martedì 22 dicembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: il Natale non è un racconto per bambini - I cristiani siano "messaggeri di pace", chiede - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 20 dicembre 2009 (ZENIT.org).- "Oggi, come ai tempi di Gesù, il Natale non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell'umanità in cerca della vera pace".
2) Consapevole o ignaro, l'uomo è al cospetto di Dio - Il direttore de “L'Osservatore Romano” commenta il messaggio papale alla Curia
3) "Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire un cortile dei gentili..." - Era il cortile del tempio di Gerusalemme per i non ebrei. Benedetto XVI l'ha preso a simbolo del dialogo con i lontani dalla religione, nei quali tener desta la ricerca di Dio. I passi chiave del suo discorso di Natale alla curia romana - di Sandro Magister
4) Il testo integrale del discorso, nel sito del Vaticano: La solennità del Santo Natale... - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 21 dicembre 2009
5) IL CASO/ Lo sapevate? Per "Science" è meglio sacrificare gli uomini anziché gli animali - Emanuele Ortoleva martedì 22 dicembre 2009 – ilsussidiario.net

Benedetto XVI: il Natale non è un racconto per bambini - I cristiani siano "messaggeri di pace", chiede - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 20 dicembre 2009 (ZENIT.org).- "Oggi, come ai tempi di Gesù, il Natale non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell'umanità in cerca della vera pace".

Lo ha affermato questa domenica Benedetto XVI introducendo la recita della preghiera mariana dell'Angelus con i pellegrini riuniti in Piazza San Pietro.

Commentando le letture di questa quarta domenica di Avvento, e soprattutto il brano del profeta Michea che tratta della venuta del Messia, il Papa ha spiegato che il Natale è una "profezia di pace per ogni uomo".

Questa profezia impegna i cristiani "a calarsi nelle chiusure, nei drammi, spesso sconosciuti e nascosti, e nei conflitti del contesto in cui si vive, con i sentimenti di Gesù, per diventare ovunque strumenti e messaggeri di pace, per portare amore dove c'è odio, perdono dove c'è offesa, gioia dove c'è tristezza e verità dove c'è errore, secondo le belle espressioni di una nota preghiera francescana".

Dio "sarà la pace", ha aggiunto. "A noi spetta aprire, spalancare le porte per accoglierlo. Impariamo da Maria e Giuseppe: mettiamoci con fede al servizio del disegno di Dio. Anche se non lo comprendiamo pienamente, affidiamoci alla sua sapienza e bontà. Cerchiamo prima di tutto il Regno di Dio, e la Provvidenza ci aiuterà".

In particolare, si è riferito alla situazione della Terra Santa e di Betlemme, la città natale di Gesù, "una città-simbolo della pace, in Terra Santa e nel mondo intero".

"Purtroppo, ai nostri giorni, essa non rappresenta una pace raggiunta e stabile, ma una pace faticosamente ricercata e attesa", ha riconosciuto.

Ad ogni modo, ha sottolineato il Pontefice, Dio "non si rassegna mai a questo stato di cose, perciò anche quest'anno, a Betlemme e nel mondo intero, si rinnoverà nella Chiesa il mistero del Natale".


Consapevole o ignaro, l'uomo è al cospetto di Dio - Il direttore de “L'Osservatore Romano” commenta il messaggio papale alla Curia
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 21 dicembre 2009 (ZENIT.org).- La preoccupazione principale di Benedetto XVI è testimoniare che l'uomo, consapevolmente o meno, è al cospetto di Dio.

E' il commento del direttore de “L'Osservatore Romano”, Giovanni Maria Vian, al discorso di Benedetto XVI ai membri della Curia Romana e del Governatorato per la presentazione degli auguri natalizi, pronunciato questo lunedì mattina nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano.

Vian ha ricordato che il Vescovo di Roma ha riletto l'anno che sta per finire “in una luce che può sorprendere ma che è l'unica vera, e cioè 'al cospetto di Dio'”.

“Il Papa ha scelto i tre grandi viaggi internazionali dell'anno - in Africa, in Terra Santa, nel cuore dell'Europa - per svolgere una riflessione sull'essere umano che, consapevole o ignaro, sta appunto davanti a Dio”, ha spiegato riferendosi alle visite in Camerun e Angola, in Terra Santa e nella Repubblica Ceca.

“Il Papa coglie l'essenziale, senza però attenuare un realismo attento che troppo spesso manca a governanti e politici”, ha dichiarato Vian, osservando che questo realismo è “la principale caratteristica dell'Enciclica Caritas in Veritate, così come lo è stato dell'assemblea sinodale, che tuttavia non si è arrogata competenze politiche improprie”.

A suo avviso, “l'essenziale sta nel fatto che il cielo non è più chiuso e che Dio è vicino”. Per questo, ha constatato, “i cattolici africani vivono ogni giorno il senso della sacralità, hanno accolto il primato pontificio come evidente 'punto di convergenza per l'unità della Famiglia di Dio' e celebrano liturgie gioiose e composte che hanno richiamato a Benedetto XVI la sobria ebrietas cara al misticismo antico, giudaico e cristiano”.

Il direttore del quotidiano vaticano prosegue ricordando l'importanza che Benedetto XVI attribuisce alla riconciliazione, che “è quella urgente in Africa come in ogni altra società, secondo un processo che può trarre esempio da quello avviato in Europa dopo la tragedia dell'ultima guerra mondiale”.

La riconciliazione, aggiunge, “si realizza, prima di tutto, nel sacramento della penitenza, in gran parte scomparso nelle abitudini dei cristiani perché si è perduta 'la veracità nei confronti di noi stessi e di Dio', mettendo a rischio l'umanità e la capacità di pace”.

Di fronte al male, sottolinea, “bisogna restare vigili”, ed è per questo che secondo lui il Papa è tornato nel suo discorso sulla “sconvolgente” visita compiuta allo Yad Vashem di Gerusalemme, il Memoriale che ricorda “lo sterminio di sei milioni di ebrei e la volontà di cacciare dal mondo il Dio di Abramo e di Gesù”.

L'immagine “che più colpisce e che resterà di questo grande discorso papale”, però, è quella del “cortile dei gentili”, riservato nel Tempio di Gerusalemme ai pagani che volevano pregare l'unico Dio e che Gesù volle sgomberare da chi l'aveva trasformato in “un covo di ladri”.

“A imitazione di Cristo anche oggi - ha detto Benedetto XVI - la Chiesa dovrebbe aprire uno spazio per tutti i popoli e per quanti conoscono Dio da lontano o per i quali è sconosciuto o estraneo”, conclude Vian. “Per aiutarli ad 'agganciarsi a Dio', al cui cospetto sta ogni creatura umana”.


"Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire un cortile dei gentili..." - Era il cortile del tempio di Gerusalemme per i non ebrei. Benedetto XVI l'ha preso a simbolo del dialogo con i lontani dalla religione, nei quali tener desta la ricerca di Dio. I passi chiave del suo discorso di Natale alla curia romana - di Sandro Magister
ROMA, 21 dicembre 2009 – Augurando stamane un felice Natale alla curia romana, Benedetto XVI si è rivolto in realtà all'intera Chiesa e al mondo. Come già negli anni precedenti, anche questa volta nel discorso prenatalizio alla curia – integralmente scritto di suo pugno – egli ha voluto dare evidenza alle linee maestre del suo pontificato.

Nel 2005 il fuoco del discorso fu l'interpretazione e l'attuazione del Concilio Vaticano II, così come il rapporto tra continuità e rinnovamento, nella Chiesa:

> Papa Ratzinger certifica il Concilio. Quello vero

Nel 2006 il papa pose al centro la questione su Dio. Inoltre, prendendo spunto dal suo viaggio a Istanbul, formulò nel modo più chiaro la sua visione del rapporto con l'islam, proponendo al mondo musulmano quel percorso già compiuto dal cristianesimo sotto la sfida dell'Illuminismo:

> Bilancio di quattro viaggi. E di un anno di pontificato

Nel 2007 Benedetto XVI mise a fuoco l'urgenza per la Chiesa di porsi in stato di missione con tutti i popoli della terra:

> Sorpresa: il papa porta la curia in Brasile

Nel 2008 richiamò l'attenzione sulla più "dimenticata" delle persone della divina trinità, lo Spirito Santo "creatore", la cui impronta è nella struttura ordinata del cosmo e dell'uomo, da ammirare e rispettare:

> "Veni Creator Spiritus". Per una ecologia dell'uomo

Quest'anno Benedetto XVI ha di nuovo preso spunto dai suoi ultimi viaggi, in particolare quelli in Africa, in Terra Santa e nella Repubblica Ceca, per ricavarne lezioni originali e, a tratti, sorprendenti.

In Camerun e in Angola il papa ha detto d'aver assistito a una vera "festa della fede". E ha proposto come esempio per tutta la Chiesa la gioia popolare e insieme la forte sacralità orientata a Dio che là ha visto magnificamente espresse nelle celebrazioni liturgiche.

Ancora a proposito dell'Africa – alla quale è stato dedicato un sinodo lo scorso ottobre – il papa ha insistito sulla peculiarità dell'azione della Chiesa a servizio della politica. Questa peculiarità l'ha indicata nella "riconciliazione" che nasce da Dio e si attua tra gli uomini anche attraverso il sacramento che porta questo nome, un sacramento caduto in disuso, ma che egli vorrebbe riviva proprio come "sacramento dell’umanità in quanto tale".

Circa il viaggio in Terra Santa, Benedetto XVI ha insistito sulla sua visita a Yad Vashem, simbolo del più profondo abisso dell'uomo e della massima lontananza da Dio, dove però Cristo è disceso a portare luce e vita, non nel mito ma nella realtà.

E infine, prendendo spunto dal viaggio nella Repubblica Ceca, un paese con una maggioranza di agnostici e di atei, Joseph Ratzinger ha lanciato una nuova evangelizzazione rivolta proprio ai lontani da Dio. Come nell'antico tempio di Gerusalemme, il papa ha proposto alla Chiesa di aprire per loro "una sorta di cortile dei gentili", ove tener desta la ricerca e la sete di lui.

Ecco qui di seguito quattro passaggi salienti del discorso prenatalizio rivolto da Benedetto XVI alla curia romana la mattina di lunedì 21 dicembre 2009:



1. IN CAMERUN E ANGOLA. LA FESTA DELLA FEDE


Era commovente per me sperimentare la grande cordialità con cui il successore di Pietro, il "Vicarius Christi", veniva accolto. La gioia festosa e l’affetto cordiale, che mi venivano incontro su tutte le strade, non riguardavano, appunto, semplicemente un qualsiasi ospite casuale. Nell’incontro col papa si rendeva sperimentabile la Chiesa universale, la comunità che abbraccia il mondo e che viene radunata da Dio mediante Cristo. [...] Proprio Lui è in mezzo a noi: questo abbiamo percepito attraverso il ministero del successore di Pietro. Così eravamo elevati al di sopra della semplice quotidianità. Il cielo era aperto, e questo è ciò che fa di un giorno una festa. Ed è al contempo qualcosa di duraturo. Continua ad essere vero, anche nella vita quotidiana, che il cielo non è più chiuso; che Dio è vicino; che in Cristo tutti ci apparteniamo a vicenda.

In modo particolarmente profondo si è impresso nella mia memoria il ricordo delle celebrazioni liturgiche. Le celebrazioni della santa eucaristia erano vere feste della fede. Vorrei menzionare due elementi che mi sembrano particolarmente importanti. C’era innanzitutto una grande gioia condivisa, che si esprimeva anche mediante il corpo, ma in maniera disciplinata ed orientata dalla presenza del Dio vivente. Con ciò è già indicato il secondo elemento: il senso della sacralità, del mistero presente del Dio vivente plasmava, per così dire, ogni singolo gesto. Il Signore è presente, il Creatore, Colui al quale tutto appartiene, dal quale noi proveniamo e verso il quale siamo in cammino. In modo spontaneo mi venivano in mente le parole di san Cipriano, che nel suo commento al Padre Nostro scrive: "Ricordiamoci di essere sotto lo sguardo di Dio rivolto su di noi. Dobbiamo piacere agli occhi di Dio, sia con l’atteggiamento del nostro corpo che con l’uso della nostra voce" ("De dominica oratione" 4 CSEL III 1 p. 269). Sì, questa consapevolezza c’era: noi stiamo al cospetto di Dio. Da questo non deriva paura o inibizione, neppure un’obbedienza esteriore alle rubriche e ancor meno un mettersi in mostra gli uni davanti agli altri o un gridare in modo indisciplinato. C’era piuttosto ciò che i Padri chiamavano "sobria ebrietas": l’essere ricolmi di una gioia che comunque rimane sobria ed ordinata, che unisce le persone a partire dall’interno, conducendole nella lode comunitaria di Dio, una lode che al tempo stesso suscita l’amore del prossimo, la responsabilità vicendevole.


2. SINODO SULL'AFRICA. IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE


Il sinodo si era proposto il tema: la Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. È questo un tema teologico e soprattutto pastorale di un’attualità scottante, ma poteva essere anche frainteso come un tema politico. [...] Sono riusciti i padri sinodali a trovare la strada piuttosto stretta tra una semplice teoria teologica ed un’immediata azione politica, la strada del "pastore"? [...] Riconciliazioni sono necessarie per una buona politica, ma non possono essere realizzate unicamente da essa. Sono processi pre-politici e devono scaturire da altre fonti.

Il Sinodo ha cercato di esaminare profondamente il concetto di riconciliazione come compito per la Chiesa di oggi, richiamando l’attenzione sulle sue diverse dimensioni. La chiamata che san Paolo ha rivolto ai Corinzi possiede proprio oggi una nuova attualità. "In nome di Cristo siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio!" (2 Corinzi 5, 20). Se l’uomo non è riconciliato con Dio, è in discordia anche con la creazione. Non è riconciliato con se stesso, vorrebbe essere un altro da quel che è ed è pertanto non riconciliato neppure con il prossimo. Fa inoltre parte della riconciliazione la capacità di riconoscere la colpa e di chiedere perdono, a Dio e all’altro. E infine appartiene al processo della riconciliazione la disponibilità alla penitenza, la disponibilità a soffrire fino in fondo per una colpa e a lasciarsi trasformare. E ne fa parte la gratuità, di cui l’enciclica "Caritas in veritate" parla ripetutamente: la disponibilità ad andare oltre il necessario, a non fare conti, ma ad andare al di là di ciò che richiedono le semplici condizioni giuridiche. Ne fa parte quella generosità di cui Dio stesso ci ha dato l’esempio.

Pensiamo alla parola di Gesù: "Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Matteo 5, 23s.). Dio che sapeva che non siamo riconciliati, che vedeva che abbiamo qualcosa contro di lui, si è alzato e ci è venuto incontro, benché Egli solo fosse dalla parte della ragione. Ci è venuto incontro fino alla croce, per riconciliarci. Questa è gratuità: la disponibilità a fare il primo passo. Per primi andare incontro all’altro, offrirgli la riconciliazione, assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione. Non cedere nella volontà di riconciliazione: di questo Dio ci ha dato l’esempio, ed è questo il modo per diventare simili a lui, un atteggiamento di cui sempre di nuovo abbiamo bisogno nel mondo.

