martedì 30 novembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Padre Aldo - lettera 28/11/10
2)    RUSSIA/ Julián Carrón a Mosca: se il cristianesimo non è vita rimane un mito Giovanna Parravicini - martedì 30 novembre 2010
3)    29/11/2010 - VATICANO-FILIPPINE - Papa: fa bene la Chiesa filippine a dire no ad aborto e pena di morte - Ricevendo i vescovi della Chiesa più numerosa del continente asiatico, Benedetto XVI evidenzia l’impegno dei cattolici in campo sociale, dove debbono essere liberi di far sentire la loro voce. Pur “distinta” dal potere politico, la Chiesa deve far sentire la sua voce quando “lo richiedano i diritti fondamentale della persona o la salvezza delle anime”.
4)    Requiem per un prete. Una società di Iene di Bruno Volpe dal sito http://www.pontifex.roma.it/
5)    EUTANASIA, FAZIO E SAVIANO, MELAZZINI, PROGRAMMI TELEVISIVI - Grazie a “Vieni via con me”, ben 7 programmi TV ospiteranno (esclusivamente) i “pro-life”. – dal sito http://antiuaar.wordpress.com del 29 novembre 2010
6)    VIENI VIA CON ME/ Fazio e Saviano, chi non la pensa come noi s’arrangi. Che peccato Maestro Yoda - martedì 30 novembre 2010 – il sussidiario.net
7)    Avvenire.it, 30 novembre 2010 - I malati, i no di Fazio e Saviano, e altri sì - Il coraggio che è mancato di Marco Tarquinio
8)    Avvenire.it, 30 novembre 2010 - Le ricadute dei tagli all’istruzione umanistica - L’immaginazione medicina contro la crisi di Roberto Mussapi
9)    «Le persone che amano stanno vicine al tuo dolore» - La mamma di un bambino in stato vegetativo: i suoi fratelli e i compagni di scuola lo sostengono, sanno che Daniele è vivo - A quattro anni, per una caduta in piscina, il piccolo ha subito un’anossia da annegamento Da allora viene accudito notte e giorno DI GIANCARLA SAGLIO DOMINONI – 30 novembre 2010
10)                      Asia Bibi, congelata la grazia: ora il processo - «Completare i tre gradi di giudizio» Si attende la data della prima udienza - I cristiani pachistani vogliono dimostrare, insieme all’innocenza della donna, anche l’ingiustizia di procedimenti basati spesso su accuse false - DA BANGKOK STEFANO VECCHIA – Avvenire, 30 novembre 2010

Padre Aldo - lettera 28/11/10

Carissimi amici, vorrei parteciparvi alcuni fatti accaduti e che testimoniano come Cristo é presente nella mia vita e per questo tutto é positivo, anche il dolore che da disgrazia diventa grazia, come ci ricorda la Scuola di Comunitá.
1. Ieri (giovedí) abbiamo avuto la sorpresa della visita di Marcos e Cleuza. Una visita lampo, che fu per loro una avventura unica: 7 ore di viaggio con l´aereo per arrivare quí e 4 ore per ritornare. Non era mai accaduto. Solo una grande amicizia, frutto della familiaritá con Cristo permette questo sguardo fra noi. Marcos ieri aveva una riunione importante in Parlamento, anche perché gli stanno facendo proposte interessanti. Ma preferí venire per festeggiare il compleanno di P. Paolino ed incontrare gli amici della fondazione, responsabili delle opere. L´incontro é stato bellissimo, le esperienze raccontate un vibrare dell´io di fronte a Cristo. La genialitá di Cleuza ci ha ricordato quanto Carrón ci diceva commentando il monologo di Giuda a la Thuile: "Giuda era un apostolo io non sono un apostolo, Giuda formava parte del grupetto degli amici di Gesú ed anch´io faccio parte degli amici di Gesú come Giuda, come Pietro. Pero Giuda partecipava di quella amicizia, ma a differenza di Pietro e di me non apparteneva a quella amicizia. Una cosa é partecipare altra cosa é appartenere. Giuda tradí Gesú, ma anche Pietro, cosí come anch´io. Pero una cosa é stato il tradimento di Giuda, altro quello di Pietro e il mio. Giuda davanti al suo peccato essendo solo partecipe di quella amicizia, e non appartenente si suicidó. Pietro invece che apparteneva a quella amicizia, riconobbe il suo peccato e si lasció abbracciare per quello sguardo. Cosí é per me e Marco. Noi non veniamo qui perché partecipiamo di quanto qui accadde, di quest´opera ma perché apparteniamo a quest´opera. uno puó fare anche miracoli ma se la sua natura non é quella del Padre, tutto muore. Il figlio prodigo é ritornato non perché voleva partecipare al banchetto, o perché stanco della sua miseria ma perché dentro tutte le miserie egli apparteneva al Padre, era della stessa natura. Il nostro problema é solo uno: partecipiamo o apparteniamo? Seguiamo Carrón o guardiamo dove guarda Carrón?
Una cosa é partecipare al movimento, partecipare di quanto ci dice Carrón, altra cosa é appartenere al movimento, appartenere allo sguardo con cui Carrón ci guida e guarda la realtá. Io vengo qui dal Brasile perché ho deciso di appartenere a ció che ho visto, come Pietro. Io vengo dal Brasile perché appartengo a voi. Cosí voi lavorate quá perché appartenete a quest´opera. E il segno di questa appartenenza é l´allegria con cui lavorate ed é ció que marca la differenza con chi non appartiene".
2. Oppena arrivati abbiamo celebrato la messa per loro nella clinica. Alcuni ammalati terminali incapaci di muoversi hanno partecipato. Grande fu la sorpresa quando un ammalato di cancro, con la parte destra della faccia tutta bendata perché letteramente "mangiato" per il cancro e l´altra tutta gonfia, prese la chittarra e con una gioia negli occhi che ci ha comosso tutti accompagnó i canti. Cleuza ad un certo punto disse: "como puó un ammalato in quelle condizioni, alla vigilia della morte, suonare con tanto impeto la chitarra? La risposta é solo una: perché in lui é chiara, é evidente l´appartenenza al Mistero...e lo si vedeva come era assimilato a Cristo eucaristico. Lui suonava cosí e in quelle condizioni perché lui guardava Cristo, appartiene a Cristo. Sfido qualunque premio Nobel in oncologia a dare a questo ammalato ció che solo Cristo puó dare. Nessun premio Nobel puó dare a un ammalato terminale la forza in quelle condizioni di suonare la chitarra. Chi gli dà la forza é solo Cristo che passa mediante voi che siete vicini e guardate in lui Cristo. Io vengo da S. Paolo perché ho bisogno di vedere come anche la vita morente rifiorisce nell´appartenenza. Non vengo quí per vedere la gente morire e neanche per vedere l´ospedale perché tutto questo lo posso vedere anche in S. Paolo, ma per vedere i miracoli dell´appartenenza a Cristo, perché che un moribondo suoni la chitarra non é una cosa di questo mondo. Vengo qui perché la certezza che oggi mi accompagna, sia la certezza che mi accompagni anche domani. Non mi basta il passaporto per oggi, lo voglio anche per domani. E senza di voi non ho questa garanzia. Il passaporto per domani non ce l´ho io, ma ce l´ha questa appartenenza.
Allora il problema é non avere una riserva sulla appartenenza, riserva che è il tarlo che distrugge tutto. Quanto piú appartengo tanto piú cade la riserva. L´altra faccia della riserva é la pretesa. Perché prevale la pretesa? perché dimentichiamo il destino dell´altro. Per questo motivo noi non stiamo assieme per fare opere ma perché fiorisca il nostro io e la gente conosca Cristo, incontri Cristo. E se il punto non é chiaro, l´opera é giá morta. Quando uno ha questo sguardo é libero. Non é definito dai risultati, dagli esiti. Pensate per esempio a livello di genitori, che respiro incominciano a vivere rispetto ai figli sui quali abbiamo sempre una pretesa. Io posso abbracciare, sostenerli, ma non posso sostituirmi a loro, al loro dramma. E il chitarrista che abbiamo ascoltato é una evidenza. Io non posso togliergli il cancro, nè sostituirmi, il dramma é tutto suo, la vicinanza della morte non posso fare che si allontani. Si posso abbracciarlo, amarlo, ma il dramma é fra lui e Cristo e si vede bene come la sua libertá che si lascia abbracciare per Cristo gli permette perfino di "burlarsi" del cancro godendo di ció che suona".
Amici capite perché siamo amici e perché non conosciamo distanze e come anche i "casini" provocati dalle compagnie aeree non ci distraggono.
Per finire e cosí cominciare bene l´Avvento un ultimo fatto di come niente impedisce che la realtá, la malattia sia un dono. L´altro giorno la dottoressa Cristina, infettivologa, mi descrive le condizioni di un paziente di AIDS, incontrato in una discarica. É tutto una piaga. I vermi escono da una orecchia putrefatta e cosí dai genitali putrefatti. Mi chiama al suo fianco perché mi renda conto dove puó arrivare la miseria umana e anche di che cos´é l´uomo se non fosse di Cristo. Vedo come lei, con quanto amore con una piccola pinza toglie i vermi uno per uno -e questo ogni giorno- e rimango scosso e comosso. Le domando: "ma Cristina come fai?". E lei: "ma padre é Gesú quest´uomo tutto piagato e per questo faccio questo lavoro con gioia". Rimasi senza parole, stupito, comosso, mentre lei con le pinze, accompagnata da un altra giovane medico e l´infermiera, continuavano con il sorriso sulla bocca a togliere quei vermi con la testa nera e il corpo bianco.
Capite cosa vuol dire "contemporaneitá di Cristo"? SE Cristo fosse un "ieri" uno non potrebbe stare davanti a un uomo che porta giá sul suo corpo i segni della putrefazione.
Pregate per me e per i miei amici sani e ammalati.  P. Aldo

RUSSIA/ Julián Carrón a Mosca: se il cristianesimo non è vita rimane un mito Giovanna Parravicini - martedì 30 novembre 2010

In un’intervista di quasi vent’anni fa, don Giussani aveva indicato fra le responsabilità dei cristiani d’Occidente quella di aiutare la Russia a ritrovare la propria grande tradizione cristiana, calpestata e soffocata nei decenni del regime sovietico. Una responsabilità che nasceva per lui innanzitutto dalla gratitudine per il dono della testimonianza di una grande tradizione ecclesiale, una testimonianza irriducibile nonostante prove e ferite, simboleggiata dalle parole dello starec Giovanni, nella Leggenda dell’Anticristo di Solov’ëv: «Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui Stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità».

Un cristianesimo – quello russo – che don Giussani vedeva mantenere intatta la propria dimensione di avvenimento, senza lasciarsi ridurre a ciò che denunciava Giovanni Paolo I: «Il vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole».

A vent’anni di distanza, ho letto la stessa gratitudine e umiltà nella presenza di Julián Carrón a Mosca, all’evento teologico per eccellenza della Chiesa ortodossa russa, a cui partecipano ogni due anni rappresentanti di tutte le Chiese ortodosse – il Convegno organizzato dalla Commissione teologica sinodale (se si vuole, il corrispettivo della nostra Congregazione per la dottrina della fede), presieduta dal metropolita Filaret.

Quest’anno il forum teologico, giunto ormai alla sesta edizione, ha scelto come titolo «La vita in Cristo. La morale cristiana, la tradizione ascetica della Chiesa e le sfide della contemporaneità». E quasi a sorpresa, alcuni mesi fa dagli organizzatori del Convegno è giunto un invito a don Julián Carrón, esplicitamente nella sua posizione di responsabile ultimo del Movimento di Comunione e Liberazione. Il 15 novembre, unico cattolico accanto a una serie di alti prelati delle Chiese ortodosse (a cominciare dal patriarca Kirill, che ha aperto i lavori, e dal metropolita Filaret), Carrón ha svolto una relazione intitolata La gloria di Dio è l’uomo vivente.
Una provocazione, in qualche modo, perché la maggior parte degli interventi susseguitisi fino a quel momento in sala tradiva la fatica di un cristianesimo trincerato sulle difensive, tutto teso ad arginare mode e mentalità laiciste, materialiste sempre più diffuse anche tra i cristiani. Non è un caso che, subito dopo la relazione di don Carrón, il prorettore di una delle più prestigiose facoltà teologiche della Russia gli abbia chiesto: «Padre, mi colpisce come per lei il cristianesimo sia una positività. Dunque il reale, per un cristiano, non è semplicemente un male da contrastare, ma un positivo da abbracciare?». O che il sito dell’Accademia teologica di Mosca (www.bogoslov.ru) gli abbia fatto una lunga videointervista trovando per l’occasione perfino un interprete dallo spagnolo.

