lunedì 5 ottobre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Medjugorije: messaggio del 2 ottobre 2009 (Mirjana) - Cari figli! Mentre vi guardo, il cuore mi si stringe dal dolore. Dove andate, figli miei? Siete così immersi nel peccato che non sapete fermarvi? Vi giustificate col peccato e vivete secondo esso. Inginocchiatevi sotto la croce e guardate mio Figlio. Lui ha vinto il peccato ed è morto affinché voi, figli miei, viviate. Permettete che vi aiuti perché non moriate, ma viviate con mio Figlio per sempre! Vi ringrazio!
2) Benedetto XVI: la Chiesa in Africa con la forza del Vangelo e la solidarietà - Nelle parole introduttive alla preghiera dell'Angelus
3) L'eccezione Kerala. Viaggio nello Stato più cristiano e pacifico dell'India - Qui i cattolici sono dieci volte più presenti che altrove ma convivono in pace con indù e musulmani. L'istruzione è generalizzata, fra uomo e donna c'è parità. La sola minaccia a questo miracolo viene da un governo d'impronta marxista - di Sandro Magister
4) Ru486, l'ipocrisia avanza - L'ipocrisia e le bugie sulla pillola abortiva - (Massimo Pandolfi) - (01/10/09 - (C) Vite Spericolate)
5) BIOTESTAMENTO/ Non basta la “zona grigia”, né un medico saggio, a tutelare la vita - Francesco Botturi lunedì 5 ottobre 2009 – ilsussidiario.net


Benedetto XVI: la Chiesa in Africa con la forza del Vangelo e la solidarietà - Nelle parole introduttive alla preghiera dell'Angelus
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 4 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole pronunciate da Benedetto XVI questa domenica, al termine della concelebrazione eucaristica con i Padri Sinodali nella Basilica Vaticana, ad introduzione della preghiera dell'Angelus recitata insieme ai fedeli e pellegrini giunti in piazza San Pietro.
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Cari fratelli e sorelle!

Stamani, nella Basilica di San Pietro, ha avuto luogo la Celebrazione eucaristica di apertura della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, durante la quale si è pregato anche in diverse lingue africane. Il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II convocò il primo "Sinodo africano" nel 1994, nella prospettiva dell’anno 2000 e del terzo millennio cristiano. Egli, che col suo zelo missionario si fece tante volte pellegrino in terra africana, ha raccolto i contenuti emersi da quell’assise nell’Esortazione apostolica Ecclesia in Africa, rilanciando l’evangelizzazione del Continente. A distanza di quindici anni, questa nuova Assemblea si pone in continuità con la prima, per verificare il cammino compiuto, approfondire alcuni aspetti ed esaminare le sfide più recenti. Il tema scelto è: "La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace" – accompagnato da una parola di Cristo rivolta ai discepoli: "Voi siete il sale della terra … voi siete la luce del mondo" (Mt 5,13.14).

Il Sinodo costituisce sempre un’intensa esperienza ecclesiale, un’esperienza di responsabilità pastorale collegiale nei confronti di un aspetto specifico della vita della Chiesa, oppure, come in questo caso, di una parte del Popolo cristiano determinata in base all’area geografica. Il Papa e i suoi più stretti collaboratori si riuniscono insieme con i Membri designati dell’Assemblea, con gli Esperti e gli Uditori, per approfondire la tematica prescelta. E’ importante sottolineare che non si tratta di un convegno di studio, né di un’assemblea programmatica. Si ascoltano relazioni ed interventi in aula, ci si confronta nei gruppi, ma tutti sappiamo bene che i protagonisti non siamo noi: è il Signore, il suo Santo Spirito, che guida la Chiesa. La cosa più importante, per tutti, è ascoltare: ascoltarsi gli uni gli altri e, tutti quanti, ascoltare ciò che il Signore vuole dirci. Per questo, il Sinodo si svolge in un clima di fede e di preghiera, in religiosa obbedienza alla Parola di Dio. Al Successore di Pietro spetta convocare e guidare le Assemblee sinodali, raccogliere quanto emerso dai lavori ed offrire poi le opportune indicazioni pastorali.

Cari amici, l’Africa è un Continente che ha una straordinaria ricchezza umana. Attualmente, la sua popolazione ammonta a circa un miliardo di abitanti e il suo tasso di natalità complessivo è il più alto a livello mondiale. L’Africa è una terra feconda di vita umana, ma questa vita è segnata purtroppo da tante povertà e patisce talora pesanti ingiustizie. La Chiesa è impegnata a superarle con la forza del Vangelo e la solidarietà concreta di tante istituzioni ed iniziative di carità. Preghiamo la Vergine Maria, perché benedica la II Assemblea sinodale per l’Africa e ottenga pace e sviluppo per quel grande e amato Continente.





