Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI riflette sul pensiero di Giovanni di Salisbury - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) Al Parlamento Europeo un altro attentato ad un cattolico - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 16 dicembre 2009
3) FEMMINISTE, MEDICI, POLITICI: A MICROFONI SPENTI ALTRE OPINIONI - «Fuori onda» sulla Ru486: quel che si pensa ma non si dice - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 17 dicembre 2009
4) il protagonista - In hospice la vita non si misura dalla «qualità» - di Marco Maltoni* - L’incontro del Papa domenica con i malati terminali dell’Hospice Fondazione Roma ha impresso un nuovo slancio a quanti operano nel settore, impegnati ad avvolgere chi soffre in una rete di dialogo, ascolto, comprensione. - Ecco cosa ha colto uno di loro in ciò che ha detto e fatto il Pontefice – Avvenire, 17 dicembre 2009
5) Ru486 - Cytotec, i conti non tornano - Il farmaco usato per l’espulsione dell’embrione nell’aborto chimico è iscritto nel prontuario come antiulcera e non può essere usato al di fuori della prescrizione Un problema ignorato dall’Aifa - di Ilaria Nava – Avvenire, 17 dicembre 2009
Benedetto XVI riflette sul pensiero di Giovanni di Salisbury - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 16 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI incontrando i fedeli e i pellegrini nell'aula Paolo VI per la tradizionale Udienza generale.
Continuando la catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, il Papa si è soffermato su Giovanni di Salisbury.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
oggi ci avviamo a conoscere la figura di Giovanni di Salisbury, che apparteneva a una delle scuole filosofiche e teologiche più importanti del Medioevo, quella della cattedrale di Chartres, in Francia. Anch’egli, come i teologi di cui ho parlato nelle settimane scorse, ci aiuta a comprendere come la fede, in armonia con le giuste aspirazioni della ragione, spinge il pensiero verso la verità rivelata, nella quale si trova il vero bene dell’uomo.
Giovanni nacque in Inghilterra, a Salisbury, tra il 1100 e il 1120. Leggendo le sue opere, e soprattutto il suo ricco epistolario, veniamo a conoscenza dei fatti più importanti della sua vita. Per circa dodici anni, dal 1136 al 1148, egli si dedicò agli studi, frequentando le scuole più qualificate dell’epoca, nelle quali ascoltò le lezioni di maestri famosi. Si recò a Parigi e poi a Chartres, l’ambiente che segnò maggiormente la sua formazione e di cui assimilò la grande apertura culturale, l’interesse per i problemi speculativi e l’apprezzamento per la letteratura. Come spesso accadeva in quel tempo, gli studenti più brillanti venivano richiesti da prelati e sovrani, per esserne stretti collaboratori. Questo accadde anche a Giovanni di Salisbury, che da un suo grande amico, Bernardo di Chiaravalle, fu presentato a Teobaldo, Arcivescovo di Canterbury - sede primaziale dell’Inghilterra -, il quale volentieri lo accolse nel suo clero. Per undici anni, dal 1150 al 1161, Giovanni fu segretario e cappellano dell’anziano Arcivescovo. Con infaticabile zelo, mentre continuava a dedicarsi allo studio, egli svolse un’intensa attività diplomatica, recandosi per dieci volte in Italia, con lo scopo esplicito di curare i rapporti del Regno e della Chiesa di Inghilterra con il Romano Pontefice. Fra l’altro, in quegli anni il Papa era Adriano IV, un inglese che ebbe con Giovanni di Salisbury una stretta amicizia. Negli anni successivi alla morte di Adriano IV, avvenuta nel 1159, in Inghilterra si creò una situazione di grave tensione tra la Chiesa e il Regno. Il re Enrico II, infatti, intendeva affermare la sua autorità sulla vita interna della Chiesa, limitandone la libertà. Questa presa di posizione suscitò le reazioni di Giovanni di Salisbury, e soprattutto la coraggiosa resistenza del successore di Teobaldo sulla cattedra episcopale di Canterbury, san Tommaso Becket, che per questo motivo andò in esilio, in Francia. Giovanni di Salisbury lo accompagnò e rimase al suo servizio, adoperandosi sempre per una riconciliazione. Nel 1170, quando sia Giovanni, sia Tommaso Becket erano già rientrati in Inghilterra, quest’ultimo fu assalito e ucciso all’interno della sua cattedrale. Morì da martire e come tale fu subito venerato dal popolo. Giovanni continuò a servire fedelmente anche il successore di Tommaso, fino a quando venne eletto Vescovo di Chartres, dove rimase dal 1176 al 1180, anno della sua morte.
Delle opere di Giovanni di Salisbury vorrei segnalarne due, che sono ritenute i suoi capolavori, designate elegantemente con i titoli greci di Metaloghicón (In difesa della logica) e il Polycráticus (L’uomo di Governo). Nella prima opera egli – non senza quella fine ironia che caratterizza molti uomini colti – respinge la posizione di coloro che avevano una concezione riduttiva della cultura, considerata come vuota eloquenza, inutili parole. Giovanni, invece, elogia la cultura, l’autentica filosofia, l’incontro cioè tra pensiero forte e comunicazione, parola efficace. Egli scrive: "Come infatti non solo è temeraria, ma anche cieca l’eloquenza non illuminata dalla ragione, così la sapienza che non si giova dell’uso della parola è non solo debole, ma in certo modo monca: infatti, anche se, talora, una sapienza senza parola può giovare a confronto della propria coscienza, raramente e poco giova alla società" (Metaloghicón 1,1, PL 199,327). Un insegnamento molto attuale. Oggi, quella che Giovanni definiva "eloquenza", cioè la possibilità di comunicare con strumenti sempre più elaborati e diffusi, si è enormemente moltiplicata. Tuttavia, tanto più rimane urgente la necessità di comunicare messaggi dotati di "sapienza", ispirati cioè alla verità, alla bontà, alla bellezza. È questa una grande responsabilità, che interpella in particolare le persone che operano nell’ambito multiforme e complesso della cultura, della comunicazione, dei media. Ed è questo un ambito nel quale si può annunciare il Vangelo con vigore missionario.
Nel Metaloghicón Giovanni affronta i problemi della logica, ai suoi tempi oggetto di grande interesse, e si pone una domanda fondamentale: che cosa può conoscere la ragione umana? Fino a che punto essa può corrispondere a quell’aspirazione che c’è in ogni uomo, cioè la ricerca della verità? Giovanni di Salisbury adotta una posizione moderata, basata sull’insegnamento di alcuni trattati di Aristotele e di Cicerone. Secondo lui, ordinariamente la ragione umana raggiunge delle conoscenze che non sono indiscutibili, ma probabili e opinabili. La conoscenza umana – questa è la sua conclusione - è imperfetta, perché soggetta alla finitezza, al limite dell’uomo. Essa, però, cresce e si perfeziona grazie all’esperienza e all’elaborazione di ragionamenti corretti e coerenti, in grado di stabilire rapporti tra i concetti e la realtà, grazie alla discussione, al confronto e al sapere che si arricchisce di generazione in generazione. Solo in Dio vi è una scienza perfetta, che viene comunicata all’uomo, almeno parzialmente, per mezzo della Rivelazione accolta nella fede, per cui la scienza della fede, la teologia, dispiega le potenzialità della ragione e fa avanzare con umiltà nella conoscenza dei misteri di Dio.
