Nella rassegna stampa di oggi:
1) L'educazione del povero - Giorgio Vittadini venerdì 9 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
2) La legge sull'omofobia è una minaccia alla libertà? - Parole profetiche del Cardinale Ratzinger su un'ideologia ostile alla libertà religiosa - di Antonio Gaspari
3) “La giornata di uno scrutatore” di Italo Calvino 1 – Un comunista al “Cottolengo” - Autore: Camisasca, Franco Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 11 ottobre 2009
4) La certezza delle foglie - Pigi Colognesi lunedì 12 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
L'educazione del povero - Giorgio Vittadini venerdì 9 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
Esistono molti autorevoli studi sulla povertà, ma in Italia non era ancora stata realizzata una ricerca sulla povertà alimentare. Il motivo è molto semplice: l’estrema difficoltà a individuare e raggiungere un campione rappresentativo della popolazione in condizione di indigenza alimentare e il rischio di poca attendibilità delle risposte, a causa della vergogna per la propria condizione e della paura che le informazioni date possano essere utilizzate a proprio svantaggio.
La lacuna ora è stata colmata con la realizzazione de “La povertà alimentare in Italia. Prima indagine quantitativa e qualitativa” realizzata dalla Fondazione per la Sussidiarietà in collaborazione con docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dell’Università di Milano Bicocca e presentata ieri in Campidoglio.
L’indagine ha potuto essere realizzata grazie all’utilizzo della rete del Banco Alimentare, composta da circa 8.000 opere sociali distribuite su tutto il territorio nazionale che, ricevendo dal Banco gli alimenti da distribuire direttamente ai bisognosi, ha rappresentato il veicolo ideale per individuare un campione valido della popolazione afflitta da indigenza alimentare. Chi si presenta quotidianamente alle porte di questi enti a chiedere sostegno instaura infatti un naturale rapporto di fiducia con chi lo aiuta senza secondi fini.
Quali sono le conclusioni principali di questa ricerca? Una fra tutte. La povertà, che colpisce oggi in italia 3 milioni di persone, ha come origine principale la solitudine, l’allentamento di quei legami familiari, di quella rete di amicizie, di quell’appartenenza a comunità locali, circoli, movimenti, parrocchie, realtà sociali di qualunque credo, in una parola, di quell’intreccio di legami personali che hanno fatto e fanno il nostro tessuto sociale e la nostra welfare society, caratteristica più profonda del nostro Paese. Tutto quello che distrugge questo sistema naturale e storico diventa fattore di ineguaglianza.
Oggi può diventare un “nuovo povero” chi ha in casa un malato cronico da curare; chi perde il lavoro a 50 anni per una improvvisa crisi aziendale; chi, senza una pensione adeguata, si ritrova anziano senza parenti che lo sostengono; chi si trova ad affrontare separazioni matrimoniali e non riesce a mantenersi da solo. La famiglia che si disgrega può segnare anche l’inizio di un’esclusione nei casi di gravidanza precoce, malattia mentale, tossicodipendenza, abusi. Nella definizione di povertà non si può più considerare solo il reddito, ma bisogna includere la vulnerabilità, il rischio, la marginalizzazione, la limitazione nelle scelte.
Il vero indigente alimentare non è solo quello che non ha il pane: è colui che non riesce a migliorare la propria condizione. Così, questa indagine conduce a capire che la questione cruciale nella lotta alla povertà è l’educazione del povero a ricostruire questi legami, a prendere iniziativa verso la propria condizione. La povertà non si potrà mai vincere intervenendo dall'alto, ma accompagnando la capacità di azione delle persone svantaggiate ed emarginate a essere protagoniste di un possibile cambiamento del proprio destino. La stima per quanto ogni essere umano è in grado di fare è proprio il cuore di ciò che chiamiamo “sussidiarietà”.
Il Banco Alimentare italiano e la rete di realtà sociali con cui opera, oltre a soddisfare un'esigenza primaria come quella alimentare, favoriscono la tessitura di rapporti tra uomini, aiutano le persone più bisognose a giudicare la propria condizione e tutta la realtà con uno sguardo diverso.
(Tratto da Il Giornale, 9 ottobre 2009)
La legge sull'omofobia è una minaccia alla libertà? - Parole profetiche del Cardinale Ratzinger su un'ideologia ostile alla libertà religiosa - di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 11 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Un'eventuale legge italiana contro l'omofobia, in recepimento di una risoluzione del Parlamento Europeo, potrebbe limitare fortemente la libertà delle persone e la libertà religiosa.