[DOPO L’ANGELUS]

Il mio pensiero va, in questo momento, alle popolazioni del Pacifico e del Sud Est asiatico, colpite negli ultimi giorni da violente calamità naturali: lo tsunami nelle Isole Samoa e Tonga; il tifone nelle Filippine, che successivamente ha riguardato anche Vietnam, Laos e Cambogia; il devastante terremoto in Indonesia. Queste catastrofi hanno causato gravi perdite in vite umane, numerosi dispersi e senzatetto e ingenti danni materiali. Penso, inoltre, a quanti soffrono a causa delle inondazioni in Sicilia, specialmente nella zona di Messina. Invito tutti ad unirsi a me nella preghiera per le vittime e i loro cari. Sono spiritualmente vicino agli sfollati e a tutte le persone provate, implorando da Dio sollievo nella loro pena. Faccio appello perché non manchi a questi fratelli e sorelle la nostra solidarietà e il sostegno della Comunità Internazionale.

Al termine della preghiera dell’Angelus di questa particolare domenica, in cui ho aperto la Seconda Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, non posso dimenticare i conflitti che, attualmente, mettono a rischio la pace e la sicurezza dei Popoli del Continente africano. In questi giorni ho seguito con apprensione i gravi episodi di violenza che hanno scosso la popolazione della Guinea. Esprimo le mie condoglianze alle famiglie delle vittime, invito le parti al dialogo, alla riconciliazione e sono certo che non si risparmieranno gli sforzi per raggiungere un'equa e giusta soluzione.

Nel pomeriggio di sabato prossimo, 10 ottobre, insieme con i Padri sinodali, guiderò nell’Aula Paolo VI una speciale recita del santo Rosario "con l’Africa e per l’Africa", animata dai giovani universitari di Roma. Si uniranno alla preghiera, in collegamento via satellite, gli studenti di alcuni Paesi africani. Cari giovani universitari, vi attendo numerosi, per affidare a Maria Sedes Sapientiae il cammino della Chiesa e della società nel Continente africano.



[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo di cresimandi provenienti da Torino, l’associazione Junior Chamber Italiana e i motociclisti impegnati in favore della sicurezza stradale. Desidero inoltre assicurare la mia preghiera per la missione "Gesù al Centro", una proposta dei giovani ai giovani, che si svolge in questi giorni a Roma per iniziativa del Servizio diocesano di pastorale giovanile. Formulo infine un cordiale augurio per il Secondo Congresso Mondiale degli Oblati Benedettini sul tema "Le sfide religiose di oggi. La risposta benedettina", e che vede la partecipazione di Oblati di tutti i Continenti, come pure per l’odierna Giornata nazionale per l’abbattimento delle barriere architettoniche.

A tutti auguro una buona domenica.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]


L'eccezione Kerala. Viaggio nello Stato più cristiano e pacifico dell'India - Qui i cattolici sono dieci volte più presenti che altrove ma convivono in pace con indù e musulmani. L'istruzione è generalizzata, fra uomo e donna c'è parità. La sola minaccia a questo miracolo viene da un governo d'impronta marxista - di Sandro Magister

ROMA, 5 ottobre 2009 – Il sinodo dei vescovi su "La Chiesa in Africa", in corso da ieri fino al 25 ottobre, richiama l'attenzione sul continente che ha registrato nell'ultimo secolo la più esplosiva espansione missionaria del cristianesimo.

Una fertilità cristiana, quella dell'Africa, che contrasta con quella di un altro continente, l'Asia, che invece si mostra molto più impermeabile al Vangelo.

In Asia, le Filippine sono l'unica nazione in maggioranza cristiana e la Corea del Sud è l'unica nazione in cui il cristianesimo sia in crescita. Altrove, i cristiani sono una minoranza più o meno ridotta, in molti casi impegnata a resistere a persecuzioni, oppressioni, ostilità di ogni genere.

I due giganti dell'Asia sono emblematici. Non solo dalla Cina, ma anche dalla democratica India le cronache riportano continui casi di violenza ai danni dei cristiani. L'Orissa, in questi ultimi anni, è stato autentico luogo di martirio.

Eppure l'India non è tutta così. C'è una sua regione in cui i cristiani sono dieci volte più numerosi – il 20 per cento contro il 2 per cento della media nazionale – e soprattutto vivono in pace.

Questa regione è il Kerala. In essa il cristianesimo ha radici antichissime e l'impronta cristiana è tuttora straordinaria. Il Kerala non è ricco, ma è di gran lunga lo Stato più istruito dell'India, con altissimi indici di scolarizzazione anche femminile (vedi foto). È quello in cui tra uomo e donna c'è più parità. È quello in cui la natalità è da molti decenni più equilibrata, fondamentalmente perché le ragazze vanno tutte a scuola e quindi si sposano più tardi che altrove. Lì le scuole di ogni ordine e grado sono in gran parte cristiane.

Il Kerala è anche lo Stato indiano con i più alti indici di lettura. Dall'anno scorso vi si stampa nella lingua locale, il malayalam, anche un'edizione settimanale de "L'Osservatore Romano". E se ne vendono 20 mila copie, il doppio di quante ne diffonda la sua edizione in lingua italiana.

