Nella rassegna stampa di oggi:
1) Maria a Medjugorje - Messaggio del 25 ottobre 2009 25/10/2009 - Cari figli, anche oggi vi porto la mia benedizione e vi benedico tutti e vi invito a crescere su questa strada che Dio ha incominciato attraverso di Me per la vostra salvezza. Pregate, digiunate e testimoniate con gioia la vostra fede, figlioli, e il vostro cuore sia sempre riempito di preghiera. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
2) Benedetto XVI: "Alzati, Chiesa in Africa", "non sei sola!" - Omelia del Papa per la chiusura del Sinodo
3) Il Premio Nobel ateo che se la prende con Dio - E Saramago se la prende con Dio: è cattivo - di Alessandro Gnocchi - Il Giornale domenica 25 ottobre 2009
4) L’imposizione del linguaggio - di Marguerite A. Peeters, Direttore di Dialogue Dynamics (Bruxelles) - da Osservatore Romano 22.10.2009
5) Chi avvelena l’eros? - Pigi Colognesi lunedì 26 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
Benedetto XVI: "Alzati, Chiesa in Africa", "non sei sola!" - Omelia del Papa per la chiusura del Sinodo
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l'omelia pronunciata questa domenica da Papa Benedetto XVI nell'Eucaristia in occasione della chiusura della II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa, nella Basilica di San Pietro in Vaticano.
* * *
Venerati Fratelli!
Cari fratelli e sorelle!
Ecco un messaggio di speranza per l'Africa: l'abbiamo ascoltato or ora dalla Parola di Dio. E' il messaggio che il Signore della storia non si stanca di rinnovare per l'umanità oppressa e sopraffatta di ogni epoca e di ogni terra, da quando rivelò a Mosè la sua volontà sugli israeliti schiavi in Egitto: "Ho osservato la miseria del mio popolo... ho udito il suo grido... conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo... e per farlo salire verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele" (Es 3,7-8). Qual è questa terra? Non è forse il Regno della riconciliazione, della giustizia e della pace, a cui è chiamata l'umanità intera? Il disegno di Dio non muta. E' lo stesso che fu profetizzato da Geremia, nei magnifici oracoli denominati "Libro della consolazione", da cui oggi è tratta la prima lettura. E' un annuncio di speranza per il popolo d'Israele, prostrato dall'invasione dell'esercito di Nabucodonosor, dalla devastazione di Gerusalemme e del Tempio e dalla deportazione in Babilonia. Un messaggio di gioia per il "resto" dei figli di Giacobbe, che annuncia un futuro per essi, perché il Signore li ricondurrà nella loro terra, attraverso una strada diritta e agevole. Le persone bisognose di sostegno, come il cieco e lo zoppo, la donna gravida e la partoriente, sperimenteranno la forza e la tenerezza del Signore: Egli è un padre per Israele, pronto a prendersene cura come del primogenito (cfr Ger 31,7-9).
Il disegno di Dio non muta. Attraverso i secoli e i rivolgimenti della storia, Egli punta sempre alla stessa meta: il Regno della libertà e della pace per tutti. E ciò implica la sua predilezione per quanti di libertà e di pace sono privi, per quanti sono violati nella propria dignità di persone umane. Pensiamo in particolare ai fratelli e alle sorelle che in Africa soffrono povertà, malattie, ingiustizie, guerre e violenze, migrazioni forzate. Questi figli prediletti del Padre celeste sono come il cieco del Vangelo, Bartimeo, che "sedeva lungo la strada a mendicare" (Mc 10,46), alle porte di Gerico. Proprio per quella strada passa Gesù Nazareno. E' la strada che conduce a Gerusalemme, dove si consumerà la Pasqua, la sua Pasqua sacrificale, alla quale il Messia va incontro per noi. E' la strada del suo esodo che è anche il nostro: l'unica via che conduce alla terra della riconciliazione, della giustizia e della pace. Su quella via il Signore incontra Bartimeo, che ha perduto la vista. Le loro vie si incrociano, diventano un'unica via. "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!", grida il cieco con fiducia. Replica Gesù: "Chiamatelo!", e aggiunge: "Che cosa vuoi che io faccia per te?". Dio è luce e creatore della luce. L'uomo è figlio della luce, fatto per vedere la luce, ma ha perso la vista, e si trova costretto a mendicare. Accanto a lui passa il Signore, che si è fatto mendicante per noi: assetato della nostra fede e del nostro amore. "Che cosa vuoi che io faccia per te?". Dio sa, ma chiede; vuole che sia l'uomo a parlare. Vuole che l'uomo si alzi in piedi, che ritrovi il coraggio di domandare ciò che gli spetta per la sua dignità. Il Padre vuole sentire dalla viva voce del figlio la libera volontà di vedere di nuovo la luce, quella luce per la quale lo ha creato. "Rabbunì, che io veda di nuovo!". E Gesù a lui: "Va', la tua fede ti ha salvato. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada" (Mc 10,51-52).
Cari Fratelli, rendiamo grazie perché questo "misterioso incontro tra la nostra povertà e la grandezza" di Dio si è realizzato anche nell'Assemblea sinodale per l'Africa che oggi si conclude. Dio ha rinnovato la sua chiamata: "Coraggio! Alzati..." (Mc 10,49). E anche la Chiesa che è in Africa, attraverso i suoi Pastori, venuti da tutti i Paesi del Continente, dal Madagascar e dalle altre isole, ha accolto il messaggio di speranza e la luce per camminare sulla via che conduce al Regno di Dio. "Va', la tua fede ti ha salvato" (Mc 10,52). Sì, la fede in Gesù Cristo - quando è bene intesa e praticata - guida gli uomini e i popoli alla libertà nella verità, o, per usare le tre parole del tema sinodale, alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Bartimeo che, guarito, segue Gesù lungo la strada, è immagine dell'umanità che, illuminata dalla fede, si mette in cammino verso la terra promessa. Bartimeo diventa a sua volta testimone della luce, raccontando e dimostrando in prima persona di essere stato guarito, rinnovato, rigenerato. Questo è la Chiesa nel mondo: comunità di persone riconciliate, operatrici di giustizia e di pace; "sale e luce" in mezzo alla società degli uomini e delle nazioni. Perciò il Sinodo ha ribadito con forza - e lo ha manifestato - che la Chiesa è Famiglia di Dio, nella quale non possono sussistere divisioni su base etnica, linguistica o culturale. Testimonianze commoventi ci hanno mostrato che, anche nei momenti più bui della storia umana, lo Spirito Santo è all'opera e trasforma i cuori delle vittime e dei persecutori perché si riconoscano fratelli. La Chiesa riconciliata è potente lievito di riconciliazione nei singoli Paesi e in tutto il Continente africano.
