domenica 30 dicembre 2007

Rassegna stampa del 30 dicembre 2007

29.12.2007, A Madrid e all’origine del matrimonio con Goethe, Cristo, Pavese e Lewis, Julián Carrón, Il Foglio
http://www.clonline.org/articoli/ita/CarronFoglio291207.pdf


ANZICHÉ LA REVISIONE DELLA LEGGE 40 - CONTRORDINE: LE LINEE GUIDA NUOVO OBIETTIVO
Avvenire, 29.12.2007EUGENIA ROCCELLA Ricordate l’appello dei cento scien­ziati contro la legge 40 sulla pro­creazione assistita, durante la campa­gna referendaria del 2005? Era firmato da nomi autorevoli come Rita Levi Mon­talcini, Edoardo Boncinelli, Elena Cat­taneo, Carlo Alberto Redi, Giulio Cossu, Margherita Hack, e così via. Il docu­mento spiegava perché era necessario cambiare la legge votando sì all’abro­gazione di alcuni articoli, tra cui quelli che «proibiscono la diagnosi pre-im­pianto ». Uno dei quesiti referendari chiedeva infatti la cancellazione di un comma dell’articolo 13 che consente la ricerca clinica sull’embrione solo se fi­nalizzata alla «tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso».Nel 2005, dunque, i promotori del refe­rendum, e i cento scienziati che aveva­no firmato il documento, erano perfet­tamente consci che la legge esprimes­se con chiarezza il divieto di eseguire diagnosi sugli embrioni – ovviamente allo scopo di selezionarli – prima di im­piantarli in utero. Nel 2007 tutto è cam­biato. Contrordine, compagni: l’ordi­nanza emessa pochi giorni fa dal tribu­nale di Firenze richiede un veloce ri­baltamento di quello che è stato detto e scritto finora, e i quesiti referendari devono essere dimenticati. Da questo momento bisogna sostenere che la leg­ge 40 non impedisce di fare indagini diagnostiche sull’embrione: la colpa è tutta dell’ex ministro della Salute Sir­chia, che nelle linee guida da lui ema­nate nel luglio 2004 ha voluto subdola­mente inserire ulteriori restrizioni. La nuova impostazione ha trovato subito degli adepti. Se Rocco Berardo, vice se­gretario dell’Associazione radicale Lu­ca Coscioni, si spinge fino a dichiarare che «la legge è stata tradita» dal suo te­sto attuativo, sul 'Corriere della Sera' abbiamo letto, come fosse una verità indiscutibile, che le linee guida di Sir­chia «introducono un divieto che la leg­ge non contempla», e persino l’attuale ministro della Salute Livia Turco – spia­ce dirlo – sembra voler seguire la stes­sa linea.Negando l’evidenza, e sorvolando alle­gramente su tutto quello che i sosteni­tori del referendum abrogativo diceva­no meno di tre anni fa, si ottiene un doppio scopo. Il primo: si legittima lo stravolgimento della legge grazie alla semplice modifica delle linee guida, senza quindi essere costretti a un ri­schioso passaggio parlamentare. Il se­condo: si maschera l’assoluta mancan­za di rispetto nei confronti degli eletto­ri, che con l’astensione più massiccia della storia recente hanno confermato di voler mantenere la legge 40 così com’è, compresa la parte che vieta la selezione degli embrioni e la diagnosi pre-impianto. Un’operazione spregiu­dicata e brillante, confortata dalla ten­denza di qualche giudice a intervenire sulle leggi invece che applicarle, evi­tando persino di ricorrere alla Corte Co­stituzionale.Gli italiani si sono astenuti in massa per difendere una legge che manteneva al­cune fondamentali garanzie, tra cui il divieto della selezione genetica, cioè la distinzione tra vite umane di serie A e di serie B; oggi ci viene detto che quel­le garanzie non ci sono mai state, e che il professor Veronesi scherzava quando sosteneva che «la legge sulla feconda­zione assistita vanifica la grande spe­ranza di ridurre drasticamente il tragi­co peso umano e sociale di 30 mila bam­bini che ogni anno nascono in Italia con gravi malformazioni. Vietando qualsia­si analisi di una cellula uovo fecondata nega uno dei maggiori progressi della medicina degli ultimi anni».L’ingegneria sociale e genetica dunque è legittima: basta correggere le linee gui­da del ministro Sirchia: poi potremo tranquillamente stabilire che i bimbi af­fetti da sindrome Down o da talassemia (o, come già accade in Inghilterra, quel­li che avranno un tasso di colesterolo alto) costano troppo alla comunità, e non devono nascere.