A gettar luce sulla straordinarietà del cristianesimo in Kerala è l'ultimo numero di "Oasis", la rivista internazionale in più lingue edita dal patriarcato di Venezia e mirata all'Oriente.

Il numero si apre con un editoriale del vescovo emerito di Changanacherry dei siromalabaresi, Joseph Powathil. E si sviluppa al suo interno con un reportage dal Kerala, corredato da una precisa e avvincente ricostruzione della storia e delle particolarità del cristianesimo della regione, scritta dal sacerdote e patrologo Thomas Koonammakkal.

Qui di seguito è riportato un ampio estratto del reportage.

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I sorprendenti segreti del Kerala

di Luca Fiore


"Siamo fiori diversi di un'unica pianta". Sceglie questa immagine Basheer Rawther, avvocato di Changanacherry, per descrivere il rapporto tra indù, musulmani e cristiani che vivono in Kerala. Non importa che Rawther appartenga alla comunità musulmana. Chiedete a chiunque per strada e vi risponderà più o meno allo stesso modo. Questa regione a sud-ovest dell'India sembra essere un mondo a parte rispetto a l'immagine che negli ultimi mesi il Paese ha dato di se stesso. Qui, tutto sommato, gli attentati terroristici di Mumbai, che dista poco più di mille chilometri, e i pogrom contro i cristiani dell'Orissa sono visti come fatti drammatici ma lontani. [...] Il Kerala, in questo contesto, si pone come un'eccezione di cui non si può non tener conto.

Basta poco, arrivati in Kerala, per capire che le cose funzionano diversamente rispetto ai grandi centri del paese cui tutto il mondo guarda per i suoi record economici. Niente fasti della Bollywood che scintilla negli alberghi di Mumbai, niente fermento da Silicon Valley che si respira a Bangalore. La vita scorre lenta, come le piccole canoe che attraversano le acque interne, le backwaters, che costeggiano il litorale e penetrano nell'entroterra. [...] Lungo il loro tragitto si incontrano piccoli villaggi con moschee, templi e scuole, e minuscoli agglomerati di case dove la gente vive su strette strisce di terra bonificata, larghe pochi metri. [...] Le donne vestono quasi esclusivamente il sari o il salwar kameez, la tunica a pantaloni, ed è raro vedere abiti femminili all'occidentale. Per gli uomini è diverso, anche se il lungi, un pezzo di stoffa colorato che viene avvolto attorno alla vita, è la più comune tenuta per i momenti informali. In Kerala non è raro vedere lungo le strade grandi elefanti che vengono utilizzati come bestie da lavoro: trasportano tronchi d'albero o vengono utilizzati come "montacarichi" nelle falegnamerie. [...]

I 35 milioni di abitanti del Kerala vivono con un reddito medio pro capite di 550 euro l'anno. I due pilastri dell'economia locale sono la pesca e l'agricoltura, tanto che le centinaia di migliaia di laureati di ottimo livello nelle università locali sono costretti a cercare lavoro nel resto dell'India oppure sull'altra costa del Mare Arabico. Quasi un milione e mezzo di abitanti (circa il 4 per cento) vive all'estero, in modo particolare nei paesi del Golfo Persico. Non è un mistero che a sostenere l'economia locale siano le rimesse degli immigrati e, ora che lo sviluppo di città come Dubai è paralizzato dalla crisi economica, è prevedibile che il flusso di denaro dall'estero sia destinato a rallentare.


I CRISTIANI DI SAN TOMMASO


Ma il Kerala vanta altri primati. Nel 1957, infatti, diventa la prima regione del subcontinente in cui le elezioni democratiche sono vinte da un partito marxista. Si tratta, poi, del primo stato indiano per quanto riguarda l'alfabetizzazione: il 91 per cento contro il 65 per cento del resto del Paese; è prima regione indiana per longevità (dieci anni in più rispetto ai 69 anni della media nazionale) e soffre delle minori disparità socio-economiche tra uomini e donne o fra caste. Infine, il Kerala è lo stato indiano con il più alto tasso di pluralismo religioso. Siamo di fronte, infatti, a un coriaceo esempio di convivenza in atto, a dispetto del mosaico di comunità che lo compongono: la maggioranza della popolazione è indù, ma il 25 per cento è musulmana e il 20 per cento è cristiana. Un'enormità se si pensa che la media della popolazione cristiana in India si attesta al 2,3 per cento. [...]

La convivenza tra i diversi gruppi religiosi, in Kerala, risale a tempi immemorabili. San Francesco Saverio, il missionario gesuita spagnolo giunto su queste rive indiane sulla scia di Vasco da Gama, dovette costatare con sorpresa l'esistenza di un'importante presenza cristiana di rito siriaco. L'arrivo del cristianesimo in India, infatti, viene fissato dalla tradizione al 52 d.C., quando l'apostolo Tommaso giunse in Kerala grazie ai contatti con le colonie di mercanti ebrei già presenti sulle coste del Mare Arabico. A Chennai, Madras, è conservata la tomba dell'apostolo e i cristiani di queste zone vengono chiamati i cristiani di San Tommaso. Nonostante non vi sia dal punto di vista storico certezza circa l'arrivo dell'apostolo fin sulle coste del Kerala, le Chiese locali – in particolare quelle di rito siriaco – sono fiere del legame diretto con la tradizione apostolica. L'arrivo pacifico dell'islam, invece, risale al VII secolo; ne furono tramite i mercanti arabi di spezie. [...]


