu, America, perchè credi, speri e ami».
«Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore (Lc 1, 45). Queste parole che Elisabetta rivolge a Maria, che porta Cristo nel suo grembo, si possono applicare anche alla Chiesa in questo Continente. Beata sei tu, Chiesa in America, che, accogliendo la Buona Novella del Vangelo, generasti numerosi popoli alla fede! Beata perché credi, beata perché speri, beata perché ami, poiché la promessa del Signore si compirà! Gli eroici sforzi missionari e l'ammirevole impresa evangelizzatrice di questi cinque secoli non sono stati vani. Oggi possiamo dire che, grazie ad essi, la Chiesa in America è la Chiesa della Speranza».
In tutta onestà, l’America di cui il Santo Padre parla nella sua omelia include tutto l’emisfero occidentale. La cosa bella per noi americani è che l’immigrazione ispanica negli Stati Uniti permetterà agli stessi ispanici di diventare maggioranza nel corso della nostra stessa esistenza. Vedo questo fatto demografico come qualcosa di provvidenziale. Ne sono certo per la mia esperienza in Mexico, dove ho studiato per due estati consecutive, ma anche per ciò che ho visto in campus universitari frequentati da studenti ispanici. Abbiamo tanto da imparare da loro e dobbiamo accoglierli e volergli bene.
Nel giudicare questi candidati, dobbiamo considerare il nostro dovere di essere solidali gli uni con gli altri. Chi ha la più grande capacità di unire il popolo americano? Quale candidato ha ferme opinioni e convinzioni, ma è disposto a lavorare con altri sia nel partito che nel Congresso per servire il bene comune? Chi saprà andare oltre la propria ideologia politica e vedere il mondo e gli avvenimenti attuali come essi sono realmente? Chi sono i loro consiglieri e amici fidati che li accompagneranno in questi tempi così difficili? Queste sono le domande che dobbiamo porci nel giudicare quale sia il migliore candidato alla Presidenza.
Concludendo, non dimentichiamo mai che l’America sarà cambiata da Cristo attraverso la fedeltà dei cattolici al Santo Padre. Così come l’Europa sarà cambiata da Cristo, dalla fedeltà dei cattolici al Santo Padre. Infine, anche il mondo verrà cambiato dalla fedeltà dei cattolici al Santo Padre. Come Paolo VI ci ha insegnato nella sua prima enciclica, Ecclesiam Suam, la trasformazione dell’America, dell’Europa e del mondo accadrà prima di tutto attraverso la nostra personale consapevolezza. Consapevolezza di questo eccezionale “incontro” con Cristo, ogni secondo di ogni giorno delle nostre vite, consapevolezza di questo “sguardo” che ci porterà alla conversione personale.
La conversione ci chiama a una più profonda unione con Cristo, perché Lo incontriamo in un modo molto concreto che ci permette di fare esperienza della ragionevolezza della nostra fede cattolica. E ci chiama alla missione. Come affermato dai Padri del Concilio Vaticano II, questo dialogo con gli altri è portato avanti principalmente dai laici, che devono sforzarsi di vivere la fede ogni giorno in una più profonda unione tra le loro famiglie, i colleghi e tutti quelli che incontrano, compresi quelli diversi da sé.
Giovanni Paolo II era fra questi Padri conciliari, così come il nostro Papa attuale, che ha lavorato come perito al Concilio. In questi giorni rimaniamo fedeli all'eredità di Giovanni Paolo II e all’odierna visione di Benedetto XVI. Seguiamo il percorso di ragionevolezza segnato da loro per scegliere chi votare e capire quali politiche occorre sostenere come cattolici che vivono in America.
(Il Maggiore David L. Jones è un ufficiale superiore dell’esercito americano, attualmente in servizio nella base di Fort Riley, Kansas, che si sta preparando a partire per l’Iraq)
1) Benedetto XVI: esegesi scientifica e lectio divina sono complementari - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale - CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 26 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI in occasione della preghiera mariana dell'Angelus, recitata con i fedeli ed i pellegrini presenti in Piazza San Pietro.
2) lettera padre Aldo Trento
3) Bimbi artificiali e amori folli. Il notiziario di Giovannino - Correva l’anno 1946 e l’ex IMI 6865, tornato a casa dopo due anni di soggiorno nelle colonie polacche e tedesche del signor Hitler, aveva un disperato bisogno di lavorare. Commuove pensare a Giovannino in quell’anno, al bisogno di lavorare, al posto accettato a “Milano Sera”, un giornale di sinistra, alla fatica di vivere, ma anche al desiderio di raccontare comunque belle storie, come quella che sarebbe cominciata di lì a poco, alla vigilia di Natale, con la prima favola di don Camillo e Peppone…
4) Vigilia di Forum cristiano-musulmano a Roma. Il punto di vista di un gesuita che vi parteciperà - Obiettivo dell'incontro è dire "una parola comune". Che era il titolo della lettera aperta scritta al papa da 138 studiosi islamici. Ma oltre che dire bisogna fare, sostiene padre Christian Troll. Specie in materia di libertà religiosa - di Sandro Magister
5) 26/10/2008 12:18 – VATICANO - Papa: Cristiani d’Oriente, vittime di intolleranze e crudeli violenze - Benedetto XVI lancia un nuovo appello per le chiese in Iraq e in India, perché sia garantita ai cristiani non privilegi, ma la dignità di poter vivere e collaborare alla vita della loro Patria. Egli chiede alle autorità civili di “non risparmiare alcuno sforzo” per garantire la legalità e alle autorità religiose di fare gesti “espliciti” di amicizia con i cristiani. Gli appuntamenti futuri con l’Africa nel 2009. Il ricordo di un missionario francescano, martire in Cina.
6) Scuola: che fare? - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 26 ottobre 2008 Dopo la guerra sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, siamo alla guerra di cifre sui partecipanti alla manifestazione a Romaal Circo Massimo, e intanto nessuno legge il decreto 133 e nessuno discute davvero di scuola
7) 26 ottobre 2008 - Frigo? L'avvocato Frigo? Ma chi è questo Frigo? – di Giuliano Ferrara
8) LA SINTESI DELLE PROPOSIZIONI FINALI - Il Papa: Sinodo, polifonia della fede - I VESCOVI CI CONDUCONO NELLA LETTURA DELLA BIBBIA - NELLA TRAMA DELLA STORIA LA PAROLA SOLCO AFFIDABILE - MARCELLO SEMERARO – Avvenire, 27 ottobre 2008
9) LA LEGGE 40 SFIDATA ORA DAL KIT SUPER- SICURO - Gran fervore mercantile attorno alle provette - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 26 ottobre 2008
10) Dalle università alle fondazioni: un sistema libero ed efficiente, sul modello europeo - Mario Mauro - lunedì 27 ottobre 2008 - IlSussidiario.net
11) SCUOLA/ 2. Garavaglia: il ruolo pubblico svolto dalle scuole paritarie è un bene per tutti, da difendere - INT. Mariapia Garavaglia - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
12) SPAGNA/ Grazie a Zapatero è nato Javier, il primo “bebè medicina”. Quanto è giusto gioire? - Redazione - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
13) ABORTO/ La pillola del giorno dopo e il miraggio di guarire dalla "malattia" della maternità - Carlo Bellieni - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
14) USA/ Io, soldato in partenza per l’Iraq, sceglierò così chi votare tra Obama e McCain - Redazione - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
15) USA/ Io, soldato in partenza per l’Iraq, sceglierò così chi votare tra Obama e McCain - Redazione - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Benedetto XVI: esegesi scientifica e lectio divina sono complementari - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale - CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 26 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI in occasione della preghiera mariana dell'Angelus, recitata con i fedeli ed i pellegrini presenti in Piazza San Pietro.
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Cari fratelli e sorelle,
con la Celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro si è conclusa stamani la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha avuto per tema "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Ogni Assemblea sinodale è una forte esperienza di comunione ecclesiale, ma questa ancor più perché al centro dell’attenzione è stato posto ciò che illumina e guida la Chiesa: la Parola di Dio, che è Cristo in persona. E noi abbiamo vissuto ogni giornata in religioso ascolto, avvertendo tutta la grazia e la bellezza di essere suoi discepoli e servitori. Secondo il significato originario del termine "chiesa", abbiamo sperimentato la gioia di essere convocati dalla Parola e, specialmente nella liturgia, ci siamo ritrovati in cammino dentro di essa, come nella nostra terra promessa, che ci fa pregustare il Regno dei cieli.
Un aspetto su cui si è molto riflettuto è il rapporto tra la Parola e le parole, cioè tra il Verbo divino e le scritture che lo esprimono. Come insegna il Concilio Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum (n. 12), una buona esegesi biblica esige sia il metodo storico-critico sia quello teologico, perché la Sacra Scrittura è Parola di Dio in parole umane. Questo comporta che ogni testo debba essere letto e interpretato tenendo presenti l’unità di tutta la Scrittura, la viva tradizione della Chiesa e la luce della fede. Se è vero che la Bibbia è anche un’opera letteraria, anzi, il grande codice della cultura universale, è anche vero che essa non va spogliata dell’elemento divino, ma deve essere letta nello stesso Spirito in cui è stata composta. Esegesi scientifica e lectio divina sono dunque entrambe necessarie e complementari per ricercare, attraverso il significato letterale, quello spirituale, che Dio vuole comunicare a noi oggi.
Al termine dell’Assemblea sinodale, i Patriarchi delle Chiese Orientali hanno lanciato un appello, che faccio mio, per richiamare l’attenzione della comunità internazionale, dei leaders religiosi e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà sulla tragedia che si sta consumando in alcuni Paesi dell’Oriente, dove i cristiani sono vittime di intolleranze e di crudeli violenze, uccisi, minacciati e costretti ad abbandonare le loro case e a vagare in cerca di rifugio. Penso in questo momento soprattutto all’Iraq e all’India. Sono certo che le antiche e nobili popolazioni di quelle Nazioni hanno appreso, nel corso di secoli di rispettosa convivenza, ad apprezzare il contributo che le piccole, ma operose e qualificate, minoranze cristiane danno alla crescita della patria comune. Esse non domandano privilegi, ma desiderano solo di poter continuare a vivere nel loro Paese e insieme con i loro concittadini, come hanno fatto da sempre. Alle Autorità civili e religiose interessate chiedo di non risparmiare alcuno sforzo affinché la legalità e la convivenza civile siano presto ripristinate e i cittadini onesti e leali sappiano di poter contare su una adeguata protezione da parte delle istituzioni dello Stato. Auspico poi che i Responsabili civili e religiosi di tutti i Paesi, consapevoli del loro ruolo di guida e di riferimento per le popolazioni, compiano dei gesti significativi ed espliciti di amicizia e di considerazione nei confronti delle minoranze, cristiane o di altre religioni, e si facciano un punto d’onore della difesa dei loro legittimi diritti.
Sono lieto inoltre di rendere noto anche a voi, qui presenti, ciò che ho già annunciato poc’anzi durante la Santa Messa: nell’ottobre del prossimo anno si svolgerà a Roma la II Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa. Prima di allora, a Dio piacendo nel mese di marzo, è mia intenzione recarmi in Africa, visitando dapprima il Camerun, dove consegnerò ai Vescovi del Continente l’Instrumentum laboris del Sinodo, e quindi in Angola, in occasione del 500° anniversario di evangelizzazione di quel Paese. Affidiamo le sofferenze sopra ricordate, come anche le speranze che tutti portiamo nel cuore, in particolare le prospettive per il Sinodo dell’Africa, all’intercessione di Maria Santissima.
