Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI ricorda San Giovanni Leonardi - Fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio, a 400 anni dalla morte
2) Gli orrori dell'Africa nell'aula del Sinodo - In un ambiente disteso, risuonano denunce toccanti - di Jesús Colina
3) Quo Vadis Europa - Magdi Cristiano Allam (The Friendship Gathering, Evian, 4/10/2009)
4) L'ascia del vescovo su Obama. E sulla curia vaticana - In un articolo bomba pubblicato a Roma il vescovo di Denver, Charles J. Chaput, critica il presidente americano e gli uomini di Chiesa che lo osannano, in testa il cardinale di curia Cottier. Ma anche la segreteria di Stato vaticana finisce sotto tiro - di Sandro Magister
5) LONDRA ABBANDONA LA RICERCA SUGLI IBRIDI UMANO- ANIMALI - Scandaloso silenzio sul fallimento delle chimere - ASSUNTINA MORRESI –Avvenire, 8 ottobre 2009
6) Sul confine - Stati vegetativi: la scienza ammette i suoi limiti - di Pino Ciociola - Nuovi strumenti diagnostici sono in grado di distinguere i pazienti che sembrano non reagire da quelli in stato di coscienza minima, ma spesso i medici preferiscono usare l’intuito Con il risultato che molte persone rischiano di essere private dei supporti essenziali per vivere La denuncia a Bologna nella «Giornata dei risvegli» - Avvenire, 8 ottobre 2009
Benedetto XVI ricorda San Giovanni Leonardi - Fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio, a 400 anni dalla morte
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 7 ottobre 2009 (ZENIT.org).- L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta in piazza San Pietro dove Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato su San Giovanni Leonardi, Fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio, nella ricorrenza dei 400 anni dalla morte.
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Cari fratelli e sorelle!
Dopodomani, 9 ottobre, si compiranno 400 anni dalla morte di san Giovanni Leonardi, fondatore dell’Ordine religioso dei Chierici Regolari della Madre di Dio, canonizzato il 17 aprile del 1938 ed eletto Patrono dei farmacisti in data 8 agosto 2006. Egli è anche ricordato per il grande anelito missionario. Insieme a Mons. Juan Bautista Vives e al gesuita Martin de Funes progettò e contribuì all’istituzione di una specifica Congregazione della Santa Sede per le missioni, quella di Propaganda Fide, e alla futura nascita del Collegio Urbano di Propaganda Fide, che nel corso dei secoli ha forgiato migliaia di sacerdoti, molti di essi martiri, per evangelizzare i popoli. Si tratta, pertanto, di una luminosa figura di sacerdote, che mi piace additare come esempio a tutti i presbiteri in questo Anno Sacerdotale. Morì nel 1609 per un’influenza contratta mentre stava prodigandosi nella cura di quanti, nel quartiere romano di Campitelli, erano stati colpiti dall’epidemia.
Giovanni Leonardi nacque nel 1541 a Diecimo in provincia di Lucca. Ultimo di sette fratelli, ebbe un’adolescenza scandita dai ritmi di fede vissuti in un nucleo familiare sano e laborioso, oltre che dall’assidua frequentazione di una bottega di aromi e di medicamenti del suo paese natale. A 17 anni il padre lo iscrisse ad un regolare corso di spezieria a Lucca, allo scopo di farne un futuro farmacista, anzi uno speziale, come allora si diceva. Per circa un decennio il giovane Giovanni Leonardi ne fu vigile e diligente frequentatore, ma quando, secondo le norme previste dall’antica Repubblica di Lucca, acquisì il riconoscimento ufficiale che lo avrebbe autorizzato ad aprire una sua spezieria, egli cominciò a pensare se non fosse giunto il momento di realizzare un progetto che da sempre aveva in cuore. Dopo matura riflessione decise di avviarsi al sacerdozio. E così, lasciata la bottega dello speziale, ed acquisita un’adeguata formazione teologica, fu ordinato sacerdote e il giorno dell’Epifania del 1572 celebrò la prima Messa. Tuttavia non abbandonò la passione per la farmacopea, perché sentiva che la mediazione professionale di farmacista gli avrebbe permesso di realizzare appieno la sua vocazione, quella di trasmettere agli uomini, mediante una vita santa, "la medicina di Dio", che è Gesù Cristo crocifisso e risorto, "misura di tutte le cose".
Animato dalla convinzione che di tale medicina necessitano tutti gli esseri umani più di ogni altra cosa, san Giovanni Leonardi cercò di fare dell’incontro personale con Gesù Cristo la ragione fondamentale della propria esistenza. "È necessario ricominciare da Cristo", amava ripetere molto spesso. Il primato di Cristo su tutto divenne per lui il concreto criterio di giudizio e di azione e il principio generatore della sua attività sacerdotale, che esercitò mentre era in atto un vasto e diffuso movimento di rinnovamento spirituale nella Chiesa, grazie alla fioritura di nuovi Istituti religiosi e alla testimonianza luminosa di santi come Carlo Borromeo, Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Giuseppe Calasanzio, Camillo de Lellis, Luigi Gonzaga. Con entusiasmo si dedicò all’apostolato tra i ragazzi mediante la Compagnia della Dottrina Cristiana, riunendo intorno a sé un gruppo di giovani con i quali, il primo settembre 1574, fondò la Congregazione dei Preti riformati della Beata Vergine, successivamente chiamato Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio. Ai suoi discepoli raccomandava di avere "avanti gli occhi della mente solo l’onore, il servizio e la gloria di Cristo Gesù Crocifisso", e, da buon farmacista abituato a dosare le pozioni grazie a un preciso riferimento, aggiungeva: "Un poco più levate i vostri cuori a Dio e con Lui misurate le cose".
Mosso da zelo apostolico, nel maggio del 1605, inviò al Papa Paolo V appena eletto un Memoriale nel quale suggeriva i criteri di un autentico rinnovamento nella Chiesa. Osservando come sia "necessario che coloro che aspirano alla riforma dei costumi degli uomini cerchino specialmente, e per prima cosa, la gloria di Dio", aggiungeva che essi devono risplendere "per l'integrità della vita e l'eccellenza dei costumi, così, più che costringere, attireranno dolcemente alla riforma". Osservava inoltre che "chi vuole operare una seria riforma religiosa e morale deve fare anzitutto, come un buon medico, un'attenta diagnosi dei mali che travagliano la Chiesa per poter così essere in grado di prescrivere per ciascuno di essi il rimedio più appropriato". E notava che "il rinnovamento della Chiesa deve verificarsi parimenti nei capi e nei dipendenti, in alto e in basso. Deve cominciare da chi comanda ed estendersi ai sudditi". Fu per questo che, mentre sollecitava il Papa a promuovere una "riforma universale della Chiesa", si preoccupava della formazione cristiana del popolo e specialmente dei fanciulli, da educare "fin dai primi anni… nella purezza della fede cristiana e nei santi costumi".
Cari fratelli e sorelle, la luminosa figura di questo Santo invita i sacerdoti in primo luogo, e tutti i cristiani, a tendere costantemente alla "misura alta della vita cristiana" che è la santità, ciascuno naturalmente secondo il proprio stato. Soltanto infatti dalla fedeltà a Cristo può scaturire l’autentico rinnovamento ecclesiale. In quegli anni, nel passaggio culturale e sociale tra il secolo XVI e il secolo XVII, cominciarono a delinearsi le premesse della futura cultura contemporanea, caratterizzata da una indebita scissione tra fede e ragione, che ha prodotto tra i suoi effetti negativi la marginalizzazione di Dio, con l’illusione di una possibile e totale autonomia dell’uomo il quale sceglie di vivere "come se Dio non ci fosse". E’ la crisi del pensiero moderno, che più volte ho avuto modo di evidenziare e che approda spesso in forme di relativismo. Giovanni Leonardi intuì quale fosse la vera medicina per questi mali spirituali e la sintetizzò nell’espressione: "Cristo innanzitutto", Cristo al centro del cuore, al centro della storia e del cosmo. E di Cristo – affermava con forza – l’umanità ha estremo bisogno, perchè Lui è la nostra "misura". Non c’è ambiente che non possa essere toccato dalla sua forza; non c’è male che non trovi in Lui rimedio, non c’è problema che in Lui non si risolva. "O Cristo o niente"! Ecco la sua ricetta per ogni tipo di riforma spirituale e sociale.
C’è un altro aspetto della spiritualità di san Giovanni Leonardi che mi piace sottolineare. In più circostanze ebbe a ribadire che l’incontro vivo con Cristo si realizza nella sua Chiesa, santa ma fragile, radicata nella storia e nel suo divenire a volte oscuro, dove grano e zizzania crescono insieme (cfr Mt 13,30), ma tuttavia sempre Sacramento di salvezza. Avendo lucida consapevolezza che la Chiesa è il campo di Dio (cfr Mt 13,24), non si scandalizzò delle sue umane debolezze. Per contrastare la zizzania scelse di essere buon grano: decise, cioè, di amare Cristo nella Chiesa e di contribuire a renderla sempre più segno trasparente di Lui. Con grande realismo vide la Chiesa, la sua fragilità umana, ma anche il suo essere "campo di Dio", lo strumento di Dio per la salvezza dell’umanità. Non solo. Per amore di Cristo lavorò alacremente per purificare la Chiesa, per renderla più bella e santa. Capì che ogni riforma va fatta dentro la Chiesa e mai contro la Chiesa. In questo, san Giovanni Leonardi è stato veramente straordinario e il suo esempio resta sempre attuale. Ogni riforma interessa certamente le strutture, ma in primo luogo deve incidere nel cuore dei credenti. Soltanto i santi, uomini e donne che si lasciano guidare dallo Spirito divino, pronti a compiere scelte radicali e coraggiose alla luce del Vangelo, rinnovano la Chiesa e contribuiscono, in maniera determinante, a costruire un mondo migliore.
Cari fratelli e sorelle, l’esistenza di san Giovanni Leonardi fu sempre illuminata dallo splendore del "Volto Santo" di Gesù, custodito e venerato nella Chiesa cattedrale di Lucca, diventato il simbolo eloquente e la sintesi indiscussa della fede che lo animava. Conquistato da Cristo come l’apostolo Paolo, egli additò ai suoi discepoli, e continua ad additare a tutti noi, l’ideale cristocentrico per il quale "bisogna denudarsi di ogni proprio interesse e solo il servizio di Dio riguardare", avendo "avanti gli occhi della mente solo l’onore, il servizio e la gloria di Cristo Gesù Crocifisso". Accanto al volto di Cristo, fissò lo sguardo sul volto materno di Maria. Colei che elesse Patrona del suo Ordine, fu per lui maestra, sorella, madre, ed egli sperimentò la sua costante protezione. L’esempio e l’intercessione di questo "affascinante uomo di Dio" siano, particolarmente in questo Anno Sacerdotale, richiamo e incoraggiamento per i sacerdoti e per tutti i cristiani a vivere con passione ed entusiasmo la propria vocazione.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo ora il mio cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana. In particolare al Cardinale Ivan Dias, ai Collaboratori del Dicastero per l’Evangelizzazione dei Popoli e ai Superiori e Alunni del Pontificio Collegio Urbano di Propaganda Fide. Cari amici, la figura di san Giovanni Leonardi a cui voi siete legati, ispiri la vostra azione missionaria a servizio della Chiesa. Saluto i sacerdoti dei Pontifici Collegi San Pietro Apostolo e San Paolo Apostolo in Roma: a tutti auguro un proficuo anno accademico. Saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dall’Ordine della Madre di Dio, in occasione delle celebrazioni conclusive del quarto centenario della morte del loro fondatore san Giovanni Leonardi. Saluto i sacerdoti, le religiose e i seminaristi dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote e li incoraggio a proseguire nella loro adesione a Cristo e alla Chiesa. Saluto i rappresentanti dell'Associazione "Pianeta Down", della Fondazione "Costruiamo il futuro" e i fedeli di Illegio. Saluto inoltre i Cavalieri del Ringraziamento di Roio (L’Aquila): alla Vergine Maria della Croce, venerata nel Santuario di Roio affido ancora una volta le attese e le speranze delle popolazioni colpite dal recente terremoto.
Rivolgo infine un cordiale saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La Chiesa onora oggi la Beata Vergine del Rosario, memoria liturgica che mi offre l’opportunità di ribadire l'importanza della preghiera del Rosario, tanto cara anche ai miei venerati Predecessori. A voi, cari giovani, la raccomando perché vi aiuti a compiere la volontà di Dio e a trovare nel Cuore Immacolato di Maria un rifugio sicuro. Faccia sperimentare a voi, cari malati, il conforto della nostra Madre celeste, perché da Lei sorretti affrontiate i momenti della prova. Per voi, cari sposi novelli, la recita di questa preghiera costituisca l’appuntamento giornaliero della vostra famiglia che crescerà così, grazie all’intercessione di Maria, nell’unità e nella fedeltà al Vangelo.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Gli orrori dell'Africa nell'aula del Sinodo - In un ambiente disteso, risuonano denunce toccanti - di Jesús Colina
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 8 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Orrori dell'Africa come il traffico di esseri umani, gli abusi da parte delle multinazionali e delle ONG, il dramma di ragazze che uscendo da congregazioni religiose cadono nella prostituzione stanno commuovendo l'aula del Sinodo che riunisce i Vescovi dell'Africa.
