mercoledì 30 giugno 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) OMELIA DEL PAPA PER I VESPRI DELLA FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO - ROMA, lunedì, 28 giugno 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questo lunedì sera da Benedetto XVI nel presiedere, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, la celebrazione dei Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
2) Il dolore del Papa - di Andrea Tornielli - Roma - © Copyright Il Tempo, 30 giugno 2010
3) Trascrizione parziale di "Racconti di un esorcista" condotta da Padre Gabriele Amorth su Radio Maria - Carlo Di Pietro – pontifex.roma.it
4) Intolleranza e discriminazione contro i cristiani. L'intervento di Massimo Introvigne in Kazakhstan - Conferenza diplomatica delll’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) - Astana, Kazakhstan, 29-30 giugno 2010
5) Avvenire.it, 30 Giugno 2010 - Benedetto XVI con Pietro e Paolo - Oltre lo smarrimento nel solco delle origini - Carlo Cardia
6) Un santo per Brooklyn? - Lorenzo Albacete - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
7) CROCIFISSO/ 1. Cesare Salvi: ecco perché l’Europa individualista non può darci lezioni di diritto - INT. Cesare Salvi – ilsussidiario.net - mercoledì 30 giugno 2010
8) CROCIFISSO/ 2. È la nostra Costituzione a "metterci al riparo" dalle Corti europee. Per ora - INT. Massimo Luciani - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
9) FINE VITA/ Così la lobby dell'eutanasia vince in Germania e tenta di condizionare l'italia - Paola Binetti - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
10) Avvenire.it, 30 giugno 2010 - La chiesa che soffre - Orissa, violenze sui cristiani - Prima condanna «politica» - Stefano Vecchia
11) Unioni civili, è polemica dopo lo strappo di Torino - Sì a un regolamento per le coppie di fatto «Ma solo le Camere possono legiferare» - DA TORINO ALEX VITTONE – Avvenire, 30 giugno 2010


OMELIA DEL PAPA PER I VESPRI DELLA FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO - ROMA, lunedì, 28 giugno 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questo lunedì sera da Benedetto XVI nel presiedere, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, la celebrazione dei Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Per l'occasione era presente la Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, inviata da S.S. Bartolomeo I e composta da: Gennadios (Limouris), Metropolita di Sassima; Bartholomaios (Ioannis Kessidis), Vescovo di Arianzós, Assistente del Metropolita di Germania; Theodoros Meimaris, diacono della Sede patriarcale del Fanar.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Con la celebrazione dei Primi Vespri entriamo nella solennità dei Santi Pietro e Paolo. Abbiamo la grazia di farlo nella Basilica Papale intitolata all’Apostolo delle genti, raccolti in preghiera presso la sua Tomba. Per questo, desidero orientare la mia breve riflessione nella prospettiva della vocazione missionaria della Chiesa. In questa direzione vanno la terza antifona della salmodia che abbiamo pregato e la Lettura biblica. Le prime due antifone sono dedicate a san Pietro, la terza a san Paolo e dice: “Tu sei il messaggero di Dio, Paolo apostolo santo: hai annunziato la verità nel mondo intero”. E nella Lettura breve, tratta dall’indirizzo iniziale della Lettera ai Romani, Paolo si presenta come “apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio” (Rm 1,1) La figura di Paolo – la sua persona e il suo ministero, tutta la sua esistenza e il suo duro lavoro per il Regno di Dio – sono completamente dedicati al servizio del Vangelo. In questi testi si avverte un senso di movimento, dove protagonista non è l’uomo, ma Dio, il soffio dello Spirito Santo, che spinge l’Apostolo sulle strade del mondo per portare a tutti la Buona Notizia: le promesse dei profeti si sono compiute in Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione. Saulo non c’è più, c’è Paolo, anzi, c’è Cristo che vive in lui (cfr Gal 2,20) e vuole raggiungere tutti gli uomini. Se dunque la festa dei Santi Patroni di Roma evoca la duplice tensione tipica di questa Chiesa, all’unità e all’universalità, il contesto in cui ci troviamo stasera ci chiama a privilegiare la seconda, lasciandoci, per così dire, “trascinare” da san Paolo e dalla sua straordinaria vocazione.
Il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, quando fu eletto Successore di Pietro, nel pieno svolgimento del Concilio Vaticano II, scelse di portare il nome dell’Apostolo delle genti. All’interno del suo programma di attuazione del Concilio, Paolo VI convocò nel 1974 l’Assemblea del Sinodo dei Vescovi sul tema dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, e circa un anno dopo pubblicò l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, che si apre con queste parole: “L’impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo, animati dalla speranza ma, parimenti, spesso travagliati dalla paura e dall’angoscia, è senza alcun dubbio un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità” (n. 1). Colpisce l’attualità di queste espressioni. Si percepisce in esse tutta la particolare sensibilità missionaria di Paolo VI e, attraverso la sua voce, il grande anelito conciliare all’evangelizzazione del mondo contemporaneo, anelito che culmina nel Decreto Ad gentes, ma che permea tutti i documenti del Vaticano II e che, prima ancora, animava i pensieri e il lavoro dei Padri conciliari, convenuti a rappresentare in modo mai prima così tangibile la diffusione mondiale raggiunta dalla Chiesa.
Non servono parole per spiegare come il Venerabile Giovanni Paolo II, nel suo lungo pontificato, abbia sviluppato questa proiezione missionaria, che – va sempre ricordato – risponde alla natura stessa della Chiesa, la quale, con san Paolo, può e deve sempre ripetere: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9,16). Il Papa Giovanni Paolo II ha rappresentato “al vivo” la natura missionaria della Chiesa, con i viaggi apostolici e con l’insistenza del suo Magistero sull’urgenza di una “nuova evangelizzazione”: “nuova” non nei contenuti, ma nello slancio interiore, aperto alla grazia dello Spirito Santo che costituisce la forza della legge nuova del Vangelo e che sempre rinnova la Chiesa; “nuova” nella ricerca di modalità che corrispondano alla forza dello Spirito Santo e siano adeguate ai tempi e alle situazioni; “nuova” perché necessaria anche in Paesi che hanno già ricevuto l’annuncio del Vangelo. E’ a tutti evidente che il mio Predecessore ha dato un impulso straordinario alla missione della Chiesa, non solo – ripeto – per le distanze da lui percorse, ma soprattutto per il genuino spirito missionario che lo animava e che ci ha lasciato in eredità all’alba del terzo millennio.
Raccogliendo questa eredità, ho potuto affermare, all’inizio del mio ministero petrino, che la Chiesa è giovane, aperta al futuro. E lo ripeto oggi, vicino al sepolcro di san Paolo: la Chiesa è nel mondo un’immensa forza rinnovatrice, non certo per le sue forze, ma per la forza del Vangelo, in cui soffia lo Spirito Santo di Dio, il Dio creatore e redentore del mondo. Le sfide dell’epoca attuale sono certamente al di sopra delle capacità umane: lo sono le sfide storiche e sociali, e a maggior ragione quelle spirituali. Sembra a volte a noi Pastori della Chiesa di rivivere l’esperienza degli Apostoli, quando migliaia di persone bisognose seguivano Gesù, ed Egli domandava: che cosa possiamo fare per tutta questa gente? Essi allora sperimentavano la loro impotenza. Ma proprio Gesù aveva loro dimostrato che con la fede in Dio nulla è impossibile, e che pochi pani e pesci, benedetti e condivisi, potevano sfamare tutti. Ma non c’era – e non c’è – solo la fame di cibo materiale: c’è una fame più profonda, che solo Dio può saziare. Anche l’uomo del terzo millennio desidera una vita autentica e piena, ha bisogno di verità, di libertà profonda, di amore gratuito. Anche nei deserti del mondo secolarizzato, l’anima dell’uomo ha sete di Dio, del Dio vivente. Per questo Giovanni Paolo II ha scritto: “La missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento”, e ha aggiunto: “uno sguardo d’insieme all’umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio” (Enc. Redemptoris missio, 1). Vi sono regioni del mondo che ancora attendono una prima evangelizzazione; altre che l’hanno ricevuta, ma necessitano di un lavoro più approfondito; altre ancora in cui il Vangelo ha messo da lungo tempo radici, dando luogo ad una vera tradizione cristiana, ma dove negli ultimi secoli – con dinamiche complesse – il processo di secolarizzazione ha prodotto una grave crisi del senso della fede cristiana e dell’appartenenza alla Chiesa.
In questa prospettiva, ho deciso di creare un nuovo Organismo, nella forma di “Pontificio Consiglio”, con il compito precipuo di promuovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di “eclissi del senso di Dio”, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo.
Cari fratelli e sorelle, la sfida della nuova evangelizzazione interpella la Chiesa universale, e ci chiede anche di proseguire con impegno la ricerca della piena unità tra i cristiani. Un eloquente segno di speranza in tal senso è la consuetudine delle visite reciproche tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli in occasione delle feste dei rispettivi Santi Patroni. Per questo accogliamo oggi con rinnovata gioia e riconoscenza la Delegazione inviata dal Patriarca Bartolomeo I, al quale indirizziamo il saluto più cordiale. L’intercessione dei santi Pietro e Paolo ottenga alla Chiesa intera fede ardente e coraggio apostolico, per annunciare al mondo la verità di cui tutti abbiamo bisogno, la verità che è Dio, origine e fine dell’universo e della storia, Padre misericordioso e fedele, speranza di vita eterna. Amen.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


Il dolore del Papa - di Andrea Tornielli - Roma - © Copyright Il Tempo, 30 giugno 2010
Le persecuzioni contro la Chiesa «non costituiscono il pericolo più grave», perché il «danno maggiore» essa lo subisce «da ciò che inquina la fede» e la vita cristiana dei suoi membri. Benedetto XVI, rivestito dei paramenti rossi, presiede in San Pietro la messa per la festa dei santi Pietro e Paolo, patroni di Roma imponendo il pallio a 38 arcivescovi freschi di nomina, e nell’omelia ripete quanto aveva detto il mese scorso sull’aereo che lo stava conducendo in Portogallo. La Chiesa è sì sotto attacco, ma il pericolo maggiore, l’insidia più grave, non arriva dall’esterno, bensì dal suo interno.
«In effetti - ha detto Papa Ratzinger - se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che - come aveva preannunciato il Signore Gesù - non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni».
Queste, però, «malgrado le sofferenze che provocano - ha aggiunto Benedetto XVI - non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto».
Il Papa ha quindi citato la seconda lettera di Paolo a Timoteo, che parla dei pericoli degli «ultimi tempi», identificandoli «con atteggiamenti negativi che appartengono al mondo e che possono contagiare la comunità cristiana: egoismo, vanità, orgoglio, attaccamento al denaro». Ma la conclusione è rassicurante, perché «gli uomini che operano il male non andranno molto lontano» e dunque c’è «una garanzia di libertà assicurata da Dio alla Chiesa, libertà sia dai lacci materiali che cercano di impedirne o coartarne la missione, sia dai mali spirituali e morali, che possono intaccarne l’autenticità e la credibilità».
Benedetto XVI ha quindi sottolineato come proprio l’unità dei vescovi attorno al Papa sia garanzia di libertà per la Chiesa. Sul piano storico, l’unione con la Santa Sede «assicura alle Chiese particolari e alle conferenze episcopali la libertà rispetto a poteri locali, nazionali o sovranazionali, che possono in certi casi ostacolare la missione della Chiesa». Inoltre, e più in profondità, il servizio di Pietro «è garanzia di libertà nel senso della piena adesione alla verità, all’autentica tradizione, così che il popolo di Dio sia preservato da errori concernenti la fede e la morale». Questo, ha concluso il Papa, appare evidente «nel caso di Chiese segnate da persecuzioni, oppure sottoposte a ingerenze politiche o ad altre dure prove. Ma ciò non è meno rilevante nel caso di comunità che patiscono l’influenza di dottrine fuorvianti, o di tendenze ideologiche e pratiche contrarie al Vangelo». Tra gli arcivescovi che hanno ricevuto il pallio, la striscia di lana ornata da croci che indica lo stretto legame con la sede romana, c’era anche André-Mutien Leonard, il nuovo primate della Chiesa belga, sottoposta nei giorni scorsi alle perquisizioni della polizia. Quattro gli italiani: Gualtiero Bassetti (Perugia), Andrea Mazzocato (Udine), Antonio Lanfranchi (Modena) e Luigi Moretti (Salerno).
Tra oggi e domani il Papa renderà note alcune importante nomine. Quella dell’arcivescovo Rino Fisichella, che diventerà presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, un dicastero creato ad hoc per rinvigorire la fede nei Paesi un tempo cristiani e oggi secolarizzati. Quindi sarà annunciato il nome del successore del cardinale Giovanni Battista Re alla guida della Congregazione dei vescovi: come anticipato dal Giornale due settimane fa l’importante incarico sarà assunto dal cardinale canadese Marc Ouellet . Mentre al posto del cardinale Walter Kasper quale «ministro» per i rapporti con le altre confessioni cristiane sarà chiamato a Roma il vescovo svizzero Kurt Koch.
© Copyright Il Tempo, 30 giugno 2010


Trascrizione parziale di "Racconti di un esorcista" condotta da Padre Gabriele Amorth su Radio Maria - Carlo Di Pietro – pontifex.roma.it
Quali sono gli effetti dell'esorcismo. Se le persone avevano delle negatività, anche se questi si manifestassero nel corso dell'esorcismo, generalmente si hanno immediati vantaggi. Generalmente si tiene poco conto del primo esorcismo. Sono possibili dei malesseri dei benesseri dopo il primo esorcismo. E' molto importante tener conto: 1) delle reazioni durante l'esorcismo, 2) degli effetti che l'esorcismo procura; 3) come si evolvono le situazioni. In qualche caso uno sta male dopo l'esorcismo, uno sta peggio, generalmente dura qualche giorno poi passa. In genere se ci sono delle negatività dopo l'esorcismo uno ne sente un effetto benefico di poca durata. Normalemente se ci sono delle presenze malefiche o delle influenze malefiche. Le presenze malefiche sono più rare, le influenze malefiche sono più presenti, di esorcismi ce ne vuole in genere una lunga serie. Quando c'è la possessione occorrono anni di esorcismi per riuscire ...

... ad arrivare alla liberazione. Il perché non ve lo so dire, so solo che quando Gesù esorcizza nel Vangelo liberava subito, quando leggiamo di esorcismi operati da santi vediamo come liberavano subito. Lì c'era una grazia particolare che il Signore da per premiare la santità della persona che fa esorcismi. Santa Caterina da Siena ad esempio. Una volta però mi risulta che anche lei ebbe bisogno di due esorcismi per liberare una ragazza che era stata posseduta dal demonio , un primo esorcismo non era stato sufficiente. In genere i casi che si leggono nella storia dei santi, e sono tanti i santi che hanno operato liberazioni senza essere esorcisti, adoperando semplici preghiere di liberazione.