Lettera di Padre Aldo Trento
Cari amici,
bisogna partire sempre dalla vita, dalla realtà e non dal fatto che siamo sposati, consacrati, scapoli o dal ruolo, perché è la vita che chiede l’eternità. Quante volte l’abbiamo cantato in “povera voce”, ma è come se tutto fosse scontato. Oggi è un giorno difficile per me a causa dell’insonnia, che oltre a farmi sentire stanco mi fa sudare in modo strano. Così con il clima a 40 gradi e per di più questa mia situazione vi lascio immaginare il mio stato d’animo. Ma da 20 anni sto imparando a ripetermi: “io sono Tu che mi fai”, “anche i capelli del mio capo sono contati”, “prima di formarti nel seno di tua madre ho pronunciato il tuo nome”, “sei come la pupilla dei miei occhi”. Ebbene, anche in barba a chi non sopporta la parola depressione e per questo come buon amico gliela auguro così capiranno cosa vuol dire diventare uomo e non rimanere dei pirla borghesi pieni di se stessi, dentro questa situazione, emotivamente negra, non è questo stato d’animo a definirmi, ma la certezza che Lui mi ama così come sono.
Oggi sono facilmente irritabile, eppure nessuno se ne accorge, si accorgono che sono stanco, ma la pace, la gioia del cuore vince tutto. Mi muovo già da tempo solo perché Lui mi muova e il mio stato d’animo è come assorbito, santificato da questa certezza. Per cui oggi ho potuto accogliere (vedi foto [non allegata]) questa piccola bambina, Celeste è il suo nome, ormai alla fine per colpa di una leucemia, trascurata a motivo della povertà. La mamma ha 31 anni e 8 bambini. Da sempre non sorride. La sua vita è stata solo stenti, dolore, miseria, violenza. Oggi, stando io nelle condizioni di cui sopra, l’ho ascoltata. I miei occhi rossi non riuscivano a sostenere il suo sguardo pieno di dolore. “Padre, sono figlia della violenza come tutti i miei 8 bambini. Violentata, picchiata a sangue, sono dovuta scappare dalle grinfie di un uomo che mi ha distrutta. Ho dovuta abbandonare i miei bambini nelle mani di questa bestia. Adesso il dolore della mia bambina di 12 anni mi ha inchiodato qui nella sua clinica…la prego di aiutarmi. Non ho piú lácrime da versare... mi sento come una statua...” La guardavo, vedendo nel suo volto una tristezza infinita come nella maggioranza delle donne di questo paese, ridotte ad animali, abbruttite dalla violenza. Eppure una tenerezza ed era già un’altra. Guardo la sua bimba, già senza capelli, dolori forti, non parla più, mi guarda fisso ma non sorride. Quanto dolore! Il mio cuore spesso ha paura che non resista, ma poi la Provvidenza mi recupera subito. Alcune ore prima ho celebrato il funerale di un “travestito”, un figlio di Dio di 28 anni morto di AIDS. Erano presenti gli altri amici ammalati di AIDS, questi miei figli prediletti. Nella breve omelia ho detto: “figli miei, siamo qui per celebrare la misericordia di Dio. Guardatelo, questo ragazzo, ha vissuto come un animale ed è morto come un santo. Vi ricordate com’era la sua faccia quando è arrivato da noi e ora guardatelo bene: è la faccia di un uomo vero. E’davvero il trionfo della misericordia che non distingue gli esseri umani in normali, omosessuali, travestiti, ermafroditi, ma che guarda ad ognuno come figlio. Amici, capite, che bello: per Dio siamo figli, siamo creature sue”. Mi guardavano commossi, loro gli emarginati, loro i lebbrosi del secolo XXI, loro giudicati la perversione del vizio…loro che mi vogliono bene, che ogni mattina bacio e mi inginocchio davanti ad ognuno, non importa se deformati da fattezze femminili o maschili finte. Loro che chiedono di confessarsi, che mi chiedono se la propria compagna o compagno con la stessa malattia possono venire a visitarli. E così, come mi dice la suora, approfitto per annunciare anche a loro la misericordia di Dio.
Victor, che tutti conoscono, e sul quale è nata una reazione a catena a livello mondiale, dividendo quanti mi scrivono in due partiti: quello perché viva e l’altro perché lo lasciamo morire. Quanto mi duole questo secondo partito. Se lo vedessero gemere, soffrire, si renderebbero conto del perché Gesù è morto per me e anche per loro. Ma perché voler eliminare il dolore dal mondo, quando questo dal peccato di Adamo è condizione inevitabile? E’come che io volessi togliermi la depressione, togliermi le notti insonni, togliermi l’ansia. Ma non è possibile. Posso prendere, e lo faccio, delle pastiglie per aiutare la mia pazza emotività, ma non posso, non chiedo a Gesù di togliermi la fatica perché sarebbe ripetere a Gesù quanto quel giorno Pietro gli disse perché non accettasse il dolore…e Gesù gli rispose: “allontanati da me, Satana, perché ragioni secondo il mondo e non secondo la volontà del mio Padre”. Chiaro che Victor soffre, lo vedo 24 ore al giorno. Ma possibile che ci sia chi si permetta di dirmi: lascialo morire. Quando non sono io che lo faccio vivere, ma il Mistero che lo crea in ogni istante. Ma possibile che non capiamo che la vita, non importa le condizioni in cui si manifesta, è sempre l’affermazione del “io sono Tu che mi fai”. Victor ha perfino il piccolo torace incurvato per il dolore, per la fatica del respiro, per le convulsioni. Ha la testa appoggiata nel cuscino con tante lacerazioni per decubito, non si può muovere…ma capite che per ognuno di noi è Gesù, è Gesù. Victor non è riconducibile alla sua dolorosissima malattia, perché è Cristo. E allora se è Cristo, capite che è il Paradiso qui in terra.
Io non posso stare senza contemplarlo, perché è il mio conforto, come in questi giorni in cui la fatica si fa sentire. Guardarlo, baciarlo, è sentire vibrare la dolce Presenza di Gesù che mi accarezza nei momenti difficili. Certamente senza prendere sul serio la vita, come ci ricorda Giussani nel Senso Religioso citando quel pezzo di un dialogo fra Richard e la veccine nonna Henry, è impossibile riconoscere in questi fatti la grande Presenza, il Mistero che da senso e bellezza a tutto… Quando lo si riconosce come mi ha detto l’altro giorno Cristina, la giovane mamma di una delle casette di Betlemme, con 14 bambini da 0 a 11 anni: “padre, da quando Dio mi ha tolto le mie uniche due figlie del mio matrimonio. Nageli di 6 anni e Natali di 9, e mi ha chiamato ad essere madre di tutti questi bimbi ho capito che per me essere madre significa non possedere mai i miei figli. Ogni attimo li guardo, li amo immensamente, ma so che non saranno mai miei e che prima o poi se ne andranno. Ma questa è la mia vocazione. Mi tortura il cuore, però se Gesù vuole questo è anche vero che mi ha regalato un vero cuore di mamma: farli crescere e poi lasciarli andare seguendo il disegno bueno di Dio... ed io rimanere ogni volta a ricominciare e pregare”. Questa è la santità.
Grazie a quanti mi siete amici.
P.Aldo
Bimbi artificiali e amori folli. Il notiziario di Giovannino - Correva l’anno 1946 e l’ex IMI 6865, tornato a casa dopo due anni di soggiorno nelle colonie polacche e tedesche del signor Hitler, aveva un disperato bisogno di lavorare. Commuove pensare a Giovannino in quell’anno, al bisogno di lavorare, al posto accettato a “Milano Sera”, un giornale di sinistra, alla fatica di vivere, ma anche al desiderio di raccontare comunque belle storie, come quella che sarebbe cominciata di lì a poco, alla vigilia di Natale, con la prima favola di don Camillo e Peppone…
Sembra davvero di leggere un notiziario di questi mesi, invece Giovannino Guareschi lo scrisse la bellezza di sessantadue anni or sono. Correva l’anno 1946 e l’ex IMI 6865, tornato a casa dopo due anni di soggiorno nelle colonie polacche e tedesche del signor Hitler, aveva un disperato bisogno di lavorare. Siccome il suo lavoro era quello del giornalista, ecco le proposte inviate a ripetizione all’EIAR, per diverse trasmissioni radiofoniche: novelle, addirittura una pièce gialla, ma anche notiziari, che anticipano in qualche modo quello stile guareschiano che vedrà la luce, pochi mesi dopo, all’uscita del primo numero di Candido.
GENTILI ASCOLTATRICI
Dall’archivio di Roncole Verdi, esplorato quasi riga per riga da Cristiano Dotti, emergono continuamente inediti, che rivelano quale fosse la straordinaria capacità dello scrittore di anticipare i tempi o, meglio, di saper mettere sotto la lente d’ingrandimento gli argomenti in grado di destare l’interesse dei lettori. In questo caso degli ascoltatori, anzi, delle ascoltatrici, perché è ad esse che Giovannino si rivolge: «Gentili ascoltatrici, ecco un fatto che vi interesserà moltissimo: anche in Europa cominciano a nascere figli artificiali. Abbiamo detto anche in Europa perché i giornali di pochi giorni fa annunciavano che in America sono già nati 9500 bimbi concepiti artificialmente».
Non c’è che dire: notizie dell’altro ieri o, magari, anche di oggi. Il tema della fecondazione assistita, che ha diviso e continua a dividere opinione pubblica, opinionisti e politici, era già oggetto della penna di Guareschi, quando le notizie correvano solo sulle pagine dei giornali. E proprio come farà sul “Candido”, Giovannino non si limita a riportare la notizia, ma commenta, da par suo, la novità dei «figli artificiali»: «Il bambino europeo in questione ha visto la luce a Tolone, e la stampa francese assicura che questo è il primo caso che si conosca di fecondazione artificiale e ciò sarebbe in aperto contrasto con la faccenda dei 9500 piccoli americani artificiali riferita poco fa. Ad ogni modo poco importa: è positivo che la scienza la quale ci ha dato il surrogato del caffè, del cuoio, della cioccolata, della gomma eccetera, è riuscita a darci anche il surrogato dell’amore. Noi non entriamo in merito ai particolari tecnici della faccenda: diciamo soltanto che questi esseri i quali nascono eludendo le sacrosante leggi della natura, questi fuorilegge della riproduzione, non potranno mai essere più cattivi degli uomini nati secondo i regolamenti naturali. E ciò è molto rassicurante.» Ecco il Giovannino del Candido, che stigmatizza il progresso, da lui sempre ben distinto dalla civiltà, ma si consola pensando che, in fondo, artificiali o naturali, gli uomini nascono tutti uguali: perciò non potranno essere né migliori né peggiori gli uni degli altri. È altro ciò che offende Guareschi: è l’ostentare le nuove frontiere della scienza come rimedio alle presunte mancanze della natura. Per Giovannino, la natura non ha mancanze, risponde solo alla Divina Provvidenza, quindi non ha bisogno di “correttivi” umani.