LA COMUNICAZIONE CON I SOFFERENTI - Quando la vita bussa alle porte del limite
Avvenire, 29.12.2007
GIORGIO PAOLUCCI N ei giorni scorsi sono andato con due amici a trovare una vecchia conoscenza. Era una di quelle visite che si fanno durante le feste a coloro che non si vedono da tempo, ma il cui ricordo ha scavato un solco indelebile nella mente.Gaetano, questo il suo nome, è stato colpito anni fa da una forma precoce e aggressiva di Parkinson che gli impedisce di reggere lunghe conversazioni e limita fortemente l’uso della parola. Così quel giorno, dopo qualche scambio di battute, si è irrigidito e ha cominciato a biascicare cose pressoché incomprensibili.Incomprensibili a tutti, ma non al badante peruviano che insieme all’anziana madre lo assiste amorevolmente ed è diventato il suo angelo custode. Avevamo portato per quel nostro amico un calendario del 2008 con un biglietto: «Caro Gaetano, ormai ci vediamo raramente, ma speriamo che l’anno prossimo ti ricorderai di noi almeno una volta al mese, quando girerai le pagine del calendario». Lui ci guardava, gesticolava, e vedendo che non riuscivamo a decifrare quello che tentava di comunicarci, ha preso una biro sottolineando alcune parole del biglietto che gli avevamo scritto: «l’anno prossimo», «una volta al mese» e «noi». Poi, di fianco alla parola «noi», ha scritto il suo nome. Cosa voleva dirci, in quel suo disperato alfabeto? Intercettando il nostro sguardo smarrito, il badante peruviano ha tradotto: «Vi sta dicendo che l’anno prossimo spera di rivedervi qui almeno una volta al mese. È molto malato, vuole ritrovare gli amici di un tempo».Gaetano annuiva con gli occhi velati dalla commozione, nell’impotenza di chi vorrebbe parlare ma riesce a farlo solo come la malattia glielo consente, usando codici non sempre decodificabili.E noi suoi amici, di fronte a quella «comunicazione non verbale» più penetrante di tante parole, non abbiamo potuto fare altro che promettergli di andare a trovarlo una volta al mese.Il giorno dopo, la visita a Daniele, un bambino di otto anni in coma dal 2004. Circondato dalle cure e dall’affetto dei suoi cari e di un gruppo di volontari che li aiutano a portare la croce, vive in carrozzina, i grandi occhi azzurri spalancati, accompagnato dalla preghiera di molti che chiedono il miracolo del risveglio dal coma.Ogni tanto muove la testa, emette suoni che i genitori sanno interpretare, in una comunicazione modulata dalla logica dell’amore. Daniele è sempre al centro della vita familiare, i suoi genitori lo accarezzano, lo stimolano, gli sorridono. Si comportano esattamente come se quella vita «sospesa» fosse in grado di capire ciò che le accade attorno. «Lui è una presenza – dicono – e noi siamo una presenza per lui». Non vivono da disperati, implorano a Dio la guarigione e sperimentano ogni giorno – in quella ferita sempre aperta – cosa significa che l’esistenza non ci appartiene e che la logica dell’amore può superare ogni impedimento.Gaetano e Daniele sono la testimonianza eloquente degli abissi e delle altezze a cui può arrivare la vita. Che potentemente si manifesta, anche quando non riusciamo a ingabbiarla negli schemi di ciò che chiamiamo normalità. Si manifesta con il suo alfabeto particolare, urge, reclama un posto nell’esistenza dei «normali». E ci costringe a fare i conti con l’insopprimibile presenza del Mistero tra noi.