Dobbiamo oggi apprendere nuovamente la capacità di riconoscere la colpa, dobbiamo scuoterci di dosso l’illusione di essere innocenti. Dobbiamo apprendere la capacità di far penitenza, di lasciarci trasformare; di andare incontro all’altro e di farci donare da Dio il coraggio e la forza per un tale rinnovamento. In questo nostro mondo di oggi dobbiamo riscoprire il sacramento della penitenza e della riconciliazione. Il fatto che esso in gran parte sia scomparso dalle abitudini esistenziali dei cristiani è un sintomo di una perdita di veracità nei confronti di noi stessi e di Dio; una perdita, che mette in pericolo la nostra umanità e diminuisce la nostra capacità di pace. San Bonaventura era dell’opinione che il sacramento della penitenza fosse un sacramento dell’umanità in quanto tale, un sacramento che Dio aveva istituito nella sua essenza già immediatamente dopo il peccato originale con la penitenza imposta ad Adamo, anche se ha potuto ottenere la sua forma completa solo in Cristo, che è personalmente la forza riconciliatrice di Dio e ha preso su di sé la nostra penitenza.


3. TERRA SANTA. LA DISCESA DI DIO NELL'ABISSO


La visita a Yad Vashem ha significato un incontro sconvolgente con la crudeltà della colpa umana, con l’odio di un’ideologia accecata che, senza alcuna giustificazione, ha consegnato milioni di persone umane alla morte e che con ciò, in ultima analisi, ha voluto cacciare dal mondo anche Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e il Dio di Gesù Cristo. Così questo è in primo luogo un monumento commemorativo contro l’odio, un richiamo accorato alla purificazione e al perdono, all’amore.

Proprio questo monumento alla colpa umana ha reso poi tanto più importante la visita ai luoghi della memoria della fede e ha fatto percepire la loro inalterata attualità. In Giordania abbiamo visto il punto più basso della terra, presso il fiume Giordano. Come si potrebbe non sentirsi richiamati alla parola della lettera agli Efesini, secondo cui Cristo è "disceso nelle regioni più basse della terra" (Efesini 4, 9). In Cristo Dio è disceso fin nell’ultima profondità dell’essere umano, fin nella notte dell’odio e dell’accecamento, fin nel buio della lontananza dell’uomo da Dio, per accendere lì la luce del suo amore. Egli è presente perfino nella notte più profonda: "anche negli inferi, eccoti"; questa parola del salmo 139 [138], 8 è diventata realtà nella discesa di Gesù.

Così l’incontro con i luoghi della salvezza nella chiesa dell’annunciazione a Nazaret, nella grotta della natività a Betlemme, nel luogo della crocifissione sul Calvario, davanti al sepolcro vuoto, testimonianza della risurrezione, è stato come un toccare la storia di Dio con noi. La fede non è un mito. È storia reale, le cui tracce possiamo toccare con mano. Questo realismo della fede ci fa particolarmente bene nei travagli del presente. Dio si è veramente mostrato. In Gesù Cristo Egli si è veramente fatto carne. Come risorto Egli rimane vero uomo, apre continuamente la nostra umanità a Dio ed è sempre il garante del fatto che Dio è un Dio vicino.


4. PRAGA. UN "CORTILE" PER CHI CERCA IL DIO IGNOTO


Anche le persone che si ritengono agnostiche o atee devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi. A Parigi ho parlato della ricerca di Dio come del motivo fondamentale dal quale è nato il monachesimo occidentale e, con esso, la cultura occidentale. Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde.

Mi viene qui in mente la parola che Gesù cita dal profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe essere una casa di preghiera per tutti i popoli (cfr. Isaia 56, 7; Marco 11, 17). Egli pensava al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio libero per i gentili che lì volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio. Spazio di preghiera per tutti i popoli: si pensava con ciò a persone che conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; che sono scontente con i loro dèi, riti, miti; che desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il "Dio ignoto" (cfr. Atti 17, 23). Essi dovevano poter pregare il Dio ignoto e così tuttavia essere in relazione con il Dio vero, anche se in mezzo ad oscurità di vario genere.

Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di "cortile dei gentili" dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto.

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Il testo integrale del discorso, nel sito del Vaticano: La solennità del Santo Natale... - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 21 dicembre 2009
Vivere il Natale: l’esperienza più straordinaria donata ad ogni uomo, solo che se ne colga il profondo valore e significato. Questi giorni sono stati carichi di incontri e di letture, di testimonianze e di provocazioni. A partire dalla notizia della firma per la beatificazione di Giovanni Paolo II, Pio XII e Popielusko (con altri grandi personaggi): col Natale è stata resa possibile la grandezza per l’uomo, l’eroicità nel quotidiano. Certo ci ha colpito anche l’ottusa incomprensione di certi media che hanno voluto far passare la beatificazione di Pio XII come trascinata (e nascosta) dalla grandezza di Giovanni Paolo II. Peccato che questi «estimatori» di Giovanni Paolo II siano tra coloro che in vita lo hanno deriso e sbeffeggiato! Ora si fanno passare tra i sostenitori accaniti, incapaci di riconoscere la grandezza del Papa precedente, che non sarebbe stato all’altezza dei compiti e carente quindi di quel coraggio che loro – i giornalisti in poltrona –avrebbero avuto da vendere. Antonio Socci parla, anche a questo proposito, dei mezzi di «distrazione» di massa: ma noi non vogliamo farci distrarre da costoro, né rapinare del diritto che abbiamo di riconoscere i santi che il Signore crea tra noi, e ci dona. Nessuno può dettarci le regole della santità, né i tempi che Dio stesso sceglie. Per fortuna, meglio, per grazia il Signore ha più fantasia di noi e sa creare capolavori attraverso la nostra povera umanità. E questi capolavori ci convincono del valore infinito della vita, e della fede nel Signore Gesù.
Nasce l’Uomo, con la U maiuscola, che dice che ogni uomo può diventare come Dio (vincendo la terribile tentazione di Adamo ed Eva). Un uomo che ha a cuore l’umanità che incontra, che riconosce il creato come casa da custodire, e che sente una reale responsabilità per i fratelli che incontra, a partire dai più deboli e piccoli.
Vogliamo offrire a quell’Uomo la nostra vita, il nostro lavoro, la gioia di comunicare, anche attraverso questo sito, la bellezza che è esperienza possibile. «Gesù aspettava la tua forma per entrare nell’inquietudine di ogni uomo»: che questa forma sia il nostro volto e la nostra libertà, e che sia accompagnata dal nugolo di testimoni che solo la Chiesa del Signore sa generare. Di loro, tutti loro, siamo fieri, e vogliamo portare la loro presenza in tutti i luoghi in cui ci troveremo.
Il Natale dell’uomo, del Dio fatto uomo, ci dia coraggio e fierezza, non dobbiamo chiedere il permesso a nessuno di essere noi stessi. La beatificazione di Popielusko ci ricorda che col Natale nasce anche la possibilità – drammatica – del martirio. Col Signore Gesù siamo pronti, nelle forme che lui sceglierà per i suoi fedeli.


IL CASO/ Lo sapevate? Per "Science" è meglio sacrificare gli uomini anziché gli animali - Emanuele Ortoleva martedì 22 dicembre 2009 – ilsussidiario.net
A volte eventi assolutamente indipendenti si trovano casualmente accostati di modo da indurre un osservatore a considerazioni che trascendono il senso dei singoli eventi.

La rivista Science è il pendant statunitense della britannica Nature, mostro sacro dell’informazione scientifica, che anche il cosiddetto uomo della strada - chissà perché quello della strada e non quello di casa - è obbligato a venerare: è scritto su Nature.

Sfogliando quindi l’ultimo numero di Science (11 dicembre 2009 Vol. 326) mi sono imbattuto in una di queste coincidenze.

Nella parte redazionale della rivista venivano riportate due notizie: a pagina 1464 si riportava, con abbondanza di particolari, come gli organi di governo dell’Oklahoma State University avessero bloccato un progetto di ricerca sul meccanismo di infezione dell’antrace e sui possibili metodi di cure e vaccinazione che prevedevano esperimenti su primati. Il progetto aveva già ottenuto un importante finanziamento governativo a livello federale e il parere favorevole del comitato dell’università stessa, incaricato di decidere sull’ammissibilità degli esperimenti sugli animali. Nonostante ciò il prorettore alla ricerca dell’università ha dichiarato di dover bloccare il progetto per proteggerla dagli attacchi degli animalisti e quindi il rettore ha deciso che «non si debba applicare l’eutanasia ai primati nel campus».

Due pagine dopo, con un non celato senso di sollievo, si dà la notizia che finalmente, dopo gli otto anni della presidenza Bush, l’Istituto Nazionale della Salute ha individuato 13 linee di cellule staminali embrionali umane ammissibili al finanziamento federale e che altre 27 linee sono prossime ad essere approvate.

Il commento è immediato: quello che, fatto sugli animali, è considerato pericoloso per le possibili reazioni del pubblico, viene entusiasticamente approvato, tra il consenso generale, se fatto sugli esseri umani.

Grande è la confusione sotto il cielo. Ma non da oggi. Chi ha ormai un’età non più verde potrebbe ricordare un analogo piccolo “incidente” giornalistico in Italia. Nei giorni immediatamente successivi al referendum per l’abrogazione della legge 194 sull’aborto, il Corriere della Sera, che si era particolarmente distinto nella propaganda contro l’abrogazione pubblicando articoli e appelli di numerosi (soliti) bei nomi delle arti, delle lettere etc., pubblicava un altro appello contro l’abbattimento di un canile per randagi in cui l’elenco dei firmatari si sovrapponeva in gran parte con l’elenco dei nomi citati. C’era solo un particolare curioso: il linguaggio usato per difendere i cani era esattamente lo stesso usato dagli esecrati, retrogradi sostenitori del referendum.

Ma tornando al numero di Science, le coincidenze non sono finite; a dispetto del fatto che - per restare a un esempio in campo scientifico - gli urti contemporanei di tre corpi sono considerati un evento raro.

Meno di due mesi fa, esattamente il 30 ottobre, è morto Claude Lévi-Strauss, il fondatore dell’antropologia strutturale, che nei suoi cent’anni di vita ha avuto una grande influenza non solo sull’antropologia ma un po’ su tutto il modo di concepire l’uomo e le sue attività anche superiori. Chiedendo perdono per il fatto di uscire dal mio campicello, mi permetto di far notare come da tale filone di pensiero nasca l’affermazione che, citando a memoria, afferma che la distinzione tra che cos’è uomo e che cosa non lo è si limita ad un fenomeno culturale e che quindi può variare nel tempo e tra società diverse: tout se tient per dirlo nella lingua di Lévi-Strauss.


giovedì 17 dicembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI riflette sul pensiero di Giovanni di Salisbury - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) Al Parlamento Europeo un altro attentato ad un cattolico - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 16 dicembre 2009
3) FEMMINISTE, MEDICI, POLITICI: A MICROFONI SPENTI ALTRE OPINIONI - «Fuori onda» sulla Ru486: quel che si pensa ma non si dice - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 17 dicembre 2009
4) il protagonista - In hospice la vita non si misura dalla «qualità» - di Marco Maltoni* - L’incontro del Papa domenica con i malati terminali dell’Hospice Fondazione Roma ha impresso un nuovo slancio a quanti operano nel settore, impegnati ad avvolgere chi soffre in una rete di dialogo, ascolto, comprensione. - Ecco cosa ha colto uno di loro in ciò che ha detto e fatto il Pontefice – Avvenire, 17 dicembre 2009
5) Ru486 - Cytotec, i conti non tornano - Il farmaco usato per l’espulsione dell’embrione nell’aborto chimico è iscritto nel prontuario come antiulcera e non può essere usato al di fuori della prescrizione Un problema ignorato dall’Aifa - di Ilaria Nava – Avvenire, 17 dicembre 2009

Benedetto XVI riflette sul pensiero di Giovanni di Salisbury - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 16 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI incontrando i fedeli e i pellegrini nell'aula Paolo VI per la tradizionale Udienza generale.

Continuando la catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, il Papa si è soffermato su Giovanni di Salisbury.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

oggi ci avviamo a conoscere la figura di Giovanni di Salisbury, che apparteneva a una delle scuole filosofiche e teologiche più importanti del Medioevo, quella della cattedrale di Chartres, in Francia. Anch’egli, come i teologi di cui ho parlato nelle settimane scorse, ci aiuta a comprendere come la fede, in armonia con le giuste aspirazioni della ragione, spinge il pensiero verso la verità rivelata, nella quale si trova il vero bene dell’uomo.

Giovanni nacque in Inghilterra, a Salisbury, tra il 1100 e il 1120. Leggendo le sue opere, e soprattutto il suo ricco epistolario, veniamo a conoscenza dei fatti più importanti della sua vita. Per circa dodici anni, dal 1136 al 1148, egli si dedicò agli studi, frequentando le scuole più qualificate dell’epoca, nelle quali ascoltò le lezioni di maestri famosi. Si recò a Parigi e poi a Chartres, l’ambiente che segnò maggiormente la sua formazione e di cui assimilò la grande apertura culturale, l’interesse per i problemi speculativi e l’apprezzamento per la letteratura. Come spesso accadeva in quel tempo, gli studenti più brillanti venivano richiesti da prelati e sovrani, per esserne stretti collaboratori. Questo accadde anche a Giovanni di Salisbury, che da un suo grande amico, Bernardo di Chiaravalle, fu presentato a Teobaldo, Arcivescovo di Canterbury - sede primaziale dell’Inghilterra -, il quale volentieri lo accolse nel suo clero. Per undici anni, dal 1150 al 1161, Giovanni fu segretario e cappellano dell’anziano Arcivescovo. Con infaticabile zelo, mentre continuava a dedicarsi allo studio, egli svolse un’intensa attività diplomatica, recandosi per dieci volte in Italia, con lo scopo esplicito di curare i rapporti del Regno e della Chiesa di Inghilterra con il Romano Pontefice. Fra l’altro, in quegli anni il Papa era Adriano IV, un inglese che ebbe con Giovanni di Salisbury una stretta amicizia. Negli anni successivi alla morte di Adriano IV, avvenuta nel 1159, in Inghilterra si creò una situazione di grave tensione tra la Chiesa e il Regno. Il re Enrico II, infatti, intendeva affermare la sua autorità sulla vita interna della Chiesa, limitandone la libertà. Questa presa di posizione suscitò le reazioni di Giovanni di Salisbury, e soprattutto la coraggiosa resistenza del successore di Teobaldo sulla cattedra episcopale di Canterbury, san Tommaso Becket, che per questo motivo andò in esilio, in Francia. Giovanni di Salisbury lo accompagnò e rimase al suo servizio, adoperandosi sempre per una riconciliazione. Nel 1170, quando sia Giovanni, sia Tommaso Becket erano già rientrati in Inghilterra, quest’ultimo fu assalito e ucciso all’interno della sua cattedrale. Morì da martire e come tale fu subito venerato dal popolo. Giovanni continuò a servire fedelmente anche il successore di Tommaso, fino a quando venne eletto Vescovo di Chartres, dove rimase dal 1176 al 1180, anno della sua morte.