L'ambiente fraterno e spesso caratterizzato dal buonumore africano si scontra brutalmente in alcune occasioni con la durezza delle situazioni che deve affrontare questo vertice episcopale a cui Benedetto XVI partecipa ogni volta che le sue responsabilità glielo permettono.
Per rispettare la libertà del dibattito tra i Vescovi, quando si tratta di interventi spontanei ai giornalisti viene rivelato il contenuto dell'intervento ma non il nome del padre sinodale che lo pronuncia.
In questo modo il nome e la proposta non finiscono sui giornali il giorno dopo, privando di confidenzialità o di libertà la discussione.
Monsignor Joseph Bato'ora Ballong Wen Mewuda, portavoce del Sinodo per la lingua francese, ha rivelato alcune delle denunce e degli orrori che hanno espresso i 23 padri sinodali che hanno preso la parola nello scambio di idee di questo martedì pomeriggio, al quale il Papa non ha potuto partecipare perché doveva preparare la sua catechesi per l'Udienza generale del mercoledì.
Preoccupazione per i giovani
In questa sessione, l'argomento più trattato è stato quello della situazione dei giovani africani, perché i presuli si rendono conto che la Chiesa deve riflettere molto di più sul modo in cui avvicinarsi a loro. Troppo spesso, si è denunciato, sono vittime delle sette fondamentaliste.
Allo stesso tempo, si è constatato che per i Vescovi è praticamente impossibile contenere l'esodo dei giovani che cercano una vita migliore all'estero, soprattutto in Occidente.
Di fronte a questa situazione, i presuli considerano che possono almeno prepararli ad affrontare con l'emigrazione altre culture e mentalità, e formarli nella Dottrina Sociale della Chiesa. Non tutto è negativo, hanno riconosciuto, perché alcuni di questi giovani scoprono o riscoprono la propria fede nei Paesi di accoglienza.
Dalla vita religiosa alla prostituzione
Uno dei Vescovi ha denunciato la situazione di giovani cattoliche africane che, mosse da una curiosità vocazionale per la vita religiosa, si recano in Europa per discernere sul proprio futuro in qualche monastero o comunità religiosa.
In qualche caso, ha confessato, una ragazza non si è integrata nella vita religiosa, abbandonando la comunità e finendo poi per cadere nelle maglie della prostituzione.
Per questo motivo, si è spiegato nell'aula, nella Repubblica Democratica del Congo la Conferenza Episcopale ha stabilito che le ragazze che vogliono entrare in una comunità religiosa potranno farlo solo se quella comunità ha una presenza nel Paese.
In questa maniera si manterrà sempre un contatto con la realtà locale nel caso in cui la ragazza non voglia continuare la vita religiosa. In altri Paesi africani, i Vescovi consigliano questa pratica, pur non avendola assunta come obbligatoria.
Ad ogni modo, quando una ragazza si reca in Europa per entrare in una comunità religiosa, c'è un processo di permessi da parte dell'autorità ecclesiastica per evitare per quanto possibile questo tipo di problemi.
Organizzazioni non molto umanitarie
Altri Vescovi hanno denunciato che alcune ONG, molto ammirate in Occidente, in realtà diventano paraventi per agende nascoste o perfino segrete.
Stanno invadendo il continente africano con il pretesto di offrire aiuti umanitari, ma in realtà cercano di promuovere ideologie.
Monsignor Ballong Wen Mewuda ha spiegato che i Vescovi non hanno chiarito esplicitamente quali siano queste ideologie, ma ha considerato che ci si potrebbe riferire alle ONG che cercano di promuovere la “salute riproduttiva” (l'aborto) o che sono una copertura per le sette.
In questo senso, un padre sinodale ha fatto riferimento a un articolo pubblicato dalla rivista "Jeune Afrique" in cui si rivelava che ci sono guru di sette che diventano consiglieri di politici, o anche di Presidenti, e contribuiscono poi all'adozione di decisioni nefaste.
Multinazionali sfruttatrici
Vari Vescovi, almeno quattro, hanno chiesto anche che il Sinodo levi la propria voce contro gli abusi delle multinazionali presenti in Africa, che sfruttano abusivamente le risorse minerarie e i boschi e contaminano l'acqua, provocando gravi danni alle popolazioni locali.
In alcune zone in cui sono giunte, si è constatato, queste imprese sfruttano le risorse ma non hanno fatto niente per creare scuole o ospedali o per garantire l'acqua potabile.
Altri padri sinodali hanno chiesto di denunciare non solo queste multinazionali, ma anche i politici locali, che hanno permesso il loro inserimento o l'hanno attirato senza tener conto dei danni che soffrono ora per questo motivo gli africani.
Si è denunciata anche la crescente invasione nel continente africano della Cina, che sta costruendo strade o opere pubbliche in molti Stati africani in cambio di agognate materie prime, con personale cinese che vive praticamente in condizioni di schiavitù.
Buonumore
Come accade spesso in Africa, tutti questi drammi non tolgono ai Vescovi la speranza o il buonumore.
I presidenti delegati dell'assemblea, in particolare il Cardinale Francis Arinze, prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino, e il Cardinale Wilfrid Fox Napier, O.F.M., Arcivescovo di Durban (Sudafrica), strappano in genere sorrisi con i loro commenti di transizione prima di dare la parola a qualche Vescovo.
Quando un presule fa un intervento breve e finisce prima del tempo assegnato, è accolto con un sonoro applauso, che non è solo un premio, ma anche un incitamento affinché anche il padre sinodale successivo sia il più breve possibile.
Si verificano anche scene divertenti di vita quotidiana, come quando si chiede che il Vescovo che ha perso il proprio zucchetto o la cintura passi a prenderli in segreteria.
In queste occasioni il Papa sorride, e rispettando la metodologia del Sinodo è intervenuto solo per offrire la sua prima meditazione a braccio e per un saluto spontaneo alla fine delle sessioni.
Quo Vadis Europa - Magdi Cristiano Allam (The Friendship Gathering, Evian, 4/10/2009)
L´Europa è una nazione destinata al suicidio demografico, familiare, sociale ed economico perché si vergogna della proprie radici, ha perso la propria fede, rinnega i propri valori e tradisce la propria identità. Questa Europa continua a crescere come un colosso di materialità senza anima, perseguendo una illusoria concezione della felicità corrispondente al possesso spasmodico e ossessivo di beni materiali, che appiattiscono la persona su una dimensione dell’avere e dell’apparire facendo venire sempre meno la dimensione dell’essere e del credere. Gli europei venerano il dio del denaro, del petrolio e del gas e al suo cospetto sono sempre pronti a protrarsi; non hanno alcuna remora a barattare l’insieme della propria civiltà in cambio delle acquisizioni materiali; svendono la democrazia e calpestano la propria dignità per ingraziarsi i favori dei dittatori e dei tiranni. In definitiva la nostra Europa si presenta come se fosse una terra di nessuno, dove non vi è alcuna certezza sul piano della fede, dei valori, dell'identità e delle regole, finendo per essere percepita come una terra di conquista che è già effettivamente in atto.
Il collasso dell'Europa come nazione e come civiltà rischia di trasformarla in una colonia della Cina sul piano economico e sottomessa all'ideologia islamica sul piano socio-culturale. La crisi strutturale della finanza e dell’economia internazionale conseguente all’esplosione della bolla speculativa alimentata dall’illusione di chi ha immaginato che il denaro potesse generare denaro in modo del tutto svincolato dall’economia reale che si basa sul lavoro e sulla produzione di beni, ha di fatto provocato il crollo del mito ideologico del liberismo che ha immaginato che il semplice equilibrio tra la domanda e l’offerta fosse di per sé sufficiente per assicurare la crescita del mercato adorato come un dio perfetto che non doveva essere in alcun modo contaminato dall’interferenza delle istituzioni pubbliche. Oggi assistiamo alla scena straordinariamente inedita del governo degli Stati Uniti, il Paese capitalista per antonomasia, che è proprietario e socio di banche e grandi industrie. Sono gli stessi capitalisti che non soltanto auspicano ma esigono l’intervento dei governi con dosi sempre più massicce di denaro pubblico per prevenire il tracollo di nuove banche e nuove imprese. Ebbene questa realtà di privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite costituisce un'anomalia non perpetuabile e preannuncia un cambiamento profondo nella concezione dell’economia di mercato. E’ del tutto evidente che essa implica una richiesta di equità sociale che non potrà non tradursi in un nuovo modello di sviluppo economico che metta al centro il rispetto della dignità della persona a fronte della sua cosificazione, ovvero la riduzione a semplice oggetto di crescita materiale, e che persegua il bene comune anziché la soddisfazione dell’avidità di una minoranza. In quest’ambito riemerge in tutta la sua straordinaria attualità la dottrina sociale della Chiesa e la prospettiva di un’economia sociale di mercato.
Il crollo del muro ideologico del liberismo, avviato dal fallimento della banca d’affari americana Lehman Brothers nel settembre del 2008, costituisce l’evento più significativo della nostra epoca contemporanea dopo il crollo del muro ideologico del comunismo formalizzato dalla caduta del Muro di Berlino nel novembre del 1989. Quel fatto da un lato ha registrato il successo del sistema capitalista liberale e democratico e il fallimento del sistema comunista centralistico e autoritario, dall’altro ha fatto emergere la fragilità interiore di un Occidente, in particolar modo dell’Europa, per aver perso le proprie radici giudaico-cristiane e abbandonato la propria fede. L’allora pontefice Giovanni Paolo II parlò della necessità di evangelizzare un’Europa che era di fatto scristianizzata. L’Europa senz’anima è diventata sempre più un’Europa relativista, laicista, nichilista, buonista, islamicamente corretta, multiculturalista.
Il relativismo, negando l’uso della ragione e della facoltà di valutare criticamente i contenuti, mette sullo stesso piano tutte le religioni, le culture e i valori, attribuendo pari dignità a tutto e al contrario di tutto. Il laicismo tende a escludere sempre più la spiritualità e la fede dall’ambito della sfera pubblica. Il nichilismo nega la stessa nozione di verità non riconoscendo valenza ai valori. Il buonismo immagina che ci si debba limitare a concedere al prossimo ciò che egli esige. L’islamicamente corretto c’impone di non dire e di non fare nulla che possa urtare la suscettibilità degli islamici. Il multiculturalismo è l’ideologia che immagina di poter governare la realtà della multiculturalità, ovvero della presenza all’interno dello stesso spazio fisico di persone originarie di paesi, culture e religioni diverse, limitandosi a elargire a piene mani diritti e libertà senza chiedere in cambio l’ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole, quindi in assenza di un comune collante valoriale e identitario.
Ed è proprio in questa Europa trasformata in una landa deserta che i concetti di dialogo e convivenza finiscono per essere svuotati dei loro contenuti al punto da ridurre la civiltà alla sommatoria delle istanze dettate giorno dopo giorno da tutti coloro che vi arrivano e piantano la loro tenda. Il risultato è che l’Europa è diventata la nuova Mecca dell’estremismo e del terrorismo islamico, forte di una rete sempre più consistente di moschee, scuole coraniche, banche islamiche, enti caritatevoli e tribunali islamici che hanno dato vita a uno Stato teocratico islamico all’interno dello stato di diritto.
Nel 2006 l'allora presidente americano George Bush e l'allora premier britannico Tony Blair hanno formalizzato una strategia suicida che immagina che per salvare l'Occidente dal terrorismo islamico dei taglia-gola ci si debba affidare al terrorismo islamico dei taglia-lingua. I primi sono coloro che hanno elevato la morte anziché la vita come livello supremo di spiritualità e aspirano a uccidersi per massacrare il maggior numero possibile di nemici dell'islam. I secondi sono coloro che bontà loro ci risparmiano la vita in cambio della loro piena legittimazione quali autorità religiosa islamica e rappresentanti dell'insieme dei musulmani.
Ed è così che parallelamente l'Occidente ha proceduto alla piena legittimazione dell'islam, del Corano, di Allah, di Maometto e della sharia ponendoli su un piede di parità con il cristianesimo e l'ebraismo. Di conseguenza l'Occidente è orientato a riconoscere che si possano accordare delle deroghe e fare delle eccezioni sul piano dei diritti e dei doveri, delle libertà e delle regole nel nome della specificità religiosa, culturale e sociale dell'islam, anche se sono in flagrante violazione dei diritti fondamentali della persona, in particolare delle donne, e se contrastano con i valori non negoziabili, assoluti e universali, a cominciare dalla sacralità della vita. La scellerata strategia suicida avviata da Bush e Blair ha portato nel 2006 all'avvento del potere dei Fratelli Musulmani, nelle loro diverse denominazioni, nei territori palestinesi e in Egitto, così come ha accreditato e consolidato il potere religioso, mediatico, politico e finanziario delle organizzazioni islamiche che in Europa rappresentano di fatto i Fratelli Musulmani.