Il credente e il teologo, che approfondiscono il tesoro della fede, si aprono anche a un sapere pratico, che guida le azioni quotidiane, cioè alle leggi morali e all’esercizio delle virtù. Scrive Giovanni di Salisbury: "La clemenza di Dio ci ha concesso la sua legge, che stabilisce quali cose sia per noi utile conoscere, e che indica quanto ci è lecito sapere di Dio e quanto è giusto indagare… In questa legge, infatti, si esplicita e si rende palese la volontà di Dio, affinché ciascuno di noi sappia ciò che per lui è necessario fare" (Metaloghicón 4,41, PL 199,944-945). Esiste, secondo Giovanni di Salisbury, anche una verità oggettiva e immutabile, la cui origine è in Dio, accessibile alla ragione umana e che riguarda l’agire pratico e sociale. Si tratta di un diritto naturale, al quale le leggi umane e le autorità politiche e religiose devono ispirarsi, affinché possano promuovere il bene comune. Questa legge naturale è caratterizzata da una proprietà che Giovanni chiama "equità", cioè l’attribuzione a ogni persona dei suoi diritti. Da essa discendono precetti che sono legittimi presso tutti i popoli, e che non possono in nessun caso essere abrogati. È questa la tesi centrale del Polycráticus, il trattato di filosofia e di teologia politica, in cui Giovanni di Salisbury riflette sulle condizioni che rendono l’azione dei governanti giusta e consentita.
Mentre altri argomenti affrontati in quest’opera sono legati alle circostanze storiche in cui essa fu composta, il tema del rapporto tra legge naturale e ordinamento giuridico-positivo, mediato dall’equità, è ancor oggi di grande importanza. Nel nostro tempo, infatti, soprattutto in alcuni Paesi, assistiamo a uno scollamento preoccupante tra la ragione, che ha il compito di scoprire i valori etici legati alla dignità della persona umana, e la libertà, che ha la responsabilità di accoglierli e promuoverli. Forse Giovanni di Salisbury ci ricorderebbe oggi che sono conformi all’equità solo quelle leggi che tutelano la sacralità della vita umana e respingono la liceità dell’aborto, dell’eutanasia e delle disinvolte sperimentazioni genetiche, quelle leggi che rispettano la dignità del matrimonio tra un uomo e una donna, che si ispirano a una corretta laicità dello Stato – laicità che comporta pur sempre la salvaguardia della libertà religiosa –, e che perseguono la sussidiarietà e la solidarietà a livello nazionale e internazionale. Diversamente, finirebbe per instaurarsi quella che Giovanni di Salisbury definisce la "tirannia del principe" o, diremmo noi, "la dittatura del relativismo": un relativismo che, come ricordavo qualche anno fa, "non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie" (Missa pro eligendo Romano Pontifice, Omelia, "L’Osservatore Romano", 19 aprile 2005).
Nella mia più recente Enciclica. Caritas in veritate, rivolgendomi agli uomini di buona volontà, che si impegnano affinché l’azione sociale e politica non sia mai sganciata dalla verità oggettiva sull’uomo e sulla sua dignità, ho scritto: "La verità e l'amore che essa dischiude non si possono produrre, si possono solo accogliere. La loro fonte ultima non è, né può essere, l'uomo, ma Dio, ossia Colui che è Verità e Amore. Questo principio è assai importante per la società e per lo sviluppo, in quanto né l'una né l'altro possono essere solo prodotti umani; la stessa vocazione allo sviluppo delle persone e dei popoli non si fonda su una semplice deliberazione umana, ma è inscritta in un piano che ci precede, e che costituisce per tutti noi un dovere che deve essere liberamente accolto" (n. 52). Questo piano che ci precede, questa verità dell’essere dobbiamo cercare e accogliere, perché nasca la giustizia, ma possiamo trovarlo e accoglierlo solo con un cuore, una volontà, una ragione purificati nella luce di Dio.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Mi rivolgo ora ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dall’associazione "Fraternità", accompagnati dal Cardinale Ennio Antonelli e dal Vescovo di Crema Mons. Oscar Cantoni, e li incoraggio a testimoniare con crescente impegno i valori dell’accoglienza e della solidarietà, specialmente verso i bambini e le famiglie più provate. Saluto i rappresentanti del "Credito Coperativo di Pitigliano" ed auspico che il Centenario di fondazione dell’Istituto bancario susciti sempre maggiore impegno a servizio degli autentici bisogni sociali. Saluto i fedeli della parrocchia "Santi Antonio e Annibale Maria", in Roma, i militari del "Reparto Operativo Infrastrutturale dell’Esercito", di Roma e quelli del "Decimo Reggimento Trasporti", di Bari.
Con grande affetto saluto voi, cari giovani, cari ammalati e cari sposi novelli. In questo tempo di Avvento, il Signore per bocca del profeta Isaia ci dice: "Volgetevi a me e sarete salvi" (45,22). Voi, cari ragazzi e ragazze, che provenite da tante scuole e parrocchie d'Italia, fate spazio nel vostro cuore a Gesù che viene, per testimoniare la sua gioia e la sua pace. Voi, cari ammalati, accogliete il Signore nella vostra vita per trovare nell'incontro con Lui conforto e consolazione. E voi, cari sposi novelli, fate del messaggio d'amore del Natale la regola di vita della vostra famiglia.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Al Parlamento Europeo un altro attentato ad un cattolico - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 16 dicembre 2009
A Bruxelles è in corso il rinnovo della Commissione europea, presieduta da José Manuel Barroso: la Signora Viviane Reding, lussemburghese, già Commissario della Società dell’informazione e mezzi di comunicazione, è candidata ad un nuovo ruolo di Commissario che tra le proprie competenze avrebbe anche i diritti umani, e quindi l’Agenzia relativa che ha sede a Vienna.
Ma la Signora Reding ha un grave difetto che è un impedimento ad assumere questo ruolo: è cattolica! Sarà ascoltata in audizione, presso il Parlamento europeo martedì 12 gennaio 2010, dalle 13.00 alle 16.00 davanti alla Commissione Libertà, giustizia e affari interni, Diritti della donna e uguaglianza di genere, Cultura, Petizioni ed altre.
Si sta preparando un vero e proprio attentato del tutto simile a quello praticato per “bocciare” Rocco Buttiglione, anche Lui perché cattolico. Vorrò vedere se Esponenti politici italiani avranno ancora la sfrontatezza di dire che anche la Signora Reding se l’è cercata, come hanno detto la volta scorsa!
Chi sta preparando l’aggressione discriminatoria? Ecco i nomi dei più attivi. Sophia in ’t Veld, del Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, neo Presidente della Piattaforma per la secolarizzazione della politica, già copresidente dell’intergruppo Gay e Lesbiche, Miguel Angel Martínez Martínez del Gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, uno dei più accesi anticattolici, sentimento che motiva dicendo che sarebbe stato denunciato da un prete durante la guerra civile spagnola (supposto che sia vero non ha mai detto perché), Hannes Swoboda del Gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, Rebecca Harms del Gruppo Verde/Alleanza libera europea. Tutti Eurodeputati che parlano di lotta alla discriminazione ad ogni piè sospinto!