Questo è stato un premio per la loro santità- Noi esorcisti, persone comune abbiamo da fare una serie molto volte lunga di esorcismi, e questa è una cosa generale. Tant'è vero che Sant'Alfonso dice una frase che amo ripetere spesso perché ne tocco con mano la verità: "non sempre con gli esorcismi si riesce ad ottenere la liberazione, sempre si riesce a procurare dei vantaggi alla persona" che sta meglio, che nonostante non sia stata liberata del tutto, può avere una vita normale e svolgere attività comuni.


Il fatto che non sempre si arrivi alla liberazione significa che in questi casi bisogna sempre continuare a fare esorcismi con un ritmo rallentato dato che la persona comincia ad ottenere dei benefici, dunque se prima la persona in questione veniva esorcizzata settimanalmente o quotidianamente potrà essere esorcizzata mensilmente oppure ogni due/tre mesi e se i miglioramenti sono grandi tanto che la persona non si sente più disturbata, se non saltuariamente, ecco che non c'è la liberazione totale, ma la liberazione dal più c'è stata ed ecco che gli esorcismi possono essere effettuati con un ritmo più lento.

E' bene osservare nel corso delle varie benedizioni qual è il comportamento durante l'esorcismo (se ci sono delle varianti). E' possibile che il male si manifesti tutto subito, è possibile che si manifesti poco per volta con un' accrescimento di reazioni da un esorcismo all'altro. Quando il male è affiorato completamente poi comincia a regredire.

Ad esempio, un giovane al primo esorcismo aveva delle reazioni abbastanza tenue, tanto che pensai, qui me la cavo con pochi esorcismi a liberare questa persona, poi invece al secondo esorcismo è esploso con una violenza tale che non procedevo con l'esorcismo se non c'erano quattro persone robuste a tenerlo strettamente. Nonostante la forza di questa possessione sono bastati sei mesi per arrivare alla liberazione totale. Proprio un caso che ricordo bene per la sua violenza e brevità Poiché in casi simili occorrono degli anni di esorcismi.

Per una buona riuscita dell'esorcismo è fondamentale la collaborazione del paziente. Sono solito dire che l'esorcista fa il 10%, il 90% ce lo deve mettere la persona, con la preghiera, con i sacramenti, con una vita conforme al Vangelo, facendo pregare altri (efficacissima è la preghiera in famiglia) o comunità parrocchiali o comunità religiose o gruppi di preghiera. Molto utili i pellegrinaggi. Molto spesso le liberazioni non avvengono alla fine della preghiera di esorcismo, ma proprio durante i pellegrinaggi. Il mio compianto maestro di esorcismi, p. Candido era devoto di Loreto e Lourdes perché molti pazienti si liberarono in questi luoghi santi. Ci si può liberare anche in casa propria. Quel giovane di cui dicevo prima, che si dimenava con tanta furia durante gli esorcismi e che impiegò così poco tempo per essere liberato (6 mesi) era un contadino, si è liberato mentre lavorava nei campi. Ad un c erto momento si è sentito liberato. Tutte le sofferenze che aveva, i dolori che aveva sono scomparsi, si sentiva libero, sereno. Ho continuato ad esorcizzarlo poiché ho paura delle liberazioni improvvise, o meglio delle liberazioni provvisorie, liberazioni che sono trucchi del demonio che ha la speranza ritirandosi che la persona cessi di avere un ritmo di vita veramente cristiano. Tuttavia in genere quando c'è stata un liberazione provvisoria è sempre più facile arrivare ad una liberazione completa. Sono utili le opere di carità.

Ho avuto anche casi di persone che si sono liberate da sole con la preghiera e con il digiuno, come in quell'episodio che leggiamo nel Vangelo del giovane ai piedi del Tabor che gli apostoli, nove apostoli, non riescono a liberare. Quando chiedono a Gesù perché non ci siano riusciti, Egli risponde "Certi generi di demoni si cacciano solo con la preghiera e con il digiuno". Quasi a dire in questi casi l'esorcismo non ha potere. Si tratta di tari casi, ma possibili.

E' necessario rimuovere gli ostacoli che possono esserci. Se uno vive con in stato di peccato allora qui è logico. Mettiamo che uno convive, che non ha una vita di coppia regolare. Qui bisogna necessariamente regolarizzare le cose, perché non è possibile liberare una persona che viva in uno stato di peccato, di lontananza da Dio, un'altra condizione che noi esorcisti abbiamo trovato è il perdono di cuore, che non ci sia rancore. Insisto su quel perdono che ci dice il Vangelo: "perdonare i propri nemici". Nel caso di mali di carattere malefico i nemici sono quelle persone che hanno fatto il maleficio, che sono state la causa di questo male. Perdonarli di cuore, magari anche pregare per loro, non provare nessun risentimento, anche se sono delle persone che continuano a fare del male. Non avere rancore verso queste persone.

Tra gli effetti dell'esorcismo dobbiamo mettere la guarigione di certi mali che sono stati curati dai medici senza alcun effetto, poiché il demonio ha il potere di dare delle malattie. Nel Vangelo abbiamo l'esempio di quella donna curva (forse una deformazione alla spina dorsale), Gesù la guarisce liberandola dal demonio. Agli occhi della gente è un male fisico, ed invece Gesù ha visto che era causato dal demonio. Gesù aveva guarito un sordomuto posseduto da un demonio. Il Vangelo è molto preciso nel distinguere i malati dagli indemoniati. Quando Gesù guarisce da una malattia o quando guarisce da un demonio, ma è anche possibile che la liberazione da un demonio comporti anche una guarigione da un mali che sembravano mali di carattere naturale.
Carlo Di Pietro


Intolleranza e discriminazione contro i cristiani. L'intervento di Massimo Introvigne in Kazakhstan - Conferenza diplomatica delll’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) - Astana, Kazakhstan, 29-30 giugno 2010
Relazione introduttiva
L’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani, come contro i membri di altre religioni, possono verificarsi quando la libertà religiosa o non è garantita oppure è travisata. Le mie osservazioni si fondano sulla convinzione che la dottrina sociale della Chiesa, e in particolare i documenti più recenti di Papa Benedetto XVI – che partono da argomenti di ragione e non solo di fede –, possono essere d’interesse generale, anche per I non cristiani e i non credenti, e offrire un aiuto a tutti.
I principi della libertà religiosa sono in genere affermati dale costituzioni e dalle leggi degli Stati membri dell’OSCE. Rimangono tuttavia tre possibili aree di equivoco.

La prima riguarda lo statuto della libertà religiosa. La libertà di religione non è solo uno fra I tanti elementi di una lunga lista di diritti e di libertà. È la pietra angolare di una vita sociale in cui le altre libertà possono fiorire. Parlando a Washington il 17 aprile 2008 Benedetto XVI ha citato un pensatore francese, non credente, Alexis de Tocqueville (1805-1859), il quale insegnava che «la religione e la libertà sono “intimamente legate” nel contribuire a una democrazia stabile». Quando la libertà religiosa è considerate un diritto minore, o secondario rispetto ad alltri, la libertà in generale non può essere veramente garantita.

La seconda concerne l’estensione della libertà religiosa. L’Instrumentum laboris della prossima Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi cita il fatto che in alcuni Paesi «libertà di religione vuol dire solitamente libertà di culto. Non si tratta dunque di libertà di coscienza, cioè della libertà di credere o non credere, di praticare una religione da soli o in pubblico senza alcun impedimento, e dunque della libertà di cambiare religione. […] Cambiare religione è ritenuto un tradimento verso la società, la cultura e la Nazione costruita principalmente su una tradizione religiosa». Al contrario, una vera libertà religiosa deve comprendere la libertà di predicare, di convertire e di convertirsi.
In terzo luogo, in alcuni Paesi la libertà di religione è considerata da alcuni con sospetto, come se inplicasse necessariamente il relativismo e la negazione dell’eredità spirituale nazionale. La Chiesa Cattolica ha dovuto affrontare lo stesso problema quando si è trovata di fronte ai problemi d’interpretazione della dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae del Concilio Ecumenico Vaticano II. Alcuni, anche all’interno della Chiesa, temevano che la proclamazione della libertà religiosa potesse promuovere il relativismo e l’indifferentismo. Ma in realtà, come Papa Benedetto XVI ha ripetutamente mostrato, la libertà religiosa e una ferma difesa della propria identità religiosa contro il relativismo possono e devono coesistere. La libertà religiosa è relativa all’immunità individuale e collettiva dei credenti da ogni coercizione dello Stato laico moderno nel momento della formazione e dell’annuncio della propria esperienza religiosa. Non implica invece che il credente non abbia il diritto e il dovere di esercitare un «adeguato discernimento» tra le diverse proposte religiose, come il Papa ha sottolineato nella sua enciclica del 2009 Caritas in veritate: «La libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali» (n. 55).

Con riferimento alla città sede dell’OSCE, possiamo dire che questi tre equivoci creano problemi sia a Est di Vienna sia a Ovest di Vienna. A Est di Vienna, I problemi circa l’estensione della libertà religiosa e il timore che la libertà di religione in senso occidentale possa indurre relativismo e un tradimento delle culture tradizionali può generare forme normative che danneggiano le Chiese e le comunità cristiane. Tra queste ci sono il rifiuto della registrazione legale e dell’esenzione fiscale, e il rifiuto di concedere visti ai missionari o licenze per costruire edifici di culto. In alcuni Paesi una virulenta propaganda anti-cristiana ha portato a una diffusa violenza.

A Ovest di Vienna troppo spesso assistiamo alla marginalizzazione dei cristiani, i cui diritti di partecipare pienamente al dialogo sociale annunciando la loro fede sono limitati in nome del laicismo. Parlando alle Nazioni Unite a New York il 18 aprile 2008 Benedetto XVI ha affermato che «è inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente [...]. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale». La causa di questi problemi sembra essere il primo dei tre equivoci che ho citato. La libertà religiosa è considerata solo come uno fra tanti diversi diritti, e la sua importanza cruciale è sistematicamente sottovalutata. E il problema diventa peggiore quando tra i diritti che s’invocano per limitare la libertà religiosa ci sono – secondo l’espressione della Caritas in veritate – «presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario», e perfino «diritti» «addirittura alla trasgressione e al vizio» (n. 42). Il riconoscimento dei diritti delle minoranze religiose è certo uno sviluppo importante dei sistemi giuridici moderni. Ma I diritti delle minoranze non devono essere usati per negare i diritti delle maggioranze. Anche le maggioranze hanno i loro diritti. I cristiani, dove sono maggioranza culturale, sono oggi nel mirino di quanti pensano che la migliore società possible debba essere completamente secolarizzata e non religiosa.

Il tempo mi permette di citare solo due esempi. Il primo riguarda un numero ormai ampio d’incidenti in Europa dove predicatori cristiani, compresi predicatori di strada, e istituzioni ecclesiali sono stati incriminati o citati in giudizio per avere criticato stili di vita e atteggiamenti relativi alla sessualità che considerano peccaminosi. Alcuini genitori sono stati multati o incriminati per avere rifiutato di mandare I loro figli a cosiddetti corsi anti-discriminazione che, a loro avviso, promuovono stili di vita che non approvano. In quest’area, come in altre, come minimo dev’essere sempre riconosciuto un ampio diritto all’obiezione di coscienza. Le proposte di legge che intendono punire come incitamento all’odio la critica religiosa di stili di vita alternativi sono percepite da molte Chiese e comunità cristiane come una seria minaccia alla loro libertà di predicazione.

Il secondo esempio riguarda la sentenza del 2009 Lautsi c. Italia, con cui la Corte Europea dei Diritti Umani ha deciso che la presenza di crocefissi nelle scuole pubbliche italiane viola i diritti dei non credenti e degli alunni che in Italia, un Paese a larga maggioranza cattolico, appartengono a minoranze religiose. Il caso è riesaminato dalla Camera Superiore della Corte Europea dei Diritti Umani il 30 giugno. I sondaggi hanno confermato che un’ampia maggioranza degli italiani (82%: cfr. Franco Garelli - Gustavo Guizzardi - Enzo Pace [a cura di], Un singolare pluralismo: Indagine sul pluralismo morale e religioso degli italiani, il Mulino, Bologna 2003, pp. 146-147) – compresa una solida maggioranza degli italiani che non sono cattolici praticanti – è favorevole a mantenere nelle scuole il crocefisso, un simbolo della più alta forma di amore oltre che dell’identità e della storia nazionale particolarmente amato in Italia. Questo sembra un caso particolarmente chiaro dove i diritti di un’ampia maggioranza sono ignorati in nome dei diritti di una minoranza, o dell’opinione di un numero molto limitato di militanti del laicismo.

Ci sono naturalmente molti altri esempi di discriminazione contro I cirstiani, sia a Ovest di Vienna sia a Est di Vienna. Ma credo che questi casi siano sufficienti a confermare che quello dell’intolleranza e della discriminazione contro i cristiani è un problema molto grave, che merita la più grande attenzione di questo autorevole consesso.


Avvenire.it, 30 Giugno 2010 - Benedetto XVI con Pietro e Paolo - Oltre lo smarrimento nel solco delle origini - Carlo Cardia
Pietro e Paolo rappresentano per ogni cristiano le radici apostoliche della Chiesa, le fonti cui ricorrere ogni volta che si sente il bisogno di rinnovare la fede e agire nel mondo. Scelti direttamente da Gesù per guidare la Chiesa nella storia, e diffondere il Vangelo tra le genti, i due massimi apostoli hanno parlato ai cristiani di ogni epoca con un linguaggio sempre eguale e sempre nuovo. L’opera di Paolo tra i popoli dell’impero ha evitato la chiusura del cristianesimo nell’alveo ebraico che ha preparato l’incarnazione di Gesù, e ha compiuto qualcosa che forse vale più di tanti miracoli, perché ha portato il Vangelo tra i pagani greci e romani. Per fare ciò non ha avuto paura di nulla, ha parlato lo stesso linguaggio spirituale, ma ricco di tante sfumature, dando al cristianesimo un’impronta universale irreversibile. Ma Paolo ha anche parlato delle colpe di alcuni cristiani, ha sofferto persecuzioni, martirio, ha scritto parole rimaste a fondamento della cultura cristiana di tutti tempi.

Oggi, di nuovo, i cristiani non devono aver paura di nulla quando da più parti le persecuzioni di sangue, o mediatiche, si ripresentano, colpiscono, possono provocare incertezza, ma anche rafforzare la fede. Sembra che contro la Chiesa oggi tutto sia possibile. Ma proprio in questo momento i cristiani, mentre operano per la giustizia, hanno nel cuore e nella mente le parole di Paolo sulla carità, la quale «è paziente, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (I Cor., 13, 4-7). Se guardiamo alle sofferenze della Chiesa di oggi, avvertiamo che le parole dell’Apostolo hanno lo stesso significato di quando furono pronunciate.

