venerdì 2 ottobre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) I Vescovi canadesi e le conseguenze della legalizzazione dell'eutanasia - Lettera della Conferenza Episcopale del Canada ai parlamentari - di Nieves San Martín
2) RUINISMI SPAGNOLI - di Paolo Rodari - Pubblicato sul Foglio mercoledì 30 settembre 2009
3) L'annuncio di Cristo Redentore prima missione della Chiesa - La Croce che oltrepassa il mistero d'iniquità - di Inos Biffi - L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2009
4) Una riflessione sul profondo significato del perdono - Il bacio della misericordia alla giustizia - L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2009
5) Suicida per testamento biologico I medici non intervengono per salvarla – DA LONDRA ELISABETTA DEL SOLDATO – Avvenire, 2 ottobre 2009
6) pillola abortiva - L’audizione del ministro avvia l’indagine parlamentare. Roccella: c’è chi punta a smontare le garanzie della 194 - DA ROMA PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 2 ottobre 2009
7) Spagna, “pillola del giorno dopo” senza ricetta Obiezione di coscienza in molte farmacie - DA MADRID MICHELA CORICELLI – Avvenire, 2 ottobre 2009


I Vescovi canadesi e le conseguenze della legalizzazione dell'eutanasia - Lettera della Conferenza Episcopale del Canada ai parlamentari - di Nieves San Martín
TORONTO, giovedì, 1° ottobre 2009 (ZENIT.org).- Il presidente della Conferenza Episcopale del Canada (CECC), monsignor Vernon James Weisberger, Arcivescovo di Winnipeg, ha inviato una lettera in cui invita i membri del Parlamento e il popolo canadese a riflettere sulle possibili conseguenze della legge C-384, il cui obiettivo è legalizzare l'eutanasia e il suicidio assistito nel Paese.

Pur sottolineando che chi vuole riaprire questo dibattito è motivato dalla preoccupazione di fronte alla sofferenza altrui, il presidente della CECC mette in dubbio le ragioni di queste persone, spiega la pagina web della Conferenza Episcopale.

“Un'inaccettabile interpretazione della comprensione le porta a proporre che si esegua l'eutanasia sui più vulnerabili anziché assicurare loro, fino alla morte naturale, le cure appropriate, un controllo efficace del dolore e un sostegno sociale, affettivo e spirituale”.

Basandosi sugli insegnamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica, monsignor Weisgerber ricorda che è legittimo ricorrere ai medicinali e ad altri mezzi per alleviare la sofferenza, anche se l'effetto secondario è accorciare la vita. Ad ogni modo, aggiunge, “ciò che non è mai accettabile è uccidere in modo diretto e intenzionale le persone handicappate, malate, anziane o moribonde”.

L'Arcivescovo non vede come una legge che autorizza l'eutanasia e il suicidio assistito possa difendere le fasce più deboli della società.

In accordo con i Vescovi cattolici del Canada, il presidente della Conferenza Episcopale invita i membri del Parlamento canadese – deputati e senatori – a ricorrere a definizioni chiare nei dibattiti che si annunciano e a fare attenzione al profondo impatto che l'adozione di questa legge avrà sulla vita degli individui e di tutta la comunità.

Invita anche tutti i canadesi a informarsi meglio sull'eutanasia e sul suicidio assistito e a promuovere al posto di questi le cure palliative e l'assistenza domiciliare, per aiutare le persone che ne hanno bisogno e chi si occupa di loro.

Allo stesso modo, esorta i cattolici e i fratelli delle comunità cristiane o di altre religioni, e tutti coloro che apprezzano la bellezza e la dignità inerenti alla vita, a impegnarsi in questo dibattito con cortesia e rispetto per testimoniare una profonda reverenza per ogni vita umana.


[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]


Così il cardinale Rouco Varela riporta i cattolici in piazza
Postato il Giovedì, 01 ottobre @ 20:33:09 CEST di David



RUINISMI SPAGNOLI - di Paolo Rodari - Pubblicato sul Foglio mercoledì 30 settembre 2009
La campagna autunnale della Conferenza episcopale spagnola inizierà sabato 17 ottobre a Madrid con una manifestazione di piazza – gli organizzatori promettono sarà “oceanica” – contro l’ultimo disegno di legge approvato dal governo Zapatero e che concede, anche alle minorenni fra i 16 e i 18 anni, di abortire senza il consenso dei genitori.