E' in discussione alla Camera dei Deputati la proposta di legge C-1658 contro l'omofobia, presentata dal Partito Democratico, a prima firma di Paola Concia. La proposta prevede l'inserimento nel Codice Penale di "reati commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere".
L'iniziativa recepisce una risoluzione del Parlamento Europeo del 18 gennaio 2006 in cui l'omofobia è definita "una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio".
Come "pregiudizio" si intende ogni giudizio morale contrario all'omosessualità e alle deviazioni in campo sessuale. Quando esso si esprime in scritti o discorsi pubblici che non pongano su un piano di assoluta eguaglianza ogni tendenza e orientamento sessuale, può essere considerato come contrario al rispetto dei diritti dell'uomo ed essere oggetto di sanzioni penali. Lo stesso principio è enunciato dall'art. 21 della Carta fondamentale dei Diritti del cittadino di Nizza, resa giuridicamente vincolante dal Trattato europeo di Lisbona.
Nel commentare l'iniziativa, il professor Roberto De Mattei ha spiegato in un dettagliato articolo pubblicato su "Radici Cristiane" (n. 48 - Ottobre 2009) che "se questa legge passasse e fosse applicata in modo coerente, sarebbe impossibile, o quanto meno rischioso, criticare l'omosessualità e presentare la famiglia naturale come 'superiore' alle unioni omosessuali. Un'istituzione ecclesiastica non potrebbe rifiutarsi di designare come suo rappresentante una persona che non faccia mistero delle sue tendenze omosessuali. Nessuno Stato, ma anche nessuna Chiesa, potrebbe rifiutare di celebrare un matrimonio di coppie dello stesso sesso. Catechismi e libri sacri che condannano l'omosessualità come peccato 'contro-natura' potrebbero essere ritirati dal commercio".
In merito alla possibilità di una legge europea che avrebbe impedito il rifiuto della pratica omosessuale, il 1° aprile 2005 l'allora Cardinale Joseph Ratzinger, in occasione della consegna del "Premio San Benedetto per la promozione della vita e della famiglia in Europa", conferitogli dalla Fondazione Sublacense Vita e Famiglia, ebbe a dire: "Il concetto di discriminazione viene sempre più allargato, e così il divieto di discriminazione può trasformarsi sempre di più in una limitazione della libertà di opinione e della libertà religiosa. Ben presto non si potrà più affermare che l'omosessualità, come insegna la Chiesa cattolica, costituisce un obiettivo disordine nello strutturarsi dell'esistenza umana".
"È evidente - spiegava il Cardinale - che questo canone della cultura illuminista, tutt'altro che definitivo, contiene valori importanti dei quali noi, proprio come cristiani, non vogliamo e non possiamo fare a meno; ma è altrettanto evidente che la concezione mal definita o non definita affatto di libertà, che sta alla base di questa cultura, inevitabilmente comporta contraddizioni; ed è evidente che proprio per via del suo uso (un uso che sembra radicale) comporta limitazioni della libertà che una generazione fa non riuscivamo neanche ad immaginarci. Una confusa ideologia della libertà conduce ad un dogmatismo che si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà".
Il prof. De Mattei ha ricordato che nelle parole del Catechismo di San Pio X l'omosessualità è un peccato che "grida vendetta al cospetto di Dio" e la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa hanno bollato l'omosessualità come un "abominio" (Levitico, 20,13).
Secondo il prof. De Mattei, la moda, la televisione, il cinema e la politica stanno diventando ambiti sociali privilegiati della lobby omosessuale.
All'ultimo Festival di Venezia, conclusosi lo scorso 12 settembre, il tema ricorrente dei film in rassegna è stato l'omosessualità. Prima della proiezione del film A single man di Tom Ford, che si è aggiudicato il Queer Lion attribuito dalla comunità gay alla migliore opera omo, lesbica o trans, il presidente onorario dell'Arcigay Franco Grillini e alcuni esponenti politici di sinistra hanno tenuto un sit-in contro l'omofobia.
Il 29 giugno 2009 il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ricevuto alla Casa Bianca circa 250 leader e attivisti delle principali organizzazioni gay, lesbiche e transgender in occasione dei 40 anni della nascita del movimento per la difesa dei diritti omosessuali.
