martedì 30 settembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Contro il mercato della fame e della sete - Alla base degli aumenti dei prezzi del cibo ci sono non solo i fondamentali dell'offerta ma anche una forte speculazione... - di Giulio Tremonti, Ministro dell'Economia, Corriere della Sera, 28 settembre 2008
2) Pio XII, beato e dottore della Chiesa? - Un libro rivela il contributo teologico e pastorale di Papa Pacelli
3) Vescovi USA: 5 chiavi per porre fine alla crisi finanziaria - Esortano alla responsabilità per le scelte compiute
4) Una legge che non riguardi il testamento biologico - commento di Carlo Casini, già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, nonché Presidente del Movimento per la Vita italiano.
5) Il sangue dei martiri contro la seduzione del maligno - Il Cardinale Caffarra spiega la guerra tra San Michele e il drago
6) Shanà Tovà Umetukà! A nome di tutti voi voglio augurare un Buon Capodanno agli amici ebrei e al popolo d’Israele.
7) 30/09/2008 13:30 – KAZAKISTAN - Ad Astana, il parlamento sta approvando una legge per la “non-libertà religiosa”
8) La laicità positiva è aperta alla religione e si pone in dialogo con chi la professa; la laicità negativa la esclude, l’avversa, in quanto la ritiene causa di mali – dal sito CulturaCattolica.it
9) Vita e percezione della vita... 6 – Il paradosso dell’entropia nei viventi. - Autore: Keller, Flavio Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it
10) Borsa e valore - Giorgio Vittadini - martedì 30 settembre 2008 – IlSussidiario.net
11) PA/ Entra nel vivo la fase 2 del piano Brunetta, il primo passo per un’amministrazione sussidiaria - Roberto Albonetti - martedì 30 settembre 2008 – IlSussidiario.net
12) SCUOLA/ La lezione di Benedetto XVI sulla libertà di educazione - Associazione Foe - martedì 30 settembre 2008 – IlSussidiario.net
13) SERVIZI/ Quando il non profit non è più un optional - Alceste Santuari - martedì 30 settembre 2008 – IlSussidiario.net
14) MATEMATICA/ Quel numero primo non sarà l'ultimo ad essere scoperto - INT. Giovanni Naldi - martedì 30 settembre 2008 – IlSussidiario.net
15) 30 settembre 2008 - La rivolta di repubblicani e democratici affonda il piano di salvataggio pubblico di Wall Street - No al “socialismo in un solo paese” - La socializzazione delle perdite considerata unamerican. Le conseguenze – Giuliano Ferrara dal Foglio.it
16) Avviso: Diego Manetti, un mio amico, editor di saggistica religiosa, a partire da Sabato 4 ottobre comincia una trasmissione su Radio Maria dal titolo "Sulle tracce di Maria". Un percorso attraverso i più importanti santuari mariani (italiani e non) per ripercorrere, tramite essi, i passi di quel cammino che la Madonna ha tracciato tra gli uomini nel corso dei secoli con apparizioni e messaggi che hanno suscitato decise e significative risposte in termini di fede e di devozione popolare. L'appuntamento sarà per ogni primo sabato del mese, dalle 22,45 alle 24,00. La trasmissione prevede la possibilità di intervenire in diretta con telefonate da casa (031.610.610).



Contro il mercato della fame e della sete - Alla base degli aumenti dei prezzi del cibo ci sono non solo i fondamentali dell'offerta ma anche una forte speculazione... - di Giulio Tremonti, Ministro dell'Economia
Caro direttore,
1) Eravamo nel mondo circa 1 miliardo di persone, all'inizio del '900. Eravamo circa 2,5 miliardi, a metà del '900. Siamo circa 6,5 miliardi, all'inizio di questo secolo. Saremo in previsione più di 9 miliardi, prima della fine di questo secolo. Contrariamente a un'impressione che si sta ormai diffondendo, le previsioni economiche sono ancora affidabili, ma solo se basate sui grandi numeri e proiettate sulla dimensione temporale della lunga durata, da un decennio all'altro. Dati questi dati: cosa dire sull'oggi? Cosa prevedere per domani? Cosa fare?
Quindici, ancora dieci anni fa, poco più di 1 miliardo di persone aveva più dell'80% della ricchezza prodotta nel mondo. Oggi, tra quel poco più di 1 miliardo ed i restanti più di 5 miliardi, la ricchezza che si produce nel mondo è divisa a metà: 50%; 50%. Non è solo un differenziale demografico, economico, quantitativo. E' un differenziale politico. Un differenziale ad alta intensità politica. Quindici, ancora dieci anni fa, la parte ricca del mondo era unificata da un proprio e dominante codice di potere: un unico codice economico e monetario, linguistico e politico, fatto dall'ideologia del mercato e del dollaro, dalla lingua inglese e dal G7. Questo ordine si è rotto, nel corso dell'ultimo decennio. Il vecchio codice di dominio è entrato in crisi, tanto al suo interno quanto al suo esterno, a fronte del nuovo mondo che è emerso un po' dappertutto fuori dal vecchio perimetro del G7. Un mondo caotico e anarchico nella sua espressione d'insieme, fatta da sistemi e sottosistemi sociali ed economici, ideologici e politici, tra di loro fortemente differenziati: democrazie emergenti, che replicano alternativamente gli elementi migliori o peggiori dell'Occidente; Stati che ibridano insieme comunismo e mercato; Stati che esprimono e proiettano insieme neo-imperialismo e paleo-mercantilismo; Stati che sono ancora più feudali che sovrani. L'effetto di insieme, l'effetto complessivo è quello di una forte instabilità. Instabilità già in atto; e soprattutto instabilità in potenza. L'arte di «prevedere il futuro», l'arte di fare la «storia del futuro» è un'arte ricorrente. L'offerta di catastrofismo è una costante storica, ma nella sua intensità conosce cicli alterni di alto, medio, basso. Un'arte che in specie si intensifica nelle fasi di crisi, fino agli scenari catastrofici dell'iperconflitto, del nomadismo, del cannibalismo. Qui cerchiamo di essere più costruttivi. L'accaduto non può essere evitato. E' l'inevitabile che può essere evitato. In questa prospettiva, cibo e acqua sono elementi essenziali e strategici. Rappresentiamoli in negativo, per capire più a fondo quanto contano: non cibo, uguale fame; non acqua, uguale sete.
2) Non cibo alias fame. Entro il 2030 la domanda alimentare crescerà del 50%. In particolare, negli ultimi tre anni, i prezzi alimentari sono globalmente cresciuti dell'83%. Solo nel 2007 il prezzo del pane è aumentato del 77%, quello del riso del 16%. Nel 2008 la tendenza non si è invertita. E' solo un po' rallentata. Alla base di questi movimenti e dei loro scarti improvvisi ci sono solo i fondamentali della domanda e dell'offerta o c'è anche la speculazione, la peste del XXI secolo? Per me (non solo per me) c'è anche e forte la speculazione. Ma comunque, anche ragionando solo in termini convenzionali di domanda e di offerta, c'è qualcosa di più. E' questione di equilibri e di velocità sostenibile. La globalizzazione, fatta di colpo e a debito, è stata come aprire un vaso di Pandora, liberando forze che ora non sono facili da controllare. In ogni caso, sul cibo si è creata un'enorme asimmetria, tra l'Occidente e il resto del mondo. Un'asimmetria che è insieme culturale ed esistenziale. A) In Occidente, sul cibo si ragiona in termini lievi, postmoderni. Corriere della Sera del 24 settembre 2008: «Industria del benessere: è record!». Sole 24 Ore del 21 settembre 2008: «Magrezza di Stato» (su: Beker e Posner, Should the State regulate the fast food industry?).
In Occidente la questione del cibo viene in specie vissuta e presentata come un misto tra buone pratiche di igiene sanitaria (è così un po' il verificarsi della profezia di G.B. Shaw: l'igiene diventerà la religione del mondo contemporaneo), pose radical-chic, idee psudoscientifiche, furbizie commerciali, prospettive di risparmi pubblici nella spesa per il welfare. Ancora ieri si auspicava in Europa un aumento dei prezzi per incentivare gli agricoltori a produrre minori quantità, ma di migliore qualità, etc... E via via con scemenze simili. Soprattutto c'è il dilemma, l'enigma tragico dei biocarburanti: sono un target europeo positivo e progressivo o sono un crimine contro l'umanità? B) Nel resto del mondo non è esattamente così. La fame ha fenomenologia e geografia nuove, diverse da quelle tradizionali. La fame non riguarda più solo le aree da sempre povere, o le aree colpite periodicamente da siccità o da eventi bellici. La fame è insieme più estesa e più discontinua di prima. Ed essa stessa può essere, si avvia a essere, non solo l'effetto ma anche la causa di guerre. E' anche questo un lato oscuro della globalizzazione. Per fare un bilancio consolidato della globalizzazione è ancora troppo presto. Nella parte del mondo non «beneficata» dalla globalizzazione non tutti vivono comunque meglio, molti vivono ancora peggio di prima; perché, con i nuovi prezzi, non basta più neanche quel mezzo dollaro che prima «bastava».
3) Non acqua, alias sete. La domanda globale di acqua è triplicata negli ultimi 50 anni e si prevede che crescerà di un ulteriore 25% nel 2030. Almeno 500 milioni di persone vivono in aree che strutturalmente e permanentemente mancano di acqua. Per il 2050 è previsto che salgano a 4 miliardi. Da sempre acqua significa vita e salute. Lo sapevano bene gli antichi romani, con il loro motto Salus per acquas, con i loro acquedotti e le loro terme. Prima dei romani, vi era la Bibbia. L'acqua nella Bibbia non è solo una presenza fisica, sospirata e preziosa, ma è soprattutto e non per caso un simbolo spirituale. Sono almeno 1.500 i passi biblici «bagnati» dalle acque. Passi nei quali ci si imbatte in sorgenti, fiumi, mari, laghi, ma anche in piogge, nevi, rugiade, pozzi, cisterne, acquedotti, piscine, bagni, torrenti, imbarcazioni, pesci, pescatori. L'acqua racchiude valori simbolici fondamentali al punto da trasformarsi in un segno stesso di Dio e della sua parola. L'acqua rivela anche un profilo terribile, di giudizio e di distruzione: pensiamo solo al diluvio o, più semplicemente, al mare che nella Bibbia è visto come un simbolo del nulla, del caos, della morte. E' scritto nell'Apocalisse: «Il mare non c'era più [...]. Un fiume d'acqua viva, limpida come cristallo, scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello [...]. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita» (21,1.6; 22,1). Quel Dio, che aveva dissetato il suo popolo nel deserto, offrirà allora una «sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Giovanni 4,14).
Da sempre la civiltà dipende dalla disponibilità di acqua. E' stato detto, correttamente, che l'acqua è più importante del petrolio. In un prossimo futuro sarà possibile sostituire il petrolio con altre fonti di energia, come quella nucleare o quella solare. Ma non sarà mai possibile sostituire l'acqua. La disponibilità di acqua, va da sé, è essenziale per aumentare la produzione agricola in modo da corrispondere all'incremento della popolazione mondiale. A differenza del cibo, l'acqua sta diventando una risorsa scarsa, anche nei Paesi sviluppati. Vi sono innumerevoli segnali. Ad esempio, quest'anno per la prima volta 18 milioni di californiani hanno dovuto subire un forte razionamento delle forniture idriche. Stiamo parlando della parte del mondo più ricca e più innovativa dal punto di vista tecnologico. Ma tutto ciò evidentemente non è bastato. Il progresso tecnologico potrà indubbiamente aiutare nel trovare nuove risorse idriche e, soprattutto, nell'usare più efficientemente quelle esistenti. Ma il problema non è soltanto tecnologico o risolvibile solo con la scienza. E' un problema anche politico, ed anche morale.
4) Cibo e acqua non sono una merce qualsiasi, una commodity qualsiasi da lasciare al mercato secondo la logica del profitto. La logica del profitto può senz'altro favorire un'allocazione efficiente delle risorse. Ma l'efficienza economica ha poco o nulla a che fare con il soddisfacimento dei bisogni primari di chi — regione geografica o classi di cittadini — non dispone delle risorse economiche necessarie per pagare prezzi di mercato.
La logica del mercato va correttamente applicata per rendere cibo e acqua più disponibile per tutti, in modo efficiente e senza sprechi. Ma non deve essere applicata per rendere il cibo e l'acqua un nuovo e formidabile strumento per conseguire profitti privati di monopolio o rendite di posizione. Come per il cibo, anche per l'acqua sta finendo l'illusione pluridecennale di una crescente disponibilità a prezzi sempre più bassi. I governi hanno il dovere di adottare le misure necessarie affinché l'acqua non diventi una ragione di separazione sociale tra ricchi e poveri, che si tratti collettivamente di interi Paesi o individualmente di cittadini, all'interno dei vari Paesi. Serve per questo il principio di una nuova governance del mondo. E' per questo che, nel suo grande respiro, si condivide pienamente il discorso fatto il 23 settembre 2008 per l'Europa, all'Assemblea generale delle Nazioni Unite dal presidente della Repubblica francese: «La comunità internazionale ha una responsabilità politica e morale che noi dobbiamo assumere... non possiamo governare il mondo di oggi, quello del XXI secolo, con le istituzioni del XX secolo... Abbiamo un secolo di ritardo... Non possiamo più aspettare... a trasformare il G8 in G14, per farvi entrare la Cina, per farvi entrare l'India, per farvi entrare l'Africa del Sud, il Messico, il Brasile. L'Italia propone un grande passo in questa direzione fin dal prossimo vertice che ospiterà. L'Italia ha ragione!». Nel 2008 il suo anno di Presidenza del G8, l'Italia intende proprio andare avanti invitando tutti gli altri Paesi a compiere insieme un passo avanti verso il futuro. Un futuro che può e deve essere migliore del presente.
Corriere della Sera 28 settembre 2008