E’ il modello italiano del Family Day che viene adottato in Spagna, nel senso che, questa volta, a metterci la faccia non sarà direttamente la gerarchia, quanto le associazioni del laicato cattolico di base: movimenti ecclesiali e associazionismo.

Il tutto, certo, con la benedizione dei vescovi i quali, tuttavia, rimangono ufficialmente un passo indietro.
Lo scopo è duplice: fare leva sulle convinzioni pro vita del popolo – i vescovi ritengano sia il sentire della maggioranza – e, insieme, sostenere i cattolici che lavorano nel campo medico e farmaceutico attraverso un’obiezione di coscienza “di categoria” e non, dunque, meramente “personale”.

Il parallelismo col modello italiano portato avanti fino al 2007 dal cardinale Camillo Ruini è evidente: la base lotta per non retrocedere su quei temi e princìpi che, appena eletto, Benedetto XVI definì “non negoziabili” e la lotta, seppure di popolo, è sostenuta, da dietro le quinte, dalle gerarchie.




Un modello, questo, che in qualche modo sarà al centro del convegno delle Conferenze episcopali europee in programma a Parigi dall’1 al 4 ottobre: Angelo Bagnasco e gli altri leader europei dibatteranno sulla modalità della presenza della chiesa nell’agone pubblico.

Il capo della chiesa spagnola è l’arcivescovo di Madrid Antonio María Rouco Varela. Questi, nel marzo del 2008, è succeduto a monsignor Ricardo Blazquez, vescovo di Bilbao, alla guida della Conferenza episcopale.

E’ stato un anno delicato, il 2008, per i vescovi di Spagna. In dicembre, infatti, il “piccolo Ratzinger”, ovvero il combattivo cardinale primate di Spagna e arcivescovo di Toledo Antonio Cañizares Llovera, avrebbe lasciato il paese per trasferirsi a Roma alla guida del “ministero” della curia romana dedito alla liturgia.

La sua partenza venne letta da più parti come la volontà della segreteria di stato vaticana di attuare una sorta di Ostpolitik col governo Zapatero. E per verificare se l’intento del cardinale Tarcisio Bertone – che nel luglio del 2008 ebbe un lungo colloquio privato con Zapatero al vertice della Fao a Roma – fosse stato questo, tutte le attenzioni vennero concentrate sul nome del successore di Blazquez alla guida dei vescovi: se, in sostanza, fosse passata l’idea d’una presidenza meno combattiva e più morbida quanto a battaglie etiche o se venisse scelta una leadership carismatica.

Benedetto XVI premiò, a differenza di quanto accadde in Italia per il dopo Ruini, la seconda ipotesi e fu così che, un episcopato che di lì a poco sarebbe rimasto orfano di Canizares, fu affidato alla ferrea mano di colui che in passato l’aveva guidato già per due volte: Rouco Varela, un porporato dalle idee chiare, influente sulla scelta dei vescovi del paese come pure – dicono – sull’ultimo degli officiali spagnoli giunti a lavorare nella curia romana, un presule convinto che difendere la vita sia in linea con le idee del suo paese: “La manifestazione di ottobre – ha dichiarato questa estate lo stesso Varela – farà emergere la sensibilità degli spagnoli”, ed è certo che, per quanto riguarda “i diritti fondamentali, come quello della difesa della vita, i cristiani devono compromettersi”.

Compromettersi e non retrocedere, dunque, è la linea dell’episcopato spagnolo. Un episcopato che, a differenza di quanto avviene in altri paesi, appare unito e senza voci dissonanti. Il merito – spiegano oltre il Tevere – è anche di Zapatero. Le sue politiche antagoniste della visione dell’uomo care alla chiesa, portano i vescovi a unire le forze a discapito delle differenze. Ne è testimonianza un passaggio d’un comunicato stampa che i vescovi hanno presentato lo scorso giugno contro il disegno di legge sull’aborto: “D’accordo con la dottrina della chiesa nessun cattolico che sia coerente con la propria fede potrà approvare o votare a favore di questo testo”.