TRE RELIGIONI SUGLI STESSI BANCHI DI SCUOLA


A Fort Cochin si può respirare tutta la complessità della cultura e della storia del Kerala. Le vestigia dell'epoca coloniale, le chiese barocche e le case in stile portoghese con gli infissi di color azzurro turchino, si alternano ai piccoli negozi di prodotti tipici, botteghe di artigiani, case umili e precarie. Sempre a Fort Cochin si può visitare un'antica sinagoga che testimonia la presenza di una piccola comunità ebraica. Un po' dappertutto, appesi ai muri di mattoni, ci sono i manifesti di propaganda del locale partito comunista. Nella via principale della città vecchia c'è una delle sue sedi decorata con un murale che ritrae Che Guevara. Il bizzarro pantheon di questo partito marxista, infatti, ospita oltre il guerrigliero argentino, anche Saddam Hussein e Madre Teresa di Calcutta. Non è impossibile vedere i tre volti campeggiare su manifesti durante manifestazioni pubbliche. Che cosa c'entrino Saddam Hussein e Madre Teresa è presto detto: con Che Guevara, qui in India diventano il simbolo della lotta alla povertà e al potere coloniale degli occidentali.

Se è vero che la comunità musulmana è concentrata soprattutto nel nord del Kerala e quella cristiana nel sud, va rilevato che non esistono "ghetti" all'interno delle città e dei villaggi: cristiani e musulmani si trovano spesso a essere vicini di casa. Dalla terrazza di uno dei tanti negozi di Fort Cochin, l'antica colonia portoghese attorno alla quale si è sviluppata l'attuale Kochi, si possono vedere una moschea, una chiesa e un tempio indù praticamente nello stesso isolato. I bambini delle diverse religioni cominciano a vivere fianco a fianco seduti sui banchi di scuola. Da compagni di banco diventeranno spesso colleghi di lavoro. A Changanacherry, ad esempio, tutti sanno quanto sia stata importante per la recente storia della città l'amicizia, nata proprio ai tempi della scuola, tra Joseph Powathil, arcivescovo emerito della diocesi locale e già presidente della conferenza episcopale indiana, e Narayana Panikker, segretario generale della Nair Service Society, un'associazione benefica induista che conta 5600 sezioni in Kerala per un totale di 6,5 milioni di aderenti. Un'amicizia cordiale che ha favorito e approfondito la buona convivenza tra la comunità cristiana e quella indù. Anche in uno dei momenti più tesi della storia indiana, tra il 1967 e il 1970, quando si registrarono 1365 incidenti tra indù e musulmani, solo 142 ebbero luogo nel sud del paese.

Ma a dare il senso fisico della convivenza sono soprattutto le feste religiose, che sono moltissime. Alle feste dei santi patroni la comunità cristiana organizza grandi processioni nei paesi, sulle vie si riversano centinaia di bancarelle che vendono ogni ben di Dio e le strade si illuminano di mille luci colorate. La città o il villaggio si ferma e tutti, anche indù e musulmani, partecipano alla festa. [...] Le relazioni tra le diverse religioni, in alcuni casi, rasentano il sincretismo: capita che gli indù venerino santi cristiani visti come incarnazioni della loro unica divinità.


I MOVENTI DELLE CONVERSIONI


Le conversioni tra i diversi gruppi sono rare, ma ci sono. In Kerala nessuno, a parte gli agguerritissimi pentecostali, fa proselitismo. Capita anche che alcuni indù si convertano al cristianesimo senza troppe difficoltà da parte della famiglia d'origine. In una piccola parrocchia di Kottayam, ad esempio, una delle parrocchiane si è convertita dall'induismo. È un'illustratrice di libri per bambini e la domenica si ferma dopo la messa per aspettare la figlia dodicenne che frequenta il catechismo. Nella stessa parrocchia una donna musulmana ha sposato un cristiano e si è fatta battezzare. La cosa viene raccontata tranquillamente, senza nessun timore. Cosa impensabile in tanti paesi musulmani. Il fatto che la donna non abbia avuto problemi, e che sia ancora viva, la dice lunga sul clima che si respira a Kottayam. Abraham Mar Julios, vescovo di Muvattupuzha, racconta che nella sua diocesi è capitato recentemente che 30 famiglie indù immigrate dal Tamil Nadu si siano convertite al cristianesimo. Sono famiglie molto povere, venute in Kerala perché i capi famiglia avevano trovato lavoro in una cava di ghiaia. Che cosa li ha convinti ad abbandonare la propria religione? "Le persone con cui ho parlato – dice il vescovo Mar Julios – mi hanno detto di esser state affascinate dalla comunità parrocchiale del loro paese. Sono rimasti colpiti dal fatto che quella cristiana è una comunità orante, dal fatto cioè che i cristiani pregano insieme e che si concepiscono come comunità. La preghiera degli indù è sempre individuale e raramente il custode del tempio conosce bene le persone che frequentano il luogo di culto. Il parroco invece conosce per nome tutti i suoi parrocchiani".