L'ingenuità, l'ignoranza, la paura e la collusione ideologica di questa Europa la sta trascinando a soccombere sempre più all'arbitrio dei Fratelli Musulmani, che sono stati legittimati come referenti dell'islam e dei musulmani nonostante si tratti di un movimento estremista che predica la distruzione di Israele, sostiene il terrorismo suicida palestinese ed iracheno, considera la donna un essere inferiore, legittima la condanna a morte dell'apostata e predica l'avvento di un califfato islamico mondiale. Il più scaltro degli intellettuali legati ai Fratelli Musulmani, Tariq Ramadan, persegue l'obiettivo di far riconoscere l'islam parte integrante delle radici storiche della civiltà e della spiritualità dell'Europa al pari dell'ebraismo e del cristianesimo. E' del tutto evidente che nel momento in cui l'Europa tende a disconoscere le proprie radici giudaico-cristiane, la pretesa delle radici islamiche finirà per colmare un vuoto valoriale e identitario effettivamente esistente.
La crescita del potere degli estremisti islamici in Europa, al punto che oggi l'Europa é diventata una fabbrica di terroristi suicidi che si sono fatti esplodere sui vari fronti della guerra santa islamica nel mondo ed anche all'interno stesso del suolo europeo, è il sintomo più allarmante del sostanziale fallimento di un modello di convivenza che non è in grado, da un lato, di garantire la sicurezza degli autoctoni e, dall'altro, di favorire una integrazione costruttiva di coloro che scelgono di condividere questo nostro spazio fisico, culturale, valoriale e identitario. La presenza di ghetti fisici sia nei paesi che hanno perseguito il mito del multiculturalismo sia laddove si è imposto l'assimilazionismo, che hanno comunque provocato la lacerazione del tessuto sociale e creato una realtà di conflittualità che talvolta si è sprigionata con la manifestazione del terrorismo islamico anche nella sua versione suicida, è la prova più tangibile dell'incapacità dell'Europa ad affermare al suo interno un modello dove le regole valgono indistintamente per tutti.
In conclusione è evidente che alla base sia della crisi strutturale della finanza e dell'economia sia del fallimento di un modello di convivenza vi è l'abbandono dei valori e il tradimento dell'identità dell'Europa che si fonda sulle radici giudaico-cristiane. Così come è del tutto evidente che solo riscoprendo la sua anima l'Europa potrà riscattarsi e salvarsi dal baratro del suicidio della propria nazione e civiltà. Lo potremo fare solo se saremo in grado di ridefinire un modello di sviluppo economico e un modello di convivenza sociale qualitativamente diversi, che mettano al centro l'etica. Il nuovo modello di sviluppo economico deve fondarsi sulla centralità della dignità della persona e sul perseguimento del bene comune; deve valorizzare la specificità ambientale e umana che non teme la concorrenza straniera; deve considerare la prospettiva di una qualità della vita migliore con un livello più sobrio sul piano del benessere materiale, affinché la materialità sia al servizio della persona e non viceversa la persona schiava della materialità. Il nuovo modello di convivenza sociale deve fondarsi sulla condivisione dei valori non negoziabili senza alcuna eccezione, sul rispetto delle regole che sostanziano diritti e doveri che valgono indiscriminatamente per tutti.
Questo percorso di riscatto sarà possibile se l'Europa si riconcilierà con se stessa, se si amerà e perseguirà il bene comune; se recupererà la cultura dei doveri e delle regole; se comprenderà che le religioni sono fisiologicamente diverse, che l'islam è sostanzialmente incompatibile con la nostra civiltà, ma che con i musulmani come persone è possibile dialogare ed è necessario convivere se rispettano i diritti fondamentali della persona e se condividono i valori non negoziabili, a partire dalla fede nella sacralità della vita, il rispetto della dignità e della libertà della persona.
Noi europei, noi uomini e donne liberi, noi persone di buona volontà, dobbiamo farcela! Non esiste alternativa al successo di questa missione per la vita, la verità, la libertà e la pace autentica. Ce la faremo se ciascuno di noi si assumerà la sua parte di responsabilità affinché qui ed ora, in questa casa comune, tutti noi potremo essere pienamente noi stessi affermando la nostra dignità e salvaguardando la nostra libertà.
MAGDI CRISTIANO ALLAM
L'ascia del vescovo su Obama. E sulla curia vaticana - In un articolo bomba pubblicato a Roma il vescovo di Denver, Charles J. Chaput, critica il presidente americano e gli uomini di Chiesa che lo osannano, in testa il cardinale di curia Cottier. Ma anche la segreteria di Stato vaticana finisce sotto tiro - di Sandro Magister
ROMA, 8 ottobre 2009 – "Difenderò sempre con forza il diritto dei vescovi di criticarmi", aveva assicurato Barack Obama alla vigilia dell'incontro da lui avuto con Benedetto XVI lo scorso 10 luglio.
Infatti. Sono un'ottantina i vescovi cattolici degli Stati Uniti in aperto disaccordo con lui su questioni cruciali, in primis la difesa della vita. Tra questi c'è il cardinale Francis George, presidente della conferenza episcopale e arcivescovo di Chicago, la città di Obama.
E c'è anche il vescovo di Denver, Charles J. Chaput, 65 anni, della tribù pellerossa Prairie Band Potawat, francescano dell'ordine dei cappuccini, autore un anno fa di un libro che già dal titolo dice molto: "Render unto Caesar. Serving the Nation by Living Our Catholic Beliefs in Political Life". È giusto dare a Cesare quel che gli spetta. Ma si serve la nazione vivendo la propria fede cattolica nella vita politica.
A Chaput non piace come a Roma, in Vaticano, si metta la sordina alle critiche della Chiesa americana a Obama. Non è piaciuto, in particolare, lo sfrenato osanna elevato al presidente americano lo scorso luglio – in concomitanza con l'incontro di Obama col papa – da un venerando cardinale di curia, lo svizzero Georges Cottier, teologo emerito della casa pontificia, con un articolo sulla rivista "30 Giorni".
"30 Giorni" è una rivista di geopolitica ecclesiastica molto letta nella curia romana. È diretta dal più "curiale" dei politici cattolici italiani di lungo corso, il senatore a vita Giulio Andreotti. Raggiunge in sei lingue tutte le diocesi del mondo e riflette appieno le politiche realiste della diplomazia vaticana.
Letto l'articolo entusiasta del cardinale Cottier – entusiasta soprattutto con il discorso tenuto da Obama all'università cattolica di Notre Dame – e letto prima ancora un precedente editoriale de "L'Osservatore Romano" anch'esso molto elogiativo dei primi cento giorni del presidente americano persino "a sostegno della maternità", Chaput ha ritenuto doveroso ribattere.
Ha preso carta e penna e ha risposto per le rime. A Obama, al cardinale Cottier e alla segreteria di Stato vaticana. E non su un giornale americano ma su un giornale stampato a Roma, perché il Vaticano veda.
La sua replica è uscita il 6 ottobre su "il Foglio", il quotidiano d'opinione diretto da Giuliano Ferrara, non cattolico ma decisamente "ratzingeriano", molto attento al ruolo pubblico delle religioni.
L'articolo del vescovo di Denver ha occupato tutta la terza pagina, sotto il titolo: "L'ascia del vescovo pellerossa. Charles J. Chaput contro Notre Dame e l'illustre cardinale sedotto dall'abortista Obama".
Il testo è riprodotto qui sotto con il titolo originale, nella traduzione italiana di Aldo Piccato per "il Foglio".
Lo stesso 6 ottobre, in prima pagina, "il Foglio" ha anche pubblicato un'intervista al cardinale George, in quei giorni a Roma a presentare un suo nuovo libro dal titolo: "The Difference God Makes. A Catholic Vision of Faith, Communion, and Culture [La differenza che fa Dio. Una prospettiva cattolica su fede, comunione e cultura]".
Nell'intervista, il cardinale ha detto tra l'altro:
"Oggi la maggiore difficoltà che abbiamo come Chiesa è quella di comunicare alla società che esiste una gerarchia di valori. Prendiamo la questione dell'aborto e della vita in generale. La voce della Chiesa è ascoltata negli Stati Uniti, ma è anche molto osteggiata. E le critiche alla Chiesa hanno luogo per un motivo: perché la nostra società ritiene che l'individualismo e la libertà di scelta siano il valore più importante da tutelare. Il libero arbitrio oggi vale più della vita."
E ancora:
"La morale della Chiesa su certe tematiche non è mai cambiata. 'L'Osservatore Romano' – è vero – può aver scritto dieci righe favorevoli a Obama, qualche cardinale può aver parlato in termini entusiastici dell'attuale amministrazione americana, ma al di là delle trovate giornalistiche il punto resta uno: la Chiesa non può tradire se stessa".
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La politica, la morale e un presidente. Una visione americana
di Charles J. Chaput
Una grande forza della chiesa sta nella sua prospettiva globale. Sotto questo aspetto, il recente saggio pubblicato dal cardinale Georges Cottier sul presidente Barack Obama ("La politica, la morale e il peccato originale", in "30 Giorni" n. 5, 2009) ha dato un autorevole contributo al dibattito cattolico sul nuovo presidente americano. La nostra fede ci unisce attraverso i confini. Ciò che accade in una nazione può avere un importante impatto su molte altre. È giusto e opportuno che si ponga attenzione all’opinione mondiale sui leader americani.
Tuttavia, il mondo non vive e non vota negli Stati Uniti. Gli americani invece sì. Le realtà pastorali di ciascun paese sono conosciute soprattutto dai vescovi locali a diretto contatto con la popolazione. Così, sull’argomento dei leader americani, le riflessioni di un vescovo americano possono certamente avere un significativo interesse. Possono approfondire il positivo giudizio del cardinale offrendo una prospettiva diversa.
Si noti che qui io parlo soltanto a titolo personale. Non parlo a nome dei vescovi statunitensi intesi come organismo, né in nome di qualsiasi altro vescovo. E non intendo nemmeno riferirmi al discorso del presidente Obama sul mondo islamico, che il cardinale Cottier menziona nel suo saggio. Per questo sarebbe necessario un altro articolo.
Mi concentrerò invece sul discorso pronunciato dal presidente all’Università di Notre Dame in occasione della cerimonia di consegna delle lauree, e sulle osservazioni del cardinale Cottier a questo proposito. Questa scelta è dettata da due motivi.
Primo, i membri della mia diocesi appartengono alla comunità di Notre Dame come studenti, laureati e genitori. Ogni cardinale ha un ruolo decisivo nella fede delle persone affidate alle sue cure, e Notre Dame è sempre stata ben più che una semplice università cattolica. È un simbolo dell’esperienza cattolica americana.
Secondo, quando il vescovo locale di Notre Dame si dichiara in disaccordo con un determinato oratore, e circa altri ottanta vescovi e trecentomila laici sostengono apertamente la sua posizione, ogni persona ragionevole deve dedurne che esiste un problema concreto relativamente a quell’oratore, o almeno al suo specifico discorso. Una persona ragionevole può inoltre ritenere opportuno riferirsi al giudizio dei pastori cattolici più direttamente coinvolti nella vicenda.
Sfortunatamente, e inconsapevolmente, il saggio del cardinale Cottier sottovaluta la gravità di quanto è accaduto a Notre Dame. E, corrispondentemente, sopravvaluta la consonanza del pensiero di Obama con la dottrina cattolica.
Ci sono diversi punti importanti da sottolineare.
Primo, il disaccordo sul suo intervento all’Università di Notre Dame non ha nulla a che fare con la questione se Obama sia un uomo buono o cattivo. È senza dubbio un uomo con grandi doti. Possiede un ottimo istinto morale e politico, e mostra un’ammirevole devozione alla propria famiglia. Queste sono cose che contano. Ma, sfortunatamente, contano anche queste: la posizione del presidente su decisive questioni bioetiche, come l’aborto, è radicalmente diversa da quella cattolica. È proprio per questo che Obama ha potuto contare per molti anni sull’appoggio di potenti organizzazioni per il “diritto all’aborto”. Si parla molto, in alcune cerchie religiose, della simpatia del presidente per la dottrina sociale cattolica. Ma la difesa del feto è un’esigenza di giustizia sociale. Non esiste alcuna “giustizia sociale” se i membri più giovani e indifesi della nostra specie possono essere legalmente uccisi. I programmi per i poveri hanno certamente una straordinaria importanza, ma non possono rappresentare una giustificazione per questa fondamentale violazione dei diritti umani.
Secondo, in un altro momento e in altre circostanze, la controversia di Notre Dame avrebbe potuto facilmente svanire se l’università avesse semplicemente chiesto al presidente di fare una conferenza pubblica. Ma in un momento in cui i vescovi americani avevano già espresso una forte preoccupazione per le politiche abortiste della nuova amministrazione, l’Università di Notre Dame ha fatto del discorso di Obama l’evento clou della cerimonia per la consegna degli attestati di laurea e gli ha pure consegnato un dottorato honoris causa in legge – e questo nonostante le inquietanti posizioni del presidente a proposito della legge sull’aborto e altre questioni sociali ad essa connesse.