Pio XII, beato e dottore della Chiesa? - Un libro rivela il contributo teologico e pastorale di Papa Pacelli
di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 30 settembre 2008 (ZENIT.org).- “Per la sua saggezza, profondità teologica e zelo pastorale, Pio XII dovrebbe essere proclamato non solo beato ma anche dottore della Chiesa”. E' quanto propone monsignor Vitaliano Mattioli, docente della Pontificia Università Urbaniana e autore del libro “L’eredità di Pio XII” (Edizioni “Fede & Cultura”).
Monsignor Mattioli, autore di 15 libri e 30 saggi sui temi di storia e bioetica, rivela la grandezza, teologica e pastorale di Pio XII, attraverso l’analisi di alcune encicliche, radiomessaggi e discorsi.
Intervistato da ZENIT, il professore che tiene conferenze anche presso la Pontificia Università Cattolica “Rainha do Sertao” in Brasile, ha spiegato che in molti hanno ridotto il pontificato di Pio XII al rapporto con gli ebrei.
“Seppure la sua opera di assistenza e carità fu straordinaria – ha precisato – si è tenuto poco conto del contributo teologico e pastorale di Pio XII”.
“Pacelli non è stato solo un Pontefice solido dal punto di vista dottrinale – ha aggiunto –. E’ infatti notevole il suo contributo al Concilio Vaticano II”
“Il Cardinale Roncalli fu eletto Pontefice alla fine di ottobre del 1958, e già il 25 gennaio del 1959 aprì il Concilio Vaticano II. Tutti rimasero meravigliati per la tempestività, perché non sapevano che Pio XII aveva preparato tutto”, ha rivelato il prelato.
“Il Cardinale Roncalli – ha aggiunto – faceva parte della commissione dei lavori preparatori al Concilio, che Pacelli già anziano e malato, non sarebbe stato in grado di aprire e gestire”.
Inoltre, Pio XII pensava che il Concilio si dovesse tenere solo dopo un lungo periodo di preparazione del clero.
“La dottrina del Concilio – ha sottolineato monsignor Mattioli – fa riferimento ai documenti preparati da Pio XII. La maggior parte delle citazioni dei documenti del Concilio, il 44%, è di Papa Pacelli”.
Secondo il professore dell’Urbaniana, Pio XII fu “profetico anche sui temi della bioetica”.
“Molti dei temi che affrontò erano assolutamente futuristici, come la fecondazione in vitro e l’inseminazione. Eppure fu in grado di indicare i criteri per valutare con saggezza e rigore i problemi di bioetica”.
“Non è un caso – ha sottolineato il professore – che i padri che hanno elaborato documenti come la Donum Vitae e l’enciclica Evangelium vitae, si sono rifatti alla dottrina e ai fondamenti morali indicati da Pio XII”.
Alla domanda circa le accuse rivolte a Papa Pacelli di essere stato poco sensibile ai temi sociali, perché non avrebbe scritto nessuna enciclica in merito, monsignor Mattioli ha replicato che “in realtà Pio XII era sensibilissimo ai temi sociali ed ha scritto tantissimi discorsi e fatto interventi sui temi del lavoro, delle professioni, delle condizioni dei bisognosi”.
In particolare, c’è un discorso in cui si raccomanda ai Vescovi tedeschi e al clero in generale di “dare il giusto stipendio ai collaboratori laici che lavorano nelle nostre diocesi, perché a volte è l’unica risorsa che hanno per mantenere la famiglia”.
Parlando ai farmacisti Pio XII si raccomandò “di tenere bassi i prezzi delle medicine, perché altrimenti molta gente non le avrebbe potute comprare”.
“Papa Giovanni XXIII ha aumentato gli stipendi dei dipendenti del Vaticano, ma pochi sanno che la decisione, le previsioni in bilancio ed i calcoli erano già stati fatti da Papa Pacelli. Il beato Giovanni XXIII ha attuato quello che Pio XII aveva preparato”.
“Papa Pacelli – ha ribadito monsignor Mattioli – era un Pastore estremamente sensibile alle condizioni del suo gregge. Ascoltava tutti e si commuoveva. Dopo le udienze, che erano due a settimana, il mercoledì e il sabato, si era fatto preparare una stanzetta per confessare la gente”.
“Tornava con le mani ferite, perchè la gente gliele stringeva e le baciava. Era sorridente, paterno, sereno, trasmetteva un'armonia celeste, era chiaramente un uomo di Dio. Quando morì il 9 ottobre 1958, la Radio Tedesca disse: 'Un faro si è spento sul mondo'”.
“Era intelligentissimo – ha continuato il prelato –. Fino al 1954 quando la sua salute cominciò a vacillare a causa del male allo stomaco, non leggeva mai i discorsi, li scriveva e li ripeteva a memoria, in diverse lingue. In alcuni casi si trattava di discorsi lunghi fino a trenta cartelle. Li scriveva lui perché diceva: ‘se li scrivo me li ricordo’”.
“Insomma – ha concluso monsignor Mattioli – Pio XII è stato un faro che ha illuminato l’umanità in periodi molto cupi della storia. Possa questa luce vieppiù risplendere per indicare ancora all’uomo di oggi la retta via da seguire per non cadere nelle fitte tenebre dell’errore”.


Vescovi USA: 5 chiavi per porre fine alla crisi finanziaria - Esortano alla responsabilità per le scelte compiute
WASHINGTON, D.C., martedì, 30 settembre 2008 (ZENIT.org).- Di fronte alla crisi finanziaria che attraversa gli Stati Uniti, i Vescovi del Paese propongono una serie di misure per porre fine alla difficile situazione.
In una lettera inviata venerdì ai leader governativi, il Vescovo William Murphy di Rockville Centre, New York, Presidente del Comitato per la Giustizia Interna e lo Sviluppo Umano della Conferenza Episcopale, ha esortato a prendere in considerazione cinque principi chiave per far fronte alla crisi dell'economia.
Dopo aver assicurato le preghiere dei presuli per la situazione attuale, che ha definito “molto allarmante ed estremamente complicata”, ha quindi affermato che “la nostra fede e i nostri principi morali possono aiutare a guidare la ricerca di risposte giuste ed efficaci al disordine economico che minaccia il nostro popolo”.
La prima chiave che il Vescovo Murphy ha proposto è il fatto di prendere in considerazione le “dimensioni umane e morali” della crisi.
“Gli accordi, le strutture e i rimedi economici dovrebbero avere come obiettivo fondamentale la salvaguardia della vita e della dignità umane”, ha osservato. Una “scandalosa ricerca di un tornaconto economico eccessivo”, al punto da esacerbare i più vulnerabili, è un esempio di “un'etica economica che pone il guadagno al di sopra di tutti gli altri valori”, ha avvertito.
“Ciò ignora l'impatto delle decisioni economiche sulla vita della gente, così come la dimensione etica delle scelte che compiamo e la responsabilità morale che abbiamo per il loro effetto sulle persone”, ha scritto il Vescovo Murphy.
In secondo luogo, il presule di New York ha chiesto “responsabilità”.
“Ovviamente – ha constatato –, servono misure efficaci che affrontino e modifichino gli atteggiamenti, le pratiche e gli errori di valutazione che hanno portato alla crisi. [...] Quanti hanno contribuito direttamente a questa crisi o ne hanno tratto profitto non dovrebbero essere ricompensati o sfuggire alla responsabilità per il male che hanno commesso”.
Ad ogni modo, ha ricordato esponendo il terzo punto chiave, il mercato avrà sempre “vantaggi e limitazioni”.
“Ci sono bisogni umani che non trovano posto nel mercato”, ha riconosciuto. “E' un dovere di giustizia e verità non permettere che i bisogni umani fondamentali restino insoddisfatti”.
A questo proposito, ha chiesto un “rinnovamento degli strumenti di monitoraggio e di correzione all'interno delle istituzioni economiche e dell'industria finanziaria, così come l'efficacia di una regolamentazione e di una protezione pubblica nella misura in cui sia chiaramente necessario”.
“Solidarietà e bene comune” è il quarto principio proposto dal presule.
“Il principio della solidarietà ricorda che ci troviamo insieme in questa situazione e ci avverte del fatto che la preoccupazione per gli interessi ristretti può solo peggiorare le cose”, ha spiegato. “Il principio della solidarietà ci impegna a perseguire il bene comune, non la ricerca del guadagno personale o del vantaggio economico”.
Il Vescovo Murphy ha infine richiamato il principio della sussidiarietà.
“La sussidiarietà dà agli attori e alle istituzioni private la responsabilità di accettare i propri doveri”, ha dichiarato. “Se non lo fanno, allora le entità maggiori, incluso il Governo, dovranno intervenire per fare che ciò in cui le istituzioni private hanno fallito”.
Il Vescovo ha concluso ricordando le parole dell'Enciclica Centesimus annus, in cui si dice che la tradizione cattolica chiede una società basata sul lavoro e sulla partecipazione che non è direttamente contro il mercato, ma chiede che questo sia adeguatamente controllato dalle forze della società e dallo Stato per assicurare che i bisogni fondamentali dell'intera società siano soddisfatti.
Questo pensiero di Giovanni Paolo II, ha osservato, “dovrebbe essere adottato come standard per tutti coloro che hanno questa responsabilità per la nostra Nazione, il mondo e il bene comune di tutti”.