La seconda lettura ci offre un'ulteriore prospettiva: la Chiesa, comunità che segue Cristo sulla via dell'amore, ha una forma sacerdotale. La categoria del sacerdozio, come chiave interpretativa del mistero di Cristo e, di conseguenza, della Chiesa, è stata introdotta nel Nuovo Testamento dall'Autore della Lettera agli Ebrei. La sua intuizione prende origine dal Salmo 110, citato nel brano odierno, là dove il Signore Dio, con solenne giuramento, assicura al Messia: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek" (v. 4). Riferimento che ne richiama un altro, tratto dal Salmo 2, nel quale il Messia annuncia il decreto del Signore che dice di lui: "Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato" (v. 7). Da questi testi deriva l'attribuzione a Gesù Cristo del carattere sacerdotale, non in senso generico, bensì "secondo l'ordine di Melchisedek", vale a dire il sacerdozio sommo ed eterno, di origine non umana ma divina. Se ogni sommo sacerdote "è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio" (Eb 5,1), solo Lui, il Cristo, il Figlio di Dio, possiede un sacerdozio che si identifica con la sua stessa Persona, un sacerdozio singolare e trascendente, da cui dipende la salvezza universale. Questo suo sacerdozio Cristo l'ha trasmesso alla Chiesa mediante lo Spirito Santo; pertanto la Chiesa ha in se stessa, in ogni suo membro, in forza del Battesimo, un carattere sacerdotale. Ma - qui c'è un aspetto decisivo - il sacerdozio di Gesù Cristo non è più primariamente rituale, bensì esistenziale. La dimensione del rito non viene abolita, ma, come appare chiaramente nell'istituzione dell'Eucaristia, prende significato dal Mistero pasquale, che porta a compimento i sacrifici antichi e li supera. Nascono così contemporaneamente un nuovo sacrificio, un nuovo sacerdozio ed anche un nuovo tempio, e tutti e tre coincidono con il Mistero di Gesù Cristo. Unita a Lui mediante i Sacramenti, la Chiesa prolunga la sua azione salvifica, permettendo agli uomini di essere risanati mediante la fede, come il cieco Bartimeo. Così la Comunità ecclesiale, sulle orme del suo Maestro e Signore, è chiamata a percorrere decisamente la strada del servizio, a condividere fino in fondo la condizione degli uomini e delle donne del suo tempo, per testimoniare a tutti l'amore di Dio e così seminare speranza.
Cari amici, questo messaggio di salvezza la Chiesa lo trasmette coniugando sempre l'evangelizzazione e la promozione umana. Prendiamo ad esempio la storica Enciclica Populorum progressio: ciò che il Servo di Dio Paolo VI elaborò in termini di riflessione, i missionari l'hanno realizzato e continuano a realizzarlo sul campo, promuovendo uno sviluppo rispettoso delle culture locali e dell'ambiente, secondo una logica che ora, dopo più di 40 anni, appare l'unica in grado di far uscire i popoli africani dalla schiavitù della fame e delle malattie. Questo significa trasmettere l'annuncio di speranza secondo una "forma sacerdotale", cioè vivendo in prima persona il Vangelo, cercando di tradurlo in progetti e realizzazioni coerenti con il principio dinamico fondamentale, che è l'amore. In queste tre settimane, la Seconda Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi ha confermato ciò che il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II aveva già messo bene a fuoco, e che ho voluto anch'io approfondire nella recente Enciclica Caritas in veritate: occorre, cioè, rinnovare il modello di sviluppo globale, in modo che sia capace di "includere tutti i popoli e non solamente quelli adeguatamente attrezzati" (n. 39). Quanto la dottrina sociale della Chiesa ha sempre sostenuto a partire dalla sua visione dell'uomo e della società, oggi è richiesto anche dalla globalizzazione (cfr ibid.). Questa - occorre ricordare - non va intesa fatalisticamente come se le sue dinamiche fossero prodotte da anonime forze impersonali e indipendenti dalla volontà umana. La globalizzazione è una realtà umana e come tale è modificabile secondo l'una o l'altra impostazione culturale. La Chiesa lavora con la sua concezione personalista e comunitaria, per orientare il processo in termini di relazionalità, di fraternità e di condivisione (cfr ibid., n. 42).
"Coraggio, alzati!...". Così quest'oggi il Signore della vita e della speranza si rivolge alla Chiesa e alle popolazioni africane, al termine di queste settimane di riflessione sinodale. Alzati, Chiesa in Africa, famiglia di Dio, perché ti chiama il Padre celeste che i tuoi antenati invocavano come Creatore, prima di conoscerne la vicinanza misericordiosa, rivelatasi nel suo Figlio unigenito, Gesù Cristo. Intraprendi il cammino di una nuova evangelizzazione con il coraggio che proviene dallo Spirito Santo. L'urgente azione evangelizzatrice, di cui molto si è parlato in questi giorni, comporta anche un appello pressante alla riconciliazione, condizione indispensabile per instaurare in Africa rapporti di giustizia tra gli uomini e per costruire una pace equa e duratura nel rispetto di ogni individuo e di ogni popolo; una pace che ha bisogno e si apre all'apporto di tutte le persone di buona volontà al di là delle rispettive appartenenze religiose, etniche, linguistiche, culturali e sociali. In tale impegnativa missione tu, Chiesa pellegrina nell'Africa del terzo millennio, non sei sola. Ti è vicina con la preghiera e la solidarietà fattiva tutta la Chiesa cattolica, e dal Cielo ti accompagnano i santi e le sante africani, che, con la vita talora sino al martirio, hanno testimoniato piena fedeltà a Cristo.
Coraggio! Alzati, Continente africano, terra che ha accolto il Salvatore del mondo quando da bambino dovette rifugiarsi con Giuseppe e Maria in Egitto per aver salva la vita dalla persecuzione del re Erode. Accogli con rinnovato entusiasmo l'annuncio del Vangelo perché il volto di Cristo possa illuminare con il suo splendore la molteplicità delle culture e dei linguaggi delle tue popolazioni. Mentre offre il pane della Parola e dell'Eucaristia, la Chiesa si impegna anche ad operare, con ogni mezzo disponibile, perché a nessun africano manchi il pane quotidiano. Per questo, insieme all'opera di primaria urgenza dell'evangelizzazione, i cristiani sono attivi negli interventi di promozione umana.
Cari Padri Sinodali, al termine di queste mie riflessioni, desidero rivolgervi il mio saluto più cordiale, ringraziandovi per la vostra edificante partecipazione. Tornando a casa, voi, Pastori della Chiesa in Africa, portate la mia benedizione alle vostre Comunità. Trasmettete a tutti l'appello risuonato sovente in questo Sinodo alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Mentre si chiude l'Assemblea sinodale non posso non rinnovare la mia viva riconoscenza al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e a tutti i suoi collaboratori. Un grato pensiero esprimo ai cori della comunità nigeriana di Roma e del Collegio Etiopico, che contribuiscono all'animazione di questa liturgia. E infine voglio ringraziare quanti hanno accompagnato i lavori sinodali con la preghiera. La Vergine Maria ricompensi tutti e ciascuno, e ottenga alla Chiesa in Africa di crescere in ogni parte di quel grande Continente, diffondendo dappertutto il "sale" e la "luce" del Vangelo.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Il Premio Nobel ateo che se la prende con Dio
Lo scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel per la letteratura, ateo e comunista viscerale, nel suo ultimo libro "Caino" se la prende con il «Dio della Bibbia», affermando che è "vendicativo, rancoroso, cattivo e indegno di fiducia". Ma il Premio Nobel nel suo nuovo libro non si limita a questo, giunge perfino a bestemmiare Dio, definendolo "figlio di p....".