Swoboda ha chiesto al Presidente della Commissione, Barroso, se sarebbe disposto a cambiare i portafogli dei Commissari a seguito dell’esito delle audizioni dei Candidati designati, qualora ciò fosse suggerito come necessario dal Parlamento europeo. Il Presidente Barroso ha risposto che il Trattato di Lisbona afferma chiaramente che l’organizzazione interna del collegio dei commissari è responsabilità della Commissione, ma che avrebbe ascoltato i suggerimenti del Parlamento. (sic!)
I nostri Deputati del PD, ma non solo, cosa faranno? Si alleeranno con gli altri in questa “guerra santa” contro i cattolici? Perché sia chiaro già fin d’ora che è di questo si tratta e non altro, esattamente come per Buttiglione.
Per inciso domani, giovedì 17 dicembre, a Strasburgo si voterà una risoluzione sulla sussidiarietà che tende ad obbligare “tutti i Paesi”, cioè l’Italia, a rimuovere i simboli religiosi da tutti i luoghi pubblici. Anche questo in nome della non discriminazione, che si realizza discriminando i così detti simboli religiosi cattolici che sono i più invasivi. Espressione usata da Miguel Angel Martínez Martínez. Oggi ci sarebbe ancora tempo per raggiungere un compromesso, vedremo; francamente dubito, ma spero di sbagliare.
Ricordo che la Corte costituzionale tedesca, in una recente attesissima sentenza, ha dichiarato che il Trattato di Lisbona non è in contrasto con la Costituzione della Germania, ma le decisioni conseguenti soprattutto alla Carta dei diritti fondamentali si applicheranno nel Paese solo se non in contrasto con le Leggi tedesche.
Viviamo in tempi difficili, e non possiamo escludere queste forme moderne di persecuzione, che dovremo sopportare cristianamente, ma nessuno ci obbliga a cercarcele, anche perché sono a danno di tutti; anche questo che sia chiaro.
FEMMINISTE, MEDICI, POLITICI: A MICROFONI SPENTI ALTRE OPINIONI - «Fuori onda» sulla Ru486: quel che si pensa ma non si dice - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 17 dicembre 2009
I n queste settimane di polemiche sull’introduzione della pillola abortiva in Italia, ho partecipato a incontri pubblici e dibattiti e sono stata intervistata in diverse occasioni, ma, purtroppo, non è mai capitato che il microfono rimanesse acceso qualche minuto in più, dopo i momenti ufficiali: l’opinione pubblica avrebbe avuto a disposizione 'fuori onda' molto interessanti, con protagonisti meno importanti del Presidente della Camera, ma sicuramente di primo piano nel dibattito sulla Ru486, e se ne sarebbero potute sentire delle belle, quasi divertenti, direi, se l’argomento non fosse fra i più drammatici.
Interessante il fuori onda dell’Intellettuale di Sinistra, che dopo aver tuonato – pubblicamente – in difesa dell’autodeterminazione della donna e a favore della Ru486, confessa – privatamente – che certo che si è informato, l’aborto con la Ru486 è angosciante, orribile, e se sua figlia proprio lo volesse scegliere «glielo farei fare in ospedale, sei matta, farla stare a casa da sola in quelle condizioni?».
E che dire della Femminista Famosa che dopo aver versato fiumi di inchiostro per difendere la pillola abortiva ammette – rigorosamente in privato – che l’aborto a domicilio con la Ru486 va contro il principio fondante della 194, che vuole che gli aborti siano considerati un problema sociale, e non un fatto privato delle donne?
Per non parlare dei Ginecologi che l’Hanno Usata in questi anni, e che dopo aver rassicurato in pubblico che «è tutto sotto controllo anche se le donne vanno a casa», a tu per tu confessano di non sapere quando le donne «hanno avuto l’espulsione», perché, se le donne vanno a casa, come fanno poi i medici a sapere quando, dove e come abortiscono?
Ci sono poi altri Dottori Importanti che Hanno Fatto Carriera che a bassa voce, così li senti solo tu, dicono che quello con la Ru486 è un «metodo schifoso», e che nessuno sano di mente lo consiglierebbe, ma in pubblico assicurano che in Europa questa pillola la usano da anni, senza problemi, e in Italia i 'paletti' messi dall’Aifa rendono minimi i rischi. Per non parlare poi del Parlamentare dell’Opposizione che chiede pure il mio curriculum, pensando evidentemente che io parli per bassi motivi ideologici, e magari non sia nemmeno laureata. Lui si è 'informato' leggendo Repubblica, e poi ha sentito Livia Turco e Silvio Viale, e quindi ritiene di sapere un sacco di cose: prima dice che a lui delle questioni tecniche non gli interessa, perché quelle spettano all’Aifa.
Allora gli spieghi i risvolti politici, e che una direttiva europea stabilisce che la circolazione di farmaci abortivi deve essere compatibile con le leggi vigenti dei singoli Stati. Il Parlamentare dell’Opposizione allora cambia discorso, e chiede i numeri: quanti aborti medici e quante morti – moltissimi i primi, pochissime le seconde, ti vuol dire.
Allora, tu gli fai sommessamente notare che questi sono aspetti tecnici, e glieli spieghi volentieri, ma prima ti aveva detto che non gli interessavano. E mentre gli dai i numeri giusti – diversi da quelli che pensa lui – e gli dici quante persone sono morte, e come sono morte, vedi che la sua faccia cambia espressione, da sicura di sé diventa qualcosa fra il preoccupato, lo stupefatto e l’atterrito.
E, dopo un po’, ti comunica gentilmente che ha poco tempo, e se ne va.
Niente nomi e cognomi, non sarebbe corretto. Ma posso assicurare che questi sono solo alcuni esempi dei 'fuori onda' a cui ho assistito in queste settimane, che hanno lasciato perplessa anche me, all’inizio. Adesso, non più. Adesso ho ben chiaro che sono veramente pochi i veri sostenitori della Ru486. Per il resto, tutti quelli minimamente informati sulla faccenda sono ben d’accordo che di metodo ignobile si tratta: lungo, doloroso, impegnativo e pericoloso, utile solo a 'liberare' gli ospedali dal peso delle donne che abortiscono, e ad abbattere le poche e insufficienti, ma comunque importanti, limitazioni poste dalla 194.
Ma l’Intellettuale di Sinistra, la Femminista Famosa, il Dottore Importante, il Ginecologo che l’ha Usata e il Parlamentare dell’Opposizione non lo ammetteranno mai in pubblico: la Ru486 va difesa, sempre e comunque, indipendentemente da tutto.
Non succeda mai, una volta tanto, di dar ragione ai cattolici. Ci fosse almeno qualche microfono aperto, ogni tanto...
il protagonista - In hospice la vita non si misura dalla «qualità» - di Marco Maltoni* - L’incontro del Papa domenica con i malati terminali dell’Hospice Fondazione Roma ha impresso un nuovo slancio a quanti operano nel settore, impegnati ad avvolgere chi soffre in una rete di dialogo, ascolto, comprensione. - Ecco cosa ha colto uno di loro in ciò che ha detto e fatto il Pontefice – Avvenire, 17 dicembre 2009
Un ulteriore affettuoso, segnale della attenzione del Papa verso chi si trova nella condizione più misteriosa, quella del dolore innocente, e verso chi questo dolore si trova a potere accompagnare. Così, da operatore delle cure palliative ho vissuto la visita che Benedetto XVI ha fato domenica 13 dicembre, all’Hospice 'Fondazione Roma'. Il Papa ha visitato e sostenuto sia i pazienti e i loro familiari qui ricoverati, sia, per altro verso, gli operatori sanitari e i medici che in questo luogo prestano servizio. Questa attenzione della Chiesa per quegli operatori della Sanità a contatto con la malattia inguaribile ed evolutiva non è nuovo. Già nel 1957 Pio XII al Congresso della Società Italiana di Anestesiologia confortava gli anestesisti sulla piena liceità dell’utilizzo dei 'narcotici' per il trattamento del dolore, e dei sedativi, quando altra alternativa non è clinicamente possibile, per alleviare un sintomo altrimenti intrattabile, anche a prezzo di una riduzione del livello di vigilanza. Chi è solito imputare ad un cosiddetto ed ipotetico 'dolorismo' della Chiesa il ritardo in Italia dello sviluppo dei farmaci antidolorifici, dovrebbe onestamente convenire che, in questo settore, la Chiesa era già allora più avanti nella cultura di affronto del dolore rispetto a quanto è accaduto solo alcuni decenni dopo nei luoghi di assistenza (ospedali) e di formazione (università).