Lo stesso Obama, in un'intervista pubblicata il 3 luglio da "Avvenire", ha affermato che la comunità gay-lesbica degli Stati Uniti viene "ferita da alcuni insegnamenti della Chiesa cattolica e della dottrina cristiana in generale".
Per questi motivi, il prof. De Mattei ha concluso ha affermato che "se il reato contro l'omofobia fosse varato così com'è, sarebbe uno scandalo e un'occasione di profonda riflessione per l'elettorato cattolico, continuamente tradito dai propri rappresentanti in nome dell'aberrante principio del "politicamente corretto".
“La giornata di uno scrutatore” di Italo Calvino 1 – Un comunista al “Cottolengo” - Autore: Camisasca, Franco Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 11 ottobre 2009
E' la vicenda di un giovane intellettuale torinese designato scrutatore dal suo partito (il PCI) in un seggio posto all’interno di una casa che ospita handicappati.
Un romanzo breve che io ritengo un capolavoro della letteratura italiana del secondo Novecento è La giornata di uno scrutatore di Italo Calvino. Pubblicato nel 1963 (la stesura è di dieci anni prima) racconta con la forma del novel (testo breve, unità di tempo annunciata nel titolo, il luogo sono le mura che chiudono un seggio elettorale) la vicenda di un giovane intellettuale torinese designato scrutatore dal suo partito (il PCI) in un seggio posto all’interno di una casa che ospita handicappati. La giornata è di fine primavera, ma il mattino è grigio (7 giugno 1953), quando Amerigo Ormea – il protagonista – esce di casa per recarsi al seggio: l’occasione si presenta memorabile perché è in gioco il premio di maggioranza per il partito che raggiunge il 50% dei voti, esito temuto dalle sinistre e invece desiderato dai partiti di governo.
Amerigo è un comunista ambiguo, convinto e nel contempo schivo e dubbioso: “all’interno di questa partecipazione al comunismo, era una sfumatura di riserva sulle questioni generali, che spingeva Amerigo a scegliere i compiti di partito più limitati e modesti come riconoscendo in essi i più sicuramente utili, e anche in questi andando sempre preparato al peggio, cercando di serbarsi sereno pur nel suo […] pessimismo[…], ma sempre in linea subordinata a un ottimismo altrettanto forte, l’ottimismo senza il quale non sarebbe stato comunista […], e, nello stesso tempo, al suo opposto, il vecchio scetticismo italiano, il senso del relativo, la facoltà di adattamento e attesa”.
La questione fondamentale è che il seggio si trova in un luogo particolare, anch’esso fortemente ambiguo; si tratta del “Cottolengo” di Torino, l’istituto fondato un secolo prima da un intraprendente sacerdote, che ospita i minorati, i deficienti, i deformi; in occasione delle elezioni un luogo simile diventa, agli occhi di taluni, sinonimo di truffa, quasi di prevaricazione.
Il racconto è povero di fatti, riferiti secondo la scansione cronologica di una giornata: Amerigo, con la sensazione d’inoltrarsi al di là delle frontiere del suo mondo, conosce i componenti del seggio elettorale, sbriga i necessari adempimenti, controlla i documenti di identità delle suore; a metà giornata, secondo i turni stabiliti, lascia per un momento il seggio, si reca a casa per un rapido pasto, telefona a Lia, la ragazza con cui intrattiene una relazione burrascosa. Ritornato al “Cottolengo” percorre le corsie con il seggio ‘distaccato’ per far votare quelli che non possono assolutamente muoversi; verso sera è nella corsia delle donne, da un ufficio fa una nuova e inconcludente telefonata alla ragazza, assiste al voto di un omone senza mani, che dice di saper fare tutto perché le suore gli hanno insegnato tutti i lavori ; la giornata è finita e Amerigo dalla finestra assiste al tramonto del sole che tra i tetti apriva nei cortili le prospettive di una città mai vista.Povero di fatti, il racconto, ma ricco di pensieri: essi durante la giornata si aggrovigliano intorno alla domanda fondamentale sul significato di questa esperienza e più in generale sul significato della vita. Amerigo è disposto ad ammettere la sconfitta delle ideologie di fronte al male, alla negatività, ma quando ‘la carità’ si trasforma in istituzione, come il “Cottolengo”, i conti sembrano non tornare più.