La vera causa delle preoccupazioni cattoliche sull’intervento di Obama a Notre Dame sta nella sua stessa posizione apertamente negativa circa il tema dell’aborto e altre questioni controverse. Con la sua iniziativa, l’Università di Notre Dame ha ignorato e violato le linee guida espresse dai vescovi americani nel documento “Catholics in Political Life”, pubblicato nel 2004. In questo documento, i vescovi invitavano le istituzioni cattoliche a non concedere onorificenze pubbliche a funzionari di governo in aperto dissenso con la dottrina della chiesa su questioni di primaria importanza.
Così, l’aspro dibattito che la scorsa primavera ha lacerato gli ambienti cattolici americani a proposito dell’onorificenza rilasciata a Barack Obama dall’Università di Notre Dame non è stato affatto un fenomeno di schieramento politico. Riguardava invece questioni essenziali della fede cattolica, di identità e testimonianza religiosa, che il cardinale Cottier, non conoscendo direttamente il contesto americano, potrebbe avere frainteso.
Terzo, il cardinale nota giustamente un punto di contatto tra la tesi, frequentemente ribadita da Obama, della ricerca di un “terreno politico comune” e l’aspirazione cattolica al “bene comune”. Questi due obiettivi (la ricerca di un terreno politico comune e quella del bene comune) possono spesso coincidere. Ma non sono la stessa cosa. Possono essere molto diversi nella pratica. Le cosiddette politiche di “terreno comune” sull’aborto possono in realtà minare alla radice il bene comune perché implicano una falsa unità: stabiliscono una piattaforma di accordo pubblico troppo stretta e debole per sostenere il peso di un autentico consenso morale. Il bene comune non potrà mai essere favorito da chiunque tolleri l’uccisione dei più deboli, a cominciare dai bambini che devono ancora nascere.
Quarto, il cardinale Cottier ricorda giustamente ai propri lettori il rispetto reciproco e lo spirito collaborativo richiesto dal principio della cittadinanza in una democrazia pluralista. Ma il pluralismo non è un fine in se stesso. E non può essere in alcun modo una scusa per l’inazione. Come ha riconosciuto lo stesso Obama nel suo discorso all’Università di Notre Dame, la vita e la solidità della democrazia dipendono dalla convinzione con cui la gente è pronta a combattere per ciò in cui crede: in modo pacifico e legale, ma con vigore e senza equivoci.
Sfortunatamente, il presidente ha anche aggiunto una curiosa osservazione, e precisamente che “la grande ironia della fede è che comporta necessariamente la presenza del dubbio… Ma questo dubbio non ci deve allontanare dalla nostra fede. Deve invece renderci più umili”. In un certo senso questo, ovviamente, è verissimo: su questo versante dell’eternità, il dubbio fa parte integrante della condizione umana. Ma il dubbio significa assenza di qualcosa; non è un valore positivo. Se trattiene i credenti dall’agire in base alle esigenze della fede, il dubbio diventa una fatale debolezza.
La consuetudine del dubbio si adatta fin troppo facilmente a una sorta di “scetticismo battezzato”: un cristianesimo limitato a una vaga lealtà tribale e a un conveniente vocabolario spirituale. Troppo spesso, nelle più recenti vicende americane, il pluralismo e il dubbio sono diventati un alibi per l’inerzia e il letargo politico e morale dei cattolici. Forse l’Europa è diversa. Ma mi sembra che l’attuale momento storico (che accomuna cattolici americani e europei) non abbia alcuna rassomiglianza con le circostanze sociali che dovettero affrontare gli antichi legislatori cristiani citati dal cardinale. Questi uomini avevano fede e avevano anche lo zelo necessario (temperato dalla pazienza e dall’intelligenza) per incarnare nella cultura il contenuto morale della loro fede. In altre parole, hanno costruito una civiltà plasmata dalla credenza cristiana. Quello che sta accadendo oggi è una cosa completamente diversa.
Il saggio del cardinale Cottier è un’autentica testimonianza della generosità del suo spirito. Sono rimasto colpito in particolare dalle sue lodi per l’“umile realismo” del presidente Obama. Mi auguro che abbia ragione. I cattolici americani vogliono che abbia ragione. L’umiltà e il realismo sono il terreno sul quale può crescere una politica fondata sul buon senso, modesta, a misura d’uomo e morale. Rimane da vedere se il presidente Obama sarà capace di realizzare una leadership di questo genere. Abbiamo il dovere di pregare per lui, nella speranza che non soltanto possa farlo ma che lo faccia veramente.
LONDRA ABBANDONA LA RICERCA SUGLI IBRIDI UMANO- ANIMALI - Scandaloso silenzio sul fallimento delle chimere - ASSUNTINA MORRESI –Avvenire, 8 ottobre 2009
«In Gran Bretagna fa ricerca sulle cellule staminali embrionali, in Italia sarebbe ricercato dalla polizia. In Gran Bretagna sta per ricevere approvazione e finanziamento. In Italia riceverebbe una condanna fino a sei anni di carcere, una multa fino a 150 mila euro, sarebbe sospeso per tre anni dall'esercizio professionale » . È quanto campeggiava due anni fa sulla copertina del mensile dell'Associazione radicale Luca Coscioni sotto la foto di Stephen Minger, il ricercatore inglese noto per i suoi lavori sugli embrioni umano- animali, presentato come l'eroe della libertà di ricerca e in quanto tale invitato in Italia a parlare all'Università La Sapienza di Roma ( sì, la stessa che aveva chiuso la porta in faccia a Benedetto XVI).
Ma intanto Minger ha cambiato mestiere: dopo due anni ha abbandonato la ricerca sulle embrionali e lavora nel settore in- dustriale, mentre Lyle Armstrong e Justin St John, gli studiosi che come lui avevano ottenuto la licenza per creare embrioni interspecie, se ne vanno: il primo lavorerà in Spagna, l'altro andrà in Australia. Nessuno li ha perseguitati in questi anni, ma nessuno li ha cercati: non hanno trovato chi volesse finanziare i loro progetti sulle « chimere » . I motivi non sono etici: dopo il via libera dell'Hfea – l'Authority inglese che regola questo tipo di ricerca – è stata modificata pure la normativa, che adesso consente di creare qualsiasi tipo di embrione misto umano/ animale. Il percorso della nuova legge inglese è stato accompagnato da dibattiti e campagne, con un notevole coinvolgimento dell'opinione pubblica: un'attività intensa, largamente supportata dalla stampa sia popolare che specializzata. Ma non è bastato. Dice Colin Miles, membro del Centro di biotecnologie e scienze biologiche, che ha rifiutato uno dei progetti: « Non basta avere un permesso. Si deve verificare l'eccellenza scientifica e il potenziale del progetto » . Che quel filone di ricerca fosse inutile e superato lo si poteva capire leggendo la letteratura scientifica sul tema. E d'altra parte la scoperta delle « Ips » , cellule adulte ' ringiovanite' fino a uno stato simile a quello embrionale, ha rivoluzionato la ricerca nel settore. Ma sugli embrioni ibridi umano- animali la posta in gioco era altro: affermare l'autonomia assoluta della tecnoscienza e dei suoi ' sacerdoti', e sancirne una volta per tutte l'insindacabilità delle scelte cercando di rendere accettabile l'esperimento più estremo: quello che, mischiando patrimonio genetico umano e animale, metterebbe in crisi la natura umana nella sua unicità.
Chi vuole portare la bandiera della libertà di ricerca dovrebbe, però, misurarsi innanzitutto con fatti e risultati. Non si può spacciare per ricerca scientifica qualsiasi manipolazione, anche quelle di cui si è nota l'inutilità, prospettando irresponsabilmente possibili cure per malati inguaribili, come si è fatto con gli embrioni ibridi. Dell'argomento si è interessato recentemente il nostro Comitato nazionale di bioetica con un parere articolato. Ma quel che più impressiona adesso è il silenzio di tutti quelli che hanno dato tanto spazio alle grandi promesse della ricerca sugli ibridi: opinionisti, scienziati, politici, sedicenti militanti « per la libertà della ricerca scientifica » stanno ignorando la notizia. I media tacciono. Nessuno ha qualcosa da dire in proposito? Chi parla di libertà di stampa non dovrebbe almeno rispettare il diritto dei cittadini a un'informazione completa?
sul confine - Stati vegetativi: la scienza ammette i suoi limiti - di Pino Ciociola - Nuovi strumenti diagnostici sono in grado di distinguere i pazienti che sembrano non reagire da quelli in stato di coscienza minima, ma spesso i medici preferiscono usare l’intuito Con il risultato che molte persone rischiano di essere private dei supporti essenziali per vivere La denuncia a Bologna nella «Giornata dei risvegli» - Avvenire, 8 ottobre 2009
Bologna. « Siamo sempre sul chi vive? O sul come vive? » .
Alessandro Bergonzoni è il testimonial della Casa dei risvegli Luca De Nigris. Arguto. Efficace: « Quale vita? La solita o l’insolita? Chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori? Non capisci, non puoi o non vuoi? » . E sorridono, ascoltandolo, i genitori o le mogli o i mariti di chi è in coma o in stato vegetativo che sono qui a Bologna per celebrare l’undicesima Giornata nazionale dei risvegli ( che ha il Patronato del presidente della Repubblica e il patrocinio della presidenza del Consiglio, del Senato e del ministero del Welfare). Pensando che la vita non ha aggettivi.
Sapendo che quando si tratta di cerebrolesioni la scienza annaspa, ipotizza, sa poco e nulla. E pur sapendo che qualche passo in avanti è stato fatto e qualche nuovo strumento è stato trovato, come la Jfk- coma recovery scale ( venti test clinici) capace di distinguere fra chi è in stato vegetativo e in stato di coscienza minima, ma anche chi da quest’ultimo ne è venuto fuori ( ricominciando in qualche modo a comunicare) senza che i medici se siano accorti.
Molti dettagli li aveva raccontati The Economist qualche settimana fa. A cominciare dalla recente ricerca del Gruppo sul coma dell’Università di Liegi, guidato da Caroline Schanakers e Steven Laureys: forse non è possibile cogliere la differenza fra stato vegetativo e di minima coscienza o forse, peggio, si preferisce utilizzare l’intuito piuttosto che le ultime tecniche diagnostiche a disposizione. Col risultato che molte persone rischiano che venga loro tolto il supporto alla vita anche quando sono presenti segni, seppur lievi e impercettibili, che la loro coscienza non è compromessa del tutto.
Infatti, ad esempio, nel 1996 Kheith Andrews e i suoi collaboratori del Royal Hospital for neurodisability a Londra scoprirono che il quaranta per cento dei pazienti nel loro ospedale, classificati in stato vegetativo, in realtà non lo era. Stessa percentuale che si ritrova tredici anni dopo nella ricerca del Gruppo di Liegi: il parere dei medici che si occupavano di centotre pazienti è stato confrontato con la diagnosi ottenuta attraverso la Jfk- coma recovery scale . I primi avevano classificato quarantaquattro di quei pazienti in stato vegetativo, ma la Jfk scale ne aveva invece scoperti diciotto in stato di coscienza minima.
Non solo, ma addirittura quattro fra i quaranta pazienti definiti in stato di coscienza minima ne erano in realtà già usciti: erano appunto capaci di comunicare sebbene i medici non l’avessero rilevato.
Così Steven Laureys ipotizza ( cautamente) almeno un paio di riflessioni. La prima è che i neurologi non sono entusiasti d’essere sostituiti da una ' scala'. La seconda, soprattutto, che per esempio le compagnie assicurative mediamente preferiscono una diagnosi di stato vegetativo a una di minima coscienza, perché in quel caso non sono necessarie ( né obbligate) le spese di riabilitazione.
Il confine dunque è labile e annebbiato. Eppure il principio minimo di cautela viene spesso ignorato.
E, insieme a questo, è troppo diversa geograficamente nel nostro Paese l’assistenza alle famiglie che hanno in casa una situazione di grave o gravissima cerebrolesione, come registra una ricerca del ministero del Welfare i cui primissimi risultati sono stati presentati a Bologna nel quadro della Giornata dei risvegli.
Ed entro un paio di mesi dovrebbe essere pronto il Libro bianco sulle persone in coma e in stato vegetativo ( percorsi di cura, centri di riabilitazione, accompagnamento delle famiglie), che stanno redigendo insieme i tecnici ministeriali e la Rete ( Associazioni riunite per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite), la Fntac ( Federazione nazionale associazione traumio cranici) e l’Associazione Vi. Ve. ( Vite vegetative). Un Libro bianco che partirà proprio dagli aspetti etici: il concetto di persona nel caso delle vite vegetative, il diritto alla continuità dell’assistenza nelle cronicità e il diritto/ dovere alle cure, ma anche il non accanimento e la proporzionalità di queste.
Sull’ultimo numero del mensile Gli amici di Luca magazine , quello distribuito per questa undicesima Giornata dei risvegli, c’è una poesia di Tonino Guerra che viene usata in uno spettacolo teatrale e nella quale « si può riassumere l’obiettivo degli educatori della Casa dei Risvegli » : « Un giorno un angelo ha lasciato il Paradiso per venire sulla terra, abitava in una casetta piena di uccellini imbalsamati e tutti i giorni dava loro da mangiare. Gli altri angeli, dal Paradiso, lo guardavano e ridevano di lui. Ma un giorno, un bel giorno, tutti gli uccellini imbalsamati hanno aperto le loro ali e sono volati via » .