Una legge che non riguardi il testamento biologico - commento di Carlo Casini, già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, nonché Presidente del Movimento per la Vita italiano.
ROMA, lunedì, 29 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica il commento di Carlo Casini, già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, nonché Presidente del Movimento per la Vita italiano.
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Nel libro "Testamento biologico, quale autodeterminazione?" insieme agli altri coautori (Marina Casini e Maria Luisa di Pietro) espressi un giudizio nettamente negativo sulla ipotesi di una legge a favore del “testamento biologico”. In effetti, se viene attribuito valore vincolante all'eventuale rifiuto di terapie salvavita, il relativo documento, quale che sia il nome attribuitogli, implica l'incrinatura dei principi di indisponibilità della vita umana e, dunque, l'accettazione dell'eutanasia. Ma anche se viene esclusa la vincolatività, se, cioè, in ultima analisi il medico resta libero d'agire in scienza e coscienza di fronte al malato divenuto incapace di intendere e di volere, una legge che introduca il “testamento biologico” mi parve pericolosa. Infatti è vero che se non hanno carattere obbligatorio le dichiarazioni anticipate sembrano innocue, ma in realtà nel contesto politico e culturale attuale, formalizzate in una legge, potrebbero essere utilizzate in funzione propagandistica per rafforzare le tendenze eutanasiche. D'altronde il libro fu pubblicato nell'agosto 2007, quando un eventuale dibattito parlamentare dava poca speranza di un esito che confermasse senza equivoci la indisponibilità della vita. Era dunque pericoloso favorirne l'avvio.
Oggi, peraltro, si chiede con sempre maggiore insistenza una legge sul “Testamento biologico” anche da parte di alcuni che fino a pochi mesi fa non ne volevano neppure sentire parlare. Quanto meno è diffusa una incertezza. Che cosa è accaduto di nuovo? Da un lato si osserva che con l'inizio della XVI legislatura la maggioranza parlamentare dovrebbe resistere meglio alle tendenze eutanasiche, dall'altro si ritiene che soltanto una legge può evitare che Eluana Englaro sia fatta morire per "fame e per sete". Il caso di Eluana è esploso nel luglio 2008, quando un decreto della Corte d'Appello di Milano, in attuazione di una precedente sentenza della Corte di Cassazione, ha autorizzato la rimozione del sondino naso-gastrico attraverso il quale la giovane donna riceve cibo e acqua. Questa conclusione di una lunghissima vicenda giudiziaria, nella quale sono intervenute ben nove decisioni (per sette volte i giudici avevano impedito la morte di Eluana), ha commosso l'opinione pubblica. Giuliano Ferrara ha promosso una protesta popolare con il gesto di collocare bottiglie d'acqua sul sagrato del Duomo di Milano; il Movimento per la vita ha presentato un esposto alla Procura generale di Milano affinché venisse promosso un nuovo ricorso alla Cassazione per bloccare l'esecutività del precedente decreto; il Senato e la Camera hanno chiesto alla Corte Costituzionale di pronunciarsi su un asserito "conflitto di attribuzioni", annullando le ultime decisioni giudiziarie sul presupposto che i giudici abbiano invaso un campo riservato al legislatore.
Intanto Beppino Englaro, padre e tutore di Eluana, continua a cercare un presidio sanitario dove la figlia sia lasciata morire. In questa situazione - si dice - per salvare con sicurezza Eluana, c'è bisogno di una legge. Infatti, le strade giudiziarie aperte - ricorso alla Cassazione e conflitto di attribuzione - sono di esito incerto e quand'anche portassero all'annullamento della sentenza e del decreto che ha autorizzato la morte di Eluana, con ogni probabilità solleciterebbero con accresciuta intensità l'intervento del legislatore. Sono anch'io d'accordo che soltanto una legge può dare sicurezza di vita ad Eluana, ma sono altrettanto convinto della impossibilità pratica di discutere in Parlamento su Eluana senza affrontare alla radice il tema del “Testamento biologico”, con tutti i rischi che questo comporta.
Per evitare equivoci e inganni bisogna preliminarmente chiedersi: vogliamo una legge per Eluana, cioè una legge che contrasti quanto stabilito ultimamente dai giudici, oppure una legge contro Eluana, che cioè, recepisce e dà valore generale ai principi fissati dalla Cassazione? Ci potrebbero essere anche soluzioni intermedie: per esempio quelle che, escludendo la natura medica del sondino naso-gastrico e quindi sottraendo la sua applicazione e rimozione all'asserito potere del paziente di rifiutare le cure, evita la morte di Eluana, ma contemporaneamente riconosce il potere di rifiutare le cure con un atto di volontà astratta, precedente al concreto insorgere della malattia. In tal caso la salvezza di Eluana avrebbe un costo altissimo, quello di mettere in pericolo la vita di molti altri malati. Se dunque bisogna arrivare ad una legge, occorre usare una grande intelligenza e una grande determinazione.
Intanto, dopo aver letto e riletto le due lunghe decisioni giudiziarie che hanno sostanzialmente "condannato a morte" Eluana, mi limiterei ad indicare quello che minaccia di più la vita di Eluana: a) l'idea che l'alimentazione e la idratazione siano un trattamento terapeutico; b) la discriminazione tra vite degne di vivere e vite non degne di vivere; c) l'idea che il potere di rifiutare le cure comprenda anche il diritto alla scelta di morire. E' indispensabile che in un dibattito parlamentare per ottenere una legge si affrontino e si risolvano correttamente tutti questi tre punti affinché sia salvata non solo Eluana, ma anche quanti si trovano in condizioni identiche o simili alle sue. In definitiva, potenzialmente, tutti noi. Insomma, se una legge s'ha da fare, che essa non riguardi il “testamento biologico”, ma l'assistenza ai malati terminali e ai portatori degli handicap più gravi: quelli della coscienza e della mente.

Per approfondire ulteriormente il tema consigliamo la lettura del servizio “Una legge per chi?” pubblicato su “Si alla Vita” numero 9, settembre 2008, (siallavita@mpv.org); il saggio “Testamento biologico e obiezione di coscienza” scritto da Marina Casini, Maria Luisa di Pietro, Carlo Casini e pubblicato su “Medicina e Morale” n.3, 2007, pag. 473-490. Degli stessi autori il libro “Testamento biologico? Quale autodeterminazione?” (Società editrice Fiorentina, Firenze 2007).
[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org. I diversi esperti che collaborano con ZENIT provvederanno a rispondere ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]


Il sangue dei martiri contro la seduzione del maligno - Il Cardinale Caffarra spiega la guerra tra San Michele e il drago
ROMA, lunedì, 29 settembre 2008 (ZENIT.org).- “Il sangue dei martiri cristiani vince il male”. Come una grande Polizia che “difende chi è più debole; serve il bene comune; e testimonia la buona coscienza”.
Lo ha detto il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, nell’omelia pronunciata il 29 settembre nella Basilica di san Petronio del capoluogo emiliano, in occasione della festa di San Michele Arcangelo, patrono della Polizia di Stato.
Riflettendo sulla battaglia celeste tra San Michele e il drago, il porporato ha detto che “anche nella storia umana avviene uno scontro, a volte più palese ed altre volte più nascosto, fra una forza oscura ‘che seduce tutta la terra’ e la forza di chi testimonia fino al martirio”.
Dopo aver spiegato che la ‘seduzione’ significa “inganno, uso astuto della ragione non in ordine alla conoscenza della verità ma al potere” e che il martirio significa semplicemente “pensare e dire la verità anche quando ciò comporta la morte”, il Cardinale Caffarra ha sottolineato che “la storia umana, è al fondo lo scontro fra la seduzione dell’errore e la testimonianza della verità”.
Il porporato ha precisato che “la seduzione consiste nel convincere l’uomo a vivere in assoluta autonomia, negando che esista un ordine morale che non sia lui a costituire. La seduzione consiste nel convincere l’uomo a sradicare la sua libertà dal riconoscimento di una verità circa il bene, che non è il mero prodotto del consenso sociale”.
Secondo l’Arcivescovo di Bologna, “la Parola di Dio non è un anestetico datoci perché non sentiamo più i dolori della nostra condizione personale e sociale”.
Il Cardinale Caffarra ha sostenuto che “nel cielo fu Michele coi suoi angeli a vincere la seduzione di Satana. Sulla terra sono i martiri che vincono, poiché essi combattono per mezzo del sangue dell’Agnello”.
“Perché – ha aggiunto – nel martirio dei suoi discepoli si continua la testimonianza di Cristo. È una sola testimonianza; è un solo martirio; è un solo sacrificio. Quando il discepolo spezzasse questa continuità, quando la sua testimonianza non fosse più quella di Cristo, anche il discepolo o prima o poi viene vinto e sedotto”.
Rivolgendosi ai tanti poliziotti presenti in Chiesa, il porporato ha quindi affermato: “La Chiesa, quando vi ha dato come Patrono S. Michele, ha fatto una scelta intelligente: ha visto che il vostro Corpo e la sua funzione si inserisce quotidianamente dentro un grande contesto”.
“Anche voi volete che la vita umana associata non sia dominata da forze disgregatrici, ma si svolga nell’ordine e nella pace – ha continuato l’Arcivescovo –. Vi opponete col vostro lavoro quotidiano a chi è stato sedotto dall’idea di una libertà che nega il riconoscimento dei diritto dell’altro; a chi è stato sedotto dall’idea che paghi di più la legge della forza che la forza della legge”.
“In una parola: vi opponete a chi nega alla radice il modo giusto di convivere”, ha sottolineato.
“In questo sta la grandezza del vostro servizio e la dignità della divisa che portate: difendere la giustizia propria dell’ordine pubblico”, ha rilevato il porporato.
“Abbiate sempre viva nella vostra coscienza la percezione di questo grande valore – ha concluso il Cardinale Caffarra –. Considerate sempre vostro onore difendere chi è più debole; vostra grandezza servire il bene comune; vostra ricchezza la testimonianza di una buona coscienza”.


Shanà Tovà Umetukà! A nome di tutti voi voglio augurare un Buon Capodanno agli amici ebrei e al popolo d’Israele.
Uniti dalla fede profonda nella sacralità della vita che, oggi più che mai, ha il suo fondamento e si traduce nel riconoscimento e nella difesa del diritto d’Israele all’esistenza, diciamo a voce alta: Siamo tutti ebrei! Siamo tutti israeliani!
autore: Magdi Cristiano Allam
Cari amici,
Shanà Tovà Umetukà! A nome di tutti voi voglio augurare un Buon Capodanno agli amici ebrei e al popolo d’Israele. Oggi è Rosh ha Shanà (in ebraico ראש השנה, letteralmente “Principio dell’anno”), il Capodanno religioso previsto nel calendario ebraico. Nella Torah vi si fa riferimento definendolo "il giorno del suono dello Shofar" (Yom Terua, Levitico 23:24). La letteratura rabbinica e la liturgia descrivono Rosh ha Shanà come il "Giorno del giudizio" (Yom ha-Din) ed il "Giorno del ricordo" (Yom ha-Zikkaron). Nei Midrashim si racconta di Dio che si siede sul trono, di fronte a lui i libri che raccolgono la storia dell'umanità (non solo del popolo ebraico). Ogni singola persona viene presa in esame per decidere se meriti il perdono o meno. La decisione, però, verrà ratificata solo in occasione di Yom Kippur. È per questo che i 10 giorni che separano queste due festività sono chiamate i 10 giorni penitenziali.
L’augurio è che il nuovo anno porti la pace autentica nei cuori degli ebrei e degli israeliani, rassicurandoli sui loro legittimi e inalienabili diritti alla vita, alla dignità personale e alla libertà. Diritti che purtroppo continuano ad essere pesantemente violati principalmente dal terrorismo e dall’estremismo islamico ed arabo che nega categoricamente il diritto all’esistenza di Israele, nonché dal pregiudizio ideologico che persiste un po’ ovunque, Italia compresa, nei confronti degli ebrei in quanto ebrei.
Quest’anno sarà probabilmente cruciale per Israele. Il regime nazi-islamico iraniano dell’ayatollah Khamenei e del presidente Ahmadinejad è ad un passo dal possesso della bomba atomica e reitera la volontà di annientare fisicamente lo Stato ebraico. Le elezioni americane di novembre, che tradizionalmente producono un vuoto politico sulla scena internazionale, quest’anno rischiano di essere ancor più destabilizzanti per la prospettiva della vittoria di Barack Obama, che si è detto pronto a trattare con il regime nazi-islamico iraniano, nonché per la difficile crisi finanziaria che sta sconvolgendo il sistema delle banche d’affari statunitensi.
Al tempo stesso quest’Europa senz’anima che continua a svendere i valori per il dio denaro, attesta di essere essenzialmente interessata a perpetuare i propri affari con i nuovi nazisti islamici, dimostrando di non aver ancora imparato la lezione del nazismo tedesco, quando s’illuse di poter scendere a patti con Hitler per poter aver salva la pelle. E’ un dato di fatto che a dispetto delle sanzioni economiche, il volume complessivo degli affari con l’Iran continua a crescere. Mettetevi dalla parte dei nazisti islamici. Come potrebbero non trarre la conclusione che siamo una landa deserta sul piano della fede, dei valori e delle regole, che può essere facilmente penetrata e conquistata con il denaro, il terrorismo e il ricatto economico?
Ancor più avvilente è la connivenza dell’autocrate Putin con i nazisti islamici, anche in questo caso riesumando delle vicende storiche che hanno segnato, con l’intesa tra Hitler e Stalin, l’avvio dell’immane tragedia che portò alla spartizione dell’Europa, all’Olocausto e alla seconda guerra mondiale. Oggi Putin, che tanto piace al nostro Berlusconi, ostacola in tutti i modi l’adozione di sanzioni serie nei confronti dell’Iran, nella consapevolezza che in realtà anche gli europei la pensano allo stesso modo.
Cari amici, colgo l’occasione del Capodanno ebraico per dire a tutti gli amici ebrei e al popolo d’Israele che ci stringiamo attorno a loro con il nostro convinto affetto e la nostra totale solidarietà, uniti dalla fede profonda nella sacralità della vita che, oggi più che mai, ha il suo fondamento e si traduce nel riconoscimento e nella difesa del diritto d’Israele all’esistenza. Oggi più che mai diciamo a voce alta: Siamo tutti ebrei! Siamo tutti israeliani!
Cari amici, vi saluto con la convinzione che è giunta l’ora di assumerci la responsabilità storica di agire da protagonisti per affrancarci dall’ideologia suicida del relativismo che affligge l’Occidente e dall’ideologia omicida del nichilismo che arma l’estremismo islamico, per affermare con coraggio e difendere con tutti i mezzi la Civiltà della Fede e Ragione. Andiamo avanti insieme sul cammino della Verità, Vita, Libertà e Pace, per un’Italia, un’Europa e un mondo che considerino centrali i valori e le regole, della conoscenza oggettiva, della comunicazione responsabile, della sacralità della vita, della dignità della persona, dei diritti e doveri, della libertà di scelta, del bene comune e dell’interesse generale, promuovendo un Movimento di riforma etica dell’informazione, della società, dell’economia, della cultura e della politica. Con i miei migliori auguri di sempre nuovi traguardi, successi ed un mondo di bene.
Magdi Cristiano Allam