In realtà, sia il tema scelto per il convegno, sia l’interesse per il metodo educativo di Comunione e Liberazione mettono a fuoco una preoccupazione centrale nella vita della Chiesa ortodossa più numerosa del mondo, la preoccupazione educativa e missionaria all’interno della società; una preoccupazione sovente inconfessata anche tra il clero (è più comodo cullarsi nei miti della «rinascita religiosa della Santa Rus’»), oppure fonte di smarrimento perché ci si sente inermi, senza un metodo per affrontarla. Se oggi all’interno dell’ortodossia russa c’è ancora chi manderebbe al rogo come eretiche tutte le pubblicazioni cattoliche, sta pericolosamente crescendo l’altro estremo, che consiste in un aperturismo indiscriminato ad ogni genere di innovazione e modernità.

Il forum di novembre è stato dunque un tentativo di porre un’alternativa, di offrire un’indicazione di cammino. Come ha richiamato nella sua prolusione il patriarca Kirill, sottolineando l’importanza di una teologia che si trasformi in strumento per la vita della Chiesa, «rendendo ragione del messaggio cristiano», in modo che la «vita in Cristo» non venga recepita dai nostri contemporanei come un «mito, un rituale o un’ideologia», ma come una «pienezza di vita», e d’altro canto non si corra il rischio di annacquare la portata della proposta cristiana in una versione «ridotta» di cristianesimo.

Attraverso l’invito a Carrón la storia di amicizia e di stima esistente da tanti anni a Mosca è diventata una testimonianza comune anche a livello istituzionale. Un fatto storico. Quasi in risposta all’appello di Kirill, nell’intervento di Carrón sono risuonate, tra l’altro, queste parole di Benedetto XVI: «L’idea genericamente diffusa è che i cristiani debbano osservare un’immensità di comandamenti, divieti, principi e simili, e che quindi il cristianesimo sia qualcosa di faticoso e oppressivo da vivere, e che si è più liberi senza tutti questi fardelli. Io invece vorrei mettere in chiaro che essere sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione non è un fardello, ma sono ali».


29/11/2010 - VATICANO-FILIPPINE - Papa: fa bene la Chiesa filippine a dire no ad aborto e pena di morte - Ricevendo i vescovi della Chiesa più numerosa del continente asiatico, Benedetto XVI evidenzia l’impegno dei cattolici in campo sociale, dove debbono essere liberi di far sentire la loro voce. Pur “distinta” dal potere politico, la Chiesa deve far sentire la sua voce quando “lo richiedano i diritti fondamentale della persona o la salvezza delle anime”.

Città del Vaticano (AsiaNews) - La Chiesa deve essere libera di far sentire la sua voce, per annunciare il Vangelo e anche per far conoscere la sua dottrina sociale che difende in primo luogo i più poveri e i più deboli. In tale contesto, Benedetto XVI loda l’impegno della Chiesa delle Filippine in difesa della vita dal suo inizio alla fine naturale e “apprezza”quanto essa sta facendo in favore dell’abolizione della pena di morte.

L’impegno della Chiesa in campo sociale,oltre che nella fondamentale missione dell’annuncio del Vangelo, è stato al centro del discorso che il Papa ha rivolto oggi ai vescovi delle Filippine, in occasione della loro quinquennale visita “ad limina”.

Per essere “lievito” della cultura della società, ha detto Benedetto XVI, la Chiesa deve sempre far sentire la sua voce, innanzi tutto con la proclamazione del Vangelo. “Questa voce si esprime nella testimonianza morale e spirituale offerta dalla vita dei credenti e anche nella pubblica testimonianza data dai vescovi, come primi docenti, e da tutti coloro che hanno un ruolo nell’educare alla fede”.

Il compito di proclamare il Vangelo tocca “questioni rilevanti in campo politico. Ciò non è sorprendente, perché la comunità politica e la Chiesa, mentre sono giustamente distinte, sono nondimeno entrambe al servizio dello sviluppo integrale di ogni essere umano e della società nel suo insieme. Da parte sua, la Chiesa dà il suo contributo alla costruzione di un ordine sociale giusto e solidale”.

“Al tempo stesso, il ruolo profetico della Chiesa chiede che essa sia libera “di predicare la fede e di insegnare la sua dottrina sociale … e anche di esporre i suoi giudizi morali in quelle materie che hanno riguardo l’ordine pubblico, ogniqualvolta lo richiedano i diritti fondamentale della persona o la salvezza delle anime”. “Nella prospettiva del ruolo profetico, esprimo apprezzamento per la Chiesa filippina nella ricerca di giocare la sua parte a sostegno della vita umana dalla concezione alla sua fine naturale e in difesa dell’integrità del matrimonio e della famiglia. In questi campi, voi state promuovendo la verità sulla persona umana e sulla società che non nasce solo dalla rivelazione divina, ma anche dalla legge naturale, un ordinamento che è comprensibile dalla ragione umana e che quindi offre le basi per un dialogo e un profondo discernimento da parte si tutte le persone di buona volontà. Vedo anche con apprezzamento il lavoro della Chiesa per l’abolizione della pena di morte nel vostro Paese”.

Il Papa ha poi sottolineato alcuni altri aspetti della vita della Chiesa delle Filippine, a partire dall’impegno per essere presenti nei mezzi della comunicazione sociale. “Una voce unita e positiva deve essere presentata al pubblico nei vecchi e nuovi mezzi di comunicazione, cosicché il messaggio del Vangelo possa avere un impatto sempre maggiore sul popolo della nazione”.

Altro aspetto della missione della Chiesa filippina evidenziato da Benedetto XVI è “la proclamazione delle parole di vita di Dio nel loro rapporto con le vicende sociali ed economiche, in particolare per il rispetto dei più poveri e dei più deboli”. Il Papa ha infine sottolineato la “giusta preoccupazione” dei vescovi che “ci sia un crescente impegno nella lotta contro la corruzione” e che “la crescita di un’economia giusta e sostenibile è possibile quando c’è una chiara e costante applicazione del ruolo della legge in tutto il Paese”.


Requiem per un prete. Una società di Iene di Bruno Volpe dal sito http://www.pontifex.roma.it/

Secondo l'accusa e riprese televisive, sarebbe stato un prete molestatore. Non lo giudichiamo per questo, se si é pentito lo valuterà il Giudice Supremo. Certo, la sua morte violenta in un certo senso, lo dimostra, come fu quella di Giuda, sconvolto dal tradimento e dalla solitudine, dal rimorso. Ma probabilmente anche Giuda, simbolo di ogni cattiveria, oggi potrebbe essere in Paradiso se la sua morte fu preceduta dal vero pentimento. Il mistero del male. Parliamo di un anonimo prete di Bergamo o dintorni che ha deciso di farla finita lanciandosi sotto un treno. Una fine atroce, travolto dalla disperazione. I suoi superiori avevano applicato, come giustizia vuole, il diritto canonico sospendendolo dopo la pubblicazione sulle Iene di un video che lo avrebbe colto in atti di molestia verso due ragazzi. Non elogiamo il prete, non tocca a noi fare gli avvocati della difesa o i giudici dell'accusa. Una cosa é certa. Il prete si é ucciso travolto non dal treno, ma dalla  ...

... vergogna. La vergogna lanciatagli addosso in modo volgare ed irresponsabile da una Tv pronta a mettere tutti alla gogna, preti e non, uomini e donne, colpevoli e innocenti. Una Tv che per fare ascolti e incassi non guarda ormai in faccia a nessuno. Una Tv dello spettacolo sguaiato e del pettegolezzo che lo stile  (si fa per dire) Berlusconi ha messo in orbita. Le Iene non ci sono mai piaciute come programma, non é giornalismo, ma linciaggio e umiliazione pubblica. Speriamo che il rimorso di quel prete ora faccia capire ai conduttori che hanno sbagliato di grosso. Ma esiste anche un reato nel nostro ordinamento, la istigazione al suicidio. Non sarebbe il caso di fare capire alle iene che la carne é finita?. Requiem per un prete di provincia.


EUTANASIA, FAZIO E SAVIANO, MELAZZINI, PROGRAMMI TELEVISIVI - Grazie a “Vieni via con me”, ben 7 programmi TV ospiteranno (esclusivamente) i “pro-life”. – dal sito http://antiuaar.wordpress.com del 29 novembre 2010

Come tutti sappiamo lunedi 15 novembre 2010 è andata in onda in prima serata su RaiTre la seconda puntata della trasmissione “Vieni via con me” (dal titolo si può già scorgere un chiaro invito eutanasiaco), condotta da Fabio Fazio e Roberto Saviano. La trasmissione ha scatenato un’onda di polemiche (vedi risultati del sondaggio de Il Sole 24 ore), anche perché i conduttori hanno voluto dare vergonosamente ed unicamente spazio a vecchi radicali nostalgici e ambigui personaggi di bassa moralità come Peppo Englaro e Mina Welby, la moglie di Piergiorgio (mancava solo Pannella con  il suo inseparabile spinello e la Bonino in braccio a Odifreddi, mentre quest’ultimo declamava quanto è scientifico e razionalistico suicidarsi per “mancanza di prove”). Ospite anche un prete scemo come don (che vergogna scrivere “don”) Andrea Gallo, che ha “benedetto” il tutto. Dopo 10 giorni di proteste in cui mezza Italia si è sollevata (più sotto trovate una brevissima sintesi), Fazio e Saviano sono riusciti a rimanere ideologicamente e laicisticamente aggrappati al loro rifiuto di parlare della “vita” e di dare spazio ad una replica (prontamente concessa invece al ministro Maroni). Così, per un programma che manda in onda uno spot per l’eutanasia e si rifiuta di replicare, ne sono emersi ben 7, tra Rai e Mediaset, che si dichiarano pronti e disponibili ad accogliere (esclusivamente) “la vita” e i movimenti “pro-life”: ieri Raiuno con A Sua immagine (alle 10:30) e “L’Arena di Giletti” (all’interno di Domenica In alle 14), hanno avuto diversi ospiti tra cui il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, Mario Melazzini e Fulvio De Nigris. Il Tg1 delle 20 ha invece aperto ospitando rappresentanti delle associazioni pro-vita. Domani, durante Mattino 5, condotto da Paolo Del Debbio con Federica Panicucci su Canale 5, ospiterà, fra gli altri, Max Tresoldi, quasi quarantenne e “risvegliatosi” dopo dieci anni di stato vegetativo. Martedì sera alle 21,10 su Retequattro, sarà la volta di Viaggio a… e in settimana il programma Porta a porta di Bruno Vespa manderà in onda una puntata speciale dedicata alle persone che vivono in uno stato vegetativo assistite da familiari: «Nessun politico, nessun commentatore, solo protagonisti di storie alle quali altrove si è deciso di non dare voce», è stato fatto sapere dalla redazione. Mentre, nel programma in sei puntate che sta preparando Vittorio Sgarbi per Raiuno, «quelli che resistono e sono per la vita, se non avranno spazio da Fazio e Saviano ne avranno da me comunque e quanto vogliono», ha fatto sapere (da Avvenire). Per fortuna che, a parte Fazio e Saviano, c’è ancora qualcuno che dà senso alla vita.

Vediamo comunque quali sono state le interessantissime reazioni all’unica visione della vita (anzi, della morte) promossa dal duo “pro-death”.

Il 19 novembre il direttore di Avvenire -Marco Tarquinio- ha rivolto un appello alla dirigenza Rai perché faccia conoscere persone come Mario Melazzini, Fulvio De Nigris, Mariapia Bonanate e suo marito, Angelo Carboni, Rosy Facciani, Simone Schonsberg e la mamma Gloria, Moira Quaresmini e la sua famiglia. Voci di chi vive e lotta e soffre e non molla, e non solo ai “profeti” dell’eutanasia». (da Fateli parlare, Avvenire).