In ogni capitolo le riflessioni si susseguono incalzanti. Nel terzo capitolo mentre si sta allestendo il seggio, Amerigo non può che constatare che si tratti di un gesto democratico quello a cui stanno partecipando, e nello stesso tempo era in tutti loro la certezza di quello che stavano facendo ma anche il presentimento di qualcosa di assurdo. Come dire che il gesto elettorale, compiuto in un luogo strano, lascia aperta la domanda non tanto sulla istituzione, ma sul valore del gesto per le persone che lo compiono.
Dopo la discussione con un prete, venuto ad accompagnare un ricoverato, sulla validità del voto, Amerigo rimugina su una questione: le elezioni, qui, a non starci attenti, diventano una specie di atto religioso […]. Visti da qui, dal fondo di questa condizione, la politica, il progresso, la storia, forse non erano nemmeno concepibili, […] ogni sforzo umano per modificare ciò che è dato, ogni tentativo di non accettare la sorte che tocca nascendo, erano assurdi[…]. Nel mondo-Cottolengo Amerigo non riusciva più a seguire la linea delle sue scelte morali […] o estetiche […]. Costretto per un giorno della sua vita a tener conto di quanto è estesa quella che vien detta la miseria della natura […] sentiva aprirsi ai suoi piedi la vanità del tutto.
La certezza delle foglie - Pigi Colognesi lunedì 12 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
Nonostante le imponenti trasformazioni cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, la cosa è certa. A prescindere da ogni discussione, dibattito, diatriba e parere contrario, il fatto è sicuro. Benché chiusi nel mondo virtuale, ostinati a far finta di niente, relegati in città cementificate, l’evento succederà lo stesso. Gli inspiegabili ritardi non lo cancelleranno. Arriva l’autunno e le foglie cadono.
È, per lo meno, seccante: esci di casa senza il maglioncino e hai freddo; lo porti con te e ti dà fastidio perché, invece, quel giorno fa ancora caldo. È seccante perché ci obbliga a constatare, disarmati, che le cose cambiano. E cambiano senza che noi possiamo minimamente metterci il becco. Cambiano anche se non lo programmiamo noi. Soprattutto seccante perché, se le cose cambiano, vuol dire che passano. Scorrono trascinate dal fiume del tempo.
E ti ricordi dell’antico poeta greco. Te lo hanno fatto leggere da ragazzo a scuola e allora ti sembrava strano che un tale Mimnermo si lamentasse perché la gioventù, che a te sembrava immutabile ed eterna, fosse invece destinata a passare: «Siamo come le foglie nate nella stagione fiorita della primavera, che crescono rapide ai raggi del sole; simili a queste godiamo per breve tempo del fiore della giovinezza».
Eppure confusamente capivi che aveva ragione lui e ti chiedevi che destino avrebbe avuto la tua foglia. E anche se poi, sempre a scuola, han cercato di farti credere che in fondo si tratta di un’immagine letteraria, di un puro gioco linguistico caro ai poeti delle più diverse culture, quando torna l’autunno quel «come le foglie», riappare nella sua inquietante verità. Magari nella forma dei versi di Ungaretti: «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie».
Quando non prevale la conclusione nichilista: tutto finisce in niente, tentano di consolarti dicendo che a primavera le foglie ricrescono e tutto rinasce. Ma è un panteismo del tutto insoddisfacente. Rinasceranno pure delle foglie, ma la foglia che sono io dove va a finire? È ancora una volta Leopardi che pone la domanda giusta: «Lungi dal proprio ramo, / povera foglia frale, / dove vai tu?». Basta una foglia che cade per spingere alla domanda sul destino. Destino, cioè destinazione, scopo, meta. Siamo immersi nel tempo. Che è cambiamento, moto. Verso dove?
La saggezza del popolo cristiano sa che quel moto non è casuale: «Non casca foglia che Dio non voglia». E il cristiano Dante sapeva che quel «dove» dipende anche dalle nostre libere scelte. Per questo la grande metafora delle foglie autunnali è posta all’inizio dell’Inferno per descrivere le anime che scendono dalla barca di Caronte: «Come d’autunno si levan le foglie / l’una appresso de l’altra, fin che ‘l ramo / vede a la terra tutte le sue spoglie». E per questo su, in Paradiso, Cacciaguida, avo del poeta, parla dei beati come di un albero che «frutta sempre e mai non perde foglia».