30/09/2008 13:30 – KAZAKISTAN - Ad Astana, il parlamento sta approvando una legge per la “non-libertà religiosa”
La Camera bassa ha approvato il testo, presto al Senato per l’esame finale. Gli autori della legge si rifiutano di rivelare il testo. Ma attivisti per i diritti parlano di previsioni restrittive per cancellare molti gruppi religiosi oggi ammessi. Disattese le osservazioni dell’Ocse.
Astana (AsiaNews/F18) – Grande il timore per fedeli e attivisti per i diritti umani in Kazakhstan che la nuova legge sulla libertà religiosa e la riforma del Codice degli illeciti amministrativi restringa i loro diritti, mentre le autorità si rifiutano di renderne noto il testo. La normativa è stata approvata il 24 settembre dalla Camera bassa (il Majilis) del parlamento kazako e a giorni sarà all’esame del Senato, per poi essere promulgata dal presidente.
All’agenzia Forum 18 Kamal Burkhanov, che guida il Gruppo di lavoro del Majilis che ha redatto il testo, ha confermato l’approvazione con 80 voti a favore e solo uno contrario. Ma si è rifiutato di darne copia o di rivelare particolari, ribadendo solo che “chi viola la legge sarà punito”. Il parlamento è dominato dal Partito Nur Otan del presidente Nursultan Nazarbaev, che ha la totalità dei seggi nel Majilis. La sola deputata che ha votato contro, Aygul Solovyova, si è pure rifiutata di spiegare le ragioni e cosa ritenga sbagliato, limitandosi a dire che “occorrebbe cambiare l’intero testo”.
Secondo il quotidiano Respublika del 26 settembre, Maulem Ashimbaev, vicepresidente dell’Amministrazione presidenziale per la politica interna, ha detto che con la nuova legge tutti i gruppi religiosi dovranno di nuovo chiedere l’autorizzazione ad operare, cosa che potrà permettere alle autorità di negarla a molte e bandirle. Mentre i funzionari locali del Comitato affari religiosi dovranno – dice - “mettere ogni cosa sotto il proprio personale controllo”.
I gruppi per la tutela dei diritti dicono che la legge comprime ancora la libertà religiosa, per cui il parlamento vuole approvarla senza critiche preventive per mettere tutti davanti al fatto compiuto.
Ninel Fokina, capo ad Almaty del Comitato di Helsinki, osserva che la legge, per quanto se ne sa, prevede restrizioni maggiori per i gruppi religiosi, rispetto ad altre associazioni e riconosce diritti maggiori ad alcune fedi. Per ottenere la registrazione, occorre “il parere di un esperto in religione” sull’atto di costituzione e su tutta la letteratura e le pratiche religiose. Alla comunità, poi, è proibito stampare o importare testi religiosi, senza l’autorizzazione dello Stato, cosa che ritiene “una vera e propria censura”. Per cui ritiene la legge “contraria a ogni principio di libertà religiosa affermato dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Ocse)”.
Preoccupazioni condivise da Aleksandr Klyushev, capo dell’Associazione delle organizzazioni religiose del Kazakistan, che ritiene la legge “incostituzionale”.
Pare anche che siano aumentate le pene per le attività religiose non autorizzate e che ogni comunità necessiti l’adesione di almeno “50 cittadini adulti” per essere registrata.
Il vescovo luterano Yuri Novgorodov la definisce “una legge per la non-libertà di coscienza”.
In Kazakistan è in corso una vera repressione contro le minoranze religiose, anche tramite i media statali e con l’imposizione di un “Programma statale di educazione patriottica” approvato dal presidente Nazarbaev. I gruppi religiosi – a parte musulmani e cristiani ortodossi - sono sempre più controllati in ogni attività, schedati in modo minuzioso, persino privati degli edifici dove riunirsi.
Per appianare le critiche, il Kazakistan ha chiesto all’Ufficio dell’Ocse per le istituzioni democratiche e i diritti umani di esaminare il progetto di legge, lo scorso giugno. Ma Forum 18 denuncia che poi il parlamento ha del tutto ignorato le osservazioni dell’Ocse.
Il presidente Nazarbaev vorrebbe ricoprire la carica di presidente dell’Ocse, nel prossimo futuro.


Laicità positiva - Autore: Zappa, Gianluca Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 28 settembre 2008
La laicità positiva è aperta alla religione e si pone in dialogo con chi la professa; la laicità negativa la esclude, l’avversa, in quanto la ritiene causa di mali.
"La laicità serve a rispettare, unire e non a escludere o denunciare. Sarebbe folle, anche per una moderna democrazia, privarsi della religione".
Con queste parole, poco più di dieci giorni fa, Nicolas Sarkozy accoglieva il Papa, pellegrino in terra francese. Il premier ha anche coniato un'espressione molto efficace, per sintetizzare il proprio pensiero, "laicità positiva".

E Benedetto XVI, nel suo discorso all'Eliseo, ha detto che "in questo momento storico in cui le culture si incrociano tra loro sempre di più, una nuova riflessione sul vero significato e sull'importanza della laicità è divenuta necessaria. E' fondamentale infatti, da una parte, insistere sulla distinzione tra l'ambito politico e quello religioso, e, dall'altra parte, prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare alla creazione di un consenso etico di fondo nella società".
Mi piace questa sottolineatura sulla "laicità positiva".
Perché in effetti non vi è una laicità univoca e monolitica. Ci sono tanti laici che vivono un confronto sereno, disponibile al dialogo e sinceramente interessato con la religione. Ve ne sono altri, invece, che partono da un pregiudizio del tutto negativo e si chiudono a riccio. E' un atteggiamento di vera e propria debolezza, che manifesta un complesso d'inferiorità o una dannata paura. E' la posizione maggioritaria tra i capoccioni pensanti della nuova Europa, che non vogliono assolutamente citare le radici cristiane nella costituzione europea.

La laicità positiva è aperta alla religione e si pone in dialogo con chi la professa; la laicità negativa la esclude, l’avversa, in quanto la ritiene causa di mali.

In una discussione accesasi sul nostro blog, il mio amico Stefano ha citato dei passi del filosofo Jürgen Habermas. Alle sue citazioni ne aggiungo un'altra: "L'universalismo egualitario - da cui sono derivate le idee di libertà e convivenza solidale, coscienza morale individuale, diritti dell'uomo e democrazia - è una diretta eredità dell'etica ebraica della giustizia e dell'etica cristiana dell'amore. A tutt'oggi non disponiamo di opzioni alternative. Continuiamo ad alimentarci a questa sorgente. Tutto il resto sono chiacchiere postmoderne".

Evviva la sincerità! Ecco, questa è quella che si può definire una posizione laica positiva. Questa è una posizione che senza tanti complessi riesce a fotografare correttamente la realtà. Perché se l’Occidente è riuscito a teorizzare l’universalità dei diritti è solo perché alle radici della sua identità c’è il Decalogo e il comandamento dell’amore di Gesù. Il Cristianesimo ha dato il suo fondamentale contributo, propagando attraverso i secoli queste leggi, finchè l’Occidente non le ha maturate e codificate. Sbaglia chi sostiene che tali diritti si sono affermati “nonostante la Chiesa”. Dovrebbe piuttosto constatare che oggi solo dove è presente la Chiesa essi vengono affermati, o si cerca di affermarli, contro l’opposizione di altre culture informate da altre religioni.

Se andiamo a scavare, a grattar via tutto il superfluo, dovremo onestamente riconoscere che l'Illuminismo non ha proclamato niente di nuovo che non fosse già scritto nel Vangelo. Perché è con Gesù che la dignità radicale dell'uomo (uomo, donna, giudeo o greco, ricco o povero che sia) viene affermata. E' Gesù che proclama la liberazione radicale dell'uomo, l'uguaglianza, la fraternità, la solidarietà, l'amore nei confronti di tutti, anche del nemico.

L'universalismo egualitario è già tutto nel Nuovo Testamento.

C'è qualcosa di veramente alto, grande e sublime che possiamo ascrivere all'Illuminismo? Gli daremo, forse, alcuni meriti storici, per aver condotto un'effettiva lotta politica che ha fatto sì che quei principi fossero meglio attuati nella società. Ma dovremo assegnargli anche molti demeriti, perché certi suoi presupposti sono sfociati inevitabilmente nella violenza ideologica. In altre parole, i meriti dell'Illuminismo sono misurabili in termini di conquiste politiche, sulla base di principi che però non erano suoi. Quando l'Illuminismo ha teorizzato, ha dato la stura a dei veri e propri disastri.

Al contrario, l'operato degli uomini di Chiesa, nella storia, non sempre è stato esemplare. Ma è chiaro che in quelle occasioni gli uomini stavano tradendo i principi, che restavano, e restano, sacrosanti. Ed era confrontandosi con la luce di Gesù che si trovava la forza e la capacità di rimettersi sulla strada giusta, giudicando i propri errori e valorizzando e accogliendo ciò che di buono veniva da altri. Questa grande capacità di apertura e di autocritica, di riconoscimento delle proprie colpe, ha aiutato la Chiesa cattolica ad attraversare i marosi della storia e ne fa ancor oggi un caposaldo dell'umanità.

Occorre dunque una laicità positiva, che sappia guardare con simpatia e direi con ammirazione questa storia cristiana. Che sappia riconoscere qual è la fonte storica di quell'universalismo dei diritti che tanto ci sta a cuore e che cerchi continuamente di abbeverarsi a quella sorgente.

Ha ragione Sarkozy: è folle una democrazia moderna senza la religione. Ma dobbiamo essere ancora più precisi: è folle senza Gesù Cristo.

Questa è una semplice, ma sconvolgente verità per tutti, laici "positivi" o "negativi" che siano.


Vita e percezione della vita... 6 – Il paradosso dell’entropia nei viventi. - Autore: Keller, Flavio Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it
L'organismo vivente trae materia ed energia dall’ambiente. Potremmo dunque affermare, per analogia, che un organismo vivente è quella struttura naturale che crea e mantiene le condizioni affinché, grazie allo scambio costante di materia ed energia con l’ambiente, avvengano dei processi di auto-organizzazione. L’insieme di queste condizioni è ciò che chiamiamo «vita», e quando l’organismo non è più in grado di mantenere queste condizioni, esso muore.
La considerazione degli organismi viventi dal punto di vista termodinamico si è enormemente arricchita grazie alla termodinamica lontano dall’equilibrio (non-equilibrium thermodynamics) sviluppata da Prigogine e collaboratori. Un organismo biologico è un sistema «termodinamicamente aperto», che è costantemente attraversato da un flusso di materia e di energia. Anche nella natura inanimata possiamo trovare esempi di sistemi fisici aperti che si mantengono lontano dall’equilibrio grazie al costante apporto di materia ed energia dall’esterno: un esempio classico è un uragano marino, che viene «alimentato» da un costante apporto di calore e acqua. Non a caso, alcuni biologi hanno evidenziato l’analogia tra un «vortice» e un organismo vivente.(8) Negli organismi viventi, materia ed energia vengono utilizzate per mantenere attivamente il proprio ordine, la propria organizzazione, e ciò malgrado non troviamo apparentemente all’interno di esso nessun principio materiale che sia in grado di spiegare questo fatto: tutti gli elementi materiali che vi troviamo obbediscono alla seconda legge della termodinamica. Prigogine ha dimostrato come in un sistema aperto, anche se complessivamente vale il secondo principio della termodinamica, per il quale l’entropia del sistema aumenta costantemente nel tempo, è possibile raggiungere localmente dei minimi di entropia, cioè osservare l’insorgenza e il mantenimento dell’ordine in determinati punti, in apparente violazione del secondo principio (cfr. il concetto di neg-entropia di Schrödinger), dando luogo a fenomeni di auto-organizzazione.
«Se comprimiamo fra due lastre di vetro un sottile strato di liquido e lo riscaldiamo, vedremo formarsi nel liquido - per convezione - una caratteristica struttura a nido d’api, costituita da cellule esagonali. È un risultato sconcertante per chiunque sia fermo alla concezione del mondo tradizionale, basata sulle situazioni di equilibrio. Più calore riceve il sistema dall’esterno, più frenetico e disordinato dovrebbe essere il moto delle molecole del liquido. Perché mai da questo disordine dovrebbe emergere un’organizzazione? La struttura a nido d’api dei fenomeni di auto-organizzazione fu scoperta per la prima volta dal ricercatore francese Henri Bénard nel 1900. Un tentativo di spiegazione fu fatto da Lord Rayleigh nel 1916. Oggi si sa che quel caratteristico tipo di struttura è una conseguenza di quella che è stata chiamata l’instabilità idrodinamica di Rayleigh-Bénard.» (9)
È importante sottolineare la differenza tra un reticolo cristallino (organizzazione statica) e una struttura dinamica dissipativa come l’esempio della struttura a nido d’api o l’uragano, che richiedono il costante apporto di energia; si parla di struttura dissipativa perché l’entropia, invece di aumentare all’interno del sistema e portare all’aumento del grado di disordine, viene dissipata nell’ambiente per mezzo del calore. L’esempio dell’instabilità di Rayleigh-Bénard è rilevante per i processi vitali, perché dimostra che l’energia somministrata in determinate condizioni (non in «qualsiasi» condizione, la distinzione è importante) è in grado di creare e mantenere l’ordine, anzi è necessaria per il mantenimento dell’ordine. Il processo di Rayleigh-Bénard (e altri fenomeni di auto-organizzazione costruiti in laboratorio) altro non è che una struttura artificiale relativamente semplice nella quale vengono create le condizioni alle quali può avvenire un processo di auto-organizzazione. Anche l’organismo vivente trae materia ed energia dall’ambiente. Potremmo dunque affermare, per analogia, che un organismo vivente è quella struttura naturale che crea e mantiene le condizioni affinché, grazie allo scambio costante di materia ed energia con l’ambiente, avvengano dei processi di auto-organizzazione. (10) L’insieme di queste condizioni è ciò che chiamiamo «vita», e quando l’organismo non è più in grado di mantenere queste condizioni, esso muore.