I vescovi portoghesi, tramite il portavoce della conferenza episcopale nazionale, hanno accusato lo scrittore di offendere milioni di cattolici in tutto il mondo e al tempo stesso hanno denunciato "un’operazione pubblicitaria" per promuovere il libro che propone una rilettura "irriverente se non oltraggiosa" dell’episodio biblico dell’uccisione di Abele, primogenito di Adamo ed Eva, da parte del fratello Caino. In una conferenza stampa a Lisbona, Josè Saramago ha replicato ai vertici della Chiesa, accusandoli di suscitare "nuovi odi" e di alimentare "rancori, incomprensioni e resistenze". Nel 1992, dopo lo scandalo suscitato in Portogallo dall’uscita del suo libro Il vangelo secondo Gesù Cristo, José Saramago lasciò il suo paese per stabilirsi a Lanzarote nell’arcipelago spagnolo delle isole Canarie, dove tuttora risiede. In quel romanzo, Saramago raccontava che Gesù perse la sua verginità con Maria Maddalena, venendo utilizzato da Dio per dominare il mondo...
È evidente che ai nostri giorni si possono offendere tranquillamente - ed anche impunemente - Dio, la Chiesa, il Papa, i cristiani, persino li si possono massacrare e crocifiggere, come si possono assassinare legalmente milioni di bambini con le pratiche abortive di vario genere, ma guai a chi osi dire che l'aborto è un abominevole delitto o che l'omosessualità è una malattia e che gli atti di sodomia sono gravissimi peccati contro natura...
Siamo nel tempo dell'Anticristo? Ma su non esageriamo... è semplicemente il tempo dei Premi Nobel per la Distruzione della Società. Presentiamo come candidato per il 2010 una mascotte di questa non piccola categoria: José Saramago.
E Saramago se la prende con Dio: è cattivo - di Alessandro Gnocchi - Il Giornale domenica 25 ottobre 2009
«Vendicativo, rancoroso, cattivo e indegno di fiducia». Questo losco figuro, secondo lo scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel per la letteratura, è il «Dio della Bibbia». In quanto alla Chiesa cattolica, essa «scatena nuovi odii alimentando rancore».
Il motivo di tanto risentimento verso il «Dio della Bibbia» è presto detto. Saramago ha appena pubblicato in Portogallo Caino romanzo in cui reinterpreta il fratricidio biblico. Lo spot del libro, un vero e proprio trailer, ha come slogan: «Che diavolo di Dio è questo che, per innalzare Abele, disprezza Caino?». Il lancio, a fine agosto, aveva suscitato scalpore ma non abbastanza, nonostante l’impegno dell’autore prodigatosi in affermazioni nelle quali qualcuno ha visto una sfumatura di antisemitismo: «Mi risulta difficile comprendere come il popolo ebraico abbia scelto per testo sacro l’Antico Testamento. È un tale miscuglio di assurdità che non può essere stato inventato da un uomo solo. Ci vollero generazioni e generazioni per produrre questa mostruosità».
Comunque sia, l’uscita del romanzo ha lasciato perplessa la chiesa lusitana, rinnovando così uno scontro iniziato negli anni Novanta, quando Saramago aveva mandato in libreria Il vangelo secondo Gesù, storia di come Cristo perse la verginità con Maria Maddalena. I vescovi del Paese hanno accusato lo scrittore di offendere i cattolici e bollato Caino come «una operazione pubblicitaria irriverente». Saramago non aspettava altro, e calatosi nella parte del perseguitato ha convocato una conferenza stampa durante la quale si è prodotto nelle dichiarazioni di cui sopra. «Nella Bibbia - ha poi aggiunto - si narrano crudeltà, incesti, violenze di ogni genere, carneficine. Tutto ciò è incontestabile, ma è bastato che lo dicessi io, per suscitare una polemica». E ha concluso con un sentito richiamo al «diritto di riflettere» che «appartiene a ciascun individuo» e con una vibrante denuncia della «intolleranza delle religioni organizzate».
Ecco, la «intolleranza delle religioni organizzate». Un tema già affrontato da Saramago, ateo e comunista, in modo alquanto sorprendente. Lo scrittore portoghese, infatti, quando vede i simboli del cristianesimo è come un toro nell’arena davanti al drappo rosso: carica a testa bassa. Diventa però mansueto se alla croce si sostituisce la mezzaluna islamica. Nel 2007 in Spagna fu pubblicato, con denaro pubblico, un libro fotografico con immagini choc: tanto per dirne una, la Madonna con in braccio un maiale. Comprensibile la reazione, ferma ma composta, dei cattolici spagnoli, ovviamente indignati. Saramago insorse contro chi protestava, gridando alla tentata censura: «Crediamo fermamente che un valore fondamentale delle società democratiche, come quello della libertà di espressione e di creazione, non possa essere sottomesso o soggiogato a regole morali».
Pochi mesi prima era scoppiata la questione delle vignette danesi sul profeta Maometto, le vergini, i kamikaze. I musulmani scesero in piazza e già che c’erano bruciarono qualche ambasciata. Anche in quel caso il premio Nobel insorse. Ma contro i disegnatori: «Quello che mi ha davvero spiazzato è l’irresponsabilità dell’autore o degli autori di quei disegni. Alcuni ritengono che la libertà di espressione sia un diritto assoluto. Ma la cruda realtà impone dei limiti».
Ecco, la «cruda realtà» è questa: per Saramago tutte le religioni sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre. La «intolleranza delle religioni organizzate»? In alcuni casi lo scrittore la giustifica. In quanto alla libertà d’espressione, è un valore relativo, dipende da chi chiede la parola. Un eventuale Nobel per la doppia morale non glielo toglierebbe nessuno.
Il Giornale domenica 25 ottobre 2009
L’imposizione del linguaggio - di Marguerite A. Peeters, Direttore di Dialogue Dynamics (Bruxelles) - da Osservatore Romano 22.10.2009
Negli anni immediatamente successivi alla caduta del muro di Berlino, mentre l’umanità entrava in una nuova era, detta della globalizzazione, le Nazioni Unite hanno organizzato una serie di grandi conferenze internazionali con l’obiettivo di creare un nuovo consenso mondiale sulle norme, sui valori e sulle priorità della cooperazione internazionale per il XXI secolo.