1) L'educazione del povero - Giorgio Vittadini venerdì 9 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
2) La legge sull'omofobia è una minaccia alla libertà? - Parole profetiche del Cardinale Ratzinger su un'ideologia ostile alla libertà religiosa - di Antonio Gaspari
3) “La giornata di uno scrutatore” di Italo Calvino 1 – Un comunista al “Cottolengo” - Autore: Camisasca, Franco Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 11 ottobre 2009
4) La certezza delle foglie - Pigi Colognesi lunedì 12 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
L'educazione del povero - Giorgio Vittadini venerdì 9 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
Esistono molti autorevoli studi sulla povertà, ma in Italia non era ancora stata realizzata una ricerca sulla povertà alimentare. Il motivo è molto semplice: l’estrema difficoltà a individuare e raggiungere un campione rappresentativo della popolazione in condizione di indigenza alimentare e il rischio di poca attendibilità delle risposte, a causa della vergogna per la propria condizione e della paura che le informazioni date possano essere utilizzate a proprio svantaggio.
La lacuna ora è stata colmata con la realizzazione de “La povertà alimentare in Italia. Prima indagine quantitativa e qualitativa” realizzata dalla Fondazione per la Sussidiarietà in collaborazione con docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dell’Università di Milano Bicocca e presentata ieri in Campidoglio.
L’indagine ha potuto essere realizzata grazie all’utilizzo della rete del Banco Alimentare, composta da circa 8.000 opere sociali distribuite su tutto il territorio nazionale che, ricevendo dal Banco gli alimenti da distribuire direttamente ai bisognosi, ha rappresentato il veicolo ideale per individuare un campione valido della popolazione afflitta da indigenza alimentare. Chi si presenta quotidianamente alle porte di questi enti a chiedere sostegno instaura infatti un naturale rapporto di fiducia con chi lo aiuta senza secondi fini.
Quali sono le conclusioni principali di questa ricerca? Una fra tutte. La povertà, che colpisce oggi in italia 3 milioni di persone, ha come origine principale la solitudine, l’allentamento di quei legami familiari, di quella rete di amicizie, di quell’appartenenza a comunità locali, circoli, movimenti, parrocchie, realtà sociali di qualunque credo, in una parola, di quell’intreccio di legami personali che hanno fatto e fanno il nostro tessuto sociale e la nostra welfare society, caratteristica più profonda del nostro Paese. Tutto quello che distrugge questo sistema naturale e storico diventa fattore di ineguaglianza.
Oggi può diventare un “nuovo povero” chi ha in casa un malato cronico da curare; chi perde il lavoro a 50 anni per una improvvisa crisi aziendale; chi, senza una pensione adeguata, si ritrova anziano senza parenti che lo sostengono; chi si trova ad affrontare separazioni matrimoniali e non riesce a mantenersi da solo. La famiglia che si disgrega può segnare anche l’inizio di un’esclusione nei casi di gravidanza precoce, malattia mentale, tossicodipendenza, abusi. Nella definizione di povertà non si può più considerare solo il reddito, ma bisogna includere la vulnerabilità, il rischio, la marginalizzazione, la limitazione nelle scelte.
Il vero indigente alimentare non è solo quello che non ha il pane: è colui che non riesce a migliorare la propria condizione. Così, questa indagine conduce a capire che la questione cruciale nella lotta alla povertà è l’educazione del povero a ricostruire questi legami, a prendere iniziativa verso la propria condizione. La povertà non si potrà mai vincere intervenendo dall'alto, ma accompagnando la capacità di azione delle persone svantaggiate ed emarginate a essere protagoniste di un possibile cambiamento del proprio destino. La stima per quanto ogni essere umano è in grado di fare è proprio il cuore di ciò che chiamiamo “sussidiarietà”.
Il Banco Alimentare italiano e la rete di realtà sociali con cui opera, oltre a soddisfare un'esigenza primaria come quella alimentare, favoriscono la tessitura di rapporti tra uomini, aiutano le persone più bisognose a giudicare la propria condizione e tutta la realtà con uno sguardo diverso.
(Tratto da Il Giornale, 9 ottobre 2009)
La legge sull'omofobia è una minaccia alla libertà? - Parole profetiche del Cardinale Ratzinger su un'ideologia ostile alla libertà religiosa - di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 11 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Un'eventuale legge italiana contro l'omofobia, in recepimento di una risoluzione del Parlamento Europeo, potrebbe limitare fortemente la libertà delle persone e la libertà religiosa.