Pubblicato sul Foglio mercoledì 30 settembre 2009


L'annuncio di Cristo Redentore prima missione della Chiesa - La Croce che oltrepassa il mistero d'iniquità - di Inos Biffi - L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2009
La presenza del male - si tratti del male come avversione a Dio e pervertimento della volontà oppure del male come inclinazione alla colpa e situazione multiforme di dolore - costituisce l'enigma più oscuro e drammatico nella storia dell'uomo.
In realtà, Gesù Cristo con la sua morte in croce ha sciolto questo enigma. Egli "è morto per i peccati" (1 Corinzi, 15, 3); ci ha "giustificati per il suo sangue" (Romani, 5, 9); è diventato "vittima di espiazione" per i peccati "nostri e di tutto il mondo" (1 Giovanni, 2, 2); e così, "per mezzo della morte del Figlio suo", "siamo stati riconciliati con Dio" (Romani, 5, 10); "mediante il suo sangue abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe" (Efesini, 1, 7).
Cristo ha vinto colui che primariamente sta all'origine del male stesso, il demonio, da lui definito "omicida fin da principio", "menzognero e padre della menzogna" (Giovanni, 8, 44).
L'epistola di Paolo ai Romani è il canto sublime alla grazia di Gesù redentore, per il quale, alla condizione del peccato e della condanna, è subentrata la sovrabbondanza della giustizia (cfr. Romani, 5, 20).
Ma proprio constatando questa vittoria sul demonio "da principio peccatore" (1 Giovanni, 3, 8) e questo dono della grazia da parte del Crocifisso, si solleva, in certa misura più esigente, l'interrogativo sia sulla ragione d'un disegno divino in cui è incluso il peccato come atto di ribellione a Dio - con le sue devastanti conseguenze, che coinvolgono tutti gli uomini dalla loro concezione - sia sul perché quel peccato, per essere levato, dovette essere o, in ogni caso, fu di fatto tragicamente sopportato dal Figlio di Dio, che "per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo", "patì, fu crocifisso, morì e fu sepolto".
Certamente, l'origine del male non è in Dio, ma in una libertà che, a partire da quella di Satana, ha acconsentito alla scelta colpevole, da cui è dilagata nel mondo la morte (cfr. Romani, 5, 12) che è la figura sintetica tanto della colpa quanto delle sue conseguenze. Non è tuttavia impensabile un disegno divino in cui operassero delle libertà create soltanto con la scelta del bene, in cui non ci fossero né il demonio, né Adamo peccatore.
E, d'altra parte, il senso di questo concreto disegno segnato dalla colpa redenta e, come vedremo, dal primato del Crocifisso redentore è noto a Dio: la teologia è chiamata senza dubbio anzitutto a constatarlo; ma anche a comprenderlo con la sua riflessione di fede, pur nella persuasione che Dio solo conosce questo senso e che neppure la visione beatifica saprà esaurirne il mistero perfettamente aperto solo al Verbo di Dio.
Alcune riflessioni sono, tuttavia, possibili e illuminanti. Anzi: sono le riflessioni più interessanti a cui la stessa teologia dovrebbe dedicarsi, invece di disperdersi vanamente a dialogare col mondo. Per definizione la scienza sacra è ascolto di Dio e dialogo con lui da parte del credente: al giudizio di un non credente la teologia non potrà mai apparire un sapere sensato, essendo tutto sospeso alla Parola di Dio.
Ora, un primo punto di questa riflessione riguarda il "tempo" nel quale sorge il male: è un "tempo" - se così possiamo impropriamente dire - che precede la creazione dell'uomo. Quando questi appare, una vicenda di peccato si è già consumata "prima", e si trova a lambire l'uomo appena apparso, nell'intento di associarvelo: è la vicenda rappresentata dal Serpente, intento da subito a insinuare e infiltrare nell'uomo la diffidenza nei confronti di Dio, e quindi a far fallire il progetto divino compiuto con la creazione dello stesso uomo.
Vuol dire che un'opposizione a Dio in un "mondo" che "precede" la creazione dell'uomo è, quindi, già avvenuta, e ne è simbolo il medesimo Serpente, che ci appare autore d'una colpa per la quale non vediamo redentore. Il disegno di Dio nel mondo invisibile conterrà, così, una dimensione permanente di male e di castigo - un "fuoco eterno" preparato, dice Gesù, "per il diavolo e per i suoi angeli" (Matteo, 25, 41).