Delle opere di Giovanni di Salisbury vorrei segnalarne due, che sono ritenute i suoi capolavori, designate elegantemente con i titoli greci di Metaloghicón (In difesa della logica) e il Polycráticus (L’uomo di Governo). Nella prima opera egli – non senza quella fine ironia che caratterizza molti uomini colti – respinge la posizione di coloro che avevano una concezione riduttiva della cultura, considerata come vuota eloquenza, inutili parole. Giovanni, invece, elogia la cultura, l’autentica filosofia, l’incontro cioè tra pensiero forte e comunicazione, parola efficace. Egli scrive: "Come infatti non solo è temeraria, ma anche cieca l’eloquenza non illuminata dalla ragione, così la sapienza che non si giova dell’uso della parola è non solo debole, ma in certo modo monca: infatti, anche se, talora, una sapienza senza parola può giovare a confronto della propria coscienza, raramente e poco giova alla società" (Metaloghicón 1,1, PL 199,327). Un insegnamento molto attuale. Oggi, quella che Giovanni definiva "eloquenza", cioè la possibilità di comunicare con strumenti sempre più elaborati e diffusi, si è enormemente moltiplicata. Tuttavia, tanto più rimane urgente la necessità di comunicare messaggi dotati di "sapienza", ispirati cioè alla verità, alla bontà, alla bellezza. È questa una grande responsabilità, che interpella in particolare le persone che operano nell’ambito multiforme e complesso della cultura, della comunicazione, dei media. Ed è questo un ambito nel quale si può annunciare il Vangelo con vigore missionario.

Nel Metaloghicón Giovanni affronta i problemi della logica, ai suoi tempi oggetto di grande interesse, e si pone una domanda fondamentale: che cosa può conoscere la ragione umana? Fino a che punto essa può corrispondere a quell’aspirazione che c’è in ogni uomo, cioè la ricerca della verità? Giovanni di Salisbury adotta una posizione moderata, basata sull’insegnamento di alcuni trattati di Aristotele e di Cicerone. Secondo lui, ordinariamente la ragione umana raggiunge delle conoscenze che non sono indiscutibili, ma probabili e opinabili. La conoscenza umana – questa è la sua conclusione - è imperfetta, perché soggetta alla finitezza, al limite dell’uomo. Essa, però, cresce e si perfeziona grazie all’esperienza e all’elaborazione di ragionamenti corretti e coerenti, in grado di stabilire rapporti tra i concetti e la realtà, grazie alla discussione, al confronto e al sapere che si arricchisce di generazione in generazione. Solo in Dio vi è una scienza perfetta, che viene comunicata all’uomo, almeno parzialmente, per mezzo della Rivelazione accolta nella fede, per cui la scienza della fede, la teologia, dispiega le potenzialità della ragione e fa avanzare con umiltà nella conoscenza dei misteri di Dio.

Il credente e il teologo, che approfondiscono il tesoro della fede, si aprono anche a un sapere pratico, che guida le azioni quotidiane, cioè alle leggi morali e all’esercizio delle virtù. Scrive Giovanni di Salisbury: "La clemenza di Dio ci ha concesso la sua legge, che stabilisce quali cose sia per noi utile conoscere, e che indica quanto ci è lecito sapere di Dio e quanto è giusto indagare… In questa legge, infatti, si esplicita e si rende palese la volontà di Dio, affinché ciascuno di noi sappia ciò che per lui è necessario fare" (Metaloghicón 4,41, PL 199,944-945). Esiste, secondo Giovanni di Salisbury, anche una verità oggettiva e immutabile, la cui origine è in Dio, accessibile alla ragione umana e che riguarda l’agire pratico e sociale. Si tratta di un diritto naturale, al quale le leggi umane e le autorità politiche e religiose devono ispirarsi, affinché possano promuovere il bene comune. Questa legge naturale è caratterizzata da una proprietà che Giovanni chiama "equità", cioè l’attribuzione a ogni persona dei suoi diritti. Da essa discendono precetti che sono legittimi presso tutti i popoli, e che non possono in nessun caso essere abrogati. È questa la tesi centrale del Polycráticus, il trattato di filosofia e di teologia politica, in cui Giovanni di Salisbury riflette sulle condizioni che rendono l’azione dei governanti giusta e consentita.

Mentre altri argomenti affrontati in quest’opera sono legati alle circostanze storiche in cui essa fu composta, il tema del rapporto tra legge naturale e ordinamento giuridico-positivo, mediato dall’equità, è ancor oggi di grande importanza. Nel nostro tempo, infatti, soprattutto in alcuni Paesi, assistiamo a uno scollamento preoccupante tra la ragione, che ha il compito di scoprire i valori etici legati alla dignità della persona umana, e la libertà, che ha la responsabilità di accoglierli e promuoverli. Forse Giovanni di Salisbury ci ricorderebbe oggi che sono conformi all’equità solo quelle leggi che tutelano la sacralità della vita umana e respingono la liceità dell’aborto, dell’eutanasia e delle disinvolte sperimentazioni genetiche, quelle leggi che rispettano la dignità del matrimonio tra un uomo e una donna, che si ispirano a una corretta laicità dello Stato – laicità che comporta pur sempre la salvaguardia della libertà religiosa –, e che perseguono la sussidiarietà e la solidarietà a livello nazionale e internazionale. Diversamente, finirebbe per instaurarsi quella che Giovanni di Salisbury definisce la "tirannia del principe" o, diremmo noi, "la dittatura del relativismo": un relativismo che, come ricordavo qualche anno fa, "non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie" (Missa pro eligendo Romano Pontifice, Omelia, "L’Osservatore Romano", 19 aprile 2005).

Nella mia più recente Enciclica. Caritas in veritate, rivolgendomi agli uomini di buona volontà, che si impegnano affinché l’azione sociale e politica non sia mai sganciata dalla verità oggettiva sull’uomo e sulla sua dignità, ho scritto: "La verità e l'amore che essa dischiude non si possono produrre, si possono solo accogliere. La loro fonte ultima non è, né può essere, l'uomo, ma Dio, ossia Colui che è Verità e Amore. Questo principio è assai importante per la società e per lo sviluppo, in quanto né l'una né l'altro possono essere solo prodotti umani; la stessa vocazione allo sviluppo delle persone e dei popoli non si fonda su una semplice deliberazione umana, ma è inscritta in un piano che ci precede, e che costituisce per tutti noi un dovere che deve essere liberamente accolto" (n. 52). Questo piano che ci precede, questa verità dell’essere dobbiamo cercare e accogliere, perché nasca la giustizia, ma possiamo trovarlo e accoglierlo solo con un cuore, una volontà, una ragione purificati nella luce di Dio.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Mi rivolgo ora ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dall’associazione "Fraternità", accompagnati dal Cardinale Ennio Antonelli e dal Vescovo di Crema Mons. Oscar Cantoni, e li incoraggio a testimoniare con crescente impegno i valori dell’accoglienza e della solidarietà, specialmente verso i bambini e le famiglie più provate. Saluto i rappresentanti del "Credito Coperativo di Pitigliano" ed auspico che il Centenario di fondazione dell’Istituto bancario susciti sempre maggiore impegno a servizio degli autentici bisogni sociali. Saluto i fedeli della parrocchia "Santi Antonio e Annibale Maria", in Roma, i militari del "Reparto Operativo Infrastrutturale dell’Esercito", di Roma e quelli del "Decimo Reggimento Trasporti", di Bari.

Con grande affetto saluto voi, cari giovani, cari ammalati e cari sposi novelli. In questo tempo di Avvento, il Signore per bocca del profeta Isaia ci dice: "Volgetevi a me e sarete salvi" (45,22). Voi, cari ragazzi e ragazze, che provenite da tante scuole e parrocchie d'Italia, fate spazio nel vostro cuore a Gesù che viene, per testimoniare la sua gioia e la sua pace. Voi, cari ammalati, accogliete il Signore nella vostra vita per trovare nell'incontro con Lui conforto e consolazione. E voi, cari sposi novelli, fate del messaggio d'amore del Natale la regola di vita della vostra famiglia.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]


Al Parlamento Europeo un altro attentato ad un cattolico - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 16 dicembre 2009
A Bruxelles è in corso il rinnovo della Commissione europea, presieduta da José Manuel Barroso: la Signora Viviane Reding, lussemburghese, già Commissario della Società dell’informazione e mezzi di comunicazione, è candidata ad un nuovo ruolo di Commissario che tra le proprie competenze avrebbe anche i diritti umani, e quindi l’Agenzia relativa che ha sede a Vienna.

Ma la Signora Reding ha un grave difetto che è un impedimento ad assumere questo ruolo: è cattolica! Sarà ascoltata in audizione, presso il Parlamento europeo martedì 12 gennaio 2010, dalle 13.00 alle 16.00 davanti alla Commissione Libertà, giustizia e affari interni, Diritti della donna e uguaglianza di genere, Cultura, Petizioni ed altre.

Si sta preparando un vero e proprio attentato del tutto simile a quello praticato per “bocciare” Rocco Buttiglione, anche Lui perché cattolico. Vorrò vedere se Esponenti politici italiani avranno ancora la sfrontatezza di dire che anche la Signora Reding se l’è cercata, come hanno detto la volta scorsa!

Chi sta preparando l’aggressione discriminatoria? Ecco i nomi dei più attivi. Sophia in ’t Veld, del Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, neo Presidente della Piattaforma per la secolarizzazione della politica, già copresidente dell’intergruppo Gay e Lesbiche, Miguel Angel Martínez Martínez del Gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, uno dei più accesi anticattolici, sentimento che motiva dicendo che sarebbe stato denunciato da un prete durante la guerra civile spagnola (supposto che sia vero non ha mai detto perché), Hannes Swoboda del Gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, Rebecca Harms del Gruppo Verde/Alleanza libera europea. Tutti Eurodeputati che parlano di lotta alla discriminazione ad ogni piè sospinto!

Swoboda ha chiesto al Presidente della Commissione, Barroso, se sarebbe disposto a cambiare i portafogli dei Commissari a seguito dell’esito delle audizioni dei Candidati designati, qualora ciò fosse suggerito come necessario dal Parlamento europeo. Il Presidente Barroso ha risposto che il Trattato di Lisbona afferma chiaramente che l’organizzazione interna del collegio dei commissari è responsabilità della Commissione, ma che avrebbe ascoltato i suggerimenti del Parlamento. (sic!)

I nostri Deputati del PD, ma non solo, cosa faranno? Si alleeranno con gli altri in questa “guerra santa” contro i cattolici? Perché sia chiaro già fin d’ora che è di questo si tratta e non altro, esattamente come per Buttiglione.

Per inciso domani, giovedì 17 dicembre, a Strasburgo si voterà una risoluzione sulla sussidiarietà che tende ad obbligare “tutti i Paesi”, cioè l’Italia, a rimuovere i simboli religiosi da tutti i luoghi pubblici. Anche questo in nome della non discriminazione, che si realizza discriminando i così detti simboli religiosi cattolici che sono i più invasivi. Espressione usata da Miguel Angel Martínez Martínez. Oggi ci sarebbe ancora tempo per raggiungere un compromesso, vedremo; francamente dubito, ma spero di sbagliare.

Ricordo che la Corte costituzionale tedesca, in una recente attesissima sentenza, ha dichiarato che il Trattato di Lisbona non è in contrasto con la Costituzione della Germania, ma le decisioni conseguenti soprattutto alla Carta dei diritti fondamentali si applicheranno nel Paese solo se non in contrasto con le Leggi tedesche.

Viviamo in tempi difficili, e non possiamo escludere queste forme moderne di persecuzione, che dovremo sopportare cristianamente, ma nessuno ci obbliga a cercarcele, anche perché sono a danno di tutti; anche questo che sia chiaro.


FEMMINISTE, MEDICI, POLITICI: A MICROFONI SPENTI ALTRE OPINIONI - «Fuori onda» sulla Ru486: quel che si pensa ma non si dice - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 17 dicembre 2009
I n queste settimane di polemiche sull’introduzione della pillola abortiva in Italia, ho partecipato a incontri pubblici e dibattiti e sono stata intervistata in diverse occasioni, ma, purtroppo, non è mai capitato che il microfono rimanesse acceso qualche minuto in più, dopo i momenti ufficiali: l’opinione pubblica avrebbe avuto a disposizione 'fuori onda' molto interessanti, con protagonisti meno importanti del Presidente della Camera, ma sicuramente di primo piano nel dibattito sulla Ru486, e se ne sarebbero potute sentire delle belle, quasi divertenti, direi, se l’argomento non fosse fra i più drammatici.
Interessante il fuori onda dell’Intellettuale di Sinistra, che dopo aver tuonato – pubblicamente – in difesa dell’autodeterminazione della donna e a favore della Ru486, confessa – privatamente – che certo che si è informato, l’aborto con la Ru486 è angosciante, orribile, e se sua figlia proprio lo volesse scegliere «glielo farei fare in ospedale, sei matta, farla stare a casa da sola in quelle condizioni?».
E che dire della Femminista Famosa che dopo aver versato fiumi di inchiostro per difendere la pillola abortiva ammette – rigorosamente in privato – che l’aborto a domicilio con la Ru486 va contro il principio fondante della 194, che vuole che gli aborti siano considerati un problema sociale, e non un fatto privato delle donne?
Per non parlare dei Ginecologi che l’Hanno Usata in questi anni, e che dopo aver rassicurato in pubblico che «è tutto sotto controllo anche se le donne vanno a casa», a tu per tu confessano di non sapere quando le donne «hanno avuto l’espulsione», perché, se le donne vanno a casa, come fanno poi i medici a sapere quando, dove e come abortiscono?
Ci sono poi altri Dottori Importanti che Hanno Fatto Carriera che a bassa voce, così li senti solo tu, dicono che quello con la Ru486 è un «metodo schifoso», e che nessuno sano di mente lo consiglierebbe, ma in pubblico assicurano che in Europa questa pillola la usano da anni, senza problemi, e in Italia i 'paletti' messi dall’Aifa rendono minimi i rischi. Per non parlare poi del Parlamentare dell’Opposizione che chiede pure il mio curriculum, pensando evidentemente che io parli per bassi motivi ideologici, e magari non sia nemmeno laureata. Lui si è 'informato' leggendo Repubblica, e poi ha sentito Livia Turco e Silvio Viale, e quindi ritiene di sapere un sacco di cose: prima dice che a lui delle questioni tecniche non gli interessa, perché quelle spettano all’Aifa.
Allora gli spieghi i risvolti politici, e che una direttiva europea stabilisce che la circolazione di farmaci abortivi deve essere compatibile con le leggi vigenti dei singoli Stati. Il Parlamentare dell’Opposizione allora cambia discorso, e chiede i numeri: quanti aborti medici e quante morti – moltissimi i primi, pochissime le seconde, ti vuol dire.
Allora, tu gli fai sommessamente notare che questi sono aspetti tecnici, e glieli spieghi volentieri, ma prima ti aveva detto che non gli interessavano. E mentre gli dai i numeri giusti – diversi da quelli che pensa lui – e gli dici quante persone sono morte, e come sono morte, vedi che la sua faccia cambia espressione, da sicura di sé diventa qualcosa fra il preoccupato, lo stupefatto e l’atterrito.
E, dopo un po’, ti comunica gentilmente che ha poco tempo, e se ne va.
Niente nomi e cognomi, non sarebbe corretto. Ma posso assicurare che questi sono solo alcuni esempi dei 'fuori onda' a cui ho assistito in queste settimane, che hanno lasciato perplessa anche me, all’inizio. Adesso, non più. Adesso ho ben chiaro che sono veramente pochi i veri sostenitori della Ru486. Per il resto, tutti quelli minimamente informati sulla faccenda sono ben d’accordo che di metodo ignobile si tratta: lungo, doloroso, impegnativo e pericoloso, utile solo a 'liberare' gli ospedali dal peso delle donne che abortiscono, e ad abbattere le poche e insufficienti, ma comunque importanti, limitazioni poste dalla 194.
Ma l’Intellettuale di Sinistra, la Femminista Famosa, il Dottore Importante, il Ginecologo che l’ha Usata e il Parlamentare dell’Opposizione non lo ammetteranno mai in pubblico: la Ru486 va difesa, sempre e comunque, indipendentemente da tutto.
Non succeda mai, una volta tanto, di dar ragione ai cattolici. Ci fosse almeno qualche microfono aperto, ogni tanto...


