Nella rassegna stampa di oggi:
1) 11/10/2009 – Radio Vaticana - Festa nella Chiesa universale arricchita di cinque nuovi santi, proclamati oggi da Benedetto XVI: il dono della santità chiede di vivere controcorrente secondo il Vangelo
2) Lettera ai malati e sofferenti del mondo per l'Anno sacerdotale - A firma del Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari
3) SE IL DIBATTITO PARTITICO DIVIENE CANEA E OSCURA ANCHE LA BUONA POLITICA - Sconcio è parlare e sparlare senza dire più nulla della vita reale - DAVIDE R ONDONI –Avvenire, 10 ottobre 2009
4) INTERVISTA. Per il grande storico Peter Brown «L’Europa oggi ha creato una laicità troppo unilaterale e 'sottile', con tendenze anti-religiose» - Laicismo, mitologia postmoderna - DA VICENZA LORENZO F AZZINI –Avvenire, 10 ottobre 2009
5) Avvenire, 9 Ottobre 2009 - LA POLEMICA - «Rifare» la Sindone? Provateci - Bruno Barberis - Ormai è un ritornello che si ripete regolarmente. Ogni volta che viene indetta un’ostensione della Sindone assistiamo, nei mesi che la precedono, ad una serie di scoperte presentate come sensazionali che dimostrerebbero che la Sindone è un falso realizzato con le tecniche più svariate, ovviamente in epoca medioevale.
6) Durante il Sinodo, una religiosa del Ruanda testimonia la riconciliazione - La suora ha perso la sua famiglia nel genocidio ruandese - di Carmen Elena Villa
7) S. E. Card. Carlo Caffarra - Convegno "Materna Day" - Sala Farnese, 26 settembre 2009 - Testo deregistrato non rivisto dall’autore
11/10/2009 – Radio Vaticana - Festa nella Chiesa universale arricchita di cinque nuovi santi, proclamati oggi da Benedetto XVI: il dono della santità chiede di vivere controcorrente secondo il Vangelo
Giornata di festa oggi per la Chiesa universale arricchita di cinque nuovi santi, proclamati stamane dal Papa, che ha presieduto nella Basilica di San Pietro, affollata di pellegrini di tutto il mondo, la solenne Messa per la canonizzazione dei beati Sigismondo Felice Feliński, Francesco Coll y Guitart, Damiano de Veuster, Rafael Arnáiz Barón, Giovanna Maria Della Croce. Chi accetta “il dono della santità” - ha sottolineato il Papa - sceglie di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo. All’Angelus Benedetto XVI ha pregato perché il mondo non assista più alla tragedia di un attacco nucleare. Il servizio di Roberta Gisotti.
‘Vieni e seguimi!’ è l’invito di Gesù. “Ecco la vocazione cristiana - ha spiegato Benedetto XVI - che scaturisce da una proposta di amore del Signore, e che può realizzarsi solo grazie a una nostra risposta di amore”.
“I santi accolgono quest'invito esigente, e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto. La loro perfezione, nella logica della fede talora umanamente incomprensibile, consiste nel non mettere più al centro se stessi, ma nello scegliere di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo”.
E, così hanno fatto i cinque santi proclamati oggi. Sigismondo Felice Feliński, fondatore della Congregazione delle Francescane della Famiglia di Maria, “testimone della fede e della carità pastorale – ha ricordato il Santo Padre – in tempi molto difficili per la nazione e la Chiesa in Polonia”, esiliato nel 1863 dopo l’annessione russa, per vent’anni in Siberia, “senza poter fare più ritorno nella sua diocesi”. Incrollabile la sua fiducia nella Divina Provvidenza, sempre invocando Dio di proteggerci non dalle tribolazioni e preoccupazioni di questo mondo ma di moltiplicare l’amore dei nostri cuori.
“Dziś jego ufne i pełne miłości oddanie Bogu...
Oggi il suo donarsi a Dio e agli uomini, pieno di fiducia e di amore, - ha sottolineato il Papa - diventa un fulgido esempio per tutta la Chiesa.”
Così anche il sacerdote spagnolo Francesco Coll Y Guitart, fondatore nel 1856 della Congregazione delle Suore Domenicane dell’Annunciazione della Beata Maria Vergine, “per dare ai bambini e ai giovani un’educazione integrale”, patì anch’egli le leggi antiecclesiastiche dell’epoca nel suo Paese che lo costrinsero a lasciare il convento, pure restando fedele ai suoi voti per tutta la vita.
“Su pasión fue predicar, en gran parte de manera itinerante...
La sua passione – ha rammentato il Papa - fu predicare, in gran parte in modo itinerante e seguendo la forma della ‘missione popolare’, con il fine di annunciare e ravvivare nel popolo e nei cittadini della Catalogna la Parola di Dio, aiutando cosi la gente all’incontro profundo con Lui”.
Missionario belga tra gli esclusi nelle isole Hawaii, fu invece Damiano de Veuster, religioso della Congregazione dei sacri Cuori di Gesù e Maria, vissuto anch’egli nella seconda metà dell’Ottocento.
“Non senza paura e ripugnanza, - ha detto Benedetto XVI - fece la scelta di andare nell’Isola di Molokai al servizio dei lebbrosi che si trovavano là, abbandonati da tutti; così si espose alla malattia della quale essi soffrivano. Con loro si sentì a casa”.
"Il nous invite à ouvrir les yeux sur les lèpres …
Egli ci invita ad aprire gli occhi sulle lebbre che sfigurano l’umanità dei nostri fratelli, e ci chiedono ancora oggi più che la nostra generosità, la carità della nostra presenza servile.”
Particolare attrattiva per “i giovani che non si accontentano con poco, quando aspirano alla piena verità e alla più indicibile allegria, che si raggiunge con l’amore di Dio, riveste la figura di Fratel Rafael Arnáiz Barón, oblato dell’Ordine cistercense, vissuto nel secolo scorso. Giovane esuberante e intelligente, di famiglia benestante, che scelse la vita monastica lottando contro il diabete fino alla morte a soli 27 anni.
“Vida de amor... He aquí la única razón de vivir…
Una vita di amore… è l’unica ragione di vivere”, diceva Fratel Rafael, e insistendo “Dall’amore di Dio tutto deriva”.
Ultima dei cinque beati canonizzati, Giovanna Maria Della Croce, nata nel 1792 nella Bretagna francese, fondatrice delle Piccole Sorelle dei Poveri, dedicate al servizio delle persone anziane più povere.
“Son charisme est toujours d’actualité, alors que tant de personnes âgées souffrent…
Il suo carisma - ha detto Benedetto XVI - è tutt’oggi d’attualità, allorchè tante persone anziane soffrono di molteolici povertà e di solitudine, a volte perfino abbandonati dalle loro famiglie".
Infine l’auspicio di Benedetto XVI che gli esempi luminosi di questi cinque santi possano guidare la nostra esistenza, perché diventi « un cantico di lode all’amore di Dio ».
Al termine della celebreazione eucaristica, prima della recita dell’Angelus, il Papa si è rivolto alle migliaia di fedeli nella piazza, ha ricordato la prossima Giornata mondiale del rifiuto della miseria, ed ha salutato in particolare il gruppo di sopravvissuti all’attacco nucleare di Hiroshima e Nagasaki.
"I pray that the world may never again …
Prego – ha detto - che il mondo mai più possa essere testimone di tale massiva distruzione di innocenti vite umane".
"La Vergine Maria - ha concluso Benedetto XVI - è la stella che orienta ogni itinerario di santità".
Lettera ai malati e sofferenti del mondo per l'Anno sacerdotale - A firma del Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 9 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la Lettera ai malati e sofferenti del mondo inviata, in occasione dell'Anno sacerdotale, dal Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, mons. Zygmunt Zimowski.
* * *
Cari Fratelli e Sorelle Malati e Sofferenti
Venerati Fratelli Vescovi e Sacerdoti responsabili per la pastorale dei malati,
Stimate Associazioni dei Malati
Tutti Voi che prestate il prezioso servizio agli Infermi e ai Sofferenti
Siamo nel pieno svolgimento dell’Anno Sacerdotale indetto da Benedetto XVI il 19 giugno 2009 in occasione del 150° anniversario della nascita di Giovanni Maria Vianney, il Santo Patrono di tutti i parroci del mondo. Nella Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale il Santo Padre scrive: «Tale anno vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi». In questo tempo di grazia tutta la comunità cristiana è chiamata a riscoprire la bellezza della vocazione sacerdotale e, quindi, a pregare per i sacerdoti.
Il sacerdote accanto al capezzale del malato rappresenta lo stesso Cristo, Medico Divino, al quale non è indifferente la sorte di chi soffre. Anzi, tramite i sacramenti della Chiesa, amministrati dal sacerdote, Gesù Cristo offre al malato una guarigione attraverso la riconciliazione e il perdono dei peccati, attraverso l’unzione con l’olio sacro e infine nell’Eucaristia, nel viatico in cui Egli stesso diventa, come soleva dire san Giovanni Leonardi, « “il Farmaco dell’immortalità” per il quale: “siamo confortati, nutriti, uniti, trasformati in Dio e partecipi della natura divina” (cf. 2Pt 1,4)». Nella persona del sacerdote è quindi presente, accanto al malato, lo stesso Cristo che perdona, guarisce, conforta, prende per mano e dice: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11,25).
L’Anno Sacerdotale si concluderà con la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù il prossimo mese di giugno 2010, anno in cui il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari celebrerà il 25° anniversario della sua istituzione. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II, di venerata memoria, ha infatti fondato questo Dicastero Pontificio l’11 febbraio 1985 nella memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, allo scopo di manifestare «la sollecitudine della Chiesa per gli infermi aiutando coloro che svolgono il servizio verso i malati e sofferenti, affinché l’apostolato della misericordia, a cui attendono, risponda sempre meglio alle nuove esigenze» (Pastor Bonus, art. 152).
A motivo di tale provvidenziale ricorrenza, sono vicino a ciascuno di Voi e Vi invito, cari fratelli e sorelle ammalati, a rivolgere incessantemente le vostre preghiere e l’offerta delle sofferenze al Signore della vita a favore della santità dei vostri beneamati sacerdoti, affinché svolgano con dedizione e carità pastorale il ministero a loro affidato da Cristo Medico del corpo e dell’anima. Vi esorto a riscoprire la bellezza della preghiera del Santo Rosario a beneficio spirituale dei sacerdoti, in particolar modo nel mese di ottobre. Oltre a ciò, il primo giovedì e il primo venerdì di ogni mese, rispettivamente dedicati alla devozione eucaristica e al Sacro Cuore di Gesù, sono giorni particolarmente adatti per la partecipazione alla Santa Messa e all’adorazione del Santissimo Sacramento.
Vorrei farvi presente che, pregando per i sacerdoti, si possono ottenere quest’anno speciali indulgenze. Il Decreto della Penitenzieria Apostolica prescrive:
«Agli anziani, ai malati, e a tutti quelli che per legittimi motivi non possano uscire di casa, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato e con l’intenzione di adempiere, non appena possibile, le tre solite condizioni, nella propria casa o là dove l’impedimento li trattiene, verrà ugualmente elargita l’Indulgenza plenaria se, nei giorni sopra determinati, reciteranno preghiere per la santificazione dei sacerdoti e offriranno con fiducia a Dio per mezzo di Maria, Regina degli Apostoli, le malattie e i disagi della loro vita. È anche concessa l’Indulgenza parziale a tutti i fedeli ogni qual volta reciteranno devotamente cinque Padre Nostro, Ave Maria e Gloria, o altra preghiera appositamente approvata, in onore del Sacratissimo Cuore di Gesù, per ottenere che i sacerdoti si conservino in purezza e santità di vita».