Non solo, ma per invidia dello stesso diavolo, a imitazione o in prosieguo del peccato del mondo invisibile, anche nel disegno del mondo umano appare l'evento del peccato, della disobbedienza a Dio, con il seguito di morte che ha recato con sé: "Per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo" (Sapienza, 2, 24).
In conclusione, nel piano della creazione si riscontra l'avversione a Dio della creatura visibile o invisibile.
Certo, del mondo invisibile e "precedente" noi ignoriamo tutto, anche se forse in qualche modo esso ci è fatto presentire dall'Apocalisse - troppo poco considerata nella riflessione teologica. O meglio: ignoriamo i particolari di quel dramma, ma dalla vita di Cristo non emerge inequivocabile la natura del peccato? L'avversione del demonio contro di lui non è un chiaro indice che il rifiuto degli angeli ribelli fu proprio nei confronti di Gesù Cristo, il Figlio di Dio morto e glorificato, per mezzo del quale, nel quale e in vista del quale Dio ha creato tutte le cose, quelle "visibili" e quelle "invisibili" (cfr. Colossesi, 1, 13-17)? O - come afferma la prima lettera di Pietro (1, 19-20) - Gesù Cristo "Agnello senza macchia e senza difetti", "manifestatosi negli ultimi tempi", e "predestinato già prima della creazione del mondo"?
Il male non sarebbe originariamente sorto proprio come in-sopportazione di Cristo - il Crocifisso risorto - eternamente predestinato come "Primogenito di tutta la creazione" (Colossesi, 1, 17)? Il peccato dell'angelo non risulterebbe, così, come insubordinazione alla signoria di Cristo, al suo "primato su tutte le cose" (ibidem, 1, 18)?
E lo stesso peccato dell'uomo non è concepibile in questa linea? Acconsentendo, infatti, con la sua trasgressione (cfr. Romani, 5, 14) all'insinuazione anticristica del Serpente, Adamo ne proseguì la colpa, diffidando di Dio e, in tal modo, configurandosi come l'antitesi dell'Adamo "spirito datore di vita" (1 Corinzi, 15, 45), ossia di Gesù Cristo, l'uomo dell'affidamento e dell'obbedienza a Dio fino alla morte sulla croce, accolta come segno della sua confidenza e del suo amore per il Padre (cfr. Giovanni, 14, 31).
In altre parole: ogni peccato è configurabile come un eccepire al disegno divino con la sua scelta del primato di Gesù redentore, come un sottrarsi alla concreta regalità cristica, prestabilita da Dio fin dall'eternità.
E qui siamo fatti risalire al "disegno d'amore della volontà del Padre" (Efesini, 1, 3,5), un disegno per noi impenetrabile, tutto sospeso all'imperscrutabile decisione divina, che ha costituito Gesù - si noti bene: non "semplicemente" il Figlio, ma il Figlio redentore "mediante il suo sangue" - quale "Primogenito di tutta la creazione" (Colossesi, 1, 17), "unico capo" di tutte le cose, "quelle nei cieli e quella sulla terra" (ibidem, 1, 20). Nella scelta di Dio, assolutamente primo - e "prima della creazione del mondo" - è il Crocifisso risorto e glorioso e quindi una umanità a lui conforme. Ed è come dire che l'umanità voluta dal Padre per il Figlio non è un'umanità "neutra", ma una umanità che abbia lo splendore proveniente dalla risurrezione da morte, o la gloria irraggiante dal Crocifisso, e che sia immagine di ogni umanità, dal momento che siamo stati "predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Romani, 8, 29). E questo equivale ad affermare che l'uomo, a sua volta, è stato copredestinato con Gesù risorto da morte, che è "preveduto" - ma Dio non "pre-vede", bensì vede - e voluto per avere la medesima sorte.
A questo punto, collegando i passi della Scrittura sopra citati e scarsamente considerati dalla teologia, giungiamo a quattro constatazioni fondamentali: la prima, che nel concreto piano di Dio, comprendente le "cose visibili e invisibili", il primo eletto come ragione di tutta la realtà è Gesù Cristo, il Crocifisso glorioso, che "regna dal Legno"; la seconda, che sul Signore risorto da morte è in particolare progettata e voluta l'umanità; la terza, che in tale piano è compreso misteriosamente il peccato, frutto di una libertà creata e prevaricatrice; la quarta, che sempre nel medesimo piano, fondato sul Redentore è creativamente inclusa la redenzione.