NOTE
8. Cfr.: G. Cuvier, Le Règne Animal distribué d’après son Organisation, Paris, Deterville, t.1, 1817.
9. Cfr.: P. Coveney, R. Highfield, La freccia del tempo, Rizzoli, Milano 1991
10. Dunque, al contrario di quanto sosteneva Bichat (cfr.: Recherches physiologiques sur la vie et la mort, nuova ed., Masson e Charpentier, Parigi 1852) non esiste un vero e proprio antagonismo tra organismo vivente e natura inanimata, ma piuttosto un’armonia.


Borsa e valore - Giorgio Vittadini - martedì 30 settembre 2008 – IlSussidiario.net
Noti commentatori alcuni anni fa inneggiavano al modello capitalistico-finanziario puro come il toccasana di tutti i mali, come se non fossero già capitati gli scandali Enron, Parmalat, fondi argentini in cui emergeva con tanta chiarezza la responsabilità di questo stesso mondo finanziario.
Perciò si attaccava il sistema finanziario europeo e italiano considerato arretrato rispetto a quello americano e di cui avrebbe dovuto diventare una sorta di provincia. Oggi succede che, mentre gli stessi commentatori inneggiavano al mancato salvataggio di Lehman Brothers, lo stesso governo americano non si è fidato del liberismo senza regole per porre rimedio alla situazione, ed è intervenuto salvando Bear Stearns, Fannie Mae, Freddie Mac, Aig.
L’America stessa, e in particolare la presidenza Bush, tradizionalmente considerata in difesa del mercatismo, ha decretato la fine dell’idea che il libero mercato sia in grado da solo di porre rimedio alle storture che lui stesso crea.
Come nel nostro piccolo, in Italia, i prestiti vengono concessi a chi ha le garanzie e non a chi ha un progetto imprenditoriale valido, così, nel sistema americano, invece di interrogarsi su ciò che ha valore per l’economia reale, l’orientamento è quello di proporre indiscriminatamente prodotti standardizzati, guardare solo le trimestrali e avere come unico obiettivo quello di prendere le commissioni. Con questa logica si è giunti a illudere milioni di persone di potersi permettere l’acquisto di case con mutui che non avrebbero potuto pagare, costruendo poi spezzatini di titoli sempre più avulsi dalla realtà nell’illusione di scongiurare e diminuire (o meglio, di spostare su altri) il rischio insolvenza.
Ne consegue che il sistema è messo in ginocchio da crisi che sono di liquidità, come quella di Lehman Brothers: Lehman Brothers ha perso il 90% del suo valore, ciò significa che il valore accordato in base a domanda-offerta è un valore artificioso e che gli scambi di borsa non sono in grado di offrire al mercato informazioni sul valore reale di ciò che trattano.
E, ancora, come dimostra la polemica già innescata sulla possibile liquidazione dei supermanager di Aig, enorme in sé e del tutto avulsa dal valore dell’azienda, occorre aggiungere che le retribuzioni di tipo flessibile, come le stock option per il top management, non hanno alcun nesso con la produzione di ricchezza reale delle loro aziende.
In questo quadro il punto non è mettere in discussione il mercato, né il mercato a struttura capitalistica che contiene un valore in sé da salvaguardare. O, peggio ancora, non è certo auspicabile il ritorno a un regime statalista, figlio di una cultura estrema dall’altra parte (garantismo, indebitamento pubblico…)…
Il punto è ammettere che questa non è una crisi solo economica: è una crisi antropologica che mette in discussione un’idea di razionalità umana ridotta, tesa com’è alla massimizzazione del profitto nel breve periodo, ma disattenta ai presupposti necessari a creare una ricchezza reale e duratura e perciò destinata ad astrarsi dalla realtà e a costruire un mondo virtuale destinato a crollare. Per guardare lontano occorre una razionalità che metta in luce come già ora anche l’homo oeconomicus ha altri moventi ben più vasti del solo profitto trimestrale avulso dal contesto. Occorre un più sano realismo che agganci stabilmente la finanza all’economia reale, di cui è e deve essere solo strumento. Da questo punto di vista, dopo aver demonizzato molti aspetti del nostro sistema economico, occorre forse rivalutarne alcuni, quali quel radicamento sul territorio e quell’attenzione all’economia reale che ne è ricchezza non ancora del tutto estinta. Che si parli di micro e macrocosmo, realismo e nuova razionalità sono indispensabili per ogni futuro sviluppo.
(Il Riformista 30 settembre 2008)


PA/ Entra nel vivo la fase 2 del piano Brunetta, il primo passo per un’amministrazione sussidiaria - Roberto Albonetti - martedì 30 settembre 2008 – IlSussidiario.net
Prosegue l’azione del Ministro Brunetta per rinnovare l’immagine della Pubblica Amministrazione italiana. Dopo la roboante campagna contro i fannulloni, parte la seconda fase, quella propositiva.
Sul sito del Ministero della Funzione Pubblica sono stati pubblicati i primi casi di buona amministrazione (già saliti a 300 in poche settimane), scelti tra quelli premiati in occasioni pubbliche o raccolti in banche dati specializzate. Inoltre, sono aperte le iscrizioni al concorso “Premiamo i risultati”, che selezionerà i più efficaci piani di miglioramento gestionale del prossimo anno.
Pur non essendo esente da un po’ di demagogia (come dimostra il fatto che non sono effettivamente elencati i premi previsti), si tratta di una iniziativa positiva. Infatti, favorisce lo scambio di informazioni e la trasposizione di buone prassi da un’amministrazione all’altra: un piccolo contributo per aprire le porte di una Pubblica Amministrazione ancora troppo opaca nel suo operare e chiusa in se stessa.
Da sottolineare soprattutto il fatto che si vogliano premiare gli effettivi e misurabili risultati raggiunti, in termini di migliori servizi erogati, di ampliamento delle relazioni con gli stakeholder esterni e di riduzione dei costi di funzionamento. Troppo a lungo, infatti, si è ridotta la valutazione della Pubblica Amministrazione al raggiungimento dei soli obiettivi fissati, modellati più sulle esigenze interne che sulle richieste dei cittadini e della società. Nulla di più lontano da un vero spirito di sussidiarietà.
Infatti, nella Pubblica Amministrazione il datore di lavoro non è né il Ministro, né il politico o il dirigente di turno. Il vero datore di lavoro è il cittadino: la politica e l’amministrazione sono, o meglio, dovrebbero essere, al suo servizio. Per questo occorrono persone che perseguono con determinazione e forte consapevolezza i risultati.
I risultati sono benefici che le persone riconoscono, sono problemi risolti, sono soluzioni nuove e più efficaci, che si possono vedere e contare. E che, è bene ricordarlo, non dipendono solo dall’azione della Pubblica Amministrazione, ma nascono dalla capacità della società di auto-organizzarsi e dalla volontà dell’amministrazione di valorizzare e incrementare l’opera dei cittadini e dei corpi intermedi.
Quando si sceglie di correre questo rischio, il rischio di scommettere sulle persone e sulla loro libertà, cambia anche il volto della Pubblica Amministrazione. Infatti, si introduce un elemento nuovo, inimmaginabile in un sistema in cui le risposte vengono calate dall’alto e costrette in schemi prefissati: il gusto per la bellezza.
Le persone che si mettono insieme per rispondere alle necessità contingenti e ai propri infiniti bisogni, infatti, creano opere concrete, «forme di vita nuova» - come ebbe a chiamarle Giovanni Paolo II - vicine alle esigenze dei singoli e perciò capaci di dare un contributo creativo e originale al bene comune.
È osservando la loro azione nel tessuto sociale che anche la Pubblica Amministrazione trova una vera capacità di innovazione e accresce il desiderio di migliorarsi. Prova “commozione” per ciò che incontra di bello e attraente nella realtà. E cambia non per ottenere solo un riconoscimento dal Ministero competente, ma per vedere crescere ed espandersi ciò che di buono la società sa esprimere.
Forse il premio più grande, per chi lavora nella Pubblica Amministrazione, è proprio incontrare una politica così, che faccia della sussidiarietà un metodo di governo, e aiuti il lavoro di una amministrazione sussidiaria, cioè vicina alle persone.


SCUOLA/ La lezione di Benedetto XVI sulla libertà di educazione - Associazione Foe - martedì 30 settembre 2008 – IlSussidiario.net
A conclusione del convegno del Centro Studi Scuola Cattolica, il Santo Padre è tornato a parlare di parità scolastica e lo ha fatto col suo consueto stile, pacato e netto; come una lama affilatissima che taglia senza fatica e senza produrre sbavature, ha inquadrato con poche parole la controversa situazione in cui si trova la scuola italiana e, in essa, la scuola cattolica.
Ha sostenuto la parità scolastica ribadendo che «occorre favorire quella effettiva uguaglianza tra scuole statali e scuole paritarie, che consenta ai genitori opportuna libertà di scelta circa la scuola da frequentare»; ha sottolineato che c’è una domanda crescente di educazione di qualità, per cui «la frequenza alla scuola cattolica in alcune regioni d’Italia è in crescita rispetto al decennio precedente»; ha posto l’accento sulle contraddizioni del tempo presente, dato che «proprio nel contesto del rinnovamento a cui si vorrebbe tendere da chi ha a cuore il bene dei giovani e del Paese», la risposta a questa domanda è ostacolata o addirittura apertamente combattuta, per cui «perdurano situazioni difficili e talora persino critiche». Ha, infine, indicato la via da percorrere: «l’approfondimento della cultura della parità non sempre apprezzata, quando non segnata da equivoche interpretazioni».
Sono parole chiare e inequivocabili, ma da quanti saranno ascoltate? Basta molto meno per scatenare la rabbia di quelle forze di conservazione – ormai un’elite, per la verità – che in questi giorni stanno sollevando un gran polverone a causa dei provvedimenti del Ministro Gelmini, sostenute dalla grancassa del mondo dell’informazione.
E dire che ci sono esempi di passione educativa condivisa e di collaborazione fra scuole paritarie e scuole statali che dovrebbero far riflettere. Significativo, al riguardo, è quanto sta avvenendo in Lombardia, dove è partita l’esperienza di “Compiti amici”. Si tratta di un doposcuola per alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), avviato a Milano dalla Cooperativa San Tommaso Moro, in collaborazione con il Sindacato delle Famiglie e con il contributo della Regione. La collaborazione che si è creata tra le scuole coinvolte, che hanno diverso ordinamento (scuole statali e paritarie) e orientamento culturale (scuole della Comunità ebraica e Rinascita, scuola sorta da un’esperienza culturale popolare), può costituire un primo passo, iniziale ma estremamente significativo, verso un progetto in rete delle scuole statali e paritarie da attuarsi con i fondi del diritto allo studio, in una partnership stato-privato riconosciuta dalla Regione Lombardia.
Di diversa caratterizzazione, ma ugualmente significativo, è quanto invece è stato fatto Bologna, dove la Ducati (nota marca motociclistica) ha realizzato, grazie allo spirito di intrapresa ed alla genialità educativa del liceo paritario Malpighi, uno straordinario laboratorio di fisica, “Fisica in moto”, a disposizione di tutte le scuole del territorio. Oltre ad essere uno splendido esempio di rapporto fra scuola ed impresa e di innovazione didattica, il laboratorio è espressione di quella attenzione al bisogno di imparare e di capire che è proprio dei ragazzi. Una sensibilità educativa, insomma, che è davvero una ricchezza per tutti..
Chi continua a disprezzare “la cultura della parità”, segnandola con “equivoche interpretazioni”, non si rende conto che produce un danno a se stesso e a tutta la società, perpetuando quel modello statalista che è la vera rovina della scuola italiana. Perché (come scrive Renato Farina in un bell’articolo apparso il 26 settembre su Libero) «in un regime di monopolio tutto scade. Non c’è tensione, mancano progetti veri». I due esempi citati sopra – due fra i tanti possibili – sono invece progetti “veri”.
Basterebbe uno sguardo libero dal pre-giudizio per rendersi conto che il Papa, proponendo la parità, non si preoccupa della salvaguardia della propria “riserva indiana” di scuole, ma ha a cuore, come un buon padre, il bene di tutti i suoi figli, a partire da quelli più piccoli e indifesi: le giovani generazioni.
Le forze della “conservazione” provino a tenerne conto, se non vogliono che la conservazione, nel volgere di un breve periodo, si riveli per ciò che è realmente: la distruzione della scuola, e con essa della società italiana.