Il 20 novembre c’è stata immediatamente una reazione all’appello. In modo bipartisan la politica ha risposto: oltre centoventi firme in due lettere distinte, da parte dei primi due partiti italiani (PDL e PD) per chiedere al cda Rai di garantire nei programmi del servizio pubblico, e in particolare in quello condotto da Fazio e da Saviano, «la voce di chi difende la vita e soprattutto di chi lo fa vivendo una condizione di sofferenza» (qui il testo dell’appello). Si schierano 91 parlamentari del PDL e Lega Nord (primi firmatari: Alfredo Mantovano, Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi, Eugenia Roccella, Barbara Saltamartini, Enrico La Loggia, Valentina Aprea, Giuseppe Cossiga). A sinistra sono 32 membri del PD (i primi sono Giuseppe Fioroni ed Enrico Gasbarra) a scrivere a Fazio&Saviano per «segnalare come sia mancata la voce dell’altra scelta» (qui il testo dell’appello). Si associa idealmente Giorgio Merlo (Pd), mentre Pier Ferdinando Casini (Udc), si rivolge ai vertici Rai affinché «diano voce a chi non vuole l’eutanasia». Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha dichiarato di condividere l’invito del direttore di Avvenire e anche lui chiede al Cda della Rai di garantire la voce di chi difende la vita. Si mobilitano anche diverse associazioni, come l’Aiart (associazione telespettatori cattolici). Anche il Tg2, dà immediatamente spazio all’appello e Mattino Cinque si dice disponibile ad ospitare queste storie altrimenti dimenticate. (da Avvenire, Yahoo Notizie, AdnKronos).

Il 21 novembre Souad Sbai (Pdl) è pronta a un’interrogazione parlamentare e Giuseppe Fioroni (Pd) concorda: «Non può passare l’idea che “staccare la spina” sia un atto d’amore illuminato, mentre quello che consapevolmente fanno giorno dopo giorno decine di migliaia di famiglie nel silenzio, nella fatica e nella sofferenza, accudendo malati gravi e gravissimi, sia una scelta dettata da oscurantismo. Questo non può e non deve essere ignorato da una tv che intende promuovere il civismo, scuotere le coscienze e rilanciare la dignità degli uomini e delle donne» (da Avvenire). Interviene anche Marina Corradi, con un giudizio -come al solito- decisamente chiaro (da Avvenire).

Il 23 novembre si muove qualcosa nel palazzo di viale Mazzini (incontri, richieste, appelli e sit in). Il direttore generale Mauro Masi ha infatti chiama il direttore di Raitre Paolo Ruffini per sollecitare che nell’ultima puntata di Vieni via con me, venga dato spazio anche alla difesa della vita. Una richiesta era già esplicitamente arrivata anche da due componenti del consiglio di amministrazione della RAI: Antonio Verro (per la maggioranza) e Rodolfo De Laurentiis (per l’opposizione). Intanto anche gruppi parlamentari dell’UDC hanno sottoscritto una lettera al direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, per dirgli che «l’iniziativa promossa dal giornale per dare voce a chi voce non ha è stato subito accolto con il massimo consenso» (qui il testo della lettera). Sempre l’Udc ha promosso una manifestazione davanti alla sede Rai con lo slogan: “Più voce alla vita”, a cui hanno partecipato 32 associazioni per la vita (da Agenzia Asca e Avvenire). Il noto giornalista Antonio Socci ha intanto inviato una bellissima lettera al suo amico Roberto Saviano, che potete trovare su www.antoniosocci.com. Giuliano Dolce, direttore sanitario dell’Istituto Sant’Anna di Crotone (“la clinica dei risvegli”), invita pubblicamente Saviano a visitare la clinica e confrontarsi con lui poiché «quando parla di accanimento terapeutico non ha le idee chiare» (da CN24 e Avvenire). Interviene anche Carlo Verna, segretario del sindacato dei giornalisti della tivù di Stato, dicendo: «bisogna riparare ad un finto pluralismo» (ad Avvenire).

Il 24 novembre Avvenire in primis critica la terza puntata di “Vieni via con me”, avvenuta snobbando la sollevazione popolare, politica e dirigenziale di chi nella seconda puntata non si era affatto riconsociuto nelle parole di Fazio-Saviano (da Avvenire). E mentre Antonio Verro, consigliere d’amministrazione Rai, promette battaglia contro la “trasmissione faziosa”, i parlamentari schierati con l’appello di Avvenire arrivano a 169 (tra Pdl, Lega, Pd e Udc). Il sottosegretario Eugenia Roccella spedisce a Fazio e Saviano una copia del documento del ministero della Salute sugli Stati Vegetativi, frutto del lavoro dei maggiori esperti in materia, e una copia del Libro Bianco, scritto in prima persona dalle associazioni dei familiari di questi disabili gravi, perché si rendano conto che «i disabili in stato vegetativo sono persone con cui si può stabilire una relazione, persone che possono sentire dolore e possono avere elementi di coscienza» (da YahooNotizie e Avvenire)

Il 25 novembre il Cda della Rai approva un ordine del giorno (quasi all’unanimità, 7 su 9) firmato dal consigliere Rodolfo De Laurentiis e sostenuto dalla maggioranza, per far replicare, nell’ultima puntata di “Vieni via con me“, le Associazioni per la vita. Ad esprimersi a favore dell’odg anche il presidente della Rai Paolo Garimberti. Per De Laurentiis «così come il ministro Maroni ha chiesto e ottenuto di replicare a Saviano nella scorsa puntata, chiedo che venga data voce alle associazioni pro-vita in merito al tema dell’eutanasia». Fazio e Saviano si rifiutano blaterando che non vogliono far passare l’idea che la trasmissione sia stata “pro-morte” e «un programma di racconti come il nostro non ha la pretesa, né il dovere, né la presunzione di rappresentare tutte le opinioni». Peccato però che a Maroni sia stato immediatamente concesso di replicare. Mentre Avvenire commenta le contraddizioni della replica dei due autori pro-death Fazio e Saviano, le reazioni politiche sono durissime (specie dal centrodestra). Per Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato, «le argomentazioni di Fazio e Saviano sono ipocrite e contraddittorie» e per Daniele Capezzone, portavoce del Pdl: «Sono laico e liberale convinto, notoriamente vicino alle sensibilità di Englaro e Welby. A maggior ragione, trovo assurdo il “no” di Fazio e Saviano». Il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, afferma: «Fazio e Saviano sono stati chiari: dobbiamo essere liberi di fare propaganda per l’eutanasia, i disabili gravi, se proprio vogliono parlare, vadano altrove» (da Avvenire: Il Cda Rai: parlino i malati. Fazio & Saviano si rifiutano).

Il 26 novembre il direttore di Avvenire scrive un altro editoriale sulla vicenda (da Avvenire). Interviene anche il ministro Sacconi: «Da cittadino e parlamentare non posso che desiderare che abbiano voce quella moltitudine di persone che curano amorevolmente altri soggetti che, pur in una condizione di grave fragilità, hanno bisogno di essere incoraggiati a riconoscere il valore della vita anche in quella terribile condizione». Intanto gli incontri tra il direttore generale della Rai, Mauro Masi, e il direttore della terza rete, Paolo Ruffini, si susseguono (da Avvenire, Sacconi: dare voce ai malati. Ma da Fazio arriva un altro «no»).

Il 27 novembre i due laicisti Fazio e Saviano permangono nel resistere al parere ufficiale del Consiglio d’amministrazione dell’azienda (pubblica) che permette loro di andare in onda. Altri incontri tra il direttore generale della Rai Mauro Masi e il direttore di Raitre Paolo Ruffini (da Avvenire: Il Cda Rai: parlino i malati. Fazio & Saviano si rifiutano).

Il 28 novembre interviene anche il noto scrittore Ferdinando Camon: «Finora la trasmissione aveva la forza d’urto di una verità che voleva apparire tale per tutti. Da questo momento la loro verità si presenta come limitata, partigiana, una porzione di verità» (da Avvenire). Enrico Gasbarra, deputato PD, invia una sua riflessione sulla questione al direttore di Avvenire (da Avvenire), stessa cosa la fa Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute, informando il direttore che «ieri il Consiglio dei ministri ha istituito la Giornata nazionale degli stati vegetativi, scegliendo la data del 9 febbraio, giorno della morte di Eluana Englaro» (da Avvenire).


VIENI VIA CON ME/ Fazio e Saviano, chi non la pensa come noi s’arrangi. Che peccato Maestro Yoda - martedì 30 novembre 2010 – il sussidiario.net

Ultima puntata di “Vieni via con me”: inizio per soli fiati, tipo brass band a mo’ di fuga, giusto per marcare subito il territorio, sottolineare che loro fanno un programma di élite che riesce a farsi guardare da 10 milioni di persone... poi Fazio si toglie subito alcuni sassolini dalle scarpe, con il sorrisetto di quello che dall’alto dei suoi ascolti può dire oramai quello che vuole. Così si permette di sfottere i “pro-life” affermando che è un nome assurdo perché presupporrebbe l’esistenza dei “pro-morte”. E così si toglie dai piedi tutto il dibattito su Englaro e Welby, su cui per la verità sia Aldo Grasso che Giuliano Ferrara hanno detto cose sensate, implorando di rappresentare anche la realtà dell’eroismo di chi fa ogni giorno scelte diverse. Delle proteste dei cosiddetti “pro-life” se ne sbatte ampiamente, così come di un ordine del giorno del Cda Rai votato a maggioranza anche dal presidente. È proprio vero, come ha scritto Grasso, che in questa occasione si rischia di sbagliare tutti. Come è pensabile infatti che un Cda entri nel merito delle scelte editoriali dei programmi... è un precedente pericoloso! Ma come è pensabile che su un tema tanto delicato non si sia ritenuto di dar voce, in forma poeticamente autorale, ad una sensibilità del tutto diversa?

E invece no, la risposta secca è stata che la loro tv è fatta di racconto. Se ad altri piacciono altri racconti, facciano altri programmi: e qui si è toccato il vero tasto dolente. Perché “Vieni via con me” ha dimostrato che esiste una parte del mondo dello spettacolo capace di raccontare in tv storie emozionanti a base di parole, sentimenti, immagini, pochi effetti speciali, bella musica, pur parteggiando palesemente per un approccio culturale radicaloide, laicista, relativista. Mentre “l’altra parte” sa partorire solo i Vespa, i Paragone, i Bagaglino... e quindi pur avendo molte ragioni sembra incapace di toccare le corde del cuore se non attraverso la strumentalizzazione di eventi choccanti, la spettacolarizzazione della politica o la comicità da avanspettacolo. Così sembra andare il mondo televisivo.

Ma parliamo dei dettagli: parte il primo elenco con tutte le cose di cui siamo fatti, vale a dire gli oggetti e i volti delle persone che hanno fatto la storia del cinema, della politica, del giornalismo, dello spettacolo e della letteratura italiani. Molte le citazioni degli uccisi per strage o dai terroristi... così non si può obiettare niente, nemmeno se qualche ingrediente del cocktail può risultare indigesto o per nulla condivisibile.

Saviano rievoca il terremoto, fa provare cosa significano 37 secondi ininterrotti di paura. Racconta cosa è successo nella casa dello studente. Vittime del terremoto? No, vittime di lavori fatti male, secondo lui, come dimostrerebbe la perizia della Procura. La sorella di un ragazzo morto legge la perizia... eccoci alla capacità di impiegare drammaturgicamente anche la lettura di un documento burocratico... altro che pistolotto di Maroni! Se fosse confermata, quella perizia sarebbe il simbolo dei lavori fatti male solo per guadagnare tangenti sugli appalti o per avere consenso politico... Saviano dice delle amare verità che susciteranno nuove polemiche... certo il rischio di generalizzare è forte, ma come non essere d’accordo in questo caso nella stigmatizzazione dei metodi di chi ha speculato su ogni cosa fregandosene della vita e della morte?

Man mano che la trasmissione va avanti, però, l’ideologia e il partito preso si fanno sempre più evidenti. Come nel caso di una coreografia che evoca festini selvaggi di personaggi sempre più sguaiati e pazzi, allegoria di potenti arricchiti indifferenti al dolore che hanno procurato rubando, dediti ad ogni voracità e perversione... e ogni riferimento a Wikileaks non è per nulla casuale.
Entra il Premio Nobel Dario Fo, che elenca le cose che il Machiavelli diceva ai governanti istruendoli su come si faceva per mantenere il potere... dette con sguardo di intenzione per alludere alle stesse turpidini messe in atto da chi gestisce il potere ai giorni nostri. E qui anche gli sguardi di intesa di Fazio si sprecano.