il protagonista - In hospice la vita non si misura dalla «qualità» - di Marco Maltoni* - L’incontro del Papa domenica con i malati terminali dell’Hospice Fondazione Roma ha impresso un nuovo slancio a quanti operano nel settore, impegnati ad avvolgere chi soffre in una rete di dialogo, ascolto, comprensione. - Ecco cosa ha colto uno di loro in ciò che ha detto e fatto il Pontefice – Avvenire, 17 dicembre 2009
Un ulteriore affettuoso, segnale della attenzione del Papa verso chi si trova nella condizione più misteriosa, quella del dolore innocente, e verso chi questo dolore si trova a potere accompagnare. Così, da operatore delle cure palliative ho vissuto la visita che Benedetto XVI ha fato domenica 13 dicembre, all’Hospice 'Fondazione Roma'. Il Papa ha visitato e sostenuto sia i pazienti e i loro familiari qui ricoverati, sia, per altro verso, gli operatori sanitari e i medici che in questo luogo prestano servizio. Questa attenzione della Chiesa per quegli operatori della Sanità a contatto con la malattia inguaribile ed evolutiva non è nuovo. Già nel 1957 Pio XII al Congresso della Società Italiana di Anestesiologia confortava gli anestesisti sulla piena liceità dell’utilizzo dei 'narcotici' per il trattamento del dolore, e dei sedativi, quando altra alternativa non è clinicamente possibile, per alleviare un sintomo altrimenti intrattabile, anche a prezzo di una riduzione del livello di vigilanza. Chi è solito imputare ad un cosiddetto ed ipotetico 'dolorismo' della Chiesa il ritardo in Italia dello sviluppo dei farmaci antidolorifici, dovrebbe onestamente convenire che, in questo settore, la Chiesa era già allora più avanti nella cultura di affronto del dolore rispetto a quanto è accaduto solo alcuni decenni dopo nei luoghi di assistenza (ospedali) e di formazione (università).

La capacità di 'anticipare' e suscitare l’attenzione delle istituzioni civili verso la sofferenza dell’inguaribilità è proseguita negli interventi ripetuti di Papa Giovanni Paolo II a sostegno delle Cure Palliative, come, per esempio, all’interno dell’Enciclica Evangelium Vitae (1995). Perché, allora, è stato talora imputato alla Chiesa di valorizzare il dolore 'di per sé'? Forse per la sua realistica consapevolezza che, anche con le migliori cure palliative e con il sistema organizzativo più articolato, la sofferenza dell’uomo ammalato e moribondo non potrà mai essere azzerata, ma anche che proprio in questa situazione può emergere la possibilità di una maturazione umana, a patto che l’angoscia, la fatica, il dolore, trovino un abbraccio in cui potersi esprimere ed essere accolte.

Padre Aldo Trento, Direttore dell’hospice di Asuncion, in Paraguay, ha scritto di essere rimasto colpito dal fatto che alla sua domanda 'Come va?' effettuata ad un suo paziente durante il giro del mattino, dopo che il malato aveva trascorso la notte con problemi di insonnia, e con una situazione sintomatica non compensata, il paziente stesso gli avesse risposto 'Benissimo, Padre'. O una risposta di questo tipo, così frequente nei nostri assistiti, trova radice in motivazioni socio-psicologiche, oppure il 'benessere' nella vita, è correlato con qualcos’altro in modo più forte di quanto non lo sia con i sintomi fisici o con la ormai ipervalorizzata 'qualità della vita'. Lo stare bene, il benessere, la corrispondenza, la felicità umana, nella salute e, ancor più, nella malattia, sono correlati con componenti non misurabili, quali l’amicizia, la cura, l’affezione, la riconoscenza, la dignità riconosciuta in relazioni significative, perché l’uomo è costituzionalmente relazione, non solitudine.

Evidenza di questo sta emergendo anche in articoli scientifici. Steel, nel 2007, su Quality of Life Research , ha confrontato le risposte a questionari di qualità di vita di pazienti affetti da epatocarcinoma avanzato, con quelli di pazienti che andavano dal medico di famiglia per motivi 'banali'. Ebbene, ovviamente i valori di qualità di vita dei pazienti con epatocarcinoma erano tutti più bassi, ad eccezione, però, di quelli legati al benessere, in particolare quello sociale e quello familiare. Come se intorno ai quei pazienti si fosse attivata una rete significativa di supporto amicale e familiare, e come se quei pazienti avessero sviluppato uno sguardo più acuto di riconoscimento e riconoscenza. Queste componenti umane, pur essendo fondamentali, non sono facilmente misurabili. Il marito di una nostra paziente ci scriveva: «Ho ricevuto la busta con il vostro questionario di indagine sulla nostra soddisfazione per il servizio, che compilerò molto volentieri. Ma il questionario non è adatto per esprimere i miei sentimenti, e quindi ho deciso di inviarvi questa lettera abbinata al questionario».

Un’organizzazione che favorisca l’assistenza ottimale e più appropriata è, quindi, assolutamente necessaria, ma non sufficiente. Come ha intuito acutamente Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus caritas est : «Non esisterà mai un sistema organizzativo talmente perfetto da rendere superflua la carità», cioè una responsabilità affezionata e personale da parte di chi cura, verso chi a quelle cure è sottoposto.
*direttore U.O. Cure palliative ospedale Pierantoni, Forlì



Ru486 - Cytotec, i conti non tornano - Il farmaco usato per l’espulsione dell’embrione nell’aborto chimico è iscritto nel prontuario come antiulcera e non può essere usato al di fuori della prescrizione Un problema ignorato dall’Aifa - di Ilaria Nava – Avvenire, 17 dicembre 2009
«Prevenzio­ne e terapia di ulcere gastro­duodenali » . È questa l’unica indicazione terapeutica scritta sul foglietto illustrativo del Cytotec, il farmaco che ora verrà utilizzato per ottenere l’espulsione dell’embrione. Come si sa, infatti, la procedura per l’aborto chimico prevede l’assunzione di due farmaci: una prima pillola – il cui principio attivo è il mifepristone – che verrà fornita e assunta in ospedale, e che dovrebbe provocare la morte dell’embrione, e una seconda da assumere dopo 3 giorni, che ne provoca l’espulsione.
Il problema è che l’iter autorizzativo della pillola abortiva Ru486, portato a termine nei giorni scorsi dall’Aifa, non affronta il problema del secondo farmaco da assumere, una prostaglandina oggi in vendita con il nome di Cytotec e iscritta nel prontuario farmacologico come antiulcera.
Nella procedura di aborto farmacologico dovrebbe quindi essere quindi utilizzata off label, ossia al di fuori dell’indicazione terapeutica indicata dalla casa famaceutica produttrice.
Allo stato attuale, quindi, la donna dopo l’assunzione della prima pillola dovrebbe recarsi dal proprio medico di famiglia e farsi prescrivere il Cytotec per poter espellere l’embrione, scaricando sui medici di base la responsabilità di prescrivere un antiulcera per completare una procedura di aborto. Secondo la legge Di Bella, infatti, è possibile prescrivere un farmaco off label solo sotto la piena responsabilità del professionista e acquisendo il consenso informato del paziente.

Tuttavia una norma successiva, la 296 del 2006, vieta l’uso dei farmaci off label, mentre la Finanziaria del 2007 proibisce l’uso di qualunque farmaco off label , anche se prescritto secondo la Di Bella, « qualora per tale indicazione non siano disponibili almeno dati favorevoli di sperimentazione clinica di fase seconda » . Dati che non sembrano essere disponibili nel caso del Cytotec per l’aborto.

All’Aifa esiste un elenco di farmaci che possono essere utilizzati off label, ma il Cytotec non rientra tra questi e pertanto non può essere posto a servizio del Servizio sanitario nazionale e il relativo costo resta a carico della paziente. Un altro nodo da sciogliere, visto che ai pazienti ricoverati, come dovrebbero essere tutte le donne che hanno assunto la Ru486, non è permesso portare farmaci dall’esterno.
Insomma, i nodi da sciogliere restano ancora molti, al di là del problema dell’evidente contrasto tra la procedura prevista per la Ru486 e la legge 194 sull’aborto, che prevede il ricovero ospedaliero per la paziente, su cui il Ministero sta lavorando e su cui sarà coinvolta anche la Commissione europea.


mercoledì 16 dicembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Ucciso in Brasile un altro sacerdote, padre Alvino Broering
2) Quei posseduti dal mostro del rancore - di Claudio Risè - Il Giornale martedì 15 dicembre 2009
3) A serious man - Curatore: Fortunato, Simone - Regista: Joel e Ethan Coen - martedì 15 dicembre 2009 - La vita ordinaria di un docente di fisica viene sconvolta da una concatenazione di fatti inspiegabili.
4) USA - Universita' del Michigan accettera' embrioni sovrannumerari per fare ricerca - Notizia da ADUC - 9 dicembre 2009


Ucciso in Brasile un altro sacerdote, padre Alvino Broering
ROMA, martedì, 15 dicembre 2009 (ZENIT.org).- E' morto il sacerdote brasiliano don Alvino Broering, 46 anni, accoltellato all'alba del 14 dicembre nello stato meridionale di Santa Catarina (Brasile) da un uomo che poi ha rubato la sua macchina.

Il sacerdote – riferisce l'agenzia Fides –, colpito con diverse coltellate alla schiena, all’addome e al viso, è stato trasportato all'ospedale Marieta Konder Bornhausen, dove lo hanno sottoposto ad intervento chirurgico, ma purtroppo è morto poco dopo.

Don Alvino era cappellano dell'Università di Vale do Itajai e direttore-amministratore della Radio Comunitaria Conceição FM. La radio nel 2010 compirà 10 anni di vita, e padre Alvino aveva già cominciato a fare i preparativi per l’anniversario da festeggiare.

Il sacerdote è stato anche membro dell'Accademia delle Lettere di Itajai, ed era molto attivo nella città e nella regione. Aveva 20 anni di sacerdozio quando fu nominato parroco della Cattedrale del Santissimo Sacramento, la Chiesa dei Navigatori.

Era un sacerdote molto alla mano, di carattere gioviale, carismatico e amato da tutti.

I funerali sono stati celebrati nella località di Santo Amaro da Imperatriz da mons. Murilo Krieger, Arcivescovo di Florianopolis, e da altri sacerdoti della città. Bambini, giovani, adulti e anziani, sono ancora sotto shock per la perdita improvvisa e violenta del sacerdote.


Quei posseduti dal mostro del rancore - di Claudio Risè - Il Giornale martedì 15 dicembre 2009
Il mostro è stato svegliato, e non sarà semplice farlo riaddormentare. Quale mostro? Non certo Massimo Tartaglia, che con ogni probabilità è stato solo il braccio, guidato da una mente confusa, labile, e dunque manipolabile come cera molle dal mostro vero. Che altro non è che l’odio addormentato nel cuore e nella mente di molti, e risvegliato e nutrito dalla cultura degli insulti, dei cartelli di minacce appesi al collo dei bambini, dei sogni omicidi pubblicizzati via Facebook e legalizzati da professori, politici, giornalisti, signore diventate sanguinarie (forse per noia). È insomma quella grande forza, che rimane a lungo sepolta nell’inconscio collettivo, e poi, liberatasi, improvvisamente insanguina le guerre civili, le faide fratricide, la rottura dei patti, l’ubriacatura del credersi onnipotenti, non più sottoposti a nessuna regola. La follia che a quel punto irrompe, nella sua versione antisociale, spesso nascosta proprio dietro la socialità, e umanitari principi.
Chi era in piazza Duomo domenica, l’ha sentita e l’ha vista, quella follia, ben prima che Tartaglia lanciasse il suo duomo di ferro in faccia al presidente sorridente, che mandava baci. I gruppi di autonomi assiepati sotto i portici, coi loro insulti scanditi, i loro fischi incessanti, le facce stravolte dall’odio, annunciavano ciò che sarebbe poi accaduto. (Ma come mai sono stati lasciati lì, micidiale, evidente strumento di esaltazione di ogni mente confusa, oltre che pesanti disturbatori di un certamente pacifico incontro pubblico?) E Berlusconi li ha ben smascherati, tracciando velocemente il ritratto della sua lotta con la follia antipopolare, e dicendo tra l’altro (cito a memoria, con qualche imprecisione): «Voi siete cupi e arrabbiati, noi gioiosi e allegri, voi vorreste che tutti la pensassero come voi, noi che ognuno pensi con la sua testa, voi siete ossessionati dal negativo, noi lottiamo per il positivo».
La lotta tra Silvio (meno male che Silvio c’è), e il mostro formato dalle paranoie che giacciono nell’inconscio collettivo degli italiani, è qui ben descritta, in poche parole semplici. Che rassicurano e piacciono al popolo che lavora, come il mio anziano vicino, che beato diceva alla moglie: «Varda me l’è bel» (guarda come è bello). Ma rodono come un tarlo la mente di chi non vuole studiare, non vuole lavorare e, in fondo (supremo peccato e fonte di ogni malattia), non vuole godere.
Certo loro, gli «autonomi» con la testa in fumo, per quanto impressionanti nella loro cupezza e nel loro astio, come produttori di follia collettiva contano poco più che il lanciatore finale, Tartaglia. Sono solo la massa di manovra di chi ha fatto (nel corso degli anni) di Silvio Berlusconi il necessario capro espiatorio, che (nei riti vittimari studiati da René Girard), viene cacciato dalla comunità, di solito perché tutto rimanga come prima, e nulla cambi. Del resto non potevano trovare un bersaglio più adatto a tutte le paranoie e i vissuti di impotenza generati in 50 anni di politica statica, conservatrice, immobilista e codina. Anche qui, la dialettica tra Silvio e il coro di insulti (erroneamente definiti «contestatori»: non contestavano nulla, insultavano, e cercavano di non farlo parlare, come avevano fatto due giorni prima con Moratti e Formigoni, in piazza Fontana), la dice più lunga di un trattato di psicopatologia sociale.
Ogni volta che Silvio diceva una battuta, facendo ridere (come quando ha dato del vecchietto a Formigoni, mentre lui era in giacchetta «e senza canottiera»), dal coro dark si alzava severo: «Buffone-buffone». Insulto rivelatore. Perché nel teatro il buffone è colui che fa ridere (smascherando così trame cupe e velenose). E loro, i posseduti dal mostro dell’odio e della follia, non vogliono ridere. Perché non vogliono sapere chi e perché davvero manovra e limita le loro vite. Non vogliono conoscere. Non vogliono godere. Sono molto pericolosi.