E' in discussione alla Camera dei Deputati la proposta di legge C-1658 contro l'omofobia, presentata dal Partito Democratico, a prima firma di Paola Concia. La proposta prevede l'inserimento nel Codice Penale di "reati commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere".
L'iniziativa recepisce una risoluzione del Parlamento Europeo del 18 gennaio 2006 in cui l'omofobia è definita "una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio".
Come "pregiudizio" si intende ogni giudizio morale contrario all'omosessualità e alle deviazioni in campo sessuale. Quando esso si esprime in scritti o discorsi pubblici che non pongano su un piano di assoluta eguaglianza ogni tendenza e orientamento sessuale, può essere considerato come contrario al rispetto dei diritti dell'uomo ed essere oggetto di sanzioni penali. Lo stesso principio è enunciato dall'art. 21 della Carta fondamentale dei Diritti del cittadino di Nizza, resa giuridicamente vincolante dal Trattato europeo di Lisbona.
Nel commentare l'iniziativa, il professor Roberto De Mattei ha spiegato in un dettagliato articolo pubblicato su "Radici Cristiane" (n. 48 - Ottobre 2009) che "se questa legge passasse e fosse applicata in modo coerente, sarebbe impossibile, o quanto meno rischioso, criticare l'omosessualità e presentare la famiglia naturale come 'superiore' alle unioni omosessuali. Un'istituzione ecclesiastica non potrebbe rifiutarsi di designare come suo rappresentante una persona che non faccia mistero delle sue tendenze omosessuali. Nessuno Stato, ma anche nessuna Chiesa, potrebbe rifiutare di celebrare un matrimonio di coppie dello stesso sesso. Catechismi e libri sacri che condannano l'omosessualità come peccato 'contro-natura' potrebbero essere ritirati dal commercio".
In merito alla possibilità di una legge europea che avrebbe impedito il rifiuto della pratica omosessuale, il 1° aprile 2005 l'allora Cardinale Joseph Ratzinger, in occasione della consegna del "Premio San Benedetto per la promozione della vita e della famiglia in Europa", conferitogli dalla Fondazione Sublacense Vita e Famiglia, ebbe a dire: "Il concetto di discriminazione viene sempre più allargato, e così il divieto di discriminazione può trasformarsi sempre di più in una limitazione della libertà di opinione e della libertà religiosa. Ben presto non si potrà più affermare che l'omosessualità, come insegna la Chiesa cattolica, costituisce un obiettivo disordine nello strutturarsi dell'esistenza umana".
"È evidente - spiegava il Cardinale - che questo canone della cultura illuminista, tutt'altro che definitivo, contiene valori importanti dei quali noi, proprio come cristiani, non vogliamo e non possiamo fare a meno; ma è altrettanto evidente che la concezione mal definita o non definita affatto di libertà, che sta alla base di questa cultura, inevitabilmente comporta contraddizioni; ed è evidente che proprio per via del suo uso (un uso che sembra radicale) comporta limitazioni della libertà che una generazione fa non riuscivamo neanche ad immaginarci. Una confusa ideologia della libertà conduce ad un dogmatismo che si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà".
Il prof. De Mattei ha ricordato che nelle parole del Catechismo di San Pio X l'omosessualità è un peccato che "grida vendetta al cospetto di Dio" e la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa hanno bollato l'omosessualità come un "abominio" (Levitico, 20,13).
Secondo il prof. De Mattei, la moda, la televisione, il cinema e la politica stanno diventando ambiti sociali privilegiati della lobby omosessuale.
All'ultimo Festival di Venezia, conclusosi lo scorso 12 settembre, il tema ricorrente dei film in rassegna è stato l'omosessualità. Prima della proiezione del film A single man di Tom Ford, che si è aggiudicato il Queer Lion attribuito dalla comunità gay alla migliore opera omo, lesbica o trans, il presidente onorario dell'Arcigay Franco Grillini e alcuni esponenti politici di sinistra hanno tenuto un sit-in contro l'omofobia.
Il 29 giugno 2009 il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ricevuto alla Casa Bianca circa 250 leader e attivisti delle principali organizzazioni gay, lesbiche e transgender in occasione dei 40 anni della nascita del movimento per la difesa dei diritti omosessuali.