Nel corso di queste conferenze è stata adottata una serie di nuovi paradigmi che si esprimono con un nuovo linguaggio. Citiamo come esempi: buon governo, democrazia partecipativa, partenariati, consenso, sviluppo sostenibile, olismo, qualità della vita, educazione civica, sensibilizzazione, educazione fra pari (peer education), appropriazione, libertà di scelta, accesso universale alle scelte, diritti dei bambini, emancipazione delle donne, senza dimenticare il genere (gender) e la salute riproduttiva.
Gli anni novanta hanno visto un proliferare senza precedenti di questi nuovi paradigmi. Da una decina d'anni la loro produzione è invece rallentata. Non appena terminata la serie di conferenze e non appena stabilite le norme mondiali, a livello internazionale si è dato avvio alla fase di applicazione. In questo momento è all'opera e continuerà a esserlo almeno fino al 2015, data limite per l'applicazione degli Obiettivi per lo sviluppo del millennio, all'interno di un quadro etico normativo stabilito nel corso della serie di conferenze degli anni novanta.
L'imposizione mondiale del nuovo linguaggio è allo stesso tempo orizzontale e verticale. Orizzontale perché il nuovo linguaggio si è già diffuso ovunque nel mondo, anche nei luoghi più remoti. Non è più esterno alla Chiesa: molte ong, organismi di aiuto, università, associazioni femminili cattoliche, sacerdoti e pastori, l'hanno già adottato, a livelli diversi. Ma l'imposizione mondiale del nuovo linguaggio è prima di tutto verticale. Questo linguaggio esprime una nuova etica olistica (integrata) e postmoderna. Animata da una dinamica potente, questa etica tende a trasformare silenziosamente - ma realmente - tutte le culture dall'interno.
Coloro che ne conoscono la storia non possono negare che il nuovo linguaggio e la sua etica vengono da fuori: non dall'Africa, né dalla Chiesa, ma da una minoranza di esperti occidentali postmoderni secolarizzati, anzi laicisti. L'utilizzazione passiva del nuovo linguaggio - per adesione culturale acritica o dietro pressione di una costrizione culturale che appare inesorabile - conduce più o meno coscientemente all'appropriazione dell'etica che la anima.
La Chiesa resta ignorante rispetto alle sfide di questa etica: ignoranza di fronte, da un lato, ai suoi rischi - che sono mortali per la vita della fede - e, dall'altro, di fronte alle occasioni che i grandi cambiamenti culturali mondiali attuali offrono all'evangelizzazione e all'avvento della civiltà dell'amore. La nuova etica postmoderna decostruisce in effetti non solo la tradizione ebraico-cristiana, ma anche la modernità e le sue ideologie. Non è tutto o bianco o nero. S'impone quindi con urgenza uno sforzo di discernimento intellettualmente serio, che ancora non è stato fatto.
L'ignoranza espone i cristiani al rischio di un amalgama tra la nuova etica e la dottrina sociale della Chiesa. È questo stesso amalgama che ha portato i cristiani occidentali al dissalamento della loro fede, in particolare dopo la rivoluzione culturale degli anni sessanta. Resta un enorme lavoro da fare per formulare la risposta che il Vangelo e la dottrina sociale danno alle sfide antropologiche e teologiche della postmodernità.
Di fronte alle sfide di un'etica che, nei suoi aspetti radicali, vuole imporre alle culture la trascendenza del diritto di scelta dell'individuo al di fuori del disegno di Dio, i cristiani devono mettere nuovamente in luce la trascendenza della rivelazione divina. Il servizio più grande che la Chiesa può rendere all'umanità è infatti essere se stessa e rimanere fedele al Signore Gesù.
(©L'Osservatore Romano - 22 o 23 ottobre 2009)
Chi avvelena l’eros? - Pigi Colognesi lunedì 26 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
Friedrich Nietzsche ha accusato il cristianesimo di aver avvelenato l’eros. Ma sembra che oggi quest’ultimo abbia un nemico più agguerrito e pericoloso: il cioccolato. Lo rivelava l’altro giorno un titolo a piena pagina su uno di quei giornali gratuiti che molte migliaia di persone leggono in metropolitana.
Presentando i risultati di una “ricerca” socio-scientifica, titolava: «Una donna su quattro preferisce il cioccolato al sesso». Non conosco l’attendibilità della ricerca e non voglio assolutamente buttare il discorso su un tono pettegolo o pruriginoso. Perché è una cosa seria.
Della banalizzazione dell’eros, della mercificazione consumistica dell’intimità si è scritto molto (e sarebbe da recuperare, in proposito, la sofferta riflessione di Pasolini). Ma quel titolo raggiunge un livello di decadimento che ha dell’incredibile. È lo stesso approccio dell’inchiesta a lasciare stupefatti. Immaginatevi la domanda: «Scusi, lei preferisce una notte di sesso o una barretta di cioccolato?».
Di solito, quando si chiede che cosa una persona preferisca, le alternative all’interno delle quali fare la scelta riguardano due oggetti che si trovano sullo stesso piano, che appartengono alla medesima categoria. Che so? Preferisci Vasco o la Pausini, andare al mare o in montagna, il riso o la pastasciutta? Nell’inchiesta in questione si situano nella stessa categoria di fenomeni il cioccolato e il sesso.
Ciò significa che l’uno e l’altro sono percepiti e proposti come semplici occasioni per soddisfare una voglia. Entrambi sono dei puri oggetti che si acquistano, anche se non necessariamente in termini monetari, sul libero mercato delle opportunità che offre la vita. Entrambi si consumano in vista dell’esaudimento di quella voglia. Entrambi si dimenticano dopo l’uso.
Viene così completamente azzerata la specificità del rapporto umano; l’altra persona è come me (mentre non lo è il cioccolato), ma nello stesso tempo irriducibilmente altro da me (mentre il cioccolato lo assimilo). Non voglio qui insistere sul fatto che l’altro, nella concezione proposta da quella indagine, viene strumentalizzato, mercificato, distrutto.
Certo questa è una conseguenza terribile (e Pasolini l’ha gridata nel suo Salò). Ma altrettanto grave è la distruzione dell’io chiamato a scegliere nell’alternativa posta. È un io concepito come chiuso e impermeabile, falsamente autosufficiente. È una monade che non è in grado di guardare fuori di sé; una bilia che si scontra casualmente, e a volte piacevolmente, con altre bilie.
Un simile meccanismo può funzionare, può portare un minimo di soddisfazione se si tratta di una barretta di cioccolato. Ma quando cerco un altro, anche nell’ambito dell’eros, è proprio un altro che cerco. E lo cerco perché mi scopro definito da una incompiutezza.
Tutta la storia della civiltà ha esaltato questa ricerca, chiamandola amore. Di cui l’eros è solo una parte. Una parte che può rimanere fedele a se stessa solo se si apre, come ha spiegato Benedetto XVI nella Deus caritas est, all’ultima implicazione della sua stessa dinamica, alla gratuità dell’agape. Quella gratuità che è la definizione stessa dell’Essere. Allora è chiaro che la Chiesa, impedendo la separazione tra eros e agape, non avvelena il primo. Lo salva.