Se Paolo ha animato il cristianesimo con la parola che illuminava la fede, Pietro ha guidato la Chiesa dandole identità e unità. Ha compreso il carisma di Paolo, ne ha accolto lo spirito universalista, ha guidato gli apostoli nel fare le scelte fondamentali per la Chiesa delle origini, ha portato il suo ministero nel cuore dell’impero perché di lì, insieme a Paolo, il cristianesimo potesse espandersi in tutto il mondo. Anche Pietro ricorda ai cristiani che essi saranno "per un po’ di tempo affitti da varie prove", ma che il valore della loro fede si proverà col fuoco (I Pietro, 1, 6), e li invita a comportarsi «come uomini liberi, non servendosi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio» (2, 16). E ancora, «se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi!» perché «è meglio, se così Dio vuole, soffrire operando il bene piuttosto che fare il male» (3, 13-17). I due Apostoli invitano i cristiani a saper conciliare la carità con la sofferenza per la giustizia, perché sono due aspetti dello stesso impegno.

La Chiesa di oggi è piena di domande, perché il male si è insinuato in qualche sua parte, e a volte sembra accerchiarla dal di fuori. Né si può nascondere che esiste un certo smarrimento per una Chiesa sotto assedio, pressata con metodi che non distinguono tra ricerca della giustizia e vere e proprie intimidazioni. Si tratta di uno smarrimento comprensibile, ma che deve cedere il passo alla fiducia e alla speranza, partendo da una riflessione. La funzione di guida, svolta costantemente da Benedetto XVI, racchiude in sé il magistero di Pietro e di Paolo, dà risposta a queste domande, conferma nella fede che deve saper abbracciare tutto e tutti. Il Pontefice, assolvendo al ruolo unificante che da sempre Pietro e i suoi successori hanno avuto verso i cristiani, ha eliminato gli equivoci che si erano presentati allo scoppiare dello "scandalo della pedofilia", chiamando il male con il suo nome, ha saputo trovare le parole più adatte per le vittime dei soprusi e il pentimento dei colpevoli, ricordando che il perdono non esclude la giustizia.

Benedetto XVI guida la Chiesa anche contro le persecuzioni che si fanno più esplicite, conferma la missione degli apostoli che hanno portato la fede cristiana a Roma, assicura i fedeli che le sofferenze di oggi possono preparare i frutti spirituali di domani. E la Chiesa intera si raccoglie attorno al Papa riconoscendosi nel suo magistero che supera le difficoltà del presente con gli occhi della fede e con lo sguardo rivolto a quella storia cristiana che ha cambiato il mondo dando all’uomo un orizzonte spirituale che non ha eguali.
Carlo Cardia


Un santo per Brooklyn? - Lorenzo Albacete - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
Al momento in cui scrivo (28 giugno) questi sono i fatti come mi risultano: la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato oggi di esprimersi sul fatto se il Vaticano goda dell’immunità legale nei casi di abusi sessuali sui minori compiuti da preti negli USA. Il caso che la Corte si è rifiutata di prendere in considerazione ha inizio nel 2002, quando un anonimo querelante dello stato dell’Oregon intentò causa al Vaticano per Andrew Ronan, un prete irlandese con alle spalle una storia di abusi sessuali su minori.
Secondo l’accusa, Ronan cominciò ad abusare di ragazzi a metà degli anni 50 quando era prete nell’arcidiocesi di Armagh, in Irlanda. Trasferito a Chicago, ha ammesso di aver compiuto abusi su tre ragazzi della St. Philip’s High School. A metà degli anni 60 fu trasferito alla St. Albert’s Church di Portland, nell’Oregon, dove fu accusato di abusi dalla persona che ha poi intentato causa al Vaticano. Ronan è morto nel 1992.
La posizione assunta all’epoca dall’avvocato del Vaticano fu che non era stata portata alcuna prova che fosse stato il Vaticano a trasferire il sacerdote, né che avesse qualche controllo sul suo operato. Inoltre, anche molti vescovi americani hanno dichiarato che la responsabilità per i preti è del vescovo locale, non del Vaticano. Il caso alla fine è approdato alla Corte di appello di Sacramento, in California, alla cui giurisdizione appartiene anche l’Oregon, che ha ammesso la richiesta dell’accusa.
L’avvocato del Vaticano aveva anche opposto l’immunità di cui gode il Vaticano come Stato straniero (riconosciuto come tale dagli Stati Uniti nel 1984), in base al Foreign Sovereign Immunities Act del 1976, che protegge gli Stati esteri dall’essere giudicati nei tribunali degli Stati Uniti. Tuttavia, questa legge prevede eccezioni e a queste si riferisce la Corte di appello, prospettando un diretto collegamento tra Ronan e il Vaticano, di cui il prete può essere considerato un dipendente secondo la legge dell’Oregon. Su questa decisione l’avvocato del Vaticano ha interpellato la Corte Suprema, che però, come si è visto, ha deciso di non prendere in considerazione il caso, lasciando così operante la decisione della Corte di appello in favore della richiesta del querelante.
L’Amministrazione Obama aveva sostenuto la posizione del Vaticano, affermando che la Corte di Appello sbagliava nel considerare tra le eccezioni alla legge sull’immunità degli Stati esteri anche gli abusi sessuali commessi da un prete. I legali dell’Amministrazione hanno però anche dichiarato che “al momento” non vi erano gli estremi per una decisione della Corte Suprema.


Francamente, non ho personalmente informazioni sufficienti per un giudizio preciso su questo caso. Ovviamente, la decisione della Corte Suprema avrà riflessi anche su altri casi simili negli USA, come quello in corso a Louisville, nel Kentucky, in cui si sostiene che il Vaticano è responsabile per quei vescovi che non riuscirono ad impedire gli abusi dei preti. Non essendo un avvocato non so dire quanto sia stato saggio affidarsi così tanto alla legge sull’immunità degli Stati stranieri.
Mi vengono in mente i casi in cui la Chiesa ha contestato le ordinanze di rimozione dei crocefissi affermando che si trattava di simboli culturali, piuttosto che simboli della fede della Chiesa, appellandosi così al diritto alla libertà religiosa protetto costituzionalmente dallo Stato.
La decisone della Corte è stata presa nello stesso giorno in cui iniziavano le audizioni sulla candidatura di Elena Kagan alla Corte Suprema. Se la candidatura venisse approvata, la Corte risulterebbe composta da sei cattolici e tre ebrei, una situazione analizzata in modo interessante su The New York Times in un articolo dal titolo: “ Il trionfante declino dei WASP (White Anglo-Saxon Protestant).” Quello che è interessante non è che questa significativa maggioranza cattolica possa portare a decisioni diverse da quelle prese finora, ma il fatto che ciò non avverrà.
Intanto questa settimana è stato annunciato l’inizio del processo di beatificazione di un prete di Brooklyn. “Un santo per Brooklyn?,” si è chiesto il New York Times. Aveva ragione T.S. Eliot: “La Chiesa deve sempre costruire, perché è sempre in decadenza al suo interno e sotto attacco dall’esterno.”


CROCIFISSO/ 1. Cesare Salvi: ecco perché l’Europa individualista non può darci lezioni di diritto - INT. Cesare Salvi – ilsussidiario.net - mercoledì 30 giugno 2010
Oggi c’è l’udienza della Grande Chambre della Corte europea dei diritti sul ricorso presentato dall’Italia, e da molti stati europei, contro la sentenza di novembre scorso che ha vietato l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Cesare Salvi, giurista, uomo di sinistra, ex vicepresidente del Senato, ha però molte riserve. Sul metodo e sul merito.
Professore, può una corte internazionale, ispirandosi alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, prevalere sul nostro ordinamento?
In linea di principio le corti sovranazionali hanno il compito di individuare eventuali lacune e limiti esistenti negli ordinamenti nazionali, però in questi anni assistiamo a una tendenza sia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, sia della Corte europea di giustizia ad esorbitare dai propri compiti. La Corte dei diritti per esempio ha esteso molto i confini e gli ambiti del suo intervento, ma questo crea dei problemi perché non si tratta di un organismo che nasce già con una sua legittimazione nella Costituzione italiana.
Secondo lei la Corte dei diritti ha un deficit di legittimità democratica?
C’è un deficit nella misura in cui la Corte non si attiene alla garanzia delle libertà fondamentali per la quale è stata istituita, ma tende ad espandere i suoi compiti e a invadere materie che sollevano scelte di discrezionalità.
Chi occupa lo spazio del conflitto tra Corti europee e Parlamenti? In altri termini, quali sono i criteri e i valori che rischiano di prevalere nell’azione dei giudici?
Le due Corti europee tendono ad assumere una logica di tutela dei diritti individuali senza tener conto né dei corrispondenti doveri, né della necessità di bilanciare i diversi diritti. Da questo punto di vista mi pare che la nostra Costituzione ponga la questione in termini più comprensivi e più ampi.
Può fare un esempio?
La nostra Costituzione all’articolo 2 prevede diritti individuali, ma prevede anche i corrispondenti doveri di solidarietà. Mi pare invece che nella giurisprudenza delle Corti i diritti individuali di libertà non siano bilanciati e contemperati, con la conseguenza di una sorta di «moltiplicazione» dei diritti secondo una logica prettamente individualista. Essa si manifesta in modo evidente in campo economico, ma non solo.
A proposito di economia e di libertà di impresa, si fa un gran parlare dell’articolo 41.
Altro caso emblematico. La nostra Costituzione riconosce la libertà economica, ma in un quadro complessivo di limiti che comprende la possibilità di orientarli a fini sociali. Nelle corti europee attuali prevale un orientamento individualista, che fa della libertà economica un diritto fondamentale, assoluto. In questo senso possiamo senz’altro parlare di una deriva di tipo ottocentesco.
Con quali conseguenze?
Se la logica è quella dell’esaltazione del diritto del singolo senza tener conto di altri diritti o valori che possono bilanciare, si rischia di oltrepassare, snaturandola, la funzione giurisdizionale. Per stare al merito della questione che viene esaminata oggi, come può essere affrontata in ossequio ai diritti del singolo senza tener conto del principio democratico? Non si possono ignorare gli orientamenti e i valori prevalenti in un singolo paese.
È esattamente quello che ha detto il presidente Napolitano.
Il Capo dello Stato ha fatto un’osservazione molto importante. Queste Corti sovranazionali non tengono conto del fatto che ci sono una storia, una tradizione, dei valori e delle costituzioni nazionali che li esprimono.
Secondo lei davvero il crocifisso lede la libertà dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni?
Personalmente, in un paese come l’Italia ritengo di no. Dire in maniera così netta e drastica come ha fatto la Corte che l’esposizione del crocifisso, che peraltro in Italia ha un’antica tradizione storica, lede la libertà religiosa, mi pare appunto una tesi eccessiva, astratta, ideologica.
Esiste a suo modo di vedere il rischio che siano i giudici a costruire un’identità europea che dovrebbe avere altre fonti, alti principi ispiratori, altri percorsi?
Il rischio maggiore secondo me è che questa identità europea sia definita da soggetti non legittimati democraticamente. La Corte dei diritti e la Corte di giustizia sono il caso di un problema più generale che riguarda anche la Bce e tutta l’amministrazione europea: sarebbe giusto che queste istituzioni avessero una loro autonomia se l’Europa fosse una democrazia politica, cosa che ora non è.
Qual è il compito della politica nello scenario che ci attende?
A livello politico occorre che nelle sedi democratiche rappresentative certi temi vengono affrontati e discussi in modo democratico e trasparente. Purtroppo in Italia siamo di fronte ad una distruzione di fatto dei poteri del Parlamento, ormai considerato molto più un soggetto che deve seguire le decisioni del governo piuttosto che una sede di discussione e di decisione democratica.
Cosa può fare invece la giurisdizione?
La nostra Corte costituzionale, a mio avviso, è andata troppo in là nella cessione di sovranità giurisdizionale: ha accettato con troppa facilità il prevalere del dettato delle due Corti europee a volte anche sulle nostre stesse norme costituzionali. Auspico che la Consulta abbia modo di riconsiderare in gran parte alcuni principi che ha affermato a questo riguardo. L’esempio della Corte costituzionale tedesca mi pare significativo e va studiato con attenzione.
(Federico Ferraù)


CROCIFISSO/ 2. È la nostra Costituzione a "metterci al riparo" dalle Corti europee. Per ora - INT. Massimo Luciani - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
Non è solo questione di simboli religiosi, ma anche di quello che la giurisprudenza internazionale - e non solo «l’Europa» - può far valere in casa nostra. Il caso Lautsi, con il ricorso presentato dall’Italia e da molti altri stati europei, Russia compresa, contro la sentenza della Corte europea di Strasburgo del novembre scorso, ha il merito di far discutere su un problema che diversamente sarebbe per pochi addetti ai lavori. Fin dove può arrivare il diritto dell’Unione? Il sussidiario lo ha chiesto a Massimo Luciani, avvocato e costituzionalista.
Professore, qual è lo stato delle cose sul piano del diritto tra istituzioni nazionali sovrane e istituzioni internazionali, come la Corte di Strasburgo?
I rapporti tra ordinamento interno e ordinamento internazionale sono stati definiti, a partire dal 2001, con l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3, che ha modificato il titolo V della Costituzione. Il nuovo articolo 117, primo comma, stabilisce che anche la legislazione dello Stato, oltre a quella delle Regioni, deve rispettare le norme internazionali. Tutte le norme internazionali, anche quelle dei trattati. Questo significa che la legge statale che fosse in contrasto con la norma di un trattato internazionale sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione dell’articolo 117. Questo che le sto dicendo lo ha affermato la Corte costituzionale, interpretando il nuovo articolo 117 con le importanti sentenze 348 e 349 del 2007.
Questo per quanto riguarda i rapporti con il diritto internazionale. E per quanto attiene i rapporti col diritto comunitario?
Ormai da molti anni, facendo leva sull’articolo 11 della Costituzione, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha detto che il diritto comunitario entra direttamente nel nostro ordinamento e prevale addirittura sulle norme costituzionali. Con l’eccezione dei principi fondamentali della Carta costituzionale, che in caso di conflitto restano intangibili anche per il diritto comunitario. Se la norma comunitaria - europea è meglio dire, dopo che è entrato in vigore il Trattato di Lisbona -, o del trattato o di uno dei trattati che regolano il funzionamento dell’Unione, dovesse entrare in contrasto con uno di questi principi fondamentali, la Consulta potrebbe dichiarare illegittima la legge italiana che ha recepito il trattato nel nostro ordinamento.
Lei implicitamente afferma che la strada per limitare eventuali conflitti avvantaggia le Corti nazionali, è così?