Il Giornale martedì 15 dicembre 2009


A serious man - Curatore: Fortunato, Simone - Regista: Joel e Ethan Coen - martedì 15 dicembre 2009 - La vita ordinaria di un docente di fisica viene sconvolta da una concatenazione di fatti inspiegabili.

Partiamo da una domanda: ma è un film che pone domande e si interroga su cose serie o è un semplice gioco gaio, nichilista e triste alla maniera dell’ultimo Allen ? La domanda non è retorica. I Coen sono registi seri che spesso si prendono delle “vacanze” cinematografiche. Non possono infatti che essere definite “vacanze” o “divertissement” film come il recente Burn after reading, divertente quanto vacua rilettura del cinema di spionaggio ma anche Ladykillers o Prima ti sposo, poi ti rovino, prodotti professionali e nel contempo giochini cinematografici sia per forma che per sostanza. I Coen, però, sono anche i registi di almeno due grandi film, senza contare quell’oggetto folle e memorabile che è Il grande Lebowski: Fargo e L’uomo che non c’era, due noir durissimi, senza speranza eppure carichi di umanità, di pietà, di perdono. La domanda, insomma, non è retorica né banale: i due fratelli, con A Serious Man, ci sono o ci fanno ? Proviamo a prenderli sul serio. A Serious Man è tutto tranne che un film divertente. Certo, il sorriso scappa qua e là anche per la costruzione di alcune sequenze volutamente surreali, come quella dell’entrata in scena dell’avvocato del protagonista, ma sotto una superficie leggera si nasconde la cupa disperazione di fervente ebreo che sta si sta preparando al Bar mitzvah del figlio. Il problema è che il mondo che sta attorno a lui pare impazzito. All’università dove Larry insegna fisica, non c’è studente che lo ascolti e l’unico ragazzo con cui ha a che fare è uno studente coreano che a mala pena parla inglese e che cerca di corromperlo. A casa è un disastro: la moglie lo tradisce con un altro ebreo dai modi melliflui e dai modi affettati e inquietanti al tempo stesso. I figli sono mondi a parte impenetrabili. Amicizie: nessuna. Ci sono due vicini di casa: uno è un macho poco raccomandabile, l’altra è una donna che passa il tempo a prendere nuda il sole. Forse una tentazione ? O forse no. A completare il quadro c’è un fratello un po’ matto che passa il tempo in bagno e un avvocato che fatica a capire il punto della questione. La vita è un caos senza senso. I Coen ce lo dicono e ripetono da sempre. Dietro le vicende di tanti loro personaggi, dagli interpreti proprio di Fargo fino al recente Burn After Reading si muore e si vive, si ha successo o si ha sfiga per colpa del Caso che, con un gusto sadico e maligno, fa e disfa a proprio piacimento. La vita è un’enorme lavagna fitta di numeri ed equazioni matematiche che affermano all’unisono una cosa solo. Che i conti non tornano mai. E non tornano neanche all’Uomo Serio del titolo che di fronte al naufragio lento ma inesorabile della propria vita non può che fare la cosa più ragionevole e umana possibile. Chiedere. E infatti l’Uomo Serio chiede a tre rabbini. E la domanda è tale da far tremare i polsi. Perché Dio ci pone degli interrogativi ma non ci dà risposte. Il primo rabbino è evasivo, il secondo racconta una storiella insulsa, il terzo non lo riceve nemmeno. All’Uomo Serio non resta che tornare mestamente sui propri passi andando incontro, solo e senz’aiuto, letteralmente all’uragano senza senso della vita. Si potrebbe obiettare ai Coen di aver girato un trattatello di non senso, dove tutto è perfettamente senza senso, dove niente ha nome (e la scelta di prendere attori del tutto sconosciuti rientra in questa idea), dove tutto è contro l’umano. E può anche dar fastidio l’apparente freddezza con cui si racconta la morte, la malattia, il male. Ma a ben vedere, in questo film dal forte sapore autobiografico, c’è anche qualcosa di più, ben radicato nel cuore del protagonista. L’esigenza di un senso, nel senso letterale del termine, di una direzione dove andare, una strada da imboccare per assaporare quel che rimane di una felicità che i Coen, molto onestamente, nel loro film tanto divertito e ironico, si guardano bene dall’inserire o dal commentare. Il problema è che la risposta, il senso della cose e dell’esistenza non lo dà l’uomo, per quanto colto e pio possa essere. Lo dà Dio che secondo i Coen semplicemente è assente. E questa assordante assenza lascia se non addolorati, assai storditi. Altro che Giobbe, come una certa incauta critica ha tirato in ballo: Giobbe era di tutt’altra pasta perché Dio non lo ha mai abbandonato, una grazia che il povero Larry non ha potuto sperimentare. Avrebbe voluto magari, ma non gli è stata concessa.


USA - Universita' del Michigan accettera' embrioni sovrannumerari per fare ricerca - Notizia da ADUC - 9 dicembre 2009
La ricerca sulle staminali all'Università del Michigan sta per compiere un importante passo in avanti. Una delle più prestigiose per questo tipo di ricerca, la UofM, ha annunciato che accetterà la donazione di embrioni umani per sviluppare nuove linee cellulari. "Invece di distruggere quegli embrioni (inutilizzati), se uno vorrà potrà donarli all'università per generare linee di cellule staminali contro specifiche malattie", ha spiegato il portavoce dell'ateneo.
Lo scorso anno, gli elettori dello Stato avevano approvato una modifica di legge per allentare le restrizioni sulla ricerca con le staminali embrionali.


martedì 15 dicembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Comunicato Stampa: Aggressione a Berlusconi in piazza Duomo a Milano: nota di Comunione e Liberazione
2) Tutte le ragioni di Dio. Un'inchiesta - Guida all'evento internazionale su "Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto". Il cardinale Ruini si è riscoperto filosofo. E con lui hanno discusso Spaemann, Scruton, Van Inwagen. E gli scienziati del cosmo Nowak e Coyne. Ed esperti di musica, di arte, di cinema... - di Sandro Magister
3) Le indifendibili argomentazioni dei sostenitori della Ru486 - Se «recuperare il ritardo» significa aprire la via a più aborti - Assuntina Morresi - Avvenire 13 Dicembre 2009


Comunicato Stampa: Aggressione a Berlusconi in piazza Duomo a Milano: nota di Comunione e Liberazione
All’origine dell’aggressione al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al quale siamo vicini e auguriamo una pronta guarigione, c’è un clima di ostilità ideologica che sta demolendo la possibilità di una convivenza pacifica e ordinata: è il frutto di una lunga storia che ha reso mentalità normale l’atteggiamento dell’homo homini lupus, che giunge a utilizzare la violenza - verbale e fisica - come modalità dei rapporti, in famiglia, a scuola e al lavoro, fino alla politica.

La radice di questa violenza è in ciascuno di noi e si esprime come menzogna, odio e strumentalizzazione dell’altro per affermare la propria opinione e i propri interessi. La Chiesa chiama “peccato originale” questa presunzione.
L’esito è la grande confusione in cui siamo immersi e che semina dubbio e incertezza a riguardo di ciò che è vero, giusto e buono, riducendo ogni comportamento a reattività istintiva, come abbiamo visto in piazza Duomo a Milano domenica.

Il cristianesimo è nato precisamente per offrire una risposta a questa situazione da cui l’uomo non sa uscire con le sue forze, come ci ricorda il Natale che stiamo apprestandoci a vivere: una esaltazione del valore dell’io di ciascuno in quanto “mistero” che eccede ogni possibilità di strumentalizzazione; un riconoscimento che la propria vita implica l’esistenza dell’altro uomo, chiunque sia. Questo è il fondamento del rispetto verso tutti - cioè della democrazia e del dialogo -, senza del quale cresce la confusione e domina la violenza.

l’ufficio stampa di CL
Milano, 14 dicembre 2009.


Tutte le ragioni di Dio. Un'inchiesta - Guida all'evento internazionale su "Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto". Il cardinale Ruini si è riscoperto filosofo. E con lui hanno discusso Spaemann, Scruton, Van Inwagen. E gli scienziati del cosmo Nowak e Coyne. Ed esperti di musica, di arte, di cinema... - di Sandro Magister

ROMA, 13 dicembre 2009 – L'obiettivo era di "diradare quella penombra che rende precaria e timorosa per l'uomo del nostro tempo l'apertura verso Dio".

Così Benedetto XVI nel messaggio che ha inaugurato il 10 dicembre a Roma l'evento internazionale su "Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto", ideato e organizzato dal comitato per il progetto culturale della Chiesa italiana, presieduto dal cardinale Camillo Ruini.

Due giorni dopo, sul finire dell'evento, Ruini era raggiante. Il tema era duro, l'ascolto impegnativo, a parlare erano filosofi e scienziati dal linguaggio arduo. Eppure la sala era sempre piena, in un silenzio attentissimo. Sono accorsi in duemilacinquecento nel grande auditorium di via della Conciliazione, a pochi passi da piazza San Pietro, per sentir parlare di Dio. Un pubblico in buona parte nuovo e giovane. Visibilmente fiero della ricchezza e della serietà delle cose dette, in un mondo disorientato che proprio di questo ha sete.

Di Dio e di nient'altro questo pubblico voleva sentir parlare. Non certo delle diatribe interne alla Chiesa, di qua e di là del Tevere. I profeti di sventura che avevano predetto (e sotto sotto auspicato) l'insuccesso dell'evento, e con esso l'addio a quell'evanescente "araba fenice" che secondo loro era il progetto culturale, e la definitiva giubilazione del suo ideatore Ruini, sono stati ammutoliti dai fatti. A questo primo evento il cardinale ha già annunciato che ne seguirà presto un secondo, sempre "su temi sostanziali, duri, non facili, non di moda".

Ma che cosa è accaduto nei tre giorni dell'evento? Il programma, il resoconto, i testi integrali, i video dell'intera assise, con i profili dei relatori, sono a portata di mouse nella pagina web ad essa dedicata:

> "Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto, Roma, 10-12 dicembre 2009

Qui di seguito sono semplicemente segnalati alcuni momenti salienti.


LE TRE PROVE DEL CARDINALE RUINI


Per primi, giovedì 10 dicembre, hanno parlato il cardinale Ruini e il tedesco Robert Spaemann. Entrambi da filosofi.

Ruini ha tracciato tre vie di accesso a Dio, cioè tre prove della sua esistenza, non teologiche ma razionali, quindi proponibili a tutti, non solo ai credenti.

La prima via parte dal fatto evidente "che esiste qualcosa piuttosto che nulla". La seconda muove dalla constatazione che l'universo è conoscibile da parte dell'uomo. La terza si fonda sull'esperienza che l'uomo ha in sé di una legge morale.

Le tre vie si riferiscono quindi ai "trascendentali" della filosofia classica: cioè all'essere, al vero e al bene. Nell'argomentarle, Ruini ha inteso superare le obiezioni radicali che esse hanno subito negli ultimi due secoli, a partire da Kant. Ma ha riconosciuto che neppure così tali vie avranno la forza di una dimostrazione apodittica, che non sollevi nuovi dubbi. E allora? La proposta finale del cardinale è che l'esistenza di Dio venga accolta come "l'ipotesi migliore", con formula ripresa da Joseph Ratzinger.

Ecco i due paragrafi finali del discorso di Ruini:

"Le difficoltà dell’approccio metafisico nel contesto culturale contemporaneo, aggiungendosi all’aporia derivante dall’esistenza del male nel mondo, sono le ragioni di fondo di quella 'strana penombra che grava sulla questione delle realtà eterne'. Perciò l’esistenza del Dio personale, pur solidamente argomentabile come abbiamo cercato di fare, non è oggetto di una dimostrazione apodittica, ma rimane 'l’ipotesi migliore che esige da parte nostra di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell’ascolto umile'. Sono grandi le implicazioni di un simile riconoscimento, sia per i rapporti tra credenti e non credenti che, già per questa ragione di fondo, andrebbero improntati a un sincero e convinto rispetto reciproco, sia per l’atteggiamento personale di ciascun credente, e in particolare per il ruolo fondamentale che deve occupare la preghiera nel nostro rapporto con Dio, così da poter impetrare da lui il dono della fede, che ci dà quella certezza incondizionata, e al contempo libera, riguardo a Dio che, come spiega san Tommaso, non esclude in alcun modo lo spazio per ulteriori indagini, ma sostiene la nostra fedeltà a lui fino al dono di noi stessi.

"Termino con una constatazione che mi sembra assai significativa della condizione in cui stiamo vivendo. Esiste cioè un profondo parallelismo tra l’approccio a Dio e l’approccio a noi stessi, in quanto soggetti intelligenti e liberi. In entrambi i casi siamo attualmente sottoposti alla pressione di un forte e pervasivo scientismo epistemologico e naturalismo, spesso inconsapevolmente metafisico, che vorrebbe dichiarare Dio inesistente, o quanto meno razionalmente non conoscibile, e ridurre l’uomo a un oggetto della natura tra gli altri. Oggi, come forse mai in precedenza, appare chiaro dunque che l’affermazione dell’uomo come soggetto e l’affermazione di Dio 'simul stant et simul cadunt', stanno e cadono insieme. Ciò del resto è profondamente logico, poiché da una parte è ben difficile fondare un vero e irriducibile emergere dell’uomo rispetto al resto della natura se la natura stessa è il tutto della realtà, e dall’altra è ugualmente difficile lasciare razionalmente aperta la via al Dio personale, intelligente e libero – in modo vero anche se per noi ineffabile – se non si riconosce al soggetto umano questa sua irriducibile specificità. Rendere testimonianza al vero Dio e al tempo stesso alla verità dell’uomo è perciò il compito forse più esaltante che ci sia dato di adempiere".


SPAEMANN E LA GRAMMATICA DI DIO


Robert Spaemann ha dedicato la parte iniziale della sua riflessione all'identità – invece che alla contrapposizione – tra i due predicati di Dio, "potente" e "buono":

"Chi crede in Dio, crede che la potenza assoluta e il bene assoluto abbiano lo stesso riferimento: la santità di Dio. Gli gnostici dei primi secoli cristiani negavano questa identità. Essi attribuivano i due predicati a due divinità, una potenza cattiva, il 'deus universi', dio e creatore di questo mondo, e un dio che è luce, che appare da lontano nell’oscurità di questo mondo. [...] È importante sottolineare questo oggi, dove addirittura i sacerdoti, anziché invocare su di noi la benedizione del Dio onnipotente, parlano soltanto di 'Dio buono'. Il discorso sulla bontà di Dio, su Dio che è amore, smarrisce il suo punto sconvolgente, se passa sotto silenzio chi è colui di cui si dice che Egli è amore, se cioè passa sotto silenzio che Egli è la potenza che guida la nostra esistenza e il mondo. [...] Se il bene non appartenesse all’essere, l’essere non sarebbe tutto, non sarebbe cioè la totalità. [...] Ma vale anche il contrario: se il bene fosse impotenza, allora non sarebbe il bene tout court. Poiché l’impotenza del bene non è bene. La fede nella potenza del bene è ciò che ci consente di abbandonarci attivamente alla realtà, senza dover temere che in un mondo assurdo anche ogni buona intenzione sia giudicata come una assurdità".