1) Benedetto XVI ricorda San Giovanni Leonardi - Fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio, a 400 anni dalla morte
2) Gli orrori dell'Africa nell'aula del Sinodo - In un ambiente disteso, risuonano denunce toccanti - di Jesús Colina
3) Quo Vadis Europa - Magdi Cristiano Allam (The Friendship Gathering, Evian, 4/10/2009)
4) L'ascia del vescovo su Obama. E sulla curia vaticana - In un articolo bomba pubblicato a Roma il vescovo di Denver, Charles J. Chaput, critica il presidente americano e gli uomini di Chiesa che lo osannano, in testa il cardinale di curia Cottier. Ma anche la segreteria di Stato vaticana finisce sotto tiro - di Sandro Magister
5) LONDRA ABBANDONA LA RICERCA SUGLI IBRIDI UMANO- ANIMALI - Scandaloso silenzio sul fallimento delle chimere - ASSUNTINA MORRESI –Avvenire, 8 ottobre 2009
6) Sul confine - Stati vegetativi: la scienza ammette i suoi limiti - di Pino Ciociola - Nuovi strumenti diagnostici sono in grado di distinguere i pazienti che sembrano non reagire da quelli in stato di coscienza minima, ma spesso i medici preferiscono usare l’intuito Con il risultato che molte persone rischiano di essere private dei supporti essenziali per vivere La denuncia a Bologna nella «Giornata dei risvegli» - Avvenire, 8 ottobre 2009
Benedetto XVI ricorda San Giovanni Leonardi - Fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio, a 400 anni dalla morte
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 7 ottobre 2009 (ZENIT.org).- L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta in piazza San Pietro dove Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato su San Giovanni Leonardi, Fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio, nella ricorrenza dei 400 anni dalla morte.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Dopodomani, 9 ottobre, si compiranno 400 anni dalla morte di san Giovanni Leonardi, fondatore dell’Ordine religioso dei Chierici Regolari della Madre di Dio, canonizzato il 17 aprile del 1938 ed eletto Patrono dei farmacisti in data 8 agosto 2006. Egli è anche ricordato per il grande anelito missionario. Insieme a Mons. Juan Bautista Vives e al gesuita Martin de Funes progettò e contribuì all’istituzione di una specifica Congregazione della Santa Sede per le missioni, quella di Propaganda Fide, e alla futura nascita del Collegio Urbano di Propaganda Fide, che nel corso dei secoli ha forgiato migliaia di sacerdoti, molti di essi martiri, per evangelizzare i popoli. Si tratta, pertanto, di una luminosa figura di sacerdote, che mi piace additare come esempio a tutti i presbiteri in questo Anno Sacerdotale. Morì nel 1609 per un’influenza contratta mentre stava prodigandosi nella cura di quanti, nel quartiere romano di Campitelli, erano stati colpiti dall’epidemia.
Giovanni Leonardi nacque nel 1541 a Diecimo in provincia di Lucca. Ultimo di sette fratelli, ebbe un’adolescenza scandita dai ritmi di fede vissuti in un nucleo familiare sano e laborioso, oltre che dall’assidua frequentazione di una bottega di aromi e di medicamenti del suo paese natale. A 17 anni il padre lo iscrisse ad un regolare corso di spezieria a Lucca, allo scopo di farne un futuro farmacista, anzi uno speziale, come allora si diceva. Per circa un decennio il giovane Giovanni Leonardi ne fu vigile e diligente frequentatore, ma quando, secondo le norme previste dall’antica Repubblica di Lucca, acquisì il riconoscimento ufficiale che lo avrebbe autorizzato ad aprire una sua spezieria, egli cominciò a pensare se non fosse giunto il momento di realizzare un progetto che da sempre aveva in cuore. Dopo matura riflessione decise di avviarsi al sacerdozio. E così, lasciata la bottega dello speziale, ed acquisita un’adeguata formazione teologica, fu ordinato sacerdote e il giorno dell’Epifania del 1572 celebrò la prima Messa. Tuttavia non abbandonò la passione per la farmacopea, perché sentiva che la mediazione professionale di farmacista gli avrebbe permesso di realizzare appieno la sua vocazione, quella di trasmettere agli uomini, mediante una vita santa, "la medicina di Dio", che è Gesù Cristo crocifisso e risorto, "misura di tutte le cose".
Animato dalla convinzione che di tale medicina necessitano tutti gli esseri umani più di ogni altra cosa, san Giovanni Leonardi cercò di fare dell’incontro personale con Gesù Cristo la ragione fondamentale della propria esistenza. "È necessario ricominciare da Cristo", amava ripetere molto spesso. Il primato di Cristo su tutto divenne per lui il concreto criterio di giudizio e di azione e il principio generatore della sua attività sacerdotale, che esercitò mentre era in atto un vasto e diffuso movimento di rinnovamento spirituale nella Chiesa, grazie alla fioritura di nuovi Istituti religiosi e alla testimonianza luminosa di santi come Carlo Borromeo, Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Giuseppe Calasanzio, Camillo de Lellis, Luigi Gonzaga. Con entusiasmo si dedicò all’apostolato tra i ragazzi mediante la Compagnia della Dottrina Cristiana, riunendo intorno a sé un gruppo di giovani con i quali, il primo settembre 1574, fondò la Congregazione dei Preti riformati della Beata Vergine, successivamente chiamato Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio. Ai suoi discepoli raccomandava di avere "avanti gli occhi della mente solo l’onore, il servizio e la gloria di Cristo Gesù Crocifisso", e, da buon farmacista abituato a dosare le pozioni grazie a un preciso riferimento, aggiungeva: "Un poco più levate i vostri cuori a Dio e con Lui misurate le cose".
Mosso da zelo apostolico, nel maggio del 1605, inviò al Papa Paolo V appena eletto un Memoriale nel quale suggeriva i criteri di un autentico rinnovamento nella Chiesa. Osservando come sia "necessario che coloro che aspirano alla riforma dei costumi degli uomini cerchino specialmente, e per prima cosa, la gloria di Dio", aggiungeva che essi devono risplendere "per l'integrità della vita e l'eccellenza dei costumi, così, più che costringere, attireranno dolcemente alla riforma". Osservava inoltre che "chi vuole operare una seria riforma religiosa e morale deve fare anzitutto, come un buon medico, un'attenta diagnosi dei mali che travagliano la Chiesa per poter così essere in grado di prescrivere per ciascuno di essi il rimedio più appropriato". E notava che "il rinnovamento della Chiesa deve verificarsi parimenti nei capi e nei dipendenti, in alto e in basso. Deve cominciare da chi comanda ed estendersi ai sudditi". Fu per questo che, mentre sollecitava il Papa a promuovere una "riforma universale della Chiesa", si preoccupava della formazione cristiana del popolo e specialmente dei fanciulli, da educare "fin dai primi anni… nella purezza della fede cristiana e nei santi costumi".
Cari fratelli e sorelle, la luminosa figura di questo Santo invita i sacerdoti in primo luogo, e tutti i cristiani, a tendere costantemente alla "misura alta della vita cristiana" che è la santità, ciascuno naturalmente secondo il proprio stato. Soltanto infatti dalla fedeltà a Cristo può scaturire l’autentico rinnovamento ecclesiale. In quegli anni, nel passaggio culturale e sociale tra il secolo XVI e il secolo XVII, cominciarono a delinearsi le premesse della futura cultura contemporanea, caratterizzata da una indebita scissione tra fede e ragione, che ha prodotto tra i suoi effetti negativi la marginalizzazione di Dio, con l’illusione di una possibile e totale autonomia dell’uomo il quale sceglie di vivere "come se Dio non ci fosse". E’ la crisi del pensiero moderno, che più volte ho avuto modo di evidenziare e che approda spesso in forme di relativismo. Giovanni Leonardi intuì quale fosse la vera medicina per questi mali spirituali e la sintetizzò nell’espressione: "Cristo innanzitutto", Cristo al centro del cuore, al centro della storia e del cosmo. E di Cristo – affermava con forza – l’umanità ha estremo bisogno, perchè Lui è la nostra "misura". Non c’è ambiente che non possa essere toccato dalla sua forza; non c’è male che non trovi in Lui rimedio, non c’è problema che in Lui non si risolva. "O Cristo o niente"! Ecco la sua ricetta per ogni tipo di riforma spirituale e sociale.
C’è un altro aspetto della spiritualità di san Giovanni Leonardi che mi piace sottolineare. In più circostanze ebbe a ribadire che l’incontro vivo con Cristo si realizza nella sua Chiesa, santa ma fragile, radicata nella storia e nel suo divenire a volte oscuro, dove grano e zizzania crescono insieme (cfr Mt 13,30), ma tuttavia sempre Sacramento di salvezza. Avendo lucida consapevolezza che la Chiesa è il campo di Dio (cfr Mt 13,24), non si scandalizzò delle sue umane debolezze. Per contrastare la zizzania scelse di essere buon grano: decise, cioè, di amare Cristo nella Chiesa e di contribuire a renderla sempre più segno trasparente di Lui. Con grande realismo vide la Chiesa, la sua fragilità umana, ma anche il suo essere "campo di Dio", lo strumento di Dio per la salvezza dell’umanità. Non solo. Per amore di Cristo lavorò alacremente per purificare la Chiesa, per renderla più bella e santa. Capì che ogni riforma va fatta dentro la Chiesa e mai contro la Chiesa. In questo, san Giovanni Leonardi è stato veramente straordinario e il suo esempio resta sempre attuale. Ogni riforma interessa certamente le strutture, ma in primo luogo deve incidere nel cuore dei credenti. Soltanto i santi, uomini e donne che si lasciano guidare dallo Spirito divino, pronti a compiere scelte radicali e coraggiose alla luce del Vangelo, rinnovano la Chiesa e contribuiscono, in maniera determinante, a costruire un mondo migliore.
Cari fratelli e sorelle, l’esistenza di san Giovanni Leonardi fu sempre illuminata dallo splendore del "Volto Santo" di Gesù, custodito e venerato nella Chiesa cattedrale di Lucca, diventato il simbolo eloquente e la sintesi indiscussa della fede che lo animava. Conquistato da Cristo come l’apostolo Paolo, egli additò ai suoi discepoli, e continua ad additare a tutti noi, l’ideale cristocentrico per il quale "bisogna denudarsi di ogni proprio interesse e solo il servizio di Dio riguardare", avendo "avanti gli occhi della mente solo l’onore, il servizio e la gloria di Cristo Gesù Crocifisso". Accanto al volto di Cristo, fissò lo sguardo sul volto materno di Maria. Colei che elesse Patrona del suo Ordine, fu per lui maestra, sorella, madre, ed egli sperimentò la sua costante protezione. L’esempio e l’intercessione di questo "affascinante uomo di Dio" siano, particolarmente in questo Anno Sacerdotale, richiamo e incoraggiamento per i sacerdoti e per tutti i cristiani a vivere con passione ed entusiasmo la propria vocazione.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo ora il mio cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana. In particolare al Cardinale Ivan Dias, ai Collaboratori del Dicastero per l’Evangelizzazione dei Popoli e ai Superiori e Alunni del Pontificio Collegio Urbano di Propaganda Fide. Cari amici, la figura di san Giovanni Leonardi a cui voi siete legati, ispiri la vostra azione missionaria a servizio della Chiesa. Saluto i sacerdoti dei Pontifici Collegi San Pietro Apostolo e San Paolo Apostolo in Roma: a tutti auguro un proficuo anno accademico. Saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dall’Ordine della Madre di Dio, in occasione delle celebrazioni conclusive del quarto centenario della morte del loro fondatore san Giovanni Leonardi. Saluto i sacerdoti, le religiose e i seminaristi dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote e li incoraggio a proseguire nella loro adesione a Cristo e alla Chiesa. Saluto i rappresentanti dell'Associazione "Pianeta Down", della Fondazione "Costruiamo il futuro" e i fedeli di Illegio. Saluto inoltre i Cavalieri del Ringraziamento di Roio (L’Aquila): alla Vergine Maria della Croce, venerata nel Santuario di Roio affido ancora una volta le attese e le speranze delle popolazioni colpite dal recente terremoto.
Rivolgo infine un cordiale saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La Chiesa onora oggi la Beata Vergine del Rosario, memoria liturgica che mi offre l’opportunità di ribadire l'importanza della preghiera del Rosario, tanto cara anche ai miei venerati Predecessori. A voi, cari giovani, la raccomando perché vi aiuti a compiere la volontà di Dio e a trovare nel Cuore Immacolato di Maria un rifugio sicuro. Faccia sperimentare a voi, cari malati, il conforto della nostra Madre celeste, perché da Lei sorretti affrontiate i momenti della prova. Per voi, cari sposi novelli, la recita di questa preghiera costituisca l’appuntamento giornaliero della vostra famiglia che crescerà così, grazie all’intercessione di Maria, nell’unità e nella fedeltà al Vangelo.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Gli orrori dell'Africa nell'aula del Sinodo - In un ambiente disteso, risuonano denunce toccanti - di Jesús Colina
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 8 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Orrori dell'Africa come il traffico di esseri umani, gli abusi da parte delle multinazionali e delle ONG, il dramma di ragazze che uscendo da congregazioni religiose cadono nella prostituzione stanno commuovendo l'aula del Sinodo che riunisce i Vescovi dell'Africa.