Qui le opinioni sono varie. La maggior parte della dottrina ritiene che l’obiettivo problema di un difficile rapporto tra il diritto interno, il diritto internazionale e il diritto comunitario si possa risolvere soltanto con quello che si chiama il «dialogo tra le Corti», vale a dire un’interlocuzione continua tra la nostra Corte costituzionale, la Corte di giustizia delle comunità europee e la Corte europea dei diritti dell’uomo.
E questo «dialogo» è un’ipotesi plausibile?
È una strada. Ma una parte minoritaria della dottrina - e io ne faccio parte - invece ha dei dubbi che questo dialogo possa risolvere tutti i problemi, perché in alcuni casi le garanzie del diritto comunitario, le garanzie del diritto costituzionale e le garanzie del diritto convenzionale (cioè della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ndr) non coincidono. In tal caso ci possono essere frizioni irrisolvibili. E allora, a mio parere, il vero modo per risolvere queste frizioni sta soltanto nelle mani non della giurisdizione, ma della politica.
Quale dovrebbe essere, a suo modo di vedere, il ruolo della politica?
Quello di riprendere l’iniziativa e decidere cosa fare dell’integrazione europea, soprattutto: se rimanere al punto in cui ci troviamo, o addirittura arretrare, oppure evolvere verso forme di integrazione più robuste. Per esempio verso una vera e propria federazione o confederazione europea. Tanto che ci sia chiarezza sui veri valori fondanti della comunità che stiamo costruendo, perché oggi come oggi l’unica vera comunità politica che abbiamo a disposizione è quella nazionale. Ed è ancora quest’ultima, se le altre non lo sono in senso proprio, la legittima depositaria della sovranità.
Se le Corti sovranazionali applicano leggi cui manca un procedimento di genesi parlamentare, come si può colmare il loro deficit di legittimità?
In effetti le istituzioni internazionali, ma anche quelle comunitarie, hanno una limitata legittimazione democratica. È vero che il trattato di Lisbona ha conferito poteri più rilevanti al Parlamento europeo e agli stessi parlamenti nazionali nell’ambito del procedimento di costruzione del diritto comunitario, ma ancora ci troviamo lontani dal modello classico della democrazia rappresentativa per come è stato costruito nei paesi di democrazia matura. Non posso che tornare alla risposta che le ho dato prima: occorre una consapevolezza dei limiti dell’attuale processo di integrazione, e se ci fosse il consenso, una svolta decisa verso una più forte Europa politica e non soltanto economica.
Cosa insegna lo stop alla ratifica del trattato di Lisbona da parte della Corte costituzionale tedesca?
Credo che non sia uno stop e che vada esattamente nella direzione che le dicevo. Il tribunale federale tedesco ha sostanzialmente rilevato i limiti dell’attuale strategia di costruzione europea, sottolineando il fatto che ancora oggi non è garantito a livello comunitario il rispetto pieno del principio democratico. Ha quindi implicitamente sollecitato una visione politica più consapevole della possibilità di un approdo all’Europa politica. Resta fermo ovviamente che il tribunale federale tedesco non può decidere quello che solo i cittadini di un’Europa politica possono decidere.
Un provvedimento come il Protocollo 14, adottato per snellire l’enorme numero di procedimenti pendenti della Corte dei diritti, può conferirle più legittimità?
Non credo che il problema della legittimazione della CEDU sia quello della sua efficienza. La questione, una volta di più, è quella di quali sono i valori ai quali riteniamo di dover fare ultimo riferimento quando si registra un contrasto fra principi costituzionali fondamentali, norme convenzionali e norme europee. La mia posizione è che, visto che i valori nei quali una comunità politica si riconosce dovrebbero essere il frutto del libero confronto democratico interno a quella comunità, il riferimento ultimo dovrebbe essere sempre a quelli costituzionali di ciascun ordinamento statale. Quando, invece, il contrasto non si verifica, lo spazio per le giurisdizioni internazionali e sovranazionali è, ovviamente, più ampio.
(Federico Ferraù)


FINE VITA/ Così la lobby dell'eutanasia vince in Germania e tenta di condizionare l'italia - Paola Binetti - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
Alla Camera oggi riprenderà in XII Commissione il dibattito sul disegno di legge da tutti conosciuto con il nome di testamento biologico. Dopo oltre un anno di discussioni a cui tutti i membri della commissione, nessuno escluso, hanno partecipato con grande passione e con una forte tensione etica, oggi dovrebbero arrivare i pareri delle altre commissioni, essenziali per portare in aula uno dei disegni di legge più discussi nelle ultime tre legislature. Ma la sentenza appena emessa in Germania non sarà indifferente in quest’ultimo passaggio del nostro ddl.

La Germania solo un anno fa aveva licenziato il suo testo di legge sul testamento biologico fissando due punti chiave: il diritto del malato a rifiutare qualsiasi tipo di cura, anche se salvavita, e il carattere assolutamente vincolante delle volontà del malato. Sembrava un testo di legge equilibrato, anche perché la Germania è sempre molto prudente su questi temi, data la triste memoria del famoso Aktion 4, in cui la dolce morte venne applicata sistematicamente su larga scala. Ma la sentenza di pochissimi giorni fa modifica profondamente la chiave di lettura di quella legge, esce dall’ambiguità e si schiera a favore della depenalizzazione dell’eutanasia.


Assimilando nutrizione e idratazione ad un qualunque trattamento medico, ne consente la sospensione e quindi rende possibile con un rapporto di causalità diretta che il paziente muoia. Perché non c’è dubbio che alcuno che senza nutrizione e idratazione il paziente muore, con una morte più o meno drammatica a seconda dei farmaci che ne attenuano le sofferenze e la rendono più pietosa, più simile al senso stesso delle parole: la dolce morte.
Il quesito che siamo sollecitati a porci ancora una volta è sempre lo stesso: quale ragione può mai spingere un uomo ad intervenire attivamente per sospendere la vita di un’altra persona? È sufficiente che questa persona abbia manifestato il desiderio di non voler più vivere in determinate condizioni per causarne la morte? Il caso tedesco riguarda concretamente un avvocato che aveva “consigliato” alla figlia di una donna in stato vegetativo da oltre 5 anni, di sospendere la nutrizione della madre “staccando il sondino” che la teneva in vita.
In quel caso i medici, accortisi del gesto della figlia, avevano ripristinato la nutrizione e l’idratazione, e la donna era morta dopo pochi giorni per cause – almeno apparentemente - non riconducibili al gesto della figlia. L’avvocato era stato condannato a nove mesi in prima istanza ed è stato assolto proprio in questi giorni.
Non c’è dubbio che questa sentenza influenzerà in modo non indifferente anche il dibattito italiano, mostrando oltre ogni ragionevole dubbio dove ci può portare l’assimilazione di nutrizione e idratazione a un qualunque trattamento medico, per poi consentire di farne una delle decisioni che una persona può sottoscrivere anche molti anni prima di ammalarsi, vincolando il medico ad una sua stringente applicazione.
La Corte federale di giustizia in Germania si è in definitiva arresa davanti al pressing dei fautori dell’eutanasia, perché non c’è dubbio che c’è una sorta di lobby dell’eutanasia, che in nome del principio di autodeterminazione pretende di imporla a livello di tutte le legislazioni europee.
L’avvocato Wolfang Putz conosceva bene quali sarebbero state le conseguenze del suo consiglio alla figlia di Erika Kulmer, ed ha voluto creare una volta di più attraverso un caso a forte impatto drammatico le premesse indispensabili per ottenere una sentenza favorevole all’eutanasia, sollecitando la depenalizzazione del reato da lui commesso.
Un reato apparentemente così innocente com’è un consiglio, ma così pesante da convertirsi nella morte della signora Kulmer. Anche su questo rifletteremo oggi in XII commissione, e presto in tutta l’aula del Parlamento. Ci sono ragioni importanti che obbligano ad una prudenza sempre più vigilante e richiedono una chiarezza estrema nei termini giuridici che il ddl utilizzerà. Il punto chiave resta una volta di più il giusto bilanciamento tra volontà individuale, responsabilità del medico e valori di riferimento per l’uno e per l’altro.
E in questa chiave la nostra legge potrebbe contribuire ad invertire una linea di tendenza culturale che, sulla scia di una discutibile pietà e di un ancor più discutibile assolutizzazione della libertà individuale, si sposta sempre più pericolosamente verso una potenziale eliminazione di pazienti non più in grado di intendere e volere.


Avvenire.it, 30 giugno 2010 - La chiesa che soffre - Orissa, violenze sui cristiani - Prima condanna «politica» - Stefano Vecchia
La condanna a sette anni di carcere duro inflitta ieri a Manoj Pradhan dal tribunale di Phulbani, uno dei due che in Orissa giudicano per direttissima i responsabili delle violenze del 2008 in Kandhamal, è la prima ad alto livello di un politico. I capi d’imputazione contro Pradhan riguardavano l’assassinio di Parikhita Digal, un cristiano del villaggio di Budedi e le azioni compiute dagli estremisti da lui guidati. Determinante per la condanna è stata la testimonianza della figlia dell’ucciso, una bambina che all’epoca dei fatti aveva quattro anni che ha indicato senza alcun tentennamento nell’esponente politico l’uomo che aveva versato kerosene sul padre dandogli fuoco.

Su Pradhan pendono altri sette procedimenti giudiziari, di cui tre per omicidio e uno per lo stupro, il 27 agosto 2008, di una suora. Dal carcere, Pradhan ha partecipato alle elezioni del maggio 2009. Eletto come rappresentate del Bharatiya Janata Party nel distretto di Udaigiri, dal dicembre 2009 ha partecipato sotto il regime di libertà vigilata alle riunioni del Parlamento locale.

Proprio grazie a personaggi come Pradhan si deve anche un fenomeno le cui dimensioni vanno dischiudendosi proprio in questi giorni. Si tratta della rete di scuole fondate e gestite, in particolare, dal Rashtriya Swayamsevak Sangh (Corpo dei volontari nazionali), uno dei movimenti capofila dell’hinduttva (induità), ovvero dei fautori di «un’India per i soli indù» di cui il Bharatiya Janata Party è la maggiore espressione politica nel Paese.

«L’Rss è alla guida del movimento che va penetrando con successo il sistema scolastico, sia alla base, aprendo un gran numero di scuole, sia ai vertici del sistema educativo controllandone varie commissioni», dice il rapporto preparato da Angana Chaterjee, docente di Antropologia sociale e culturale all’Istituto di studi integrali della California. Dal 1978, il movimento fondamentalista e xenofobo ha aperto quasi 800 scuole, dotandole di 12mila insegnanti. Questa iniziativa, inizialmente mutuata, come altre di carattere educativo e sociale, dalla prassi del cristianesimo, ha di fatto superato di gran lunga simili iniziative di matrice cristiana e oggi ne minaccia direttamente o indirettamente l’esistenza. «Una intera generazione sta crescendo secondo l’indottrinamento dell’hinduttva: una strategia deviante che insegna ai giovani l’odio», prosegue lo studio della Chatterjee, che sottolinea come oggi su 10 studenti che accedono agli studi medi nell’Orissa, 55 escono da questo sistema scolastico parallelo cresciuto tra l’indifferenza del governo centrale.
Stefano Vecchia


Unioni civili, è polemica dopo lo strappo di Torino - Sì a un regolamento per le coppie di fatto «Ma solo le Camere possono legiferare» - DA TORINO ALEX VITTONE – Avvenire, 30 giugno 2010
Anche Torino 'strappa' e riconosce le u nioni civili. Dopo mesi di complesse trat tative, che hanno messo a dura prova la tenuta della maggioranza di centrosinistra, il Consiglio comunale ha approvato lunedì sera la delibera di iniziativa popolare sulle unioni di fatto. D’ora in avanti gli impiegati dell’anagrafe potranno rilasciare un certificato con cui rico noscono un attestato di famiglia anagrafica ba sata sul 'vincolo affettivo'. Un documento che permetterà, a chi ne farà richiesta, di accedere ai diritti e ai benefici previsti dall’amministra zione comunale. Ovvero casa, sanità e servizi sociali, giovani, genitori e anziani, sport e tem po libero, formazione, scuola e servizi educati vi, diritti e partecipazione. Giunge così a destinazione l’iter amministrati vo che era scattato nel febbraio dello scorso an no, quando la delibera di iniziativa popolare pro mossa da Radicali e associazioni Glbt, e sotto scritta da 2.582 cittadini, era stata consegnata nelle mani del presidente del Consiglio comu­nale, Giuseppe Castronovo. Da allora non sono mancate le polemiche, che a tratti hanno as sunto anche toni accesi. Rinvii su rinvii, ap profondimenti, dietrofront e discussioni a non finire, come quando nello scorso febbraio il sin daco Sergio Chiamparino ha partecipato all’u nione tra due donne, suscitando inevitabili cri tiche. E poi mozioni, correzioni ed emenda menti. L’ultima mossa, decisiva per il via libera della Sala Rossa, è stata quella proposta da Do menica Genisio, consigliere comunale cattolica del Pd, che ha eliminato dal titolo della delibe ra le parole 'pari opportunità'. Resta quindi sol­tanto la frase 'riconoscimento delle unioni ci vili'. In realtà, si è trattato di un modo per veni re incontro alle rivendicazioni avanzate dai con viventi, anche quelli dello stesso sesso, senza però stabilire pari opportunità con il matrimo­nio.

Così licenziato, il provvedimento ha ottenuto l’ok del Consiglio comunale con 24 voti favore voli, tra cui quello dei cattolici del Pd. I no sono stati 3, gli astenuti 4, mentre Pdl e Lega hanno disertato la seduta consiliare perché impegnati a partecipare in massa alla fiaccolata contro i ri corsi alla giustizia amministrativa che potreb bero mandare a gambe all’aria l’elezione del le­ghista Roberto Cota alla presidenza della Re gione Piemonte. I dubbi sull’efficacia del provvedimento, in realtà, sono molti. Per il consigliere dell’Api, l’Al leanza per l’Italia, Gavino Olmeo, «è il Parla mento che deve legiferare sulla materia e il cer tificato anagrafico basato sul vincolo affettivo cadrà al primo ricorso alla giustizia ammini strativa ». Il centrodestra parla di «farsa giuridi ca » e di «presa in giro delle situazioni che inve ce si vorrebbero tutelare». Esulta invece il Co mitato per le unioni civili, secondo cui si tratta di un «primo passo nella direzione giusta». Per il capogruppo del Pd, Andrea Giorgis, è un atto dal valore «simbolico e politico, che non gene ra confusione con il matrimonio». L’Udc evoca l’articolo 29 della Costituzione, che dice che la famiglia è società naturale fondata sul matri monio, e ricorda che la Carta «non si può invo care a corrente alternata». Su un totale di 449.714 famiglie, sotto la Mole quelle composte da due persone – quasi tutte coppie di fatto – sono 10.577, mentre i nuclei con almeno un convivente – ovvero coppie di fatto con figli – sono 21.516. Sommate tra loro, si tratta di oltre 32mila 'famiglie', tra cui 505 coppie gay, che potrebbero usufruire della nuo va norma.