Da questo momento in poi c’è uno dei momenti più mosci della trasmissione: rappresentanti di Onlus tutti appartenenti al loro stretto “giro” leggono elenchi delle tristezze del mondo osservate facendo le loro opere di bene... altre Onlus, ben più rilevanti e importanti, non ci sono... (si facessero fare un programma da qualcun altro. Ecco un bell’esempio dell’uso del potere televisivo). E figuriamoci se non c’era Emergency... Poi gli ovvii pensieri di una mamma che attraversa Napoli per portare i bimbi a scuola come in una gimkana tra buche e spazzatura. Potevano mancare anche gli ovvii pensieri di una ricercatrice sul tetto contro la riforma universitaria? E l’elenco di incredibili banalità sulla scuola lette dallo scrittore Domenico Starnone? No. E purtroppo non ci hanno risparmiato nemmeno l’immancabile don Luigi Ciotti, capace di fare un pistolotto proprio simile a quello di Maroni. Ma come, non si invitano i “pro-life” ...ma gli amici del loro giro sì! Che importa se sono professionisti del presenzialismo volontaristico televisivo, che importa se gli si lasciano dire con voce tremante banalità come “legalità vuol dire umanità”?

Sorpresa: entra il Procuratore nazionale antimafia Grasso, che dice con evidenti difficoltà di parola cosa serve per battere la mafia, ma il tono e lo stile sono gli stessi di Maroni, e inoltre il suo pistolotto è davvero troppo lungo e retorico... si vede che la terza puntata che ci è piaciuta quasi tutta, è stata concepita in un irripetibile stato di grazia, il che dimostra che 4 puntate sono fin troppe e il format a lungo non regge.
Inoltre Grasso critica apertamente la riforma della giustizia... e meno male che Fazio aveva appena dichiarato che la sua non era una trasmissione politica, motivo per il quale non avrebbe accolto le istanze dei “pro-vita”...

Daniele Silvestri canta una assai modesta canzone inedita su uno che vuole andare via, mentre pupazzi umani tristi si dibattono come in crisi epilettica. A proposito, nemmeno quanto a musica si riesce a tenere il livello della terza puntata. Poco emozionanti infatti De Gregori e Elio, purtroppo come minestre riscaldate. Unica punta, l’improvvisazione finale di Bollani. Intermezzo comico di Cornacchione che legge le più modeste battute di Berlusconi: l’intento è evidente, ma almeno Guzzanti non se l’era presa solo con il Premier. La sensazione è che visto il clima generale si siano sentiti autorizzati a stare da una parte sola...

L’ultimo monologo di Saviano inizia glorificando gli studenti che occupano i monumenti. Sostiene che chi li occupa difende la Costituzione che invoca il pieno sviluppo della persona umana e il diritto allo studio per i meritevoli. Mah! Il colpo di teatro è il brano sul tariffario del voto di scambio... davvero sconcertante, se vero. 
Poi spiega che non fa paura chi racconta le storie, ma i milioni di persone che le ascoltano e le ripetono. Ma mentre riflettiamo sul significato civile di questa affermazione, Saviano raggiunge il vertice dell’ineffabile affermando che il racconto di Welby era una storia d’amore e non di morte. Che raccontare quella storia era anche un atto di rispetto verso chi la pensava diversamente... e qui proprio non ne abbiamo potuto più: tutta la poesia, la capacità drammaturgica di quello che poteva essere un bel programma si sono trovate a naufragare miseramente nella difesa ad oltranza del proprio pregiudizio ideologico e della propria verità intesa come unica e sola. Peccato. Peccato davvero.


Avvenire.it, 30 novembre 2010 - I malati, i no di Fazio e Saviano, e altri sì - Il coraggio che è mancato di Marco Tarquinio

Il "no" ormai era chiaro. Già televisivamente consumato sin da lunedì 22 novembre, quando Fabio Fazio e Roberto Saviano avrebbero potuto ascoltare, semplicemente, le tante voci inascoltate e ferite dei malati e delle loro famiglie che si erano alzate dopo la seconda puntata di "Vieni via con me". Si erano alzate in modo appassionato e persino irato, ma civile e ben comprensibile a tutti, e si erano rivolte per prima cosa all’unico giornale, questo, che da anni – senza chiedere ad alcuno certificati di battesimo e professioni di cattolicità – garantisce loro rispetto, considerazione e sostegno, e dà loro spazio e risalto ogni volta che ce n’è motivo (e ce n’è sempre). Allora, otto giorni fa, il Cda Rai non aveva ancora deciso di premere su Fazio e Saviano, e loro avrebbero potuto accogliere appelli "dal basso" e culturalmente e politicamente multicolori e non ancora richieste aziendali "dall’alto". Avrebbero potuto, e non hanno voluto.

Avrebbero potuto, e non hanno voluto, liberamente riconoscere e liberamente far parlare le storie che nella loro "narrazione" italiana di successo avevano dolorosamente ignorato (e il dolore è dei malati e dei loro cari, non nostro; nostro è stato – da subito e, via via, di più – lo sconcerto...). Avrebbero potuto, e non hanno voluto, Fazio e Saviano, far dire queste storie di lotta e di speranza dopo aver raccontato e fatto raccontare solo e soltanto storie di infermità e di disabilità vissute e viste con disperazione, dopo aver fatto un elenco di vite sofferenti e inabili e concluse da una morte invocata e ottenuta (Piergiorgio Welby) e da una morte procurata (Eluana Englaro).

A loro, a Fazio e Saviano, abbiamo girato, giorno dopo giorno, per quasi due settimane, l’invito vero di tanta gente vera. Lo stesso rivolto a tutti i colleghi di giornali, radio e tv, soprattutto (ma non solo) del servizio pubblico radiotelevisivo. «Fateli parlare». E non pochi colleghi – in Rai, a Mediaset e altrove, – han dato e stanno lavorando per dare loro la voce che chiedevano. Nulla di più di questo, senza invasioni improprie né improprie spettacolarizzazioni. Perché noi tutti abbiamo bisogno di sapere che c’è chi si batte col male e con le disabilità, non dice basta e riesce persino a vincere (almeno un po’), ma – a ragione – chiede di più alla nostra civile società e alla nostra civile amministrazione, a volte ai mass media e sempre a se stesso. Perché quelle sono storie di vita, di fatica e di tenacia, non affermazioni di principio. Sono vicende di persone, di famiglie e di comunità, non programmi di partito e di movimento. Sono fatti, non mere opinioni.

Ma ieri mattina è arrivata, ben prima dell’ultima andata in onda tv (e riecheggiando, a sera, al principio di essa), la più sfottente e insistita alzata di spalle. L’insulto che non ti aspetti: il più radicale non-riconoscimento. In forma d’intervista, sulle pagine di "Repubblica" (e io mi ostino a considerarlo sorprendente anche se non pochi lettori o frequentatori del nostro sito internet continuano a rimproverarmi perché attribuisco, e non da oggi, a quel giornale dalle opinioni nette e dalle battaglie decise, anche «una seria tradizione di oggettività»…). Ecco la domanda, di Curzio Maltese: «Come si spiega che il Cda Rai abbia chiesto di far replicare a un’esperienza di vita con un comizio ideologico di un movimento integralista cattolico?». Ed ecco la risposta di Fabio Fazio: «Accettare quella replica dei Pro Vita avrebbe significato ammettere che Mina Welby e Beppe Englaro avevano parlato in favore della morte. Non esiste direttiva Rai che possa impormi un’assurdità del genere». In un’intervista, le domande contano tanto quanto le risposte e, a volte, persino di più. Qui ce n’è una prova fulminante: «Comizio ideologico di un movimento integralista cattolico», si sentenzia. E l’intervistato replica con sdegno.

Ma dove sarebbe il movimento puramente confessionale in questione? Dove l’integralismo? E in che senso, di grazia? Ma soprattutto: perché ridurre tutto a una massa indistinta e vagamente, anzi integralmente, minacciosa? Mi verrebbe da dire: perché, quando disprezzi qualcuno, per prima cosa non lo riconosci, ne cancelli il nome e gli neghi l’identità, gli cali addosso la categoria che ti fa comodo: rom, pro-vita, crumiro, ebreo, fascista, musulmano, comunista, prete, clandestino, cattolico… Mario Melazzini, medico, malato di Sla e presidente dell’associazione che riunisce questi malati non è un nome da pronunciare. Fulvio De Nigris e la sua "Casa dei risvegli" nemmeno. Max Tresoldi neppure.

E non sono nomi neanche quelli dei portavoce delle 34 associazioni di malati e familiari che si sono rivolti anche a Fazio e a Saviano, oltre che a noi e a tutta la libera stampa e alla libera televisione italiane. Non è un nome, stavolta, neanche Avvenire. E invece noi – come i malati, come le loro famiglie – gli interlocutori li abbiamo chiamati per nome, li abbiamo interpellati e rispettati. E con rispetto e chiarezza anche oggi, ancora una volta, diciamo loro che il loro «no» è sbagliato. Che non ammettere e non riconoscere, proprio mentre si fa «tv nuova», è sbagliato. È essere faziosi. Peccato. Altri per fortuna, anche in questa complicata e spesso cinica tv, hanno avuto – e avranno – coraggio. Più coraggio di loro.


Avvenire.it, 30 novembre 2010 - Le ricadute dei tagli all’istruzione umanistica - L’immaginazione medicina contro la crisi di Roberto Mussapi

La filosofa statunitense Martha C. Nassbaum, docente all’università di Chicago, pubblica sul Times Literary Supplement un lungo e interessante articolo sulla situazione degli studi umanistici a livello internazionale (cui aveva parlato anche in una recente intervista ad Avvenire). Il ben documentato studio è incentrato sul tema della crisi che riguarda gran parte del mondo, crisi notoriamente economica ma, a parere (fondato) della Nassbaum, crisi culturale, spirituale, che se non arrestata rischia di precipitare in crisi morale, ontologica, insomma in una voragine autodistruttiva. L’autrice si riferisce a tre aree molto vaste: l’Europa, l’Asia (con maggiore attenzione all’India, perché più simile all’Occidente per tradizioni scolastiche) e gli Stati Uniti.

Parla di una crisi appunto molto più ampia di quella puramente economica, e prosegue: «Sono in corso cambiamenti radicali in quello che le società democratiche insegnano ai giovani, e su questi cambiamenti non si riflette abbastanza. Attirati dal profitto, molti Paesi, e i loro sistemi scolastici stanno escludendo alcuni saperi indispensabili a mantenere viva la democrazia. Se questa tendenza continuerà, gli Stati di tutto il mondo produrranno generazioni di macchine docili, utili e tecnicamente qualificate, invece di cittadini a pieno titolo, in grado di pensare da soli, mettere in discussione le consuetudini, e comprendere le sofferenze e i successi degli altri». L’inseguimento esclusivo dei beni materiali , che il grande poeta indiano Tagore definisce il nostro "rivestimento", va a scapito dell’immaginazione che rende umani.

La conoscenza non è garanzia di buona condotta, prosegue l’autrice, ma l’ignoranza garantisce una condotta cattiva. Il taglio agli studi umanistici si è registrato con l’apparire della crisi economica, taglio drastico in Asia ed Europa, meno grave ma serio negli Stati Uniti. L’immaginazione, che si coltiva con gli studi umanistici considerati optional, è ingrediente fondamentale per resistere e rinascere. «Un elenco di fatti, senza la capacità di valutarli, può essere dannoso quanto l’ignoranza». La Nussbaum prosegue indicando come il taglio all’istruzione umanistica, agli studi sulla letteratura, la poesia, e l’arte, sia generale e cieco, quasi a estirpare un’erba inutile, la cui bellezza persino ormai tende a sfuggire. La sua preoccupazione non è poetica: non è un artista che difende il proprio mondo. Il che sarebbe legittimo, ma meno significativo. È uno studioso della società che ne vede l’incancrenirsi.

Vede la crisi culturale e spirituale come causa prima di tutto. È un’ analisi precisa e chiara. Si taglia l’immaginazione per salvare l’economia, e si manda a picco il mondo. La versione concreta, valutabile, di un fenomeno più profondo e subliminale, che ne è a mio parere alla base: l’oblio, lo sgretolamento del sacro, che caratterizza il Novecento, il secolo alle spalle. Dove non a caso le punte di resistenza sono poeti, artisti, o grandi figure religiose. La studiosa americana sottolinea con precisione una tendenza perversa e suicida dei governi di tre quarti del mondo a tagliare l’immaginazione che ci fa liberi, a tagliarla di fatto, concretamente, nei programmi di insegnamento. E predice, giustamente, rovina.

Un anno fa il Pontefice riceveva  noi artisti perché da tempo la Chiesa aveva compreso questo nodo di importanza assoluta: la difesa dell’immaginazione significa difesa dello spirito, della libertà, condizioni essenziali perché gli uomini possano degnamente lottare per la vita, anche nei suoi sacrosanti aspetti pratici ed economici.