L'ambiente fraterno e spesso caratterizzato dal buonumore africano si scontra brutalmente in alcune occasioni con la durezza delle situazioni che deve affrontare questo vertice episcopale a cui Benedetto XVI partecipa ogni volta che le sue responsabilità glielo permettono.
Per rispettare la libertà del dibattito tra i Vescovi, quando si tratta di interventi spontanei ai giornalisti viene rivelato il contenuto dell'intervento ma non il nome del padre sinodale che lo pronuncia.
In questo modo il nome e la proposta non finiscono sui giornali il giorno dopo, privando di confidenzialità o di libertà la discussione.
Monsignor Joseph Bato'ora Ballong Wen Mewuda, portavoce del Sinodo per la lingua francese, ha rivelato alcune delle denunce e degli orrori che hanno espresso i 23 padri sinodali che hanno preso la parola nello scambio di idee di questo martedì pomeriggio, al quale il Papa non ha potuto partecipare perché doveva preparare la sua catechesi per l'Udienza generale del mercoledì.
Preoccupazione per i giovani
In questa sessione, l'argomento più trattato è stato quello della situazione dei giovani africani, perché i presuli si rendono conto che la Chiesa deve riflettere molto di più sul modo in cui avvicinarsi a loro. Troppo spesso, si è denunciato, sono vittime delle sette fondamentaliste.
Allo stesso tempo, si è constatato che per i Vescovi è praticamente impossibile contenere l'esodo dei giovani che cercano una vita migliore all'estero, soprattutto in Occidente.
Di fronte a questa situazione, i presuli considerano che possono almeno prepararli ad affrontare con l'emigrazione altre culture e mentalità, e formarli nella Dottrina Sociale della Chiesa. Non tutto è negativo, hanno riconosciuto, perché alcuni di questi giovani scoprono o riscoprono la propria fede nei Paesi di accoglienza.
Dalla vita religiosa alla prostituzione
Uno dei Vescovi ha denunciato la situazione di giovani cattoliche africane che, mosse da una curiosità vocazionale per la vita religiosa, si recano in Europa per discernere sul proprio futuro in qualche monastero o comunità religiosa.
In qualche caso, ha confessato, una ragazza non si è integrata nella vita religiosa, abbandonando la comunità e finendo poi per cadere nelle maglie della prostituzione.
Per questo motivo, si è spiegato nell'aula, nella Repubblica Democratica del Congo la Conferenza Episcopale ha stabilito che le ragazze che vogliono entrare in una comunità religiosa potranno farlo solo se quella comunità ha una presenza nel Paese.
In questa maniera si manterrà sempre un contatto con la realtà locale nel caso in cui la ragazza non voglia continuare la vita religiosa. In altri Paesi africani, i Vescovi consigliano questa pratica, pur non avendola assunta come obbligatoria.
Ad ogni modo, quando una ragazza si reca in Europa per entrare in una comunità religiosa, c'è un processo di permessi da parte dell'autorità ecclesiastica per evitare per quanto possibile questo tipo di problemi.
Organizzazioni non molto umanitarie
Altri Vescovi hanno denunciato che alcune ONG, molto ammirate in Occidente, in realtà diventano paraventi per agende nascoste o perfino segrete.
Stanno invadendo il continente africano con il pretesto di offrire aiuti umanitari, ma in realtà cercano di promuovere ideologie.
Monsignor Ballong Wen Mewuda ha spiegato che i Vescovi non hanno chiarito esplicitamente quali siano queste ideologie, ma ha considerato che ci si potrebbe riferire alle ONG che cercano di promuovere la “salute riproduttiva” (l'aborto) o che sono una copertura per le sette.
In questo senso, un padre sinodale ha fatto riferimento a un articolo pubblicato dalla rivista "Jeune Afrique" in cui si rivelava che ci sono guru di sette che diventano consiglieri di politici, o anche di Presidenti, e contribuiscono poi all'adozione di decisioni nefaste.
Multinazionali sfruttatrici
Vari Vescovi, almeno quattro, hanno chiesto anche che il Sinodo levi la propria voce contro gli abusi delle multinazionali presenti in Africa, che sfruttano abusivamente le risorse minerarie e i boschi e contaminano l'acqua, provocando gravi danni alle popolazioni locali.
In alcune zone in cui sono giunte, si è constatato, queste imprese sfruttano le risorse ma non hanno fatto niente per creare scuole o ospedali o per garantire l'acqua potabile.
Altri padri sinodali hanno chiesto di denunciare non solo queste multinazionali, ma anche i politici locali, che hanno permesso il loro inserimento o l'hanno attirato senza tener conto dei danni che soffrono ora per questo motivo gli africani.
Si è denunciata anche la crescente invasione nel continente africano della Cina, che sta costruendo strade o opere pubbliche in molti Stati africani in cambio di agognate materie prime, con personale cinese che vive praticamente in condizioni di schiavitù.
Buonumore
Come accade spesso in Africa, tutti questi drammi non tolgono ai Vescovi la speranza o il buonumore.
I presidenti delegati dell'assemblea, in particolare il Cardinale Francis Arinze, prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino, e il Cardinale Wilfrid Fox Napier, O.F.M., Arcivescovo di Durban (Sudafrica), strappano in genere sorrisi con i loro commenti di transizione prima di dare la parola a qualche Vescovo.
Quando un presule fa un intervento breve e finisce prima del tempo assegnato, è accolto con un sonoro applauso, che non è solo un premio, ma anche un incitamento affinché anche il padre sinodale successivo sia il più breve possibile.
Si verificano anche scene divertenti di vita quotidiana, come quando si chiede che il Vescovo che ha perso il proprio zucchetto o la cintura passi a prenderli in segreteria.
In queste occasioni il Papa sorride, e rispettando la metodologia del Sinodo è intervenuto solo per offrire la sua prima meditazione a braccio e per un saluto spontaneo alla fine delle sessioni.
Quo Vadis Europa - Magdi Cristiano Allam (The Friendship Gathering, Evian, 4/10/2009)
L´Europa è una nazione destinata al suicidio demografico, familiare, sociale ed economico perché si vergogna della proprie radici, ha perso la propria fede, rinnega i propri valori e tradisce la propria identità. Questa Europa continua a crescere come un colosso di materialità senza anima, perseguendo una illusoria concezione della felicità corrispondente al possesso spasmodico e ossessivo di beni materiali, che appiattiscono la persona su una dimensione dell’avere e dell’apparire facendo venire sempre meno la dimensione dell’essere e del credere. Gli europei venerano il dio del denaro, del petrolio e del gas e al suo cospetto sono sempre pronti a protrarsi; non hanno alcuna remora a barattare l’insieme della propria civiltà in cambio delle acquisizioni materiali; svendono la democrazia e calpestano la propria dignità per ingraziarsi i favori dei dittatori e dei tiranni. In definitiva la nostra Europa si presenta come se fosse una terra di nessuno, dove non vi è alcuna certezza sul piano della fede, dei valori, dell'identità e delle regole, finendo per essere percepita come una terra di conquista che è già effettivamente in atto.
Il collasso dell'Europa come nazione e come civiltà rischia di trasformarla in una colonia della Cina sul piano economico e sottomessa all'ideologia islamica sul piano socio-culturale. La crisi strutturale della finanza e dell’economia internazionale conseguente all’esplosione della bolla speculativa alimentata dall’illusione di chi ha immaginato che il denaro potesse generare denaro in modo del tutto svincolato dall’economia reale che si basa sul lavoro e sulla produzione di beni, ha di fatto provocato il crollo del mito ideologico del liberismo che ha immaginato che il semplice equilibrio tra la domanda e l’offerta fosse di per sé sufficiente per assicurare la crescita del mercato adorato come un dio perfetto che non doveva essere in alcun modo contaminato dall’interferenza delle istituzioni pubbliche. Oggi assistiamo alla scena straordinariamente inedita del governo degli Stati Uniti, il Paese capitalista per antonomasia, che è proprietario e socio di banche e grandi industrie. Sono gli stessi capitalisti che non soltanto auspicano ma esigono l’intervento dei governi con dosi sempre più massicce di denaro pubblico per prevenire il tracollo di nuove banche e nuove imprese. Ebbene questa realtà di privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite costituisce un'anomalia non perpetuabile e preannuncia un cambiamento profondo nella concezione dell’economia di mercato. E’ del tutto evidente che essa implica una richiesta di equità sociale che non potrà non tradursi in un nuovo modello di sviluppo economico che metta al centro il rispetto della dignità della persona a fronte della sua cosificazione, ovvero la riduzione a semplice oggetto di crescita materiale, e che persegua il bene comune anziché la soddisfazione dell’avidità di una minoranza. In quest’ambito riemerge in tutta la sua straordinaria attualità la dottrina sociale della Chiesa e la prospettiva di un’economia sociale di mercato.
Il crollo del muro ideologico del liberismo, avviato dal fallimento della banca d’affari americana Lehman Brothers nel settembre del 2008, costituisce l’evento più significativo della nostra epoca contemporanea dopo il crollo del muro ideologico del comunismo formalizzato dalla caduta del Muro di Berlino nel novembre del 1989. Quel fatto da un lato ha registrato il successo del sistema capitalista liberale e democratico e il fallimento del sistema comunista centralistico e autoritario, dall’altro ha fatto emergere la fragilità interiore di un Occidente, in particolar modo dell’Europa, per aver perso le proprie radici giudaico-cristiane e abbandonato la propria fede. L’allora pontefice Giovanni Paolo II parlò della necessità di evangelizzare un’Europa che era di fatto scristianizzata. L’Europa senz’anima è diventata sempre più un’Europa relativista, laicista, nichilista, buonista, islamicamente corretta, multiculturalista.
Il relativismo, negando l’uso della ragione e della facoltà di valutare criticamente i contenuti, mette sullo stesso piano tutte le religioni, le culture e i valori, attribuendo pari dignità a tutto e al contrario di tutto. Il laicismo tende a escludere sempre più la spiritualità e la fede dall’ambito della sfera pubblica. Il nichilismo nega la stessa nozione di verità non riconoscendo valenza ai valori. Il buonismo immagina che ci si debba limitare a concedere al prossimo ciò che egli esige. L’islamicamente corretto c’impone di non dire e di non fare nulla che possa urtare la suscettibilità degli islamici. Il multiculturalismo è l’ideologia che immagina di poter governare la realtà della multiculturalità, ovvero della presenza all’interno dello stesso spazio fisico di persone originarie di paesi, culture e religioni diverse, limitandosi a elargire a piene mani diritti e libertà senza chiedere in cambio l’ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole, quindi in assenza di un comune collante valoriale e identitario.
Ed è proprio in questa Europa trasformata in una landa deserta che i concetti di dialogo e convivenza finiscono per essere svuotati dei loro contenuti al punto da ridurre la civiltà alla sommatoria delle istanze dettate giorno dopo giorno da tutti coloro che vi arrivano e piantano la loro tenda. Il risultato è che l’Europa è diventata la nuova Mecca dell’estremismo e del terrorismo islamico, forte di una rete sempre più consistente di moschee, scuole coraniche, banche islamiche, enti caritatevoli e tribunali islamici che hanno dato vita a uno Stato teocratico islamico all’interno dello stato di diritto.
Nel 2006 l'allora presidente americano George Bush e l'allora premier britannico Tony Blair hanno formalizzato una strategia suicida che immagina che per salvare l'Occidente dal terrorismo islamico dei taglia-gola ci si debba affidare al terrorismo islamico dei taglia-lingua. I primi sono coloro che hanno elevato la morte anziché la vita come livello supremo di spiritualità e aspirano a uccidersi per massacrare il maggior numero possibile di nemici dell'islam. I secondi sono coloro che bontà loro ci risparmiano la vita in cambio della loro piena legittimazione quali autorità religiosa islamica e rappresentanti dell'insieme dei musulmani.
Ed è così che parallelamente l'Occidente ha proceduto alla piena legittimazione dell'islam, del Corano, di Allah, di Maometto e della sharia ponendoli su un piede di parità con il cristianesimo e l'ebraismo. Di conseguenza l'Occidente è orientato a riconoscere che si possano accordare delle deroghe e fare delle eccezioni sul piano dei diritti e dei doveri, delle libertà e delle regole nel nome della specificità religiosa, culturale e sociale dell'islam, anche se sono in flagrante violazione dei diritti fondamentali della persona, in particolare delle donne, e se contrastano con i valori non negoziabili, assoluti e universali, a cominciare dalla sacralità della vita. La scellerata strategia suicida avviata da Bush e Blair ha portato nel 2006 all'avvento del potere dei Fratelli Musulmani, nelle loro diverse denominazioni, nei territori palestinesi e in Egitto, così come ha accreditato e consolidato il potere religioso, mediatico, politico e finanziario delle organizzazioni islamiche che in Europa rappresentano di fatto i Fratelli Musulmani.