Ma, se Gesù, il Figlio di Dio, è dall'eternità costituito redentore, il peccato presente nell'attuale disegno - mentre conserva tutta la sua immensa gravità come ribellione al progetto divino - non può, in ogni caso, essere l'ultima e definitiva parola della storia umana e non ne compromette la riuscita.
Si direbbe che il peccato è "preventivamente" redento, così che l'ultima parola - che è poi anche la prima - risulta essere la misericordia.
L'aspetto che, creando, Dio ha voluto risaltasse non è genericamente il suo amore, ma il suo amore nella forma della misericordia.
È sorprendente quanto afferma sant'Ambrogio: "Leggo che Dio ha creato l'uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere cui rimettere i peccati" (Exameron, vi, ix, 10, 76), come a dire che la remissione dei peccati significava il compimento e la soddisfazione della sua opera creatrice.
Ed è una persuasione ricorrente nel santo vescovo di Milano e forse la sostanza più originale della sua teologia. Altrove scrive: "Non mi glorierò perché sono giusto, ma perché sono redento" (De Iacob et vita beata, i, 21).
Ambrogio, che pure ha vivissimo il senso del male nel mondo, soprattutto si sofferma ammirato a illustrare ciò che Dio sa operare perdonando il peccato dell'uomo, ritenendo la sua grazia come perdono la soddisfazione e la bellezza della creazione, capace di dissolvere l'anomalia e lo squallore del peccato. Come se si dicesse: di fronte alla gloria del Figlio suo risorto, al pregio e al valore della sua obbedienza filiale, alla sovrabbondanza della grazia scaturita dalla croce e allo splendore dell'umanità che ne riporta i lineamenti, agli occhi stessi di Dio anche il peccato - che pure ha comportato l'atroce morte di croce di Gesù e la maledizione per il suo pendere dal legno (cfr. Galati, 3, 13) - alla fine si trova oltrepassato.
Solo a questa luce è possibile decifrare la questione del peccato nel mondo, ossia considerandola dentro il mistero del Cristo salvatore, che col suo perdono prevale sulla colpa, restando a noi non comprensibile la permanenza dell'ostinata perversione del demonio.
E alla stessa luce e dentro il medesimo mistero si può risolvere l'enigma delle invadenti e "ingiuste" sofferenze e delle molteplici forme di "mortalità" sotto le quali geme ogni uomo. Esse sono attraversate per solidarietà con lui; sono "un prendere parte alle sue sofferenze" (Romani, 8, 17), un "portarle a compimento" (Colossesi, 1, 24), "per partecipare anche alla sua gloria" (Romani, 8, 17), e sono paragonabili alle doglie del parto (cfr. ibidem, 8, 22). Ma proprio in esse viene alla luce la gloria, cioè si crea l'umanità conforme a Cristo, risorto da morte, quella che Dio ha scelto dall'eternità.
Il perché di questa scelta appartiene al segreto di Dio, ma l'esito è incomparabile, così come lo è il Signore risorto. Paolo ritiene che "le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi" (Romani, 8, 18).
Solo che fuori dalla fede cristiana, ossia senza lo sguardo fissato sul Crocifisso glorioso, tutto questo nostro discorso non ha nessuna credibilità e consistenza, e il male e il dolore restano nella loro assurdità e intollerabilità, suscitando o ribellione o rassegnazione come a un'oscura fatalità.
Risulta allora chiara la missione della Chiesa: annunziare il mistero di Cristo Redentore, il suo perdono e la sua vittoria sul "mistero d'iniquità", sul peccato e sulla morte.
Si va da diverse parti affannosamente e pateticamente domandando come debba rinnovarsi il ministero sacerdotale perché risponda alle esigenze d'una società e d'una cultura mutate. È un affanno vano: gli uomini di oggi saranno anche cambiati, ma è rimasto invariato il ministero, che dal suo inizio sino alla sua fine consisterà sempre nel proclamare Gesù unico salvatore, predestinato dai secoli eterni.
(©L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2009)