1) Maria a Medjugorje - Messaggio del 25 ottobre 2009 25/10/2009 - Cari figli, anche oggi vi porto la mia benedizione e vi benedico tutti e vi invito a crescere su questa strada che Dio ha incominciato attraverso di Me per la vostra salvezza. Pregate, digiunate e testimoniate con gioia la vostra fede, figlioli, e il vostro cuore sia sempre riempito di preghiera. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
2) Benedetto XVI: "Alzati, Chiesa in Africa", "non sei sola!" - Omelia del Papa per la chiusura del Sinodo
3) Il Premio Nobel ateo che se la prende con Dio - E Saramago se la prende con Dio: è cattivo - di Alessandro Gnocchi - Il Giornale domenica 25 ottobre 2009
4) L’imposizione del linguaggio - di Marguerite A. Peeters, Direttore di Dialogue Dynamics (Bruxelles) - da Osservatore Romano 22.10.2009
5) Chi avvelena l’eros? - Pigi Colognesi lunedì 26 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
Benedetto XVI: "Alzati, Chiesa in Africa", "non sei sola!" - Omelia del Papa per la chiusura del Sinodo
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l'omelia pronunciata questa domenica da Papa Benedetto XVI nell'Eucaristia in occasione della chiusura della II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa, nella Basilica di San Pietro in Vaticano.
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Venerati Fratelli!
Cari fratelli e sorelle!
Ecco un messaggio di speranza per l'Africa: l'abbiamo ascoltato or ora dalla Parola di Dio. E' il messaggio che il Signore della storia non si stanca di rinnovare per l'umanità oppressa e sopraffatta di ogni epoca e di ogni terra, da quando rivelò a Mosè la sua volontà sugli israeliti schiavi in Egitto: "Ho osservato la miseria del mio popolo... ho udito il suo grido... conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo... e per farlo salire verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele" (Es 3,7-8). Qual è questa terra? Non è forse il Regno della riconciliazione, della giustizia e della pace, a cui è chiamata l'umanità intera? Il disegno di Dio non muta. E' lo stesso che fu profetizzato da Geremia, nei magnifici oracoli denominati "Libro della consolazione", da cui oggi è tratta la prima lettura. E' un annuncio di speranza per il popolo d'Israele, prostrato dall'invasione dell'esercito di Nabucodonosor, dalla devastazione di Gerusalemme e del Tempio e dalla deportazione in Babilonia. Un messaggio di gioia per il "resto" dei figli di Giacobbe, che annuncia un futuro per essi, perché il Signore li ricondurrà nella loro terra, attraverso una strada diritta e agevole. Le persone bisognose di sostegno, come il cieco e lo zoppo, la donna gravida e la partoriente, sperimenteranno la forza e la tenerezza del Signore: Egli è un padre per Israele, pronto a prendersene cura come del primogenito (cfr Ger 31,7-9).
Il disegno di Dio non muta. Attraverso i secoli e i rivolgimenti della storia, Egli punta sempre alla stessa meta: il Regno della libertà e della pace per tutti. E ciò implica la sua predilezione per quanti di libertà e di pace sono privi, per quanti sono violati nella propria dignità di persone umane. Pensiamo in particolare ai fratelli e alle sorelle che in Africa soffrono povertà, malattie, ingiustizie, guerre e violenze, migrazioni forzate. Questi figli prediletti del Padre celeste sono come il cieco del Vangelo, Bartimeo, che "sedeva lungo la strada a mendicare" (Mc 10,46), alle porte di Gerico. Proprio per quella strada passa Gesù Nazareno. E' la strada che conduce a Gerusalemme, dove si consumerà la Pasqua, la sua Pasqua sacrificale, alla quale il Messia va incontro per noi. E' la strada del suo esodo che è anche il nostro: l'unica via che conduce alla terra della riconciliazione, della giustizia e della pace. Su quella via il Signore incontra Bartimeo, che ha perduto la vista. Le loro vie si incrociano, diventano un'unica via. "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!", grida il cieco con fiducia. Replica Gesù: "Chiamatelo!", e aggiunge: "Che cosa vuoi che io faccia per te?". Dio è luce e creatore della luce. L'uomo è figlio della luce, fatto per vedere la luce, ma ha perso la vista, e si trova costretto a mendicare. Accanto a lui passa il Signore, che si è fatto mendicante per noi: assetato della nostra fede e del nostro amore. "Che cosa vuoi che io faccia per te?". Dio sa, ma chiede; vuole che sia l'uomo a parlare. Vuole che l'uomo si alzi in piedi, che ritrovi il coraggio di domandare ciò che gli spetta per la sua dignità. Il Padre vuole sentire dalla viva voce del figlio la libera volontà di vedere di nuovo la luce, quella luce per la quale lo ha creato. "Rabbunì, che io veda di nuovo!". E Gesù a lui: "Va', la tua fede ti ha salvato. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada" (Mc 10,51-52).
Cari Fratelli, rendiamo grazie perché questo "misterioso incontro tra la nostra povertà e la grandezza" di Dio si è realizzato anche nell'Assemblea sinodale per l'Africa che oggi si conclude. Dio ha rinnovato la sua chiamata: "Coraggio! Alzati..." (Mc 10,49). E anche la Chiesa che è in Africa, attraverso i suoi Pastori, venuti da tutti i Paesi del Continente, dal Madagascar e dalle altre isole, ha accolto il messaggio di speranza e la luce per camminare sulla via che conduce al Regno di Dio. "Va', la tua fede ti ha salvato" (Mc 10,52). Sì, la fede in Gesù Cristo - quando è bene intesa e praticata - guida gli uomini e i popoli alla libertà nella verità, o, per usare le tre parole del tema sinodale, alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Bartimeo che, guarito, segue Gesù lungo la strada, è immagine dell'umanità che, illuminata dalla fede, si mette in cammino verso la terra promessa. Bartimeo diventa a sua volta testimone della luce, raccontando e dimostrando in prima persona di essere stato guarito, rinnovato, rigenerato. Questo è la Chiesa nel mondo: comunità di persone riconciliate, operatrici di giustizia e di pace; "sale e luce" in mezzo alla società degli uomini e delle nazioni. Perciò il Sinodo ha ribadito con forza - e lo ha manifestato - che la Chiesa è Famiglia di Dio, nella quale non possono sussistere divisioni su base etnica, linguistica o culturale. Testimonianze commoventi ci hanno mostrato che, anche nei momenti più bui della storia umana, lo Spirito Santo è all'opera e trasforma i cuori delle vittime e dei persecutori perché si riconoscano fratelli. La Chiesa riconciliata è potente lievito di riconciliazione nei singoli Paesi e in tutto il Continente africano.