SERVIZI/ Quando il non profit non è più un optional - Alceste Santuari - martedì 30 settembre 2008 – IlSussidiario.net
“Sussidiarietà” non è più oramai un termine per pochi addetti ai lavori o addirittura una parola il cui suono pronunciare molto sommessamente.Si tratta di considerare quali rapporti tra società e Stato, tra cittadini ed istituzioni, tra comunità ed autorità costruire, affinché le potenzialità e le energie presenti nel tessuto sociale possano esprimersi al meglio ed in modo più efficace.
Ma non è certo tentando di “impiegare” le organizzazioni non profit attraverso strumenti e modalità che ultimamente ne snaturano l’indole originaria e le peculiarità relazionali, che la società civile può essere aiutata a crescere. Il principio di sussidiarietà costruisce, non distrugge; afferma, non nega; crea rete, non isolamento; contribuisce a far rinascere relazioni interpersonali, non spinge all’individualismo. La sussidiarietà, laddove correttamente implementata, consente di individuare azioni e interventi in cui i cittadini sono i diretti protagonisti, sostenuti e supportati dagli enti locali, così che al bisogno di quel determinato territorio o di quella determinata collettività sia data una risposta adeguata, giusta, equa e capace di incentivare le migliori risorse umane sul campo.
La sussidiarietà si contrappone, pertanto, unicamente ad una concezione volta a considerare o a voler perpetuare uno Stato oppure un ente locale quale “padrone” assoluto delle risposte ai bisogni che provengono dalla società civile. In questo contesto, non si deve confondere il principio di sussidiarietà con il sistema delle deleghe di competenze dall’ente statuale gerarchicamente più alto verso quelli più bassi. Federalismo, devolution, deleghe di funzioni costituiscono indubbiamente segnali di un cambiamento in atto nel nostro Paese che non può non interessare altresì il variegato mondo non profit. Quest’ultimo tuttavia, per poter svilupparsi e consolidarsi necessita di un quadro di riferimento in cui chiari siano i ruoli attribuiti agli attori in gioco e quali i livelli di responsabilità decisionale.
Cosa può significare tutto ciò nella definizione degli interventi da attivare nel settore socio-educativo, per esempio? Storicamente il rapporto tra enti pubblici ed organizzazioni non profit è stato definito dal sistema dei contributi (a fondo perduto), che i primi erogavano a favore delle seconde. Negli ultimi 10/15 anni, anche in forza del progressivo impatto della normativa Ue, si è progressivamente affermato un nuovo regime di regola­zione, che sostitui­sce l’era dei contributi e introduce i primi elementi di quella che, in seguito, avrebbe assunto il nome di “cultura della contratta­zione”. L’impegno continuo e la necessaria professionalità e continuità richiesti per l’erogazione del servizio hanno imposto alle istituzioni pubbliche di impostare diversamente il loro approccio nei confronti degli organismi non profit. Conseguentemente, le organizzazioni non profit sono divenute veri e propri produttori di servizi, acquistati dagli enti pubblici sulla base dei costi sostenuti. Contra­riamente a quanto accade con i contributi, che escludono di principio l’esistenza di una relazione di acquisto e vendita tra enti pubblici ed organizzazione del privato sociale, con l’introduzione dei contratti, l’obiettivo perseguito è quello di improntare i rap­porti tra le parti su relazioni di scambio economico che affidano agli enti pub­blici il ruolo di acquirenti e alle organizzazioni non profit quello di pro­duttori di servizi.
Ciò ha evidenziato che la scelta di affidare l’erogazione di servizi so­ciali al settore non profit non riveste più un ca­rattere opzionale, ossia lasciare libere le ammini­strazioni pubbliche di scegliere come e quanta parte dei servizi di welfare af­fidare in gestione alle organizzazioni non profit, ma diviene una necessità, rafforzata dalla previsione dell’articolo 118 della Costituzione u.c.
Sussidiarietà diviene allora una componente del “tridente d’attacco”, insieme a solidarietà e sviluppo. Invero, così come riportato nel Rapporto sulla sussidiarietà 2007 Sussidiarietà e riforme istituzionali, curato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, gli intervistati connettono la sussidiarietà soprattutto al valore “solidarietà” e poi la vedono esprimersi in primo luogo in termini di efficienza nella gestione dei servizi affidata ai soggetti non profit. Termini questi che fanno bene anche al sistema dell’educazione.


MATEMATICA/ Quel numero primo non sarà l'ultimo ad essere scoperto - INT. Giovanni Naldi - martedì 30 settembre 2008 – IlSussidiario.net
Matematico di professione, docente ordinario all'Università di Milano, il professor Giovanni Naldi dei numeri ha fatto la propria ragione di vita. Gli abbiamo domandato dove risieda l'importanza della recente scoperta, effettuata in California, di un numero primo composto da ben 13 milioni di cifre
Professor Naldi, qual è il valore di una simile scoperta?
Sentendo questi risultati molto “giornalistici”, che tendono a gonfiare quanto è possibile una scoperta, sì importante, ma esito di metodologie ancora più rilevanti, sembra quasi che i matematici facciano come i pescatori. Sembra una gara a chi riesce a catturare il pesce più grosso.
Ma, quello che non si dice è che la cosa più importante non è tanto scoprire un numero primo, anche se questo può regalare una fama momentanea, bensì la via che si intraprende per arrivare a trovarlo. È una strada costruita sullo sviluppo di teorie, di verifiche e di metodi che possono essere utili e fertili anche in altri campi del sapere.
Anche per quanto riguarda, ad esempio, famoso teorema di Fermat non è tanto il risultato in sé che conta, e cioè la risolvibilità o meno di certe equazioni algebriche, perché quella potrebbe essere una semplice curiosità. In realtà il fattore principale risiede in tutte le tecniche che quel teorema ha sviluppato le quali hanno aperto una finestra e delle linee di ricerca molto importanti.
Quindi si punta l'attenzione più che sull’esito sulla procedura. Ma quest'ultima è davvero così tanto più importante?
Per continuare l'analogia del pescatore: ciò che è importante non è il fatto che io abbia preso una balena grossa o piccola, ma che abbia studiato le caratteristiche della balena e le tecniche di cattura. Fra qualche anno, molto probabilmente, si troveranno numeri primi anche più grandi.
Ma il vero valore di queste scoperte risiede nella strada che abbiamo percorso, nell’eventuale arricchimento delle nostre conoscenze. I numeri primi formano l’impalcatura di base della struttura moltiplicativa dei numeri naturali: in un certo senso sono i mattoni fondamentali del sistema numerico. È nel loro valore in sé inteso e nelle loro caratteristiche e proprietà che dunque, a prescindere dalla loro grandezza, oltre alle tecniche impiegate, risiede il loro fascino. In genere possono servire allo sviluppo di algoritmi computazionali, legati ad alcune soluzioni di problemi connessi alla messa in opera di altrettanti algoritmi molto efficienti.
E questi algoritmi a che cosa servono? Qual è la loro applicazione principale?
Innanzitutto dobbiamo toglierci dall'ottica di una ricerca sempre finalizzata a un'applicazione immediata. Quello che intendo dire è che dietro a queste scoperte c'è già un valore di per sé, scientifico, ma anche estetico, il quale approfondisce la nostra conoscenza e serve a noi, alla nostra ricerca sia matematica sia di quelle cose belle e profonde che ci rivelano un po' di più la realtà che ci circonda.
Poi, se vogliamo parlare delle applicazioni, direi in primo luogo che i numeri primi e le loro proprietà sono usati spesso in crittografia.
Più recentemente si fa anche dell'aritmetica fra strutture più generali dei numeri primi. Si utilizza l'aritmetica su curve ellittiche mediante le quali si possono effettuare operazioni “elementari” quali somme e prodotto, ma con strutture più complesse. Operazioni che non hanno chiaramente a che fare coi numeri delle elementari, ma che ne hanno più o meno lo stesso significato.
Ciò detto ripeto che una delle applicazioni molto alla moda è quella crittografica, soprattutto la crittografia in chiave pubblica, il cosiddetto metodo “RSA”, che si usa ancora in molte transizioni finanziarie o comunicazioni che devono rimanere segrete.
Potrebbe farci un esempio dell'importanza dei numeri primi nella crittografia?
Certo. Se si considerano alcuni di questi algoritmi di cui ho parlato prima, li si può pensare in rapporto ai numeri primi come se fossero legati alla costruzioni di opportune “chiavi”. Maggiore è la grandezza del numero primo maggiore sarà la lunghezza chiave. Di conseguenza, con una chiave estesa, diventerà di gran lunga più difficile decifrare un codice.
È chiaro che questo nuovo numero non sarà utilizzato immediatamente, non sarà usato per proteggere le nostre smart card, anche perché, se così fosse, impiegheremmo anni a prelevare dei soldi da una banca. È come ho detto prima: si è raffinata, nella ricerca di questo numero, una grande quantità di tecniche importanti, queste sì applicabili a molti scopi.
In Italia a che livello è la ricerca in questo campo della matematica?
Ci sono alcune aree di ricerca molto valide. Per esempio, recentemente, si è realizzato un progetto europeo che aveva a capo un italiano, il prof Massimo Bertolini. Si trattava di un progetto che guardava proprio alla teoria dei numeri e ad altre cose più generali, che sarebbe difficile spiegare in questa sede.
Anche a Roma, Pisa e a Padova ci sono diversi studiosi molto validi in questo settore.
Certo, le risorse italiane non sono equivalenti a quelle di altri paesi, ma si può tranquillamente dire che abbiamo delle eccellenze. Non a caso un importante progetto europeo è stato dato a un capo cordata italiano.


30 settembre 2008 - La rivolta di repubblicani e democratici affonda il piano di salvataggio pubblico di Wall Street - No al “socialismo in un solo paese” - La socializzazione delle perdite considerata unamerican. Le conseguenze – Giuliano Ferrara dal Foglio.it

228 no, 205 sì. Un voto storico sul più grande salvataggio finanziario della storia americana, Wall Street al collasso, un clima da brivido. Hanno detto di no a un piano garantito dalla Casa Bianca, dal Tesoro, dalla Federal Reserve, dalle leadership congressuali di democratici e repubblicani, e con qualche malizia e prudenza anche dai candidati McCain e Obama. Rivoteranno su un nuovo testo, perché le pressioni in nome della salvezza nazionale sono fortissime, ma per adesso i deputati della House di Washington, che si battono per la rielezione a novembre e hanno sul collo il fiato furente dei loro elettori, hanno giudicato ingiusto e unamerican il grande bail out che salva la finanza americana e mondiale, lo hanno bocciato come contrario al principio su cui si fonda la società americana: i privati rischiano e guadagnano, se falliscono perdono, e i soldi pubblici non possono sostituire il fondamento di libertà e di responsabilità del sistema. Ha votato no la maggioranza dei repubblicani, che invocano come giustificazione il solito discorso estremista e partigiano di Nancy Pelosi, che ha dato del voto un’interpretazione estremamente faziosa. Ma quasi cento democratici si sono aggiunti alla rivolta. C’è molto di più in ballo che non una battaglia elettorale o parlamentare.
Le conseguenze finanziarie e di sistema di questo esplosivo rigetto del piano di salvezza nazionale sono alla lunga misteriose, ma nell’immediato tragiche. Al tumulto di Wall Street e delle Borse mondiali, severamente impegnate dalla crisi del credito e ormai da sempre crescenti rischi di insolvenza bancaria, si può aggiungere la manifestazione dei primi segni di una fatale recessione, con un trasferimento all’economia del disastro finanziario. Fino ad ora le tendenze erano sempre due: il sistema del credito crolla, le banche boccheggiano o falliscono, ma i fondamentali dell’economia (produzione, produttività, import-export, tasso di occupazione, crescita del prodotto interno lordo) resistono. Ma fino a quando possa durare questo immenso paradosso, non si sa.
Le conseguenze politiche del voto di ieri, visto che siamo a sei settimane dal voto di novembre per eleggere il presidente, sono forse più chiare. Fosse passato ieri trionfalmente il progetto di “socialismo in un solo paese” varato dall’establishment bipartisan di Washington (presidente, tesoro, Federal reserve e leader del Congresso), avremmo dovuto senza indugi prepararci a Obama. L’uomo dell’establishment, l’uomo d’ordine è lui, ed è questa la carta che gioca nella crisi, per cercare di governare a suo vantaggio le paure americane del momento. La frustrazione dei repubblicani, anche di quelli che chiedevano ai colleghi di appoggiare il piano di salvataggio, era tangibile. Ma con questo calcio all’establishment, questa rivolta sia democratica sia repubblicana contro l’idea di pagare i debiti del sistema bancario con i soldi dei taxpayers, che sono un idolo di giustizia riverito e amato dalla assoluta maggioranza degli americani, una certa identità americana, pro mercato e all’occorrenza fieramente populista, può riaffermare i suoi diritti e spingere il vento nelle vele un po’ afflosciate del vecchio McCain e del suo sorridente e un tanto surreale emblema di guerra o guerriglia culturale di nome Sarah Palin. Bisogna anche vedere se l’eroico vecchietto e la sua ardente e fresca (molto fresca) compagna decideranno di cavalcare la marea e di moltiplicare gli effetti dello schiaffo contro lo stato padrone in quello che per molti aspetti è ancora il paese di Ronald Reagan.