La capacità di 'anticipare' e suscitare l’attenzione delle istituzioni civili verso la sofferenza dell’inguaribilità è proseguita negli interventi ripetuti di Papa Giovanni Paolo II a sostegno delle Cure Palliative, come, per esempio, all’interno dell’Enciclica Evangelium Vitae (1995). Perché, allora, è stato talora imputato alla Chiesa di valorizzare il dolore 'di per sé'? Forse per la sua realistica consapevolezza che, anche con le migliori cure palliative e con il sistema organizzativo più articolato, la sofferenza dell’uomo ammalato e moribondo non potrà mai essere azzerata, ma anche che proprio in questa situazione può emergere la possibilità di una maturazione umana, a patto che l’angoscia, la fatica, il dolore, trovino un abbraccio in cui potersi esprimere ed essere accolte.
Padre Aldo Trento, Direttore dell’hospice di Asuncion, in Paraguay, ha scritto di essere rimasto colpito dal fatto che alla sua domanda 'Come va?' effettuata ad un suo paziente durante il giro del mattino, dopo che il malato aveva trascorso la notte con problemi di insonnia, e con una situazione sintomatica non compensata, il paziente stesso gli avesse risposto 'Benissimo, Padre'. O una risposta di questo tipo, così frequente nei nostri assistiti, trova radice in motivazioni socio-psicologiche, oppure il 'benessere' nella vita, è correlato con qualcos’altro in modo più forte di quanto non lo sia con i sintomi fisici o con la ormai ipervalorizzata 'qualità della vita'. Lo stare bene, il benessere, la corrispondenza, la felicità umana, nella salute e, ancor più, nella malattia, sono correlati con componenti non misurabili, quali l’amicizia, la cura, l’affezione, la riconoscenza, la dignità riconosciuta in relazioni significative, perché l’uomo è costituzionalmente relazione, non solitudine.
Evidenza di questo sta emergendo anche in articoli scientifici. Steel, nel 2007, su Quality of Life Research , ha confrontato le risposte a questionari di qualità di vita di pazienti affetti da epatocarcinoma avanzato, con quelli di pazienti che andavano dal medico di famiglia per motivi 'banali'. Ebbene, ovviamente i valori di qualità di vita dei pazienti con epatocarcinoma erano tutti più bassi, ad eccezione, però, di quelli legati al benessere, in particolare quello sociale e quello familiare. Come se intorno ai quei pazienti si fosse attivata una rete significativa di supporto amicale e familiare, e come se quei pazienti avessero sviluppato uno sguardo più acuto di riconoscimento e riconoscenza. Queste componenti umane, pur essendo fondamentali, non sono facilmente misurabili. Il marito di una nostra paziente ci scriveva: «Ho ricevuto la busta con il vostro questionario di indagine sulla nostra soddisfazione per il servizio, che compilerò molto volentieri. Ma il questionario non è adatto per esprimere i miei sentimenti, e quindi ho deciso di inviarvi questa lettera abbinata al questionario».
Un’organizzazione che favorisca l’assistenza ottimale e più appropriata è, quindi, assolutamente necessaria, ma non sufficiente. Come ha intuito acutamente Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus caritas est : «Non esisterà mai un sistema organizzativo talmente perfetto da rendere superflua la carità», cioè una responsabilità affezionata e personale da parte di chi cura, verso chi a quelle cure è sottoposto.
*direttore U.O. Cure palliative ospedale Pierantoni, Forlì
Ru486 - Cytotec, i conti non tornano - Il farmaco usato per l’espulsione dell’embrione nell’aborto chimico è iscritto nel prontuario come antiulcera e non può essere usato al di fuori della prescrizione Un problema ignorato dall’Aifa - di Ilaria Nava – Avvenire, 17 dicembre 2009
«Prevenzione e terapia di ulcere gastroduodenali » . È questa l’unica indicazione terapeutica scritta sul foglietto illustrativo del Cytotec, il farmaco che ora verrà utilizzato per ottenere l’espulsione dell’embrione. Come si sa, infatti, la procedura per l’aborto chimico prevede l’assunzione di due farmaci: una prima pillola – il cui principio attivo è il mifepristone – che verrà fornita e assunta in ospedale, e che dovrebbe provocare la morte dell’embrione, e una seconda da assumere dopo 3 giorni, che ne provoca l’espulsione.
Il problema è che l’iter autorizzativo della pillola abortiva Ru486, portato a termine nei giorni scorsi dall’Aifa, non affronta il problema del secondo farmaco da assumere, una prostaglandina oggi in vendita con il nome di Cytotec e iscritta nel prontuario farmacologico come antiulcera.
Nella procedura di aborto farmacologico dovrebbe quindi essere quindi utilizzata off label, ossia al di fuori dell’indicazione terapeutica indicata dalla casa famaceutica produttrice.
Allo stato attuale, quindi, la donna dopo l’assunzione della prima pillola dovrebbe recarsi dal proprio medico di famiglia e farsi prescrivere il Cytotec per poter espellere l’embrione, scaricando sui medici di base la responsabilità di prescrivere un antiulcera per completare una procedura di aborto. Secondo la legge Di Bella, infatti, è possibile prescrivere un farmaco off label solo sotto la piena responsabilità del professionista e acquisendo il consenso informato del paziente.
Tuttavia una norma successiva, la 296 del 2006, vieta l’uso dei farmaci off label, mentre la Finanziaria del 2007 proibisce l’uso di qualunque farmaco off label , anche se prescritto secondo la Di Bella, « qualora per tale indicazione non siano disponibili almeno dati favorevoli di sperimentazione clinica di fase seconda » . Dati che non sembrano essere disponibili nel caso del Cytotec per l’aborto.
All’Aifa esiste un elenco di farmaci che possono essere utilizzati off label, ma il Cytotec non rientra tra questi e pertanto non può essere posto a servizio del Servizio sanitario nazionale e il relativo costo resta a carico della paziente. Un altro nodo da sciogliere, visto che ai pazienti ricoverati, come dovrebbero essere tutte le donne che hanno assunto la Ru486, non è permesso portare farmaci dall’esterno.
Insomma, i nodi da sciogliere restano ancora molti, al di là del problema dell’evidente contrasto tra la procedura prevista per la Ru486 e la legge 194 sull’aborto, che prevede il ricovero ospedaliero per la paziente, su cui il Ministero sta lavorando e su cui sarà coinvolta anche la Commissione europea.