La seconda lettura ci offre un'ulteriore prospettiva: la Chiesa, comunità che segue Cristo sulla via dell'amore, ha una forma sacerdotale. La categoria del sacerdozio, come chiave interpretativa del mistero di Cristo e, di conseguenza, della Chiesa, è stata introdotta nel Nuovo Testamento dall'Autore della Lettera agli Ebrei. La sua intuizione prende origine dal Salmo 110, citato nel brano odierno, là dove il Signore Dio, con solenne giuramento, assicura al Messia: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek" (v. 4). Riferimento che ne richiama un altro, tratto dal Salmo 2, nel quale il Messia annuncia il decreto del Signore che dice di lui: "Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato" (v. 7). Da questi testi deriva l'attribuzione a Gesù Cristo del carattere sacerdotale, non in senso generico, bensì "secondo l'ordine di Melchisedek", vale a dire il sacerdozio sommo ed eterno, di origine non umana ma divina. Se ogni sommo sacerdote "è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio" (Eb 5,1), solo Lui, il Cristo, il Figlio di Dio, possiede un sacerdozio che si identifica con la sua stessa Persona, un sacerdozio singolare e trascendente, da cui dipende la salvezza universale. Questo suo sacerdozio Cristo l'ha trasmesso alla Chiesa mediante lo Spirito Santo; pertanto la Chiesa ha in se stessa, in ogni suo membro, in forza del Battesimo, un carattere sacerdotale. Ma - qui c'è un aspetto decisivo - il sacerdozio di Gesù Cristo non è più primariamente rituale, bensì esistenziale. La dimensione del rito non viene abolita, ma, come appare chiaramente nell'istituzione dell'Eucaristia, prende significato dal Mistero pasquale, che porta a compimento i sacrifici antichi e li supera. Nascono così contemporaneamente un nuovo sacrificio, un nuovo sacerdozio ed anche un nuovo tempio, e tutti e tre coincidono con il Mistero di Gesù Cristo. Unita a Lui mediante i Sacramenti, la Chiesa prolunga la sua azione salvifica, permettendo agli uomini di essere risanati mediante la fede, come il cieco Bartimeo. Così la Comunità ecclesiale, sulle orme del suo Maestro e Signore, è chiamata a percorrere decisamente la strada del servizio, a condividere fino in fondo la condizione degli uomini e delle donne del suo tempo, per testimoniare a tutti l'amore di Dio e così seminare speranza.
Cari amici, questo messaggio di salvezza la Chiesa lo trasmette coniugando sempre l'evangelizzazione e la promozione umana. Prendiamo ad esempio la storica Enciclica Populorum progressio: ciò che il Servo di Dio Paolo VI elaborò in termini di riflessione, i missionari l'hanno realizzato e continuano a realizzarlo sul campo, promuovendo uno sviluppo rispettoso delle culture locali e dell'ambiente, secondo una logica che ora, dopo più di 40 anni, appare l'unica in grado di far uscire i popoli africani dalla schiavitù della fame e delle malattie. Questo significa trasmettere l'annuncio di speranza secondo una "forma sacerdotale", cioè vivendo in prima persona il Vangelo, cercando di tradurlo in progetti e realizzazioni coerenti con il principio dinamico fondamentale, che è l'amore. In queste tre settimane, la Seconda Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi ha confermato ciò che il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II aveva già messo bene a fuoco, e che ho voluto anch'io approfondire nella recente Enciclica Caritas in veritate: occorre, cioè, rinnovare il modello di sviluppo globale, in modo che sia capace di "includere tutti i popoli e non solamente quelli adeguatamente attrezzati" (n. 39). Quanto la dottrina sociale della Chiesa ha sempre sostenuto a partire dalla sua visione dell'uomo e della società, oggi è richiesto anche dalla globalizzazione (cfr ibid.). Questa - occorre ricordare - non va intesa fatalisticamente come se le sue dinamiche fossero prodotte da anonime forze impersonali e indipendenti dalla volontà umana. La globalizzazione è una realtà umana e come tale è modificabile secondo l'una o l'altra impostazione culturale. La Chiesa lavora con la sua concezione personalista e comunitaria, per orientare il processo in termini di relazionalità, di fraternità e di condivisione (cfr ibid., n. 42).
"Coraggio, alzati!...". Così quest'oggi il Signore della vita e della speranza si rivolge alla Chiesa e alle popolazioni africane, al termine di queste settimane di riflessione sinodale. Alzati, Chiesa in Africa, famiglia di Dio, perché ti chiama il Padre celeste che i tuoi antenati invocavano come Creatore, prima di conoscerne la vicinanza misericordiosa, rivelatasi nel suo Figlio unigenito, Gesù Cristo. Intraprendi il cammino di una nuova evangelizzazione con il coraggio che proviene dallo Spirito Santo. L'urgente azione evangelizzatrice, di cui molto si è parlato in questi giorni, comporta anche un appello pressante alla riconciliazione, condizione indispensabile per instaurare in Africa rapporti di giustizia tra gli uomini e per costruire una pace equa e duratura nel rispetto di ogni individuo e di ogni popolo; una pace che ha bisogno e si apre all'apporto di tutte le persone di buona volontà al di là delle rispettive appartenenze religiose, etniche, linguistiche, culturali e sociali. In tale impegnativa missione tu, Chiesa pellegrina nell'Africa del terzo millennio, non sei sola. Ti è vicina con la preghiera e la solidarietà fattiva tutta la Chiesa cattolica, e dal Cielo ti accompagnano i santi e le sante africani, che, con la vita talora sino al martirio, hanno testimoniato piena fedeltà a Cristo.
Coraggio! Alzati, Continente africano, terra che ha accolto il Salvatore del mondo quando da bambino dovette rifugiarsi con Giuseppe e Maria in Egitto per aver salva la vita dalla persecuzione del re Erode. Accogli con rinnovato entusiasmo l'annuncio del Vangelo perché il volto di Cristo possa illuminare con il suo splendore la molteplicità delle culture e dei linguaggi delle tue popolazioni. Mentre offre il pane della Parola e dell'Eucaristia, la Chiesa si impegna anche ad operare, con ogni mezzo disponibile, perché a nessun africano manchi il pane quotidiano. Per questo, insieme all'opera di primaria urgenza dell'evangelizzazione, i cristiani sono attivi negli interventi di promozione umana.
Cari Padri Sinodali, al termine di queste mie riflessioni, desidero rivolgervi il mio saluto più cordiale, ringraziandovi per la vostra edificante partecipazione. Tornando a casa, voi, Pastori della Chiesa in Africa, portate la mia benedizione alle vostre Comunità. Trasmettete a tutti l'appello risuonato sovente in questo Sinodo alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Mentre si chiude l'Assemblea sinodale non posso non rinnovare la mia viva riconoscenza al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e a tutti i suoi collaboratori. Un grato pensiero esprimo ai cori della comunità nigeriana di Roma e del Collegio Etiopico, che contribuiscono all'animazione di questa liturgia. E infine voglio ringraziare quanti hanno accompagnato i lavori sinodali con la preghiera. La Vergine Maria ricompensi tutti e ciascuno, e ottenga alla Chiesa in Africa di crescere in ogni parte di quel grande Continente, diffondendo dappertutto il "sale" e la "luce" del Vangelo.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Il Premio Nobel ateo che se la prende con Dio
Lo scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel per la letteratura, ateo e comunista viscerale, nel suo ultimo libro "Caino" se la prende con il «Dio della Bibbia», affermando che è "vendicativo, rancoroso, cattivo e indegno di fiducia". Ma il Premio Nobel nel suo nuovo libro non si limita a questo, giunge perfino a bestemmiare Dio, definendolo "figlio di p....".