Vorrei affidare anche alle vostre preghiere il pellegrinaggio dei cappellani ospedalieri che, in occasione del 25° anniversario dell’istituzione del Pontificio Consiglio, si svolgerà nel prossimo mese di aprile, prima a Lourdes e dopo ad Ars. Esiste infatti uno stretto e profondo legame tra queste due cittadine francesi. Parlando proprio di questo provvidenziale nesso nella Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale, Benedetto XVI ha richiamato l’osservazione del beato Papa Giovanni XXIII che aveva scritto: «“Poco prima che il Curato d'Ars concludesse la sua lunga carriera piena di meriti, la Vergine Immacolata era apparsa, in un’altra regione di Francia, ad una fanciulla umile e pura, per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l’immensa risonanza spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote, di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo un’illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente di Massabielle” (…). Il Santo Curato ricordava sempre ai suoi fedeli che “Gesù Cristo dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire della Sua Santa Madre”».
Infine a Voi, cari fratelli e sorelle malati e sofferenti, affido la Chiesa, che ha bisogno delle Vostre preghiere e dell’offerta delle vostre sofferenze, la persona del Santo Padre Benedetto XVI, i Vescovi e i sacerdoti di tutto il mondo, i quali si prodigano quotidianamente per la vostra santificazione. Vi chiedo una preghiera speciale per i sacerdoti ammalati e provati nel corpo i quali sperimentano ogni giorno come voi il peso del dolore, insieme alla forza della grazia salvifica che consola e risana l’anima. Pregate anche per la Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II. Pregate con insistenza per le sante vocazioni sacerdotali e religiose. Al riguardo Vi propongo una bella orazione di Giovanni Paolo II che potete recitare ogni giorno. Pregate anche per me! Anch’io, come sacerdote e Vescovo, conto su di Voi e sull’offerta delle vostre sofferenze affinché possa svolgere al meglio, nel timore di Dio, il compito di Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, affidatomi dal Santo Padre. Da parte mia, Vi assicuro che pregherò per Voi, insieme ai miei collaboratori del Pontificio Consiglio, ogni giorno nell’ora dell’ “Angelus” con le parole di Benedetto XVI:
Preghiamo per tutti i malati,
specialmente per quelli più gravi,
che non possono in alcun modo provvedere a se stessi,
ma sono totalmente dipendenti dalle cure altrui:
possa ciascuno di loro sperimentare,
nella sollecitudine di chi gli è accanto,
la potenza dell’amore di Dio e la ricchezza della sua grazia che salva.
Maria, salute degli infermi, prega per noi! (Angelus, 8.02.2009)
Con questo spirito di reciproca preghiera impartisco a tutti Voi, ai Vostri cari e a coloro che si prendono cura di Voi la mia benedizione: nel nome del Padre e del Figlio, e dello Spirito Santo.
+ Zygmunt Zimowski
Presidente del Pontificio Consiglio
per gli Operatori Sanitari
Vaticano, 1 ottobre 2009
PREGHIERA PER LE VOCAZIONI SACERDOTALI E RELIGIOSE
DI GIOVANNI PAOLO II
Spirito di Amore eterno,
che procedi dal Padre e dal Figlio,
Ti ringraziamo per tutte le vocazioni
di apostoli e santi che hanno fecondato la Chiesa.
Continua ancora, Ti preghiamo, questa tua opera.
Ricordati di quando, nella Pentecoste,
scendesti sugli Apostoli riuniti in preghiera
con Maria, la madre di Gesù,
e guarda alla tua Chiesa che ha oggi
un particolare bisogno di sacerdoti santi,
di testimoni fedeli e autorevoli della tua grazia;
ha bisogno di consacrati e consacrate,
che mostrino la gioia di chi vive solo per il Padre,
di chi fa propria la missione e l'offerta di Cristo,
di chi costruisce con la carità il mondo nuovo.
Spirito Santo, perenne Sorgente di gioia e di pace,
sei Tu che apri il cuore e la mente alla divina chiamata;
sei Tu che rendi efficace ogni impulso
al bene, alla verità, alla carità.
I tuoi 'gemiti inesprimibili'
salgono al Padre dal cuore della Chiesa,
che soffre e lotta per il Vangelo.
Apri i cuori e le menti di giovani e ragazze,
perché una nuova fioritura di sante vocazioni
mostri la fedeltà del tuo amore,
e tutti possano conoscere Cristo,
luce vera venuta nel mondo
per offrire ad ogni essere umano
la sicura speranza della vita eterna. Amen.
Castel Gandolfo, 24 settembre 1997
SE IL DIBATTITO PARTITICO DIVIENE CANEA E OSCURA ANCHE LA BUONA POLITICA - Sconcio è parlare e sparlare senza dire più nulla della vita reale - DAVIDE R ONDONI –Avvenire, 10 ottobre 2009
U no parla e straparla, l’altro s’offende e rincara la dose, poi volano mezzi insulti, battute e battutacce, sfottò e via così. Il dibattito diviene canea, e il cittadino spegne il video e manda tutti a farsi benedire, anche lui con qualche espressione colorita, ma detta a bassa voce così non disturba la moglie o i bimbi addormentati. E mentre nella sua testa rieccheggiano le parole e le baruffe, s’addormenta pensando ai problemi veri: che lavoro trovare o migliorare, che scuola dare ai piccoli, come far sorridere la moglie.
E quelle parole volate negli studi televisivi, e da lì ai giornali, e dai giornali di nuovo ai video, passando per radio, agenzie, tribune, sembrano sempre più lontane, vacue.
Inutili. E non c’è niente di più inutile di una parola inutile. Niente di più sconcio.
Quando il Vangelo invita a esprimersi con dei sì che siano dei ' sì' e dei no allo stesso modo, invita a una essenzialità della lingua.
Non vuole ridurci al silenzio o ai monosillabi, ma a un rapporto forte, diretto, essenziale tra le parole e la realtà.
La vera parola sconcia è quella che è del tutto inutile a muovere qualcosa nella realtà. La parola veramente sconcia, la vera parolaccia, è quella che afferma solo la forza o l’astuzia o la vanità di chi la pronuncia. E questo linguaggio è segno di debolezza. Ovvero di debole rapporto con la realtà. Alto è lo schiamazzo di alcuni politici, ma bassa è la forza della politica. Il teatro del dibattito politico italiano sta diventando questo. In parte. Sì, in parte.
Perché esiste questo orrendo linguaggio sconcio, nel senso di inutile, ripetuto, ossessivo, di alcuni contro alcuni altri. Ma esiste anche altro parlare, un altro ' parlamento'. E allora è doppiamente sconcio quello a cui troppi tribuni e trasmissioni e giornali di varie parti ci stanno abituando, perché esso priva la maggior parte degli italiani della possibilità di ascoltare le tante parole interessanti che pur ci sono nel lavoro di molti che fanno politica.
Non tutta la lingua della politica è sconcia.
Non tutta è tribunizia e offensiva o banalmente, tronfiamente retorica. Ci sono altre parole, altre conversazioni, anche tra persone di sponde opposte che non fanno chiasso, che non ottengono dai media (che hanno gravi colpe) l’udienza sconcia data alle parole sconcie. E queste sono le conversazioni migliori della politica italiana. Mi raccontavano ad esempio di conversazioni tra deputati di diversi schieramenti per vedere come aiutare meglio con leggi ad hoc i talenti dei giovani italiani. Gruppi o intergruppi di parlamentari. Ma la chiacchiera inutile, ripetitiva, ossessa di alcuni le copre. Gli italiani, si sa, amano il linguaggio colorito.
Ognuno di noi prova simpatia per certe espressioni gustose dialettali o del parlato popolare. La lingua e i modi con cui la usiamo formano la coscienza di chi siamo.
Ma c’è una differenza tra il linguaggio colorito e quello sconcio della inutilità. E tale differenza non sta nella quantità di epiteti coloriti usati. E’ che il primo serviva e può ancora servire a sollevare, a confortare, per così dire a corroborare l’animo del nostro popolo, anche quando passava grandi difficoltà. Totò ha fatto ridere un’Italia non troppo felice e comunque impegnata a risalire. Questa lingua lontana dalla vita (e dalle arti della vera migliore retorica) invece sta facendo l’effetto di deprimere, di stufare, di scoraggiare anche quelli che avrebbero più voglia di dare una mano per il bene comune. Non vogliamo politici che parlino come ragionieri o come maestrine dell’800. Ci annoieremmo mortalmente. Ma ci annoia di più la sconcezza di un parlare e sparlare lontano dai problemi della vita reale.
INTERVISTA. Per il grande storico Peter Brown «L’Europa oggi ha creato una laicità troppo unilaterale e 'sottile', con tendenze anti-religiose» - Laicismo, mitologia postmoderna - DA VICENZA LORENZO FAZZINI –Avvenire, 10 ottobre 2009
«I relativisti, che guardano il religioso con disprezzo, cadono in contraddizione.
Ma non dobbiamo arroccarci, considerando monolitica la nostra tradizione cristiana: essa nasce universalistica»
L’Europa ha radici cristiane, cioè 'universali', intrecciate con l’islam lungo un millennio. Per questo, il domani del Vecchio continente deve essere laico in senso 'largo', ovvero non avverso alle tradizioni religiose che ne hanno intessuto i secoli. Ne è convinto Peter Brown, uno dei massimi storici viventi, docente a Princeton dal 1986 dopo aver insegnato a Oxford e Berkeley: nel 2008 ha conseguito il Kluge Prize del Congresso americano.
Irlandese di nascita e giramondo per vocazione, autore di testi cult
sulla fine dell’Impero romano ( La nascita della civiltà cristiana occidentale , Laterza, e Genesi della tarda antichità, Einaudi) e di una monumentale biografia su
Agostino d’Ippona (Einaudi), ieri Brown è intervenuto all’istituto di Storia di Vicenza con una lectio su 'Per la cruna dell’ago. La formazione della cristianità occidentale'.
In un suo recente lavoro lei nota che la civiltà cristiana occidentale è sorta in rapporto al sorgere dell’islam. Quale rapporto tra questi due 'mondi'?
«Sbagliamo completamente quando parliamo di iato tra mondo antico e islam. Il confronto fra Europa e islam oggi è un fenomeno ovvio e grave, ma due secoli fa non era così. Noi europei abbiamo colpevolmente costruito la frattura tra Europa e islam, mentre invece le radici di questi due mondi si intrecciano per un millennio. E dimentichiamo pure le comunità cristiane maggioritarie per tanti secoli in Medio Oriente, dove l’islam allora era minoranza, con tutto il vigore che tale posizione offre. Quando si considera l’origine dell’Europa, non bisogna trattare l’islam – e nemmeno Bisanzio, cioè il cristianesimo orientale – come 'altro'. Si tratta di 'cugini' del cristianesimo occidentale e, come capita, tra parenti le relazioni non sono sempre piacevoli. Oggi si mette in opposizione islam e Europa, ma un simile 'binario' ha già avuto effetti tragici nella storia, vedi il caso degli ebrei. Non vorrei che l’anti-arabismo diventi il successore di quell’antisemitismo di cui oggi ci vergogniamo».
Lei ha forgiato il concetto di 'tarda antichità' per indicare in maniera 'neutra' gli anni dal III al IX secolo. A lungo quell’epoca venne considerata spregiativamente: perché tale ostracismo?
«Dobbiamo candidamente ammettere che abbiamo creato una 'età del buio' per sentirci superiori rispetto al passato. Il crollo dell’Impero romano, visto come lo stadio finale di un collasso, fu inventato dagli uomini del Rinascimento che volevano sentirsi migliori dei predecessori: poi è diventato un mito illuministico.