«Le persone che amano stanno vicine al tuo dolore» - La mamma di un bambino in stato vegetativo: i suoi fratelli e i compagni di scuola lo sostengono, sanno che Daniele è vivo - A quattro anni, per una caduta in piscina, il piccolo ha subito un’anossia da annegamento Da allora viene accudito notte e giorno DI GIANCARLA SAGLIO DOMINONI – 30 novembre 2010

«Giancarla, tu sei troppo coin volta! » L’amico per telefono mi lancia questo schiaffo vio lento, a mano aperta, sul viso, quasi a dir mi che nella mia condizione non posso es sere obiettiva. Ho appena cercato di spie gare, con la pochezza umana delle parole, quanto sia stato doloroso vedere che a Bep pino Englaro è stato concesso tanto spazio per cercare consensi e compren sione al gesto estremo di togliere la vita alla figlia, mentre è stata ne gata la possibilità di replica a chi continua, giorno dopo giorno, a combattere per questa vita pur co sì difficile. «Tu sei troppo coinvolta». Certo che lo sono. Mio figlio Daniele, quando aveva quattro anni, per u na caduta in piscina ha subito un’anossia da annegamento e da sette anni è in stato vegetativo. Da sei anni lo assistiamo in casa, aiu tati dagli altri due figli, dai terapi sti e dai volontari che hanno im parato ad amarlo, pur nel suo sta to di silenzio. Lo assistiamo giorno e notte: dopo giornate intense che si srotolano tra fisioterapia, logo pedia, alimentazione, visite, igiene personale, io e mio marito ci alzia mo quattro o cinque volte a notte, se va bene; se va meno bene, anche una decina.

E non devo sentirmi coinvolta, quando sento dire – da chi non ha mai accudito un solo giorno a ca sa la propria figlia – che chi si pren de cura di queste persone le vio­lenta?

Non ditemi che il gesto di Englaro è stato d’amore. Le persone che a mano ti stanno vicino, nel mo mento del dolore e della sofferen za, anche se lo strazio è enorme, anche se ti senti come se un carro armato ti passasse sul cuore, an che se dieci volte al giorno pensi che non ce la puoi fare, anche se continuamente vorresti essere tu al suo posto in quel letto. È la disperazione e non l’amore che porta a chiedere la morte; è l’incapacità di accet tare che la vita può cambiare anche tragi­camente. Posso capire, ma non condivide re.

Amore è la dolcezza di mia figlia Donata, di ciottenne, che al mattino prima di andare a scuola viene allegramente a salutare il fra tellino, o dice a me e mio marito di uscire una sera perché con Daniele ci sta lei. A more è la delicatezza di mio figlio Stefano, di ventiquattro anni, che mi aiuta a spo stare Daniele per e vitarmi la fatica o che mi accompagna nel le visite per suo fra tello. Amore è il so stegno e l’aiuto con tinuo di mio marito che in tanti anni di fatica, dolore, ma – lasciatemi dire – an che di gioia, non ho mai visto perdere la pazienza. Amore è quello che vedo negli occhi delle tante persone che in modo gra tuito e continuo si prodigano ad aiutarci e che dicono di ricevere da Daniele molto più di quanto danno.

Il mio pensiero va ai tanti bambini, com pagni di quella scuola che Daniele, pur in «stato vegetativo», ha continuato a fre quentare: sono le sue mani, quando lo gui­dano e lo aiutano nei lavoretti scolastici; sono i suoi passi, quando con naturalezza spingono la sua carrozzina.

Il mio pensiero va ai tanti amici dei miei fi gli maggiori: hanno continuato a frequen tare la nostra casa dopo l’incidente e con la loro presenza li hanno sostenuti. Nel tem po sono aumentati e spesso si trovano da noi a studiare o a vedere una partita. San no che Daniele è parte importante della no stra famiglia – vorrei dire il fulcro – e lo ve dono per quello che è: un bambino spe ciale. E tra loro c’è chi si offre di aiutare. Ma la cosa interessante, riferitami da mia figlia, è che, quando tra loro si è parlato del caso Englaro, nessuno di questi ragazzi aveva capito che la situazione fosse la stessa (nes suna macchina, nessuno stato terminale) «perché – dicevano – tuo fratello è vivo».

E allora sì, sono veramente «troppo coin volta » e conosco troppo bene il vivere quo tidiano con Daniele per non aver diritto di affermare che le persone come lui vivono, semplicemente «vivono», e hanno tutti i di ritti di farlo. Non rendiamoci responsabili di indurre i nostri giovani a credere che la vita sia tale solo a determinate condizioni: sarebbe devastante per chi negli anni futuri dovrà confrontarsi anche con dolori e dif ficoltà.



Asia Bibi, congelata la grazia: ora il processo - «Completare i tre gradi di giudizio» Si attende la data della prima udienza - I cristiani pachistani vogliono dimostrare, insieme all’innocenza della donna, anche l’ingiustizia di procedimenti basati spesso su accuse false - DA BANGKOK STEFANO VECCHIA – Avvenire, 30 novembre 2010

G razia presidenziale al momento “con gelata” per Asia Bibi e processo d’ap pello che sembra sempre più vicino. Sul cui avvio i giudici dovrebbero pronun ciarsi il 6 dicembre. Ieri, a seguito alla petizione di alcuni avvocati che hanno chiesto il rispetto delle procedu re per arrivare a un atto presidenziale, l’Alta Corte di Lahore ha emanato un provvedi mento di sospensione della condanna e ha notificato gli esiti dell’istanza agli uffici pre sidenziali federale e provinciale del Punjab, provincia di residenza e di carcerazione di A sia Bibi, di cui Lahore è capoluogo. La grazia può essere concessa, vi si afferma, solo a com pletamento dei tre gradi di giu dizio. Gli avvo cati di Asia Bibi attendono, a questo punto, la data della prima udienza del nuovo processo. Nessuna scor ciatoia, quindi per giungere a una assoluzione piena che si spe ra alla fine premierà le attese della famiglia e l’impegno di tanti a favore della donna in car cere da un anno e mezzo. Un eventuale prov vedimento di grazia potrebbe essere succes sivo a una nuova condanna, anche se la du ra opposizione dei radicali musulmani asso ciati a quella degli avvocati del foro di Laho re non potrà passare in secondo piano per il presidente Asif Ali Zardari che su di sé ha an che la pressione internazionale.

Nuove indagini e un nuovo processo è quan to chiedono da tempo i cristiani pachistani e i gruppi che si battono per i diritti umani. Obiettivo, quello di dimostrare, insieme al l’innocenza di Asia Bibi, anche l’ingiustizia di procedimenti basati perlopiù su accuse non sostenute da prove e sovente alimentate da interessi di ben altra natura che la difesa del la fede islamica. A dimostrarlo le dichiara zioni di monsignor Sebastian Shaw, vescovo ausiliare di Lahore rilasciate all’agenzia Fi des:

«Siamo favorevoli al processo perché vo gliamo che Asia sia dichiarata innocente u na volta per tutte, senza alcuna macchia e senza ambiguità. Perché vogliamo disinne scare le polemiche sollevate dagli estremisti islamici e depotenziare le loro sollevazioni popolari. Continuiamo a seguire il caso e a re gistrare i consensi e la simpatia di larghi set tori della società civile, inclusi molti musul mani ». A incoraggiare la Chiesa pachistana nel suo cammino per il dialogo e la giustizia è stata anche la recente visita del cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Con siglio per il dialogo interreligioso. «Ringra ziamo il Papa per aver inviato il cardinale Tau ran a vedere da vicino la nostra situazione e ad ascoltare i nostri problemi, con grande partecipazione», ha riferito monsignor Shaw. La pace, tuttavia, resta lontana. I cristiani con tinuano infatti ad essere sotto pressione. A Karachi, maggiore metropoli del paese, il ma trimonio fra un giovane cristiano e una coe tanea musulmana è stati pretesto per atti in timatori e tensioni alimentati da estremisti musulmani, mentre si è saputo ieri che a qua si un mese dall’aggressione restano precarie le condizioni di un 19enne protestante del Punjab incarcerato in attesa di giudizio per blasfemia e lapidato dai compagni di cella.




lunedì 29 novembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - E il lupo disse all’agnello: “Intollerante!” - 28 Nov 2010 -  Antonio Socci Da “Libero” 28 novembre 2010
2)    IL RIFIUTO DI OGNI VITA UMANA È IL RIFIUTO DI CRISTO - BOLOGNA, domenica, 28 novembre 2010 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo l’omelia che l’Arcivescovo di Bologna, il Cardinale Carlo Caffarra, ha pronunciato sabato 27 novembre nella Chiesa di Santa Maria della Vita in concomitanza con la Veglia voluta dal Santo Padre per la vita nascente.
3)    LA BASSA NATALITÀ È LA MORTE DI UN POPOLO - di padre Piero Gheddo
4)    La fragilità di una nascita Pigi Colognesi - lunedì 29 novembre 2010 – il sussidiario.net
5)    COLLETTA/ 1. I risultati 2010: 9400 tonnellate raccolte +9%. GUARDA IL TG Redazione - domenica 28 novembre 2010 – il sussidiario.net
6)    COLLETTA/ 2. La "formula" della gratuità batte i tanti format dell'indifferenza Alessandro Banfi - lunedì 29 novembre 2010 – il sussidiario.net
7)    RUSSIA/ La "teologia del cuore" di Antonij Blum contro il nichilismo di Sartre (e nostro) Anna Smaina-Velikanova - lunedì 29 novembre 2010 – il sussidiario.net
8)    J’ACCUSE/ Quel grande inganno che ci fa buttare tutto, dal cibo ai bambini Carlo Bellieni - lunedì 29 novembre 2010 – il sussidiario.net


Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - E il lupo disse all’agnello: “Intollerante!” - 28 Nov 2010 -  Antonio Socci Da “Libero” 28 novembre 2010

“Intolleranti!”. Così – testualmente – giovedì scorso il regime comunista cinese ha definito la Chiesa cattolica che protestava per l’ennesimo abuso di Pechino: il regime ha nominato vescovo un suo burocrate pretendendo di imporlo ai cattolici.

Avete capito bene: i persecutori definiscono “intolleranti” i perseguitati. Non solo. I carnefici comunisti addirittura aggiungono che la vittima, cioè la Chiesa, “limita la libertà religiosa”. Testuale. In queste surreali e sfacciate dichiarazioni c’è tutta l’assurdità del nostro tempo. 

I comunisti cinesi hanno massacrato i cattolici costringendoli alle catacombe, hanno rinchiuso nei loro bestiali lager sacerdoti e vescovi, facendoli crepare, hanno torturato in ogni modo i credenti, pure imponendo loro dei burocrati di regime come vescovi, ma quando le vittime protestano i carnefici li definiscono “intolleranti”.

Invece di farsi massacrare e perseguitare in silenzio questi odiosi cattolici osano perfino lamentarsi. Che pretese.

I compagni cinesi fanno come il lupo di Fedro che accusava l’agnello di prepotenza. Ma il lupo di Fedro ha molti emuli anche in Italia, fra i compagni italiani e nella sinistra tv che fa “Vieni via con me”.

L’altroieri per esempio sull’Unità Gianni Cuperlo, braccio destro di D’Alema e già leader dei giovani comunisti, occupandosi della richiesta del Cda della Rai di far parlare anche i malati che lottano per la vita a “Vieni via con me” (come hanno potuto farlo la Welby ed Englaro) ha testualmente scritto: “considero questo atto un grave errore di metodo e di principio”, addirittura “un precedente inquietante”.

Cuperlo ha bollato questa richiesta di pluralismo e di libertà di parola come una minaccia alla “concezione aperta e laica del servizio pubblico”, una “violazione” di principio con un fondo “autoritario”.

Sì, avete letto bene: autoritario non è chi usa servizio pubblico, pagato da tutti, infischiandosene perfino del consiglio di amministrazione, del presidente e del direttore generale, per imporre il proprio punto di vista come “pensiero unico”, senza tollerare storie e vite diverse.

No, “autoritario” – secondo il comunista Cuperlo – sarebbe la dirigenza della Tv che invita far parlare anche i malati silenziati e soli (sono tremila famiglie che lottano per la vita), che chiedono una volta tanto di poter far sentire il proprio inno alla vita.

Il prepotente sarebbe l’agnello.

Un rovesciamento della frittata analogo a quello di Michele Serra anche lui proveniente dalla storia comunista (si è iscritto al Pci nel 1974, quando c’era Breznev, immaginate che scuola di sensibilità umana ha avuto…).