Nella rassegna stampa di oggi:
1) OMELIA DEL PAPA PER I VESPRI DELLA FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO - ROMA, lunedì, 28 giugno 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questo lunedì sera da Benedetto XVI nel presiedere, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, la celebrazione dei Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
2) Il dolore del Papa - di Andrea Tornielli - Roma - © Copyright Il Tempo, 30 giugno 2010
3) Trascrizione parziale di "Racconti di un esorcista" condotta da Padre Gabriele Amorth su Radio Maria - Carlo Di Pietro – pontifex.roma.it
4) Intolleranza e discriminazione contro i cristiani. L'intervento di Massimo Introvigne in Kazakhstan - Conferenza diplomatica delll’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) - Astana, Kazakhstan, 29-30 giugno 2010
5) Avvenire.it, 30 Giugno 2010 - Benedetto XVI con Pietro e Paolo - Oltre lo smarrimento nel solco delle origini - Carlo Cardia
6) Un santo per Brooklyn? - Lorenzo Albacete - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
7) CROCIFISSO/ 1. Cesare Salvi: ecco perché l’Europa individualista non può darci lezioni di diritto - INT. Cesare Salvi – ilsussidiario.net - mercoledì 30 giugno 2010
8) CROCIFISSO/ 2. È la nostra Costituzione a "metterci al riparo" dalle Corti europee. Per ora - INT. Massimo Luciani - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
9) FINE VITA/ Così la lobby dell'eutanasia vince in Germania e tenta di condizionare l'italia - Paola Binetti - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
10) Avvenire.it, 30 giugno 2010 - La chiesa che soffre - Orissa, violenze sui cristiani - Prima condanna «politica» - Stefano Vecchia
11) Unioni civili, è polemica dopo lo strappo di Torino - Sì a un regolamento per le coppie di fatto «Ma solo le Camere possono legiferare» - DA TORINO ALEX VITTONE – Avvenire, 30 giugno 2010


OMELIA DEL PAPA PER I VESPRI DELLA FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO - ROMA, lunedì, 28 giugno 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questo lunedì sera da Benedetto XVI nel presiedere, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, la celebrazione dei Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Per l'occasione era presente la Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, inviata da S.S. Bartolomeo I e composta da: Gennadios (Limouris), Metropolita di Sassima; Bartholomaios (Ioannis Kessidis), Vescovo di Arianzós, Assistente del Metropolita di Germania; Theodoros Meimaris, diacono della Sede patriarcale del Fanar.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Con la celebrazione dei Primi Vespri entriamo nella solennità dei Santi Pietro e Paolo. Abbiamo la grazia di farlo nella Basilica Papale intitolata all’Apostolo delle genti, raccolti in preghiera presso la sua Tomba. Per questo, desidero orientare la mia breve riflessione nella prospettiva della vocazione missionaria della Chiesa. In questa direzione vanno la terza antifona della salmodia che abbiamo pregato e la Lettura biblica. Le prime due antifone sono dedicate a san Pietro, la terza a san Paolo e dice: “Tu sei il messaggero di Dio, Paolo apostolo santo: hai annunziato la verità nel mondo intero”. E nella Lettura breve, tratta dall’indirizzo iniziale della Lettera ai Romani, Paolo si presenta come “apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio” (Rm 1,1) La figura di Paolo – la sua persona e il suo ministero, tutta la sua esistenza e il suo duro lavoro per il Regno di Dio – sono completamente dedicati al servizio del Vangelo. In questi testi si avverte un senso di movimento, dove protagonista non è l’uomo, ma Dio, il soffio dello Spirito Santo, che spinge l’Apostolo sulle strade del mondo per portare a tutti la Buona Notizia: le promesse dei profeti si sono compiute in Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione. Saulo non c’è più, c’è Paolo, anzi, c’è Cristo che vive in lui (cfr Gal 2,20) e vuole raggiungere tutti gli uomini. Se dunque la festa dei Santi Patroni di Roma evoca la duplice tensione tipica di questa Chiesa, all’unità e all’universalità, il contesto in cui ci troviamo stasera ci chiama a privilegiare la seconda, lasciandoci, per così dire, “trascinare” da san Paolo e dalla sua straordinaria vocazione.
Il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, quando fu eletto Successore di Pietro, nel pieno svolgimento del Concilio Vaticano II, scelse di portare il nome dell’Apostolo delle genti. All’interno del suo programma di attuazione del Concilio, Paolo VI convocò nel 1974 l’Assemblea del Sinodo dei Vescovi sul tema dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, e circa un anno dopo pubblicò l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, che si apre con queste parole: “L’impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo, animati dalla speranza ma, parimenti, spesso travagliati dalla paura e dall’angoscia, è senza alcun dubbio un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità” (n. 1). Colpisce l’attualità di queste espressioni. Si percepisce in esse tutta la particolare sensibilità missionaria di Paolo VI e, attraverso la sua voce, il grande anelito conciliare all’evangelizzazione del mondo contemporaneo, anelito che culmina nel Decreto Ad gentes, ma che permea tutti i documenti del Vaticano II e che, prima ancora, animava i pensieri e il lavoro dei Padri conciliari, convenuti a rappresentare in modo mai prima così tangibile la diffusione mondiale raggiunta dalla Chiesa.
Non servono parole per spiegare come il Venerabile Giovanni Paolo II, nel suo lungo pontificato, abbia sviluppato questa proiezione missionaria, che – va sempre ricordato – risponde alla natura stessa della Chiesa, la quale, con san Paolo, può e deve sempre ripetere: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9,16). Il Papa Giovanni Paolo II ha rappresentato “al vivo” la natura missionaria della Chiesa, con i viaggi apostolici e con l’insistenza del suo Magistero sull’urgenza di una “nuova evangelizzazione”: “nuova” non nei contenuti, ma nello slancio interiore, aperto alla grazia dello Spirito Santo che costituisce la forza della legge nuova del Vangelo e che sempre rinnova la Chiesa; “nuova” nella ricerca di modalità che corrispondano alla forza dello Spirito Santo e siano adeguate ai tempi e alle situazioni; “nuova” perché necessaria anche in Paesi che hanno già ricevuto l’annuncio del Vangelo. E’ a tutti evidente che il mio Predecessore ha dato un impulso straordinario alla missione della Chiesa, non solo – ripeto – per le distanze da lui percorse, ma soprattutto per il genuino spirito missionario che lo animava e che ci ha lasciato in eredità all’alba del terzo millennio.
Raccogliendo questa eredità, ho potuto affermare, all’inizio del mio ministero petrino, che la Chiesa è giovane, aperta al futuro. E lo ripeto oggi, vicino al sepolcro di san Paolo: la Chiesa è nel mondo un’immensa forza rinnovatrice, non certo per le sue forze, ma per la forza del Vangelo, in cui soffia lo Spirito Santo di Dio, il Dio creatore e redentore del mondo. Le sfide dell’epoca attuale sono certamente al di sopra delle capacità umane: lo sono le sfide storiche e sociali, e a maggior ragione quelle spirituali. Sembra a volte a noi Pastori della Chiesa di rivivere l’esperienza degli Apostoli, quando migliaia di persone bisognose seguivano Gesù, ed Egli domandava: che cosa possiamo fare per tutta questa gente? Essi allora sperimentavano la loro impotenza. Ma proprio Gesù aveva loro dimostrato che con la fede in Dio nulla è impossibile, e che pochi pani e pesci, benedetti e condivisi, potevano sfamare tutti. Ma non c’era – e non c’è – solo la fame di cibo materiale: c’è una fame più profonda, che solo Dio può saziare. Anche l’uomo del terzo millennio desidera una vita autentica e piena, ha bisogno di verità, di libertà profonda, di amore gratuito. Anche nei deserti del mondo secolarizzato, l’anima dell’uomo ha sete di Dio, del Dio vivente. Per questo Giovanni Paolo II ha scritto: “La missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento”, e ha aggiunto: “uno sguardo d’insieme all’umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio” (Enc. Redemptoris missio, 1). Vi sono regioni del mondo che ancora attendono una prima evangelizzazione; altre che l’hanno ricevuta, ma necessitano di un lavoro più approfondito; altre ancora in cui il Vangelo ha messo da lungo tempo radici, dando luogo ad una vera tradizione cristiana, ma dove negli ultimi secoli – con dinamiche complesse – il processo di secolarizzazione ha prodotto una grave crisi del senso della fede cristiana e dell’appartenenza alla Chiesa.
In questa prospettiva, ho deciso di creare un nuovo Organismo, nella forma di “Pontificio Consiglio”, con il compito precipuo di promuovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di “eclissi del senso di Dio”, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo.
Cari fratelli e sorelle, la sfida della nuova evangelizzazione interpella la Chiesa universale, e ci chiede anche di proseguire con impegno la ricerca della piena unità tra i cristiani. Un eloquente segno di speranza in tal senso è la consuetudine delle visite reciproche tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli in occasione delle feste dei rispettivi Santi Patroni. Per questo accogliamo oggi con rinnovata gioia e riconoscenza la Delegazione inviata dal Patriarca Bartolomeo I, al quale indirizziamo il saluto più cordiale. L’intercessione dei santi Pietro e Paolo ottenga alla Chiesa intera fede ardente e coraggio apostolico, per annunciare al mondo la verità di cui tutti abbiamo bisogno, la verità che è Dio, origine e fine dell’universo e della storia, Padre misericordioso e fedele, speranza di vita eterna. Amen.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


Il dolore del Papa - di Andrea Tornielli - Roma - © Copyright Il Tempo, 30 giugno 2010
Le persecuzioni contro la Chiesa «non costituiscono il pericolo più grave», perché il «danno maggiore» essa lo subisce «da ciò che inquina la fede» e la vita cristiana dei suoi membri. Benedetto XVI, rivestito dei paramenti rossi, presiede in San Pietro la messa per la festa dei santi Pietro e Paolo, patroni di Roma imponendo il pallio a 38 arcivescovi freschi di nomina, e nell’omelia ripete quanto aveva detto il mese scorso sull’aereo che lo stava conducendo in Portogallo. La Chiesa è sì sotto attacco, ma il pericolo maggiore, l’insidia più grave, non arriva dall’esterno, bensì dal suo interno.
«In effetti - ha detto Papa Ratzinger - se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che - come aveva preannunciato il Signore Gesù - non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni».
Queste, però, «malgrado le sofferenze che provocano - ha aggiunto Benedetto XVI - non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto».
Il Papa ha quindi citato la seconda lettera di Paolo a Timoteo, che parla dei pericoli degli «ultimi tempi», identificandoli «con atteggiamenti negativi che appartengono al mondo e che possono contagiare la comunità cristiana: egoismo, vanità, orgoglio, attaccamento al denaro». Ma la conclusione è rassicurante, perché «gli uomini che operano il male non andranno molto lontano» e dunque c’è «una garanzia di libertà assicurata da Dio alla Chiesa, libertà sia dai lacci materiali che cercano di impedirne o coartarne la missione, sia dai mali spirituali e morali, che possono intaccarne l’autenticità e la credibilità».
Benedetto XVI ha quindi sottolineato come proprio l’unità dei vescovi attorno al Papa sia garanzia di libertà per la Chiesa. Sul piano storico, l’unione con la Santa Sede «assicura alle Chiese particolari e alle conferenze episcopali la libertà rispetto a poteri locali, nazionali o sovranazionali, che possono in certi casi ostacolare la missione della Chiesa». Inoltre, e più in profondità, il servizio di Pietro «è garanzia di libertà nel senso della piena adesione alla verità, all’autentica tradizione, così che il popolo di Dio sia preservato da errori concernenti la fede e la morale». Questo, ha concluso il Papa, appare evidente «nel caso di Chiese segnate da persecuzioni, oppure sottoposte a ingerenze politiche o ad altre dure prove. Ma ciò non è meno rilevante nel caso di comunità che patiscono l’influenza di dottrine fuorvianti, o di tendenze ideologiche e pratiche contrarie al Vangelo». Tra gli arcivescovi che hanno ricevuto il pallio, la striscia di lana ornata da croci che indica lo stretto legame con la sede romana, c’era anche André-Mutien Leonard, il nuovo primate della Chiesa belga, sottoposta nei giorni scorsi alle perquisizioni della polizia. Quattro gli italiani: Gualtiero Bassetti (Perugia), Andrea Mazzocato (Udine), Antonio Lanfranchi (Modena) e Luigi Moretti (Salerno).
Tra oggi e domani il Papa renderà note alcune importante nomine. Quella dell’arcivescovo Rino Fisichella, che diventerà presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, un dicastero creato ad hoc per rinvigorire la fede nei Paesi un tempo cristiani e oggi secolarizzati. Quindi sarà annunciato il nome del successore del cardinale Giovanni Battista Re alla guida della Congregazione dei vescovi: come anticipato dal Giornale due settimane fa l’importante incarico sarà assunto dal cardinale canadese Marc Ouellet . Mentre al posto del cardinale Walter Kasper quale «ministro» per i rapporti con le altre confessioni cristiane sarà chiamato a Roma il vescovo svizzero Kurt Koch.
© Copyright Il Tempo, 30 giugno 2010


Trascrizione parziale di "Racconti di un esorcista" condotta da Padre Gabriele Amorth su Radio Maria - Carlo Di Pietro – pontifex.roma.it
Quali sono gli effetti dell'esorcismo. Se le persone avevano delle negatività, anche se questi si manifestassero nel corso dell'esorcismo, generalmente si hanno immediati vantaggi. Generalmente si tiene poco conto del primo esorcismo. Sono possibili dei malesseri dei benesseri dopo il primo esorcismo. E' molto importante tener conto: 1) delle reazioni durante l'esorcismo, 2) degli effetti che l'esorcismo procura; 3) come si evolvono le situazioni. In qualche caso uno sta male dopo l'esorcismo, uno sta peggio, generalmente dura qualche giorno poi passa. In genere se ci sono delle negatività dopo l'esorcismo uno ne sente un effetto benefico di poca durata. Normalemente se ci sono delle presenze malefiche o delle influenze malefiche. Le presenze malefiche sono più rare, le influenze malefiche sono più presenti, di esorcismi ce ne vuole in genere una lunga serie. Quando c'è la possessione occorrono anni di esorcismi per riuscire ...

... ad arrivare alla liberazione. Il perché non ve lo so dire, so solo che quando Gesù esorcizza nel Vangelo liberava subito, quando leggiamo di esorcismi operati da santi vediamo come liberavano subito. Lì c'era una grazia particolare che il Signore da per premiare la santità della persona che fa esorcismi. Santa Caterina da Siena ad esempio. Una volta però mi risulta che anche lei ebbe bisogno di due esorcismi per liberare una ragazza che era stata posseduta dal demonio , un primo esorcismo non era stato sufficiente. In genere i casi che si leggono nella storia dei santi, e sono tanti i santi che hanno operato liberazioni senza essere esorcisti, adoperando semplici preghiere di liberazione.