Oggi abbiamo perso questa superiorità, possiamo parlare della caduta di imperi in Cina e in India senza considerare un incubo tutto ciò. Personalmente, durante i miei studi son sempre rimasto colpito dal fatto che l’Impero romano cambiava continuamente: il cristianesimo era diventato religione di Stato, la posizione dell’imperatore mutava lungo le epoche… La drammatica fine dell’Impero non va messa sotto il segno del 'declino': si tratta di qualcosa di normale nella storia. Il 'secolo d’oro' è l’eccezione, la storia normale è 'grigia'».
Lei ha analizzato storicamente personaggi come Bonifacio e Cassiodoro: figure che parlano ancora all’oggi?
«Certamente, molto più nel nuovo millennio rispetto al Novecento.
Oggi si usa il termine 'infrastruttura cibernetica' per indicare l’asse portante della civiltà attuale.
Ebbene, chi ha costruito i programmi dei computer? Un nuovo Dante o Agostino? No, ma persone umili in laboratori di ricerca. Nella nostra civiltà tecnica abbiamo la sensibilità per capire cosa significa creare un’'infrastruttura della cultura', cui si dedicarono Cassiodoro e Bonifacio, autori di trattati di ortografia e grammatica. Essi non si sentivano gli ultimi salvatori di un’epoca, si pensavano come dei modernizzatori: Cassiodoro è uno dei primi ad usare il termine 'moderno'».
Nell’era di internet che valore ha il lavoro dello storico?
«C’è il rischio di perdere una certa sensibilità verso il particolare, ma a me la cibernetica ha aperto orizzonti immensi. Ad esempio, nel 1992 vennero scoperti ventisei sermoni inediti di Agostino.
Attraverso l’informatica sono stati identificati nel giro di un anno soltanto: nel Novecento ci avremmo impiegato cinquant’anni! Sto sistematizzando tutta la letteratura cristiana siriaca del mondo, così da poter raggiungere con un solo sistema dati sparsi in India, Cina, Africa e Medio Oriente».
Laicità e religioni in Europa: è ormai assodata l’estromissione delle 'radici cristiane' dalla Carta. Quale ruolo vede per le tradizioni europee nel futuro del continente?
«Io preferisco un domani laico rispetto ad una mitologia. Mi spiego: oggi abbiamo creato un concetto di laicità troppo unilaterale e 'sottile'. E lo dico in senso negativo. Io voglio difendere la tolleranza, cioè il sentire che ci sono anche gli 'altri' nel mondo.
Certo, c’è una tendenza antireligiosa in Europa che proviene dalle classi liberali, le quali si sentono superiori alla gente normale dopo aver considerato per decenni i musulmani come persone ignoranti. Oggi vedo due pericoli: da un lato, quel laicismo che guarda il mondo religioso con disprezzo, e così cade in contraddizione. Dall’altro, esiste il tentativo di rendere monolitica una tradizione, quella cristiana, che, invece, è universale per sua stessa natura. Ha ragione Benedetto XVI quando dice che l’Occidente è 'diventato cristiano'. L’equazione 'cristiano=occidentale', storicamente, è una bestemmia».
Avvenire, 9 Ottobre 2009 - LA POLEMICA - «Rifare» la Sindone? Provateci - Bruno Barberis - Ormai è un ritornello che si ripete regolarmente. Ogni volta che viene indetta un’ostensione della Sindone assistiamo, nei mesi che la precedono, ad una serie di scoperte presentate come sensazionali che dimostrerebbero che la Sindone è un falso realizzato con le tecniche più svariate, ovviamente in epoca medioevale.
Già all’inizio dell’estate è giunta dagli Stati Uniti la notizia che la Sindone sarebbe l’autoritratto di Leonardo realizzato dal genio toscano in una vera e propria camera oscura utilizzando un busto con le proprie fattezze che avrebbe lasciato l’impronta su di un telo trattato con chiara d’uovo e gelatina: in pratica l’invenzione della fotografia sarebbe da far retrocedere di quasi 400 anni! E fino ad ora non ne sapevamo nulla! A questa ipotesi se ne è immediatamente aggiunta un’altra (in realtà proposta già da tempo) che sostiene che l’immagine della Sindone è facilmente realizzabile con un pirografo. Una trentina di anni fa un medico barese affermò di essere riuscito ad ottenere un’impronta simile a quella della Sindone sfruttando l’energia termica generata da un bassorilievo riscaldato. E si potrebbe proseguire a lungo con l’elenco di tali teorie.
Ora è la volta di un chimico di Pavia che, secondo le notizie riportate da alcuni quotidiani, sostiene di aver realizzato anche lui un’impronta identica a quella della Sindone usando come matrici il corpo di un suo assistente e un calco in gesso e utilizzando ocra rossiccia, tempera liquida, acido solforico e alluminato di cobalto. Non ho nessun motivo per dubitare della cura e della professionalità con cui tali manufatti sono stati realizzati, ma nutro forti perplessità che possano essere seriamente messi a confronto con la Sindone e la sua immagine. Non è sufficiente ottenere un’immagine che ad un esame visivo appaia simile a quella presente sulla Sindone. Forse fino ad alcuni decenni fa sarebbe stato sufficiente, oggi non più.
L’immagine della Sindone e le cosiddette "macchie ematiche" visibili sul telo sono state studiate in modo approfondito soprattutto in seguito alla campagna di raccolta di dati e di campioni effettuata sulla Sindone dall’8 al 13 ottobre 1978. I risultati dell’analisi di tali dati sono stati resi noti dagli scienziati che parteciparono alla ricerca in decine di articoli pubblicati su prestigiose riviste scientifiche internazionali. In particolare gli scienziati statunitensi appartenenti allo Sturp (Shroud of Turin Research Project) effettuarono una serie di esami (spettroscopia nel visibile e nell’ultravioletto per riflettanza e per fluorescenza, spettroscopia ai raggi X e IR, spettroscopia di massa, termografia infrarossa, radiografia, ecc.) sia sulle zone interessate dall’immagine sia sulle zone ematiche, accertando l’assoluta mancanza sul lenzuolo di pigmenti e coloranti e dimostrando inoltre che l’immagine corporea è assente al di sotto delle macchie ematiche (e dunque si è formata successivamente ad esse) e che è dovuta ad un’ossidazione-disidratazione della cellulosa delle fibre superficiali del tessuto con formazione di gruppi carbonilici coniugati.
Tale alterazione è rilevabile solo superficialmente per una profondità di circa 40 micrometri (ossia 4 centesimi di millimetro). È stato inoltre dimostrato che la colorazione delle fibre nelle zone dell’immagine è uniforme e le variazioni di intensità dell’immagine sono dovute al numero di fibre colorate per unità di superficie. Nelle zone ematiche è stata evidenziata la presenza di anelli porfirinici e le stesse zone hanno dato luogo a reazioni di immunofluorescenza tipiche del sangue umano di gruppo AB. E molte altre ancora sono le caratteristiche dell’immagine evidenziate dalle analisi effettuate dopo gli esami del 1978.
È pertanto evidente che per poter affermare di aver ottenuto (non importa con quale tecnica o metodo) un’immagine identica a quella sindonica è indispensabile effettuare su di essa le stesse analisi fatte sulla Sindone ed ottenere tutti gli stessi identici risultati. Invito pertanto coloro che intendono cimentarsi con tali esperimenti a effettuare sulle immagini da loro ottenute tali analisi, pubblicando su riviste scientifiche i relativi risultati.
Mi risulta che fino ad ora tutte le teorie proposte, pur interessanti di per sé, sono sempre risultate carenti o perché non sono state correlate da verifiche sperimentali serie o perché tali verifiche hanno evidenziato sulle immagini ottenute caratteristiche fisico-chimiche molto diverse da quelle possedute dall’immagine sindonica.
Bruno Barberis
Durante il Sinodo, una religiosa del Ruanda testimonia la riconciliazione - La suora ha perso la sua famiglia nel genocidio ruandese - di Carmen Elena Villa
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 9 ottobre 2009 (ZENIT.org).- La testimonianza di suor Geneviève Uwamariya, della comunità di Santa Maria di Namur in Ruanda, ha fatto rabbrividire questa mattina i presenti nell'Aula del Sinodo.
Suor Geneviève ha perso il padre e vari familiari durante il genocidio avvenuto nel Paese nel 1994, uno degli episodi più sanguinosi del XX secolo, in cui da aprile a luglio è stato massacrato sistematicamente un numero di persone che oscilla tra 800.000 e 1.701.000.
La religiosa ha voluto condividere un'esperienza personale avvenuta tre anni dopo questa tragedia che, secondo lei, ha cambiato la sua vita e mostra come si deve vivere la riconciliazione in un continente ferito da violenza, crude violazioni dei diritti umani e innumerevoli problemi sociali.
La suora ha ricordato che il 27 agosto 1997, attraverso un gruppo della Divina Misericordia, ha incontrato a Kybuye, il suo villaggio di origine, un gruppo di prigionieri, vari dei quali autori materiali del genocidio.
L'obiettivo dell'incontro era prepararli al Giubileo del 2000. Durante l'incontro, la suora disse: "Se sei stato vittima offri il perdono e perdona chi ti ha ferito", dicendo che solo così la vittima si sarebbe liberata dal carico di rancore e il criminale dal peso di aver commesso il male.
"Subito un prigioniero si alzò chiedendo misericordia", ha raccontato la religiosa. "Sono rimasta pietrificata riconoscendo l'amico di famiglia che era cresciuto con noi".
"Mi ha confessato di aver ucciso mio padre. Mi ha descritto i dettagli della morte dei miei cari", ha aggiunto. La suora lo ha abbracciato e gli ha detto: "Sei e continuerai ad essere mio fratello".
Suor Geneviève ha confessato di aver sentito che le era stato "tolto un peso". "Ho ritrovato la pace interiore e ho ringraziato la persona che avevo tra le braccia".
Con sua grande sorpresa, ha sentito quell'uomo gridare: "La giustizia può fare il suo corso e mi potrà condannare a morte, ma ora sono libero!".
"Anch'io volevo gridare a chi mi voleva ascoltare; 'Anche tu puoi ritrovare la pace interiore!'", ha rivelato.
Da quel momento, suor Geneviève Uwamariya si incarica di portare la posta dalle carceri per chiedere perdono ai sopravvissuti. In questo modo sono state distribuite 500 lettere, e con alcune risposte che hanno ricevuto molti prigionieri hanno recuperato l'amicizia con le vittime e hanno sperimentato il vero perdono.
Ciò ha fatto sì che le vittime si riuniscano. "Sono azioni che sono servite affinché molti vivessero la riconciliazione", ha testimoniato.
Suor Geneviève ha affermato che il suo popolo è pieno di vedove e orfani e che dal 1994 è stato ricostruito dai prigionieri. Nelle parrocchie del Ruanda sono nate molte associazioni di ex carcerati e sopravvissuti, e funzionano bene.
"Da questa esperienza deduco che la riconciliazione non è solo voler riunire due persone o gruppi in conflitto", ha spiegato. "Si tratta di 'insediare' in ciascuno l'amore e di lasciare che avvenga la guarigione interiore, che permette la liberazione".
"Per questo - ha concluso - la Chiesa è importante nei nostri Paesi, perché può offrire una parola che cura, libera e riconcilia".
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
S. E. Card. Carlo Caffarra - Convegno "Materna Day" - Sala Farnese, 26 settembre 2009 - Testo deregistrato non rivisto dall’autore
Ringrazio il signor Sindaco dell’ospitalità che ci ha dato per una iniziativa così importante per la società civile bolognese e che, come sappiamo, si compone di due momenti: il convegno di oggi e il festoso raduno che avrà luogo giovedì prossimo, 1 ottobre, nella nostra bellissima Piazza Maggiore.
Articolerò il mio intervento in due parti: nella prima mi propongo di definire il concetto di educazione e di chiarire la natura dell’impegno educativo della Chiesa; nella seconda risponderò alla domanda: "perché una Carta Formativa della scuola cattolica?".