Lo stesso Obama, in un'intervista pubblicata il 3 luglio da "Avvenire", ha affermato che la comunità gay-lesbica degli Stati Uniti viene "ferita da alcuni insegnamenti della Chiesa cattolica e della dottrina cristiana in generale".
Per questi motivi, il prof. De Mattei ha concluso ha affermato che "se il reato contro l'omofobia fosse varato così com'è, sarebbe uno scandalo e un'occasione di profonda riflessione per l'elettorato cattolico, continuamente tradito dai propri rappresentanti in nome dell'aberrante principio del "politicamente corretto".
“La giornata di uno scrutatore” di Italo Calvino 1 – Un comunista al “Cottolengo” - Autore: Camisasca, Franco Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 11 ottobre 2009
E' la vicenda di un giovane intellettuale torinese designato scrutatore dal suo partito (il PCI) in un seggio posto all’interno di una casa che ospita handicappati.
Un romanzo breve che io ritengo un capolavoro della letteratura italiana del secondo Novecento è La giornata di uno scrutatore di Italo Calvino. Pubblicato nel 1963 (la stesura è di dieci anni prima) racconta con la forma del novel (testo breve, unità di tempo annunciata nel titolo, il luogo sono le mura che chiudono un seggio elettorale) la vicenda di un giovane intellettuale torinese designato scrutatore dal suo partito (il PCI) in un seggio posto all’interno di una casa che ospita handicappati. La giornata è di fine primavera, ma il mattino è grigio (7 giugno 1953), quando Amerigo Ormea – il protagonista – esce di casa per recarsi al seggio: l’occasione si presenta memorabile perché è in gioco il premio di maggioranza per il partito che raggiunge il 50% dei voti, esito temuto dalle sinistre e invece desiderato dai partiti di governo.
Amerigo è un comunista ambiguo, convinto e nel contempo schivo e dubbioso: “all’interno di questa partecipazione al comunismo, era una sfumatura di riserva sulle questioni generali, che spingeva Amerigo a scegliere i compiti di partito più limitati e modesti come riconoscendo in essi i più sicuramente utili, e anche in questi andando sempre preparato al peggio, cercando di serbarsi sereno pur nel suo […] pessimismo[…], ma sempre in linea subordinata a un ottimismo altrettanto forte, l’ottimismo senza il quale non sarebbe stato comunista […], e, nello stesso tempo, al suo opposto, il vecchio scetticismo italiano, il senso del relativo, la facoltà di adattamento e attesa”.
La questione fondamentale è che il seggio si trova in un luogo particolare, anch’esso fortemente ambiguo; si tratta del “Cottolengo” di Torino, l’istituto fondato un secolo prima da un intraprendente sacerdote, che ospita i minorati, i deficienti, i deformi; in occasione delle elezioni un luogo simile diventa, agli occhi di taluni, sinonimo di truffa, quasi di prevaricazione.
Il racconto è povero di fatti, riferiti secondo la scansione cronologica di una giornata: Amerigo, con la sensazione d’inoltrarsi al di là delle frontiere del suo mondo, conosce i componenti del seggio elettorale, sbriga i necessari adempimenti, controlla i documenti di identità delle suore; a metà giornata, secondo i turni stabiliti, lascia per un momento il seggio, si reca a casa per un rapido pasto, telefona a Lia, la ragazza con cui intrattiene una relazione burrascosa. Ritornato al “Cottolengo” percorre le corsie con il seggio ‘distaccato’ per far votare quelli che non possono assolutamente muoversi; verso sera è nella corsia delle donne, da un ufficio fa una nuova e inconcludente telefonata alla ragazza, assiste al voto di un omone senza mani, che dice di saper fare tutto perché le suore gli hanno insegnato tutti i lavori ; la giornata è finita e Amerigo dalla finestra assiste al tramonto del sole che tra i tetti apriva nei cortili le prospettive di una città mai vista.Povero di fatti, il racconto, ma ricco di pensieri: essi durante la giornata si aggrovigliano intorno alla domanda fondamentale sul significato di questa esperienza e più in generale sul significato della vita. Amerigo è disposto ad ammettere la sconfitta delle ideologie di fronte al male, alla negatività, ma quando ‘la carità’ si trasforma in istituzione, come il “Cottolengo”, i conti sembrano non tornare più.