GUARDANDO AL 2008 - LA FORZA DI CREDERE CHE LA PACE NON È UN’UTOPIA
Avvenire, 29.12.2007ANDREA RICCARDI Non è facile fare un bilancio a fine an­no. È forte il sussulto degli ultimi av­venimenti, come l’uccisione di Benazir Bhutto in Pakistan. Una tragedia rivela­trice dell’instabilità grave di un grande Paese, di un’intera regione, ma anche del difficile rapporto tra islam e democrazia. Vi si leggono tutti i problemi impostisi al­l’attenzione del mondo dall’11 settem­bre 2001. E poi c’è la violenza, una realtà antica, con cui si devono sempre più fa­re i conti in politica e nel quotidiano. È la violenza delle grandi convivenze urba­ne, dall’America Latina all’Asia, favorita anche dal fatto che nel 2007, per la pri­ma volta nella storia, nel mondo gli abi­tanti delle città sono diventati più nu­merosi di quelli delle campagne. Il bi­lancio dell’anno che si chiude, quindi, potrebbe apparire negativo e, soprattut­to, il quadro del 2008 assumere cupe pro­spettive.Viene da chiedersi come la piccola Italia, presa dal senso di declino, dove molte fa­miglie hanno la sensazione di una vita più difficile, con un dibattito politico bloccato, possa affrontare questi difficili scenari. Sono pensieri e sentimenti che attraversano tanti nostri concittadini. In molti svanisce la voglia di guardare il grande orizzonte del mondo, di interes­sarsi ai problemi 'lontani'. Che posso fa­re io? è la domanda inespressa di tanti. Il mondo oggi sembra più difficile. È vero: è molto complesso. Siamo raggiunti da un numero incredibile di notizie, che non riusciamo facilmente a decifrare. Sono tramontate le spiegazioni ideologiche: non solo quelle marxiste di ieri, ma an­che quelle più recenti sulla vittoria del mercato che avrebbe dovuto portare la democrazia ovunque. Il senso di irrile­vanza e la complicazione del presente ci spingono a lasciare ad altri la fatica di guardare la storia, quella del 2007 o del 2008. Stare alla finestra del mondo e di­scutere su di esso appare prometeico: tanto che posso fare io?
Nel corso del 2007, Benedetto XVI ha in­sistito sul messaggio di speranza che vie­ne dal Vangelo. Lo ha fatto anche nel mes­saggio per la Giornata mondiale della pa­ce. Sono passati quarant’anni da quel 1° gennaio 1968, quando Paolo VI consacrò questa data alla pace. Certo allora, in Oc­cidente, il clima era ben diverso, c’era la convinzione (illusoria) di avere idee e movimenti da esportare nel mondo in­tero. Ma la Chiesa, con quella Giornata, mostra di non rinunciare alla grande spe­ranza di un mondo in pace. Dice a chia­re lettere che non è un’utopia. Benedet­to XVI, nel suo Messaggio, stabilisce un legame tra il quotidiano, la vita familia­re, e gli orizzonti del mondo: 'Il lessico fa­miliare è un lessico di pace; lì è necessa­rio attingere sempre per non perdere l’u­so del vocabolario della pace. Nell’infla­zione dei linguaggi, la società non può perdere il riferimento a quella gramma­tica...'.C’è una connessione profonda tra la vi­ta di ciascuno, di una famiglia, e la pace del mondo. Le scelte e i comportamenti dei singoli non sono irrilevanti. La storia non si dispiega come le notizie della cro­naca. Non è fatta solo da pochi attori. Ci sono correnti profonde, come affermava Giorgio La Pira. C’è una forza di attra­zione da parte dei comportamenti giusti e pacifici, anche se di pochi.Avere speranza non vuol dire possedere una visione lucida di come sarà il doma­ni. La speranza profonda viene dalla con­vinzione che la famiglia degli uomini e dei popoli non è stata abbandonata da un amore più grande. Viene dal fatto che la pace è dono di Dio, un’eredità che la follia umana non potrà dissipare. La no­stra visione del futuro deve nutrirsi mag­giormente di preghiera: sì, quella pre­ghiera per la pace, 'senza stancarsi', che il Papa chiede alla fine del suo Messag­gio. Quando la Chiesa, anche nel mezzo delle situazioni più difficili, continua a pregare per la pace, mostra che non ri­nuncerà mai alla speranza di un mondo riconciliato. Da questa preghiera nasce la speranza e sgorgano comportamenti e visioni di pace.

LA DISILLUSIONE DI CHI HA CERCATO UNA SOCIETÀ SENZ’ANIMA - Le verità sull’uomo battistrada della democrazia laica
Avvenire, 30.12.2007
CARLO CARDIA

Quando si manifestano credenze e convinzioni incompatibili tra loro, in una democrazia laica non si «decidono verità sull’uomo, ma (soltanto) le procedure democratiche che minimizzano il dissenso».
Questa la conclusione di un articolo su 'La Stampa', secondo il quale riconoscere il diritto della Chiesa di esprimersi nella sfera pubblica vorrebbe dire che «il pubblico debba essere gestito in esclusiva secondo le direttive della Chiesa». Davvero una democrazia laica deve limitarsi a scrivere regole procedurali e dichiarare che non esistono verità sull’uomo? Se così fosse, ogni evoluzione storica sarebbe votata al fallimento, e il faticoso cammino per affermare i diritti umani compiuto nell’ultimo secolo sarebbe inutile e sbagliato.