Padre Lorenzo Buda è un monaco, ha una lunga barba bianca che scende lungo il saio arancione nel quale è avvolto un corpo magro magro. Vive in un monastero immerso nella jungla sui monti Ghat meridionali, al confine con il Tamil Nadu. Il villaggio si chiama Idukki e dista poco più di 60 chilometri da Kottayam. Qui la gente è molto semplice e molto povera. In dieci anni di presenza a Idukki cinquanta persone hanno chiesto il battesimo. "È difficile dire perché chiedono di diventare cristiani – spiega padre Buda – ma da qualcuno mi sono sentito dire che mai prima di allora si erano sentiti voler bene in quel modo".


IL FARDELLO DELLE CASTE, LA TENTAZIONE DELLA VIOLENZA


"Non c'è dubbio – spiegava nel 1966 l'antropologo francese Louis Dumont nel suo monumentale 'Homo Hierarchicus' – che spesso gli intoccabili, convertendosi al cristianesimo abbiano risposto al richiamo di una religione egualitaria predicata dai potenti, ma non risulta che la loro situazione sociale sia di fatto migliorata, sia nell'ambiente indù, sia perfino, nell'ambiente cristiano".

Se da una parte è vero che il fardello del sistema castale grava ancora sulla società del Kerala, come del resto in tutta l'India, la promozione dell'istruzione da parte della Chiesa certamente ha permesso di attenuare la rigida gerarchizzazione della società e ha dato la possibilità a molti figli delle caste più basse e agli intoccabili di migliorare la propria condizione sociale. D'altro canto è anche vero che, come afferma Dumont, neppure i cristiani del Kerala sono del tutto esenti dal concepire la società in senso castale. In fondo la casta è impressa sul destino degli indiani tramite il nome della propria famiglia. E il nome uno se lo porta fin nella tomba. Questo, in ogni caso, vale anche per i cristiani.

Nonostante il Kerala debba essere considerato, a ragione, un esempio di convivenza interreligiosa, negli ultimi anni non sono mancati scontri tra le diverse comunità, in particolare tra indù e musulmani. Nei confronti dei cristiani gli episodi di violenza finora hanno interessato le cose, raramente le persone. Può capitare, infatti, che una chiesa venga presa di mira dal lancio di sassi o qualche cappella votiva sia distrutta, ma in Kerala nessuno ancora si è spinto a uccidere per ragioni religiose. Nel 2004 in un villaggio vicino alla città di Kozhikode, Calicut, 35 persone, armate di spranghe di ferro e urlando slogan induisti, hanno attaccato 4 suore e 3 fratelli dell'ordine di Madre Teresa. Alcuni assalitori intimarono alle suore di lasciare il villaggio e di smettere di convertire fedeli indù al cristianesimo. Si tratta tuttavia di un caso isolato. È vero, però, che nell'ultimo decennio il Bharatiya Janata Party, partito nazionalista indù al governo in India fino al 2004 ma minoritario in Kerala, ha fatto sentire con voce sempre più forte le proprie rivendicazioni per "un'India degli indù".

Parallelamente sono aumentati gli episodi di violenza riconducibili al Rashtriya Swayamsevak Sangh, considerato il braccio violento del BJP. Nelle madrasse islamiche si è incominciato a predicare il jihad contro gli oppressori indù. In diverse occasioni alcuni militanti islamici sono stati arrestati mentre combattevano in Kashmir, ed è capitato anche che le stesse organizzazioni islamiche considerate fondamentaliste abbiano condannato apertamente l'utilizzo delle madrasse come nascondiglio per armi ed esplosivi. Si sa, inoltre, che finanziamenti arrivano direttamente dall'Iran, dal Pakistan e da altri Paesi
del Medio Oriente. Negli ultimi anni ha ottenuto sempre più successo il National Development Front, un movimento islamista che si concentra nella difesa dei diritti socio-economici dei musulmani, dei dalit e delle altre backward classes. Recentemente l'NDP ha annunciato che si impegnerà a fondo nella Dawa, la predicazione missionaria nei confronti delle altre comunità, e ha accusato le altre associazioni musulmane di trascurare questo tipo di attività. Nella regione è in crescita anche la Jamaat-islami, un'organizzazione che cerca di diffondere "la vera consapevolezza" nella società musulmana e di purificarla da tutti i rituali non islamici e dalle superstizioni. Attualmente in Kerala questo movimento assume toni più moderati che nel resto dell'India e si è detto disponibile al dialogo con le altre religioni. L'altra organizzazione emergente è lo Students Islamic Movement of India che invoca la "liberazione dell'India" attraverso la sua trasformazione in uno Stato islamico.