L'ingenuità, l'ignoranza, la paura e la collusione ideologica di questa Europa la sta trascinando a soccombere sempre più all'arbitrio dei Fratelli Musulmani, che sono stati legittimati come referenti dell'islam e dei musulmani nonostante si tratti di un movimento estremista che predica la distruzione di Israele, sostiene il terrorismo suicida palestinese ed iracheno, considera la donna un essere inferiore, legittima la condanna a morte dell'apostata e predica l'avvento di un califfato islamico mondiale. Il più scaltro degli intellettuali legati ai Fratelli Musulmani, Tariq Ramadan, persegue l'obiettivo di far riconoscere l'islam parte integrante delle radici storiche della civiltà e della spiritualità dell'Europa al pari dell'ebraismo e del cristianesimo. E' del tutto evidente che nel momento in cui l'Europa tende a disconoscere le proprie radici giudaico-cristiane, la pretesa delle radici islamiche finirà per colmare un vuoto valoriale e identitario effettivamente esistente.
La crescita del potere degli estremisti islamici in Europa, al punto che oggi l'Europa é diventata una fabbrica di terroristi suicidi che si sono fatti esplodere sui vari fronti della guerra santa islamica nel mondo ed anche all'interno stesso del suolo europeo, è il sintomo più allarmante del sostanziale fallimento di un modello di convivenza che non è in grado, da un lato, di garantire la sicurezza degli autoctoni e, dall'altro, di favorire una integrazione costruttiva di coloro che scelgono di condividere questo nostro spazio fisico, culturale, valoriale e identitario. La presenza di ghetti fisici sia nei paesi che hanno perseguito il mito del multiculturalismo sia laddove si è imposto l'assimilazionismo, che hanno comunque provocato la lacerazione del tessuto sociale e creato una realtà di conflittualità che talvolta si è sprigionata con la manifestazione del terrorismo islamico anche nella sua versione suicida, è la prova più tangibile dell'incapacità dell'Europa ad affermare al suo interno un modello dove le regole valgono indistintamente per tutti.
In conclusione è evidente che alla base sia della crisi strutturale della finanza e dell'economia sia del fallimento di un modello di convivenza vi è l'abbandono dei valori e il tradimento dell'identità dell'Europa che si fonda sulle radici giudaico-cristiane. Così come è del tutto evidente che solo riscoprendo la sua anima l'Europa potrà riscattarsi e salvarsi dal baratro del suicidio della propria nazione e civiltà. Lo potremo fare solo se saremo in grado di ridefinire un modello di sviluppo economico e un modello di convivenza sociale qualitativamente diversi, che mettano al centro l'etica. Il nuovo modello di sviluppo economico deve fondarsi sulla centralità della dignità della persona e sul perseguimento del bene comune; deve valorizzare la specificità ambientale e umana che non teme la concorrenza straniera; deve considerare la prospettiva di una qualità della vita migliore con un livello più sobrio sul piano del benessere materiale, affinché la materialità sia al servizio della persona e non viceversa la persona schiava della materialità. Il nuovo modello di convivenza sociale deve fondarsi sulla condivisione dei valori non negoziabili senza alcuna eccezione, sul rispetto delle regole che sostanziano diritti e doveri che valgono indiscriminatamente per tutti.
Questo percorso di riscatto sarà possibile se l'Europa si riconcilierà con se stessa, se si amerà e perseguirà il bene comune; se recupererà la cultura dei doveri e delle regole; se comprenderà che le religioni sono fisiologicamente diverse, che l'islam è sostanzialmente incompatibile con la nostra civiltà, ma che con i musulmani come persone è possibile dialogare ed è necessario convivere se rispettano i diritti fondamentali della persona e se condividono i valori non negoziabili, a partire dalla fede nella sacralità della vita, il rispetto della dignità e della libertà della persona.
Noi europei, noi uomini e donne liberi, noi persone di buona volontà, dobbiamo farcela! Non esiste alternativa al successo di questa missione per la vita, la verità, la libertà e la pace autentica. Ce la faremo se ciascuno di noi si assumerà la sua parte di responsabilità affinché qui ed ora, in questa casa comune, tutti noi potremo essere pienamente noi stessi affermando la nostra dignità e salvaguardando la nostra libertà.
MAGDI CRISTIANO ALLAM
L'ascia del vescovo su Obama. E sulla curia vaticana - In un articolo bomba pubblicato a Roma il vescovo di Denver, Charles J. Chaput, critica il presidente americano e gli uomini di Chiesa che lo osannano, in testa il cardinale di curia Cottier. Ma anche la segreteria di Stato vaticana finisce sotto tiro - di Sandro Magister
ROMA, 8 ottobre 2009 – "Difenderò sempre con forza il diritto dei vescovi di criticarmi", aveva assicurato Barack Obama alla vigilia dell'incontro da lui avuto con Benedetto XVI lo scorso 10 luglio.
Infatti. Sono un'ottantina i vescovi cattolici degli Stati Uniti in aperto disaccordo con lui su questioni cruciali, in primis la difesa della vita. Tra questi c'è il cardinale Francis George, presidente della conferenza episcopale e arcivescovo di Chicago, la città di Obama.
E c'è anche il vescovo di Denver, Charles J. Chaput, 65 anni, della tribù pellerossa Prairie Band Potawat, francescano dell'ordine dei cappuccini, autore un anno fa di un libro che già dal titolo dice molto: "Render unto Caesar. Serving the Nation by Living Our Catholic Beliefs in Political Life". È giusto dare a Cesare quel che gli spetta. Ma si serve la nazione vivendo la propria fede cattolica nella vita politica.
A Chaput non piace come a Roma, in Vaticano, si metta la sordina alle critiche della Chiesa americana a Obama. Non è piaciuto, in particolare, lo sfrenato osanna elevato al presidente americano lo scorso luglio – in concomitanza con l'incontro di Obama col papa – da un venerando cardinale di curia, lo svizzero Georges Cottier, teologo emerito della casa pontificia, con un articolo sulla rivista "30 Giorni".
"30 Giorni" è una rivista di geopolitica ecclesiastica molto letta nella curia romana. È diretta dal più "curiale" dei politici cattolici italiani di lungo corso, il senatore a vita Giulio Andreotti. Raggiunge in sei lingue tutte le diocesi del mondo e riflette appieno le politiche realiste della diplomazia vaticana.
Letto l'articolo entusiasta del cardinale Cottier – entusiasta soprattutto con il discorso tenuto da Obama all'università cattolica di Notre Dame – e letto prima ancora un precedente editoriale de "L'Osservatore Romano" anch'esso molto elogiativo dei primi cento giorni del presidente americano persino "a sostegno della maternità", Chaput ha ritenuto doveroso ribattere.
Ha preso carta e penna e ha risposto per le rime. A Obama, al cardinale Cottier e alla segreteria di Stato vaticana. E non su un giornale americano ma su un giornale stampato a Roma, perché il Vaticano veda.
La sua replica è uscita il 6 ottobre su "il Foglio", il quotidiano d'opinione diretto da Giuliano Ferrara, non cattolico ma decisamente "ratzingeriano", molto attento al ruolo pubblico delle religioni.
L'articolo del vescovo di Denver ha occupato tutta la terza pagina, sotto il titolo: "L'ascia del vescovo pellerossa. Charles J. Chaput contro Notre Dame e l'illustre cardinale sedotto dall'abortista Obama".
Il testo è riprodotto qui sotto con il titolo originale, nella traduzione italiana di Aldo Piccato per "il Foglio".
Lo stesso 6 ottobre, in prima pagina, "il Foglio" ha anche pubblicato un'intervista al cardinale George, in quei giorni a Roma a presentare un suo nuovo libro dal titolo: "The Difference God Makes. A Catholic Vision of Faith, Communion, and Culture [La differenza che fa Dio. Una prospettiva cattolica su fede, comunione e cultura]".
Nell'intervista, il cardinale ha detto tra l'altro:
"Oggi la maggiore difficoltà che abbiamo come Chiesa è quella di comunicare alla società che esiste una gerarchia di valori. Prendiamo la questione dell'aborto e della vita in generale. La voce della Chiesa è ascoltata negli Stati Uniti, ma è anche molto osteggiata. E le critiche alla Chiesa hanno luogo per un motivo: perché la nostra società ritiene che l'individualismo e la libertà di scelta siano il valore più importante da tutelare. Il libero arbitrio oggi vale più della vita."
E ancora:
"La morale della Chiesa su certe tematiche non è mai cambiata. 'L'Osservatore Romano' – è vero – può aver scritto dieci righe favorevoli a Obama, qualche cardinale può aver parlato in termini entusiastici dell'attuale amministrazione americana, ma al di là delle trovate giornalistiche il punto resta uno: la Chiesa non può tradire se stessa".
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La politica, la morale e un presidente. Una visione americana
di Charles J. Chaput
Una grande forza della chiesa sta nella sua prospettiva globale. Sotto questo aspetto, il recente saggio pubblicato dal cardinale Georges Cottier sul presidente Barack Obama ("La politica, la morale e il peccato originale", in "30 Giorni" n. 5, 2009) ha dato un autorevole contributo al dibattito cattolico sul nuovo presidente americano. La nostra fede ci unisce attraverso i confini. Ciò che accade in una nazione può avere un importante impatto su molte altre. È giusto e opportuno che si ponga attenzione all’opinione mondiale sui leader americani.
Tuttavia, il mondo non vive e non vota negli Stati Uniti. Gli americani invece sì. Le realtà pastorali di ciascun paese sono conosciute soprattutto dai vescovi locali a diretto contatto con la popolazione. Così, sull’argomento dei leader americani, le riflessioni di un vescovo americano possono certamente avere un significativo interesse. Possono approfondire il positivo giudizio del cardinale offrendo una prospettiva diversa.
Si noti che qui io parlo soltanto a titolo personale. Non parlo a nome dei vescovi statunitensi intesi come organismo, né in nome di qualsiasi altro vescovo. E non intendo nemmeno riferirmi al discorso del presidente Obama sul mondo islamico, che il cardinale Cottier menziona nel suo saggio. Per questo sarebbe necessario un altro articolo.
Mi concentrerò invece sul discorso pronunciato dal presidente all’Università di Notre Dame in occasione della cerimonia di consegna delle lauree, e sulle osservazioni del cardinale Cottier a questo proposito. Questa scelta è dettata da due motivi.
Primo, i membri della mia diocesi appartengono alla comunità di Notre Dame come studenti, laureati e genitori. Ogni cardinale ha un ruolo decisivo nella fede delle persone affidate alle sue cure, e Notre Dame è sempre stata ben più che una semplice università cattolica. È un simbolo dell’esperienza cattolica americana.
Secondo, quando il vescovo locale di Notre Dame si dichiara in disaccordo con un determinato oratore, e circa altri ottanta vescovi e trecentomila laici sostengono apertamente la sua posizione, ogni persona ragionevole deve dedurne che esiste un problema concreto relativamente a quell’oratore, o almeno al suo specifico discorso. Una persona ragionevole può inoltre ritenere opportuno riferirsi al giudizio dei pastori cattolici più direttamente coinvolti nella vicenda.
Sfortunatamente, e inconsapevolmente, il saggio del cardinale Cottier sottovaluta la gravità di quanto è accaduto a Notre Dame. E, corrispondentemente, sopravvaluta la consonanza del pensiero di Obama con la dottrina cattolica.
Ci sono diversi punti importanti da sottolineare.
Primo, il disaccordo sul suo intervento all’Università di Notre Dame non ha nulla a che fare con la questione se Obama sia un uomo buono o cattivo. È senza dubbio un uomo con grandi doti. Possiede un ottimo istinto morale e politico, e mostra un’ammirevole devozione alla propria famiglia. Queste sono cose che contano. Ma, sfortunatamente, contano anche queste: la posizione del presidente su decisive questioni bioetiche, come l’aborto, è radicalmente diversa da quella cattolica. È proprio per questo che Obama ha potuto contare per molti anni sull’appoggio di potenti organizzazioni per il “diritto all’aborto”. Si parla molto, in alcune cerchie religiose, della simpatia del presidente per la dottrina sociale cattolica. Ma la difesa del feto è un’esigenza di giustizia sociale. Non esiste alcuna “giustizia sociale” se i membri più giovani e indifesi della nostra specie possono essere legalmente uccisi. I programmi per i poveri hanno certamente una straordinaria importanza, ma non possono rappresentare una giustificazione per questa fondamentale violazione dei diritti umani.
Secondo, in un altro momento e in altre circostanze, la controversia di Notre Dame avrebbe potuto facilmente svanire se l’università avesse semplicemente chiesto al presidente di fare una conferenza pubblica. Ma in un momento in cui i vescovi americani avevano già espresso una forte preoccupazione per le politiche abortiste della nuova amministrazione, l’Università di Notre Dame ha fatto del discorso di Obama l’evento clou della cerimonia per la consegna degli attestati di laurea e gli ha pure consegnato un dottorato honoris causa in legge – e questo nonostante le inquietanti posizioni del presidente a proposito della legge sull’aborto e altre questioni sociali ad essa connesse.