Nella parte finale, Spaemann ha invece rovesciato la visione di Nietzsche, il filosofo della "morte di Dio", secondo cui "la vera questione è soltanto con quale menzogna si viva meglio". E ha proposto una dimostrazione di Dio "che sia, per così dire, Nietzsche-resistente": una dimostrazione di Dio "a partire dalla grammatica, più esattamente dal cosiddetto 'futurum exactum', il futuro anteriore". Ecco come:

"Il 'futurum exactum' è per noi necessariamente connesso al presente. Dire di qualcosa che è adesso, equivale a dire nel futuro che quella cosa è stata. In questo senso ogni verità è eterna. Il fatto che il 10 dicembre 2009 numerose persone si siano riunite a Roma per una conferenza di Robert Spaemann su 'Razionalità e fede in Dio' non è vero solo il 10 dicembre, ma è vero per sempre. Se noi oggi siamo qui, noi domani 'saremo stati' qui. Come passato, come 'essere stato' del futuro anteriore, il presente rimane sempre reale. Di che tipo è questa realtà? Si potrebbe dire: nelle tracce che essa lascia. [...]

"Tuttavia il ricordo prima o poi svanisce. E prima o poi nessun uomo ci sarà più sulla terra. Alla fine perfino la terra scomparirà. Poiché al passato appartiene sempre un presente, del quale il passato è passato, dovremmo dunque dire che con il presente che ricordiamo scompare anche il passato, e il futuro anteriore perde il suo significato. Tuttavia è proprio questo che non possiamo pensare. La proposizione 'nel futuro più lontano non sarà più vero che noi questa sera eravamo riuniti qui' è insensata. Non si lascia pensare. Se noi un giorno non saremo più stati, allora noi di fatto non siamo reali neanche adesso, così come il buddismo afferma in modo consequenziale. Se la realtà presente un giorno non sarà più stata presente, allora essa non è affatto reale. Chi elimina il futuro anteriore elimina il presente.

"Tuttavia, ancora una volta: di quale tipo è questa realtà del passato, l’eterno essere vera di ogni verità? L’unica risposta suona così: siamo costretti a pensare una coscienza che custodisce tutto ciò che accade, una coscienza assoluta. Nessuna parola pronunciata un giorno sarà un giorno non pronunciata, nessun dolore non sofferto, nessuna gioia non vissuta. Il passato può diradare, ma non si può fare in modo che non sia stato. Se la realtà esiste, allora il futuro anteriore è inevitabile e con esso il postulato del Dio reale. 'Io temo – così scrive Nietzsche – che non ci libereremo di Dio finchè continuiamo a credere alla grammatica'. Il problema è che non possiamo fare a meno di credere alla grammatica. Anche Nietzsche ha potuto scrivere quello che scrisse soltanto perché ha affidato alla grammatica ciò che ha voluto dire".


Il "DIO ABBREVIATO" DEL CARDINALE SCOLA


La mattina di venerdì 11 dicembre, il cardinale Angelo Scola, in un passaggio della sua ben costruita relazione su "eclissi e ritorno di Dio", ha ripreso la critica di Spaemann alla contrapposizione tra bontà e onnipotenza di Dio.

Nel chiedersi "se il problema della trasmissione del cristianesimo non stia, soprattutto oggi, nell’assumere il linguaggio evangelico nella sua essenzialità [...] e identità più autentica", Scola ha criticato coloro che identificano tale essenzialità nella "kènosis", nello svuotamento di sé, anche della propria "potenza" divina, fatto da Dio in Cristo crocifisso:

"Qui occorre denunciare un uso improprio, non teologico e non rispettoso del dato scritturistico, della 'kènosis' di Dio all’interno del cosiddetto 'pensiero debole'. Si perde in tal modo l’unità dei misteri cristiani e si giustifica, mediante la 'kènosis' separata dalla risurrezione, la rinuncia alla considerazione della verità e della trascendenza di Dio e al suo essere personale".

Infatti:

"È solo nel Dio che è Logos-Amore che riceve senso il tema decisivo della 'kenosis' divina come modalità con cui Dio-Verità-Bene si offre agli uomini. Il Dio kenotico non è un Dio debole, ma un Dio che ama e come tale si offre alla libertà dell’uomo".

Poco più avanti, Scola ha citato questo passaggio dell'omelia di Benedetto XVI del Natale del 2006, sul vero senso della "kènosis" di Dio, cioè su Dio che parla all'uomo "abbreviandosi nel Verbo incarnato":

"Dio ha reso breve la sua Parola, l'ha abbreviata (Isaia 10, 23; Romani 9, 28). Il Figlio stesso è la Parola, il Logos. La Parola eterna si è fatta piccola, si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile".


LA "VIA PULCHRITUDINIS" DI ROGER SCRUTON


Ancora la mattina di venerdì 11 dicembre, il filosofo anglo-americano Roger Scruton ha sviluppato il quarto dei "trascendentali" della filosofia classica, quello del bello, anch'esso come via di accesso a Dio.

"Nel creare bellezza l'artista rende gloria alla creazione di Dio", ha detto. Così è stato nell'arco dell'intera storia dell'uomo, anche là dove – come negli abissi del Novecento – domina il regno della sofferenza e della desolazione.

Eppure "il culto della bruttezza e della dissacrazione si afferma oggi in un'epoca di prosperità senza precedenti. [...] La dissacrazione e` una sorta di difesa dal sacro, un tentativo di distruggerne le pretese. Davanti alle cose sacre le nostre vite vengono giudicate; e per sfuggire a quel giudizio, noi distruggiamo la cosa che sembra accusarci. E siccome la bellezza ci ricorda del sacro – e anzi di una forma speciale di esso –, anche la bellezza deve venire dissacrata".

La "via positiva" alla bellezza è comunque insita nel cuore dell'uomo. "Perché allora così tanti artisti si rifiutano oggi di camminare lungo questo sentiero? Forse perché sanno che esso conduce a Dio".

Terminato l'intervento di Scruton, l'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della cultura, e il professor Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, hanno illustrato l'apparire di Dio nell'arte figurativa di ieri e di oggi. Anche con esempi concreti, tra i quali gli affreschi di Raffaello nelle stanze Vaticane, e in particolare quella "Scuola di Atene" che www.chiesa, nel presentare l'evento su "Dio oggi", aveva proposto come emblematica dello stesso evento.

In altri momenti dell'assise l'apparire di Dio è stato illustrato nella musica, nella narrativa, nella poesia, nel cinema, nella televisione, con esecuzioni, letture e proiezioni suggestive, commentate da artisti e specialisti.


IL "SUPER-DISNEY" DI PETER VAN INWAGEN


L'ultima sessione dell'evento, la mattina di sabato 12 dicembre, è stata dedicata a "Dio e le scienze". George Coyne, astronomo gesuita direttore dell'Observatory's Research Group dell'Università dell'Arizona, e Martin Nowak, biologo e matematico, professore a Harvard, hanno parlato, da scienziati, del rapporto tra Dio creatore e l'evoluzione del cosmo in due scintillanti esposizioni che hanno incatenato l'attenzione dell'uditorio.

Il terzo relatore, Peter Van Iwagen dell'Università di Notre Dame, ha invece parlato come filosofo. E ha percorso in modo originale e avvincente quella "via cosmologica" a Dio che lo stesso Benedetto XVI ha proposto in diversa forma in più occasioni.

Van Inwagen è partito da un'analogia. Immaginiamo, ha detto, che "Dio sta al mondo fisico come Walt Disney sta al mondo rappresentato sulla schermo in Biancaneve e i sette nani". Anzi, immaginiamo che "le vicende del cartone animato siano davvero la storia del mondo intero" e chiamiamo "Super-Disney" il loro creatore.

Ebbene, dal punto di vista degli abitanti del mondo questo Super-Disney non c'è da nessuna parte, ma in un altro senso egli è presente dappertutto.

E così è per il Dio del nostro mondo reale: "Se mai esiste, non si può trovare al suo interno più di quanto il Super-Disney si possa trovare nel suo mondo; e tuttavia non è lontano dai suoi abitanti". Inoltre, si può ipotizzare che gli abitanti del mondo arrivino a credere che esso sia frutto di creazione da parte di un essere intelligente e onnipresente.

Van Inwagen ha poi così proseguito:

"Vi sono anzi alcuni – tra cui anche scienziati – che hanno sostenuto che vi sono buone argomentazioni scientifiche a favore dell'esistenza di un'intelligenza responsabile dell'esistenza dell'universo fisico. E ci sono altri – tra cui anche scienziati – che hanno sostenuto che vi sono buone argomentazioni scientifiche a sostegno della non-esistenza di un progettista".

Entrambe queste tesi "sono non scientifiche ed errate". La seconda, però, quella che nega un Dio creatore sulla base della teoria darwiniana dell'evoluzione, è diventata opinione diffusa.

Ed è contro i sostenitori di questa opinione che Van Inwagen ha formulato la sua tesi conclusiva, a sostegno dell'impossibilità di negare con argomenti scientifici l'esistenza di un Dio creatore:

"Voi credete che il mondo reale sia darwiniano, cioè un mondo nel quale la teoria di Darwin è vera. Ma la realtà implica la possibilità: tutto ciò che è vero è possibile. E Dio, se esiste, è per definizione onnipotente. Un essere onnipotente può creare qualunque oggetto possibile, anche se quell'oggetto è un intero universo o cosmo. Orbene, questa nostra terra darwiniana (così come voi credete che sia) è un oggetto possibile, poiché esiste. Pertanto, un essere onnipotente potrebbe crearla e potrebbe creare l'intero universo di cui fa parte. Ora, se un essere onnipotente potrebbe creare un mondo darwiniano, allora perché qualcuno che ritenga che il mondo reale sia darwiniano dovrebbe ritenere che questa caratteristica del mondo reale dimostri – o abbia una qualche tendenza a dimostrare – che l'universo non è stato creato da un essere onnipotente?".


E NELLE PROSSIME PUNTATE, BIBBIA E LITURGIA


Concludendo l'assise, prima l'arcivescovo Rino Fisichella e poi il cardinale Ruini hanno fatto cenno a ulteriori capitoli della riflessione su Dio, non affrontati in questo primo evento ma non meno importanti.

Due in particolare: anzitutto una riflessione su "ciò che Dio dice di sé", cioè sulla rivelazione divina; e poi una riflessione sulla liturgia, ossia sui riti, i luoghi, i tempi, i linguaggi con cui l'uomo e il cristiano si rapportano a Dio




Le indifendibili argomentazioni dei sostenitori della Ru486 - Se «recuperare il ritardo» significa aprire la via a più aborti - Assuntina Morresi - Avvenire 13 Dicembre 2009

L’argomento cui ricorrono più spesso i sostenitori della Ru486 – per esempio alcuni ex-ministri della Salute, come Livia Turco e Umberto Veronesi – è quello secondo il quale con la pillola «finalmente» l’Italia «recupera il ritardo rispetto agli altri Paesi», dove questo metodo abortivo viene usato da più tempo. Eppure proprio gli ex-ministri dovrebbero sapere che quello della situazione in altri Paesi è un argomento indifendibile, per il semplice motivo che sarebbe disastroso, per noi, allinearci agli altri in tema di aborto.

L’Italia è infatti l’unico Paese occidentale in cui, dal numero massimo del 1982, gli aborti sono regolarmente e costantemente calati di numero. Abbiamo la più bassa percentuale di minori che abortiscono, e il minor numero di aborti ripetuti. Non è solo l’effetto della legalizzazione, come alcuni sostengono, perché altrimenti lo stesso fenomeno si sarebbe dovuto osservare in tutti i Paesi dove esiste una legge che consente l’aborto. L’«anomalia» italiana è il risultato di una cultura diversa, di una società che nonostante tutto conserva una salda rete di rapporti familiari e per la quale la maternità va tutelata, tanto che persino la legge 194 sull’aborto ne ha dovuto tener conto, ricordandolo pure nel titolo. Un atteggiamento che si è tradotto, per la 194, in limitazioni – troppo poche, ma importanti – che altri Paesi non hanno: per esempio l’aborto in Italia, e solo in Italia, si può effettuare esclusivamente in ospedali pubblici autorizzati. I privati sono esclusi, per evitare che si possa guadagnare facendo aborti (in Italia un medico non può fare aborti come libero professionista o in cliniche private).

Che succede invece nei Paesi "più avanzati", dove la Ru486 è diffusa? Stiamo parlando di Francia, Gran Bretagna e Svezia: in molti altri è commercializzata, ma usata poco o niente. In Svezia l’aborto fino alla diciottesima settimana di gravidanza è libero, su richiesta. Il tasso di aborti, molto più elevato che da noi, è costante e non scende. Così come in Francia, dove si interrompono circa duecentomila gravidanze all’anno, senza alcuna diminuzione. In Gran Bretagna gli aborti sono in continuo aumento, e la situazione delle minori è disperata: ogni anno abortiscono di più, e sempre più giovani.

Non è il risultato della pillola abortiva, piuttosto il contrario: è l’effetto di un atteggiamento secondo il quale l’aborto è considerato un diritto individuale anziché un problema sociale. Ed è un simile atteggiamento che favorisce la diffusione dell’aborto, anche di quello farmacologico, e quest’ultimo, a sua volta, ne è favorito.

La Ru486 non è semplicemente un metodo alternativo all’aborto chirurgico: con la procedura farmacologica l’aborto si trasforma da emergenza sociale in atto medico privato e personale. Chi oggi si rallegra del prossimo ingresso della Ru486 in Italia, spingendo perché le donne siano "libere" di farlo a casa propria, non sta sostenendo una procedura medica, ma una posizione culturale: l’aborto non riguarda tutti noi, ma solamente chi lo fa. E se chi abortisce a casa ha problemi – come spesso succede – può "scegliere" di tornare in ospedale.

L’aborto senza alcun dubbio è e resta la drammatica soppressione di una vita umana innocente, indipendentemente dal metodo usato. Ma è anche vero che si possono avere atteggiamenti differenti, di maggiore o minore sostegno alle maternità difficili, di maggiore o minore tendenza a diminuire il più possibile il numero degli aborti.

Se l’aborto è un diritto individuale e non un disvalore, perché prevenire? Se l’aborto è un fatto privato, per quale motivo interessarsene? Perché monitorarlo?

L’aborto a domicilio, vero obiettivo dell’introduzione della Ru486, significa rinunciare alla sua prevenzione per nasconderlo fra le mura di casa. Un mutamento culturale, con le inevitabili conseguenze che le situazioni di Francia, Gran Bretagna e Svezia ci mostrano con chiarezza.
Assuntina Morresi

lunedì 14 dicembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: “il presepio è una scuola di vita” - Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus in piazza San Pietro
2) Discorso di Benedetto XVI all’Hospice Fondazione Roma - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 13 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel visitare questa domenica, nel quartiere romano di Monteverde, l’Hospice Fondazione Roma che fornisce assistenza gratuita a malati di cancro in fase terminale e a malati di Alzheimer e di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).
3) La storia vera della pillola abortiva RU 486 - di Luigi Frigerio*
4) Se la prof è suora il velo non piace più - In una elementare di Roma genitori in rivolta contro la religiosa che insegna italiano: «Questa è una scuola pubblica, faremo ricorso al Tar». Ecco dove può arrivare un malinteso senso del «pluralismo religioso». – di Renato Farina, ilGiornale, 11 dicembre 2009
5) A Roma una suora in cattedra. - Deve sparire.
6) La fede non può essere "vista"? Protesta a Roma – Avvenire, 11 dicembre 2009
7) IL CASO/ Dopo il crocifisso, la Corte Europea ci prova con l’aborto - Gianfranco Amato lunedì 14 dicembre 2009 – ilsussidiario.net



Benedetto XVI: “il presepio è una scuola di vita” - Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus in piazza San Pietro
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 13 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della preghiera mariana dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro.