Resta il fatto che la maggioranza dei mappila, come comunemente vengono chiamati i musulmani del Kerala, non ha per ora ceduto alle sirene del fondamentalismo. "I musulmani del Kerala – spiega l'islamologo padre James Narithookil – si distinguono dai musulmani del resto dell'India innanzitutto per la lingua che è il mappila malayalam, un misto di dialetto del nord del Kerala e arabo, mentre nel resto dell'India i musulmani parlano l'urdu. L'arabo, infatti, era la lingua del commercio sulle coste del Kerala ben prima della diffusione dell'islam. Rispetto ai musulmani del resto dell'India, quelli del Kerala sono più istruiti e più socievoli. In loro si trova sicuramente una maggior propensione all'armonia e alla convivenza interreligiosa e sono maggiormente disponibili a cooperare con indù e cristiani per il progresso sociale e morale". [...]


PERCHÈ IL KERALA FA ECCEZIONE


Ma qual è, davvero, il segreto del Kerala? Che cosa permette a questo fazzoletto di terra di rimanere, nonostante le eccezioni e le contraddizioni, un'oasi di convivenza? Se si chiede ai leader cristiani, indù o musulmani perché il Kerala non è ancora l'Orissa, la risposta è sempre la stessa: "education". [...] Come detto, in questa regione il tasso di alfabetizzazione è il più alto dell'India e si attesta su standard europei. Varie sono le ragioni di questo record, ma non c'è dubbio che la presenza millenaria di una consistente comunità cristiana locale abbia promosso, attraverso un impegno visibile, la diffusione non solo di istituzioni educative, ma anche di una mentalità altrimenti impossibile nel resto dell'India indù e musulmana. Ancora prima dell'arrivo dei portoghesi, furono i sacerdoti cristiani a iniziare a insegnare ai fedeli a leggere e a scrivere il siriaco per poter seguire la liturgia, visto che le uniche scuole esistenti prima di allora erano sostanzialmente centri di formazione per la casta più elevata, quella dei bramini. Oggi la presenza dei cristiani nella regione è certamente massiccia. Si pensi che per quanto riguarda solo i cattolici, che sono circa 4,8 milioni, si contano 29 diocesi, più di 4200 parrocchie, 8000 preti, 31 mila suore. [...]

Un altro record del Kerala è il fiorire di vocazioni religiose. Quasi tutte le diocesi, infatti, hanno un seminario minore e il Kerala è una delle poche regioni in grado di "esportare" sacerdoti e suore. Le ragioni di questo fenomeno sono diverse e non facili da individuare. Secondo Joseph Perumthottam, arcivescovo di Chaganacherry, il motivo principale è da ricercare nell'educazione che questi ragazzi ricevono in casa dai genitori: "Ci sono ancora molte famiglie che vivono un profondo attaccamento alla religione e presso di loro è forte la stima per la vocazione al sacerdozio. Così non impediscono a priori che i propri figli intraprendano questa strada. Va detto, però, che anche da noi i numeri si stanno piano piano assottigliando". Una così grande ricchezza di "forza lavoro" permette alla Chiesa cattolica di gestire oltre 5800 istituzioni educative: 1800 asili, 1300 scuole elementari, 650 scuole medie, 1000 scuole superiori, 600 scuole professionali e svariate università. Se si pensa che il governo locale sovvenziona circa 12 mila centri scolastici e che non tutte le scuole cattoliche sono sovvenzionate, appare chiaro che la Chiesa in Kerala sostiene il 50-60 per cento dell'istruzione della regione. Si tratta di scuole aperte a tutti, nelle quali musulmani, indù e cristiani – oltre a ricevere un'istruzione di primo livello – imparano a conoscersi, stimarsi, perfino a diventare amici. Per quanto possa suonare strano alla mentalità europea, le scuole cristiane, per la stragrande maggioranza cattoliche, non sono percepite dagli indù come una minaccia o uno strumento di proselitismo. [...] L'influenza della Chiesa cattolica sulla mentalità della popolazione locale passa anche da un intensissimo impegno nel sociale. Anche qui i numeri parlano chiaro: 300 orfanotrofi, 400 case di riposo, 440 ospedali e 91 pubblicazioni.

Se il ruolo giocato dalla Chiesa nella società è certamente centrale, soprattutto nell'ambito dell'educazione, esiste anche da parte musulmana e indù uno sforzo positivo in questo senso. La Samastha Kerala Jameyyat ul-Ulama è un'importante scuola di pensiero dell'islam "tradizionalista", che si oppone al cosiddetto islam "modernista". Questa organizzazione, diffusa in Kerala da prima dell'indipendenza indiana, ha concepito un modello di "madrassa part-time", che offre cioè un tipo di educazione religiosa che permette agli studenti di seguire regolarmente anche le scuole secolari. Questo ha favorito, oltre all'alfabetizzazione, anche una maggior integrazione della società del Kerala e un più sereno rapporto con la modernità da parte dei musulmani locali.