FOLLA DI NEONATI
Così, ecco che a far da contraltare alla notizia dei bimbi artificiali, arriva un parto plurigemellare, avvenuto in Columbia, a Cucutà: «Sono venuti alla luce quasi sei vispi maschietti. Diciamo quasi in quanto, per un po’ di tempo, i sanitari sono rimasti nel sospetto che un sesto bambino fosse in procinto di venire a tener compagnia agli altri cinque fratellini. Ma la cosa si è risolta in un falso allarme. Ciò ha impedito che il record delle Dionne venisse battuto, però ciò non impedisce di rallegrarci con i due giovani sposi di Cucutà i quali hanno dimostrato che, per la faccenda dei bambini, non c’è bisogno dell’intervento del progresso e che il vecchio sistema dà tuttora dei pregevolissimi risultati». Ancora una volta Guareschi rende la notizia leggera ma graffiante. Col suo stile inconfondibile contrappone la vicenda del parto di cinque gemelli, frutto del «vecchio sistema» dei due sposini colombiani, all’avvento del «surrogato dell’amore» che il progresso mette in campo, per usurpare alla natura il diritto di obbedire all’ordine del Creato. E non è tutto, perché Giovannino, visto che parla di bambini, riferisce di una tragedia della povertà: in Francia si fa mercato nero coi neonati. Con una manciata di sterline, da cento a quattrocento, si possono comprare, dalle donne dei bassifondi parigini, bambini da adottare. Fra i cinquecento e i mille bimbi sono stati oggetto di questo mercato nel solo 1945 e la richiesta è sempre altissima, nonostante la cronaca dell’anno appena trascorso racconti di soli 150 piccoli adottati, su duemila, che rimangono presso le famiglie, gli altri vengono «rimandati perché erano brutti o malati o antipatici». Qui, non c’è spazio per l’ironia, Guareschi non concede la penna a riflessioni meno che dolorose su questo orribile commercio che continua, anch’esso, ai giorni nostri e con la stessa indifferenza, quasi che non fossero neonati, ma pura e semplice merce da acquistare a suon di banconote. Dunque un notiziario che inizia con una nota di critica, senz’altro aspra ma non del tutto malevola, e termina con la cronaca di un dramma della miseria? Niente affatto.
Non dimentichiamo che Giovannino è un meraviglioso cantastorie: «Passiamo ad un altro argomento. Fiori. I fiori sono un argomento gradito alle donne, qui poi ne parliamo perché si tratta di fiori piovuti dal cielo e con finale in bianco velo e fiori d’arancio. Il fatto è che la signorina francese Madeleine Debinois, arrivata nel 1940 in Inghilterra con le truppe che si ritiravano da Dunquerque, si arruolò, divenne valente pilota e compì molti voli sulla Francia occupata a bordo di un aereo postale».
FIORI NUZIALI
E ancora: «Tutte le volte che passava nel cielo del villaggio bretone dove erano rifugiati i suoi genitori, non mancava mai di lanciare un mazzolino di fiori al quale era legato un cartoncino recante il suo semplice nome: Madeleine. Mai giunsero i fiori ai genitori: li raccolse invece un ufficiale inglese che viveva clandestinamente nel villaggio e sapeva benissimo quando passava l’aereo postale recante a bordo la ragazza. E conservò quei fiori e, tornato in Inghilterra, ricercò la misteriosa Madeleine. E, trovatala, cosa volevate che facesse quando l’ebbe trovata? Se ne innamorò d’urgenza e la sposò rapidissimamente. Non bombe, dagli apparecchi, ma mazzolini di fiori con biglietto da visita delle aviatrici e, alla fine delle ostilità profumate, matrimonio fulminante. Questa è la guerra che preferiamo!». Ed era appena finita, la guerra che, al contrario della ragazza francese, aveva fatto cadere sulle città grappoli di bombe anziché mazzi di fiori. Ma Guareschi aveva già dimenticato le distruzioni e l’odio, lui della guerra voleva solo raccontare la bella favola dell’aviatrice innamorata, una favola che preludeva alla fine del notiziario datato 1946: «Come notizia finale, ecco la famosa cantante americana Grace Moore che pare voglia assumere la cittadinanza fiorentina. Quanta gente che, una volta arrivata in Italia non vuol più andarsene via. E questo ci commuove profondamente».
E commuove anche pensare a Giovannino in quell’anno, al suo ritorno dalla prigionia, al bisogno di lavorare, al posto accettato a “Milano Sera”, un giornale di sinistra, alla fatica di vivere, ma anche al desiderio di raccontare comunque belle storie, come quella che sarebbe cominciata di lì a poco, alla vigilia di Natale, con la prima favola di don Camillo e Peppone.
di Egidio Bandini
LIBERO 26/10/08
Vigilia di Forum cristiano-musulmano a Roma. Il punto di vista di un gesuita che vi parteciperà - Obiettivo dell'incontro è dire "una parola comune". Che era il titolo della lettera aperta scritta al papa da 138 studiosi islamici. Ma oltre che dire bisogna fare, sostiene padre Christian Troll. Specie in materia di libertà religiosa - di Sandro Magister
ROMA, 27 ottobre 2008 – Il primo incontro del Forum cattolico-islamico nato dalla lettera aperta "A Common Word" (vedi foto) indirizzata un anno fa al papa e ad altri leader cristiani da 138 esponenti musulmani è sempre più vicino. Si terrà a Roma dal 4 al 6 novembre.
Il tema generale è: "Amore di Dio, amore del prossimo". Con in più questi due temi annessi: "Fondamenti teologici e spirituali" e "Dignità umana e rispetto reciproco".
La sessione finale del 6 novembre sarà pubblica e i partecipanti saranno ricevuti da Benedetto XVI.
L'agenda del seminario è stata fissata lo scorso marzo da due delegazioni riunite a Roma. A rappresentare i 138 c'erano Abd al-Hakim Murad Winter, inglese, professore a Cambridge, Aref Ali Nayed, libico, anche lui docente a Cambridge e membro dell'Inter-Faith Program di questa università, Ibrahim Kalin, turco, professore alla Georgetown University di Washington, Sohail Nakhooda, giordano, direttore di "Islamica Magazine", e l'italiano Yahya Sergio Yahe Pallavicini.
La parte cattolica era rappresentata dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, da due dirigenti di curia esperti nel ramo, Pier Luigi Celata e Khaled Akasheh, e da due islamologi: padre Miguel Angel Ayuso Guixot, preside del Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica, PISAI, e il gesuita tedesco Christian W. Troll, professore alla Pontificia Università Gregoriana.
Hanno preceduto il prossimo Forum romano numerosi altri incontri cristiano-islamici, in varie località e per iniziativa di diverse persone e istituti.
L'ultimo si è tenuto a Istanbul il 24 e il 25 ottobre su "Le relazioni tra la ragione la fede nell'islam e nel cristianesimo". L'hanno organizzato i frati cappuccini della Turchia, il PISAI e l'università turca di Marmara.
Un altro incontro importante si è tenuto all'inizio della scorsa settimana a Bruxelles, promosso dalla Conferenza delle Chiese Europee, KEK, e dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, CCEE. In esso ha preso la parola, tra gli altri, il cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux.
Ricard ha rilanciato un'idea carissima a papa Benedetto XVI: la necessità, cioè, che i musulmani facciano anch'essi un cammino simile a quello che ha portato negli ultimi due secoli la Chiesa cattolica ad "accogliere le vere conquiste dell'Illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio".
E sulla libertà religiosa ha insistito moltissimo, sottolineando che essa non deve restare chiusa nell'intimo perché "ha una dimensione sociale". Ricard ha aggiunto che "la libertà religiosa comporta il rispetto della libertà di coscienza: la possibilità di aderire liberamente a una religione o di abbandonarla. So che questo è un problema sensibile per un buon numero di musulmani. Ma io credo che una piena integrazione nella società europea implichi questa libertà, così come è necessario che il principio di libertà religiosa abbia valore reciproco, sia valido cioè tanto in Europa come nei paesi musulmani".
* * *
Un'altro momento della marcia d'avvicinamento al Forum romano del 4-6 novembre è stata la conferenza tenuta a Cambridge il 14 ottobre dal gesuita islamologo Christian W. Troll, alla presenza di studiosi musulmani e del primate della Chiesa anglicana, l'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams.
La conferenza di Troll, riprodotta integralmente qui sotto, è interessante per vari motivi.
Anzitutto, il professor Troll sarà uno dei partecipanti di spicco del Forum del 4-6 novembre, che ha contribuito anche a organizzare.
Inoltre, è uno degli islamologi più ascoltati da Benedetto XVI. Il papa lo chiamò a introdurre il seminario a porte chiuse sull'islam tenuto con i suoi ex allievi a Castel Gandolfo nel settembre del 2005.
E ancora, parlando a Cambridge, Troll aveva tra gli ascoltatori i due principali estensori della lettera dei 138, i professori Abd al-Hakim Murad Winter e Aref Ali Nayed, entrambi membri dell'Inter-Faith Program della Divinity Faculty di questa università, ed entrambi protagonisti del prossimo Forum romano.
Ecco dunque il testo della conferenza:
L'impegno futuro cristiano-islamico di Christian W. Troll
Consentitemi, prima di tutto, di esprimere la mia gratitudine a Dio per aver ispirato un piccolo gruppo di fedeli musulmani a scrivere la lettera aperta "A Common Word" (ACW) del 13 ottobre 2007, e numerosi altri eminenti guide e studiosi musulmani a firmarla. Lasciatemi ringraziare Dio anche per aver ispirato l'arcivescovo di Canterbury a scrivere la sua risposta: "A Common Word for the Common Good" (ACWCG), dopo aver chiamato a consulto all'inizio di quest'anno un buon numero di cristiani di diverse denominazioni ed aver ascoltato con attenzione le loro risposte a ACW. Queste due iniziative hanno contribuito in modo significativo a far progredire il dialogo religioso tra musulmani e cristiani. Dico qui la mia piena concordia con ciò che l'arcivescovo ha scritto all'inizio della sua profonda e ispirata risposta ad ACW: "Solo aprendoci alla prospettiva trascendente alla quale la vostra lettera è orientata, e alla quale anche noi guardiano, noi troveremo le risorse per una dedizione radicale, trasformante, non violenta, a favore dei più profondi bisogni del nostro mondo e della nostra comune umanità".
I due documenti non perdono tempo nei complimenti di circostanza, né scansano le contestazioni e le critiche, ma dall'inizio alla fine mantengono un attitudine di ascolto, di gentilezza, di rispetto, nella consapevolezza della comune responsabilità di fronte a Dio, il genere umano e l'intero creato. Di fatto, essi aprono la possibilità di un nuovo stadio nel processo in corso dell'incontro cristiano-islamico.
Sono stato invitato a questa sessione sul tema "L'impegno futuro cristiano-islamico", alla luce dei due documenti citati e di altre risposte e discussioni nella scia di "A Common Word", per svolgere alcune riflessioni su "I modi migliori di praticare l'impegno cristiano-islamico".
Gli autori di ACW hanno giustamente fatto appello alla responsabilità politica e sociale di cui sono portatori cristiani e musulmani, anche solo per il fatto di costituire circa la metà della popolazione del mondo. Noi possiamo rendere giustizia a questa responsabilità ed esaudire le attese espresse nei due documenti, con un minimo di credibilità, solo se abbiamo il coraggio e la fiducia di parlarci gli uni gli altri su ciò che ci muove nel profondo dei cuori e delle menti, mentre riflettiamo sul reale incontro nei fatti tra cristiani e musulmani. Siamo davvero preparati a un'autocritica onesta, siamo desiderosi di ascoltare e magari di accettare ogni critica argomentata che ci proviene dai nostri interlocutori nel dialogo, ed anche da interlocutori di una società ancor più vasta?
Questo contributo inizia dalla comune affermazione del posto assolutamente centrale tenuto in ciascuna delle due fedi dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo, ossia dal duplice comandamento dell'amore. Senza entrare nelle impegnative questioni teologiche toccate da ACW e ACWCG, mi soffermerò brevemente su cinque precise questioni che sembrano richiedere attenzione ed azione, da parte dei cristiani e dei musulmani, sempre tenendo presente il tipo particolare di incontro in questione.