1) Benedetto XVI riflette sul pensiero di Giovanni di Salisbury - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) Al Parlamento Europeo un altro attentato ad un cattolico - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 16 dicembre 2009
3) FEMMINISTE, MEDICI, POLITICI: A MICROFONI SPENTI ALTRE OPINIONI - «Fuori onda» sulla Ru486: quel che si pensa ma non si dice - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 17 dicembre 2009
4) il protagonista - In hospice la vita non si misura dalla «qualità» - di Marco Maltoni* - L’incontro del Papa domenica con i malati terminali dell’Hospice Fondazione Roma ha impresso un nuovo slancio a quanti operano nel settore, impegnati ad avvolgere chi soffre in una rete di dialogo, ascolto, comprensione. - Ecco cosa ha colto uno di loro in ciò che ha detto e fatto il Pontefice – Avvenire, 17 dicembre 2009
5) Ru486 - Cytotec, i conti non tornano - Il farmaco usato per l’espulsione dell’embrione nell’aborto chimico è iscritto nel prontuario come antiulcera e non può essere usato al di fuori della prescrizione Un problema ignorato dall’Aifa - di Ilaria Nava – Avvenire, 17 dicembre 2009
Benedetto XVI riflette sul pensiero di Giovanni di Salisbury - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 16 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI incontrando i fedeli e i pellegrini nell'aula Paolo VI per la tradizionale Udienza generale.
Continuando la catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, il Papa si è soffermato su Giovanni di Salisbury.
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Cari fratelli e sorelle,
oggi ci avviamo a conoscere la figura di Giovanni di Salisbury, che apparteneva a una delle scuole filosofiche e teologiche più importanti del Medioevo, quella della cattedrale di Chartres, in Francia. Anch’egli, come i teologi di cui ho parlato nelle settimane scorse, ci aiuta a comprendere come la fede, in armonia con le giuste aspirazioni della ragione, spinge il pensiero verso la verità rivelata, nella quale si trova il vero bene dell’uomo.
Giovanni nacque in Inghilterra, a Salisbury, tra il 1100 e il 1120. Leggendo le sue opere, e soprattutto il suo ricco epistolario, veniamo a conoscenza dei fatti più importanti della sua vita. Per circa dodici anni, dal 1136 al 1148, egli si dedicò agli studi, frequentando le scuole più qualificate dell’epoca, nelle quali ascoltò le lezioni di maestri famosi. Si recò a Parigi e poi a Chartres, l’ambiente che segnò maggiormente la sua formazione e di cui assimilò la grande apertura culturale, l’interesse per i problemi speculativi e l’apprezzamento per la letteratura. Come spesso accadeva in quel tempo, gli studenti più brillanti venivano richiesti da prelati e sovrani, per esserne stretti collaboratori. Questo accadde anche a Giovanni di Salisbury, che da un suo grande amico, Bernardo di Chiaravalle, fu presentato a Teobaldo, Arcivescovo di Canterbury - sede primaziale dell’Inghilterra -, il quale volentieri lo accolse nel suo clero. Per undici anni, dal 1150 al 1161, Giovanni fu segretario e cappellano dell’anziano Arcivescovo. Con infaticabile zelo, mentre continuava a dedicarsi allo studio, egli svolse un’intensa attività diplomatica, recandosi per dieci volte in Italia, con lo scopo esplicito di curare i rapporti del Regno e della Chiesa di Inghilterra con il Romano Pontefice. Fra l’altro, in quegli anni il Papa era Adriano IV, un inglese che ebbe con Giovanni di Salisbury una stretta amicizia. Negli anni successivi alla morte di Adriano IV, avvenuta nel 1159, in Inghilterra si creò una situazione di grave tensione tra la Chiesa e il Regno. Il re Enrico II, infatti, intendeva affermare la sua autorità sulla vita interna della Chiesa, limitandone la libertà. Questa presa di posizione suscitò le reazioni di Giovanni di Salisbury, e soprattutto la coraggiosa resistenza del successore di Teobaldo sulla cattedra episcopale di Canterbury, san Tommaso Becket, che per questo motivo andò in esilio, in Francia. Giovanni di Salisbury lo accompagnò e rimase al suo servizio, adoperandosi sempre per una riconciliazione. Nel 1170, quando sia Giovanni, sia Tommaso Becket erano già rientrati in Inghilterra, quest’ultimo fu assalito e ucciso all’interno della sua cattedrale. Morì da martire e come tale fu subito venerato dal popolo. Giovanni continuò a servire fedelmente anche il successore di Tommaso, fino a quando venne eletto Vescovo di Chartres, dove rimase dal 1176 al 1180, anno della sua morte.
Delle opere di Giovanni di Salisbury vorrei segnalarne due, che sono ritenute i suoi capolavori, designate elegantemente con i titoli greci di Metaloghicón (In difesa della logica) e il Polycráticus (L’uomo di Governo). Nella prima opera egli – non senza quella fine ironia che caratterizza molti uomini colti – respinge la posizione di coloro che avevano una concezione riduttiva della cultura, considerata come vuota eloquenza, inutili parole. Giovanni, invece, elogia la cultura, l’autentica filosofia, l’incontro cioè tra pensiero forte e comunicazione, parola efficace. Egli scrive: "Come infatti non solo è temeraria, ma anche cieca l’eloquenza non illuminata dalla ragione, così la sapienza che non si giova dell’uso della parola è non solo debole, ma in certo modo monca: infatti, anche se, talora, una sapienza senza parola può giovare a confronto della propria coscienza, raramente e poco giova alla società" (Metaloghicón 1,1, PL 199,327). Un insegnamento molto attuale. Oggi, quella che Giovanni definiva "eloquenza", cioè la possibilità di comunicare con strumenti sempre più elaborati e diffusi, si è enormemente moltiplicata. Tuttavia, tanto più rimane urgente la necessità di comunicare messaggi dotati di "sapienza", ispirati cioè alla verità, alla bontà, alla bellezza. È questa una grande responsabilità, che interpella in particolare le persone che operano nell’ambito multiforme e complesso della cultura, della comunicazione, dei media. Ed è questo un ambito nel quale si può annunciare il Vangelo con vigore missionario.
Nel Metaloghicón Giovanni affronta i problemi della logica, ai suoi tempi oggetto di grande interesse, e si pone una domanda fondamentale: che cosa può conoscere la ragione umana? Fino a che punto essa può corrispondere a quell’aspirazione che c’è in ogni uomo, cioè la ricerca della verità? Giovanni di Salisbury adotta una posizione moderata, basata sull’insegnamento di alcuni trattati di Aristotele e di Cicerone. Secondo lui, ordinariamente la ragione umana raggiunge delle conoscenze che non sono indiscutibili, ma probabili e opinabili. La conoscenza umana – questa è la sua conclusione - è imperfetta, perché soggetta alla finitezza, al limite dell’uomo. Essa, però, cresce e si perfeziona grazie all’esperienza e all’elaborazione di ragionamenti corretti e coerenti, in grado di stabilire rapporti tra i concetti e la realtà, grazie alla discussione, al confronto e al sapere che si arricchisce di generazione in generazione. Solo in Dio vi è una scienza perfetta, che viene comunicata all’uomo, almeno parzialmente, per mezzo della Rivelazione accolta nella fede, per cui la scienza della fede, la teologia, dispiega le potenzialità della ragione e fa avanzare con umiltà nella conoscenza dei misteri di Dio.