La vera causa delle preoccupazioni cattoliche sull’intervento di Obama a Notre Dame sta nella sua stessa posizione apertamente negativa circa il tema dell’aborto e altre questioni controverse. Con la sua iniziativa, l’Università di Notre Dame ha ignorato e violato le linee guida espresse dai vescovi americani nel documento “Catholics in Political Life”, pubblicato nel 2004. In questo documento, i vescovi invitavano le istituzioni cattoliche a non concedere onorificenze pubbliche a funzionari di governo in aperto dissenso con la dottrina della chiesa su questioni di primaria importanza.
Così, l’aspro dibattito che la scorsa primavera ha lacerato gli ambienti cattolici americani a proposito dell’onorificenza rilasciata a Barack Obama dall’Università di Notre Dame non è stato affatto un fenomeno di schieramento politico. Riguardava invece questioni essenziali della fede cattolica, di identità e testimonianza religiosa, che il cardinale Cottier, non conoscendo direttamente il contesto americano, potrebbe avere frainteso.
Terzo, il cardinale nota giustamente un punto di contatto tra la tesi, frequentemente ribadita da Obama, della ricerca di un “terreno politico comune” e l’aspirazione cattolica al “bene comune”. Questi due obiettivi (la ricerca di un terreno politico comune e quella del bene comune) possono spesso coincidere. Ma non sono la stessa cosa. Possono essere molto diversi nella pratica. Le cosiddette politiche di “terreno comune” sull’aborto possono in realtà minare alla radice il bene comune perché implicano una falsa unità: stabiliscono una piattaforma di accordo pubblico troppo stretta e debole per sostenere il peso di un autentico consenso morale. Il bene comune non potrà mai essere favorito da chiunque tolleri l’uccisione dei più deboli, a cominciare dai bambini che devono ancora nascere.
Quarto, il cardinale Cottier ricorda giustamente ai propri lettori il rispetto reciproco e lo spirito collaborativo richiesto dal principio della cittadinanza in una democrazia pluralista. Ma il pluralismo non è un fine in se stesso. E non può essere in alcun modo una scusa per l’inazione. Come ha riconosciuto lo stesso Obama nel suo discorso all’Università di Notre Dame, la vita e la solidità della democrazia dipendono dalla convinzione con cui la gente è pronta a combattere per ciò in cui crede: in modo pacifico e legale, ma con vigore e senza equivoci.
Sfortunatamente, il presidente ha anche aggiunto una curiosa osservazione, e precisamente che “la grande ironia della fede è che comporta necessariamente la presenza del dubbio… Ma questo dubbio non ci deve allontanare dalla nostra fede. Deve invece renderci più umili”. In un certo senso questo, ovviamente, è verissimo: su questo versante dell’eternità, il dubbio fa parte integrante della condizione umana. Ma il dubbio significa assenza di qualcosa; non è un valore positivo. Se trattiene i credenti dall’agire in base alle esigenze della fede, il dubbio diventa una fatale debolezza.
La consuetudine del dubbio si adatta fin troppo facilmente a una sorta di “scetticismo battezzato”: un cristianesimo limitato a una vaga lealtà tribale e a un conveniente vocabolario spirituale. Troppo spesso, nelle più recenti vicende americane, il pluralismo e il dubbio sono diventati un alibi per l’inerzia e il letargo politico e morale dei cattolici. Forse l’Europa è diversa. Ma mi sembra che l’attuale momento storico (che accomuna cattolici americani e europei) non abbia alcuna rassomiglianza con le circostanze sociali che dovettero affrontare gli antichi legislatori cristiani citati dal cardinale. Questi uomini avevano fede e avevano anche lo zelo necessario (temperato dalla pazienza e dall’intelligenza) per incarnare nella cultura il contenuto morale della loro fede. In altre parole, hanno costruito una civiltà plasmata dalla credenza cristiana. Quello che sta accadendo oggi è una cosa completamente diversa.
Il saggio del cardinale Cottier è un’autentica testimonianza della generosità del suo spirito. Sono rimasto colpito in particolare dalle sue lodi per l’“umile realismo” del presidente Obama. Mi auguro che abbia ragione. I cattolici americani vogliono che abbia ragione. L’umiltà e il realismo sono il terreno sul quale può crescere una politica fondata sul buon senso, modesta, a misura d’uomo e morale. Rimane da vedere se il presidente Obama sarà capace di realizzare una leadership di questo genere. Abbiamo il dovere di pregare per lui, nella speranza che non soltanto possa farlo ma che lo faccia veramente.
LONDRA ABBANDONA LA RICERCA SUGLI IBRIDI UMANO- ANIMALI - Scandaloso silenzio sul fallimento delle chimere - ASSUNTINA MORRESI –Avvenire, 8 ottobre 2009
«In Gran Bretagna fa ricerca sulle cellule staminali embrionali, in Italia sarebbe ricercato dalla polizia. In Gran Bretagna sta per ricevere approvazione e finanziamento. In Italia riceverebbe una condanna fino a sei anni di carcere, una multa fino a 150 mila euro, sarebbe sospeso per tre anni dall'esercizio professionale » . È quanto campeggiava due anni fa sulla copertina del mensile dell'Associazione radicale Luca Coscioni sotto la foto di Stephen Minger, il ricercatore inglese noto per i suoi lavori sugli embrioni umano- animali, presentato come l'eroe della libertà di ricerca e in quanto tale invitato in Italia a parlare all'Università La Sapienza di Roma ( sì, la stessa che aveva chiuso la porta in faccia a Benedetto XVI).
Ma intanto Minger ha cambiato mestiere: dopo due anni ha abbandonato la ricerca sulle embrionali e lavora nel settore in- dustriale, mentre Lyle Armstrong e Justin St John, gli studiosi che come lui avevano ottenuto la licenza per creare embrioni interspecie, se ne vanno: il primo lavorerà in Spagna, l'altro andrà in Australia. Nessuno li ha perseguitati in questi anni, ma nessuno li ha cercati: non hanno trovato chi volesse finanziare i loro progetti sulle « chimere » . I motivi non sono etici: dopo il via libera dell'Hfea – l'Authority inglese che regola questo tipo di ricerca – è stata modificata pure la normativa, che adesso consente di creare qualsiasi tipo di embrione misto umano/ animale. Il percorso della nuova legge inglese è stato accompagnato da dibattiti e campagne, con un notevole coinvolgimento dell'opinione pubblica: un'attività intensa, largamente supportata dalla stampa sia popolare che specializzata. Ma non è bastato. Dice Colin Miles, membro del Centro di biotecnologie e scienze biologiche, che ha rifiutato uno dei progetti: « Non basta avere un permesso. Si deve verificare l'eccellenza scientifica e il potenziale del progetto » . Che quel filone di ricerca fosse inutile e superato lo si poteva capire leggendo la letteratura scientifica sul tema. E d'altra parte la scoperta delle « Ips » , cellule adulte ' ringiovanite' fino a uno stato simile a quello embrionale, ha rivoluzionato la ricerca nel settore. Ma sugli embrioni ibridi umano- animali la posta in gioco era altro: affermare l'autonomia assoluta della tecnoscienza e dei suoi ' sacerdoti', e sancirne una volta per tutte l'insindacabilità delle scelte cercando di rendere accettabile l'esperimento più estremo: quello che, mischiando patrimonio genetico umano e animale, metterebbe in crisi la natura umana nella sua unicità.
Chi vuole portare la bandiera della libertà di ricerca dovrebbe, però, misurarsi innanzitutto con fatti e risultati. Non si può spacciare per ricerca scientifica qualsiasi manipolazione, anche quelle di cui si è nota l'inutilità, prospettando irresponsabilmente possibili cure per malati inguaribili, come si è fatto con gli embrioni ibridi. Dell'argomento si è interessato recentemente il nostro Comitato nazionale di bioetica con un parere articolato. Ma quel che più impressiona adesso è il silenzio di tutti quelli che hanno dato tanto spazio alle grandi promesse della ricerca sugli ibridi: opinionisti, scienziati, politici, sedicenti militanti « per la libertà della ricerca scientifica » stanno ignorando la notizia. I media tacciono. Nessuno ha qualcosa da dire in proposito? Chi parla di libertà di stampa non dovrebbe almeno rispettare il diritto dei cittadini a un'informazione completa?
sul confine - Stati vegetativi: la scienza ammette i suoi limiti - di Pino Ciociola - Nuovi strumenti diagnostici sono in grado di distinguere i pazienti che sembrano non reagire da quelli in stato di coscienza minima, ma spesso i medici preferiscono usare l’intuito Con il risultato che molte persone rischiano di essere private dei supporti essenziali per vivere La denuncia a Bologna nella «Giornata dei risvegli» - Avvenire, 8 ottobre 2009
Bologna. « Siamo sempre sul chi vive? O sul come vive? » .
Alessandro Bergonzoni è il testimonial della Casa dei risvegli Luca De Nigris. Arguto. Efficace: « Quale vita? La solita o l’insolita? Chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori? Non capisci, non puoi o non vuoi? » . E sorridono, ascoltandolo, i genitori o le mogli o i mariti di chi è in coma o in stato vegetativo che sono qui a Bologna per celebrare l’undicesima Giornata nazionale dei risvegli ( che ha il Patronato del presidente della Repubblica e il patrocinio della presidenza del Consiglio, del Senato e del ministero del Welfare). Pensando che la vita non ha aggettivi.
Sapendo che quando si tratta di cerebrolesioni la scienza annaspa, ipotizza, sa poco e nulla. E pur sapendo che qualche passo in avanti è stato fatto e qualche nuovo strumento è stato trovato, come la Jfk- coma recovery scale ( venti test clinici) capace di distinguere fra chi è in stato vegetativo e in stato di coscienza minima, ma anche chi da quest’ultimo ne è venuto fuori ( ricominciando in qualche modo a comunicare) senza che i medici se siano accorti.
Molti dettagli li aveva raccontati The Economist qualche settimana fa. A cominciare dalla recente ricerca del Gruppo sul coma dell’Università di Liegi, guidato da Caroline Schanakers e Steven Laureys: forse non è possibile cogliere la differenza fra stato vegetativo e di minima coscienza o forse, peggio, si preferisce utilizzare l’intuito piuttosto che le ultime tecniche diagnostiche a disposizione. Col risultato che molte persone rischiano che venga loro tolto il supporto alla vita anche quando sono presenti segni, seppur lievi e impercettibili, che la loro coscienza non è compromessa del tutto.
Infatti, ad esempio, nel 1996 Kheith Andrews e i suoi collaboratori del Royal Hospital for neurodisability a Londra scoprirono che il quaranta per cento dei pazienti nel loro ospedale, classificati in stato vegetativo, in realtà non lo era. Stessa percentuale che si ritrova tredici anni dopo nella ricerca del Gruppo di Liegi: il parere dei medici che si occupavano di centotre pazienti è stato confrontato con la diagnosi ottenuta attraverso la Jfk- coma recovery scale . I primi avevano classificato quarantaquattro di quei pazienti in stato vegetativo, ma la Jfk scale ne aveva invece scoperti diciotto in stato di coscienza minima.
Non solo, ma addirittura quattro fra i quaranta pazienti definiti in stato di coscienza minima ne erano in realtà già usciti: erano appunto capaci di comunicare sebbene i medici non l’avessero rilevato.
Così Steven Laureys ipotizza ( cautamente) almeno un paio di riflessioni. La prima è che i neurologi non sono entusiasti d’essere sostituiti da una ' scala'. La seconda, soprattutto, che per esempio le compagnie assicurative mediamente preferiscono una diagnosi di stato vegetativo a una di minima coscienza, perché in quel caso non sono necessarie ( né obbligate) le spese di riabilitazione.
Il confine dunque è labile e annebbiato. Eppure il principio minimo di cautela viene spesso ignorato.
E, insieme a questo, è troppo diversa geograficamente nel nostro Paese l’assistenza alle famiglie che hanno in casa una situazione di grave o gravissima cerebrolesione, come registra una ricerca del ministero del Welfare i cui primissimi risultati sono stati presentati a Bologna nel quadro della Giornata dei risvegli.
Ed entro un paio di mesi dovrebbe essere pronto il Libro bianco sulle persone in coma e in stato vegetativo ( percorsi di cura, centri di riabilitazione, accompagnamento delle famiglie), che stanno redigendo insieme i tecnici ministeriali e la Rete ( Associazioni riunite per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite), la Fntac ( Federazione nazionale associazione traumio cranici) e l’Associazione Vi. Ve. ( Vite vegetative). Un Libro bianco che partirà proprio dagli aspetti etici: il concetto di persona nel caso delle vite vegetative, il diritto alla continuità dell’assistenza nelle cronicità e il diritto/ dovere alle cure, ma anche il non accanimento e la proporzionalità di queste.
Sull’ultimo numero del mensile Gli amici di Luca magazine , quello distribuito per questa undicesima Giornata dei risvegli, c’è una poesia di Tonino Guerra che viene usata in uno spettacolo teatrale e nella quale « si può riassumere l’obiettivo degli educatori della Casa dei Risvegli » : « Un giorno un angelo ha lasciato il Paradiso per venire sulla terra, abitava in una casetta piena di uccellini imbalsamati e tutti i giorni dava loro da mangiare. Gli altri angeli, dal Paradiso, lo guardavano e ridevano di lui. Ma un giorno, un bel giorno, tutti gli uccellini imbalsamati hanno aperto le loro ali e sono volati via » .