I – Che cos’è l’educazione
"E poi che la sua mano alla mia puose / con lieto volto, ond’io mi confortai, / mi mise dentro a le segrete cose." (D. ALIGHIERI, Inferno, III, vv. 19-21).
Dante comincia così il viaggio che lo porta dalle profondità della tragedia umana fino alla suprema beatitudine dell’incontro con il volto di Dio. Una mano si è posta nella sua: questo lo ha confortato a iniziare un viaggio, e colui che ha posto la mano nella sua lo introduce "a le segrete cose", dentro al mistero. Questa è per me la migliore definizione che si possa dare dell’educazione, la più compiuta descrizione dell’atto educativo.
Questo è ciò che fanno ogni giorno i nostri insegnanti nelle scuole materne. Ciò che Virgilio ha fatto con Dante essi fanno ogni giorno, con ciascun bambino. Mettono la loro mano nella mano del bambino, con lieto volto (anche quando i bambini li fanno arrabbiare!), così che il bambino ne resta confortato, e lo introducono dentro al mistero della vita.
In questa situazione riconosciamo tre elementi fondamentali dell’atto educativo. 1) "Mi mise dentro a le segrete cose": educare è introdurre il bambino dentro la realtà, introdurlo cioè dentro alla vita, anche nei suoi aspetti più enigmatici. 2) "La sua mano alla mia puose": ciò accade attraverso un rapporto di profonda amicizia, di compagnia, di condivisione dello stesso destino, come ho scritto nella Carta Formativa. Mano nella mano: è la compagnia educativa. 3) "Ond’io mi confortai": il rapporto educativo è una compagnia che genera sicurezza nel bambino, in colui che è appena arrivato dentro questa realtà.
La Chiesa è sempre stata consapevole di avere una grande capacità educativa: questa consapevolezza emerge soprattutto nei grandi momenti di crisi delle civiltà. A questo proposito c’è un riferimento quasi d’obbligo, che si fa sempre perché risponde a verità: pensate alla grande proposta educativa di Benedetto da Norcia. Profondamente consapevole della propria capacità educativa, la Chiesa ha sentito il dovere di creare luoghi in cui questa capacità potesse essere messa a disposizione della persona umana. Uno di questi luoghi fondamentali, come dico nella Carta, è l’istituzione scolastica. Non a caso proprio qui, nella nostra città di Bologna, la Chiesa ha inventato l’Università.
La consapevolezza di saper educare e l’impegno a creare luoghi in cui questa capacità educativa fosse messa a disposizione delle persone hanno sempre accompagnato la Chiesa, che tuttavia non ha mai smesso di sentirsi, in quanto istituzione educativa, al servizio di un’altra istituzione della quale riconosce il primato nel campo dell’educazione: la famiglia. Mai la Chiesa ha pensato di sostituirsi alla famiglia. Un segno di rispetto per il ruolo educativo della famiglia è l’antichissima norma canonica, ancora vigente, che proibisce di dare il battesimo a un bambino se i genitori non lo richiedono esplicitamente.
La consapevolezza diventa particolarmente acuta, e l’impegno nel servizio si fa particolarmente urgente, quando si attraversano momenti di crisi. Noi oggi viviamo uno di questi momenti: stiamo infatti attraversando una crisi assolutamente unica, poiché sta accadendo un fatto che non era mai accaduto nella storia dell’Occidente. Si è interrotto e come spezzato il racconto della vita fra la generazione dei padri e la generazione dei figli. Dice il salmista rivolgendosi al Signore: "una generazione narra all’altra le tue opere, annunzia le tue meraviglie" (Sal 145, 4). C’è quindi una narrazione della vita che viene fatta dalla generazione dei padri alla generazione dei figli. Oggi è accaduta come una sorta di afasia: la generazione dei padri non è più capace, non si sente più in grado di continuare questa narrazione, con il risultato che la generazione dei figli si trova dispersa e disgregata in un deserto di senso che non ha precedenti nella storia dell’Occidente.
La consapevolezza di questa situazione pone alla Chiesa un dovere gravissimo: quello di fare oggi dell’educazione il suo primario, fondamentale impegno. Ne va della stessa vita della persona umana in questa condizione. Una fotografia di questa situazione si trova nel libro bianco La sfida educativa, presentato dal Comitato per il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana alcuni giorni orsono. Il desiderio di mettere a vostra disposizione una Carta Formativa della scuola cattolica per l’infanzia nasce in questo contesto, come è brevemente accennato nel Proemio del documento. In fondo si tratta di un impegno che deriva dalla natura stessa della Chiesa, a prescindere dal tempo storico: ma oggi è reso drammaticamente urgente dalla spaccatura che è intervenuta, a livello educativo, tra la generazione dei padri e la generazione dei figli.
II – Perché una Carta Formativa della scuola cattolica dell’infanzia?
Perché una Carta Formativa? Prima di rispondere a questa domanda vorrei rivolgere a tutti un grande ringraziamento per il lavoro svolto in vista della stesura di questo documento. Sono rimasto molto colpito, durante una visita pastorale in una piccola parrocchia dell’Appennino nella quale c’è una scuola materna, dall’atteggiamento delle maestre, che mi hanno detto, senza che io chiedessi niente, "anche noi abbiamo partecipato, abbiamo collaborato con i nostri genitori per preparare la Carta Formativa". È stata davvero una partecipazione corale: il vostro presidente mi ha portato un materiale molto ricco e già ordinato molto bene, cosa che mi ha fatto risparmiare un bel po’ di tempo. Perciò posso dire in piena verità che questa Carta l’avete scritta voi più che l’Arcivescovo! Di questo vi sono molto grato.
Perché allora questa Carta? Esporne le ragioni fondamentali significa allo stesso tempo far comprendere qual è la vera natura di questo documento.
Primo motivo. In una situazione come la nostra, di grave incertezza, è necessario riacquistare coscienza e fare chiarezza intorno alle ragioni ultime del nostro impegno educativo, alla direzione che questo impegno educativo deve avere, alle qualità che devono avere le fondamentali relazioni che il rapporto educativo istituisce, in primis quella con il bambino, con la sua famiglia, con le autorità civili, con l’autorità religiosa che gestisce la scuola. In un momento di incertezza, la prima esigenza è fare chiarezza: deve essere chiaro cosa vuole dire educare, cosa vuole dire fare una proposta educativa cristiana, in che modo ci dobbiamo muovere all’interno di una proposta educativa cristiana, che qualità devono avere le fondamentali relazioni che la proposta educativa crea. Quindi, perché la Carta Formativa? Per un bisogno di chiarezza in un momento di confusione e di grande smarrimento.
Secondo motivo, non meno serio. In una società sempre meno monolitica e sempre più plurale come la nostra, in una società abitata ormai da tante visioni del mondo e della realtà non raramente in contrasto tra loro, una grave insidia può mettere in pericolo il rapporto educativo. Io denomino questa insidia "rinuncia al principio di autorità". È un’insidia davvero grave, perché nello stesso momento in cui l’educatore abdica alla sua autorità il rapporto educativo è finito. Autorità in un rapporto educativo significa che si fa una proposta chiara, che questa proposta viene fatta sulla base di una testimonianza data da un educatore, per cui alla fine chi viene educato è come attratto da questa proposta, non costretto, e quindi decide liberamente se accettarla o no. Abdicare al principio di autorità è dunque un grave pericolo. Quando succede, il risultato sarà o il permissivismo o il dispotismo. In ambedue i casi si generano schiavi, non persone libere. Ora, di fronte alla situazione descritta in precedenza, di pluralità, di divisioni che convivono dentro la nostra società, a volte si cerca di evitare il rischio della perdita di autorevolezza con il ricorso all’ideologia dell’universalismo astratto. Per spiegare il significato di questa espressione mi servirò di un esempio. Tu la pensi in un modo, Tizio la pensa in un altro modo, Caio la pensa in un modo contrario e Sempronio la pensa in un modo contrario al primo e al secondo. Dal momento che dobbiamo convivere, cerchiamo un "minimo comune denominatore" che tutti condividiamo, e per il resto ciascuno tiene per sé le sue differenze. Il problema è determinare che cosa è il "comune denominatore", che proprio per poter essere "comune" diventa sempre più ridotto (con un’acrobazia linguistica potrei dire sempre più "minimo"). Alla fine si rischia che, per trovare qualcosa di comune, ci si accontenti di affermazioni puramente formali. L’importante è che ci si rispetti, l’importante è la tolleranza: così ci accordiamo su affermazioni talmente generiche che diventano puramente formali. Il risultato è una costruzione, una proposta su cui uno non gioca la vita perché non sa cosa comporti per le sue scelte, per l’essere della sua persona: un insieme di affermazioni così generiche che non possono essere oggetto di una vera proposta educativa. In questo senso ho parlato di "universalismo astratto". Qual è invece la via giusta? Ciascun soggetto capace di fare una proposta educativa seria la faccia. E la faccia nella massima chiarezza. Solo così si costruisce una vera pluralità di proposte, che viene offerta alla libera scelta delle persone. Ma la libertà di scelta non può essere solo un’enunciazione di principio, deve essere resa possibile nei fatti o non si tratta di vera libertà. Di fronte alla pluralità delle proposte, chi ha il potere di educare fa la sua libera scelta: questa è la vera società plurale, nella quale chiunque può dare il suo apporto in campo educativo. Vedete che stiamo parlando di qualcosa di grandioso, di una visione di grande respiro. E, all’opposto, vedete che la teoria dell’universalismo astratto è un’ideologia che viene imposta ma che in ultima analisi è contro la vita, è contraria all’esperienza quotidiana del vivere umano.
Qual è allora la seconda ragione della Carta Formativa? Perché, in una società plurale come la nostra, questa è la proposta educativa per l’infanzia fatta dalla Chiesa di Bologna. Una proposta fatta attraverso quello strumento così importante che è la scuola dell’infanzia. Dunque, la Carta Formativa non è espressione di una volontà di dominio: al contrario, una vera pluralità di proposte esige che il progetto educativo della Chiesa in Bologna, per ciò che riguarda la scuola dell’infanzia, sia estremamente chiaro. Da questo punto di vista, sono fondamentali i primi 3 articoli della Carta, che vi prego di leggere attentamente, anche assieme ai vostri gestori.
Conclusione
Ho detto che cos’è l’educazione, definendola a partire dai versi di Dante; quindi ho risposto alla domanda: "perché una Carta Formativa della scuola cattolica?". Vorrei ora concludere con due brevi riflessioni.
Prima riflessione conclusiva. Questa Carta Formativa in un certo senso ha come destinatario le famiglie. In fondo la Chiesa dice a ciascuna famiglia: "vuoi essere aiutata da me Chiesa ad aiutare i tuoi bambini? Se sì, io lo farò in questo modo". La Carta è dunque un aiuto alle famiglie.
Seconda riflessione conclusiva. La Carta è un aiuto per gli insegnanti, che in essa trovano il quadro generale entro cui muoversi per iniziare il grande viaggio: mano nella mano, introdurre il bimbo "dentro a le segrete cose".
Un’ultima considerazione, di non minore importanza. Avrete notato un particolare: la Carta è stata firmata l’8 settembre. È una festa molto cara alla Chiesa e al popolo cristiano: la Natività di Maria, chiamata anche la festa di Maria Bambina. Ho volutamente apposto la mia firma nel pomeriggio dell’8 settembre, nel mio studio di Villa Revedin, perché volevo mettere tutti i bambini - dico proprio tutti, che frequentino o meno la scuola cattolica -, volevo mettere tutti i genitori e gli insegnanti sotto la protezione di Colei che ebbe l’incredibile compito: il compito di educare in umanità il Figlio stesso di Dio.