Il credente e il teologo, che approfondiscono il tesoro della fede, si aprono anche a un sapere pratico, che guida le azioni quotidiane, cioè alle leggi morali e all’esercizio delle virtù. Scrive Giovanni di Salisbury: "La clemenza di Dio ci ha concesso la sua legge, che stabilisce quali cose sia per noi utile conoscere, e che indica quanto ci è lecito sapere di Dio e quanto è giusto indagare… In questa legge, infatti, si esplicita e si rende palese la volontà di Dio, affinché ciascuno di noi sappia ciò che per lui è necessario fare" (Metaloghicón 4,41, PL 199,944-945). Esiste, secondo Giovanni di Salisbury, anche una verità oggettiva e immutabile, la cui origine è in Dio, accessibile alla ragione umana e che riguarda l’agire pratico e sociale. Si tratta di un diritto naturale, al quale le leggi umane e le autorità politiche e religiose devono ispirarsi, affinché possano promuovere il bene comune. Questa legge naturale è caratterizzata da una proprietà che Giovanni chiama "equità", cioè l’attribuzione a ogni persona dei suoi diritti. Da essa discendono precetti che sono legittimi presso tutti i popoli, e che non possono in nessun caso essere abrogati. È questa la tesi centrale del Polycráticus, il trattato di filosofia e di teologia politica, in cui Giovanni di Salisbury riflette sulle condizioni che rendono l’azione dei governanti giusta e consentita.
Mentre altri argomenti affrontati in quest’opera sono legati alle circostanze storiche in cui essa fu composta, il tema del rapporto tra legge naturale e ordinamento giuridico-positivo, mediato dall’equità, è ancor oggi di grande importanza. Nel nostro tempo, infatti, soprattutto in alcuni Paesi, assistiamo a uno scollamento preoccupante tra la ragione, che ha il compito di scoprire i valori etici legati alla dignità della persona umana, e la libertà, che ha la responsabilità di accoglierli e promuoverli. Forse Giovanni di Salisbury ci ricorderebbe oggi che sono conformi all’equità solo quelle leggi che tutelano la sacralità della vita umana e respingono la liceità dell’aborto, dell’eutanasia e delle disinvolte sperimentazioni genetiche, quelle leggi che rispettano la dignità del matrimonio tra un uomo e una donna, che si ispirano a una corretta laicità dello Stato – laicità che comporta pur sempre la salvaguardia della libertà religiosa –, e che perseguono la sussidiarietà e la solidarietà a livello nazionale e internazionale. Diversamente, finirebbe per instaurarsi quella che Giovanni di Salisbury definisce la "tirannia del principe" o, diremmo noi, "la dittatura del relativismo": un relativismo che, come ricordavo qualche anno fa, "non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie" (Missa pro eligendo Romano Pontifice, Omelia, "L’Osservatore Romano", 19 aprile 2005).
Nella mia più recente Enciclica. Caritas in veritate, rivolgendomi agli uomini di buona volontà, che si impegnano affinché l’azione sociale e politica non sia mai sganciata dalla verità oggettiva sull’uomo e sulla sua dignità, ho scritto: "La verità e l'amore che essa dischiude non si possono produrre, si possono solo accogliere. La loro fonte ultima non è, né può essere, l'uomo, ma Dio, ossia Colui che è Verità e Amore. Questo principio è assai importante per la società e per lo sviluppo, in quanto né l'una né l'altro possono essere solo prodotti umani; la stessa vocazione allo sviluppo delle persone e dei popoli non si fonda su una semplice deliberazione umana, ma è inscritta in un piano che ci precede, e che costituisce per tutti noi un dovere che deve essere liberamente accolto" (n. 52). Questo piano che ci precede, questa verità dell’essere dobbiamo cercare e accogliere, perché nasca la giustizia, ma possiamo trovarlo e accoglierlo solo con un cuore, una volontà, una ragione purificati nella luce di Dio.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Mi rivolgo ora ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dall’associazione "Fraternità", accompagnati dal Cardinale Ennio Antonelli e dal Vescovo di Crema Mons. Oscar Cantoni, e li incoraggio a testimoniare con crescente impegno i valori dell’accoglienza e della solidarietà, specialmente verso i bambini e le famiglie più provate. Saluto i rappresentanti del "Credito Coperativo di Pitigliano" ed auspico che il Centenario di fondazione dell’Istituto bancario susciti sempre maggiore impegno a servizio degli autentici bisogni sociali. Saluto i fedeli della parrocchia "Santi Antonio e Annibale Maria", in Roma, i militari del "Reparto Operativo Infrastrutturale dell’Esercito", di Roma e quelli del "Decimo Reggimento Trasporti", di Bari.
Con grande affetto saluto voi, cari giovani, cari ammalati e cari sposi novelli. In questo tempo di Avvento, il Signore per bocca del profeta Isaia ci dice: "Volgetevi a me e sarete salvi" (45,22). Voi, cari ragazzi e ragazze, che provenite da tante scuole e parrocchie d'Italia, fate spazio nel vostro cuore a Gesù che viene, per testimoniare la sua gioia e la sua pace. Voi, cari ammalati, accogliete il Signore nella vostra vita per trovare nell'incontro con Lui conforto e consolazione. E voi, cari sposi novelli, fate del messaggio d'amore del Natale la regola di vita della vostra famiglia.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Al Parlamento Europeo un altro attentato ad un cattolico - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 16 dicembre 2009
A Bruxelles è in corso il rinnovo della Commissione europea, presieduta da José Manuel Barroso: la Signora Viviane Reding, lussemburghese, già Commissario della Società dell’informazione e mezzi di comunicazione, è candidata ad un nuovo ruolo di Commissario che tra le proprie competenze avrebbe anche i diritti umani, e quindi l’Agenzia relativa che ha sede a Vienna.
Ma la Signora Reding ha un grave difetto che è un impedimento ad assumere questo ruolo: è cattolica! Sarà ascoltata in audizione, presso il Parlamento europeo martedì 12 gennaio 2010, dalle 13.00 alle 16.00 davanti alla Commissione Libertà, giustizia e affari interni, Diritti della donna e uguaglianza di genere, Cultura, Petizioni ed altre.
Si sta preparando un vero e proprio attentato del tutto simile a quello praticato per “bocciare” Rocco Buttiglione, anche Lui perché cattolico. Vorrò vedere se Esponenti politici italiani avranno ancora la sfrontatezza di dire che anche la Signora Reding se l’è cercata, come hanno detto la volta scorsa!
Chi sta preparando l’aggressione discriminatoria? Ecco i nomi dei più attivi. Sophia in ’t Veld, del Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, neo Presidente della Piattaforma per la secolarizzazione della politica, già copresidente dell’intergruppo Gay e Lesbiche, Miguel Angel Martínez Martínez del Gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, uno dei più accesi anticattolici, sentimento che motiva dicendo che sarebbe stato denunciato da un prete durante la guerra civile spagnola (supposto che sia vero non ha mai detto perché), Hannes Swoboda del Gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, Rebecca Harms del Gruppo Verde/Alleanza libera europea. Tutti Eurodeputati che parlano di lotta alla discriminazione ad ogni piè sospinto!