L'INSIDIA MARXISTA


In questo quadro assai composito, un ruolo decisivo per il futuro del Kerala lo svolge il partito comunista che ha la maggioranza nel governo locale. Nel corso dei decenni, è vero, il partito comunista si è alternato con il partito del congresso ma è sempre rimasto il primo partito raccogliendo consensi da tutti i gruppi religiosi della regione. Alle ultime elezioni locali svoltesi due anni fa, i comunisti sono tornati al potere e hanno iniziato un duro braccio di ferro con la Chiesa cattolica.

Oggetto del contendere è proprio la libertà di educazione. Nel 2007, infatti, il Governo ha proposto una riforma del sistema educativo che, secondo la Chiesa cattolica, ha come obiettivo quello di creare un controllo politico sulle scuole sovvenzionate, togliendo il diritto a chi le dirige di scegliere collaboratori e ammettere gli studenti. Anche dal punto di vista culturale la politica nelle scuole pubbliche va nella direzione di un discredito delle esperienze religiose, tanto che a protestare contro l'introduzione di libri di testo che promuovono l'ateismo non sono state solo associazioni musulmane, indù e cristiane, ma anche organizzazioni laiche.

I vescovi del Kerala non perdono occasione per esprimere la loro preoccupazione. Per monsignor Powathil si è trattato di una strategia elettorale per attirare l'attenzione in vista delle recenti elezioni nazionali. Tanto che sono state diverse le proposte provocatorie avanzate da commissioni governative negli ultimi anni: sanzioni per il terzo figlio, introduzione dell'eutanasia e via dicendo. Per il capo della Chiesa siro-malankarese, il catholicos Mar Baselios Cleemis, è proprio l'avanzata del secolarismo e dell'ateismo, e le loro ricadute sul piano sociale, a costituire una delle maggiori sfide per la Chiesa, ma anche per il Kerala.

La posta in gioco è alta: se è vero che la Chiesa svolge un ruolo di primo piano nel preservare il carattere pacifico della convivenza del Kerala, attaccando il suo ruolo educativo non si fa altro che indebolire il sistema immunitario della regione contro gli opposti fondamentalismi. Chi è al potere oggi non sembra rendersene conto, probabilmente perché non capisce quanto l'esempio del Kerala possa significare per il futuro dell'India tutta.

(Da "Oasis" anno V n. 9, luglio 2009)


Ru486, l'ipocrisia avanza - L'ipocrisia e le bugie sulla pillola abortiva - (Massimo Pandolfi) - (01/10/09 - (C) Vite Spericolate)
Ho scritto più volte della pillola abortiva, la famigerata Ru486 che sta per essere commercializzata in Italia. Già in partenza sbaglio: mi sto adeguando con le poche righe che ho scritto all'ipocrisia comune di quando si parla di questo argomento. In realtà la pillola abortiva è già utilizzata, e da anni, in Italia, con degli stratagemmi da alcune regioni, in particolare quelle più rosse. La capolista, non a caso, è l'Emilia Romagna. Migliaia di donne hanno abortito con questo cocktail di pillole, molte volte l'espulsione del feto è avvenuto in casa, in perfetta solitudine, in alcuni casi ci sono state conseguenze fisiche antipatiche, quasi sempre ci sono conseguenze psicologiche devastanti.

Eppure siamo davanti al trionfo dell'ipocrisia, dicevo. Cioè: qui si continua a chiacchierare e chiacchiarare e non si tiene conto della realtà. Adesso l'Aifa (l'agenzia del farmaco) che ieri si è riunita per ore e ore (chissà che si diranno in quelle stanze per tutte quelle ore...) ha ripetuto che le linee guida per la commercializzazione verranno date il 19 ottobre. E guai se qualcuno usa sconfessare quest'Aifa, guai se la politica si mette di mezzo: ma lo sapete che di questo benedetto consiglio dell'Aifa, in realtà, il membro più importante è Giovanni Bissoni, assessore alla sanità dell'Emilia Romagna? Più politica di così.. Ma funziona così: i giornali, quando vogliono avere un parere tecnico sulla pillola, nove volte su dieci si rivolgono a Silvio Viale, medico attivista radicale, più radicale di Pannella. Potete immaginarvi le risposte che arrivano: eppure il suo è il vangelo per molti giornali. Di parte sono solo quei medici, tanti, che mettono all'erta sul pericolo e il rischio (soprattutto psicologico) che comporta l'assunzione di queste pillole.

Ed ecco allora che si finisce per girare sempre attorno al nodo del discorso senza arrivare al fulcro. Che è il seguente. Uno: bisognerebbe fare una verifica (mai fatto in modo serio) sulle vere complicanze fisiche extra aborto con la Ru486 nei casi (migliaia) finora registrati in Italia. Due: controllare, sempre in modo serio, come è andata nel mondo (decine di donne sono morte e chissà quante sono decedute, in silenzio, nei paesi della censura: penso alla Cina). E poi l'uovo di colombo: ma se la legge 194 prevede che l'aborto debba avvenire in una struttura pubblica, è regolare la pillola Ru486 che ti fa nove volte su dieci espellere il feto a casa, magari nel wc? Bissoni sostiene: la pillola va presa in ospedale. Balle. Nel senso che per aborto si intende l'uccisione ma anche l'espulsione del feto. E anche quando va a casa (e il feto non è stato ancora espulso) la donna non sa se il suo bambino che non nascerà mai è già morto o è ancora vivo. Vive in diretta l'agonia del suo figlio indesiderato.