1. Il duplice comandamento dell'amore e il continuo centrarsi su di sé dell'uomo
ACW, sorprendentemente alla luce del ritratto che il Corano fa della condizione dell'uomo, dice poco a proposito di quelle realtà costanti che contrassegnano la vita umana individuale e associata come, ad esempio, la dimenticanza di Dio e la ribellione contro di lui, o l'oppressione nel senso dell'eccedere i giusti limiti di comportamento nel trattare con gli altri, violando i diritti umani essenziali, specialmente quelli dei deboli e degli emarginati. Pensa forse ACW che gli esseri umani, se solo sufficientemente e volonterosamente istruiti sul duplice comandamento dell'amore, potranno e vorranno superare questa situazione problematica? ACW non discute i modi in cui l'amore di Dio è capace di arrivare e sanare "la situazione dell'uomo". Al contrario, la risposta dell'arcivescovo dice che "quando Dio agisce verso di noi con compassione per liberarci dal male, per sanare le conseguenze della nostra ribellione contro di lui e per farci capaci di invocarlo con fiducia, il suo è un naturale, ma non automatico, fluire all'esterno del suo agire eterno". Abbiamo in comune noi, cristiani e musulmani, una consapevolezza del nostro bisogno di essere liberati da Dio nella libertà del suo dono di amore? In questo caso, la nostra risposta d'amore all'agire di Dio sembrerebbe richiedere pentimento, preghiera per un'intima purificazione così come per una purificazione fatta di atti di compassione, la pratica dell'autocritica come individui e come persone associate, e la preghiera perché possiamo essere sanati, redenti e rigenerati dalla forza dell'amore di Dio che si dona.
Questa consapevolezza produrrà in noi uno sforzo risoluto verso una onesta autocritica, così come un intenso desiderio di ricevere istruzioni e di essere purificati e trasformati dall'ascolto di ciò che Dio vuole dirci attraverso i nostri interlocutori nel dialogo, siano essi seguaci dichiarati di una fede religiosa o no. Riteniamo il nostro dialogo sufficientemente sostenuto da queste convinzioni e le nostre attitudini modellate da esse?
2. Il duplice comandamento dell'amore come chiave di interpretazione delle Sacre Scritture
L'arcivescovo di Canterbury ha messo in rilievo la differenza sostanziale tra come i cristiani e i musulmani comprendono ciò che sono le Sacre Scritture, come anche i posti differenti tenuti dalle rispettive Scritture nell'insieme delle loro teologie. Concordo pienamente con lui quando dice che, a dispetto di queste differenze, "studiare le nostre Scritture insieme può continuare a procurare momenti fruttuosi nel nostro impegno reciproco nel processo di costruire una casa insieme". Di fatto ritengo che sforzi risoluti ed efficaci, nel promuovere lo studio da cima a fondo della tradizione religiosa dell'interlocutore musulmano o cristiano del dialogo, siano essenziali specialmente tra gli studiosi di religione, musulmani e cristiani. Tale studio dovrebbe essere caratterizzato al tempo stesso da empatia e da rigore critico, e dovrebbe sforzarsi di comprendere le singole dottrine dentro l'insieme dell'universo di fede dell'interlocutore nel dialogo. Abbiamo studiosi cristiani dell'islam e studiosi musulmani del cristianesimo sufficientemente preparati in questa visione d'insieme? Uno studio critico e al tempo stesso empatetico dell'interlocutore nel dialogo implicherebbe che sempre più cristiani studino l'islam come i musulmani lo vedono idealmente e anche come esso è stato ed è vissuto in concreto; allo stesso modo, implicherebbe che sempre più musulmani studino gli insegnamenti normativi così come le realtà empiriche della fede cristiana e della tradizione della cristianità, con una pari attitudine di apertura critica. In questo modo, dottrine quali ad esempio "l'alterazione delle scritture blbliche fatte da ebrei e cristiani" (tahrif), "l'incarnazione di Dio nel Messia Gesù", "la Santa Trinità di Dio", "la natura increata del Corano", "Maometto sigillo dei profeti" (khatam an-nabiyyin) potrebbero essere meglio apprezzate anche da coloro che non possono accettarle nella fede. Avanzo qui la richiesta di un insegnanento critico cristiano-musulmano contrassegnato dalla volontà di comprendere, olte che di amare. Perché non riformulare anche in questo modo la regola d'oro: Cerca di comprendere la fede dell'altro come tu vorresti che la tua fede sia compresa?
Quei musulmani e quei cristiani che percorrono il difficile sentiero dell'applicazione intelligente delle moderne scienze umane alle grandi antiche discipline delle loro rispettive tradizioni tradiscono forse la loro fede e agiscono contro la carità? No. I cristiani e i musulmani impegnati nello studio dell'altra fede devono percorrere questo difficile sentiero in uno spirito di comprensione caritatevole ed empatetica. Dove questo spirito manca, negli studi delle tradizioni degli uni e degli altri, noi tradiamo gli imperativi fondamentali che sono comuni a entrambe le nostre fedi circa l'amore e il rispetto del nostro prossimo.
3. Il duplice comandamento dell'amore e i diritti umani
Solo piuttosto di recente le Chiese cristiane e pochi individui e gruppi (almeno di una certa dimensione) musulmani hanno modificato il loro insegnamento sui diritti umani, in via di principio. Hanno compiuto una svolta e sono diventati sostenitori e difensori dei diritti umani. Dio stesso, essi argomentano, ha fondato tali diritti, come parte dell'intima natura dell'uomo. Questa è la ragione decisiva per cui tali diritti reclamano il rispetto incondizionato sia da parte dello Stato che da parte della Chiesa. Diritti umani e diritti divini non possono essere messi in campo gli uni contro gli altri. I diritti umani danno espressione alle condizioni minime che proteggono la dignità che è dovuta alla persona umana come creatura di Dio. In questo senso, riconoscere e rispettare i diritti umani non è nulla di diverso che obbedire alla volontà di Dio; in effetti, vi sono molti credenti per i quali la promozione dei diritti umani è un aspetto dell'obbedienza al duplice comandamento dell'amore. Ho ragione o sbaglio quando sostengo che coloro che hanno firmato ACW implicitamente riconoscono i diritti umani? La parola "islam" significa "sottomissione alla volontà di Dio". Quindi, se i diritti umani corrispondono alla volontà divina, è giusto dire che l'islam per sua natura comporta l'obbligo di riconoscerli, assieme a tutti gli uomini di buona volontà?
4. Il duplice comandamento dell'amore e l'organizzazione dello stato in società multietnica e multireligiosa
Nel dialogo cristiano-musulmano la questione della corretta relazione tra la religione e lo Stato gioca un ruolo importante. L'alto interesse della gran parte dei cristiani e di molti musulmani per la separazione tra la religione e lo Stato non sembra primariamente dovuta a ragioni filosofiche o ideologiche. Molto più importanti e assolutamente necessarie, per capire questa separazione, sono le vicende storiche che hanno portato ad essa: in Occidente sono state specialmente le guerre confessionali dopo la Riforma protestante e, più avanti, le dittature fasciste e comuniste del XX secolo. Dei limiti sono così imposti sia alla religione che allo Stato, che a loro volta li accettano. Ciò deriva dal convincimento che questa mutua demarcazione è utile a entrambe le parti e consegue da quell'amore del prossimo che consiste nel rispettare l'identità religiosa e confessionale dell'altro, anche se l'insegnamento associato con tale identità è respinto come inadeguato o falso. Ciò esclude l'obiettivo di imporre un ordine statuale islamico o cristiano. Ciò comporta l'idea che la separazione tra lo Stato e le religioni serve la coesistenza pacifica di tutti i popoli. Il ruolo neutrale che è prescritto allo Stato trattiene lo Stato dallo sviluppare una esagerata, pseudoreligiosa comprensione di sé e anche trattiene particolari religioni dal piegare il potere e la violenza ai propri interessi. Il tentativo di stabilire Stati cristiani è fallito con enormi costi per tutte le parti. Niente fa pensare che degli stati islamici possano funzionare meglio. Qui la questione cruciale è ancora una volta la comprensione dei diritti umani. Io penso che dovremmo intensificare il dialogo su questo punto.
Lo Stato moderno deve preservare la sua neutralità religiosa. Possiamo resistere insieme a tutti i tentativi, da qualsiasi parte provengano, di creare passo dopo passo spazi di dominio di una Legge direttamente derivata da testi ritenuti divinamente rivelati e alla fine uno Stato governato da un simile corpo di leggi?
5. Il duplice comandamento dell'amore e la violenza nel nome della religione
Nessuna religione può dirsi libera dal fatto che della violenza sia stata o sia tuttora perpetrata in suo nome. Il fardello così ereditato non può sparire per incanto. Perché il passato e la sua memoria siano sanati ci vuole di più che un accordo sui fatti, anche se il solo far questo può essere molto difficile. Tutte le religioni devono affrontare il compito di fare chiarezza sulla loro relazione con la violenza, per il bene del futuro. Ciò va molto al di là del problema della Guerra Santa. Come una religione deve agire con gli esseri umani che si allontanano da essa? E come con coloro che falsificano o diffamano o ridicolizzano la fede? Nell'Occidente cristiano per secoli chi era giudicato colpevole di apostasia, eresia e bestemmia era minacciato o punito con la morte. Questo è il passato, sperabilmente per sempre. Il principio capitale secondo cui nessuno deve essere costretto a credere (cfr. Corano 2, 256) arriva ad essere pienamente realizzato solo se garantisce anche la libertà di abbandonare la fede, di comprenderla in modo differente, o anche di disprezzarla. Sono fortemente convinto che compete esclusivamente a Dio giudicare il peso di simili scelte. Solo Lui è capace di vedere chiaro nel profondo dei cuori delle donne e degli uomini. Di conseguenza noi dovremmo guardarci dal voler anticipare il Suo giudizio.
Prima di concludere consentitemi di fare una proposta pratica: non potrebbe il Cambridge Inter-Faith Programme, nello spirito di ACW, costituire un comitato di lavoro permanente cristiano-musulmano (non voglio chiamarlo un comitato di guardiani) che accolga e valuti le denunce da parte di musulmani e cristiani circa modi di agire e di parlare ad opera di individui e istituti musulmani e cristiani che sembrino contraddire clamorosamente lo spirito e i principi del dialogo al quale questi stessi individui ed istituti si sono impegnati?
Conclusioni
Il dialogo tra cristiani e musulmani è probabilmente soltanto agli stadi iniziali. Esso esige pazienza e fiducia, sforzo costante e cuori aperti. È la nostra fede, prima di tutto, che ci comanda di parlarci l'un l'altro a dispetto di tutte le scoraggianti esperienze delle nostre relazioni passate e presenti. In altre parole, Dio aspetta da noi un dialogo, il Dio che noi cristiani invochiamo insieme con voi musulmani come il misericordioso, il giusto, l'amorevole e il paziente. Noi dobbiamo gratitudine a Dio e anche agli autori della lettera aperta, così come all'arcivescovo di Canterbury, per aver efficacemente focalizzato le nostre aspirazioni e preghiere sul progrediente pellegrinaggio di incontro tra gli uni e gli altri, verso di Lui.
26/10/2008 12:18 – VATICANO - Papa: Cristiani d’Oriente, vittime di intolleranze e crudeli violenze - Benedetto XVI lancia un nuovo appello per le chiese in Iraq e in India, perché sia garantita ai cristiani non privilegi, ma la dignità di poter vivere e collaborare alla vita della loro Patria. Egli chiede alle autorità civili di “non risparmiare alcuno sforzo” per garantire la legalità e alle autorità religiose di fare gesti “espliciti” di amicizia con i cristiani. Gli appuntamenti futuri con l’Africa nel 2009. Il ricordo di un missionario francescano, martire in Cina.