Swoboda ha chiesto al Presidente della Commissione, Barroso, se sarebbe disposto a cambiare i portafogli dei Commissari a seguito dell’esito delle audizioni dei Candidati designati, qualora ciò fosse suggerito come necessario dal Parlamento europeo. Il Presidente Barroso ha risposto che il Trattato di Lisbona afferma chiaramente che l’organizzazione interna del collegio dei commissari è responsabilità della Commissione, ma che avrebbe ascoltato i suggerimenti del Parlamento. (sic!)
I nostri Deputati del PD, ma non solo, cosa faranno? Si alleeranno con gli altri in questa “guerra santa” contro i cattolici? Perché sia chiaro già fin d’ora che è di questo si tratta e non altro, esattamente come per Buttiglione.
Per inciso domani, giovedì 17 dicembre, a Strasburgo si voterà una risoluzione sulla sussidiarietà che tende ad obbligare “tutti i Paesi”, cioè l’Italia, a rimuovere i simboli religiosi da tutti i luoghi pubblici. Anche questo in nome della non discriminazione, che si realizza discriminando i così detti simboli religiosi cattolici che sono i più invasivi. Espressione usata da Miguel Angel Martínez Martínez. Oggi ci sarebbe ancora tempo per raggiungere un compromesso, vedremo; francamente dubito, ma spero di sbagliare.
Ricordo che la Corte costituzionale tedesca, in una recente attesissima sentenza, ha dichiarato che il Trattato di Lisbona non è in contrasto con la Costituzione della Germania, ma le decisioni conseguenti soprattutto alla Carta dei diritti fondamentali si applicheranno nel Paese solo se non in contrasto con le Leggi tedesche.
Viviamo in tempi difficili, e non possiamo escludere queste forme moderne di persecuzione, che dovremo sopportare cristianamente, ma nessuno ci obbliga a cercarcele, anche perché sono a danno di tutti; anche questo che sia chiaro.
FEMMINISTE, MEDICI, POLITICI: A MICROFONI SPENTI ALTRE OPINIONI - «Fuori onda» sulla Ru486: quel che si pensa ma non si dice - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 17 dicembre 2009
I n queste settimane di polemiche sull’introduzione della pillola abortiva in Italia, ho partecipato a incontri pubblici e dibattiti e sono stata intervistata in diverse occasioni, ma, purtroppo, non è mai capitato che il microfono rimanesse acceso qualche minuto in più, dopo i momenti ufficiali: l’opinione pubblica avrebbe avuto a disposizione 'fuori onda' molto interessanti, con protagonisti meno importanti del Presidente della Camera, ma sicuramente di primo piano nel dibattito sulla Ru486, e se ne sarebbero potute sentire delle belle, quasi divertenti, direi, se l’argomento non fosse fra i più drammatici.
Interessante il fuori onda dell’Intellettuale di Sinistra, che dopo aver tuonato – pubblicamente – in difesa dell’autodeterminazione della donna e a favore della Ru486, confessa – privatamente – che certo che si è informato, l’aborto con la Ru486 è angosciante, orribile, e se sua figlia proprio lo volesse scegliere «glielo farei fare in ospedale, sei matta, farla stare a casa da sola in quelle condizioni?».
E che dire della Femminista Famosa che dopo aver versato fiumi di inchiostro per difendere la pillola abortiva ammette – rigorosamente in privato – che l’aborto a domicilio con la Ru486 va contro il principio fondante della 194, che vuole che gli aborti siano considerati un problema sociale, e non un fatto privato delle donne?
Per non parlare dei Ginecologi che l’Hanno Usata in questi anni, e che dopo aver rassicurato in pubblico che «è tutto sotto controllo anche se le donne vanno a casa», a tu per tu confessano di non sapere quando le donne «hanno avuto l’espulsione», perché, se le donne vanno a casa, come fanno poi i medici a sapere quando, dove e come abortiscono?
Ci sono poi altri Dottori Importanti che Hanno Fatto Carriera che a bassa voce, così li senti solo tu, dicono che quello con la Ru486 è un «metodo schifoso», e che nessuno sano di mente lo consiglierebbe, ma in pubblico assicurano che in Europa questa pillola la usano da anni, senza problemi, e in Italia i 'paletti' messi dall’Aifa rendono minimi i rischi. Per non parlare poi del Parlamentare dell’Opposizione che chiede pure il mio curriculum, pensando evidentemente che io parli per bassi motivi ideologici, e magari non sia nemmeno laureata. Lui si è 'informato' leggendo Repubblica, e poi ha sentito Livia Turco e Silvio Viale, e quindi ritiene di sapere un sacco di cose: prima dice che a lui delle questioni tecniche non gli interessa, perché quelle spettano all’Aifa.
Allora gli spieghi i risvolti politici, e che una direttiva europea stabilisce che la circolazione di farmaci abortivi deve essere compatibile con le leggi vigenti dei singoli Stati. Il Parlamentare dell’Opposizione allora cambia discorso, e chiede i numeri: quanti aborti medici e quante morti – moltissimi i primi, pochissime le seconde, ti vuol dire.
Allora, tu gli fai sommessamente notare che questi sono aspetti tecnici, e glieli spieghi volentieri, ma prima ti aveva detto che non gli interessavano. E mentre gli dai i numeri giusti – diversi da quelli che pensa lui – e gli dici quante persone sono morte, e come sono morte, vedi che la sua faccia cambia espressione, da sicura di sé diventa qualcosa fra il preoccupato, lo stupefatto e l’atterrito.
E, dopo un po’, ti comunica gentilmente che ha poco tempo, e se ne va.
Niente nomi e cognomi, non sarebbe corretto. Ma posso assicurare che questi sono solo alcuni esempi dei 'fuori onda' a cui ho assistito in queste settimane, che hanno lasciato perplessa anche me, all’inizio. Adesso, non più. Adesso ho ben chiaro che sono veramente pochi i veri sostenitori della Ru486. Per il resto, tutti quelli minimamente informati sulla faccenda sono ben d’accordo che di metodo ignobile si tratta: lungo, doloroso, impegnativo e pericoloso, utile solo a 'liberare' gli ospedali dal peso delle donne che abortiscono, e ad abbattere le poche e insufficienti, ma comunque importanti, limitazioni poste dalla 194.
Ma l’Intellettuale di Sinistra, la Femminista Famosa, il Dottore Importante, il Ginecologo che l’ha Usata e il Parlamentare dell’Opposizione non lo ammetteranno mai in pubblico: la Ru486 va difesa, sempre e comunque, indipendentemente da tutto.
Non succeda mai, una volta tanto, di dar ragione ai cattolici. Ci fosse almeno qualche microfono aperto, ogni tanto...
il protagonista - In hospice la vita non si misura dalla «qualità» - di Marco Maltoni* - L’incontro del Papa domenica con i malati terminali dell’Hospice Fondazione Roma ha impresso un nuovo slancio a quanti operano nel settore, impegnati ad avvolgere chi soffre in una rete di dialogo, ascolto, comprensione. - Ecco cosa ha colto uno di loro in ciò che ha detto e fatto il Pontefice – Avvenire, 17 dicembre 2009
Un ulteriore affettuoso, segnale della attenzione del Papa verso chi si trova nella condizione più misteriosa, quella del dolore innocente, e verso chi questo dolore si trova a potere accompagnare. Così, da operatore delle cure palliative ho vissuto la visita che Benedetto XVI ha fato domenica 13 dicembre, all’Hospice 'Fondazione Roma'. Il Papa ha visitato e sostenuto sia i pazienti e i loro familiari qui ricoverati, sia, per altro verso, gli operatori sanitari e i medici che in questo luogo prestano servizio. Questa attenzione della Chiesa per quegli operatori della Sanità a contatto con la malattia inguaribile ed evolutiva non è nuovo. Già nel 1957 Pio XII al Congresso della Società Italiana di Anestesiologia confortava gli anestesisti sulla piena liceità dell’utilizzo dei 'narcotici' per il trattamento del dolore, e dei sedativi, quando altra alternativa non è clinicamente possibile, per alleviare un sintomo altrimenti intrattabile, anche a prezzo di una riduzione del livello di vigilanza. Chi è solito imputare ad un cosiddetto ed ipotetico 'dolorismo' della Chiesa il ritardo in Italia dello sviluppo dei farmaci antidolorifici, dovrebbe onestamente convenire che, in questo settore, la Chiesa era già allora più avanti nella cultura di affronto del dolore rispetto a quanto è accaduto solo alcuni decenni dopo nei luoghi di assistenza (ospedali) e di formazione (università).