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Cari fratelli e sorelle!

Siamo ormai alla terza domenica di Avvento. Oggi nella liturgia riecheggia l’invito dell’apostolo Paolo: "Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti … il Signore è vicino!" (Fil 4,4-5). La madre Chiesa, mentre ci accompagna verso il santo Natale, ci aiuta a riscoprire il senso e il gusto della gioia cristiana, così diversa da quella del mondo. In questa domenica, secondo una bella tradizione, i bambini di Roma vengono a far benedire dal Papa le statuine di Gesù Bambino, che porranno nei loro presepi. E, infatti, vedo qui in Piazza San Pietro tanti bambini e ragazzi, insieme con i genitori, gli insegnanti e i catechisti. Carissimi, vi saluto tutti con grande affetto e vi ringrazio di essere venuti. È per me motivo di gioia sapere che nelle vostre famiglie si conserva l’usanza di fare il presepe. Però non basta ripetere un gesto tradizionale, per quanto importante. Bisogna cercare di vivere nella realtà di tutti i giorni quello che il presepe rappresenta, cioè l’amore di Cristo, la sua umiltà, la sua povertà. È ciò che fece san Francesco a Greccio: rappresentò dal vivo la scena della Natività, per poterla contemplare e adorare, ma soprattutto per saper meglio mettere in pratica il messaggio del Figlio di Dio, che per amore nostro si è spogliato di tutto e si è fatto piccolo bambino.

La benedizione dei "Bambinelli" – come si dice a Roma – ci ricorda che il presepio è una scuola di vita, dove possiamo imparare il segreto della vera gioia. Questa non consiste nell’avere tante cose, ma nel sentirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri e nel volersi bene. Guardiamo il presepe: la Madonna e san Giuseppe non sembrano una famiglia molto fortunata; hanno avuto il loro primo figlio in mezzo a grandi disagi; eppure sono pieni di intima gioia, perché si amano, si aiutano, e soprattutto sono certi che nella loro storia è all’opera Dio, il Quale si è fatto presente nel piccolo Gesù. E i pastori? Che motivo avrebbero di rallegrarsi? Quel Neonato non cambierà certo la loro condizione di povertà e di emarginazione. Ma la fede li aiuta a riconoscere nel "bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia", il "segno" del compiersi delle promesse di Dio per tutti gli uomini "che egli ama" (Lc 2,12.14), anche per loro!

Ecco, cari amici, in che cosa consiste la vera gioia: è il sentire che la nostra esistenza personale e comunitaria viene visitata e riempita da un mistero grande, il mistero dell’amore di Dio. Per gioire abbiamo bisogno non solo di cose, ma di amore e di verità: abbiamo bisogno di un Dio vicino, che riscalda il nostro cuore, e risponde alle nostre attese profonde. Questo Dio si è manifestato in Gesù, nato dalla Vergine Maria. Perciò quel Bambinello, che mettiamo nella capanna o nella grotta, è il centro di tutto, è il cuore del mondo. Preghiamo perché ogni uomo, come la Vergine Maria, possa accogliere quale centro della propria vita il Dio che si è fatto Bambino, fonte della vera gioia.




[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Mentre ringrazio il Centro Oratori Romani, che ha organizzato la manifestazione dei "Bambinelli", desidero anche ricordare che oggi nella Diocesi di Roma ricorre la "Giornata per le nuove chiese". Infatti, nella nostra città, vi sono comunità che non dispongono di un adeguato luogo di culto, dove abita il Signore con noi, e di strutture per le attività formative. Rinnovo pertanto a tutti l’invito a contribuire, affinché possano essere presto realizzati i centri pastorali necessari. Grazie della vostra generosità!

Questa settimana mi sono giunte tristi notizie da alcuni Paesi dell’Africa circa l’uccisione di quattro missionari. Si tratta dei Sacerdoti Padre Daniel Cizimya, Padre Louis Blondel e Padre Gerry Roche e di Suor Denise Kahambu. Sono stati fedeli testimoni del Vangelo, che hanno saputo annunciare con coraggio, anche a rischio della propria vita. Mentre esprimo vicinanza ai familiari e alle comunità che sono nel dolore, invito tutti ad unirsi alla mia preghiera perché il Signore li accolga nella Sua Casa, consoli quanti ne piangono la scomparsa e porti, con la Sua venuta, riconciliazione e pace.

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Montevarchi, Empoli, Arezzo e dalla parrocchia romana di Santa Edith Stein; i bambini della Scuola "Ravasco" di Pescara e i ragazzi di Palma Campania; il gruppo della Polizia Municipale di Agropoli, quello dell’Ospedale "San Giuseppe e Melorio" di Santa Maria Capua Vetere e l’associazione "Cambio-Passo" di Canicattì; come pure i partecipanti al corteo che rievoca alcune tradizioni storico-religiose italiane. A tutti auguro una buona domenica.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]


Discorso di Benedetto XVI all’Hospice Fondazione Roma - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 13 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel visitare questa domenica, nel quartiere romano di Monteverde, l’Hospice Fondazione Roma che fornisce assistenza gratuita a malati di cancro in fase terminale e a malati di Alzheimer e di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).

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Cari fratelli e sorelle!

Ho accolto volentieri l’invito a rendere visita all’Hospice Fondazione Roma e sono molto lieto di essere in mezzo a voi. Rivolgo il mio cordiale pensiero al Cardinale Vicario Agostino Vallini, agli Eccellentissimi Vescovi Ausiliari ed ai Sacerdoti presenti. Ringrazio vivamente il Professor Emmanuele Emanuele, Presidente della Fondazione Roma, e Don Leopoldo dei Duchi Torlonia, Presidente del Circolo San Pietro, per le significative parole che mi hanno cortesemente rivolto. Con loro saluto la Dirigenza dell’Hospice Fondazione Roma, il suo Presidente, Ing. Alessandro Falez, il Personale sanitario, infermieristico e amministrativo, le Suore e quanti prestano in diverso modo la loro opera in questa benemerita istituzione. Rivolgo poi un particolare apprezzamento ai Volontari del Circolo San Pietro, dei quali mi è noto lo zelo e la generosità con cui portano aiuto e conforto ai malati ed ai loro familiari. L’Hospice Fondazione Roma è nato nel 1998, con la denominazione di Hospice Sacro Cuore, per iniziativa dell’allora Presidente Generale del Circolo San Pietro, Don Marcello dei Marchesi Sacchetti, che saluto con viva e grata deferenza. Compito di tale istituzione è la cura dei pazienti terminali, per alleviarne il più possibile le sofferenze e accompagnarli amorevolmente nel decorso della malattia. I ricoverati nell’Hospice, in undici anni, sono passati da tre a più di trenta, seguiti quotidianamente dai medici, dagli infermieri e dai volontari. A questi dobbiamo aggiungere i novanta assistiti a domicilio. Tutto ciò contribuisce a fare dell’Hospice Fondazione Roma, che nel tempo si è arricchito dell’Unità Alzheimer e di un progetto di assistenza sperimentale rivolto a persone affette da Sclerosi Laterale Amiotrofica, una realtà particolarmente significativa, nel panorama della sanità romana.

Cari amici! Sappiamo come alcune gravi patologie producano inevitabilmente nei malati momenti di crisi, di smarrimento e un serio confronto con la propria situazione personale. I progressi nelle scienze mediche spesso offrono gli strumenti necessari ad affrontare questa sfida, almeno relativamente agli aspetti fisici. Tuttavia, non sempre è possibile trovare una cura per ogni malattia, e, di conseguenza, negli ospedali e nelle strutture sanitarie di tutto il mondo ci si imbatte sovente nella sofferenza di tanti fratelli e sorelle incurabili, e spesso in fase terminale. Oggi, la prevalente mentalità efficientistica tende spesso ad emarginare queste persone, ritenendole un peso ed un problema per la società. Chi ha il senso della dignità umana sa, invece, che esse vanno rispettate e sostenute mentre affrontano le difficoltà e la sofferenza legate alle loro condizioni di salute. A tale scopo, oggi si ricorre sempre più all’utilizzo di cure palliative, le quali sono in grado di lenire le pene che derivano dalla malattia e di aiutare le persone inferme a viverla con dignità. Tuttavia, accanto alle indispensabili cure cliniche, occorre offrire ai malati gesti concreti di amore, di vicinanza e di cristiana solidarietà per venire incontro al loro bisogno di comprensione, di conforto e di costante incoraggiamento. È quanto viene felicemente realizzato qui, all’Hospice Fondazione Roma, che pone al centro del proprio impegno la cura e l’accoglienza premurosa dei malati e dei loro familiari, in consonanza con quanto insegna la Chiesa, la quale, attraverso i secoli, si è mostrata sempre come madre amorevole di coloro che soffrono nel corpo e nello spirito. Nel compiacermi per la lodevole opera svolta, desidero incoraggiare quanti, facendosi icone concrete del buon samaritano, che "prova compassione e si prende cura del prossimo" (cfr Lc 10,34), offrono quotidianamente agli ospiti ed ai loro congiunti un’assistenza adeguata e attenta alle esigenze di ciascuno.

Cari malati, cari familiari, vi ho appena incontrato singolarmente, e ho visto nei vostri occhi la fede e la forza che vi sostengono nelle difficoltà. Sono venuto per offrire a ciascuno una concreta testimonianza di vicinanza e di affetto. Vi assicuro la mia preghiera, e vi invito a trovare in Gesù sostegno e conforto, per non perdere mai la fiducia e la speranza. La vostra malattia è una prova ben dolorosa e singolare, ma davanti al mistero di Dio, che ha assunto la nostra carne mortale, essa acquista il suo senso e diventa dono e occasione di santificazione. Quando la sofferenza e lo sconforto si fanno più forti, pensate che Cristo vi sta associando alla sua croce perché vuole dire attraverso voi una parola di amore a quanti hanno smarrito la strada della vita e, chiusi nel proprio vuoto egoismo, vivono nel peccato e nella lontananza da Dio. Infatti, le vostre condizioni di salute testimoniano che la vita vera non è qui, ma presso Dio, dove ognuno di noi troverà la sua gioia se avrà umilmente posto i suoi passi dietro a quelli dell’uomo più vero: Gesù di Nazaret, Maestro e Signore.

Il tempo dell’Avvento, nel quale siamo immersi, ci parla della visita di Dio e ci invita a preparagli la strada. Alla luce della fede possiamo leggere nella malattia e nella sofferenza una particolare esperienza dell’Avvento, una visita di Dio che in modo misterioso viene incontro per liberare dalla solitudine e dal non-senso e trasformare il dolore in tempo di incontro con Lui, di speranza e di salvezza. Il Signore viene, è qui, accanto a noi! Questa certezza cristiana ci aiuti a comprendere anche la "tribolazione" come il modo con cui Egli può venire incontro e diventare per ciascuno il "Dio vicino" che libera e salva. Il Natale, al quale ci stiamo preparando, ci offre la possibilità di contemplare il Santo Bambino, la luce vera che viene in questo mondo per manifestare "la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini" (Tt 2,11). A lui, con i sentimenti di Maria, tutti affidiamo noi stessi, la nostra vita e le nostre speranze. Cari fratelli e sorelle! Con questi pensieri invoco su ciascuno di voi la materna protezione della Madre di Gesù, che il popolo cristiano nella tribolazione invoca come Salus infirmorum e vi imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica, pegno di spirituale ed intima letizia e di autentica pace nel Signore.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]


La storia vera della pillola abortiva RU 486 - di Luigi Frigerio*
ROMA, domenica, 13 dicembre 2009 (ZENIT.org).- L’essere umano viene concepito senza la sua volontà, e il suo sviluppo dipende per lo più dalla madre fin dalla nascita. In seguito la sua vita dipende dalla famiglia e dalla società in cui egli vive.

Nel 1978, a partire dall’episodio della nube tossica di Seveso, venne istituita in Italia la legge 194, che contiene norme sull’interruzione volontaria della gravidanza, entro i primi novanta giorni, a discrezione della donna e, dopo tale periodo, sulla base di indicazioni di natura medica. Gli interventi possono essere praticati unicamente presso ospedali pubblici, istituti ed enti autorizzati.

Durante gli anni ’80 fu introdotta in Francia la pillola RU 486 per consentire l’interruzione chimica della gravi danza. Questo prodotto consente, in molti casi, l’evacuazione di un embrione umano senza intervento chirurgico, riproponendo un tema che il referendum sulla legge 40, in merito alla procreazione medicalmente assistita, aveva già battuto in Italia col voto del 2005.

È in gioco la salute della donna – si è detto –; bisogna rendere più facile l’aborto nell’interesse di tutte le donne! Risulta dunque lecito uccidere un essere umano che non ha commesso alcun delitto né usato violenza, ma che crea “disagio” o, talora, accresce il “rischio”nella vita di altri? Romano Guardini aveva sottolineato i pericoli derivanti da una concezione per cui “l’uomo è diventato incline a trattare i suoi simili come cose che cadono sotto la categoria dell’utilità”.

In tutte le legislazioni la tutela della vita umana rappresenta il coronamento della proibizione di trattare l’uomo come “cosa”. Eppure, s’insiste sul fatto che la donna ha il diritto di disporre del proprio corpo e che quindi le è lecito esigere di stravolgere la propria gravi danza con metodi che corrispondano alle finalità da lei volute. Ma il nascituro, il figlio, non è semplicemente il corpo della madre, e neppure un suo organo o una sua emanazione, sebbene legato a lei così intimamente da formare con lei, appunto, una vita nella vita.

Sul piano strettamente culturale Cesare Cavoni e Dario Sacchini svolgono, attraverso il libro, “La storia vera della pillola abortiva RU 486” (Edizioni Cantagalli; pp. 288) un’azione informativa capillare che documenta in maniera ineccepibile gli aspetti controversi della pillola abortiva mifepristone (o RU 486). Il farmaco ha una scarsa tollerabilità sotto il profilo fisico e clinico; nume rosi studi pubblicati al riguardo, hanno evidenziato un numero elevato di emorragie, incremento del dolore, febbre, vertigini ed un’assai prolungata durata delle perdite di sangue.

Deve essere considerato inoltre il dato emergente, in base al quale l’aborto medico ha un tasso di insuccessi assai superiore rispetto a quello dell’aborto chirurgico. In questo libro gli aspetti etici vengono trattati con la preoccupazione di tutelare l’uomo agli albori del suo divenire di fronte all’egoismo crescente di una società adulta accecata da una logica meramente utilitaristica.

Quest’opera di “contro informazione” ha un significato sociale assai importante, perché ogni violazione della persona, special mente con la copertura della legge, apre la via ad un regime sostanzialmente contrario all’uomo e perciò totalitario.

Ogni azione coerente richiede la conoscenza dei fatti e la volontà libera di perseguire uno scopo.

Oggi dobbiamo arginare la tendenza a considerare la medicina al pari delle scienze “esatte”, perché questo riduzionismo di tipo matematico porta a censurare la dignità di ogni singolo essere umano.