1) 11/10/2009 – Radio Vaticana - Festa nella Chiesa universale arricchita di cinque nuovi santi, proclamati oggi da Benedetto XVI: il dono della santità chiede di vivere controcorrente secondo il Vangelo
2) Lettera ai malati e sofferenti del mondo per l'Anno sacerdotale - A firma del Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari
3) SE IL DIBATTITO PARTITICO DIVIENE CANEA E OSCURA ANCHE LA BUONA POLITICA - Sconcio è parlare e sparlare senza dire più nulla della vita reale - DAVIDE R ONDONI –Avvenire, 10 ottobre 2009
4) INTERVISTA. Per il grande storico Peter Brown «L’Europa oggi ha creato una laicità troppo unilaterale e 'sottile', con tendenze anti-religiose» - Laicismo, mitologia postmoderna - DA VICENZA LORENZO F AZZINI –Avvenire, 10 ottobre 2009
5) Avvenire, 9 Ottobre 2009 - LA POLEMICA - «Rifare» la Sindone? Provateci - Bruno Barberis - Ormai è un ritornello che si ripete regolarmente. Ogni volta che viene indetta un’ostensione della Sindone assistiamo, nei mesi che la precedono, ad una serie di scoperte presentate come sensazionali che dimostrerebbero che la Sindone è un falso realizzato con le tecniche più svariate, ovviamente in epoca medioevale.
6) Durante il Sinodo, una religiosa del Ruanda testimonia la riconciliazione - La suora ha perso la sua famiglia nel genocidio ruandese - di Carmen Elena Villa
7) S. E. Card. Carlo Caffarra - Convegno "Materna Day" - Sala Farnese, 26 settembre 2009 - Testo deregistrato non rivisto dall’autore
11/10/2009 – Radio Vaticana - Festa nella Chiesa universale arricchita di cinque nuovi santi, proclamati oggi da Benedetto XVI: il dono della santità chiede di vivere controcorrente secondo il Vangelo
Giornata di festa oggi per la Chiesa universale arricchita di cinque nuovi santi, proclamati stamane dal Papa, che ha presieduto nella Basilica di San Pietro, affollata di pellegrini di tutto il mondo, la solenne Messa per la canonizzazione dei beati Sigismondo Felice Feliński, Francesco Coll y Guitart, Damiano de Veuster, Rafael Arnáiz Barón, Giovanna Maria Della Croce. Chi accetta “il dono della santità” - ha sottolineato il Papa - sceglie di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo. All’Angelus Benedetto XVI ha pregato perché il mondo non assista più alla tragedia di un attacco nucleare. Il servizio di Roberta Gisotti.
‘Vieni e seguimi!’ è l’invito di Gesù. “Ecco la vocazione cristiana - ha spiegato Benedetto XVI - che scaturisce da una proposta di amore del Signore, e che può realizzarsi solo grazie a una nostra risposta di amore”.
“I santi accolgono quest'invito esigente, e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto. La loro perfezione, nella logica della fede talora umanamente incomprensibile, consiste nel non mettere più al centro se stessi, ma nello scegliere di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo”.
E, così hanno fatto i cinque santi proclamati oggi. Sigismondo Felice Feliński, fondatore della Congregazione delle Francescane della Famiglia di Maria, “testimone della fede e della carità pastorale – ha ricordato il Santo Padre – in tempi molto difficili per la nazione e la Chiesa in Polonia”, esiliato nel 1863 dopo l’annessione russa, per vent’anni in Siberia, “senza poter fare più ritorno nella sua diocesi”. Incrollabile la sua fiducia nella Divina Provvidenza, sempre invocando Dio di proteggerci non dalle tribolazioni e preoccupazioni di questo mondo ma di moltiplicare l’amore dei nostri cuori.
“Dziś jego ufne i pełne miłości oddanie Bogu...
Oggi il suo donarsi a Dio e agli uomini, pieno di fiducia e di amore, - ha sottolineato il Papa - diventa un fulgido esempio per tutta la Chiesa.”
Così anche il sacerdote spagnolo Francesco Coll Y Guitart, fondatore nel 1856 della Congregazione delle Suore Domenicane dell’Annunciazione della Beata Maria Vergine, “per dare ai bambini e ai giovani un’educazione integrale”, patì anch’egli le leggi antiecclesiastiche dell’epoca nel suo Paese che lo costrinsero a lasciare il convento, pure restando fedele ai suoi voti per tutta la vita.
“Su pasión fue predicar, en gran parte de manera itinerante...
La sua passione – ha rammentato il Papa - fu predicare, in gran parte in modo itinerante e seguendo la forma della ‘missione popolare’, con il fine di annunciare e ravvivare nel popolo e nei cittadini della Catalogna la Parola di Dio, aiutando cosi la gente all’incontro profundo con Lui”.
Missionario belga tra gli esclusi nelle isole Hawaii, fu invece Damiano de Veuster, religioso della Congregazione dei sacri Cuori di Gesù e Maria, vissuto anch’egli nella seconda metà dell’Ottocento.
“Non senza paura e ripugnanza, - ha detto Benedetto XVI - fece la scelta di andare nell’Isola di Molokai al servizio dei lebbrosi che si trovavano là, abbandonati da tutti; così si espose alla malattia della quale essi soffrivano. Con loro si sentì a casa”.
"Il nous invite à ouvrir les yeux sur les lèpres …
Egli ci invita ad aprire gli occhi sulle lebbre che sfigurano l’umanità dei nostri fratelli, e ci chiedono ancora oggi più che la nostra generosità, la carità della nostra presenza servile.”
Particolare attrattiva per “i giovani che non si accontentano con poco, quando aspirano alla piena verità e alla più indicibile allegria, che si raggiunge con l’amore di Dio, riveste la figura di Fratel Rafael Arnáiz Barón, oblato dell’Ordine cistercense, vissuto nel secolo scorso. Giovane esuberante e intelligente, di famiglia benestante, che scelse la vita monastica lottando contro il diabete fino alla morte a soli 27 anni.
“Vida de amor... He aquí la única razón de vivir…
Una vita di amore… è l’unica ragione di vivere”, diceva Fratel Rafael, e insistendo “Dall’amore di Dio tutto deriva”.
Ultima dei cinque beati canonizzati, Giovanna Maria Della Croce, nata nel 1792 nella Bretagna francese, fondatrice delle Piccole Sorelle dei Poveri, dedicate al servizio delle persone anziane più povere.
“Son charisme est toujours d’actualité, alors que tant de personnes âgées souffrent…
Il suo carisma - ha detto Benedetto XVI - è tutt’oggi d’attualità, allorchè tante persone anziane soffrono di molteolici povertà e di solitudine, a volte perfino abbandonati dalle loro famiglie".
Infine l’auspicio di Benedetto XVI che gli esempi luminosi di questi cinque santi possano guidare la nostra esistenza, perché diventi « un cantico di lode all’amore di Dio ».
Al termine della celebreazione eucaristica, prima della recita dell’Angelus, il Papa si è rivolto alle migliaia di fedeli nella piazza, ha ricordato la prossima Giornata mondiale del rifiuto della miseria, ed ha salutato in particolare il gruppo di sopravvissuti all’attacco nucleare di Hiroshima e Nagasaki.
"I pray that the world may never again …
Prego – ha detto - che il mondo mai più possa essere testimone di tale massiva distruzione di innocenti vite umane".
"La Vergine Maria - ha concluso Benedetto XVI - è la stella che orienta ogni itinerario di santità".
Lettera ai malati e sofferenti del mondo per l'Anno sacerdotale - A firma del Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 9 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la Lettera ai malati e sofferenti del mondo inviata, in occasione dell'Anno sacerdotale, dal Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, mons. Zygmunt Zimowski.
* * *
Cari Fratelli e Sorelle Malati e Sofferenti
Venerati Fratelli Vescovi e Sacerdoti responsabili per la pastorale dei malati,
Stimate Associazioni dei Malati
Tutti Voi che prestate il prezioso servizio agli Infermi e ai Sofferenti
Siamo nel pieno svolgimento dell’Anno Sacerdotale indetto da Benedetto XVI il 19 giugno 2009 in occasione del 150° anniversario della nascita di Giovanni Maria Vianney, il Santo Patrono di tutti i parroci del mondo. Nella Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale il Santo Padre scrive: «Tale anno vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi». In questo tempo di grazia tutta la comunità cristiana è chiamata a riscoprire la bellezza della vocazione sacerdotale e, quindi, a pregare per i sacerdoti.
Il sacerdote accanto al capezzale del malato rappresenta lo stesso Cristo, Medico Divino, al quale non è indifferente la sorte di chi soffre. Anzi, tramite i sacramenti della Chiesa, amministrati dal sacerdote, Gesù Cristo offre al malato una guarigione attraverso la riconciliazione e il perdono dei peccati, attraverso l’unzione con l’olio sacro e infine nell’Eucaristia, nel viatico in cui Egli stesso diventa, come soleva dire san Giovanni Leonardi, « “il Farmaco dell’immortalità” per il quale: “siamo confortati, nutriti, uniti, trasformati in Dio e partecipi della natura divina” (cf. 2Pt 1,4)». Nella persona del sacerdote è quindi presente, accanto al malato, lo stesso Cristo che perdona, guarisce, conforta, prende per mano e dice: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11,25).
L’Anno Sacerdotale si concluderà con la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù il prossimo mese di giugno 2010, anno in cui il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari celebrerà il 25° anniversario della sua istituzione. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II, di venerata memoria, ha infatti fondato questo Dicastero Pontificio l’11 febbraio 1985 nella memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, allo scopo di manifestare «la sollecitudine della Chiesa per gli infermi aiutando coloro che svolgono il servizio verso i malati e sofferenti, affinché l’apostolato della misericordia, a cui attendono, risponda sempre meglio alle nuove esigenze» (Pastor Bonus, art. 152).
A motivo di tale provvidenziale ricorrenza, sono vicino a ciascuno di Voi e Vi invito, cari fratelli e sorelle ammalati, a rivolgere incessantemente le vostre preghiere e l’offerta delle sofferenze al Signore della vita a favore della santità dei vostri beneamati sacerdoti, affinché svolgano con dedizione e carità pastorale il ministero a loro affidato da Cristo Medico del corpo e dell’anima. Vi esorto a riscoprire la bellezza della preghiera del Santo Rosario a beneficio spirituale dei sacerdoti, in particolar modo nel mese di ottobre. Oltre a ciò, il primo giovedì e il primo venerdì di ogni mese, rispettivamente dedicati alla devozione eucaristica e al Sacro Cuore di Gesù, sono giorni particolarmente adatti per la partecipazione alla Santa Messa e all’adorazione del Santissimo Sacramento.
Vorrei farvi presente che, pregando per i sacerdoti, si possono ottenere quest’anno speciali indulgenze. Il Decreto della Penitenzieria Apostolica prescrive:
«Agli anziani, ai malati, e a tutti quelli che per legittimi motivi non possano uscire di casa, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato e con l’intenzione di adempiere, non appena possibile, le tre solite condizioni, nella propria casa o là dove l’impedimento li trattiene, verrà ugualmente elargita l’Indulgenza plenaria se, nei giorni sopra determinati, reciteranno preghiere per la santificazione dei sacerdoti e offriranno con fiducia a Dio per mezzo di Maria, Regina degli Apostoli, le malattie e i disagi della loro vita. È anche concessa l’Indulgenza parziale a tutti i fedeli ogni qual volta reciteranno devotamente cinque Padre Nostro, Ave Maria e Gloria, o altra preghiera appositamente approvata, in onore del Sacratissimo Cuore di Gesù, per ottenere che i sacerdoti si conservino in purezza e santità di vita».