Sarebbe più serio dire: la Ru486 non rispetta la legge sull'aborto (194) che ora quindi va modificata. Ma Bissoni e soci non possono dirlo, perchè facendo ciò ammetterebbero di aver operato per alcuni anni in modo irregolare.

E allora avanti con l'ipocrisia.
(Massimo Pandolfi) - (01/10/09 - (C) Vite Spericolate)


BIOTESTAMENTO/ Non basta la “zona grigia”, né un medico saggio, a tutelare la vita - Francesco Botturi lunedì 5 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
Come è stato osservato (nell’importante discorso tenuto in Commissione Affari sociali dall’on. Eugenio Mazzarella del Pd il 23 settembre), il passaggio dall’idea di “testamento biologico” a quella di “dichiarazione anticipata di trattamento” - di cui si è discusso in Senato e si dovrà discutere nella Camera - «tende a depotenziare il carattere rigidamente vincolante di una disposizione testamentaria» e a riaprire lo spazio della “alleanza terapeutica” tra medico e paziente, che un’interpretazione unilaterale delle disposizioni anticipate del paziente veniva a eliminare.

Si cerca così di correggere la visione individualistica dell’autodeterminazione del paziente a favore di una più realistica e coerente considerazione della relazione in cui ogni condizione di cura viene a trovarsi. Su questa linea si è posto anche l’intervento di Angelo Panebianco sul Corriere della sera del 30 settembre, con la ripresa della metafora della “zona grigia” della discrezionalità di giudizio del medico in accordo con il paziente e con i sui famigliari o suo fiduciario, da difendere contro un’eccessiva regolamentazione da parte di una legge dello Stato. La prospettiva dell’“alleanza terapeutica”, terza via tra ”paternalismo medico” e “autonomia assoluta”, è stata rilanciata anche da Riccardo Chiaberge sul Sole-24 Ore del 2 ottobre.

Vi è dunque un concorso a correggere il radicalismo di disposizioni anticipate assolutamente vincolanti per dare spazio piuttosto a una gestione della situazione sanitaria, nella misura del possibile, interattiva e condivisa dagli interessati. Un sicuro passo avanti, che tuttavia lascia nel grigiore dell’indistinzione i criteri della questione essenziale, cioè i limiti della auto- o etero-disposizione della vita dell’assistito. Allargato lo spazio, da quello meramente individuale a quello relazionale, la tendenza è di affidare alla piccola comunità liberale del medico, del paziente (con le sue dichiarazioni anticipate), dell’eventuale fiduciario, dei famigliari il diritto e il compito di decidere delle sorti vitali di chi è nella condizione dello stato vegetativo, avendo come limiti di riferimento la proporzione tra cure e benefici e l’esclusione della soluzione eutanasica (si veda quanto ha scritto Francesco D’Agostino su Avvenire del primo ottobre).

Ma siamo sicuri che tali due limiti siano davvero rispettabili quando si sostiene insieme l’inclusione, proposta anche dagli interventi citati, dei supporti di sostegno vitale (nutrizione e idratazione artificiali) tra le terapie soggette a valutazione discrezionale, con l’argomento che si tratta pur sempre di trattamento sanitario che, come tale, può essere rifiutato o sospeso? Che questo sia il crinale del dibattito non dipende dall’ostinazione ecclesiastica e di buona parte del mondo cattolico a voler sottrarre a tutti i costi qualcosa alla libera disposizione dei soggetti, ma dal fatto che sulla questione del sostegno vitale si gioca inevitabilmente il senso complessivo della legge e la logica dei suoi possibili sviluppi.

Tutto dipende dal riconoscimento della specificità dello stato vegetativo, che non è malattia per cui vi sia terapia e non è una condizione terminale, ma uno stato di estrema disabilità. Ne consegue 1) che le forme di sostegno vitale non sono proporzionabili a un qualche miglioramento terapeutico, che non esiste, né la loro sospensione è sospensione di una cura in atto, bensì di assistenza; 2) che la decisione su tale trattamento sanitario (non terapeutico) è immediatamente decisione non sul curare o non-curare, ma sul vivere o morire. In altri termini, la decisione non verte su una valutazione di cura, ma direttamente sulla tollerabilità o intollerabilità di una condizione di vita.

Ma allora, perché la motivazione sospensiva del sostegno vitale non dovrebbe potersi estendere a tutte le condizioni in cui si ritenga intollerabile una certa condizione esistenziale? L’affermata intenzione di escludere la soluzione eutanasica inevitabilmente vacilla; e - bisogna ricordarlo - i promotori e gestori del caso Eluana lo sapevano e lo hanno detto.