In ogni capitolo le riflessioni si susseguono incalzanti. Nel terzo capitolo mentre si sta allestendo il seggio, Amerigo non può che constatare che si tratti di un gesto democratico quello a cui stanno partecipando, e nello stesso tempo era in tutti loro la certezza di quello che stavano facendo ma anche il presentimento di qualcosa di assurdo. Come dire che il gesto elettorale, compiuto in un luogo strano, lascia aperta la domanda non tanto sulla istituzione, ma sul valore del gesto per le persone che lo compiono.
Dopo la discussione con un prete, venuto ad accompagnare un ricoverato, sulla validità del voto, Amerigo rimugina su una questione: le elezioni, qui, a non starci attenti, diventano una specie di atto religioso […]. Visti da qui, dal fondo di questa condizione, la politica, il progresso, la storia, forse non erano nemmeno concepibili, […] ogni sforzo umano per modificare ciò che è dato, ogni tentativo di non accettare la sorte che tocca nascendo, erano assurdi[…]. Nel mondo-Cottolengo Amerigo non riusciva più a seguire la linea delle sue scelte morali […] o estetiche […]. Costretto per un giorno della sua vita a tener conto di quanto è estesa quella che vien detta la miseria della natura […] sentiva aprirsi ai suoi piedi la vanità del tutto.
La certezza delle foglie - Pigi Colognesi lunedì 12 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
Nonostante le imponenti trasformazioni cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, la cosa è certa. A prescindere da ogni discussione, dibattito, diatriba e parere contrario, il fatto è sicuro. Benché chiusi nel mondo virtuale, ostinati a far finta di niente, relegati in città cementificate, l’evento succederà lo stesso. Gli inspiegabili ritardi non lo cancelleranno. Arriva l’autunno e le foglie cadono.
È, per lo meno, seccante: esci di casa senza il maglioncino e hai freddo; lo porti con te e ti dà fastidio perché, invece, quel giorno fa ancora caldo. È seccante perché ci obbliga a constatare, disarmati, che le cose cambiano. E cambiano senza che noi possiamo minimamente metterci il becco. Cambiano anche se non lo programmiamo noi. Soprattutto seccante perché, se le cose cambiano, vuol dire che passano. Scorrono trascinate dal fiume del tempo.
E ti ricordi dell’antico poeta greco. Te lo hanno fatto leggere da ragazzo a scuola e allora ti sembrava strano che un tale Mimnermo si lamentasse perché la gioventù, che a te sembrava immutabile ed eterna, fosse invece destinata a passare: «Siamo come le foglie nate nella stagione fiorita della primavera, che crescono rapide ai raggi del sole; simili a queste godiamo per breve tempo del fiore della giovinezza».
Eppure confusamente capivi che aveva ragione lui e ti chiedevi che destino avrebbe avuto la tua foglia. E anche se poi, sempre a scuola, han cercato di farti credere che in fondo si tratta di un’immagine letteraria, di un puro gioco linguistico caro ai poeti delle più diverse culture, quando torna l’autunno quel «come le foglie», riappare nella sua inquietante verità. Magari nella forma dei versi di Ungaretti: «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie».
Quando non prevale la conclusione nichilista: tutto finisce in niente, tentano di consolarti dicendo che a primavera le foglie ricrescono e tutto rinasce. Ma è un panteismo del tutto insoddisfacente. Rinasceranno pure delle foglie, ma la foglia che sono io dove va a finire? È ancora una volta Leopardi che pone la domanda giusta: «Lungi dal proprio ramo, / povera foglia frale, / dove vai tu?». Basta una foglia che cade per spingere alla domanda sul destino. Destino, cioè destinazione, scopo, meta. Siamo immersi nel tempo. Che è cambiamento, moto. Verso dove?
La saggezza del popolo cristiano sa che quel moto non è casuale: «Non casca foglia che Dio non voglia». E il cristiano Dante sapeva che quel «dove» dipende anche dalle nostre libere scelte. Per questo la grande metafora delle foglie autunnali è posta all’inizio dell’Inferno per descrivere le anime che scendono dalla barca di Caronte: «Come d’autunno si levan le foglie / l’una appresso de l’altra, fin che ‘l ramo / vede a la terra tutte le sue spoglie». E per questo su, in Paradiso, Cacciaguida, avo del poeta, parla dei beati come di un albero che «frutta sempre e mai non perde foglia».