Comunque si leggano, i più solenni documenti normativi contengono tante verità sull’uomo. La celebre definizione della Dichiarazione di indipendenza americana del 1776 ci dice che tutti gli uomini sono stati creati uguali e che il Creatore li ha dotati di alcuni diritti inviolabili fra i quali la vita, la libertà, il perseguimento della felicità. Altre Carte sui diritti umani affermano che la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e che ad essa deve essere assicurata la protezione e l’assistenza più ampia. Oppure che la maternità è una funzione sociale, e che i genitori hanno responsabilità comuni nella cura dei figli per assicurare il loro sviluppo. E poi ancora, che la fedeltà è un vincolo che lega marito e moglie, che l’educazione familiare è essenziale per la formazione e la crescita delle nuove generazioni.
Se la democrazia moderna non poggiasse su questi e tanti altri valori, sarebbe una democrazia senz’anima. Non saprebbe dire altro ai cittadini se non che devono vivere nella solitudine, senza verità e senza speranza, perché la società non può far altro che governare individui che non possono sapere nulla di se stessi, della propria natura, del proprio destino. Una società senza passato, e priva di quelle tensioni etiche che ovunque preparano il futuro.Singolarmente, è toccato a Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica laica più intransigente, fare una confessione sincera, e indicare un cammino diverso. Per Sarkozy, lo Stato ha interesse alla riflessione morale ispirata alle convinzioni religiose. Anzitutto perché la morale laica rischia sempre di esaurirsi o di trasformarsi in fanatismo quando poggia su una speranza che colma l’aspirazione all’infinito; «poi e soprattutto perché una morale sprovvista di legami con il trascendente è maggiormente esposta alle contingenze storiche e in definitiva all’arrendevolezza».
Queste considerazioni potrebbero spingere più avanti il dibattito anche in Italia.
Potrebbero eliminare la paura che oggi caratterizza alcune correnti laiche quando temono di confrontarsi con determinate posizioni e proposte in materia di famiglia, di difesa della vita, e utilizzano il concetto di laicità per negare il diritto dei credenti ad agire limpidamente nella sfera pubblica. Ma la società, la democrazia, lo Stato hanno bisogno delle idee di tutti, perché su queste idee si discuta, ci si confronti nel merito per scegliere poi liberamente le decisioni da adottare.Sarkozy ha aggiunto che la laicità non può essere negazione del passato. Non ha il potere di togliere a un Paese le sue radici cristiane, e quando l’ha fatto ha provocato seri danni, dal momento che strappare le radici vuol dire indebolire l’identità nazionale e inaridire i rapporti sociali che hanno bisogno di simboli e di memoria.
Ricevere lezioni di laicità da un presidente francese potrebbe sembrare quasi uno scherzo della storia. Ma non è così. È proprio da una esperienza che ha cercato di cancellare l’anima più profonda della società, inseguendo il miraggio di uno Stato freddo e procedurale, senza chinarsi sulla realtà e complessità dell’uomo, che è venuta la disillusione più grande. La disillusione di chi è stato sul punto di trovarsi in un deserto, e vuole uscirne.
Guardando Sarkozy si può superare un’idea di laicità che nega il diritto dei credenti ad agire nella sfera pubblica


L’EDUCAZIONE COME PUNTO DI SVOLTA - Un altro modo di guardare all’aborto
Avvenire, 30.12.2007
MARINA CORRADI
Per dove, concretamente, potrebbe passare un altro modo di guardare all’aborto? La 194 va a compiere trent’anni, doverosamente si può chiedere che venga applicata anche in quelle parti che dovrebbero almeno evitare gli aborti da povertà e da abbandono. Ma l’idea di 'moratoria' suggerisce qualcosa di più: una sorta di ripensamento collettivo, affine a quello che, nell’arco di molti anni, ha portato al voto dell’Onu contro la pena di morte. Ora, ci domandiamo, per quali modi potrebbe passare questo ripensamento, e da dove potrebbe iniziare?