Vorrei affidare anche alle vostre preghiere il pellegrinaggio dei cappellani ospedalieri che, in occasione del 25° anniversario dell’istituzione del Pontificio Consiglio, si svolgerà nel prossimo mese di aprile, prima a Lourdes e dopo ad Ars. Esiste infatti uno stretto e profondo legame tra queste due cittadine francesi. Parlando proprio di questo provvidenziale nesso nella Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale, Benedetto XVI ha richiamato l’osservazione del beato Papa Giovanni XXIII che aveva scritto: «“Poco prima che il Curato d'Ars concludesse la sua lunga carriera piena di meriti, la Vergine Immacolata era apparsa, in un’altra regione di Francia, ad una fanciulla umile e pura, per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l’immensa risonanza spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote, di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo un’illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente di Massabielle” (…). Il Santo Curato ricordava sempre ai suoi fedeli che “Gesù Cristo dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire della Sua Santa Madre”».
Infine a Voi, cari fratelli e sorelle malati e sofferenti, affido la Chiesa, che ha bisogno delle Vostre preghiere e dell’offerta delle vostre sofferenze, la persona del Santo Padre Benedetto XVI, i Vescovi e i sacerdoti di tutto il mondo, i quali si prodigano quotidianamente per la vostra santificazione. Vi chiedo una preghiera speciale per i sacerdoti ammalati e provati nel corpo i quali sperimentano ogni giorno come voi il peso del dolore, insieme alla forza della grazia salvifica che consola e risana l’anima. Pregate anche per la Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II. Pregate con insistenza per le sante vocazioni sacerdotali e religiose. Al riguardo Vi propongo una bella orazione di Giovanni Paolo II che potete recitare ogni giorno. Pregate anche per me! Anch’io, come sacerdote e Vescovo, conto su di Voi e sull’offerta delle vostre sofferenze affinché possa svolgere al meglio, nel timore di Dio, il compito di Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, affidatomi dal Santo Padre. Da parte mia, Vi assicuro che pregherò per Voi, insieme ai miei collaboratori del Pontificio Consiglio, ogni giorno nell’ora dell’ “Angelus” con le parole di Benedetto XVI:
Preghiamo per tutti i malati,
specialmente per quelli più gravi,
che non possono in alcun modo provvedere a se stessi,
ma sono totalmente dipendenti dalle cure altrui:
possa ciascuno di loro sperimentare,
nella sollecitudine di chi gli è accanto,
la potenza dell’amore di Dio e la ricchezza della sua grazia che salva.
Maria, salute degli infermi, prega per noi! (Angelus, 8.02.2009)
Con questo spirito di reciproca preghiera impartisco a tutti Voi, ai Vostri cari e a coloro che si prendono cura di Voi la mia benedizione: nel nome del Padre e del Figlio, e dello Spirito Santo.
+ Zygmunt Zimowski
Presidente del Pontificio Consiglio
per gli Operatori Sanitari
Vaticano, 1 ottobre 2009
PREGHIERA PER LE VOCAZIONI SACERDOTALI E RELIGIOSE
DI GIOVANNI PAOLO II
Spirito di Amore eterno,
che procedi dal Padre e dal Figlio,
Ti ringraziamo per tutte le vocazioni
di apostoli e santi che hanno fecondato la Chiesa.
Continua ancora, Ti preghiamo, questa tua opera.
Ricordati di quando, nella Pentecoste,
scendesti sugli Apostoli riuniti in preghiera
con Maria, la madre di Gesù,
e guarda alla tua Chiesa che ha oggi
un particolare bisogno di sacerdoti santi,
di testimoni fedeli e autorevoli della tua grazia;
ha bisogno di consacrati e consacrate,
che mostrino la gioia di chi vive solo per il Padre,
di chi fa propria la missione e l'offerta di Cristo,
di chi costruisce con la carità il mondo nuovo.
Spirito Santo, perenne Sorgente di gioia e di pace,
sei Tu che apri il cuore e la mente alla divina chiamata;
sei Tu che rendi efficace ogni impulso
al bene, alla verità, alla carità.
I tuoi 'gemiti inesprimibili'
salgono al Padre dal cuore della Chiesa,
che soffre e lotta per il Vangelo.
Apri i cuori e le menti di giovani e ragazze,
perché una nuova fioritura di sante vocazioni
mostri la fedeltà del tuo amore,
e tutti possano conoscere Cristo,
luce vera venuta nel mondo
per offrire ad ogni essere umano
la sicura speranza della vita eterna. Amen.
Castel Gandolfo, 24 settembre 1997
SE IL DIBATTITO PARTITICO DIVIENE CANEA E OSCURA ANCHE LA BUONA POLITICA - Sconcio è parlare e sparlare senza dire più nulla della vita reale - DAVIDE R ONDONI –Avvenire, 10 ottobre 2009
U no parla e straparla, l’altro s’offende e rincara la dose, poi volano mezzi insulti, battute e battutacce, sfottò e via così. Il dibattito diviene canea, e il cittadino spegne il video e manda tutti a farsi benedire, anche lui con qualche espressione colorita, ma detta a bassa voce così non disturba la moglie o i bimbi addormentati. E mentre nella sua testa rieccheggiano le parole e le baruffe, s’addormenta pensando ai problemi veri: che lavoro trovare o migliorare, che scuola dare ai piccoli, come far sorridere la moglie.
E quelle parole volate negli studi televisivi, e da lì ai giornali, e dai giornali di nuovo ai video, passando per radio, agenzie, tribune, sembrano sempre più lontane, vacue.
Inutili. E non c’è niente di più inutile di una parola inutile. Niente di più sconcio.
Quando il Vangelo invita a esprimersi con dei sì che siano dei ' sì' e dei no allo stesso modo, invita a una essenzialità della lingua.
Non vuole ridurci al silenzio o ai monosillabi, ma a un rapporto forte, diretto, essenziale tra le parole e la realtà.
La vera parola sconcia è quella che è del tutto inutile a muovere qualcosa nella realtà. La parola veramente sconcia, la vera parolaccia, è quella che afferma solo la forza o l’astuzia o la vanità di chi la pronuncia. E questo linguaggio è segno di debolezza. Ovvero di debole rapporto con la realtà. Alto è lo schiamazzo di alcuni politici, ma bassa è la forza della politica. Il teatro del dibattito politico italiano sta diventando questo. In parte. Sì, in parte.
Perché esiste questo orrendo linguaggio sconcio, nel senso di inutile, ripetuto, ossessivo, di alcuni contro alcuni altri. Ma esiste anche altro parlare, un altro ' parlamento'. E allora è doppiamente sconcio quello a cui troppi tribuni e trasmissioni e giornali di varie parti ci stanno abituando, perché esso priva la maggior parte degli italiani della possibilità di ascoltare le tante parole interessanti che pur ci sono nel lavoro di molti che fanno politica.
Non tutta la lingua della politica è sconcia.
Non tutta è tribunizia e offensiva o banalmente, tronfiamente retorica. Ci sono altre parole, altre conversazioni, anche tra persone di sponde opposte che non fanno chiasso, che non ottengono dai media (che hanno gravi colpe) l’udienza sconcia data alle parole sconcie. E queste sono le conversazioni migliori della politica italiana. Mi raccontavano ad esempio di conversazioni tra deputati di diversi schieramenti per vedere come aiutare meglio con leggi ad hoc i talenti dei giovani italiani. Gruppi o intergruppi di parlamentari. Ma la chiacchiera inutile, ripetitiva, ossessa di alcuni le copre. Gli italiani, si sa, amano il linguaggio colorito.
Ognuno di noi prova simpatia per certe espressioni gustose dialettali o del parlato popolare. La lingua e i modi con cui la usiamo formano la coscienza di chi siamo.
Ma c’è una differenza tra il linguaggio colorito e quello sconcio della inutilità. E tale differenza non sta nella quantità di epiteti coloriti usati. E’ che il primo serviva e può ancora servire a sollevare, a confortare, per così dire a corroborare l’animo del nostro popolo, anche quando passava grandi difficoltà. Totò ha fatto ridere un’Italia non troppo felice e comunque impegnata a risalire. Questa lingua lontana dalla vita (e dalle arti della vera migliore retorica) invece sta facendo l’effetto di deprimere, di stufare, di scoraggiare anche quelli che avrebbero più voglia di dare una mano per il bene comune. Non vogliamo politici che parlino come ragionieri o come maestrine dell’800. Ci annoieremmo mortalmente. Ma ci annoia di più la sconcezza di un parlare e sparlare lontano dai problemi della vita reale.
INTERVISTA. Per il grande storico Peter Brown «L’Europa oggi ha creato una laicità troppo unilaterale e 'sottile', con tendenze anti-religiose» - Laicismo, mitologia postmoderna - DA VICENZA LORENZO FAZZINI –Avvenire, 10 ottobre 2009
«I relativisti, che guardano il religioso con disprezzo, cadono in contraddizione.
Ma non dobbiamo arroccarci, considerando monolitica la nostra tradizione cristiana: essa nasce universalistica»
L’Europa ha radici cristiane, cioè 'universali', intrecciate con l’islam lungo un millennio. Per questo, il domani del Vecchio continente deve essere laico in senso 'largo', ovvero non avverso alle tradizioni religiose che ne hanno intessuto i secoli. Ne è convinto Peter Brown, uno dei massimi storici viventi, docente a Princeton dal 1986 dopo aver insegnato a Oxford e Berkeley: nel 2008 ha conseguito il Kluge Prize del Congresso americano.
Irlandese di nascita e giramondo per vocazione, autore di testi cult
sulla fine dell’Impero romano ( La nascita della civiltà cristiana occidentale , Laterza, e Genesi della tarda antichità, Einaudi) e di una monumentale biografia su
Agostino d’Ippona (Einaudi), ieri Brown è intervenuto all’istituto di Storia di Vicenza con una lectio su 'Per la cruna dell’ago. La formazione della cristianità occidentale'.
In un suo recente lavoro lei nota che la civiltà cristiana occidentale è sorta in rapporto al sorgere dell’islam. Quale rapporto tra questi due 'mondi'?
«Sbagliamo completamente quando parliamo di iato tra mondo antico e islam. Il confronto fra Europa e islam oggi è un fenomeno ovvio e grave, ma due secoli fa non era così. Noi europei abbiamo colpevolmente costruito la frattura tra Europa e islam, mentre invece le radici di questi due mondi si intrecciano per un millennio. E dimentichiamo pure le comunità cristiane maggioritarie per tanti secoli in Medio Oriente, dove l’islam allora era minoranza, con tutto il vigore che tale posizione offre. Quando si considera l’origine dell’Europa, non bisogna trattare l’islam – e nemmeno Bisanzio, cioè il cristianesimo orientale – come 'altro'. Si tratta di 'cugini' del cristianesimo occidentale e, come capita, tra parenti le relazioni non sono sempre piacevoli. Oggi si mette in opposizione islam e Europa, ma un simile 'binario' ha già avuto effetti tragici nella storia, vedi il caso degli ebrei. Non vorrei che l’anti-arabismo diventi il successore di quell’antisemitismo di cui oggi ci vergogniamo».
Lei ha forgiato il concetto di 'tarda antichità' per indicare in maniera 'neutra' gli anni dal III al IX secolo. A lungo quell’epoca venne considerata spregiativamente: perché tale ostracismo?
«Dobbiamo candidamente ammettere che abbiamo creato una 'età del buio' per sentirci superiori rispetto al passato. Il crollo dell’Impero romano, visto come lo stadio finale di un collasso, fu inventato dagli uomini del Rinascimento che volevano sentirsi migliori dei predecessori: poi è diventato un mito illuministico.