Una medicina che abbia cura della persona non può essere meccanicistica. La clinica è un’arte dove la scienza si china innanzi all’umanità di ciascuno. La dignità della persona umana non può essere sacrificata a nessun altro interesse. Come diceva il noto medico statunitense William James Mayo, “il miglior interesse del paziente è l’unico interesse da considerare”. Il medico che cura la gravidanza deve difendere due volte questo supremo interesse.



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*Luigi Frigerio è docente di Ostetricia e Ginecologia all'Università di Milano. Fondatore insieme al prof. A. Ferrari della Società Italiana di Chirurgia Ginecologica, nel 1989 è stato nominato Segretario Scientifico di questa società.


A Roma una suora in cattedra. - Deve sparire.
Vogliono mandare al confino le suore, estrometterle dalla vita pubblica, chiuderle in monastero. Sta accadendo a Roma in questi giorni, scuola elementare Jean Piaget, via Suvereto. Un gruppo di zelanti genitrici, guidate da una «cassintegrata dell'Alitalia» ha chiesto la testa di una maestra colpevole di essere suora. Costei, un tipo minuto, è una suora padovana di 61 anni della Congregazione di Maria Consolatrice. Non ha fatto propaganda di Gesù, quando mai. Insegna italiano, ha il curriculum giusto, i titoli di studio, sta in graduatoria. Ma per il fatto di essere suora, secondo la mamma «cassintegrata dell'Alitalia», non può essere una dipendente dello Stato laico. Deve sparire.
«È per l’abito che indosso – afferma la suora - non per come faccio l’insegnante». È consapevole di «non dover oltrepassare il limite. Misuro ogni parola quando faccio lezione, sono anche troppo scrupolosa - spiega - ma nessuno di noi può negare che scriviamo anno 2009 perché è nato un certo Signore chiamato Gesù Cristo».
La dirigente scolastica Maria Matilde Filippini, che pure si professa atea, taglia corto: «Non chiederò l’allontanamento dell’insegnante» e conferma anche la decisione di non accogliere la richiesta di alcuni genitori di spostare i figli dalla II C. E la direttrice atea rincara la dose:«Questo è razzismo laico, viviamo dei tempi cupi». «Se proprio vogliono, siano loro a cambiargli scuola».
Per il momento la questione si ferma qui. Grazie a Dio. Ma già si intravvede cosa potrà accadere in seguito anche in altre parti d’Italia. Pessimi segnali.


Se la prof è suora il velo non piace più - In una elementare di Roma genitori in rivolta contro la religiosa che insegna italiano: «Questa è una scuola pubblica, faremo ricorso al Tar». Ecco dove può arrivare un malinteso senso del «pluralismo religioso». – di Renato Farina, ilGiornale, 11 dicembre 2009

Vogliono mandare al confino le suore, estrometterle dalla vita pubblica, chiuderle in monastero. Sta accadendo a Roma in questi giorni, scuola elementare Jean Piaget, via Suvereto. Un gruppo di zelanti genitrici, guidate da una «cassintegrata dell'Alitalia» ha chiesto la testa di una maestra colpevole di essere suora. Costei è un tipo minuto. Non ha fatto propaganda di Gesù, quando mai. Insegna italiano, ha il curriculum giusto, i titoli di studio, sta in graduatoria. Ma per il fatto di essere suora, secondo la cassintegrata dell'Alitalia (un nome, un programma), non può essere una dipendente dello Stato laico. Deve sparire.
Scrive Fabrizio Caccia sul Corriere della Sera: «Un gruppo di mamme ieri mattina ha incontrato la preside, Maria Matilde Filippini. Il motivo? La nuova maestra d'italiano della II C, da venerdì scorso, è una suora. Suor Annalisa Falasco, padovana, 61 anni, della congregazione di Maria Consolatrice, è stata mandata dal provveditorato di Roma a sostituire l'insegnante di ruolo, che ha appena vinto una borsa di studio e se ne è andata altrove. Dice ora Patrizia Angari, trentasei anni, cassintegrata Alitalia, a nome pure delle altre mamme: «La nostra è una scuola pubblica, una scuola statale, perciò se serve faremo ricorso al Tar. Qui non è in discussione la persona, la suora sarà pure bravissima ma io contesto l'istituzione che rappresenta. Cioè la Chiesa. Voglio vedere cosa dirà la maestra a mio figlio quando Valerio le chiederà come è nato l'universo. Sono atea e credo che la scuola pubblica debba essere quantomeno laica. O no?».
Che Paese stiamo diventando? Dov'è che si era vista una scena così? La madre lavoratrice che organizza un comitato di mamme democratiche e smaschera il traditore che corrompe i fanciulli? Va be’, c'è stato il caso di Socrate, ma non esageriamo. Più vicino a noi: Unione Sovietica, ventesimo secolo. Arcipelago Gulag di Solgenitsin racconta vicende di questo genere. Sbugiardare il finto compagno, rivelare che è un prete, consegnarlo alla vergogna popolare. Sulla Pravda apparivano le lettere delle mungitrici di renne, da noi le più rappresentative sono le hostess Alitalia, ad alcune delle quali i privilegi devono aver dato alla testa. Anche da cassintegrate è più alto il loro mensile di quello complessivo di un esercito di suorine che puliscono il sedere a bambini e a vecchi.
C'è bisogno di spiegare perché tutto questo è razzismo, convinto per di più di essere progressista? I razzisti sono quelli che dividono gli esseri umani in due categorie: le persone degne di godere dei diritti umani, e quelle meno, molto meno. Qui si nega a una persona il diritto di meritarsi un posto di lavoro sulla base dell'appartenenza a una religione. Se ci fosse una magistratura seria interverrebbe aprendo un fascicolo sulla vicenda intestandolo alla Legge Mancino, là dove si punisce «... con la reclusione sino a tre anni chi (...) incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» (art. 1).
Una bella idea di laicità esprime la mamma citata. È in linea di navigazione con una deriva tutta occidentale. L'Europa si vuole annullare, si odia. Detesta le sue origini. In nome dell'illuminismo giacobino fa fuori l'illuminismo ragionevole, e con esso si uccide, lasciando spazio a una tranquilla invasione islamica.
Il principio di uguaglianza è per la cultura dominante come una pialla: implica omogeneizzarsi alla religione di Stato, che a quanto pare esige la riduzione della fede a fatto privato, con una ridicola confusione tra laicità e miscredenza violenta.
La cosa più incredibile non è che ci sia in giro qualcuno con le idee strane, ma che raduni intorno a sé gente normale pronta a darle ragione. E in Italia siamo ancora fortunati, perché questi casi appaiono isolati. Ma ci sono inchieste condotte specie nel Nord Europa dove si rivela che essere cristiani è un vero handicap sociale. Si chiama cristianofobia questa malattia europea, si è espressa nella sentenza contro i crocifissi sulle pareti delle scuole, e in Italia ha questi epigoni. Il risultato? È molto più difficile trovare comprensione se sei una suora che se sei un imam. O un propagandista dello yoga. Fare il presepio è intolleranza, invece introdurre, ad esempio, il buddismo è ritenuto molto laico, in perfetta armonia con la laicità della scuola. La preside Filippini, che è donna di buon senso, dichiara: «L'insegnante che c'era prima della suora impartiva ai bambini dei corsi di benessere yoga: li faceva sdraiare in cerchio, disegnava dei mandala e recitavano insieme dei mantra...». Om, Om, Om. Quello andava benissimo alla signora dell'Alitalia. Invece nominare Gesù a Natale è un delitto.
Noi suggeriremmo alla suora, se non è troppo tardi, di dichiararsi sì suora, ma anche lesbica, o almeno suora incinta, e farsi fare un anatema dal vescovo, come nei film alla moda di Almodóvar. Diventerebbe un'eroina. Forse le perdonerebbero persino se facesse dire le preghiere ai bambini.
di Renato Farina
Il Giornale venerdì 11 dicembre 2009


La fede non può essere "vista"? Protesta a Roma – Avvenire, 11 dicembre 2009
È arrivata la nuova maestra. È abilitata all’ insegnamento, ha alle spalle anni in cattedra, secondo le graduatorie il posto tocca a lei. Ma quando entra in aula, in una elementare statale di Roma, delle madri corrono dalla preside. A protestare, indignate. Perché quella maestra, è una suora. Visibilmente una suora: porta perfino la veste nera sopra al velo bianco. Troppo, davvero, per quelle mamme "laiche e democratiche", che ora minacciano ricorso al Tar.
Chi ha paura di una suora? Quella di Roma è una donna di 61 anni, i capelli grigi, l’aria, a dire il vero, mite. Ex allieva del cardinale Martini, neanche porta sulla veste quel crocefisso attorno al quale oggi tanto animatamente si discute. Sorride tranquilla: «Tanto ce l’ho qui dentro, nel mio cuore». E dunque la storia di Roma nemmeno è una questione di segni esibiti o rifiutati. «Cosa risponderà», trema invece una madre, «se mio figlio chiedesse come è nato l’universo?» Già. Non le verrà mica in mente, alla sorella, di accennare, accanto alla corretta idea evoluzionista, l’assurda ipotesi di un Creatore? (Dove si vede come certo laicismo radicale sia in realtà un credo integralista, spaventato all’idea del confronto con l’altro).
E non importa se la legge italiana non preveda – e ci mancherebbe altro – la esclusione dei religiosi dall’insegnamento, in un’inimmaginabile discriminazione fra cittadini e sotto-cittadini. Tuttavia in qualcuno permane un meccanismo automatico, quasi pavloviano, per cui quell’abito è intollerabile. L’abito che sta a indicare, netta, ben visibile, l’appartenenza cristiana. Altrettanto cristiani però sono, nelle loro vesti borghesi, migliaia di maestri e professori nelle nostre scuole.
Qual è il punto di attrito, allora? Forse l’abito di una suora come segno indiscreto e visibile della propria fede. Che è ammessa finché sia faccenda pudica, privata, mantenuta estranea alla vita quotidiana. Finché stia in chiesa e non si immischi di cose concrete come la politica, o l’educazione. Come farebbe, altrimenti, un maestro che manifestamente creda in un Dio a presentare agli alunni l’umano scibile con la dovuta neutralità, con la necessaria prudente equidistanza da ogni visione del mondo? Come farebbe a insegnare che nulla è oggettivamente vero, ma tutto invece opinabile, secondo l’imperativo del relativismo in cui oggi, coscientemente o no, si crescono i figli?
Una suora in cattedra, questo no. Il rigurgito di una sorta di razzismo laico. No, nemmeno se non porta il crocefisso sul petto: tanto ce l’ha nel cuore, dice. Peggio, direbbero quelle madri, se fossero più acute. Perché un crocefisso di legno potrebbe anche essere lì, e non rappresentare niente. Potrebbe restare sul muro di un’aula a impolverarsi, innocuo sotto a sguardi abituati.
Ma se davvero uno ce l’ha, come dice la suora di Roma, nel cuore, allora ha un’attenzione all’altro che meraviglia, col tempo, anche i bambini di una chiassosa classe elementare. Perché quella veste e quella croce si testimoniano nella passione all’altro. Perfino al ragazzo dell’ultimo banco, apparentemente il peggiore. E quanta ce ne vorrebbe, di questa passione, in certe nostre aule di ragazzi lasciati soli, di figli bulli per noia.
di Marina Corradi
Avvenire 11 Dicembre 2009


IL CASO/ Dopo il crocifisso, la Corte Europea ci prova con l’aborto - Gianfranco Amato lunedì 14 dicembre 2009 – ilsussidiario.net
Dopo i crocifissi in Italia ora tocca alla legge antiabortista irlandese. Lo scorso 9 dicembre, infatti, si è svolta a Strasburgo, davanti ai 17 giudici della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, l’udienza relativa al ricorso promosso contro l’Irlanda a causa della legislazione pro-life vigente in quello Paese.

Il caso è giunto avanti alla Corte a seguito della richiesta avanzata da tre donne irlandesi di veder riconoscere il “diritto” di aborto anche nell’Isola di smeraldo.



L’interruzione volontaria della gravidanza è attualmente illegale in Irlanda, a meno che la vita della donna non sia in grave pericolo, e persino la Costituzione è stata modificata nel 1983 per includere un emendamento pro-life. Oggi, infatti, nella Carta Costituzionale irlandese si legge: «Lo Stato afferma il diritto alla vita del nascituro e, tenuto conto dell’eguale diritto alla vita della madre, garantisce nella propria legislazione il riconoscimento e, per quanto possibile, l’esercizio effettivo e la tutela di tale diritto, attraverso idonee disposizioni normative».



Il governo irlandese non ha esitato a difendere a spada tratta la propria Costituzione e le norme che ne derivano in tema di aborto, davanti ai giudici di Strasburgo. L’Avvocato Generale dello Stato, Paul Gallagher, ha dichiarato, senza mezzi termini, che il ricorso rappresenta un «significant attack» al sistema sanitario irlandese. Gallagher si è rivolto alla Corte affermando che «il diritto alla vita del nascituro è basato su fondamentali valori morali profondamente radicati nel tessuto sociale irlandese».
La sentenza della Corte Europea è attesa per l’anno prossimo.


Ora, a prescindere dal merito dei singoli casi pendenti avanti la Corte di Strasburgo, la questione più generale che si pone è quella di capire se sia ammissibile che la cultura, la tradizione, i valori e persino le norme approvate in parlamento attraverso un processo democratico, possano essere messe in discussione da un organismo internazionale artificialmente creato e del tutto avulso dal contesto che è chiamato a giudicare.



Il paradosso si ingigantisce se si considera che quella cultura, quelle tradizioni, quei valori e quelle leggi appartengono ad uno stato membro dell’Unione Europea e possono essere smantellate da un organismo che con l’Unione non ha nulla a che vedere.



Sì, perché la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nonostante l’altisonante aggettivo, non è un’istituzione dell’Unione Europea e non va confusa, come spesso accade, con la Corte di Giustizia Europea, che invece è, a tutti gli effetti, un’importante componente dell’architettura istituzionale comunitaria.



Gli strenui difensori dei principi liberali e democratici si dovrebbero porre il problema se sia giusto consegnare la sovranità popolare di un Paese membro dell’Unione Europea a diciassette uomini dalle più disparate estrazioni, visto che fanno attualmente parte della Corte anche giudici provenienti dalla Turchia, dalla Macedonia, dall’Albania, dal Montenegro, dalla Moldavia, dalla Georgia e persino dall’Azerbaigian.



Oggi quell’organismo internazionale – impropriamente chiamato Corte Europea – è in grado di giudicare cultura, tradizioni, valori e leggi di Paesi che non rappresentano proprio la Korea di Kim Yong Il, la Libia di Gheddafi, l’Iran di Ahmadinejad, o la Birmania della giunta militare golpista guidata dal generale Than Shweh. Si tratta dell’Irlanda e dell’Italia, due civili e democratici Paesi europei accumunati, guarda caso, dal “difetto” di essere entrambi due Paesi cattolici.



Quando scoppiò il caso dei crocifissi, scoprimmo che il giudice della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in rappresentanza dell’Italia è Vladimiro Zagrebelsky, talmente imparziale da aver meritato il premio di “Laico dell’anno 2008”, conferitogli dalla Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni, aderente alla EHF – FHE European Humanist Federation.
C’è forse qualcuno disposto a scommettere su come Zagrebelsky si pronuncerà in merito alla questione irlandese?