lunedì 29 settembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) L’Europa non sia complice di chi nega la libertà religiosa - Mario Mauro - lunedì 29 settembre 2008 – IlSussidiario.net
2) SOCIETÀ LIQUIDA/ Legami familiari e culturali: l'unica “rete” a darci un senso di identità - Eugenia Scabini – IlSussidiario.net - lunedì 29 settembre 2008
3) DNA/ La vita dell'uomo ebbe origine da un unico evento nella storia - Marco Pierotti - lunedì 29 settembre 2008 – IlSussidiario.net
4) VALORI/ Quella speranza utopica di Magris e Rusconi - Redazione - lunedì 29 settembre 2008 – IlSussidiario.net
5) Il ricordo di Paul Newman, “gli occhi blu” del cinema - Redazione - domenica 28 settembre 2008, IlSussidiario.net

L’Europa non sia complice di chi nega la libertà religiosa - Mario Mauro - lunedì 29 settembre 2008 – IlSussidiario.net
Oggi a Marsiglia Unione europea e India si incontreranno per definire il futuro del proprio rapporto strategico-politico. L’Europa riafferma il suo supporto per il rafforzamento delle relazioni strategiche tra le due più vaste entità democratiche del mondo, che sono chiamate a raggiungere risultati concreti sotto l’aspetto economico, politico, della sicurezza, della non proliferazione nucleare e sotto altri aspetti di mutuo interesse come la promozione della diversità culturale. Grazie ad una Risoluzione del Parlamento europeo, il tema della difesa dei cristiani e della qualità della democrazia indiana entra con forza nei lavori del summit.
C’è ancora grande preoccupazione per la situazione delle minoranze cristiane, in particolar modo nello stato dell’Orissa, e per l’impatto che le leggi anti-conversione diffuse in diversi Stati dell’India possono avere sulla libertà religiosa, anche considerando il fatto che non c’è stato effettivo intervento della polizia durante gli attacchi che hanno portato all’uccisione di almeno 37 cristiani e che i leader di Vishwa Hindu Parishad hanno dichiarato che la violenza non cesserà fino a quando l’Orissa non sarà totalmente liberata dai cristiani. La Risoluzione chiede che le “autorità indiane mettano fine ad ogni violenza contro le comunità cristiane e permettano loro di professare la loro fede liberamente”.
Il summit Ue-India deve diventare l’occasione per esprimere la nostra condanna per i recenti attacchi contro i cristiani in Orissa e nel Distretto di Kandhamal in particolare, e per pretendere di garantire immediata assistenza e supporto alle vittime, includendo in ciò le compensazioni alla Chiesa per i danni inflitti alle sue proprietà e agli individui, le cui proprietà private hanno subito simili danni, e che venga permesso a tutte le persone costrette a fuggire dai propri villaggi durante gli attacchi di tornare liberi a casa propria. È molto urgente che tutti i responsabili delle violenze, compresi i membri della polizia vengano velocemente condannati. Tutto questo non deve essere una proposta delle tante, ma una vera e propria pretesa nei confronti del Governo indiano. Deve essere l’argomento prioritario, sul quale discutere senza se e senza ma. Non possiamo più tollerare fatti come quelli accaduti poco più di una settimana fa, quando Iswar Digal e Purinder Pradhan sono stati uccisi e tagliati a pezzi. O come la vicenda di Padre Samuel Francis, 50 anni, che è stato ritrovato morto lunedì mattina, con mani e piedi legati nella cappella dell’ashram in cui viveva, nel villaggio di Chota Rampur.
Durante il dibattito in Aula di mercoledì 24 settembre a Bruxelles ho contrastato con forza le sconcertanti premesse al Summit Ue-India poste dal Commissario alle relazioni istituzionali, la svedese Margot Wallstrom e dal Ministro francese per le politiche europee Jean Pierre Jouyet, intervenuto per conto della presidenza francese del Consiglio. Ho fatto notare che la differenza fra la Risoluzione del Parlamento e le loro introduzioni risulta essere il fatto che, come spesso capita a titubanti istituzioni sovranazionali, non hanno trovato il coraggio di parlare dei massacri di questi giorni, di condannare con forza il venir meno della libertà religiosa in India. Un segnale molto grave, che mi ha fatto pensare che ci saremmo introdotti al vertice che comincia oggi senza avere il coraggio di affrontare la questione centrale: una vera amicizia tra Unione Europea e India passa attraverso il richiamo alla dignità della persona.
Ma per quale motivo dobbiamo avere a cuore la libertà religiosa in tutto il mondo? Per quale motivo una civiltà come la nostra non può permettere che vengano uccise persone in nome del loro credo religioso? E soprattutto per quale motivo il tema della libertà religiosa deve costituire addirittura, come diceva Giovanni Paolo II, “la cartina di tornasole per il rispetto di tutte le altre libertà”?
Perché la libertà religiosa non è una libertà come le altre, sulla libertà religiosa si fonda la qualità di una democrazia. Proprio nell’Aula del Parlamento europeo l’ex Presidente indiano, lo scienziato Abdul Kalam, qualche tempo fa, ci ha raccontato come ha imparato, in una scuola cristiana, non solo l’amore per la conoscenza ma anche la distinzione tra religione e politica. Non dobbiamo mai dimenticare che la libertà religiosa è fondamento per lo sviluppo della democrazia e quindi rende possibile un compito comune, nel quale in amicizia è possibile ricordarci vicendevolmente che la violazione dei diritti umani è la fine di un rapporto di verità.
Dobbiamo avere questo coraggio, se non ci assumiamo come istituzioni europee oggi a Marsiglia questa responsabilità, ci rendiamo complici di una vera e propria degenerazione della democrazia.

SOCIETÀ LIQUIDA/ Legami familiari e culturali: l'unica “rete” a darci un senso di identità - Eugenia Scabini – IlSussidiario.net - lunedì 29 settembre 2008
Baumann usa spesso immagini suggestive che catturano alcune modalità del vivere odierno. Così è l’immagine della rete, a significare un certo modo di entrare e uscire dalle relazioni, vissute contingentemente, che fotografa uno stile di vita diffuso, soprattutto nelle generazioni più giovani e nella opulenta società occidentale.
Ma, e qui sta il punto, la rete ha un centro o no? Che ne è del soggetto che sta al centro della rete? Che ne è della sua identità? L’identità si costruisce giorno per giorno (e questo è l’aspetto costruttivo) ma certamente non sul nulla bensì a partire da un terreno costituito dai legami significativi, in primis quelli familiari. Questa struttura relazionale, con i suoi significati simbolici e culturali è l’humus nel quale il soggetto umano nasce (preceduto fin nell’utero da attese familiari e interazioni con la madre che oggi sappiamo arrivare fino a lui), che lo accoglie nei primi anni di vita, costituendo quel nocciolo duro dell’identità con i suoi “modelli operativi interni” (per usare una terminologia cara alla teoria dell’attaccamento) e le modalità di identificazione che il soggetto umano si porta appresso per tutta la vita e con le quali dovrà fare necessariamente i conti.
Dalla clinica psicologica di orientamento intergenerazionale, che ha una lunga e importante tradizione, sappiamo come i legami familiari, non solo prossimi ed in atto, ma anche lontani nel tempo, hanno un ruolo cruciale nel forgiare l’identità del soggetto e che hanno effetti psichici che si manifestano anche dopo generazioni. I legami familiari vivono di affetti e di responsabilità stringenti. Borzormeny-Nagy e Spark con un’espressione vivida sostengono da tempo che fibre invisibili di lealtà legano il soggetto umano alle generazioni che lo hanno preceduto e a quelle che sono in atto sulla scena e che una sofisticata dinamica di scambio, che ha sia un versante simbolico, di senso, che di azione, lega il soggetto al suo corpo familiare, che è appunto invisibile, se si vuole come la rete di Baumann ma non certo priva di vincolo. Ecco, il tema del vincolo, questo il grande assente dalle riflessioni di Baumann.
La rete di Baumann può non avere storia ed essere solo frutto della scelta contingente del soggetto. Ma il soggetto umano ha una storia che lo nutre, nel bene e nel male, e che lo vincola e dalla quale la scelta del soggetto non può prescindere.
Ognuno di noi viene al mondo entro relazioni primarie (si chiamano appunto primarie quelle familiari perché sono a fondamento dei legami anche sociali) specifiche, entro una cultura specifica, che ci precede e che in alcun modo nessuno di noi può scegliere. Nelle relazioni familiari, cioè in quello che oggi si usa dire nell’ambito degli affetti più cari, la scelta è limitata. Nessuno può scegliere in che famiglia nascere, i coniugi possono scegliere di non continuare la loro relazione ma non possono mai diventare ex genitori. Monica Mc Goldrick, nota terapeuta familiare che proviene da un ambiente culturale che di certo non sottovaluta il peso della scelta, così si esprime “quando i membri della famiglia considerano le relazioni familiari come una scelta, lo fanno a danno del proprio senso di identità e della ricchezza del loro contesto emozionale e sociale”. Con la nostra storia familiare, ma anche con la storia della cultura nella quale nasciamo e con la storia di tutti i legami significativi che incontriamo nella vita noi dobbiamo fare i conti e la scelta non è certo leggera e solo “giocosa” come Baumann dice. (Che dire ad esempio dei legami passionali che agitano, letteralmente fino alla morte, come ci fa vedere purtroppo la cronaca ogni giorno, la vita dei coniugi che si separano?) Tale storia dei legami noi possiamo subirla, contestarla, modificarla, trasformarla.
Possiamo anche, e questo è veramente il pericolo, negarla, de-negarla, presi da una forma di cecità. Non avere occhi per vedere la potenza, positiva e al tempo stesso anche drammatica, della storia dei legami ci priva della possibilità di dare spessore e sapore a ciò che costituisce la nostra identità in quanto “persona”, cioè essere costitutivamente in relazione. E la negazione, come si sa, è un meccanismo tra i più primitivi della mente umana. Come dire che non si fa tanta strada usandola.


DNA/ La vita dell'uomo ebbe origine da un unico evento nella storia - Marco Pierotti - lunedì 29 settembre 2008 – IlSussidiario.net
È affascinante, e in qualche modo stupefacente, che le moderne tecnologie della biologia molecolare affiancate alle più tradizionali metodologie dello studio dei fossili possano cominciare a dare delle risposte ad una delle domande fondamentali che l’uomo si pone : “da dove veniamo”. L’analisi dell'architettura del DNA ha rivelato che l’informazione in esso contenuta è veicolata dal modo in cui sono disposte, in diverse sequenze di lunghezza variabile, le quattro molecole contraddistinte dalle lettere dell’“alfabeto della vita” A,T,C,G. L’analisi di tale architettura ha rivelato che, in un quadro di sostanziale costanza dei messaggi (sequenze) scritti con queste lettere,esistono variazioni (polimorfismi) che cambiano una di queste in posizioni omologhe nei diversi DNA. Tecnicamente queste variazioni sono definite SNPs (Single Nucleotide Polymorphisms). Analizzando questi SNPs in DNA diversi è poi possibile tracciare le relazioni esistenti tra questi ultimi: i rapporti di parentela tra i diversi individui, le relazioni tra le diverse popolazioni ecc. In altre parole quanto più sono condivisi molti SNPs tanto più stretti sono i vincoli tra le persone da cui il DNA esaminato proviene. Dal punto di vista numerico basti pensare che l’intero codice genetico è composto di 3 miliardi di lettere e che uno SNPs può essere trovato ogni mille di queste ultime. Disponiamo , quindi, di circa 3 milioni di “marcatori” con cui caratterizzare i DNA dei singoli individui. Un altro aspetto che ci permette di capire l’approccio sperimentale e di valutarne le conclusioni è dato dal fatto che anche il cromosoma Y , caratterizzante gli individui di sesso maschile, contiene SNPs, come pure il DNA dei mitocondri. Il primo fatto ci dice che, ovviamente, possiamo usare ciò per stabilire relazioni di vicinanza ovvero di distanza genetica tra soggetti di sesso maschile. La questione legata ai mitocondri è invece per certi aspetti più interessante. Questi ultimi, infatti, sono delle strutture intracellulari specializzate in funzioni legate alla “respirazione” della cellula e sono caratterizzate dall’interessante proprietà di essere le uniche strutture cellulari al di fuori del nucleo ad avere un proprio DNA che si replica autonomamente. Inoltre, essi sono contenuti nell’oocita e non negli spermatozoi: i mitocondri presenti in tutte le nostre cellule derivano solamente dal sesso femminile, ossia dalle madri. Tutto ciò rende lo studio del DNA mitocondriale e dei suoi SNPs assolutamente importante per tracciare la storia dell’origine del genere umano e seguire i suoi flussi migratori.
Cosa ci hanno indicato questi studi? Paragonando i profili di questi SNPs in individui di diverse popolazioni di diverse parti del mondo e combinando questi dati con quelli ottenuti da reperti fossili, i ricercatori hanno potuto stabilire che il genere umano si è diffuso nel mondo attraverso una serie di migrazioni che sono originate da una singola località vicino all’attuale Addis Ababa in Etiopia e che questo è accaduto all’incirca 100.000 anni fa. Nessun elemento in nostro possesso contraddice, quindi, l’ipotesi di una nostra origine da una singola Eva africana, conclusione di una qualche suggestione e di grande interesse. L’origine dell’uomo da un singolo avvenimento trova d’altra parte un possibile riscontro in un ambito ancora più ampio e speculativo che è quello sull’origine della vita.
Senza entrare troppo in tecnicismi, ma invitando il lettore ad approfondire questo concetto, è noto che due mattoni della materia vivente, gli amminoacidi e i carboidrati, quando vengono colpiti da luce polarizzata la deviano a destra (forma R) o a sinistra (forma L). In altre parole esistono due possibili configurazioni per queste molecole. Producendo in laboratorio per sintesi queste due famiglie di molecole si generano entrambe le forme (racemo). Al contrario, in natura , in tutti i viventi gli amminoacidi hanno solo la forma L e i carboidrati biologicamente rilevanti solo la forma R. Questo porterebbe a concludere che la vita ha avuto origine da un singolo, unico evento.
È facile immaginare quante e quali conseguenze queste considerazioni possano avere, specialmente in tempi in cui, come riporta nel numero del 25 settembre la seguitissima e autorevole rivista Nature, il direttore dell’educazione della Britain’s Royal Society , Michael Reiss, è stato costretto a dimettersi in seguito a certi suoi commenti su alcuni aspetti della teoria del “creazionismo” che lo avevano fatto ritenere sostenitore di quest’ultima e con ciò incompatibile con l’incarico ricoperto.