Oggi abbiamo perso questa superiorità, possiamo parlare della caduta di imperi in Cina e in India senza considerare un incubo tutto ciò. Personalmente, durante i miei studi son sempre rimasto colpito dal fatto che l’Impero romano cambiava continuamente: il cristianesimo era diventato religione di Stato, la posizione dell’imperatore mutava lungo le epoche… La drammatica fine dell’Impero non va messa sotto il segno del 'declino': si tratta di qualcosa di normale nella storia. Il 'secolo d’oro' è l’eccezione, la storia normale è 'grigia'».
Lei ha analizzato storicamente personaggi come Bonifacio e Cassiodoro: figure che parlano ancora all’oggi?
«Certamente, molto più nel nuovo millennio rispetto al Novecento.
Oggi si usa il termine 'infrastruttura cibernetica' per indicare l’asse portante della civiltà attuale.
Ebbene, chi ha costruito i programmi dei computer? Un nuovo Dante o Agostino? No, ma persone umili in laboratori di ricerca. Nella nostra civiltà tecnica abbiamo la sensibilità per capire cosa significa creare un’'infrastruttura della cultura', cui si dedicarono Cassiodoro e Bonifacio, autori di trattati di ortografia e grammatica. Essi non si sentivano gli ultimi salvatori di un’epoca, si pensavano come dei modernizzatori: Cassiodoro è uno dei primi ad usare il termine 'moderno'».
Nell’era di internet che valore ha il lavoro dello storico?
«C’è il rischio di perdere una certa sensibilità verso il particolare, ma a me la cibernetica ha aperto orizzonti immensi. Ad esempio, nel 1992 vennero scoperti ventisei sermoni inediti di Agostino.
Attraverso l’informatica sono stati identificati nel giro di un anno soltanto: nel Novecento ci avremmo impiegato cinquant’anni! Sto sistematizzando tutta la letteratura cristiana siriaca del mondo, così da poter raggiungere con un solo sistema dati sparsi in India, Cina, Africa e Medio Oriente».
Laicità e religioni in Europa: è ormai assodata l’estromissione delle 'radici cristiane' dalla Carta. Quale ruolo vede per le tradizioni europee nel futuro del continente?
«Io preferisco un domani laico rispetto ad una mitologia. Mi spiego: oggi abbiamo creato un concetto di laicità troppo unilaterale e 'sottile'. E lo dico in senso negativo. Io voglio difendere la tolleranza, cioè il sentire che ci sono anche gli 'altri' nel mondo.
Certo, c’è una tendenza antireligiosa in Europa che proviene dalle classi liberali, le quali si sentono superiori alla gente normale dopo aver considerato per decenni i musulmani come persone ignoranti. Oggi vedo due pericoli: da un lato, quel laicismo che guarda il mondo religioso con disprezzo, e così cade in contraddizione. Dall’altro, esiste il tentativo di rendere monolitica una tradizione, quella cristiana, che, invece, è universale per sua stessa natura. Ha ragione Benedetto XVI quando dice che l’Occidente è 'diventato cristiano'. L’equazione 'cristiano=occidentale', storicamente, è una bestemmia».
Avvenire, 9 Ottobre 2009 - LA POLEMICA - «Rifare» la Sindone? Provateci - Bruno Barberis - Ormai è un ritornello che si ripete regolarmente. Ogni volta che viene indetta un’ostensione della Sindone assistiamo, nei mesi che la precedono, ad una serie di scoperte presentate come sensazionali che dimostrerebbero che la Sindone è un falso realizzato con le tecniche più svariate, ovviamente in epoca medioevale.
Già all’inizio dell’estate è giunta dagli Stati Uniti la notizia che la Sindone sarebbe l’autoritratto di Leonardo realizzato dal genio toscano in una vera e propria camera oscura utilizzando un busto con le proprie fattezze che avrebbe lasciato l’impronta su di un telo trattato con chiara d’uovo e gelatina: in pratica l’invenzione della fotografia sarebbe da far retrocedere di quasi 400 anni! E fino ad ora non ne sapevamo nulla! A questa ipotesi se ne è immediatamente aggiunta un’altra (in realtà proposta già da tempo) che sostiene che l’immagine della Sindone è facilmente realizzabile con un pirografo. Una trentina di anni fa un medico barese affermò di essere riuscito ad ottenere un’impronta simile a quella della Sindone sfruttando l’energia termica generata da un bassorilievo riscaldato. E si potrebbe proseguire a lungo con l’elenco di tali teorie.
Ora è la volta di un chimico di Pavia che, secondo le notizie riportate da alcuni quotidiani, sostiene di aver realizzato anche lui un’impronta identica a quella della Sindone usando come matrici il corpo di un suo assistente e un calco in gesso e utilizzando ocra rossiccia, tempera liquida, acido solforico e alluminato di cobalto. Non ho nessun motivo per dubitare della cura e della professionalità con cui tali manufatti sono stati realizzati, ma nutro forti perplessità che possano essere seriamente messi a confronto con la Sindone e la sua immagine. Non è sufficiente ottenere un’immagine che ad un esame visivo appaia simile a quella presente sulla Sindone. Forse fino ad alcuni decenni fa sarebbe stato sufficiente, oggi non più.
L’immagine della Sindone e le cosiddette "macchie ematiche" visibili sul telo sono state studiate in modo approfondito soprattutto in seguito alla campagna di raccolta di dati e di campioni effettuata sulla Sindone dall’8 al 13 ottobre 1978. I risultati dell’analisi di tali dati sono stati resi noti dagli scienziati che parteciparono alla ricerca in decine di articoli pubblicati su prestigiose riviste scientifiche internazionali. In particolare gli scienziati statunitensi appartenenti allo Sturp (Shroud of Turin Research Project) effettuarono una serie di esami (spettroscopia nel visibile e nell’ultravioletto per riflettanza e per fluorescenza, spettroscopia ai raggi X e IR, spettroscopia di massa, termografia infrarossa, radiografia, ecc.) sia sulle zone interessate dall’immagine sia sulle zone ematiche, accertando l’assoluta mancanza sul lenzuolo di pigmenti e coloranti e dimostrando inoltre che l’immagine corporea è assente al di sotto delle macchie ematiche (e dunque si è formata successivamente ad esse) e che è dovuta ad un’ossidazione-disidratazione della cellulosa delle fibre superficiali del tessuto con formazione di gruppi carbonilici coniugati.
Tale alterazione è rilevabile solo superficialmente per una profondità di circa 40 micrometri (ossia 4 centesimi di millimetro). È stato inoltre dimostrato che la colorazione delle fibre nelle zone dell’immagine è uniforme e le variazioni di intensità dell’immagine sono dovute al numero di fibre colorate per unità di superficie. Nelle zone ematiche è stata evidenziata la presenza di anelli porfirinici e le stesse zone hanno dato luogo a reazioni di immunofluorescenza tipiche del sangue umano di gruppo AB. E molte altre ancora sono le caratteristiche dell’immagine evidenziate dalle analisi effettuate dopo gli esami del 1978.
È pertanto evidente che per poter affermare di aver ottenuto (non importa con quale tecnica o metodo) un’immagine identica a quella sindonica è indispensabile effettuare su di essa le stesse analisi fatte sulla Sindone ed ottenere tutti gli stessi identici risultati. Invito pertanto coloro che intendono cimentarsi con tali esperimenti a effettuare sulle immagini da loro ottenute tali analisi, pubblicando su riviste scientifiche i relativi risultati.
Mi risulta che fino ad ora tutte le teorie proposte, pur interessanti di per sé, sono sempre risultate carenti o perché non sono state correlate da verifiche sperimentali serie o perché tali verifiche hanno evidenziato sulle immagini ottenute caratteristiche fisico-chimiche molto diverse da quelle possedute dall’immagine sindonica.
Bruno Barberis
Durante il Sinodo, una religiosa del Ruanda testimonia la riconciliazione - La suora ha perso la sua famiglia nel genocidio ruandese - di Carmen Elena Villa
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 9 ottobre 2009 (ZENIT.org).- La testimonianza di suor Geneviève Uwamariya, della comunità di Santa Maria di Namur in Ruanda, ha fatto rabbrividire questa mattina i presenti nell'Aula del Sinodo.
Suor Geneviève ha perso il padre e vari familiari durante il genocidio avvenuto nel Paese nel 1994, uno degli episodi più sanguinosi del XX secolo, in cui da aprile a luglio è stato massacrato sistematicamente un numero di persone che oscilla tra 800.000 e 1.701.000.
La religiosa ha voluto condividere un'esperienza personale avvenuta tre anni dopo questa tragedia che, secondo lei, ha cambiato la sua vita e mostra come si deve vivere la riconciliazione in un continente ferito da violenza, crude violazioni dei diritti umani e innumerevoli problemi sociali.
La suora ha ricordato che il 27 agosto 1997, attraverso un gruppo della Divina Misericordia, ha incontrato a Kybuye, il suo villaggio di origine, un gruppo di prigionieri, vari dei quali autori materiali del genocidio.
L'obiettivo dell'incontro era prepararli al Giubileo del 2000. Durante l'incontro, la suora disse: "Se sei stato vittima offri il perdono e perdona chi ti ha ferito", dicendo che solo così la vittima si sarebbe liberata dal carico di rancore e il criminale dal peso di aver commesso il male.
"Subito un prigioniero si alzò chiedendo misericordia", ha raccontato la religiosa. "Sono rimasta pietrificata riconoscendo l'amico di famiglia che era cresciuto con noi".
"Mi ha confessato di aver ucciso mio padre. Mi ha descritto i dettagli della morte dei miei cari", ha aggiunto. La suora lo ha abbracciato e gli ha detto: "Sei e continuerai ad essere mio fratello".
Suor Geneviève ha confessato di aver sentito che le era stato "tolto un peso". "Ho ritrovato la pace interiore e ho ringraziato la persona che avevo tra le braccia".
Con sua grande sorpresa, ha sentito quell'uomo gridare: "La giustizia può fare il suo corso e mi potrà condannare a morte, ma ora sono libero!".
"Anch'io volevo gridare a chi mi voleva ascoltare; 'Anche tu puoi ritrovare la pace interiore!'", ha rivelato.
Da quel momento, suor Geneviève Uwamariya si incarica di portare la posta dalle carceri per chiedere perdono ai sopravvissuti. In questo modo sono state distribuite 500 lettere, e con alcune risposte che hanno ricevuto molti prigionieri hanno recuperato l'amicizia con le vittime e hanno sperimentato il vero perdono.
Ciò ha fatto sì che le vittime si riuniscano. "Sono azioni che sono servite affinché molti vivessero la riconciliazione", ha testimoniato.
Suor Geneviève ha affermato che il suo popolo è pieno di vedove e orfani e che dal 1994 è stato ricostruito dai prigionieri. Nelle parrocchie del Ruanda sono nate molte associazioni di ex carcerati e sopravvissuti, e funzionano bene.
"Da questa esperienza deduco che la riconciliazione non è solo voler riunire due persone o gruppi in conflitto", ha spiegato. "Si tratta di 'insediare' in ciascuno l'amore e di lasciare che avvenga la guarigione interiore, che permette la liberazione".
"Per questo - ha concluso - la Chiesa è importante nei nostri Paesi, perché può offrire una parola che cura, libera e riconcilia".
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
S. E. Card. Carlo Caffarra - Convegno "Materna Day" - Sala Farnese, 26 settembre 2009 - Testo deregistrato non rivisto dall’autore
Ringrazio il signor Sindaco dell’ospitalità che ci ha dato per una iniziativa così importante per la società civile bolognese e che, come sappiamo, si compone di due momenti: il convegno di oggi e il festoso raduno che avrà luogo giovedì prossimo, 1 ottobre, nella nostra bellissima Piazza Maggiore.
Articolerò il mio intervento in due parti: nella prima mi propongo di definire il concetto di educazione e di chiarire la natura dell’impegno educativo della Chiesa; nella seconda risponderò alla domanda: "perché una Carta Formativa della scuola cattolica?".