Città del Vaticano (AsiaNews) – L’ultima parola di Benedetto XVI ricordando il Sinodo dei vescovi sulla “Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” e dedicata alla situazione di persecuzione delle Chiese in Iraq e in India. Parlando prima della preghiera dell’Angelus, davanti alle decine di migliaia di pellegrini radunati in piazza san Pietro, egli ha detto di far suo un appello lanciato due giorni prima dai Patriarchi delle Chiese orientali, a conclusione del Sinodo, per richiamare la comunità internazionale, i leader religiosi e ogni uomo e donna di buona volontà “sulla tragedia che si sta consumando in alcuni Paesi dell’Oriente, dove i cristiani sono vittime di intolleranze e di crudeli violenze, uccisi, minacciati e costretti ad abbandonare le loro case e a vagare in cerca di rifugio”. “Penso – ha aggiunto il pontefice - in questo momento soprattutto all’Iraq e all’India”.
“Sono certo – ha continuato il papa - che le antiche e nobili popolazioni di quelle Nazioni hanno appreso, nel corso di secoli di rispettosa convivenza, ad apprezzare il contributo che le piccole, ma operose e qualificate, minoranze cristiane danno alla crescita della patria comune. Esse non domandano privilegi, ma desiderano solo di poter continuare a vivere nel loro Paese e insieme con i loro concittadini, come hanno fatto da sempre”.
In Iraq e in India, le violenze sembrano diffondersi anche a causa del silenzio e dell’inazione delle autorità politiche. Per questo il pontefice afferma: “Alle Autorità civili e religiose interessate chiedo di non risparmiare alcuno sforzo affinché la legalità e la convivenza civile siano presto ripristinate e i cittadini onesti e leali sappiano di poter contare su una adeguata protezione da parte delle istituzioni dello Stato. Auspico poi che i Responsabili civili e religiosi di tutti i Paesi, consapevoli del loro ruolo di guida e di riferimento per le popolazioni, compiano dei gesti significativi ed espliciti di amicizia e di considerazione nei confronti delle minoranze, cristiane o di altre religioni, e si facciano un punto d’onore della difesa dei loro legittimi diritti”.
Benedetto XVI ha ricordato ancora una volta i suoi futuri appuntamenti con l’Africa, già citati nella messa di conclusione del Sinodo tenuta poche ore prima nella Basilica di san Pietro: “Nell’ottobre del prossimo anno si svolgerà a Roma la II Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa. Prima di allora, a Dio piacendo nel mese di marzo, è mia intenzione recarmi in Africa, visitando dapprima il Camerun, dove consegnerò ai Vescovi del Continente l’Instrumentum laboris del Sinodo, e quindi in Angola, in occasione del 500° anniversario di evangelizzazione di quel Paese”. Concludendo egli ha detto: “Affidiamo le sofferenze sopra ricordate, come anche le speranze che tutti portiamo nel cuore, in particolare le prospettive per il Sinodo dell’Africa, all’intercessione di Maria Santissima”.
Dopo la preghiera mariana, Benedetto XVI ha salutato i pellegrini in diverse lingue. Ai saluti in italiano ha ricordato i fedeli di Velletri-Segni, "venuti con il vescovo mons. Vincenzo Apicella in occasione del centenario della nascita del Servo di Dio Padre Ginepro Cocchi, Frate Minore, sacerdote e missionario in Cina, dove morì per la fedeltà a Cristo nel 1939". "L’esempio di Padre Ginepro - ha aggiunto il papa - sia sempre per voi di stimolo ad una coraggiosa testimonianza del Vangelo".
Scuola: che fare? - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 26 ottobre 2008 Dopo la guerra sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, siamo alla guerra di cifre sui partecipanti alla manifestazione a Romaal Circo Massimo, e intanto nessuno legge il decreto 133 e nessuno discute davvero di scuola
Siamo alle solite.
Berlusconi che dice o non dice – State buoni se potete - altrimenti arriva la polizia. E via le polemiche e le discussioni, se davvero il Presidente del Consiglio parlò così, se invece lo hanno capito male, se lo hanno capito bene ma interpretato faziosamente.
Ora dopo la manifestazione al Circo Massimo, rieccoci a discutere se i numeri sono quelli dettati dagli organizzatori o se invece sono quelli dati dalla polizia.
Insomma, fate un calcolo di quanti metri quadrati ci sono al circo Massimo e quante persone ci stanno non troppo assiepate in un metro quadrato e finiamola!
La foto scattata dall’elicottero e pubblicata sui blog del PD chiarisce l’arcano, non potevano essere milioni.
Ma ora finiamola e cominciamo a parlare di cose serie.
Cominciamo a parlare di scuola, di come fare per salvarla.
Perché pro Gelmini o contro la Gelmini, sta di fatto che nessuno nasconde che serve qualcuno che faccia qualcosa perché i buoi sono oramai scappati dalla stalla.
L’altra mattina al bar davanti all’istituto “Caterina da Siena” di Milano, (chissà perché hanno omesso il Santa) una signora diceva al barista – questa è la volta buona, sulla riforma della scuola sono caduti tutti, vedrai che cade anche questo Governo –
Insomma, della scuola - non ce ne può fregar de meno – come dicono nella capitale, l’importante è che ci si scambino le poltrone.
Ieri a casa mia sono 'transitati' tra figli e fidanzate, sei universitari, orientamento alle ultime elezioni: lega, centro destra, sinistra, estrema sinistra, nessuno di loro era andato alla manifestazione, né a Roma né a Milano.
Passi per la “Bocconiana” la sua Università è privata, ma gli altri, tutti iscritti a Università Statali?
Qualunquisti? Apatici? Non direi, avevano il problema dell’esame da dare, della lezione di spagnolo, della prof che spiega malissimo, tutti a dire che bisogna cambiare, migliorare, che non si possono attendere mesi per presentare la tesi, che si fanno esami inutili e non si studia inglese e che nelle loro Università in questi giorni si studiava, altro che manifestazioni, e come loro la maggioranza degli studenti.
Io allora mi chiedo, ma invece di perderci in chiacchiere, di perdere tempo a discutere sulle dichiarazioni del premier o sul numero dei partecipanti alle manifestazioni, non potremmo parlare di scuola?
Capire cosa c’è da rifare e riformare, quali sono i privilegi ai quali dobbiamo rinunciare?
Se c’è stato, è c’è stato lo sappiamo, spreco, clientelismo, Università clonate per far contenti i baroni della cultura, rendiamoci conto che la festa è finita.
Poi saranno pure sbagliati i tagli uguali per tutti, ma resta il fatto che le cose così non possono permanere.
Diceva venerdì uno studente intervistato da Radiopopolare che - la scuola ha un sacco di problemi, non doveva venire la Gelmini a dirlo, lo denunciano da anni gli studenti – bravi, ma circa le cose da fare per risolvere i problemi nemmeno una parola, solo la certezza che non si possono ridurre le assunzioni, altrimenti si rischia di avere insegnanti senza posto.
Qui più che un nuovo ’68, pare un vecchio ‘rabelot’ perché i giovani manifestano non per una società nuova, ma per mantenere lo status quo, non c’è nemmeno l’utopia della fantasia al potere, che tanti danni ha fatto, ma che nessuno osa spodestare.
26 ottobre 2008 - Frigo? L'avvocato Frigo? Ma chi è questo Frigo? – di Giuliano Ferrara
Notizia esplosiva e ridicola dei giorni scorsi. Se c’è accordo sulla Rai, allora alla Corte costituzionale sarà eletto l’avvocato Pecorella. Sennò, bè, alla fine viene eletto Giuseppe Frigo, un avvocato che porta due magnifici e grandi mustacchi. Berlusconi dovrebbe approfittare del momento magico per introdurre qualcosa di nuovo nella democrazia repubblicana, per diventare un riformatore. Detto con tutto il rispetto: ma chi è mai l’avvocato Giuseppe Frigo? Certo, uno può informarsi. C’è Google. Weekypedia. Il Who’s Who. E ci sono i giornali, che qualche notiziola ogni tanto la rimediano e la riferiscono. E gli annali giudiziari, le riviste specializzate… ma è chiaro che la mia domanda è un’altra: chi è per la democrazia istituzionale l’uomo che le Camere hanno eletto senza discussione nella Corte suprema, quella che dovrebbe decidere cose basilari come la costituzionalità delle leggi, e dunque ispirare l’insieme del nostro sistema giuridico quando si tratti dei nostri diritti, delle libertà civili e di altre questioni di vita o di morte per una moderna democrazia?
Come per il Presidente della Repubblica, uno scandalo inutilmente gridato in passato da questo giornale, anche per i giudici costituzionali le Camere procedono all’elezione riunendosi a data certa nella forma del “seggio elettorale”. Questa formula significa che è vietato discutere il nome della persona candidata, è espressamente vietato interrogarla e ascoltare dalla sua viva voce quale sia la sua cultura giuridica o politica o civile prevalente, quale sia la sua esperienza dei problemi che incontrerà nella lunga fase della sua vita (nove anni) in cui si prenderà cura di noi al vertice di autorevoli istituzioni. La istituzione parlamentare degli hearing, delle audizioni, che è una delle qualità legittimanti della funzione di controllo dei parlamenti anglosassoni, da noi è sconosciuta, la si usa solo in funzione informativa e consultiva per ascoltare talvolta i membri del governo, il governatore della Banca d’Italia, autorità varie e rappresentanti della società civile (se avanza il tempo).
Lasciamo adesso stare il quadro generale. Non chiedo riforme globali, così difficili da impostare, discutere e varare (eppoi per demagogia magari un referendum le seppellisce). Ma sarebbe così complicato (è solo una proposta, ma è una proposta) fare in modo che i membri della Corte costituzionale siano in ogni caso, sia quando eletti dal Parlamento sia quando designati da altre fonti decisionali, sottoposti a audizione parlamentare e a un voto consultivo? I presidenti delle Camere non potrebbero riunirsi e far valere per una volta un punto di vista riformatore nuovo, magari d’accordo con il capo dell’esecutivo? Onorevole Fini e senatore Schifani, perché non ci provate voi?
Sarebbe una piccola ma significativa rivoluzione culturale. Si saprebbe chi e perché va a sorvegliare il diritto costituzionale in Italia. Si potrebbe vagliare in un dibattito pubblico e trasparente la sua qualificazione e la sua filosofia della legge e dello stato e dei diritti individuali e sociali. Sarebbe un modo per sottrarre a quella logica da Rotary club o da piccola massoneria di servizio una serie di nomine che esprimono alla fine il potere della democrazia, ma lo fanno con regole che oggi negano la democrazia come controllo rappresentativo dei cittadini attraverso le assemblee elettive. La stampa non sarebbe ridotta a raccogliere pettegolezzi, e l’interesse culturale per la Costituzione vivente cancellerebbe quello che oggi è il pomposo omaggio di prammatica a una cultura costituzionale morta.