Una riflessione sul profondo significato del perdono - Il bacio della misericordia alla giustizia - L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2009
Un bacio della misericordia alla giustizia. È quello che ha dato Giovanni Paolo II incontrando in carcere il suo aggressore, il 27 dicembre 1983. Il bacio del perdono nella stanza di una prigione. Nella prefazione al libro di Pierre Descouvemont, Dieu de justice ou de miséricorde? (Paris, Éditions de l'Emmanuel, 2009, pagine 217, euro 16), uscito in questi giorni, il vice decano del Collegio cardinalizio invita il lettore a una meditazione sul perdono mostrando come giustizia e misericordia non siano in contrapposizione e come esse, anzi, in Dio si concilino. Pubblichiamo qui di seguito una nostra traduzione della prefazione scritta dal porporato.



di Roger Etchegaray

Ogni prefazione stabilisce o sottolinea un legame con l'autore dell'opera e con il suo pensiero. Ho scritto decine di prefazioni sempre "su ordinazione", raramente spinto da un amico, ancor meno da un condiscepolo, ormai raro al tramonto della mia vita. Pierre Descouvemont, sacerdote della diocesi di Cambrai, è uno di questi. Nel seminario francese di Roma, dove lo conobbi sessant'anni fa, respirava la gioia semplice dei figli di Dio e divenne un fine conoscitore dell'animo della piccola Teresa di Lisieux.
Questo libro sulla giustizia e sulla misericordia di Dio affronta i due aspetti che meglio definiscono Dio nella sua tenzone con l'uomo. Nulla di più serio. Nulla di più rassicurante. Nulla di più quotidiano. Biblisti, teologi, tutti i peccatori ne sono i testimoni attoniti.
"Giustizia e misericordia si baceranno" (cfr. Salmi, 85, 11). Giovanni Paolo II non si è accontentato, sulla scia del salmista, di cantarlo nella sua enciclica di fresca bellezza (Dives in misericordia, 30 novembre 1980). Il 27 dicembre 1983 lo ha vissuto attraverso il bacio del perdono dato al suo aggressore nel profondo di una prigione. Una sola immagine della televisione, muta, fugace e sfocata, è bastata a scuotere milioni di coscienze in tutto il mondo. Molto più di quanto potrebbe fare l'ammirevole quadro di Rembrandt, che rappresenta il figliol prodigo ai piedi dell'anziano padre, che padre Gourgues, domenicano, ha osato chiamare "Padre prodigo" ... di misericordia.
Come può l'uomo moderno, tanto desideroso di giustizia, sopportare il bruciore di un bacio dato dalla misericordia? Lungi dall'opporsi alla giustizia, la misericordia la postula e la esige. Ma va oltre. La misericordia di Dio discende più in basso della miseria dell'uomo. L'uomo rivendica e rifiuta nello stesso tempo di essere giudicato. La nostra coscienza esige un giudizio che ricompensi il bene e punisca il male. Un giudizio che del resto avrà luogo al momento della nostra morte e al quale il Signore ci chiede con insistenza di prepararci.
Ma, allo stesso tempo, noi rifiutiamo di lasciarci pesare anche sulle bilance più giuste, poiché siamo convinti che la nostra verità sia interiore e possa essere afferrata solo dagli occhi dell'amore. Giovanni Paolo II arriva a dire che l'amore provoca una "rifusione" della giustizia. Un mondo da cui si eliminasse il perdono potrebbe forse essere giusto, ma di una giustizia fredda, in nome della quale ognuno rivendicherebbe i propri diritti, portando all'oppressione dei più deboli da parte dei più forti. Dal peccato dell'uomo, l'amore di Dio si è rivestito dell'abito della misericordia. Nulla a che vedere con la pietà condiscendente, né con la debolezza complice, né con il calcolo interessato. Come quest'opera mostra bene.
E la misericordia produce il suo frutto quando l'uomo, amato fino al perdono, diviene a sua volta misericordioso. Solo allora la terra diventa respirabile, abitabile... Persino in una prigione.
(©L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2009)