I – Che cos’è l’educazione
"E poi che la sua mano alla mia puose / con lieto volto, ond’io mi confortai, / mi mise dentro a le segrete cose." (D. ALIGHIERI, Inferno, III, vv. 19-21).
Dante comincia così il viaggio che lo porta dalle profondità della tragedia umana fino alla suprema beatitudine dell’incontro con il volto di Dio. Una mano si è posta nella sua: questo lo ha confortato a iniziare un viaggio, e colui che ha posto la mano nella sua lo introduce "a le segrete cose", dentro al mistero. Questa è per me la migliore definizione che si possa dare dell’educazione, la più compiuta descrizione dell’atto educativo.
Questo è ciò che fanno ogni giorno i nostri insegnanti nelle scuole materne. Ciò che Virgilio ha fatto con Dante essi fanno ogni giorno, con ciascun bambino. Mettono la loro mano nella mano del bambino, con lieto volto (anche quando i bambini li fanno arrabbiare!), così che il bambino ne resta confortato, e lo introducono dentro al mistero della vita.
In questa situazione riconosciamo tre elementi fondamentali dell’atto educativo. 1) "Mi mise dentro a le segrete cose": educare è introdurre il bambino dentro la realtà, introdurlo cioè dentro alla vita, anche nei suoi aspetti più enigmatici. 2) "La sua mano alla mia puose": ciò accade attraverso un rapporto di profonda amicizia, di compagnia, di condivisione dello stesso destino, come ho scritto nella Carta Formativa. Mano nella mano: è la compagnia educativa. 3) "Ond’io mi confortai": il rapporto educativo è una compagnia che genera sicurezza nel bambino, in colui che è appena arrivato dentro questa realtà.
La Chiesa è sempre stata consapevole di avere una grande capacità educativa: questa consapevolezza emerge soprattutto nei grandi momenti di crisi delle civiltà. A questo proposito c’è un riferimento quasi d’obbligo, che si fa sempre perché risponde a verità: pensate alla grande proposta educativa di Benedetto da Norcia. Profondamente consapevole della propria capacità educativa, la Chiesa ha sentito il dovere di creare luoghi in cui questa capacità potesse essere messa a disposizione della persona umana. Uno di questi luoghi fondamentali, come dico nella Carta, è l’istituzione scolastica. Non a caso proprio qui, nella nostra città di Bologna, la Chiesa ha inventato l’Università.
La consapevolezza di saper educare e l’impegno a creare luoghi in cui questa capacità educativa fosse messa a disposizione delle persone hanno sempre accompagnato la Chiesa, che tuttavia non ha mai smesso di sentirsi, in quanto istituzione educativa, al servizio di un’altra istituzione della quale riconosce il primato nel campo dell’educazione: la famiglia. Mai la Chiesa ha pensato di sostituirsi alla famiglia. Un segno di rispetto per il ruolo educativo della famiglia è l’antichissima norma canonica, ancora vigente, che proibisce di dare il battesimo a un bambino se i genitori non lo richiedono esplicitamente.
La consapevolezza diventa particolarmente acuta, e l’impegno nel servizio si fa particolarmente urgente, quando si attraversano momenti di crisi. Noi oggi viviamo uno di questi momenti: stiamo infatti attraversando una crisi assolutamente unica, poiché sta accadendo un fatto che non era mai accaduto nella storia dell’Occidente. Si è interrotto e come spezzato il racconto della vita fra la generazione dei padri e la generazione dei figli. Dice il salmista rivolgendosi al Signore: "una generazione narra all’altra le tue opere, annunzia le tue meraviglie" (Sal 145, 4). C’è quindi una narrazione della vita che viene fatta dalla generazione dei padri alla generazione dei figli. Oggi è accaduta come una sorta di afasia: la generazione dei padri non è più capace, non si sente più in grado di continuare questa narrazione, con il risultato che la generazione dei figli si trova dispersa e disgregata in un deserto di senso che non ha precedenti nella storia dell’Occidente.
La consapevolezza di questa situazione pone alla Chiesa un dovere gravissimo: quello di fare oggi dell’educazione il suo primario, fondamentale impegno. Ne va della stessa vita della persona umana in questa condizione. Una fotografia di questa situazione si trova nel libro bianco La sfida educativa, presentato dal Comitato per il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana alcuni giorni orsono. Il desiderio di mettere a vostra disposizione una Carta Formativa della scuola cattolica per l’infanzia nasce in questo contesto, come è brevemente accennato nel Proemio del documento. In fondo si tratta di un impegno che deriva dalla natura stessa della Chiesa, a prescindere dal tempo storico: ma oggi è reso drammaticamente urgente dalla spaccatura che è intervenuta, a livello educativo, tra la generazione dei padri e la generazione dei figli.
II – Perché una Carta Formativa della scuola cattolica dell’infanzia?
Perché una Carta Formativa? Prima di rispondere a questa domanda vorrei rivolgere a tutti un grande ringraziamento per il lavoro svolto in vista della stesura di questo documento. Sono rimasto molto colpito, durante una visita pastorale in una piccola parrocchia dell’Appennino nella quale c’è una scuola materna, dall’atteggiamento delle maestre, che mi hanno detto, senza che io chiedessi niente, "anche noi abbiamo partecipato, abbiamo collaborato con i nostri genitori per preparare la Carta Formativa". È stata davvero una partecipazione corale: il vostro presidente mi ha portato un materiale molto ricco e già ordinato molto bene, cosa che mi ha fatto risparmiare un bel po’ di tempo. Perciò posso dire in piena verità che questa Carta l’avete scritta voi più che l’Arcivescovo! Di questo vi sono molto grato.
Perché allora questa Carta? Esporne le ragioni fondamentali significa allo stesso tempo far comprendere qual è la vera natura di questo documento.
Primo motivo. In una situazione come la nostra, di grave incertezza, è necessario riacquistare coscienza e fare chiarezza intorno alle ragioni ultime del nostro impegno educativo, alla direzione che questo impegno educativo deve avere, alle qualità che devono avere le fondamentali relazioni che il rapporto educativo istituisce, in primis quella con il bambino, con la sua famiglia, con le autorità civili, con l’autorità religiosa che gestisce la scuola. In un momento di incertezza, la prima esigenza è fare chiarezza: deve essere chiaro cosa vuole dire educare, cosa vuole dire fare una proposta educativa cristiana, in che modo ci dobbiamo muovere all’interno di una proposta educativa cristiana, che qualità devono avere le fondamentali relazioni che la proposta educativa crea. Quindi, perché la Carta Formativa? Per un bisogno di chiarezza in un momento di confusione e di grande smarrimento.
Secondo motivo, non meno serio. In una società sempre meno monolitica e sempre più plurale come la nostra, in una società abitata ormai da tante visioni del mondo e della realtà non raramente in contrasto tra loro, una grave insidia può mettere in pericolo il rapporto educativo. Io denomino questa insidia "rinuncia al principio di autorità". È un’insidia davvero grave, perché nello stesso momento in cui l’educatore abdica alla sua autorità il rapporto educativo è finito. Autorità in un rapporto educativo significa che si fa una proposta chiara, che questa proposta viene fatta sulla base di una testimonianza data da un educatore, per cui alla fine chi viene educato è come attratto da questa proposta, non costretto, e quindi decide liberamente se accettarla o no. Abdicare al principio di autorità è dunque un grave pericolo. Quando succede, il risultato sarà o il permissivismo o il dispotismo. In ambedue i casi si generano schiavi, non persone libere. Ora, di fronte alla situazione descritta in precedenza, di pluralità, di divisioni che convivono dentro la nostra società, a volte si cerca di evitare il rischio della perdita di autorevolezza con il ricorso all’ideologia dell’universalismo astratto. Per spiegare il significato di questa espressione mi servirò di un esempio. Tu la pensi in un modo, Tizio la pensa in un altro modo, Caio la pensa in un modo contrario e Sempronio la pensa in un modo contrario al primo e al secondo. Dal momento che dobbiamo convivere, cerchiamo un "minimo comune denominatore" che tutti condividiamo, e per il resto ciascuno tiene per sé le sue differenze. Il problema è determinare che cosa è il "comune denominatore", che proprio per poter essere "comune" diventa sempre più ridotto (con un’acrobazia linguistica potrei dire sempre più "minimo"). Alla fine si rischia che, per trovare qualcosa di comune, ci si accontenti di affermazioni puramente formali. L’importante è che ci si rispetti, l’importante è la tolleranza: così ci accordiamo su affermazioni talmente generiche che diventano puramente formali. Il risultato è una costruzione, una proposta su cui uno non gioca la vita perché non sa cosa comporti per le sue scelte, per l’essere della sua persona: un insieme di affermazioni così generiche che non possono essere oggetto di una vera proposta educativa. In questo senso ho parlato di "universalismo astratto". Qual è invece la via giusta? Ciascun soggetto capace di fare una proposta educativa seria la faccia. E la faccia nella massima chiarezza. Solo così si costruisce una vera pluralità di proposte, che viene offerta alla libera scelta delle persone. Ma la libertà di scelta non può essere solo un’enunciazione di principio, deve essere resa possibile nei fatti o non si tratta di vera libertà. Di fronte alla pluralità delle proposte, chi ha il potere di educare fa la sua libera scelta: questa è la vera società plurale, nella quale chiunque può dare il suo apporto in campo educativo. Vedete che stiamo parlando di qualcosa di grandioso, di una visione di grande respiro. E, all’opposto, vedete che la teoria dell’universalismo astratto è un’ideologia che viene imposta ma che in ultima analisi è contro la vita, è contraria all’esperienza quotidiana del vivere umano.
Qual è allora la seconda ragione della Carta Formativa? Perché, in una società plurale come la nostra, questa è la proposta educativa per l’infanzia fatta dalla Chiesa di Bologna. Una proposta fatta attraverso quello strumento così importante che è la scuola dell’infanzia. Dunque, la Carta Formativa non è espressione di una volontà di dominio: al contrario, una vera pluralità di proposte esige che il progetto educativo della Chiesa in Bologna, per ciò che riguarda la scuola dell’infanzia, sia estremamente chiaro. Da questo punto di vista, sono fondamentali i primi 3 articoli della Carta, che vi prego di leggere attentamente, anche assieme ai vostri gestori.
Conclusione
Ho detto che cos’è l’educazione, definendola a partire dai versi di Dante; quindi ho risposto alla domanda: "perché una Carta Formativa della scuola cattolica?". Vorrei ora concludere con due brevi riflessioni.
Prima riflessione conclusiva. Questa Carta Formativa in un certo senso ha come destinatario le famiglie. In fondo la Chiesa dice a ciascuna famiglia: "vuoi essere aiutata da me Chiesa ad aiutare i tuoi bambini? Se sì, io lo farò in questo modo". La Carta è dunque un aiuto alle famiglie.
Seconda riflessione conclusiva. La Carta è un aiuto per gli insegnanti, che in essa trovano il quadro generale entro cui muoversi per iniziare il grande viaggio: mano nella mano, introdurre il bimbo "dentro a le segrete cose".
Un’ultima considerazione, di non minore importanza. Avrete notato un particolare: la Carta è stata firmata l’8 settembre. È una festa molto cara alla Chiesa e al popolo cristiano: la Natività di Maria, chiamata anche la festa di Maria Bambina. Ho volutamente apposto la mia firma nel pomeriggio dell’8 settembre, nel mio studio di Villa Revedin, perché volevo mettere tutti i bambini - dico proprio tutti, che frequentino o meno la scuola cattolica -, volevo mettere tutti i genitori e gli insegnanti sotto la protezione di Colei che ebbe l’incredibile compito: il compito di educare in umanità il Figlio stesso di Dio.