LA SINTESI DELLE PROPOSIZIONI FINALI - Il Papa: Sinodo, polifonia della fede - I VESCOVI CI CONDUCONO NELLA LETTURA DELLA BIBBIA - NELLA TRAMA DELLA STORIA LA PAROLA SOLCO AFFIDABILE - MARCELLO SEMERARO – Avvenire, 27 ottobre 2008
Il Messaggio del Sinodo che oggi si conclude, pubblicato ieri integralmente su queste pagine, è stato scritto con l’intento di raggiungere « l’immenso orizzonte di tutti coloro che nelle diverse regioni del mondo seguono Cristo come discepoli e continuano ad amarlo con amore incorruttibile ». Si tratta, però, anche di una voce ansiosa d’entrare nella casa di ogni persona per veicolare a favore di ciascuno la Parola di Dio. Più che di un ' Messaggio' sulla Parola di Dio, intendo dire, il testo ora a nostra disposizione è, in qualche modo, la stessa Parola di Dio che, utilizzando gli strumenti umani e gli stessi mass media, si fa 'messaggio'. A tal punto, infatti, lo compongono le parole della Scrittura, da farne quasi un 'centone', un mosaico di cui la gran parte dei tasselli sono pietre cavate dalla Sacra Scrittura. «Intessuto di Sacra Scrittura, spazia dall’Antico al Nuovo Testamento e ne fa il testamento di Dio al suo popolo»: è infatti il giudizio entusiasta rilasciato dal patriarca greco-melkita d’Antiochia Gregorio III Laham. A proposito, poi, di tessuti, è lo stesso titolo a suggerire l’immagine quando ricorre al termine 'trama' per dirci il luogo della Parola di Dio: nella trama della storia. Nella linearità, ma pure nella tortuosità del suo svolgersi, la storia è una sorta di trama, che diventa storia di salvezza quando è incontrata dall’ordito, che è la Parola di Dio. 'Parola e storia', un binomio fondamentale. Anzitutto, perché c’è proprio la Parola di Dio, come ricorda il Messaggio, all’origine della storia umana. Dio disse. Non cesserà mai nel cuore credente lo stupore per questa indebita – cioè liberissima – Parola. Non udita da alcuno, ma più efficace di ogni altra. Parola 'prima' ed 'unica', da cui tutte le altre parole - anche le nostre più umili e perfino le più inutili - dipendono e sono giudicate. In questo congiungimento di Parola e storia c’è anche la nostra missionarietà. K. Barth ripeteva spesso che tra Bibbia e giornale dovrebbe come scoccare una scintilla. Ciò che intendeva non è distante da quanto è scritto nel Messaggio riguardo all’omelia, dove «il ministro dovrebbe trasformarsi anche in profeta».
Per distinguerne le sue parti il Messaggio ha scelto di ricorrere a termini fortemente evocativi, a parole-simbolo, ciascuna quasi corrispondente a una ' declinazione della Parola di Dio': la sua voce, il suo volto, la sua casa, le sue strade. 'Voce' e 'volto' alludono alla dinamica del mistero dell’Incarnazione. 'Casa' e 'strada' sono simboli della comunione e della missione. Nel 'terzo pilastro' su cui è edificata la 'casa della Parola' c’è la lectio divina, che è stata come la 'litania' sinodale. Si tratta del simultaneo leggere la Scrittura e ascoltare la Parola di Dio, fondato sul fatto che la Parola di Dio «precede ed eccede la Bibbia». Ma poi la Parola vuole « incontrare il grande pellegrinaggio che popoli della terra hanno intrapreso alla ricerca della verità, della giustizia e della pace».
Il Messaggio ripete ciò che S. Gregorio Magno scrisse nei suoi Moralia in Job (cf. V, XXIV, 16): la vita dei buoni è una pagina biblica vivente. Ed è proprio questa vita honorum che da ultimo – come già ebbe a scrivere Giovanni Paolo II – è comprensibile «anche da chi, deluso dall’inflazione delle parole umane, cerca essenzialità e autenticità nel rapporto con Dio, pronto a cogliere il messaggio emergente da una vita in cui il gusto della bellezza e dell’ordine si coniugano con la sobrietà» (Lettera all’Abate di Subiaco, 7 luglio 1999).
Con il richiamo al silenzio si chiude pure il Messaggio, mentre ci torna alla memoria l’annotazione biografica di Clemente Rebora: «La Parola zittì chiacchiere mie».
LA LEGGE 40 SFIDATA ORA DAL KIT SUPER- SICURO - Gran fervore mercantile attorno alle provette - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 26 ottobre 2008
N on se ne parla come un tempo: la ricerca sulle cellule staminali non occupa più le prime pagine dei quotidiani come accadeva prima. Poche le notizie riportate, niente più titoli urlati, spuntano persino qua e là inviti alla cautela e a diffidare delle promesse di viaggi della speranza.
Eppure non è certo diminuito il lavoro dei ricercatori né l’interesse per i risultati: le scoperte sulle staminali continuano a susseguirsi e a essere pubblicate nelle riviste specializzate, ma non hanno la stessa eco mediatica. Il motivo principale è che la scoperta dello scienziato giapponese Shinya Yamanaka, le staminali pluripotenti indotte (o «Ips») – simili a quelle embrionali ma ricavate da cellule adulte –, ha reso ormai superata la ricerca sugli embrioni. Tante risorse umane e soprattutto ingenti capitali si stanno riconvertendo proprio allo studio delle Ips. È crollato l’interesse scientifico per la cosiddetta clonazione terapeutica (che nessuno è riuscito finora a realizzare negli esseri umani) e il sostanziale silenzio caduto sull’argomento dimostra quanto tutte quelle notizie sensazionali fossero date in modo strumentale e ideologico, finalizzate a permettere un libero utilizzo di embrioni umani, anziché per ottenere quelle cure e terapie che invece tutti ci auguriamo.
La battaglia adesso sembra essersi spostata sul terreno della diagnosi preimpianto: cioè la possibilità o meno di effettuare analisi genetiche sugli embrioni ottenuti da fecondazione in vitro per poter scegliere i 'migliori', scartando i malati e trasferendo in utero solo quelli sani. Sappiamo che l’analisi preimpianto attualmente può avere solo questo scopo eugenetico visto che, una volta individuata l’eventuale anomalìa, non esistono a oggi terapie in grado di curare gli embrioni. È un’analisi con un elevato grado di incertezza nei risultati – tanto che a chi vi si sottopone viene consigliata comunque l’amniocentesi –, con la quale è possibile danneggiare gli embrioni stessi. E per effettuarla è necessario averne a disposizione tanti: non ha senso farla solo per conoscere «il grado di salute biologica del futuro individuo», come invece suggeriva ieri Edoardo Boncinelli dal Corriere della Sera. La nostra legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita – che, beninteso, non è una norma cattolica, visto che il magistero della Chiesa interdice la fecondazione in vitro – non consente questa procedura dichiaratamente selettiva. Ma per una curiosa coincidenza, mentre siamo in attesa di un’importante sentenza della Corte Costituzionale sulla legge 40 che potrebbe aprire le porte proprio alla diagnosi preimpianto e alla selezione del 'figlio perfetto', ecco apparire notizie su esami genetici 'low cost' per scovare le malattie ereditarie. Per 'soli' duemila euro sarebbe infatti in arrivo un test che promette di stanare addirittura 15 mila difetti genetici, praticamente tutti. Nulla si dice su come faccia a garantire la certezza del risultato, nulla sulla sua accuratezza, nulla sull’efficacia, tantomeno sulle vittime di tanto repulisti: solamente si sottolinea che questo test propagandato come 'miracoloso' sarà vietato in Italia. La colpa? Della legge 40, ovviamente. Ma è proprio questa legge che garantisce l’embrione umano difendendolo da qualsiasi pratica selettiva e dai ricorrenti tentativi di far credere che gli esami genetici sarebbero facili, sicuri, 'infallibili'.
Il messaggio che simili notizie finiscono con l’inviare è chiaro: basta poco per fare pulizia nella specie umana. Degli enormi interessi economici che spingono alla diffusione indiscriminata di questo tipo di esami neanche un accenno.
Insomma, è arrivato il momento dei consigli per gli acquisti.
Dalle università alle fondazioni: un sistema libero ed efficiente, sul modello europeo - Mario Mauro - lunedì 27 ottobre 2008 - IlSussidiario.net
Sono tre le priorità che il Ministro Gelmini tiene in considerazione nella sua riforma e sulle quali i paesi europei stanno convergendo per riformare seriamente il sistema dell'istruzione universitaria: autonomia gestionale, autonomia finanziaria e gestione efficiente dei finanziamenti, legati ai risultati ottenuti dall'istituto.
Nella stragrande maggioranza dei paesi europei c'è una chiara tendenza a concedere una sempre più ampia autonomia agli istituti di istruzione superiore, per quanto concerne la libertà di educazione, ma anche, e forse in particolar modo, nella gestione del bilancio istituzionale. In alcuni paesi, come ad esempio nel Regno Unito, il sistema di istruzione superiore opera tradizionalmente con un altissimo grado di autonomia, anche a livello finanziario. Anche le università olandesi godono da più di 20 anni di grande autonomia. Dal 1997 perfino in Islanda è cominciato un processo in questa direzione. Gli altri paesi europei hanno iniziato questo processo solo recentemente, incentrando le proprie politiche su piani strategici di sviluppo per la gestione delle risorse finanziarie che sono basate sui bisogni specifici di ciascun paese. Il processo è accompagnato da vari meccanismi di accountability che possono prendere la forma di relazioni annuali o audit interni ed esterni.
Nella parte fiamminga del Belgio, l'istruzione superiore è stata storicamente controllata in modo rigoroso dallo Stato. Oggi c'è grande autonomia, che è il risultato del progressivo coinvolgimento degli staff e degli studenti nella formazione delle politiche e nella gestione dei soldi.
In Grecia, una legge recentemente adottata dal Parlamento ridurrà il controllo del Ministero dell'istruzione sulla gestione delle risorse finanziarie. Ogni università adotterà un piano di sviluppo quadriennale al quale sarà direttamente legato il finanziamento pubblico.
La proposta del ministro Gelmini di trasformare le università in fondazioni ha una lunga serie di precedenti europei: in Francia la legge varata nell'agosto 2007 che conferisce un'importante autonomia gestionale e finanziaria, oltre a garantire nuove responsabilità e autorità in materia finanziaria, offre la possibilità di creare fondazioni universitarie o partnership con aziende. Dal 2007 anche in Portogallo, con il nuovo sistema di istruzione superiore, viene data la possibilità agli istituti pubblici di avere lo status di fondazioni, con un aumento esponenziale dell'autonomia, soprattutto in termini finanziari.
In Finlandia, nel 2007 è stata avanzata una proposta per cui ogni università possiede lo status legale di fondazione.
Altro punto importante, che il ministro Gelmini sottolinea costantemente quando punta il dito sull'inefficienza del sistema e sulla necessità di tagliare gli sprechi, è il legame diretto tra i risultati perseguiti dall'Università e i finanziamenti ottenuti, Anche questo "format" ha parecchi fruitori all'interno dell'Unione europea: i governi sono sempre più interessati ad un'ottimizzazione del bilanciamento tra le risorse finanziarie che investono nell'istruzione superiore e il risultato complessivo del settore. Si moltiplicano gli esempi di Governi che guardano al risultato del presente per la previsione futura dell'allocazione delle risorse. Le modalità possono essere due: solitamente il processo prevede una negoziazione del bilancio che porta alla stipulazione di un contratto tra l'istituto e il Ministero, o comunque con chi eroga i finanziamenti. La seconda modalità prevede l'utilizzo di una formula "budgeting systems" che include indicatori di performance. In alcuni paesi, come il Regno unito dall'1986 e l'Estonia dal 2002, tali politiche sono già pienamente integrate nel sistema, in altri, riforme analoghe sono state recentemente adottate (in Austria nel 2007), o sono in dirittura d'arrivo (Belgio fiammingo, Spagna e Romania). Per arrivare a riforme di questo tipo un po' tutti i paesi dell'Unione stanno aumentando l'attenzione sull'utilizzo di sempre più precisi e complessi strumenti di monitoraggio dell'efficienza dell'istruzione superiore. In Francia, la legge del 2006 sulla finanza pubblica, rinforza il legame tra finanziamento e risultato basandosi su obiettivi e indicatori. In Finlandia, la riforma del sistema di finanziamento che ha avuto inizio nel 1990, prevede che gli obiettivi e le risorse utili per raggiungere tali obiettivi vengano determinati con un negoziato tra gli istituti e il Ministero dell'istruzione. Nel Regno Unito il finanziamento per supportare le infrastrutture di ricerca è distribuito selettivamente, dopo i controllli periodici del Research Assessment exercise (RAE). Questo sistema di monitoraggio permette di mantenere e sviluppare la competitività della ricerca negli istituti britannici. Dal 1990 in Norvegia la pianificazione è orientata sul risultato, anche qui bilanciando obiettivi e indicatori per "misurare" i risultati, tutto questo per salvaguardare le importantissime ma vulnerabili attività accademiche.