P er la prima volta nel Regno Unito il testamento biologico è diventato strumento legale per un suicidio. U­na donna di 26 anni, Kerrie Wooltorton, di Norwich, ha ingerito del veleno ed è sta­ta lasciata morire dai medici perché ave­va firmato un biotestamento nel quale an­ticipava la sua volontà di uccidersi e chiedeva di non essere salvata. I sa­nitari l’hanno lasciata morire temendo che se le avessero evitato una fi­ne orribile sarebbero sta­ti incriminati «perché la donna – come hanno detto agli inquiren­ti – sapeva cosa stava facendo e aveva le capacità mentali di rifiutare le cure». Il sui­cidio di Kerrie è avvenuto due anni fa, ma ieri è stato oggetto di un’udienza alla fine della quale il coroner William Armstrong ha stabilito che la decisione dei medici è stata saggia perché «salvare la donna sen­za il suo consenso sarebbe stato illegale». Il caso è giunto otto giorni dopo il varo del­le discusse linee guida sul suicidio assisti­to nelle quali si stabilisce che non può es­sere incriminato chi aiuta un’altra perso­na a morire. Il testamento biologico, in­trodotto in Gran Bretagna nel 2005, con­sente ai pazienti di specificare a quali tipi di cure non vogliono essere sottoposti in caso di grave malattia che impedisse loro di esprimere le proprie intenzioni. Ma è noto che non è sempre possibile misura­re la lucidità di una persona. Kerrie Wool­torton, per esempio, soffriva di una forte depressione e questo, se­condo molti, getta dubbi sulla validità del suo testa­mento biologico. Gli stessi familiari hanno condanna­to il comportamento dei medici sostenendo che a­vrebbero dovuto salvarla anche contro la sua volontà. La donna a­veva già tentato il suicidio nove volte in­gerendo sostanze tossiche, sempre però salvata dai medici. Aveva dunque deciso di redigere un testamento biologico 'sui­cidario', ma dopo aver assunto il veleno aveva chiamato un’ambulanza. La Woll­torton è morta quattro giorni dopo esse­re stata ricoverata al Norfolk and Norwi­ch University Hospital. «Avrei infranto la legge – ha dichiarato ieri il medico che l’a­veva in cura, Alexader Heaton con una fra­se raggelante –, l’ho dovuto fare».
Inghilterra: una giovane scrive di lasciarla morire E si avvelena


pillola abortiva - L’audizione del ministro avvia l’indagine parlamentare. Roccella: c’è chi punta a smontare le garanzie della 194 - DA ROMA PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 2 ottobre 2009
L e istituzioni non permetteranno che l’impiego della Ru486 vada contro o ag­giri «il contenuto sostanziale» della leg­ge 194. È il monito lanciato dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, nella sua audi­zione in commissione Sanità del Senato sul­la pillola abortiva. Una seduta segnata anche dalle critiche del Pd alla lettera inviata dal presidente della Commissione, Antonio To­massini (Pdl), al numero uno dell’Agenzia i­taliana del farmaco (Aifa), Sergio Pecorelli, nella quale si sottolinea «l’opportunità» che l’agenzia, «prima di pervenire alle determi­nazioni conclusive» sulla Ru486, «tenga nel­la massima considerazione le valutazioni che emergeranno a conclusione dell’indagine co­noscitiva » della Commissione.
«Grave» che Tomassini abbia chiesto all’Aifa, senza consultare la Commissione, di so­spendere la sua decisione: così va all’attacco la capogruppo del Pd, Anna Finocchiaro che, accusando la maggioranza di voler snatura­re l’indagine, torna a manifestare i suoi di­stinguo. «Una lettera inopportuna», aggiun­ge Dorina Bianchi (Pd). «Tomassini ha agito nel pieno rispetto delle regole parlamentari», ribatte il capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, rinfacciando al Pd «un battibecco» tra suoi esponenti in Commissione. «L’audizione di Sacconi di­mostra che l’indagine andava fatta», osserva Raffaele Calabrò (Pdl). È «pienamente giu­stificata », ribadisce il sottosegretario al Wel­fare, Eugenia Roccella. La questione tecnica delle modalità dell’aborto farmacologico non può non essere politica: la Ru486 è compati­bile con la 194? In base alla legge l’aborto «de­ve avvenire nelle strutture pubbliche», una garanzia per la salute delle donne e per la pre­venzione: l’Italia è l’unico Paese europeo in cui l’aborto è costantemente diminuito.
Al margine della sua audizione, Sacconi evi­denzia che la prossima riunione del cda del­l’Aifa attesa per il 19 ottobre non permetterà ancora la commmercializzazione: è neces­saria «una determina tecnica», che definisca nel dettaglio «il protocollo e il percorso». La questione su cui indaga anche la commis­sione, evidenzia Sacconi, è se la Ru486 è com­patibile con la 194, verificando che «una com­patibilità teorica» non sia «negata nei fatti».
«Il 19 l’iter si concluderà in modo definitivo», dissente Livia Turco (Pd) che non può «na­scondere » la sua «soddisfazione» perché il la­voro dell’Agenzia iniziò quando era ministro della Salute. A suo dire, poi, Roccella e Sac­coni non avrebbero «un minimo di credibi­lità per difendere la legge sull’aborto». «Smontare» la 194, risponde la Roccella, è lo scopo di chi ha sponsorizzato politicamente l’immissione in commercio in Italia della pil­lola. «La Turco dica con chiarezza – chiede il sottosegretario – se ritiene che l’aborto deb­ba avvenire in regime di ricovero ordinario» e non a domicilio. «Nessuno parla di aborto a domicilio», insiste la Turco, tornando a pe­rorare l’educazione sessuale nelle scuole. «Parla d’altro, ma evita accuratamente di ri­spondere », registra infine la Roccella. «Quan­do mai avrei attaccato la legge 194?», precisa anche Sacconi, evidenziando di averne chie­sto invece «la piena attuazione». Nella sua audizione il ministro ricorda che la legge am­mette l’aborto – «un atto considerato, in linea di principio, negativamente» – solo in situa­zioni nelle quali la salute materna è minac­ciata.
Quanto alla Ru486, non basta una «discipli­na tecnica» teoricamente coerente con la 194: Sacconi sollecita anche «modalità di moni­toraggio che consentano di verificare il gra­do di effettività del rispetto». E se così non fosse, le istituzioni «non potrebbero assiste­re passive»: saranno «necessari» interventi per un «rispetto» concreto di una «legge in­ternazionalmente apprezzata», che «nessu­na parte politica pare voler modificare».