Forse, volendo essere realisti, si dovrebbe iniziare dall’educazione; intendendo con questo termine ­come insegnava don Giussani - una introduzione alla realtà. Forse basterebbe, oltre che insegnare ai ragazzi come funzionano l’apparato riproduttivo e gli anticoncezionali, mostrare l’ecografia di un feto al terzo mese, magari di quelle tridimensionali, adeguate ai nostri standard di moderni utenti di immagini. Un nascituro perfettamente in salute, colto in un tranquillo istante della sua vita intrauterina. A quell’età sono lunghi poco meno un centimetro, ma già le fattezze umane sono perfettamente riconoscibili, tali che qualunque alunno di scuola primaria obbedendo a una elementare evidenza direbbe: quello è un bambino. Immaturo, piccolo, ma evidentemente un bambino.
Ecco, ci pare che uno sguardo nuovo sull’aborto ­quando si vorrebbe persino introdurre una pillola perchè la cosa sia più semplice - non possa che cominciare dal guardare la realtà. Quell’immagine al terzo mese di gravidanza - quando l’aborto è perfettamente legale - è un fatto: non è cattolica nè integralista, non è ideologica. È oggettiva: così è un uomo, a dodici settimane (e se qualcuno non vuole farlo vedere, dovrebbe per onestà domandarsi perchè).
Se questo è un uomo, dunque, prima di ogni altra discussione filosofica o etica, potremmo cominciare a guardarlo, a farlo guardare ai nostri figli, e a onestamente riconoscere ciò che è. Può sembrare poco, questo accettare di vedere e dunque di guardare la realtà, di 'esporsi' alla realtà e lasciarla parlare. Invece è fondamentale.Ha scritto Hannah Arendt, filosofa ebrea sfuggita alle persecuzioni naziste: 'Vedere è idèin, sapere è eidénai, cioè avere visto: prima si vede, poi si conosce'. Il problema della modernità stava secondo lei anche nel non voler 'vedere', nel non voler riconoscere la realtà del 'dato originario'.Cambiare, dunque, partendo da una lealtà dello sguardo. Così siamo a tre mesi, dentro nostra madre. Fate un esperimento, chiedetelo ai vostri figli più piccoli, cos’è quell’essere di un centimetro nel buio. Lo riconosceranno - a quell’età, ci vedono ancora benissimo.
Se poi dottamente si obiettasse che al primo inizio della vita non si 'vede' niente - solo una morula pulsante, affannata a moltiplicarsi - si potrebbe rispondere con le parole del professor Angelo Vescovi, laico, ricercatore di fama internazionale: 'Qualunque fisico esperto di termodinamica può dire che all’atto della fecondazione c’è una transizione repentina e mostruosa, in termini di quantità di informazione. Una transizione di quantità e qualità di informazione senza paragoni, che rappresenta l’inizio della vita: dal totale disordine alla prima entità biologica. Contenente tutta l’informazione del primo stadio della vita umana, concatenato al successivo, e al successivo, in un continuum assolutamente non scindibile, se non arbitrariamente'.
Là dove i nostri occhi non vedono, vedono quelli degli strumenti di laboratorio. Ma possono vedere e basta, oppure 'guardare', e dunque conoscere, e riconoscere. Dal caos, all’ordine, in un istante.
Come nel tocco dell’indice creatore, nella Cappella Sistina. E’ questo lo sguardo che cambia, quello che vorremmo trasmettere.


Offrire la vita per amore Il 2007 dei «testimoni»
Avvenire, 30.12.2007

DI LORENZO ROSOLI
Come Stefano, il protomartire, hanno unito «l’impegno sociale della carità» e «l’annuncio coraggioso della fede». Fino al dono della vita. Sono i ventuno operatori pastorali cattolici, impegnati nel lavoro missionario, morti in modo violento nel corso del 2007 in tutto il mondo. Preti, religiosi, diaconi. Molti sono stati ammazzati: come padre Ricardo Junious, 70 anni, torturato e strangolato a Città del Messico dove lottava contro i trafficanti di droga e la vendita di alcol ai ragazzini. Come padre Raghiid Ganni e i tre diaconi uccisi davanti alla chiesa del Santo Spirito di Mosul, nell’Iraq piagato dalla guerra e lacerato dall’odio. E c’è chi ha sacrificato la propria vita per salvarne altre, consapevole del rischio che correva: come – sola donna fra quei ventuno – suor Anne Thole, 35 anni, scomparsa tra le fiamme mentre cercava di soccorrere gli ospiti di una struttura per malati di Aids aggredita da un incendio, in Sudafrica.