Questa panoramica è la dimostrazione del fatto che in Europa la corrente anti-centralista e anti-statalista è assolutamente dominante. Libertà e quindi sussidiarietà sono ormai il sale della concezione del sistema scolastico e universitario. È tempo che anche da noi ci si renda conto che protestare, in nome di un'ideologia defunta, contro chi lavora in questo senso vuol dire protestare contro la propria libertà. La proposta di legge N. 6338/2006 sulla diversificazione dell'offerta formativa dell'On. Nicola Rossi va elogiata proprio perchè partita da chi oggi sta all'opposizione e apre la porta del dialogo nella giusta direzione, che come abbiamo visto, mette d'accordo la maggioranza degli Stati europei.
SCUOLA/ 2. Garavaglia: il ruolo pubblico svolto dalle scuole paritarie è un bene per tutti, da difendere - INT. Mariapia Garavaglia - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Senatrice Garavaglia, nonostante il clima di scontro dell’ultimo periodo, la scuola è e deve rimanere un banco di prova per un vero riformismo. Archiviata la manifestazione di sabato, è ora possibile ripartire per trovare punti di accordo tra maggioranza e opposizione?
Purtroppo il tema dell’incontro è stato impedito da come è stata posta da parte del governo la soluzione ai problemi della scuola. Quando il ministro Gelmini ha tenuto la sua prima audizione alle commissioni parlamentari, io mi sono lasciata andare ad espressioni di apprezzamento, indicando che si poteva prospettare un grande lavoro comune per il rilancio del nostro sistema scolastico. Poi, l’estate scorsa, è arrivato il decreto finanziario, in cui, prendere o lasciare, ci sono stati una serie di articoli a nostro modo di vedere tremendi, che mettono la scuola in ginocchio. Anche su questo noi abbiamo detto che avremmo lavorato in comune, cercando delle soluzioni in parlamento, anche perché sappiamo che l’Istruzione, come è successo anche nelle precedenti legislature, si trova in difficoltà a far valere di fronte al ministero dell’Economia le proprie ragioni.
Ma il dialogo può ripartire?
Io ribadisco che è un grande dolore il fatto che non si sia ancora trovata un’intesa, perché la scuola non può essere un terreno di scontro; dovrebbe invece essere argomento di dibattito, e su questo io sono disposta in ogni momento a ricominciare da capo. Ma se non c’è dibattito parlamentare e non c’è la possibilità di introdurre emendamenti, allora non ci può essere dialogo. Noi comunque non cambiamo parere, e aspettiamo che il governo apra una discussione, perché abbiamo idee che possono servire.
Un tema fondamentale, su cui si possono trovare convergenze tra maggioranza e una parte dell’opposizione, è la difesa della parità scolastica. Si teme però che in finanziaria possano essere previsti tagli, e c’è chi già protesta all’interno della maggioranza: cosa fare su questo terreno?
Io tengo alla scuola paritaria, come scuola che svolge un’importante funzione pubblica, da cui lo Stato non deve ritrarsi. Se la scuola paritaria risponde ai requisiti che le consentono di svolgere questa funzione, allora deve essere aiutata e sostenuta; e naturalmente è meglio aiutare il non profit che il profit. Noi, naturalmente, diciamo anche che la scuola deve essere valutata; quindi non è la scuola dei cosiddetti diplomifici che deve esser aiutata, bensì la scuola paritaria rappresentata dai tanti istituti seri che svolgono un lavoro di grande valore. Ad esempio, le scuole costituite da cooperative di genitori, così come la gran parte delle scuole cattoliche non sono diplomifici, e si inseriscono a pieno titolo in quelle realtà che svolgono una grande e utile funzione pubblica. Direi anche che il finanziamento, decretato con criteri rigorosi, può essere utile per distinguere e creare una selezione tra scuole che hanno valore e quelle che non l’hanno.
In effetti la difesa della parità ha un vero e proprio valore culturale, di cui può giovare l’intero sistema scolastico, non solo le scuole private.
Faccio un parallelo con la sanità, di cui mi sono a lungi occupata: nel campo sanitario il privato accreditato entra nella programmazione pubblica e corrisponde a criteri su cui il pubblico opera un controllo. Questo sistema misto pubblico-privato, basato sul criterio fondamentale dell’accreditamento, crea un bene per tutti. Motivo per cui non ci devono essere assolutamente disparità di trattamento, perché tutte le realtà che, in forme diverse, rientrano in questo sistema creano un bene per tutti.
La parità si colloca comunque sulla scia del più ampio discorso dell’autonomia; si parla anche della trasformazione della governance delle scuole, con il passaggio a fondazioni, come previsto ad esempio dal ddl Aprea: cosa ne pensa?
La scelta sta diventando difficile, perché se i tagli continuano la scelta della fondazione sarà solo una scappatoia per trovare fondi privati. Scuola e università sono un patrimonio di tutti, e soprattutto in momenti di crisi come questo è sbagliato pensare che l’affluenza di fondi da parte del privato possa essere un’ancora di salvezza per la scuola e l’università. Il ddl Aprea rimane comunque un progetto positivo; diciamo però che se si garantisce parità e autonomia vera, non è lo stato giuridico che conta. L’importante è guardare alla scuola come sede dell’autonomia e della libera scelta per le famiglie. Se garantisco l’autonomia e un budget da gestire, poi ogni scuola costruisce la propria risposta formativa, tenendo conto delle esigenze del territorio e della personalizzazione dei progetti educativi.
SPAGNA/ Grazie a Zapatero è nato Javier, il primo “bebè medicina”. Quanto è giusto gioire? - Redazione - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
L’Ospedale Virgen del Rocío di Siviglia ha annunciato come un successo la nascita di Javier, fratello di un bambino affetto da una grave malattia ereditaria. Questo neonato è stato generato, insieme ad altri embrioni “fratelli”, attraverso tecniche di fecondazione assistita, ed è stato selezionato tra tutti perché sano e perché ha un profilo di istocompatibilità identico a quello del suo fratello malato. In tal modo potrò donargli cellule staminali di tipo ematopoietico. Per questa ragione è conosciuto tra i mass media come il “bebè medicina”.
Suo fratello è affetto da talassemia major, una malattia cronica che produce grave anemia, facile suscettibilità alle infezioni, deformità ossee e depositi di ferro nel fegato e nel cuore. Per questo ha bisogno di continue trasfusioni e di cure che evitino il conseguente accumulo di ferro nell’organismo. Le possibilità di cura dipendono dal trapianto di cellule staminali della serie ematopoietica. Queste cellule si possono ottenere dal midollo osseo e dal sangue del cordone ombelicale di donatori compatibili, che possono essere familiari o meno.
Che vantaggi portano le tecniche di fecondazione assistita in questo contesto? Permettono di generare molti embrioni “fratelli” del paziente, aumentando quindi la probabilità di ottenere donatori compatibili. Togliendo una o due cellule dall’embrione quando è composto da otto cellule e facendo degli studi genetici - diagnosi preimpianto - è possibile identificare gli embrioni ammalati e disfarsene. È inoltre possibile, con questa stessa tecnica, selezionare quegli embrioni che hanno un profilo di istocompatibilità simile a quello del fratello malato e sceglierne uno per impiantarlo.
Il trapianto da un donatore scelto in questo modo ha una probabilità di successo leggermente superiore a quella di un donatore non familiare. In sintesi, le tecniche di fecondazione assistita, insieme alla diagnosi preimpianto, cercano di ottenere un donatore idoneo senza la malattia, appunto un “bebé medicina”.
Tuttavia, non ci sono solo vantaggi. Il numero di nascite di donatori per ciclo di fecondazione in vitro è stato finora molto basso (intorno al 15% per ognuno dei casi pubblicati). Il processo per ottenere il donatore è lento (richiede almeno 19 mesi per ottenere il sangue dal cordone ombelicale). I costi (o i benefici, a seconda dal punto di vista) sono molto elevati. Il numero di cellule ottenute dal sangue del cordone ombelicale possono essere insufficienti per il trapianto, e il bebè può quindi cessare di essere un donatore di midollo osseo (senza il suo consenso) per curare il fratello.
Perciò, di fronte ad altre forme per trovare donatori, questa tecnica presenta forti limiti. Il più importante è che le tecniche di riproduzione assistita mettono in forte pericolo il bambino così concepito (si veda l’ampia documentazione su Lancet 2007; 370:351). Rispetto ai bambini generati naturalmente: la mortalità perinatale o neonatale raddoppia; le probabilità di avere una malattia che richiede le cure di un’unità intensiva neonatale è maggiore di 1,5 volte; il rischio di prematurità estrema - con tutte le sue conseguenze negative - è triplicata; il rischio di gravi malformazioni in questi bambini è aumentato del 30%; c’è la crescente preoccupazione per la maggior probabilità di malattie legate all’impronta genetica (imprinting disorders) e ad altre alterazioni epigenetiche collegate con un ambiente artificiale di concepimento. Inoltre il rischio di paralisi celebrale è triplo, il rischio di alterazioni dello sviluppo neurologico è quadruplo, e attualmente si comincia a riscontrare un rischio più elevato di malattie cardiovascolari e di diabete in età adulta.
Così il “bebè medicina” corre un rischio di salute per nulla trascurabile. Senza aver provato con donatori alternativi che non corrono nessun rischio (banca del sangue del cordone ombelicale) o limitatissimo (donatori di midollo osseo).
La nascita di Javier è una gioia. È un desiderio condiviso che, quando si realizzerà il trapianto di sangue di cordone ombelicale o di midollo, suo fratello non lo rigetti e si veda liberato dalla sua malattia. Tuttavia non è accettabile che un numero sconosciuto di embrioni “fratelli” di Javier siano stati generati senza alcun interesse per loro e che siano stati poi eliminati come si fa con una medicina inutile. Né tanto meno si accorda con il valore immenso di Javier che egli, solo perchè utile come donatore, sia stato sottoposto ai notevoli rischi delle tecniche di fecondazione assistita.
(Ana Martín Ancel, membro della European Society for Pediatric Research)
ABORTO/ La pillola del giorno dopo e il miraggio di guarire dalla "malattia" della maternità - Carlo Bellieni - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
I medici hanno l'obbligo deontologico di "adoperarsi per tutelare l'accesso alla prescrizione nei tempi appropriati" della pillola del giorno dopo alle donne che ne facciano richiesta. E' quanto si afferma nel documento 'Etica e deontologia di inizio vita', varato dal Consiglio nazionale della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo).
Lette alcune conclusioni del convegno FNOMCeO, ci resta un po’ d’amaro in bocca. Che il medico si debba adoperare per la salute dei pazienti è ovvio; ma dovrebbe essere altrettanto ovvio che, come chiede il Sottosegretario Roccella, nelle discussioni si debba partire dai dati e non dai presupposti. Insomma, la questione della pillola del giorno dopo ci lascia insoddisfatti. Perché? Non è un diritto del paziente quello di essere curato? Certo. Ma ci sono due cose che evidentemente sfuggono. La prima è l’oggetto di cui parliamo: la “pillola” non è un mero anticoncezionale, ma può agire anche a “concezione” avvenuta, impedendo che l’embrione sopravviva (questo lo si legge anche in siti che nulla hanno in contrario alla “pillola”). E questo è un aborto. E deve rientrare nella disciplina della legge 194.