I vescovi portoghesi, tramite il portavoce della conferenza episcopale nazionale, hanno accusato lo scrittore di offendere milioni di cattolici in tutto il mondo e al tempo stesso hanno denunciato "un’operazione pubblicitaria" per promuovere il libro che propone una rilettura "irriverente se non oltraggiosa" dell’episodio biblico dell’uccisione di Abele, primogenito di Adamo ed Eva, da parte del fratello Caino. In una conferenza stampa a Lisbona, Josè Saramago ha replicato ai vertici della Chiesa, accusandoli di suscitare "nuovi odi" e di alimentare "rancori, incomprensioni e resistenze". Nel 1992, dopo lo scandalo suscitato in Portogallo dall’uscita del suo libro Il vangelo secondo Gesù Cristo, José Saramago lasciò il suo paese per stabilirsi a Lanzarote nell’arcipelago spagnolo delle isole Canarie, dove tuttora risiede. In quel romanzo, Saramago raccontava che Gesù perse la sua verginità con Maria Maddalena, venendo utilizzato da Dio per dominare il mondo...
È evidente che ai nostri giorni si possono offendere tranquillamente - ed anche impunemente - Dio, la Chiesa, il Papa, i cristiani, persino li si possono massacrare e crocifiggere, come si possono assassinare legalmente milioni di bambini con le pratiche abortive di vario genere, ma guai a chi osi dire che l'aborto è un abominevole delitto o che l'omosessualità è una malattia e che gli atti di sodomia sono gravissimi peccati contro natura...
Siamo nel tempo dell'Anticristo? Ma su non esageriamo... è semplicemente il tempo dei Premi Nobel per la Distruzione della Società. Presentiamo come candidato per il 2010 una mascotte di questa non piccola categoria: José Saramago.
E Saramago se la prende con Dio: è cattivo - di Alessandro Gnocchi - Il Giornale domenica 25 ottobre 2009
«Vendicativo, rancoroso, cattivo e indegno di fiducia». Questo losco figuro, secondo lo scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel per la letteratura, è il «Dio della Bibbia». In quanto alla Chiesa cattolica, essa «scatena nuovi odii alimentando rancore».
Il motivo di tanto risentimento verso il «Dio della Bibbia» è presto detto. Saramago ha appena pubblicato in Portogallo Caino romanzo in cui reinterpreta il fratricidio biblico. Lo spot del libro, un vero e proprio trailer, ha come slogan: «Che diavolo di Dio è questo che, per innalzare Abele, disprezza Caino?». Il lancio, a fine agosto, aveva suscitato scalpore ma non abbastanza, nonostante l’impegno dell’autore prodigatosi in affermazioni nelle quali qualcuno ha visto una sfumatura di antisemitismo: «Mi risulta difficile comprendere come il popolo ebraico abbia scelto per testo sacro l’Antico Testamento. È un tale miscuglio di assurdità che non può essere stato inventato da un uomo solo. Ci vollero generazioni e generazioni per produrre questa mostruosità».
Comunque sia, l’uscita del romanzo ha lasciato perplessa la chiesa lusitana, rinnovando così uno scontro iniziato negli anni Novanta, quando Saramago aveva mandato in libreria Il vangelo secondo Gesù, storia di come Cristo perse la verginità con Maria Maddalena. I vescovi del Paese hanno accusato lo scrittore di offendere i cattolici e bollato Caino come «una operazione pubblicitaria irriverente». Saramago non aspettava altro, e calatosi nella parte del perseguitato ha convocato una conferenza stampa durante la quale si è prodotto nelle dichiarazioni di cui sopra. «Nella Bibbia - ha poi aggiunto - si narrano crudeltà, incesti, violenze di ogni genere, carneficine. Tutto ciò è incontestabile, ma è bastato che lo dicessi io, per suscitare una polemica». E ha concluso con un sentito richiamo al «diritto di riflettere» che «appartiene a ciascun individuo» e con una vibrante denuncia della «intolleranza delle religioni organizzate».
Ecco, la «intolleranza delle religioni organizzate». Un tema già affrontato da Saramago, ateo e comunista, in modo alquanto sorprendente. Lo scrittore portoghese, infatti, quando vede i simboli del cristianesimo è come un toro nell’arena davanti al drappo rosso: carica a testa bassa. Diventa però mansueto se alla croce si sostituisce la mezzaluna islamica. Nel 2007 in Spagna fu pubblicato, con denaro pubblico, un libro fotografico con immagini choc: tanto per dirne una, la Madonna con in braccio un maiale. Comprensibile la reazione, ferma ma composta, dei cattolici spagnoli, ovviamente indignati. Saramago insorse contro chi protestava, gridando alla tentata censura: «Crediamo fermamente che un valore fondamentale delle società democratiche, come quello della libertà di espressione e di creazione, non possa essere sottomesso o soggiogato a regole morali».
Pochi mesi prima era scoppiata la questione delle vignette danesi sul profeta Maometto, le vergini, i kamikaze. I musulmani scesero in piazza e già che c’erano bruciarono qualche ambasciata. Anche in quel caso il premio Nobel insorse. Ma contro i disegnatori: «Quello che mi ha davvero spiazzato è l’irresponsabilità dell’autore o degli autori di quei disegni. Alcuni ritengono che la libertà di espressione sia un diritto assoluto. Ma la cruda realtà impone dei limiti».
Ecco, la «cruda realtà» è questa: per Saramago tutte le religioni sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre. La «intolleranza delle religioni organizzate»? In alcuni casi lo scrittore la giustifica. In quanto alla libertà d’espressione, è un valore relativo, dipende da chi chiede la parola. Un eventuale Nobel per la doppia morale non glielo toglierebbe nessuno.
Il Giornale domenica 25 ottobre 2009
L’imposizione del linguaggio - di Marguerite A. Peeters, Direttore di Dialogue Dynamics (Bruxelles) - da Osservatore Romano 22.10.2009
Negli anni immediatamente successivi alla caduta del muro di Berlino, mentre l’umanità entrava in una nuova era, detta della globalizzazione, le Nazioni Unite hanno organizzato una serie di grandi conferenze internazionali con l’obiettivo di creare un nuovo consenso mondiale sulle norme, sui valori e sulle priorità della cooperazione internazionale per il XXI secolo.