La capacità di 'anticipare' e suscitare l’attenzione delle istituzioni civili verso la sofferenza dell’inguaribilità è proseguita negli interventi ripetuti di Papa Giovanni Paolo II a sostegno delle Cure Palliative, come, per esempio, all’interno dell’Enciclica Evangelium Vitae (1995). Perché, allora, è stato talora imputato alla Chiesa di valorizzare il dolore 'di per sé'? Forse per la sua realistica consapevolezza che, anche con le migliori cure palliative e con il sistema organizzativo più articolato, la sofferenza dell’uomo ammalato e moribondo non potrà mai essere azzerata, ma anche che proprio in questa situazione può emergere la possibilità di una maturazione umana, a patto che l’angoscia, la fatica, il dolore, trovino un abbraccio in cui potersi esprimere ed essere accolte.
Padre Aldo Trento, Direttore dell’hospice di Asuncion, in Paraguay, ha scritto di essere rimasto colpito dal fatto che alla sua domanda 'Come va?' effettuata ad un suo paziente durante il giro del mattino, dopo che il malato aveva trascorso la notte con problemi di insonnia, e con una situazione sintomatica non compensata, il paziente stesso gli avesse risposto 'Benissimo, Padre'. O una risposta di questo tipo, così frequente nei nostri assistiti, trova radice in motivazioni socio-psicologiche, oppure il 'benessere' nella vita, è correlato con qualcos’altro in modo più forte di quanto non lo sia con i sintomi fisici o con la ormai ipervalorizzata 'qualità della vita'. Lo stare bene, il benessere, la corrispondenza, la felicità umana, nella salute e, ancor più, nella malattia, sono correlati con componenti non misurabili, quali l’amicizia, la cura, l’affezione, la riconoscenza, la dignità riconosciuta in relazioni significative, perché l’uomo è costituzionalmente relazione, non solitudine.
Evidenza di questo sta emergendo anche in articoli scientifici. Steel, nel 2007, su Quality of Life Research , ha confrontato le risposte a questionari di qualità di vita di pazienti affetti da epatocarcinoma avanzato, con quelli di pazienti che andavano dal medico di famiglia per motivi 'banali'. Ebbene, ovviamente i valori di qualità di vita dei pazienti con epatocarcinoma erano tutti più bassi, ad eccezione, però, di quelli legati al benessere, in particolare quello sociale e quello familiare. Come se intorno ai quei pazienti si fosse attivata una rete significativa di supporto amicale e familiare, e come se quei pazienti avessero sviluppato uno sguardo più acuto di riconoscimento e riconoscenza. Queste componenti umane, pur essendo fondamentali, non sono facilmente misurabili. Il marito di una nostra paziente ci scriveva: «Ho ricevuto la busta con il vostro questionario di indagine sulla nostra soddisfazione per il servizio, che compilerò molto volentieri. Ma il questionario non è adatto per esprimere i miei sentimenti, e quindi ho deciso di inviarvi questa lettera abbinata al questionario».
Un’organizzazione che favorisca l’assistenza ottimale e più appropriata è, quindi, assolutamente necessaria, ma non sufficiente. Come ha intuito acutamente Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus caritas est : «Non esisterà mai un sistema organizzativo talmente perfetto da rendere superflua la carità», cioè una responsabilità affezionata e personale da parte di chi cura, verso chi a quelle cure è sottoposto.
*direttore U.O. Cure palliative ospedale Pierantoni, Forlì
Ru486 - Cytotec, i conti non tornano - Il farmaco usato per l’espulsione dell’embrione nell’aborto chimico è iscritto nel prontuario come antiulcera e non può essere usato al di fuori della prescrizione Un problema ignorato dall’Aifa - di Ilaria Nava – Avvenire, 17 dicembre 2009
«Prevenzione e terapia di ulcere gastroduodenali » . È questa l’unica indicazione terapeutica scritta sul foglietto illustrativo del Cytotec, il farmaco che ora verrà utilizzato per ottenere l’espulsione dell’embrione. Come si sa, infatti, la procedura per l’aborto chimico prevede l’assunzione di due farmaci: una prima pillola – il cui principio attivo è il mifepristone – che verrà fornita e assunta in ospedale, e che dovrebbe provocare la morte dell’embrione, e una seconda da assumere dopo 3 giorni, che ne provoca l’espulsione.
Il problema è che l’iter autorizzativo della pillola abortiva Ru486, portato a termine nei giorni scorsi dall’Aifa, non affronta il problema del secondo farmaco da assumere, una prostaglandina oggi in vendita con il nome di Cytotec e iscritta nel prontuario farmacologico come antiulcera.
Nella procedura di aborto farmacologico dovrebbe quindi essere quindi utilizzata off label, ossia al di fuori dell’indicazione terapeutica indicata dalla casa famaceutica produttrice.
Allo stato attuale, quindi, la donna dopo l’assunzione della prima pillola dovrebbe recarsi dal proprio medico di famiglia e farsi prescrivere il Cytotec per poter espellere l’embrione, scaricando sui medici di base la responsabilità di prescrivere un antiulcera per completare una procedura di aborto. Secondo la legge Di Bella, infatti, è possibile prescrivere un farmaco off label solo sotto la piena responsabilità del professionista e acquisendo il consenso informato del paziente.
Tuttavia una norma successiva, la 296 del 2006, vieta l’uso dei farmaci off label, mentre la Finanziaria del 2007 proibisce l’uso di qualunque farmaco off label , anche se prescritto secondo la Di Bella, « qualora per tale indicazione non siano disponibili almeno dati favorevoli di sperimentazione clinica di fase seconda » . Dati che non sembrano essere disponibili nel caso del Cytotec per l’aborto.
All’Aifa esiste un elenco di farmaci che possono essere utilizzati off label, ma il Cytotec non rientra tra questi e pertanto non può essere posto a servizio del Servizio sanitario nazionale e il relativo costo resta a carico della paziente. Un altro nodo da sciogliere, visto che ai pazienti ricoverati, come dovrebbero essere tutte le donne che hanno assunto la Ru486, non è permesso portare farmaci dall’esterno.
Insomma, i nodi da sciogliere restano ancora molti, al di là del problema dell’evidente contrasto tra la procedura prevista per la Ru486 e la legge 194 sull’aborto, che prevede il ricovero ospedaliero per la paziente, su cui il Ministero sta lavorando e su cui sarà coinvolta anche la Commissione europea.