VALORI/ Quella speranza utopica di Magris e Rusconi - Redazione - lunedì 29 settembre 2008 – IlSussidiario.net
Gli articoli che Claudio Magris e Gian Enrico Rusconi hanno pubblicato rispettivamente sul Corriere della Sera giovedì 25 settembre 2008 il primo, e sulla Stampa venerdì 26 settembre il secondo, dedicati entrambi al tema della speranza meritano una riflessione approfondita poiché toccano uno dei valori fondamentali più dimenticati dall’attuale società e del quale non si riesce – forse – più a comprenderne l’origine e il significato.
A Magris si può senz’altro riconoscere il merito di aver ripreso la questione della speranza all’interno di una riflessione vasta e composita, nella quale un importante risultato è stabilito dall’idea che la speranza costituisca un motore fondamentale per la conoscenza, anzi, che essa rappresenti una «conoscenza profonda e oggettiva perché sa che quel seme può diventare fiore e frutto», riprendendo – di fatto – quella nozione di progresso di cui è permeata tutta la nostra società a partire dall’epoca moderna. Che questo, poi, si sposi con un’idea di speranza-utopia alla Bloch, è un assunto che Magris non spiega ma, mi sembra, dia per assunto. È evidente, infatti, che, in una prospettiva laica, la speranza non può che essere collegata a un’immagine futura della realtà, una possibilità che incida non tanto durante la vita di ogni giorno, quanto su una credenza in una realtà ultra terrena. Che insomma, come Magris scrive, si possa pensare alla speranza solo nei termini di un’utopia, vale a dire nei termini di una forza che vada oltre la storia; accomunando in questo ebrei e cristiani, e commettendo un grave errore. Una speranza, infatti, che “serva” soltanto a rassicurare l’uomo sull’al di là, non ha nulla a che vedere con la speranza cristiana. A differenza del popolo ebraico che vive nella “speranza” di una promessa, per il cristiano la speranza nasce non da un’attesa, ma da una realtà. Così come, del resto, emerge da una lettura un po’ più attenta del testo di Peguy che lo stesso Magris cita: la “piccola” speranza, infatti, piccola tra le sue “grandi” sorelle – la fede e la carità –, ha origine dal riconoscimento di una grande grazia ottenuta.
Non è da un’attesa, allora, ma da qualcosa che si è palesato nella storia dell’uomo, da una presenza, che nasce la speranza. Per questo la speranza del cristiano non può essere confusa con una delle tante forme di utopie che pure hanno attraversato l’epoca moderna: né l’utopia scientista o materialista, né quella spiritualista laica, come la definisce Rusconi, potrà mai garantire all’uomo una speranza reale, una speranza, cioè, per cui vale la pena vivere, sino a dare tutto se stessi. Di una speranza, infatti, che si nutre soltanto dell’osservanza di una legge morale (Rusconi), o della convinzione che il mondo potrà essere sempre meglio amministrato (Magris), l'uomo non avverte la necessità, poiché sa che la sua speranza, ultimamente, sarebbe in mano a un qualche potente di turno (magistrato, medico o politico) che si crogiola nel suo successo contingente.
Non è una scienza o una “morale laica” che potrà essere garante della speranza, ma l’aver “ricevuto una grande grazia”, come scriveva Peguy, un grande amore, – come sembra fargli eco Benedetto XVI nella sua Enciclica Spe Salvi – che costituisca un segno “intramondano” della possibilità di una redenzione già in questo mondo. Non un’utopia muove la storia, ma la certezza di un amore presente e perenne, un amore che si è palesato nella storia avendo la pretesa di essere origine e scopo della speranza che vi è nell’uomo. Altro che “escamotage” o sconti: è con questa pretesa che l’uomo di tutti i tempi si è paragonato, giudicando se il suo desiderio di felicità non potesse che trovare soddisfazione nell’infinita misericordia di un Dio che si è fatto uomo.
(Paolo Ponzio)


Il ricordo di Paul Newman, “gli occhi blu” del cinema - Redazione - domenica 28 settembre 2008, IlSussidiario.net
Due fasci di luce azzurra - rivelatisi tali solo a poco a poco, inquadratura dopo inquadratura - si alzano a perpendicolo squarciando il buio della notte, ad indicare il luogo dove sorgevano le Torri Gemelle. Questo il potente prologo del primo film a mostrare e considerare le tante ferite newyorkesi post 11 settembre 2001, prima fra tutte il gigantesco cratere di Ground Zero. È La 25ª ora (2002, Spike Lee), il racconto dell’ultima giornata di libertà che separa lo spacciatore Montgomery Brogan (Edward Norton) da sette anni di reclusione nel carcere di Otisville. Una canaglia certo, ma dal cuore d’oro, nel cui appartamento vediamo campeggiare una vecchia locandina con un inconfondibile profilo di attore e due uniche scritte, quella del protagonista seguita dal titolo dell’opera: PAUL NEWMAN, COOL HAND LUKE. E ad unirle l’immagine dello stesso con le mani incrociate dietro la nuca. E le catene ai piedi.
È così che va, non ci si può far niente. Anche chi non se ne interessa o vi passa solo accanto, si porta nella testa, venendone magari involontariamente accompagnato per il resto della vita, nascosta chissà dove nella memoria e pronta a riemergere quando meno ce lo si aspetta, un’immagine proveniente direttamente dall’immaginario cinematografico, fosse solo perché “canonicamente” legata a certi modi di dire o a un repertorio visivo ormai comune.
Ognuno potrebbe stilare tranquillamente, ne siamo certi, la sua lista, più o meno personale, più o meno influenzata da questo “canone”, dalle bighe in corsa nel circo di Antiochia a due innamorati abbracciati sulla prua del più sfortunato transatlantico del mondo. Anche noi abbiamo la nostra. Molto personale. E lì in mezzo sappiamo che c’è uno sguardo, due occhi, “gli” occhi, incrociati sfortunatamente - per motivi anagrafici - solo nelle serate in famiglia sul piccolo schermo, almeno per quanto riguarda il periodo di loro maggiore vivacità. Due occhi che trasmettevano, a seconda delle storie e dei personaggi cui prestavano la propria intensità, misurata eleganza, sottile ironia, sfrontata spavalderia, talvolta rabbia repressa e distillata malinconia. Mai rassegnazione.
Non erano stati dati occhi così per comunicare rassegnazione. No, non si poteva incontrare questo sguardo per poi sentirsi lasciati da soli, fosse pure una storia di banditi e fuorilegge. Nella notte di venerdì scorso, 26 settembre, questi occhi, come ci era stato detto doveva accadere, si sono chiusi. Chiusi ma non spenti, almeno fino a quando esisteranno anche solo pochi metri di pellicola che ne tramanderanno la luce. Circondato dalle premurose attenzioni dei propri familiari tra le mura domestiche nella campagna di Westport (Connecticut), l’ottantatreenne divo, attore, autore e filantropo Paul Newman se n’è andato per un male incurabile ai polmoni.
Come riassumere una delle più luminose e generose carriere della storia del cinema del secondo Novecento? Con lampi per forza di cose sintetici, che vogliono solo suggerire una (ri)scoperta, più che dettagliare una strada che si vorrebbe già esaurita e saputa, lasciando da parte il ricordo di inutili e troppo tardivi riconoscimenti a fronte di cinquant’anni di lavoro dal valore incalcolabile.
Classe 1925 (nasce il 26 gennaio a Shaker Heights, un sobborgo nei dintorni di Cleveland, in Ohio), entrambi i genitori americani di seconda generazione (il padre discende da una famiglia di ebrei tedeschi mentre la madre da una di cattolici ungheresi), in pieno conflitto mondiale il diciottenne Paul Leonard Newman si arruola in Marina dovendo però evitare il servizio attivo per un difetto di quegli occhi azzurri che faranno la sua fortuna al cinema: non possono riconoscere certi colori, sono daltonici.
Terminata la guerra e ripresa l’università, si laurea nello stesso anno in cui perde il padre: è il 1949. Deve così forzatamente rilevare l’attività commerciale paterna, un negozio di articoli sportivi. Un compito che cede volentieri, di lì a poco più di un anno, al fratello in modo da poter frequentare prima i corsi di arte drammatica alla Yale Drama School e, una volta giunto a New York, il famoso Actors Studio.
Dopo trascurabilissime partecipazioni televisive, come quelle a The Aldrich Family (1949) e Tales of Tomorrow (1951), nei primi anni Cinquanta ecco i primi ruoli a Broadway e l’esordio al cinema, come emulo di Marlon Brando e James Dean. Il successo arriva con la parte del pugile Rocky Graziano in Lassù qualcuno mi ama (1956, Robert Wise) mentre la definitiva consacrazione è del 1958, suo vero e proprio annus mirabilis. È infatti protagonista di tre pellicole: Furia selvaggia di Arthur Penn, dove veste i panni del pistolero Billy The Kid; La lunga estate calda di Martin Ritt, recitando accanto all’amatissima seconda moglie Joanne Woodward e al gigante Orson Welles; La gatta sul tetto che scotta di Richard Brooks, in cui deve vedersela con Elizabeth Taylor.
Gli anni Sessanta sono invece quelli, tra gli altri, de Lo spaccone (1961, Robert Rossen) e del già citato Nick mano fredda (1967, Stuart Rosenberg), nonché quelli dell’inizio del sodalizio con il regista George Roy Hill e l’attore Robert Redford: se nel 1969 tocca al western in cadenze moderne Butch Cassidy, il 1973 è la volta de La stangata. Permettendosi anche un’incursione, in compagnia di altre “stelle”, nel genere catastrofico anni Settanta con il celebre L’inferno di cristallo (1974, John Guillermin), non prima di prestare il volto al tanto mitico quanto rude giudice Roy Bean nel western, sceneggiato da John Milius, L’uomo dai sette capestri (1972, John Huston).
Gli anni Ottanta lo vedono ancora sugli scudi con Il verdetto (1982, Sidney Lumet), mentre ne Il colore dei soldi (1986, Martin Scorsese) riprende il personaggio di Eddie Felson (il giocatore di biliardo cui ha dato vita venticinque anni prima per Lo spaccone) a fianco di un giovane Tom Cruise a inizio carriera.
E poi pellicole quali Mr. & Mrs. Bridge (1990, James Ivory), Mister Hula Hoop (1994, Joel Coen), La vita a modo mio (1994, Robert Benton) e Le parole che non ti ho detto (1999, Luis Mandoki), regalando l’ultima, grande interpretazione, prima dell’annunciato ritiro dal mondo del cinema, in Era mio padre – Road to Perdition (2002, Sam Mendes).
Come ha scritto il critico statunitense Leonard Maltin, Paul Newman è stato «una figura essenziale nella storia del cinema, il divo di passaggio tra le star inarrivabili dell’età d’oro di Hollywood e i più credibili attori che li sostituiranno a partire dagli anni Sessanta».
Grazie di tutto e a presto, “Occhi Blu”.
(Leonardo Locatelli)