Nel corso di queste conferenze è stata adottata una serie di nuovi paradigmi che si esprimono con un nuovo linguaggio. Citiamo come esempi: buon governo, democrazia partecipativa, partenariati, consenso, sviluppo sostenibile, olismo, qualità della vita, educazione civica, sensibilizzazione, educazione fra pari (peer education), appropriazione, libertà di scelta, accesso universale alle scelte, diritti dei bambini, emancipazione delle donne, senza dimenticare il genere (gender) e la salute riproduttiva.
Gli anni novanta hanno visto un proliferare senza precedenti di questi nuovi paradigmi. Da una decina d'anni la loro produzione è invece rallentata. Non appena terminata la serie di conferenze e non appena stabilite le norme mondiali, a livello internazionale si è dato avvio alla fase di applicazione. In questo momento è all'opera e continuerà a esserlo almeno fino al 2015, data limite per l'applicazione degli Obiettivi per lo sviluppo del millennio, all'interno di un quadro etico normativo stabilito nel corso della serie di conferenze degli anni novanta.
L'imposizione mondiale del nuovo linguaggio è allo stesso tempo orizzontale e verticale. Orizzontale perché il nuovo linguaggio si è già diffuso ovunque nel mondo, anche nei luoghi più remoti. Non è più esterno alla Chiesa: molte ong, organismi di aiuto, università, associazioni femminili cattoliche, sacerdoti e pastori, l'hanno già adottato, a livelli diversi. Ma l'imposizione mondiale del nuovo linguaggio è prima di tutto verticale. Questo linguaggio esprime una nuova etica olistica (integrata) e postmoderna. Animata da una dinamica potente, questa etica tende a trasformare silenziosamente - ma realmente - tutte le culture dall'interno.
Coloro che ne conoscono la storia non possono negare che il nuovo linguaggio e la sua etica vengono da fuori: non dall'Africa, né dalla Chiesa, ma da una minoranza di esperti occidentali postmoderni secolarizzati, anzi laicisti. L'utilizzazione passiva del nuovo linguaggio - per adesione culturale acritica o dietro pressione di una costrizione culturale che appare inesorabile - conduce più o meno coscientemente all'appropriazione dell'etica che la anima.
La Chiesa resta ignorante rispetto alle sfide di questa etica: ignoranza di fronte, da un lato, ai suoi rischi - che sono mortali per la vita della fede - e, dall'altro, di fronte alle occasioni che i grandi cambiamenti culturali mondiali attuali offrono all'evangelizzazione e all'avvento della civiltà dell'amore. La nuova etica postmoderna decostruisce in effetti non solo la tradizione ebraico-cristiana, ma anche la modernità e le sue ideologie. Non è tutto o bianco o nero. S'impone quindi con urgenza uno sforzo di discernimento intellettualmente serio, che ancora non è stato fatto.
L'ignoranza espone i cristiani al rischio di un amalgama tra la nuova etica e la dottrina sociale della Chiesa. È questo stesso amalgama che ha portato i cristiani occidentali al dissalamento della loro fede, in particolare dopo la rivoluzione culturale degli anni sessanta. Resta un enorme lavoro da fare per formulare la risposta che il Vangelo e la dottrina sociale danno alle sfide antropologiche e teologiche della postmodernità.
Di fronte alle sfide di un'etica che, nei suoi aspetti radicali, vuole imporre alle culture la trascendenza del diritto di scelta dell'individuo al di fuori del disegno di Dio, i cristiani devono mettere nuovamente in luce la trascendenza della rivelazione divina. Il servizio più grande che la Chiesa può rendere all'umanità è infatti essere se stessa e rimanere fedele al Signore Gesù.
(©L'Osservatore Romano - 22 o 23 ottobre 2009)
Chi avvelena l’eros? - Pigi Colognesi lunedì 26 ottobre 2009 – ilsussidiario.net
Friedrich Nietzsche ha accusato il cristianesimo di aver avvelenato l’eros. Ma sembra che oggi quest’ultimo abbia un nemico più agguerrito e pericoloso: il cioccolato. Lo rivelava l’altro giorno un titolo a piena pagina su uno di quei giornali gratuiti che molte migliaia di persone leggono in metropolitana.
Presentando i risultati di una “ricerca” socio-scientifica, titolava: «Una donna su quattro preferisce il cioccolato al sesso». Non conosco l’attendibilità della ricerca e non voglio assolutamente buttare il discorso su un tono pettegolo o pruriginoso. Perché è una cosa seria.
Della banalizzazione dell’eros, della mercificazione consumistica dell’intimità si è scritto molto (e sarebbe da recuperare, in proposito, la sofferta riflessione di Pasolini). Ma quel titolo raggiunge un livello di decadimento che ha dell’incredibile. È lo stesso approccio dell’inchiesta a lasciare stupefatti. Immaginatevi la domanda: «Scusi, lei preferisce una notte di sesso o una barretta di cioccolato?».
Di solito, quando si chiede che cosa una persona preferisca, le alternative all’interno delle quali fare la scelta riguardano due oggetti che si trovano sullo stesso piano, che appartengono alla medesima categoria. Che so? Preferisci Vasco o la Pausini, andare al mare o in montagna, il riso o la pastasciutta? Nell’inchiesta in questione si situano nella stessa categoria di fenomeni il cioccolato e il sesso.
Ciò significa che l’uno e l’altro sono percepiti e proposti come semplici occasioni per soddisfare una voglia. Entrambi sono dei puri oggetti che si acquistano, anche se non necessariamente in termini monetari, sul libero mercato delle opportunità che offre la vita. Entrambi si consumano in vista dell’esaudimento di quella voglia. Entrambi si dimenticano dopo l’uso.
Viene così completamente azzerata la specificità del rapporto umano; l’altra persona è come me (mentre non lo è il cioccolato), ma nello stesso tempo irriducibilmente altro da me (mentre il cioccolato lo assimilo). Non voglio qui insistere sul fatto che l’altro, nella concezione proposta da quella indagine, viene strumentalizzato, mercificato, distrutto.
Certo questa è una conseguenza terribile (e Pasolini l’ha gridata nel suo Salò). Ma altrettanto grave è la distruzione dell’io chiamato a scegliere nell’alternativa posta. È un io concepito come chiuso e impermeabile, falsamente autosufficiente. È una monade che non è in grado di guardare fuori di sé; una bilia che si scontra casualmente, e a volte piacevolmente, con altre bilie.
Un simile meccanismo può funzionare, può portare un minimo di soddisfazione se si tratta di una barretta di cioccolato. Ma quando cerco un altro, anche nell’ambito dell’eros, è proprio un altro che cerco. E lo cerco perché mi scopro definito da una incompiutezza.
Tutta la storia della civiltà ha esaltato questa ricerca, chiamandola amore. Di cui l’eros è solo una parte. Una parte che può rimanere fedele a se stessa solo se si apre, come ha spiegato Benedetto XVI nella Deus caritas est, all’ultima implicazione della sua stessa dinamica, alla gratuità dell’agape. Quella gratuità che è la definizione stessa dell’Essere. Allora è chiaro che la Chiesa, impedendo la separazione tra eros e agape, non avvelena il primo. Lo salva.