Questo è stato un premio per la loro santità- Noi esorcisti, persone comune abbiamo da fare una serie molto volte lunga di esorcismi, e questa è una cosa generale. Tant'è vero che Sant'Alfonso dice una frase che amo ripetere spesso perché ne tocco con mano la verità: "non sempre con gli esorcismi si riesce ad ottenere la liberazione, sempre si riesce a procurare dei vantaggi alla persona" che sta meglio, che nonostante non sia stata liberata del tutto, può avere una vita normale e svolgere attività comuni.


Il fatto che non sempre si arrivi alla liberazione significa che in questi casi bisogna sempre continuare a fare esorcismi con un ritmo rallentato dato che la persona comincia ad ottenere dei benefici, dunque se prima la persona in questione veniva esorcizzata settimanalmente o quotidianamente potrà essere esorcizzata mensilmente oppure ogni due/tre mesi e se i miglioramenti sono grandi tanto che la persona non si sente più disturbata, se non saltuariamente, ecco che non c'è la liberazione totale, ma la liberazione dal più c'è stata ed ecco che gli esorcismi possono essere effettuati con un ritmo più lento.

E' bene osservare nel corso delle varie benedizioni qual è il comportamento durante l'esorcismo (se ci sono delle varianti). E' possibile che il male si manifesti tutto subito, è possibile che si manifesti poco per volta con un' accrescimento di reazioni da un esorcismo all'altro. Quando il male è affiorato completamente poi comincia a regredire.

Ad esempio, un giovane al primo esorcismo aveva delle reazioni abbastanza tenue, tanto che pensai, qui me la cavo con pochi esorcismi a liberare questa persona, poi invece al secondo esorcismo è esploso con una violenza tale che non procedevo con l'esorcismo se non c'erano quattro persone robuste a tenerlo strettamente. Nonostante la forza di questa possessione sono bastati sei mesi per arrivare alla liberazione totale. Proprio un caso che ricordo bene per la sua violenza e brevità Poiché in casi simili occorrono degli anni di esorcismi.

Per una buona riuscita dell'esorcismo è fondamentale la collaborazione del paziente. Sono solito dire che l'esorcista fa il 10%, il 90% ce lo deve mettere la persona, con la preghiera, con i sacramenti, con una vita conforme al Vangelo, facendo pregare altri (efficacissima è la preghiera in famiglia) o comunità parrocchiali o comunità religiose o gruppi di preghiera. Molto utili i pellegrinaggi. Molto spesso le liberazioni non avvengono alla fine della preghiera di esorcismo, ma proprio durante i pellegrinaggi. Il mio compianto maestro di esorcismi, p. Candido era devoto di Loreto e Lourdes perché molti pazienti si liberarono in questi luoghi santi. Ci si può liberare anche in casa propria. Quel giovane di cui dicevo prima, che si dimenava con tanta furia durante gli esorcismi e che impiegò così poco tempo per essere liberato (6 mesi) era un contadino, si è liberato mentre lavorava nei campi. Ad un c erto momento si è sentito liberato. Tutte le sofferenze che aveva, i dolori che aveva sono scomparsi, si sentiva libero, sereno. Ho continuato ad esorcizzarlo poiché ho paura delle liberazioni improvvise, o meglio delle liberazioni provvisorie, liberazioni che sono trucchi del demonio che ha la speranza ritirandosi che la persona cessi di avere un ritmo di vita veramente cristiano. Tuttavia in genere quando c'è stata un liberazione provvisoria è sempre più facile arrivare ad una liberazione completa. Sono utili le opere di carità.

Ho avuto anche casi di persone che si sono liberate da sole con la preghiera e con il digiuno, come in quell'episodio che leggiamo nel Vangelo del giovane ai piedi del Tabor che gli apostoli, nove apostoli, non riescono a liberare. Quando chiedono a Gesù perché non ci siano riusciti, Egli risponde "Certi generi di demoni si cacciano solo con la preghiera e con il digiuno". Quasi a dire in questi casi l'esorcismo non ha potere. Si tratta di tari casi, ma possibili.

E' necessario rimuovere gli ostacoli che possono esserci. Se uno vive con in stato di peccato allora qui è logico. Mettiamo che uno convive, che non ha una vita di coppia regolare. Qui bisogna necessariamente regolarizzare le cose, perché non è possibile liberare una persona che viva in uno stato di peccato, di lontananza da Dio, un'altra condizione che noi esorcisti abbiamo trovato è il perdono di cuore, che non ci sia rancore. Insisto su quel perdono che ci dice il Vangelo: "perdonare i propri nemici". Nel caso di mali di carattere malefico i nemici sono quelle persone che hanno fatto il maleficio, che sono state la causa di questo male. Perdonarli di cuore, magari anche pregare per loro, non provare nessun risentimento, anche se sono delle persone che continuano a fare del male. Non avere rancore verso queste persone.

Tra gli effetti dell'esorcismo dobbiamo mettere la guarigione di certi mali che sono stati curati dai medici senza alcun effetto, poiché il demonio ha il potere di dare delle malattie. Nel Vangelo abbiamo l'esempio di quella donna curva (forse una deformazione alla spina dorsale), Gesù la guarisce liberandola dal demonio. Agli occhi della gente è un male fisico, ed invece Gesù ha visto che era causato dal demonio. Gesù aveva guarito un sordomuto posseduto da un demonio. Il Vangelo è molto preciso nel distinguere i malati dagli indemoniati. Quando Gesù guarisce da una malattia o quando guarisce da un demonio, ma è anche possibile che la liberazione da un demonio comporti anche una guarigione da un mali che sembravano mali di carattere naturale.
Carlo Di Pietro


Intolleranza e discriminazione contro i cristiani. L'intervento di Massimo Introvigne in Kazakhstan - Conferenza diplomatica delll’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) - Astana, Kazakhstan, 29-30 giugno 2010
Relazione introduttiva
L’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani, come contro i membri di altre religioni, possono verificarsi quando la libertà religiosa o non è garantita oppure è travisata. Le mie osservazioni si fondano sulla convinzione che la dottrina sociale della Chiesa, e in particolare i documenti più recenti di Papa Benedetto XVI – che partono da argomenti di ragione e non solo di fede –, possono essere d’interesse generale, anche per I non cristiani e i non credenti, e offrire un aiuto a tutti.
I principi della libertà religiosa sono in genere affermati dale costituzioni e dalle leggi degli Stati membri dell’OSCE. Rimangono tuttavia tre possibili aree di equivoco.

La prima riguarda lo statuto della libertà religiosa. La libertà di religione non è solo uno fra I tanti elementi di una lunga lista di diritti e di libertà. È la pietra angolare di una vita sociale in cui le altre libertà possono fiorire. Parlando a Washington il 17 aprile 2008 Benedetto XVI ha citato un pensatore francese, non credente, Alexis de Tocqueville (1805-1859), il quale insegnava che «la religione e la libertà sono “intimamente legate” nel contribuire a una democrazia stabile». Quando la libertà religiosa è considerate un diritto minore, o secondario rispetto ad alltri, la libertà in generale non può essere veramente garantita.

La seconda concerne l’estensione della libertà religiosa. L’Instrumentum laboris della prossima Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi cita il fatto che in alcuni Paesi «libertà di religione vuol dire solitamente libertà di culto. Non si tratta dunque di libertà di coscienza, cioè della libertà di credere o non credere, di praticare una religione da soli o in pubblico senza alcun impedimento, e dunque della libertà di cambiare religione. […] Cambiare religione è ritenuto un tradimento verso la società, la cultura e la Nazione costruita principalmente su una tradizione religiosa». Al contrario, una vera libertà religiosa deve comprendere la libertà di predicare, di convertire e di convertirsi.
In terzo luogo, in alcuni Paesi la libertà di religione è considerata da alcuni con sospetto, come se inplicasse necessariamente il relativismo e la negazione dell’eredità spirituale nazionale. La Chiesa Cattolica ha dovuto affrontare lo stesso problema quando si è trovata di fronte ai problemi d’interpretazione della dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae del Concilio Ecumenico Vaticano II. Alcuni, anche all’interno della Chiesa, temevano che la proclamazione della libertà religiosa potesse promuovere il relativismo e l’indifferentismo. Ma in realtà, come Papa Benedetto XVI ha ripetutamente mostrato, la libertà religiosa e una ferma difesa della propria identità religiosa contro il relativismo possono e devono coesistere. La libertà religiosa è relativa all’immunità individuale e collettiva dei credenti da ogni coercizione dello Stato laico moderno nel momento della formazione e dell’annuncio della propria esperienza religiosa. Non implica invece che il credente non abbia il diritto e il dovere di esercitare un «adeguato discernimento» tra le diverse proposte religiose, come il Papa ha sottolineato nella sua enciclica del 2009 Caritas in veritate: «La libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali» (n. 55).

Con riferimento alla città sede dell’OSCE, possiamo dire che questi tre equivoci creano problemi sia a Est di Vienna sia a Ovest di Vienna. A Est di Vienna, I problemi circa l’estensione della libertà religiosa e il timore che la libertà di religione in senso occidentale possa indurre relativismo e un tradimento delle culture tradizionali può generare forme normative che danneggiano le Chiese e le comunità cristiane. Tra queste ci sono il rifiuto della registrazione legale e dell’esenzione fiscale, e il rifiuto di concedere visti ai missionari o licenze per costruire edifici di culto. In alcuni Paesi una virulenta propaganda anti-cristiana ha portato a una diffusa violenza.

A Ovest di Vienna troppo spesso assistiamo alla marginalizzazione dei cristiani, i cui diritti di partecipare pienamente al dialogo sociale annunciando la loro fede sono limitati in nome del laicismo. Parlando alle Nazioni Unite a New York il 18 aprile 2008 Benedetto XVI ha affermato che «è inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente [...]. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale». La causa di questi problemi sembra essere il primo dei tre equivoci che ho citato. La libertà religiosa è considerata solo come uno fra tanti diversi diritti, e la sua importanza cruciale è sistematicamente sottovalutata. E il problema diventa peggiore quando tra i diritti che s’invocano per limitare la libertà religiosa ci sono – secondo l’espressione della Caritas in veritate – «presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario», e perfino «diritti» «addirittura alla trasgressione e al vizio» (n. 42). Il riconoscimento dei diritti delle minoranze religiose è certo uno sviluppo importante dei sistemi giuridici moderni. Ma I diritti delle minoranze non devono essere usati per negare i diritti delle maggioranze. Anche le maggioranze hanno i loro diritti. I cristiani, dove sono maggioranza culturale, sono oggi nel mirino di quanti pensano che la migliore società possible debba essere completamente secolarizzata e non religiosa.

Il tempo mi permette di citare solo due esempi. Il primo riguarda un numero ormai ampio d’incidenti in Europa dove predicatori cristiani, compresi predicatori di strada, e istituzioni ecclesiali sono stati incriminati o citati in giudizio per avere criticato stili di vita e atteggiamenti relativi alla sessualità che considerano peccaminosi. Alcuini genitori sono stati multati o incriminati per avere rifiutato di mandare I loro figli a cosiddetti corsi anti-discriminazione che, a loro avviso, promuovono stili di vita che non approvano. In quest’area, come in altre, come minimo dev’essere sempre riconosciuto un ampio diritto all’obiezione di coscienza. Le proposte di legge che intendono punire come incitamento all’odio la critica religiosa di stili di vita alternativi sono percepite da molte Chiese e comunità cristiane come una seria minaccia alla loro libertà di predicazione.

Il secondo esempio riguarda la sentenza del 2009 Lautsi c. Italia, con cui la Corte Europea dei Diritti Umani ha deciso che la presenza di crocefissi nelle scuole pubbliche italiane viola i diritti dei non credenti e degli alunni che in Italia, un Paese a larga maggioranza cattolico, appartengono a minoranze religiose. Il caso è riesaminato dalla Camera Superiore della Corte Europea dei Diritti Umani il 30 giugno. I sondaggi hanno confermato che un’ampia maggioranza degli italiani (82%: cfr. Franco Garelli - Gustavo Guizzardi - Enzo Pace [a cura di], Un singolare pluralismo: Indagine sul pluralismo morale e religioso degli italiani, il Mulino, Bologna 2003, pp. 146-147) – compresa una solida maggioranza degli italiani che non sono cattolici praticanti – è favorevole a mantenere nelle scuole il crocefisso, un simbolo della più alta forma di amore oltre che dell’identità e della storia nazionale particolarmente amato in Italia. Questo sembra un caso particolarmente chiaro dove i diritti di un’ampia maggioranza sono ignorati in nome dei diritti di una minoranza, o dell’opinione di un numero molto limitato di militanti del laicismo.

Ci sono naturalmente molti altri esempi di discriminazione contro I cirstiani, sia a Ovest di Vienna sia a Est di Vienna. Ma credo che questi casi siano sufficienti a confermare che quello dell’intolleranza e della discriminazione contro i cristiani è un problema molto grave, che merita la più grande attenzione di questo autorevole consesso.


Avvenire.it, 30 Giugno 2010 - Benedetto XVI con Pietro e Paolo - Oltre lo smarrimento nel solco delle origini - Carlo Cardia
Pietro e Paolo rappresentano per ogni cristiano le radici apostoliche della Chiesa, le fonti cui ricorrere ogni volta che si sente il bisogno di rinnovare la fede e agire nel mondo. Scelti direttamente da Gesù per guidare la Chiesa nella storia, e diffondere il Vangelo tra le genti, i due massimi apostoli hanno parlato ai cristiani di ogni epoca con un linguaggio sempre eguale e sempre nuovo. L’opera di Paolo tra i popoli dell’impero ha evitato la chiusura del cristianesimo nell’alveo ebraico che ha preparato l’incarnazione di Gesù, e ha compiuto qualcosa che forse vale più di tanti miracoli, perché ha portato il Vangelo tra i pagani greci e romani. Per fare ciò non ha avuto paura di nulla, ha parlato lo stesso linguaggio spirituale, ma ricco di tante sfumature, dando al cristianesimo un’impronta universale irreversibile. Ma Paolo ha anche parlato delle colpe di alcuni cristiani, ha sofferto persecuzioni, martirio, ha scritto parole rimaste a fondamento della cultura cristiana di tutti tempi.

Oggi, di nuovo, i cristiani non devono aver paura di nulla quando da più parti le persecuzioni di sangue, o mediatiche, si ripresentano, colpiscono, possono provocare incertezza, ma anche rafforzare la fede. Sembra che contro la Chiesa oggi tutto sia possibile. Ma proprio in questo momento i cristiani, mentre operano per la giustizia, hanno nel cuore e nella mente le parole di Paolo sulla carità, la quale «è paziente, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (I Cor., 13, 4-7). Se guardiamo alle sofferenze della Chiesa di oggi, avvertiamo che le parole dell’Apostolo hanno lo stesso significato di quando furono pronunciate.