Secondo, è il diritto ad averla, perché se è un farmaco ormonale complesso (non un farmaco “da banco”, cioè senza bisogno di prescrizione) con possibili effetti collaterali (e possibilità che non sia l’unica risposta al problema della paziente!) il medico deve darlo “secondo scienza e coscienza” e non a semplice richiesta, altrimenti tanto varrebbe che lo vendessero al supermercato…
Il vero punto della questione è che certo esiste il trauma di una gravidanza imprevista, ma c’è anche il trauma della solitudine e dell’ignoranza: perché lo Stato e la società non si fanno carico di questo? Invece le uniche due parole che Stato e società sanno dire sulla sessualità delle giovani sono: “preservativo e IVG”, che ricordano un po’ il motto “libro e moschetto” di antica memoria. La legge 194 almeno ha (ma dovremmo dire “aveva”, dato che è bypassata dalla “pillola” suddetta) alla base il tentativo di “socializzare” la gravidanza, cioè di non lasciare la donna sola in un cantuccio senza alternative se non quella di affrontare una società che emargina e deride chi ha un figlio da giovane (o se lo fa quando ancora “tutte ma proprio tutte” le condizioni non sono favorevoli)… oppure di sbarazzarsene. “Socializzare” è dare tutte le possibilità economiche e sociali per avere un figlio e dare tutte le possibilità culturali perché fare un figlio-non-pianificato-e-non-necessariamente-perfetto non sia un’operazione da extraterrestri. Ma questo oggi è semplicemente negato: troppo facile per lo Stato e la società aprire la porta dell’eliminazione dell’embrione o della supposta cancellazione dalla memoria di un rapporto che avrebbe potuto diventare generativo e fecondo.
Ma se l’IVG zoppica, anche l’altro vessillo del novello motto, il preservativo, non gode di buona salute: non è infatti l’elisir che vorrebbero far apparire: semplicemente perché in una cultura che non educa alla conoscenza del proprio corpo, dei propri ritmi fecondi, dei propri sentimenti, dare un preservativo (e una pillola) e basta, è anche meno di dare il pesciolino a chi muore di fame invece di insegnargli a pescare.
Insomma, come dice l’on Roccella ai medici della FNOMCeO, “Riflettete su pillola e aborto!”, perché non se ne parli solo come forme di autoterapia (di quale malattia?). Già: per la legge italiana l’aborto è l’unica “terapia” che la persona possa auto-prescriversi (con il passaggio quasi formale dal medico) per l’unica “malattia” che la persona possa autodiagnosticarsi (almeno entro i 90 giorni) senza quasi interferenze: il rischio per la salute dovuto ad una nascita.
Ci sarebbe piaciuto che i medici italiani della FNOMCeO avessero riflettuto insomma perché non si abbia a creare una società di persone che sanno solo fuggire dai problemi senza imparare a costruire e affrontarli, senza conoscere se stessi e senza migliorare le proprie attitudini; perché lo Stato non sia solo quello che apre la porta a questa fuga. Questo è il reale compito del medico, che non può essere solo un “fornitore” di un servizio a chi da “paziente” è diventato “utente” all’interno di strutture che da “Ospedali” sono diventate “Aziende”.
USA/ Io, soldato in partenza per l’Iraq, sceglierò così chi votare tra Obama e McCain - Redazione - lunedì 27 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Questa tornata elettorale, con i suoi molti dibattiti su come il nostro paese dovrebbe progredire nel futuro, non è qualcosa di lontano o astratto. Sono infatti in procinto di partire per la guerra.
Come molti miei amici cattolici, considero le prossime elezioni fra le più importanti della nostra vita. Da cattolici profondamente impegnati nel mondo, abbiamo il compito di formare la nostra coscienza attraverso gli insegnamenti della Chiesa. Dobbiamo quindi scegliere con prudenza il candidato da sostenere, in base ai programmi politici proposti. La domanda che occorre farsi è: chi di loro due servirà meglio il bene comune?
Il leader che scegliamo come nostro Presidente deciderà letteralmente il destino di molti americani nati e ancora in grembo. Non possiamo ignorare questa realtà. Ho passato molto tempo a guardare, ascoltare e seguire i candidati. Come tanti, vorrei anch'io creare il mio candidato, così come si costruisce il famoso "Mr. Potato Head" mettendo insieme i vari pezzi del giocattolo; ma questo non è possibile e nemmeno desiderabile, per molte ragioni.
La prima e più importante constatazione è il bisogno di accogliere la realtà per quello che è e non per quello che si vorrebbe che fosse. È facile cadere nella trappola ideologica di cercare di trovare il candidato perfetto, dimenticando la profonda verità antropologica che tutti, uomini e donne, sono peccatori. Quindi, non deve mai essere dimenticato che vi è chi si fa promotore di politiche che non sono molto diverse dal male.
Come dobbiamo procedere allora? Per rispondere a questa domanda, permettetemi di raccontarvi la mia esperienza personale dell’incontro con un uomo che io considero un santo cattolico. Un po' di anni fa, poco prima della sua morte, ho avuto il privilegio di incontrare e di mangiare “in comunione” con il mio eroe personale, Monsignor Luigi Giussani.. Lasciatemi spiegare perché è il mio “eroe” e perché lo considero un “santo”.
Ho ricercato la Verità per tutta la vita, con un desiderio incessante di conoscere, amare e servire Dio. Un cammino di fede che mi ha portato dal protestantesimo evangelico al buddismo, dall'islam allo spiritualismo dei Native Americans, dalla massoneria all'ortodossia russa e finalmente alla "Pienezza della Verità" che è il cattolicesimo.
Attraverso l'esempio vivente di Don Giussani, Cristo mi ha insegnato ad amare mia moglie e i miei figli con una profondità che sarebbe impossibile senza di Lui. Posso onestamente dire che la mia vocazione come soldato è stata salvata grazie a Don Giussani. Ora posso amare i miei soldati nella profondità del loro essere e ringraziare Dio ogni giorno per come loro mi rendono evidente Cristo. Don Giussani incarna per me ciò che un vero leader deve essere. Un vero leader è prima di tutto uno che serve.
Durante l'incontro, questo Apostolo di Cristo, Don Giussani, mi disse della sua grande speranza e affezione per l’America. Continuò dicendo che considerava l’America come il Sacro Romano Impero. Poi mi guardò dritto negli occhi e mi disse: «I cattolici in America devono essere fedeli al Santo Padre e facendo così salveranno l’America. Non solo l'America come paese ha un grande ruolo di responsabilità in questo mondo, ma ogni cattolico in questo paese ha una grande missione e un grande compito».
La verità di quelle affermazioni sta ancora risuonando in me.Basta considerare le questioni della vita, dall'aborto alla ricerca sulle cellule staminali, dall’eutanasia alla teoria della giusta guerra. Dobbiamo anche considerare cosa insegna la Chiesa attraverso il Santo Padre sul matrimonio e sulla famiglia. Seguiamo la loro guida amorevole su questi temi. Sono convinto che la Madonna intercederà perché Dio guidi la Chiesa e ognuno di noi in questi tempi. Invece di cadere nella disperazione nel tentativo di stabilire quale sia il bene comune, dovremmo avere una grande speranza.
Nella difficoltà di capire quale sia il candidato che sembra più ragionevole votare, ho rivolto ai miei amici questa domanda: «La Madonna è il modello della nostra fede, ci insegna cosa vuol dire essere cattolici, essere umani, e io non posso fare a meno di pensare chi sosterrebbe se fosse al nostro posto. Quali politiche appoggerebbe? Sceglierebbe per la pace o per uno stato di guerra continua? Ignorerebbe la sofferenza dei poveri, di quelli privi di assistenza sanitaria? Predicherebbe l’odio contro gli immigrati? Queste sono cose su cui mi interrogo, cose su cui prego».
Credo che sia di aiuto riflettere sulle parole di Papa Giovanni Paolo II in un’omelia pronunciata il 23 gennaio1999 nella basilica della Madonna di Guadalupe a Città del Messico. Io ho avuto il privilegio di andare due volte in pellegrinaggio a questa incredibile basilica, prima ancora che diventassi cattolico, ma anche allora ho avuto ugualmente la possibilità di riconoscere il miracolo della Madonna. Il titolo di questa parte dell’omelia era: «Benedetta sei tu, America, perchè credi, speri e ami».
«Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore (Lc 1, 45). Queste parole che Elisabetta rivolge a Maria, che porta Cristo nel suo grembo, si possono applicare anche alla Chiesa in questo Continente. Beata sei tu, Chiesa in America, che, accogliendo la Buona Novella del Vangelo, generasti numerosi popoli alla fede! Beata perché credi, beata perché speri, beata perché ami, poiché la promessa del Signore si compirà! Gli eroici sforzi missionari e l'ammirevole impresa evangelizzatrice di questi cinque secoli non sono stati vani. Oggi possiamo dire che, grazie ad essi, la Chiesa in America è la Chiesa della Speranza».
In tutta onestà, l’America di cui il Santo Padre parla nella sua omelia include tutto l’emisfero occidentale. La cosa bella per noi americani è che l’immigrazione ispanica negli Stati Uniti permetterà agli stessi ispanici di diventare maggioranza nel corso della nostra stessa esistenza. Vedo questo fatto demografico come qualcosa di provvidenziale. Ne sono certo per la mia esperienza in Mexico, dove ho studiato per due estati consecutive, ma anche per ciò che ho visto in campus universitari frequentati da studenti ispanici. Abbiamo tanto da imparare da loro e dobbiamo accoglierli e volergli bene.
Nel giudicare questi candidati, dobbiamo considerare il nostro dovere di essere solidali gli uni con gli altri. Chi ha la più grande capacità di unire il popolo americano? Quale candidato ha ferme opinioni e convinzioni, ma è disposto a lavorare con altri sia nel partito che nel Congresso per servire il bene comune? Chi saprà andare oltre la propria ideologia politica e vedere il mondo e gli avvenimenti attuali come essi sono realmente? Chi sono i loro consiglieri e amici fidati che li accompagneranno in questi tempi così difficili? Queste sono le domande che dobbiamo porci nel giudicare quale sia il migliore candidato alla Presidenza.
Concludendo, non dimentichiamo mai che l’America sarà cambiata da Cristo attraverso la fedeltà dei cattolici al Santo Padre. Così come l’Europa sarà cambiata da Cristo, dalla fedeltà dei cattolici al Santo Padre. Infine, anche il mondo verrà cambiato dalla fedeltà dei cattolici al Santo Padre. Come Paolo VI ci ha insegnato nella sua prima enciclica, Ecclesiam Suam, la trasformazione dell’America, dell’Europa e del mondo accadrà prima di tutto attraverso la nostra personale consapevolezza. Consapevolezza di questo eccezionale “incontro” con Cristo, ogni secondo di ogni giorno delle nostre vite, consapevolezza di questo “sguardo” che ci porterà alla conversione personale.
La conversione ci chiama a una più profonda unione con Cristo, perché Lo incontriamo in un modo molto concreto che ci permette di fare esperienza della ragionevolezza della nostra fede cattolica. E ci chiama alla missione. Come affermato dai Padri del Concilio Vaticano II, questo dialogo con gli altri è portato avanti principalmente dai laici, che devono sforzarsi di vivere la fede ogni giorno in una più profonda unione tra le loro famiglie, i colleghi e tutti quelli che incontrano, compresi quelli diversi da sé.
Giovanni Paolo II era fra questi Padri conciliari, così come il nostro Papa attuale, che ha lavorato come perito al Concilio. In questi giorni rimaniamo fedeli all'eredità di Giovanni Paolo II e all’odierna visione di Benedetto XVI. Seguiamo il percorso di ragionevolezza segnato da loro per scegliere chi votare e capire quali politiche occorre sostenere come cattolici che vivono in America.
(Il Maggiore David L. Jones è un ufficiale superiore dell’esercito americano, attualmente in servizio nella base di Fort Riley, Kansas, che si sta preparando a partire per l’Iraq)