Serra, uno degli autori del programma “Vieni via con me”, l’altro giorno sulla Repubblica è arrivato a scrivere – con tono che parrebbe ironico – che i malati che lottano per vivere, contro gravi malattie, sarebbero coloro che desiderano “rimanere in vita a oltranza” e, insieme ai cattolici che se ne fanno portavoce, li ha bollati come “forti che protestano contro deboli”.

I forti sarebbero quelli oppressi dalla malattia e silenziati dalla Tv.

Fra i “deboli” di cui parla Serra ci sarebbe la signora Welby, il cui caso in tv ha avuto da solo più spazio di tutte le tremila famiglie di ammalati che lottano “a oltranza” per la vita.

Ebbene, la signora Welby è intervenuta sulla polemica relativa al pluralismo stabilendo che “non c’è bisogno di alcun contraddittorio” (Corriere della sera, 29/11).

Ha parlato lei. Gli altri devono contentarsi di ascoltarla, ma “non c’è bisogno”, afferma la signora, che dicano la loro e raccontino a loro volta la loro storia, diversa dalla sua (che bell’esempio di tolleranza).

Naturalmente anche “la coppia milionaria Fazio-Saviano”, come li chiama Luca Volonté, fa sapere al consiglio di amministrazione e ai vertici della Rai che loro se ne infischiano della richiesta di pluralismo arrivata appunto dal Cda, perché loro fanno come gli pare e piace e, usando la tv pubblica, si ritengono in diritto di discriminare chi vogliono, a partire dai più deboli e poveri, i malati.

“Concedere” – dicono proprio così: concedere, come se la televisione fosse roba loro – il diritto di parola agli altri ammalati che incitano a lottare per la vita, è – a loro avviso – “inaccettabile”.

Ne fanno addirittura “una ragione di principio”. Sì, perché è noto che loro amano i principi. Hanno perfino chiamato il (post) comunista e il (post) fascista a declamarli: infatti è da comunisti e fascisti che dobbiamo imparare…

Il principio che Fazio e Saviano amano di più è quello per cui parlano solo loro e decidono loro chi ha diritto di parlare. Insieme ai principi amano le regole, ma per gli altri.

Di quelle che richiedono pluralismo nel servizio pubblico televisivo non si danno pensiero.

L’idea che le loro opinioni e i loro proclami senza contraddittorio siano sottoposti a un diritto di replica – affermano testualmente – “ci pare lesiva della libertà autorale, della libertà di scelta del Pubblico, e soprattutto della libertà di espressione”.

Firmato: Fabio Fazio, Roberto Saviano e gli autori di “Vieniviaconme”

Cioè, traduciamo: voi italiani pagate il canone e noi vi facciamo i nostri comizi a senso unico e se pretendete di dire la vostra o di sentire anche un punto di vista diverso ledete la nostra libertà di espressione. E addirittura “la libertà di scelta del Pubblico”.

In realtà tutti i programmi del servizio pubblico sono tenuti a rispettare sempre il pluralismo, non solo politico, ma culturale. Dopo questi precedenti c’è il rischio che in Rai ognuno cominci a fare come gli pare e piace e ognuno si appropri di un pezzo di palinsesto. Fregandosene dei vertici aziendali.

Pensate cosa accadrebbe se Rai 1 decidesse di portare al festival di Sanremo – davanti a dieci milioni di persone – un rappresentante del Movimento per la vita a fare un discorso in difesa della vita umana nascente…

Dopo il precedente di “Vieni via con me” potrebbe benissimo farlo. E il Pd? E i radicali? E la sinistra tv? E i finiani? Scatenerebbero il finimondo. Perché solo loro possono pontificare  e declamare i loro valori senza alcun contraddittorio e senza voci alternative.

Una lettrice mi ha inviato questa divertente lettera:

“Ieri per curiosità sono andata sul sito di ‘Vieni via con me’ ed ho cliccato sulla rubrica ‘i vostri elenchi’.

Ho dato un’occhiata  ai messaggi postati e c’era di tutto: elenco delle proprietà benefiche del peperoncino, elenco di quante puzzette in media fa una famiglia italiana all’anno e così via.

Allora ho voluto lasciare anche io il mio contributo ed ho elencato gli otto motivi per cui non val la pena guardare la loro trasmissione.

Alla sera sono andata a riguardarmi gli elenchi (io lo avevo inviato alle 17): c’era persino l’elenco postato due minuti prima ( 21.30), ma del mio nemmeno l’ombra… Eppure non c’era nemmeno una parolaccia! Perché allora censurare?”.

La cosa tragicomica è che questi radical-chic ogni volta si fanno belli con la famosa frase che attribuiscono a Voltaire: “non condivido quello che dici, ma sono pronto a dare la vita perché tu possa continuare a dirlo”.

A parole – per autocertificarsi tolleranti e di ampie vedute – fanno questa dichiarazione d’intenti. Dopodiché si fanno in quattro per occupare tutta la scena e silenziare o squalificare chi è diverso da loro.

Post scriptum: vorrei informare questi signori (e anche il Corriere della sera che recentemente ha usato la citazione in una campagna pubblicitaria) che quella frase, in realtà, Voltaire non l’ha mai pronunciata.

In effetti risale alla scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, che la scrisse nel 1906 in “The Friends of Voltaire”.

In compenso Voltaire ne disse un’altra: “écrasez l’infame!”. Che vuol dire “schiacciate l’infame”, laddove “infame” sarebbe il credente. Ecco, citino questa, che è davvero di Voltaire e che esprime decisamente meglio la cultura radical-chic.


IL RIFIUTO DI OGNI VITA UMANA È IL RIFIUTO DI CRISTO - BOLOGNA, domenica, 28 novembre 2010 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo l’omelia che l’Arcivescovo di Bologna, il Cardinale Carlo Caffarra, ha pronunciato sabato 27 novembre nella Chiesa di Santa Maria della Vita in concomitanza con la Veglia voluta dal Santo Padre per la vita nascente.

* * *
Cari fratelli e sorelle, non a caso per celebrare la solenne veglia per la vita abbiamo scelto questo luogo santo dedicato a S. Maria della Vita.
Acconsentendo a concepire nella nostra natura umana il Verbo, Maria accoglie la Vita a nome di tutti e a vantaggio di tutti. E’ mediante il consenso dato da essa all’angelo, che Maria si colloca alla sorgente stessa della Vita che Cristo è venuto a donare. «Generando la vita» scrive un monaco medioevale «ha come rigenerato coloro che di questa vita dovevano vivere» [Guerrico d’Igny, Disc. I nell’Assunzione di Maria, 2; PL 185, 188].
In forza di questa sua collocazione nel mistero della salvezza, Maria è posta al centro del grande scontro fra la vita e la morte, fra il potere che distrugge ed il potere che vivifica. La pagina biblica appena proclamata ci invita proprio a considerare questo scontro. Per meglio comprenderla è utile confrontarla e come leggerla assieme ad un’altra pagina della Sacra Scrittura: Ap 12,1-6.
Esiste una opposizione, un’inimicizia fra il “serpente” e la “donna” in quanto sorgente della vita. Nella pagina dell’Apocalisse il “serpente” è raffigurato come un enorme drago rosso [12,3] che raffigura Satana, potenza personale malefica, e insieme tutte le forze del male che operano nella storia umana.
E’ degno di molta attenzione il fatto che l’opposizione fra il Satana e la Vita, in maniera implicita nel testo che abbiamo letto e in maniera esplicita nell’Apocalisse, è presentata come opposizione al parto della donna: alla Vita nel suo sorgere. Alla fine il testo sacro sembra suggerire: il bambino che Maria – la donna vestita di sole – partorisce, il Figlio di Dio fattosi uomo, è anche la figura di ogni uomo, di ogni persona già concepita e non ancora nata minacciata nella sua stessa vita. Infatti “con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” [Cost. Past. Gaudium et spes, 22]. Il rifiuto di ogni vita umana è realmente il rifiuto di Cristo.
Il cantico che abbiamo or ora cantato a Cristo ci ha istruito circa l’esito finale dell’inimicizia fra il “serpente” e la “donna”: «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra, e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre». Facendo eco a questo cantico, un inno liturgico dice: «morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa» [Messale Romano, Sequenza della Domenica di Pasqua].
L’Agnello immolato domina ogni potere e gli eventi della storia, e afferma nel tempo ed oltre il tempo, il potere della vita sulla morte.
Illuminati da questa Parola e forti della speranza fondata sulla vittoria di Cristo, possiamo gettare uno sguardo, sia pure fugace, sulle potenze che Cristo definitivamente sconfigge.
La potenza che contrasta maggiormente la vita, la cultura della vita, è quella che, soprattutto mediante alcuni grandi mezzi della comunicazione, cerca di introdurre l’uomo dentro ad un mondo privo di ogni consistenza reale, iniziando col privare il linguaggio di ogni significato obiettivo. L’aborto non deve essere chiamato ciò che è, un abominevole delitto [Gaudium et spes], ma un mezzo per la salute riproduttiva. L’eutanasia non deve essere chiamata ciò che è, l’omicidio di un ammalato grave, ma una morte degna. La castità non deve essere chiamata ciò che è, una virtù, ma il segno di psicosi.
Ma anche la potenza di questi mezzi dovrà piegarsi al Signore. Della vittoria o quanto meno del depotenziamento dei signori di questo mondo è segno visibile il luogo dove ci troviamo: in esso la Chiesa ha affermato la dignità della persona inferma e povera.
E così è stato, così è ogni giorno anche nella nostra città. La corrente che, come un fiume, vuole spegnere nell’uomo la luce delle evidenze originarie, è come assorbita dalla fede che opera attraverso la carità: la carità verso ogni povero. E’ questa la forza che fa trionfare la vita sulla morte, la civiltà dell’amore sulla civiltà dell’egoismo.