Se Paolo ha animato il cristianesimo con la parola che illuminava la fede, Pietro ha guidato la Chiesa dandole identità e unità. Ha compreso il carisma di Paolo, ne ha accolto lo spirito universalista, ha guidato gli apostoli nel fare le scelte fondamentali per la Chiesa delle origini, ha portato il suo ministero nel cuore dell’impero perché di lì, insieme a Paolo, il cristianesimo potesse espandersi in tutto il mondo. Anche Pietro ricorda ai cristiani che essi saranno "per un po’ di tempo affitti da varie prove", ma che il valore della loro fede si proverà col fuoco (I Pietro, 1, 6), e li invita a comportarsi «come uomini liberi, non servendosi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio» (2, 16). E ancora, «se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi!» perché «è meglio, se così Dio vuole, soffrire operando il bene piuttosto che fare il male» (3, 13-17). I due Apostoli invitano i cristiani a saper conciliare la carità con la sofferenza per la giustizia, perché sono due aspetti dello stesso impegno.

La Chiesa di oggi è piena di domande, perché il male si è insinuato in qualche sua parte, e a volte sembra accerchiarla dal di fuori. Né si può nascondere che esiste un certo smarrimento per una Chiesa sotto assedio, pressata con metodi che non distinguono tra ricerca della giustizia e vere e proprie intimidazioni. Si tratta di uno smarrimento comprensibile, ma che deve cedere il passo alla fiducia e alla speranza, partendo da una riflessione. La funzione di guida, svolta costantemente da Benedetto XVI, racchiude in sé il magistero di Pietro e di Paolo, dà risposta a queste domande, conferma nella fede che deve saper abbracciare tutto e tutti. Il Pontefice, assolvendo al ruolo unificante che da sempre Pietro e i suoi successori hanno avuto verso i cristiani, ha eliminato gli equivoci che si erano presentati allo scoppiare dello "scandalo della pedofilia", chiamando il male con il suo nome, ha saputo trovare le parole più adatte per le vittime dei soprusi e il pentimento dei colpevoli, ricordando che il perdono non esclude la giustizia.

Benedetto XVI guida la Chiesa anche contro le persecuzioni che si fanno più esplicite, conferma la missione degli apostoli che hanno portato la fede cristiana a Roma, assicura i fedeli che le sofferenze di oggi possono preparare i frutti spirituali di domani. E la Chiesa intera si raccoglie attorno al Papa riconoscendosi nel suo magistero che supera le difficoltà del presente con gli occhi della fede e con lo sguardo rivolto a quella storia cristiana che ha cambiato il mondo dando all’uomo un orizzonte spirituale che non ha eguali.
Carlo Cardia


Un santo per Brooklyn? - Lorenzo Albacete - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
Al momento in cui scrivo (28 giugno) questi sono i fatti come mi risultano: la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato oggi di esprimersi sul fatto se il Vaticano goda dell’immunità legale nei casi di abusi sessuali sui minori compiuti da preti negli USA. Il caso che la Corte si è rifiutata di prendere in considerazione ha inizio nel 2002, quando un anonimo querelante dello stato dell’Oregon intentò causa al Vaticano per Andrew Ronan, un prete irlandese con alle spalle una storia di abusi sessuali su minori.
Secondo l’accusa, Ronan cominciò ad abusare di ragazzi a metà degli anni 50 quando era prete nell’arcidiocesi di Armagh, in Irlanda. Trasferito a Chicago, ha ammesso di aver compiuto abusi su tre ragazzi della St. Philip’s High School. A metà degli anni 60 fu trasferito alla St. Albert’s Church di Portland, nell’Oregon, dove fu accusato di abusi dalla persona che ha poi intentato causa al Vaticano. Ronan è morto nel 1992.
La posizione assunta all’epoca dall’avvocato del Vaticano fu che non era stata portata alcuna prova che fosse stato il Vaticano a trasferire il sacerdote, né che avesse qualche controllo sul suo operato. Inoltre, anche molti vescovi americani hanno dichiarato che la responsabilità per i preti è del vescovo locale, non del Vaticano. Il caso alla fine è approdato alla Corte di appello di Sacramento, in California, alla cui giurisdizione appartiene anche l’Oregon, che ha ammesso la richiesta dell’accusa.
L’avvocato del Vaticano aveva anche opposto l’immunità di cui gode il Vaticano come Stato straniero (riconosciuto come tale dagli Stati Uniti nel 1984), in base al Foreign Sovereign Immunities Act del 1976, che protegge gli Stati esteri dall’essere giudicati nei tribunali degli Stati Uniti. Tuttavia, questa legge prevede eccezioni e a queste si riferisce la Corte di appello, prospettando un diretto collegamento tra Ronan e il Vaticano, di cui il prete può essere considerato un dipendente secondo la legge dell’Oregon. Su questa decisione l’avvocato del Vaticano ha interpellato la Corte Suprema, che però, come si è visto, ha deciso di non prendere in considerazione il caso, lasciando così operante la decisione della Corte di appello in favore della richiesta del querelante.
L’Amministrazione Obama aveva sostenuto la posizione del Vaticano, affermando che la Corte di Appello sbagliava nel considerare tra le eccezioni alla legge sull’immunità degli Stati esteri anche gli abusi sessuali commessi da un prete. I legali dell’Amministrazione hanno però anche dichiarato che “al momento” non vi erano gli estremi per una decisione della Corte Suprema.


Francamente, non ho personalmente informazioni sufficienti per un giudizio preciso su questo caso. Ovviamente, la decisione della Corte Suprema avrà riflessi anche su altri casi simili negli USA, come quello in corso a Louisville, nel Kentucky, in cui si sostiene che il Vaticano è responsabile per quei vescovi che non riuscirono ad impedire gli abusi dei preti. Non essendo un avvocato non so dire quanto sia stato saggio affidarsi così tanto alla legge sull’immunità degli Stati stranieri.
Mi vengono in mente i casi in cui la Chiesa ha contestato le ordinanze di rimozione dei crocefissi affermando che si trattava di simboli culturali, piuttosto che simboli della fede della Chiesa, appellandosi così al diritto alla libertà religiosa protetto costituzionalmente dallo Stato.
La decisone della Corte è stata presa nello stesso giorno in cui iniziavano le audizioni sulla candidatura di Elena Kagan alla Corte Suprema. Se la candidatura venisse approvata, la Corte risulterebbe composta da sei cattolici e tre ebrei, una situazione analizzata in modo interessante su The New York Times in un articolo dal titolo: “ Il trionfante declino dei WASP (White Anglo-Saxon Protestant).” Quello che è interessante non è che questa significativa maggioranza cattolica possa portare a decisioni diverse da quelle prese finora, ma il fatto che ciò non avverrà.
Intanto questa settimana è stato annunciato l’inizio del processo di beatificazione di un prete di Brooklyn. “Un santo per Brooklyn?,” si è chiesto il New York Times. Aveva ragione T.S. Eliot: “La Chiesa deve sempre costruire, perché è sempre in decadenza al suo interno e sotto attacco dall’esterno.”


CROCIFISSO/ 1. Cesare Salvi: ecco perché l’Europa individualista non può darci lezioni di diritto - INT. Cesare Salvi – ilsussidiario.net - mercoledì 30 giugno 2010
Oggi c’è l’udienza della Grande Chambre della Corte europea dei diritti sul ricorso presentato dall’Italia, e da molti stati europei, contro la sentenza di novembre scorso che ha vietato l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Cesare Salvi, giurista, uomo di sinistra, ex vicepresidente del Senato, ha però molte riserve. Sul metodo e sul merito.
Professore, può una corte internazionale, ispirandosi alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, prevalere sul nostro ordinamento?
In linea di principio le corti sovranazionali hanno il compito di individuare eventuali lacune e limiti esistenti negli ordinamenti nazionali, però in questi anni assistiamo a una tendenza sia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, sia della Corte europea di giustizia ad esorbitare dai propri compiti. La Corte dei diritti per esempio ha esteso molto i confini e gli ambiti del suo intervento, ma questo crea dei problemi perché non si tratta di un organismo che nasce già con una sua legittimazione nella Costituzione italiana.
Secondo lei la Corte dei diritti ha un deficit di legittimità democratica?
C’è un deficit nella misura in cui la Corte non si attiene alla garanzia delle libertà fondamentali per la quale è stata istituita, ma tende ad espandere i suoi compiti e a invadere materie che sollevano scelte di discrezionalità.
Chi occupa lo spazio del conflitto tra Corti europee e Parlamenti? In altri termini, quali sono i criteri e i valori che rischiano di prevalere nell’azione dei giudici?
Le due Corti europee tendono ad assumere una logica di tutela dei diritti individuali senza tener conto né dei corrispondenti doveri, né della necessità di bilanciare i diversi diritti. Da questo punto di vista mi pare che la nostra Costituzione ponga la questione in termini più comprensivi e più ampi.
Può fare un esempio?
La nostra Costituzione all’articolo 2 prevede diritti individuali, ma prevede anche i corrispondenti doveri di solidarietà. Mi pare invece che nella giurisprudenza delle Corti i diritti individuali di libertà non siano bilanciati e contemperati, con la conseguenza di una sorta di «moltiplicazione» dei diritti secondo una logica prettamente individualista. Essa si manifesta in modo evidente in campo economico, ma non solo.
A proposito di economia e di libertà di impresa, si fa un gran parlare dell’articolo 41.
Altro caso emblematico. La nostra Costituzione riconosce la libertà economica, ma in un quadro complessivo di limiti che comprende la possibilità di orientarli a fini sociali. Nelle corti europee attuali prevale un orientamento individualista, che fa della libertà economica un diritto fondamentale, assoluto. In questo senso possiamo senz’altro parlare di una deriva di tipo ottocentesco.
Con quali conseguenze?
Se la logica è quella dell’esaltazione del diritto del singolo senza tener conto di altri diritti o valori che possono bilanciare, si rischia di oltrepassare, snaturandola, la funzione giurisdizionale. Per stare al merito della questione che viene esaminata oggi, come può essere affrontata in ossequio ai diritti del singolo senza tener conto del principio democratico? Non si possono ignorare gli orientamenti e i valori prevalenti in un singolo paese.
È esattamente quello che ha detto il presidente Napolitano.
Il Capo dello Stato ha fatto un’osservazione molto importante. Queste Corti sovranazionali non tengono conto del fatto che ci sono una storia, una tradizione, dei valori e delle costituzioni nazionali che li esprimono.
Secondo lei davvero il crocifisso lede la libertà dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni?
Personalmente, in un paese come l’Italia ritengo di no. Dire in maniera così netta e drastica come ha fatto la Corte che l’esposizione del crocifisso, che peraltro in Italia ha un’antica tradizione storica, lede la libertà religiosa, mi pare appunto una tesi eccessiva, astratta, ideologica.
Esiste a suo modo di vedere il rischio che siano i giudici a costruire un’identità europea che dovrebbe avere altre fonti, alti principi ispiratori, altri percorsi?
Il rischio maggiore secondo me è che questa identità europea sia definita da soggetti non legittimati democraticamente. La Corte dei diritti e la Corte di giustizia sono il caso di un problema più generale che riguarda anche la Bce e tutta l’amministrazione europea: sarebbe giusto che queste istituzioni avessero una loro autonomia se l’Europa fosse una democrazia politica, cosa che ora non è.
Qual è il compito della politica nello scenario che ci attende?
A livello politico occorre che nelle sedi democratiche rappresentative certi temi vengono affrontati e discussi in modo democratico e trasparente. Purtroppo in Italia siamo di fronte ad una distruzione di fatto dei poteri del Parlamento, ormai considerato molto più un soggetto che deve seguire le decisioni del governo piuttosto che una sede di discussione e di decisione democratica.
Cosa può fare invece la giurisdizione?
La nostra Corte costituzionale, a mio avviso, è andata troppo in là nella cessione di sovranità giurisdizionale: ha accettato con troppa facilità il prevalere del dettato delle due Corti europee a volte anche sulle nostre stesse norme costituzionali. Auspico che la Consulta abbia modo di riconsiderare in gran parte alcuni principi che ha affermato a questo riguardo. L’esempio della Corte costituzionale tedesca mi pare significativo e va studiato con attenzione.
(Federico Ferraù)


CROCIFISSO/ 2. È la nostra Costituzione a "metterci al riparo" dalle Corti europee. Per ora - INT. Massimo Luciani - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
Non è solo questione di simboli religiosi, ma anche di quello che la giurisprudenza internazionale - e non solo «l’Europa» - può far valere in casa nostra. Il caso Lautsi, con il ricorso presentato dall’Italia e da molti altri stati europei, Russia compresa, contro la sentenza della Corte europea di Strasburgo del novembre scorso, ha il merito di far discutere su un problema che diversamente sarebbe per pochi addetti ai lavori. Fin dove può arrivare il diritto dell’Unione? Il sussidiario lo ha chiesto a Massimo Luciani, avvocato e costituzionalista.
Professore, qual è lo stato delle cose sul piano del diritto tra istituzioni nazionali sovrane e istituzioni internazionali, come la Corte di Strasburgo?
I rapporti tra ordinamento interno e ordinamento internazionale sono stati definiti, a partire dal 2001, con l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3, che ha modificato il titolo V della Costituzione. Il nuovo articolo 117, primo comma, stabilisce che anche la legislazione dello Stato, oltre a quella delle Regioni, deve rispettare le norme internazionali. Tutte le norme internazionali, anche quelle dei trattati. Questo significa che la legge statale che fosse in contrasto con la norma di un trattato internazionale sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione dell’articolo 117. Questo che le sto dicendo lo ha affermato la Corte costituzionale, interpretando il nuovo articolo 117 con le importanti sentenze 348 e 349 del 2007.
Questo per quanto riguarda i rapporti con il diritto internazionale. E per quanto attiene i rapporti col diritto comunitario?
Ormai da molti anni, facendo leva sull’articolo 11 della Costituzione, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha detto che il diritto comunitario entra direttamente nel nostro ordinamento e prevale addirittura sulle norme costituzionali. Con l’eccezione dei principi fondamentali della Carta costituzionale, che in caso di conflitto restano intangibili anche per il diritto comunitario. Se la norma comunitaria - europea è meglio dire, dopo che è entrato in vigore il Trattato di Lisbona -, o del trattato o di uno dei trattati che regolano il funzionamento dell’Unione, dovesse entrare in contrasto con uno di questi principi fondamentali, la Consulta potrebbe dichiarare illegittima la legge italiana che ha recepito il trattato nel nostro ordinamento.
Lei implicitamente afferma che la strada per limitare eventuali conflitti avvantaggia le Corti nazionali, è così?