Spagna, “pillola del giorno dopo” senza ricetta Obiezione di coscienza in molte farmacie - DA MADRID MICHELA CORICELLI – Avvenire, 2 ottobre 2009
S i può comprare nelle farmacie spagnole - senza ricetta e sen­za limiti di età - dall’inizio di questa settimana. Ma in Spagna il se­condo debutto della cosiddetta “pil­lola del giorno dopo” (dal 2001 si po­teva acquistare soltanto con pre­scrizione medica, mentre oggi è to­talmente libera) non è stato esente dalle polemiche. Non tutte le farma­cie spagnole hanno accettato que­sta nuova iniziativa del governo di José Luis Rodriguez Zapatero e cen­tinaia di farmacisti hanno deciso di ricorrere all’obiezione di coscienza. In Spagna esistono 21.000 farmacie: secondo il quotidiano El Mundo , la pillola non verrà distribuita in circa 2.000 farmacie. Non tutti i casi cor­rispondono ad obiettori di coscien­za: c’è anche chi rifiuta la vendita del farmaco perché considera poco re­sponsabile la possibilità di assumer­lo senza la ricetta di un medico. Ma in questi ultimi giorni l’Associazione nazionale per la difesa dell’obiezio­ne di coscienza, la rete delle Farma­cie Responsabili e l’Associazione Far­maceutici Responsabili continuano a ricevere i professionisti pieni di dubbi. Uno dei problemi riguarda la normativa: non tutte le regioni pre­vedono la garanzia dell’obiezione di coscienza del farmacista nelle loro leggi autonomiche. L’inizio della vendita senza ricetta - lunedì scorso - è stata accompagnata dalla confu­sione.
Nelle farmacie non era anco­ra arrivato il foglietto illustrativo che avrebbe dovuto contenere spiega­zioni sulla natura della pillola e infor­mazioni sulla contraccezione.
Nel frattempo Madrid si prepara ad ospitare la grande manifestazione del 17 ottobre contro la riforma del­l’aborto approvata la scorsa setti­mana dal Consiglio dei ministri: il progetto di legge dovrà ora passare il vaglio del Parlamento. Anche i ve­scovi spagnoli hanno espresso il lo­ro appoggio all’iniziativa convocata da decine di associazioni pro vita e familiari contro la liberalizzazione dell’aborto. Il segretario generale della Conferenza episcopale, mon­signor Juan Antonio Martinez Ca­mino, ha detto che la manifestazio­ne è «legittima e opportuna»: la leg­ge è «un danno irreparabile per il be­ne comune».
C’è anche chi rifiuta la vendita perché considera poco responsabile l’assunzione priva di prescrizione medica