LA BASSA NATALITÀ È LA MORTE DI UN POPOLO - di padre Piero Gheddo

ROMA, domenica, 28 novembre 2010 (ZENIT.org).- Il valore della vita e delle nascite torna alla ribalta in giornali e telegiornali: la nostra Italia ha pochi bambini, gli italiani diminuiscono di più di 100.000 l’anno, sostituiti da altri popoli più giovani, in buona parte musulmani. Il prof. Angelo Bertolo, storico e scrittore, ha pubblicato nel 2007 un volume che merita di essere ripreso perché  rappresenta “una vigorosa testimonianza, mediante constatazioni di carattere storico e scientifico, utili a quanti desiderano approfondire ogni ragione in favore della vita”. Così l’europarlamentare on.le Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita, commenta il volume: Angelo Bertolo, “Fertilità e Progresso” (Campanotto editore, Udine 2007, pagg. 142, in italiano e in inglese).
L’autore conosce bene l’India ed è membro del “Rajiv Gandhi Institute for Contemporary Studies” di New Delhi. Il sottotitolo del libro precisa meglio i contenuti: “L’imminente crollo dell’Occidente”. Previsione che deriva da tutta l’indagine storica condotta nel volume, che si può sintetizzare in queste parole: “Un alto tasso di natalità è indice di progresso. Un tasso di natalità basso è indice di regresso e preannuncia la morte fisica di quella civiltà e la sua scomparsa dalla faccia della terra”.  Una relazione simile è interconnessa con il rafforzamento o l'affievolirsi del senso morale e religioso in un popolo.
Per dimostrare storicamente la verità di questo assunto, Bertolo esamina il cammino di alcune civiltà umane che si sono succedute in varie parti del mondo. La sua ricerca spazia dalla civiltà greca a quella romana, dall’India, alla Cambogia, alla nostra Italia e ad altre civiltà del mondo, sempre contrassegnate da questo segno caratteristico: il massimo tasso di natalità di un popolo coincide con la massima vitalità e splendore di una civiltà; quando il tasso di fertilità diminuisce, un periodo storico si chiude e una civiltà scompare, travolta dall’arrivo di popoli più giovani e con più alto tasso di crescita demografica.
Nel secondo e terzo secolo a.C., quando Roma era in una fase di forte espansione, di progresso inteso nel senso più ampio,  le matrone romane si dimostravano fiere di fronte alle donne etrusche e greche perché esse avevano più figli e perché il loro senso morale era più alto. E Roma, con la spinta in avanti e l’entusiasmo dei molti giovani, conquistava il mondo allora conosciuto. Al tempo del suo massimo splendore nel terzo-quarto secolo d.C., la città di Aquileia  contava più di 100.000 abitanti, forse 200.000, e tutta la zona compresa dall’attuale Friuli poteva avere una popolazione un po’ inferiore a quella attuale, forse metà di quella attuale. Poi Aquileia decade rapidamente, perde la sua carica di vitalità e la popolazione diminuisce. Due secoli dopo, quando i Longobardi arrivano in Friuli nell’anno 558, essi sono un popolo organizzato di circa 250.000 abitanti. Fra le altre cose, Paolo Diacono ci fa notare che le donne longobarde si dimostravano  fiere di fronte alle  donne romane perché esse erano più prolifiche.  E i Longobardi si sono imposti su tutta l’Italia. 
Dopo l’anno mille, si parla di ripresa della civiltà in Italia, dopo il calo demografico che tutti riconoscono dal tempo dell’Impero Romano e dopo le distruzioni causate dalle invasioni barbariche. Villani, contemporaneo di Dante, ci informa che la sua città, Firenze, in 90 anni cresce da  novemila a centomila abitanti. Tutte le città dell’Italia centrale e della pianura padana  dimostrano una crescita vigorosa. Venezia cresce. Milano cresce. Oltre che dall’espansione fisica delle città, dei suoi palazzi, lo deduciamo dalle Rationes Decimarum, i registri delle decime del tempo,  e dalle cronache di Bonvesin de la Riva, i Magnalibus urbis Mediolani.   La rinascita dopo il mille e il progresso delle città italiane è strettamente legato alla crescita demografica e all’alto senso morale e religioso delle popolazioni.
Nel 14° secolo l’Italia ha avuto la grande pestilenza descritta dal Boccaccio. La popolazione dell’Europa diminuisce di un terzo o forse di una metà. In Italia la Maremma toscana con le sue paludi perde circa l’80% della popolazione, mentre Venezia ne perde un terzo. Il 14° secolo dunque, pur con questa pestilenza e con una fortissima diminuzione della popolazione, è un secolo di grande progresso per l’Italia, il secolo dell’Umanesimo e dell’espansione commerciale delle città italiane, un secolo di progresso, caratterizzato però da una forte natalità. La metà della popolazione che era rimasta in vita, per la forte carica dell’aumento dei giovani, ha potuto continuare a vivere e a progredire verso la civiltà del Rinascimento.
Thomas Malthus basava le sue teorie su due premesse:       
1) La terra è limitata e tutte le risorse sono esauribili. Ma non prendeva in considerazione il fatto che ci possono essere nuove scoperte di risorse naturali (come infatti sta continuamente avvenendo) e non teneva conto dell’ingegno dell’uomo, della sua inventiva.    
2) Gran parte della popolazione è inutile in quanto non produce niente, anzi consuma beni prodotti da altri. Se quindi si potesse eliminare parte della popolazione, i sopravvissuti avrebbero più risorse a loro disposizione. Questo potrebbe apparire vero oggi per le popolazioni in via di sviluppo, in quanto non riescono a fornire a tutti istruzione adeguata e servizi sanitari. A ben vedere, il problema è di governance, di pianificazione economica, non di aumento della popolazione di per sé. Malthus formulava le sue previsioni catastrofiche poco prima dell’anno 1800, quando la popolazione mondiale era meno di un miliardo. I neomalthusiani oggi riformulano le stesse catastrofiche previsioni di due secoli fa, quando la popolazione mondiale è di 6 miliardi. Ma oggi il livello generale della vita si è elevato in modo impensabile due secoli fa e c’è più molto cibo a disposizione per ogni singolo abitante della terra. Il problema non è che mancano le risorse o ci sono troppi uomini, ma di educare i popoli poveri a produrre con metodi moderni e i popoli ricchi a condividere fraternamente con i poveri le loro conoscenze e scoperte.
Conclusione: le previsioni demografiche catastrofiche che oggi leggiamo e sentiamo sventolare come spauracchi da molti studiosi e scrittori, in base alla storia dell’umanità sono più o meno credibili quanto quelle di Malthus.
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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.


La fragilità di una nascita Pigi Colognesi - lunedì 29 novembre 2010 – il sussidiario.net

C’e una disarmata fragilità nella Natività di William Congdon che campeggia sul manifesto natalizio proposto da CL che si può trovare appeso in case, uffici e scuole. È stata dipinta nel 1960 e il suo autore, allora quarantottenne, è battezzato soltanto dall’anno precedente. Muove i primi passi nella Chiesa cattolica, seguendo come un bambino le indicazioni che gli vengono date. Soprattutto da parte di don Giovanni Rossi, il fondatore della Pro Civitate Christiana di Assisi che lo aveva conosciuto qualche anno prima, poi atteso e abbracciato al culmine della disperazione nell’agosto del 1959.

Congdon aveva cercato dappertutto, letteralmente in tutte le parti più belle del mondo, l’immagine che, attraverso l’arte, potesse redimere un’esistenza posta sotto il segno del naufragio, dell’insicurezza, dell’assenza di paternità. Aveva avuto un notevole successo nelle prestigiose gallerie di New York, ma non era stato sufficiente. Quanto più viaggiava in cerca dell’autentico, tanto più l’esile zattera dell’arte perdeva pezzi, lo lasciava sempre più solo e disperato, in balia dell’immensità del mare tanto amato e altrettanto temuto. Il gorgo lo inghiottiva.

Naufrago per l’ennesima volta dopo l’ennesimo viaggio, Congdon è tornato da don Giovanni, senza più nessuna energia. Allora, sorprendentemente, il sacerdote gli ha detto che era pronto per ricevere il battesimo, poteva rinascere da un’altra acqua. Ha accettato. Senza neanche sapere bene cosa fosse il cattolicesimo e come si facesse a viverlo. Perciò ha seguito quello che gli veniva suggerito: dipingi i principali misteri della fede. Ad esempio la Natività.

Il nero pavimento assomiglia alle intricate vie delle città formicolanti che aveva un tempo dipinto; ma ora non sprofonda, sostiene. Le pareti intorno sono simili alla voragine risucchiante del Colosseo o al dirupo da cui Positano cade in mare di vecchi quadri; ma ora diventa la calda scenografia dell’evento, l’abbraccio a qualcosa di fragilissimo, ma reale: quella donna seduta, poco più che una spatolata di tenero azzurro, e suo figlio, nient’altro che un bozzolo bianchissimo. Non poteva proferire altro che questo balbettio il neo cattolico William Congdon.

Ma su questo bozzolo, che è anche un seme, s’appoggia come a centro sicuro tutta la composizione. E si appoggerà tutta la sua vita. Sull’orlo delle pareti, in alto, non ci sono più le case pericolanti di Roma o New York, né i palazzi traballanti di Venezia; ci sono i cori angelici, una festosa confusione di ali. Solo tre anni prima ben altre ali avevano occupato, nere, distese, aggressive, tutto lo spazio del quadro: quelle dell’avvoltoio visto in Guatemala, uccello annunciatore di morte e che di morte si nutre. Angelo funereo che a Congdon parve annunciare la sua stessa morte.
Sopra Maria e il Bambino, quasi invisibile, una capanna dagli esili sostegni e dal tetto traballante. È la casa, il luogo del riposo, del conforto, l’approdo di ogni viaggio. È la Chiesa. Allora, in quel 1960, Congdon non sapeva ancora che forma avrebbe preso per lui questa dimora. Sarà la compagnia del movimento di CL, con la quale camminerà per il resto della vita. In essa scoprirà che per essere artista cristiano non è indispensabile trattare argomenti sacri.

Lui aveva sempre dipinto quello che i suoi occhi vedevano: città, monumenti, deserti. Nella nuova dimora tornerà a questi suoi soggetti. Attraverso un itinerario non privo di fatiche comprenderà che quel Bambino, quel bianco seme, è il fondo di cui consistono tutte le cose che si vedono. E lietamente dipingerà campi, piogge, alberi e colline trasfigurate dalla percezione della loro gloria. La gloria della salvezza di tutti gli uomini e di tutte le cose che è iniziata con la disarmata, potentissima, fragilità della Natività.


COLLETTA/ 1. I risultati 2010: 9400 tonnellate raccolte +9%. GUARDA IL TG Redazione - domenica 28 novembre 2010 – il sussidiario.net

I RISULTATI DELLA GIORNATA NAZIONALE DELLA COLLETTA ALIMENTARE - E' stato un risultato che è andato al di là delle più rosee aspettative quello della XIV edizione della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, svoltasi ieri in più di 8000 supermercati. Grazie all'aiuto di più di 110.000 volontari sono state raccolte 9.400 tonnellate di prodotti alimentari, il 9% in più rispetto a quanto raccolto nel 2009, che saranno distribuiti agli oltre 8.000 enti convenzionati con la Rete Banco Alimentare che assistono 1,5 milioni di persone ogni giorno.

"Siamo cambiati noi. La Colletta Alimentare è la stessa, ma noi no. Abbiamo partecipato, commossi, allo spettacolo della condivisione gratuita del destino dei nostri fratelli uomini - ha spiegato Mons. Mauro Inzoli, presidente della Fondazione Banco Alimentare - Il cuore di milioni di persone, piccoli e grandi, lavoratori e pensionati, imprenditori e carcerati - molti dei quali provati dalla crisi economica, e da calamità naturali - è stato mosso dalla carità a una nuova responsabilità personale e sociale, desiderosa di costruire un bene per tutti".

Per la prima vlta quest'anno la Colletta si è svolta anche nelle carceri, con Franco Baresi che si è infilato la pettorina gialla per aiutare i volontari di Incontro e Presenza che hanno portato l'iniziativa nei tre carceri milanesi di San Vittore, Opera e Monza. La colletta, anche qui ha ottenuto risultati sorprendenti. La generosità dei detenuti è stata tale che sono stati riempiti 33 cartoni di cibo solo a San Vittore, mente gli organizzarori se ne aspettavano al massimo una decina. E oltre agli alimenti cosigliati, cioè quelli in scatola, sono arrivati anche olio, riso, pasta, biscotti...


COLLETTA/ 2. La "formula" della gratuità batte i tanti format dell'indifferenza Alessandro Banfi - lunedì 29 novembre 2010 – il sussidiario.net

In uno degli ultimi discorsi pubblici di David Foster Wallace (recentemente pubblicato in Italia dall’Einaudi sotto il titolo Questa è l’acqua), si parla della spesa al supermercato. È una conferenza tenuta di fronte a studenti universitari e Wallace, con la sua arguzia, identifica questo momento della nostra vita consumistica come il paradigma della nostra esistenza. Il grande scrittore, scomparso un anno fa, invita a guardare in un altro modo i nostri vicini indaffarati agli scaffali, o vicini di fila alla cassa. L’uomo esasperato dalla folla, la donna con il passeggino, l’anziano che non capisce... Questa è l’acqua, questa è la realtà in cui viviamo, sembra dire lo scrittore, solo volendole bene la si comprende. Parole che ieri, nella Giornata nazionale della colletta alimentare, mi sono tornate alla mente. Soprattutto nei riguardi di coloro che non hanno aderito alla Colletta del Banco alimentare. Troppo facile, per noi volontari di qualche ora, essere grati a chi lasciava il sacchetto giallo, più o meno pieno. Benestanti o modesti, giovani o vecchi, acculturati o ignoranti... tutti ci hanno commosso!

Ma mi ha incuriosito di più chi non ci è stato ieri, chi non ha aderito, soprattutto ho trovato divertente il modo con cui molti hanno liquidato la faccenda. E mi perdoneranno se ci scherzo su.
Allora, secondo me, negli anni, si sono affinati veri e propri format di scuse, di giustificazioni, anche se spesso non sono richieste. Schemi che si ripetono, come nella produzione televisiva. Innanzitutto c’è il format classico. “Scusate, sono qui, ma non per fare la spesa”, che ti fa venire voglia di replicare: ehi allora perché è venuto al supermarket? Spesso, non richiesti, i campioni di questo format offrono sotto spiegazioni. I maschi di solito scaricano sulle consorti. “Sono qui per cercare una cosa...”, a volte esplicito: “Raggiungo mia moglie che è già dentro”. A volte invece legato ad un mandato preciso: “Devo prendere solo il latte”, “A mia moglie mancava una cosa e mi ha mandato a prenderla...”. Un’altra sottoclasse è quella geografica. “Entro solo un attimo ma poi esco dall’altra parte...”. Boh, roba da navigatore Gps. Le donne invece preferiscono l’appello ai figli. “Ho i soldi contati per i pannolini”; “Mi piacerebbe molto ma sono di corsa”.