Qui le opinioni sono varie. La maggior parte della dottrina ritiene che l’obiettivo problema di un difficile rapporto tra il diritto interno, il diritto internazionale e il diritto comunitario si possa risolvere soltanto con quello che si chiama il «dialogo tra le Corti», vale a dire un’interlocuzione continua tra la nostra Corte costituzionale, la Corte di giustizia delle comunità europee e la Corte europea dei diritti dell’uomo.
E questo «dialogo» è un’ipotesi plausibile?
È una strada. Ma una parte minoritaria della dottrina - e io ne faccio parte - invece ha dei dubbi che questo dialogo possa risolvere tutti i problemi, perché in alcuni casi le garanzie del diritto comunitario, le garanzie del diritto costituzionale e le garanzie del diritto convenzionale (cioè della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ndr) non coincidono. In tal caso ci possono essere frizioni irrisolvibili. E allora, a mio parere, il vero modo per risolvere queste frizioni sta soltanto nelle mani non della giurisdizione, ma della politica.
Quale dovrebbe essere, a suo modo di vedere, il ruolo della politica?
Quello di riprendere l’iniziativa e decidere cosa fare dell’integrazione europea, soprattutto: se rimanere al punto in cui ci troviamo, o addirittura arretrare, oppure evolvere verso forme di integrazione più robuste. Per esempio verso una vera e propria federazione o confederazione europea. Tanto che ci sia chiarezza sui veri valori fondanti della comunità che stiamo costruendo, perché oggi come oggi l’unica vera comunità politica che abbiamo a disposizione è quella nazionale. Ed è ancora quest’ultima, se le altre non lo sono in senso proprio, la legittima depositaria della sovranità.
Se le Corti sovranazionali applicano leggi cui manca un procedimento di genesi parlamentare, come si può colmare il loro deficit di legittimità?
In effetti le istituzioni internazionali, ma anche quelle comunitarie, hanno una limitata legittimazione democratica. È vero che il trattato di Lisbona ha conferito poteri più rilevanti al Parlamento europeo e agli stessi parlamenti nazionali nell’ambito del procedimento di costruzione del diritto comunitario, ma ancora ci troviamo lontani dal modello classico della democrazia rappresentativa per come è stato costruito nei paesi di democrazia matura. Non posso che tornare alla risposta che le ho dato prima: occorre una consapevolezza dei limiti dell’attuale processo di integrazione, e se ci fosse il consenso, una svolta decisa verso una più forte Europa politica e non soltanto economica.
Cosa insegna lo stop alla ratifica del trattato di Lisbona da parte della Corte costituzionale tedesca?
Credo che non sia uno stop e che vada esattamente nella direzione che le dicevo. Il tribunale federale tedesco ha sostanzialmente rilevato i limiti dell’attuale strategia di costruzione europea, sottolineando il fatto che ancora oggi non è garantito a livello comunitario il rispetto pieno del principio democratico. Ha quindi implicitamente sollecitato una visione politica più consapevole della possibilità di un approdo all’Europa politica. Resta fermo ovviamente che il tribunale federale tedesco non può decidere quello che solo i cittadini di un’Europa politica possono decidere.
Un provvedimento come il Protocollo 14, adottato per snellire l’enorme numero di procedimenti pendenti della Corte dei diritti, può conferirle più legittimità?
Non credo che il problema della legittimazione della CEDU sia quello della sua efficienza. La questione, una volta di più, è quella di quali sono i valori ai quali riteniamo di dover fare ultimo riferimento quando si registra un contrasto fra principi costituzionali fondamentali, norme convenzionali e norme europee. La mia posizione è che, visto che i valori nei quali una comunità politica si riconosce dovrebbero essere il frutto del libero confronto democratico interno a quella comunità, il riferimento ultimo dovrebbe essere sempre a quelli costituzionali di ciascun ordinamento statale. Quando, invece, il contrasto non si verifica, lo spazio per le giurisdizioni internazionali e sovranazionali è, ovviamente, più ampio.
(Federico Ferraù)


FINE VITA/ Così la lobby dell'eutanasia vince in Germania e tenta di condizionare l'italia - Paola Binetti - mercoledì 30 giugno 2010 – ilsussidiario.net
Alla Camera oggi riprenderà in XII Commissione il dibattito sul disegno di legge da tutti conosciuto con il nome di testamento biologico. Dopo oltre un anno di discussioni a cui tutti i membri della commissione, nessuno escluso, hanno partecipato con grande passione e con una forte tensione etica, oggi dovrebbero arrivare i pareri delle altre commissioni, essenziali per portare in aula uno dei disegni di legge più discussi nelle ultime tre legislature. Ma la sentenza appena emessa in Germania non sarà indifferente in quest’ultimo passaggio del nostro ddl.

La Germania solo un anno fa aveva licenziato il suo testo di legge sul testamento biologico fissando due punti chiave: il diritto del malato a rifiutare qualsiasi tipo di cura, anche se salvavita, e il carattere assolutamente vincolante delle volontà del malato. Sembrava un testo di legge equilibrato, anche perché la Germania è sempre molto prudente su questi temi, data la triste memoria del famoso Aktion 4, in cui la dolce morte venne applicata sistematicamente su larga scala. Ma la sentenza di pochissimi giorni fa modifica profondamente la chiave di lettura di quella legge, esce dall’ambiguità e si schiera a favore della depenalizzazione dell’eutanasia.


Assimilando nutrizione e idratazione ad un qualunque trattamento medico, ne consente la sospensione e quindi rende possibile con un rapporto di causalità diretta che il paziente muoia. Perché non c’è dubbio che alcuno che senza nutrizione e idratazione il paziente muore, con una morte più o meno drammatica a seconda dei farmaci che ne attenuano le sofferenze e la rendono più pietosa, più simile al senso stesso delle parole: la dolce morte.
Il quesito che siamo sollecitati a porci ancora una volta è sempre lo stesso: quale ragione può mai spingere un uomo ad intervenire attivamente per sospendere la vita di un’altra persona? È sufficiente che questa persona abbia manifestato il desiderio di non voler più vivere in determinate condizioni per causarne la morte? Il caso tedesco riguarda concretamente un avvocato che aveva “consigliato” alla figlia di una donna in stato vegetativo da oltre 5 anni, di sospendere la nutrizione della madre “staccando il sondino” che la teneva in vita.
In quel caso i medici, accortisi del gesto della figlia, avevano ripristinato la nutrizione e l’idratazione, e la donna era morta dopo pochi giorni per cause – almeno apparentemente - non riconducibili al gesto della figlia. L’avvocato era stato condannato a nove mesi in prima istanza ed è stato assolto proprio in questi giorni.
Non c’è dubbio che questa sentenza influenzerà in modo non indifferente anche il dibattito italiano, mostrando oltre ogni ragionevole dubbio dove ci può portare l’assimilazione di nutrizione e idratazione a un qualunque trattamento medico, per poi consentire di farne una delle decisioni che una persona può sottoscrivere anche molti anni prima di ammalarsi, vincolando il medico ad una sua stringente applicazione.
La Corte federale di giustizia in Germania si è in definitiva arresa davanti al pressing dei fautori dell’eutanasia, perché non c’è dubbio che c’è una sorta di lobby dell’eutanasia, che in nome del principio di autodeterminazione pretende di imporla a livello di tutte le legislazioni europee.
L’avvocato Wolfang Putz conosceva bene quali sarebbero state le conseguenze del suo consiglio alla figlia di Erika Kulmer, ed ha voluto creare una volta di più attraverso un caso a forte impatto drammatico le premesse indispensabili per ottenere una sentenza favorevole all’eutanasia, sollecitando la depenalizzazione del reato da lui commesso.
Un reato apparentemente così innocente com’è un consiglio, ma così pesante da convertirsi nella morte della signora Kulmer. Anche su questo rifletteremo oggi in XII commissione, e presto in tutta l’aula del Parlamento. Ci sono ragioni importanti che obbligano ad una prudenza sempre più vigilante e richiedono una chiarezza estrema nei termini giuridici che il ddl utilizzerà. Il punto chiave resta una volta di più il giusto bilanciamento tra volontà individuale, responsabilità del medico e valori di riferimento per l’uno e per l’altro.
E in questa chiave la nostra legge potrebbe contribuire ad invertire una linea di tendenza culturale che, sulla scia di una discutibile pietà e di un ancor più discutibile assolutizzazione della libertà individuale, si sposta sempre più pericolosamente verso una potenziale eliminazione di pazienti non più in grado di intendere e volere.


Avvenire.it, 30 giugno 2010 - La chiesa che soffre - Orissa, violenze sui cristiani - Prima condanna «politica» - Stefano Vecchia
La condanna a sette anni di carcere duro inflitta ieri a Manoj Pradhan dal tribunale di Phulbani, uno dei due che in Orissa giudicano per direttissima i responsabili delle violenze del 2008 in Kandhamal, è la prima ad alto livello di un politico. I capi d’imputazione contro Pradhan riguardavano l’assassinio di Parikhita Digal, un cristiano del villaggio di Budedi e le azioni compiute dagli estremisti da lui guidati. Determinante per la condanna è stata la testimonianza della figlia dell’ucciso, una bambina che all’epoca dei fatti aveva quattro anni che ha indicato senza alcun tentennamento nell’esponente politico l’uomo che aveva versato kerosene sul padre dandogli fuoco.

Su Pradhan pendono altri sette procedimenti giudiziari, di cui tre per omicidio e uno per lo stupro, il 27 agosto 2008, di una suora. Dal carcere, Pradhan ha partecipato alle elezioni del maggio 2009. Eletto come rappresentate del Bharatiya Janata Party nel distretto di Udaigiri, dal dicembre 2009 ha partecipato sotto il regime di libertà vigilata alle riunioni del Parlamento locale.

Proprio grazie a personaggi come Pradhan si deve anche un fenomeno le cui dimensioni vanno dischiudendosi proprio in questi giorni. Si tratta della rete di scuole fondate e gestite, in particolare, dal Rashtriya Swayamsevak Sangh (Corpo dei volontari nazionali), uno dei movimenti capofila dell’hinduttva (induità), ovvero dei fautori di «un’India per i soli indù» di cui il Bharatiya Janata Party è la maggiore espressione politica nel Paese.

«L’Rss è alla guida del movimento che va penetrando con successo il sistema scolastico, sia alla base, aprendo un gran numero di scuole, sia ai vertici del sistema educativo controllandone varie commissioni», dice il rapporto preparato da Angana Chaterjee, docente di Antropologia sociale e culturale all’Istituto di studi integrali della California. Dal 1978, il movimento fondamentalista e xenofobo ha aperto quasi 800 scuole, dotandole di 12mila insegnanti. Questa iniziativa, inizialmente mutuata, come altre di carattere educativo e sociale, dalla prassi del cristianesimo, ha di fatto superato di gran lunga simili iniziative di matrice cristiana e oggi ne minaccia direttamente o indirettamente l’esistenza. «Una intera generazione sta crescendo secondo l’indottrinamento dell’hinduttva: una strategia deviante che insegna ai giovani l’odio», prosegue lo studio della Chatterjee, che sottolinea come oggi su 10 studenti che accedono agli studi medi nell’Orissa, 55 escono da questo sistema scolastico parallelo cresciuto tra l’indifferenza del governo centrale.
Stefano Vecchia


Unioni civili, è polemica dopo lo strappo di Torino - Sì a un regolamento per le coppie di fatto «Ma solo le Camere possono legiferare» - DA TORINO ALEX VITTONE – Avvenire, 30 giugno 2010
Anche Torino 'strappa' e riconosce le u nioni civili. Dopo mesi di complesse trat tative, che hanno messo a dura prova la tenuta della maggioranza di centrosinistra, il Consiglio comunale ha approvato lunedì sera la delibera di iniziativa popolare sulle unioni di fatto. D’ora in avanti gli impiegati dell’anagrafe potranno rilasciare un certificato con cui rico noscono un attestato di famiglia anagrafica ba sata sul 'vincolo affettivo'. Un documento che permetterà, a chi ne farà richiesta, di accedere ai diritti e ai benefici previsti dall’amministra zione comunale. Ovvero casa, sanità e servizi sociali, giovani, genitori e anziani, sport e tem po libero, formazione, scuola e servizi educati vi, diritti e partecipazione. Giunge così a destinazione l’iter amministrati vo che era scattato nel febbraio dello scorso an no, quando la delibera di iniziativa popolare pro mossa da Radicali e associazioni Glbt, e sotto scritta da 2.582 cittadini, era stata consegnata nelle mani del presidente del Consiglio comu­nale, Giuseppe Castronovo. Da allora non sono mancate le polemiche, che a tratti hanno as sunto anche toni accesi. Rinvii su rinvii, ap profondimenti, dietrofront e discussioni a non finire, come quando nello scorso febbraio il sin daco Sergio Chiamparino ha partecipato all’u nione tra due donne, suscitando inevitabili cri tiche. E poi mozioni, correzioni ed emenda menti. L’ultima mossa, decisiva per il via libera della Sala Rossa, è stata quella proposta da Do menica Genisio, consigliere comunale cattolica del Pd, che ha eliminato dal titolo della delibe ra le parole 'pari opportunità'. Resta quindi sol­tanto la frase 'riconoscimento delle unioni ci vili'. In realtà, si è trattato di un modo per veni re incontro alle rivendicazioni avanzate dai con viventi, anche quelli dello stesso sesso, senza però stabilire pari opportunità con il matrimo­nio.

Così licenziato, il provvedimento ha ottenuto l’ok del Consiglio comunale con 24 voti favore voli, tra cui quello dei cattolici del Pd. I no sono stati 3, gli astenuti 4, mentre Pdl e Lega hanno disertato la seduta consiliare perché impegnati a partecipare in massa alla fiaccolata contro i ri corsi alla giustizia amministrativa che potreb bero mandare a gambe all’aria l’elezione del le­ghista Roberto Cota alla presidenza della Re gione Piemonte. I dubbi sull’efficacia del provvedimento, in realtà, sono molti. Per il consigliere dell’Api, l’Al leanza per l’Italia, Gavino Olmeo, «è il Parla mento che deve legiferare sulla materia e il cer tificato anagrafico basato sul vincolo affettivo cadrà al primo ricorso alla giustizia ammini strativa ». Il centrodestra parla di «farsa giuridi ca » e di «presa in giro delle situazioni che inve ce si vorrebbero tutelare». Esulta invece il Co mitato per le unioni civili, secondo cui si tratta di un «primo passo nella direzione giusta». Per il capogruppo del Pd, Andrea Giorgis, è un atto dal valore «simbolico e politico, che non gene ra confusione con il matrimonio». L’Udc evoca l’articolo 29 della Costituzione, che dice che la famiglia è società naturale fondata sul matri monio, e ricorda che la Carta «non si può invo care a corrente alternata». Su un totale di 449.714 famiglie, sotto la Mole quelle composte da due persone – quasi tutte coppie di fatto – sono 10.577, mentre i nuclei con almeno un convivente – ovvero coppie di fatto con figli – sono 21.516. Sommate tra loro, si tratta di oltre 32mila 'famiglie', tra cui 505 coppie gay, che potrebbero usufruire della nuo va norma.