Alcuni invece sostengono di avere già offerto la loro quota. “È la terza volta che vengo oggi... stamattina ho dato tanto...”. Veramente siamo qui dalle otto di stamattina... E qui decolla il format specifico della beneficienza. In un solo pomeriggio in un singolo supermercato mi sono state citate benemerite istituzioni: Save the children, alcune parrocchie, persino le Nazioni Unite... Che ti viene voglia di dire: guardi nessuno la obbliga, lasci perdere che poi interviene il Consiglio di sicurezza, quello di New York...

Il tempo è denaro. Grande format quello della velocità... Uno che esce con quattro sacchetti: “Scusate, ma oggi proprio non ho avuto tempo... ci siete domani? No? Peccato”. L’altro popolarissimo: “Andavo di corsa, torno dopo con più calma e vi compro qualcosa...”. Culinario: “Ho la roba sul fuoco e i soldi contati in tasca...”. Un mondo frenetico visto che è sabato pomeriggio di una grande città.

Il format arrabbiato. Diffuso quanto è diffusa l’aggressività nel nostro mondo. In questo caso chi non dona pronuncia frasi dette con veemenza ma senza alcun senso: “I soldi li do, a chi li do io!”. Allusione a destinazioni ben più meritevoli... Fra di loro anche i benefattori che sono quasi offesi, se gli spieghi che cosa devono fare... “Io lo faccio ogni anno, eh!”, manco gli avessi dato dello spilorcio.

Il format della fuga. Poi ci sono quelli che proprio scappano, o aspettano addirittura che tu non li stai guardando per scaraventarsi dentro l’ingresso. Qui l’abilità massima è l’assoluta indifferenza, per cui dieci ragazzi con il pettorale giallo possono non essere visti... In alcuni casi c’è chi è persino caduto per evitare di dire qualcosa...

Il format religioso. È il migliore, perché quasi sempre finisce con una lezioncina di spiegazione o con un’esortazione a fare di più. Da quello cialtrone (“Ho fatto ieri il volontario proprio qui”, peccato che la colletta è un giorno solo...) a quello che coinvolge altri soggetti. “Vengo adesso dalla Caritas”, “Sono d’accordo con il parroco che io lo faccio domani...”, “Fate bene i pacchi...”, “Ma non sono poche le cose che avete raccolto per i bambini?”.

Seriamente, il volantino del Banco diceva giustamente che il povero è un uomo solo, e faceva appello alla necessità di ogni uomo di sentirsi amato. Le facce spesso chiuse e tristi di chi non donava, contrapposte alle facce liete di chi consegnava il sacchettino giallo, fanno riflettere: forse proprio costoro sono i poveri... Come nel Vangelo il ricco diventa il vero povero, la gratuità scalza il muro di indifferenza che regna nel benessere.
E allora anche questa è l’acqua, anche questi volti grigi e duri (solo una fortuna che mi è capitata non mi annovera oggi fra di loro) sono da amare ancora di più.


RUSSIA/ La "teologia del cuore" di Antonij Blum contro il nichilismo di Sartre (e nostro) Anna Smaina-Velikanova - lunedì 29 novembre 2010 – il sussidiario.net

Antonij Blum (1914-2003), metropolita e  figura di spicco nell’ortodossia russa del XX secolo, diceva che “la Chiesa è il ‘luogo’ attraverso cui anime vive si incontrano con il Dio vivo e in misura non minore si incontrano fra loro”. Parlando della Chiesa possiamo ripetere senza timore di sbagliare ciò che Pasternak dice della poesia: essa non è una forma, ma è parte stessa del contenuto, una sua piccola parte, interiore e misteriosa. Non è un contenitore, ma un luogo; non è il tempo di durata della liturgia o della regola di preghiera, ma una disposizione interiore; non delle norme di comportamento, ma la condizione dell’incontro; non delle forme esteriori, ma il significato che vi è sotteso.

Due drammaturghi e filosofi francesi hanno espresso quasi contemporaneamente in due celebri aforismi l’attuabilità e il senso della comunione (il metropolita Antonij li citava spesso entrambi). Sartre dice che l’inferno sono gli altri, e Gabriel Marcel afferma che dire all’altro “ti amo” significa dirgli “tu non morirai mai”. A questi giudizi diametralmente opposti sull’incontro se ne può aggiungere un altro, appartenente a Rozanov, cui pure fa riferimento il metropolita Antonij nelle sue riflessioni sull’incontro: l’uomo per l’altro è come un “pezzo di legno”. L’incontro fra le persone è dunque impossibile; oppure è inevitabile, ma come una maledizione; oppure, ancora, l’incontro è possibile ed è la condizione della vittoria sulla morte. Tutte queste posizioni sono già presenti nella Sacra Scrittura.

Il metropolita Antonij parla di incontro con l’uomo e con Dio, quasi come se fossero la stessa cosa: “Ogni incontro è un avvenimento di straordinaria importanza, e quello con Dio lo è in modo particolare”. Pur sottolineando la maggior intensità e radicalità del nostro incontro con Dio, equiparabile al Giudizio ultimo, non vede una differenza fondamentale fra questi due incontri. E la Chiesa è la condizione di questo duplice e insieme unico incontro. Questo perché l’incontro con Cristo è l’avvenimento originario. Incontrandosi con Cristo, l’uomo si incontra con se stesso e con gli altri. Invece, senza questo incontro, non è in grado di incontrare nessuno. Come nell’oscurità fisica: non solo non vediamo le persone o il mondo circostanti, ma non sappiamo se i nostri occhi sono aperti, se ci vediamo o no.

Ciascuno di noi, probabilmente, ricorda la sensazione di panico provata nell’infanzia, quando ci sembrava che il buio non fosse fuori, ma che noi fossimo accecati. Ed ecco che in questa oscurità (così il metropolita descrive l’incontro di Cristo con il cieco nato, Gv 9) si accende una luce, e la persona vede. La prima cosa che vede è lo sguardo di Cristo che la fissa. E solo dopo, con l’aiuto di Cristo, alla Sua luce, comincia a scorgere le altre persone - simili ad alberi che camminano (cfr. Mc 8,23). Il metropolita pone la domanda: dove avviene questo incontro?

L’incontro fra le persone avviene in Cristo. Dopo aver conosciuto Cristo, dopo aver imparato a distinguerne i lineamenti, l’uomo comincia a vedere una somiglianza con Lui o a vedere Lui stesso in coloro che prima non riusciva a vedere, o in cui vedeva delle belve o viceversa il proprio pasto - cioè, in definitiva, qualcosa da sfruttare o da cui difendersi. E il luogo di questo incontro - il metropolita Antonij lo attesta con fermezza, in termini tradizionali e inattesi al tempo stesso - è il cuore.

Tutti noi siamo stati creati nell’atto dell’incontro e abbiamo la medesima natura di esseri incontrati dal Creatore, cioè di creature. “Il Signore ha chiamato ogni creatura per nome, non c’è creatura che sia nata in maniera anonima, senza nome, come qualcosa di indefinito, ogni creatura per Dio ha un’esistenza personale”. Questo significa che noi siamo fatti per l’incontro. La nostra consustanzialità è un incontro potenziale, che nel corso della vita siamo chiamati a realizzare in modo tale che l’universo abitato non diventi un caos, ma un luogo di incontro, anzi l’incontro stesso con il creato.

Tuttavia, come sappiamo, l’uomo ha tradito la propria vocazione, e l’incontro con Dio nella storia si è tramutato per lui in condanna e separazione. Proprio per trasformare nuovamente questa separazione in incontro, avviene l’incarnazione del Figlio di Dio.
Alla luce di questa convinzione il metropolita Antonij legge il Vangelo. I racconti della vita di Gesù sono una storia d’amore, la storia di un incontro dell’amore. L’incontro con l’altro in Cristo si trasforma da urto casuale o fagocitazione in rapporto di amore e di comunione. In questo modo, tutto diventa passo o aspetto che ci introduce all’esperienza della Chiesa: tutto diventa luogo, contenuto o condizione dell’incontro, del fatto che Cristo è in mezzo a noi.


J’ACCUSE/ Quel grande inganno che ci fa buttare tutto, dal cibo ai bambini Carlo Bellieni - lunedì 29 novembre 2010 – il sussidiario.net

È notizia di questi giorni che dal prossimo gennaio 2011 i cibi rimasti integri e inutilizzati nelle mense delle scuole torinesi non rischieranno più di finire nei cassonetti dei rifiuti, ma verranno destinati a chi ha bisogno di un pasto caldo.

È quanto previsto dal progetto sperimentale di recupero pasti denominato “La pietanza non avanza - Gusta il giusto, dona il resto”, promosso e finanziato dall’assessorato all’Ambiente della Regione Piemonte, in collaborazione con la direzione regionale Sanità, il Comune di Torino, l’Associazione Banco Alimentare del Piemonte e la ditta Compass Group.

Quest’iniziativa accende una lampadina non solo sullo spreco in sé, ma su ben altro. Infatti viviamo in una civiltà dove le eccedenze sono innumerevoli e vanno perse in maniera moralmente colpevole. Anche recentemente allarmi sono stati lanciati verso la perdita di circa un 30% dei cibi che passano per le mense, supermercati o ristoranti, ma anche nelle nostre case. Ma buttar via cibo o oggetti di vario tipo non ci impressiona più, tranne se pensiamo che così “le risorse finiranno”, oppure che “non siamo all’avanguardia nel riciclo”.

Ma questa è una critica infantile: pensare a un’improbabile fine delle risorse è indice di paura e tutto il riciclo del mondo non arresterebbe lo sfascio. Un passo oltre lo fa l’iniziativa torinese, perché mette al centro del recupero le persone bisognose, e questo è importante perché ci apre a un altro punto eticamente grave: è l’idea che ormai siamo convinti che esistano delle cose “in sé” inutili.

L’inutilità delle cose è un’idea postmoderna, che non sa riconoscere l’utilità intrinseca di tutto e dunque la riparabilità, la riutilizzabilità, la scambiabilità e addirittura la preziosità di tutto, e si limita ad accettare quello che è “perfetto”. I nostri vecchi accomodavano anche i piatti rotti con colla e sottili fil di ferro; oggi la maggior parte delle cose che abbiamo in casa sappiamo bene che “non vale la pena” di accomodarle, perché è più economico comprarne di nuovi; e di conseguenza non si trova più chi accomoda scarpe, ombrelli, ma anche radio o computer appena un po’ datati.
Da dove nasce questa fobia, che è alla base dello spreco e che va a braccetto con la “religione del riciclaggio”, che colpevolizza il vecchietto che non butta la cartaccia nel sacco giusto ma non dice nulla degli imballaggi oscenamente ingombranti, dei gadget dei giornali fatti per essere buttati e mai letti? Sono oltre 134.000 le vecchie tv e i vecchi monitor raccolti e avviati al riciclo in Emilia Romagna finora nel 2010 (dati consorzio ReMedia), e sono tv funzionanti, ma che improvvisamente non servono più: si poteva comprare un decoder esterno; invece la gente se ne disfa e basta: perché?

Per l’incapacità di accettare una sfida: quella che “tutto è bene”, concetto donato al mondo dal cristianesimo e che ha portato il progresso di cui godiamo, perché ha insegnato che tutto si poteva conoscere senza paura, che tutto si poteva utilizzare. Invece oggi la cultura postmoderna dice che “è bene solo quello che mi serve”, e butta via tutto il resto, disfacendosi invece di cose preziose.

E, attenzione, questo vale non solo per le bucce delle pere che nessuno mangia più (e che farebbero invece tanto bene), ma vale anche per i rapporti umani, dove il marito che non va più bene per un motivo o un altro va cambiato, il nonno che disturba va invitato a capire che in fondo “non è giusto sentirsi un peso per gli altri” e avviarsi in silenzio a chiedere di morire, il bambino che non passa l’esame dell’analisi genetica prenatale non va fatto nascere.

Siamo nella prima società che genera rifiuti, cosa mai successa prima nella storia del mondo. E “rifiuto” non significa “spreco”, che sarebbe un valore alterato ma in un certo senso positivo se fosse una corsa all’utilizzo infrenabile e creativo; ma significa”fobia”, paura, diffidenza, che ci fa perdere il gusto (e i mille gusti) della vita. L’unica soluzione - e l’ottima iniziativa torinese è un segnale d’allarme per correre ai ripari più generali - è il rispetto, cioè la capacità e la grazia di guardare le cose intravedendo con la coda dell’occhio il Disegno mai insensato, di cui esse fanno parte, riscoprendo la preziosità di tutto.