Passione di Dio, passione per l’uomo
Nomi e storie sconosciuti ai più; ad altro si dedica, normalmente, il gran circo dei mass media. Perciò è bello e utile che anno dopo anno, alla fine di dicembre, Fides – l’agenzia internazionale della Congregazione vaticana per l’evangelizzazione dei popoli – rediga e diffonda un dossier per non consegnare all’oblio quei nomi e quelle storie. Che parlano di una passione per Dio e per l’uomo capace di congiungere «carità e annuncio», secondo l’esempio di santo Stefano che Benedetto XVI propose durante l’udienza generale del 10 gennaio 2007 e che Fides ora offre quale chiave di lettura del suo ultimo dossier. Alla lezione di vita e di fede del protomartire Papa Ratzinger aveva fatto nuovamente riferimento pochi giorni fa – all’Angelus del 26 dicembre, memoria liturgica del santo diacono – spiegando come il martirio cristiano sia «esclusivamente un atto d’amore, verso Dio e verso gli uomini, compresi i persecutori». Così fu per Stefano; così è oggi per i molti che, nel mondo, soffrono per la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Attenzione: nel dossier Fides non si parla di martiri né di martirio. Ciò per «non entrare minimamente – spiegano gli autori del rapporto – in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente su alcuni di loro, e anche per la scarsità di notizie che, nella maggior parte dei casi, si riesce a raccogliere sulla loro vita e perfino sulle circostanze della loro morte». Se ne sa abbastanza, tuttavia, per poter parlare di esistenze consacrate all’amore, per Dio e per i fratelli, in contesti umani e sociali sovente drammatici.
Nelle metropoli e tra i profughi
Si tratta dunque di persone che «avevano fatto una scelta radicale – afferma il dossier –: essere testimoni dell’amore di Dio in realtà spesso dominate dalla violenza, dal degrado, dalla povertà materiale e spirituale, dalla mancanza di rispetto della dignità e dei diritti dell’uomo. Anche quest’anno i corpi senza vita di alcuni di loro sono stati trovati ore o giorni dopo il decesso, vittime – almeno in apparenza – di aggressioni, rapine e furti che colpiscono indiscriminatamente la popolazione presso cui prestavano il loro servizio pastorale e che vengono sempre più spesso denunciati a voce alta dalla Chiesa locale e dalle Conferenze episcopali». Qualche esempio? Padre Mario Bianco, italiano, 90 anni, missionario della Consolata, è morto il 15 febbraio in Colombia per le conseguenze dell’aggressione subita durante una rapina. Don Nicholaspillai Packiyaranjith, sacerdote diocesano dello Sri Lanka e coordinatore del Jesuit Refugee Service nel distretto di Mannar, è stato ucciso il 26 settembre dall’esplosione di una bomba collocata sulla strada che lo portava al campo profughi e all’orfanotrofio di Vidathalvu. Don Richard Bimeriki, congolese, è spirato il 7 aprile in un ospedale del Ruanda dopo essere stato aggredito nella sua parrocchia da uomini vestiti con uniformi militari. Padre Fernando Sanchez Duran, parroco vicino a Città del Messico, impegnato contro il traffico di droga e nell’assistenza ai giovani tossicodipendenti della zona, è stato sequestrato e ucciso il 22 luglio, mentre dalla parrocchia sono «scomparsi» con lui un’auto, una tivù e un computer.
La «geografia» del dono
L’elenco stilato nel dossier – avverte Fides – è provvisorio: ai ventuno citati va aggiunta la lista, verosimilmente lunga, dei «militi ignoti della fede» dei quali non si ha e forse non si avrà mai notizia. Dei 21 operatori pastorali uccisi nel 2007 e raccolti nel dossier (che può essere letto integralmente in www.fides.org) 15 sono sacerdoti (9 diocesani, un fidei donum, 4 regolari), 3 diaconi, un religioso, una religiosa e un seminarista (il ventenne filippino Justin Daniel Bataclan). Sempre secondo il dossier, erano stati 24 nel 2006 e 25 nel 2005; 152 in totale dal 2001 al 2006. Fra il 1980 e il 1989 i missionari uccisi nel mondo erano stati 115 e 604 fra il 1990 e il 2000 (ad aggravare il bilancio, il genocidio ruandese). I luoghi d’origine delle vittime del 2007: Asia 8 (4 Iraq, 2 Filippine, 1 Sri Lanka, 1 Indonesia), 5 America (2 Messico, 1 Stati Uniti, 1 Perù, 1 El Salvador), 4 Africa (1 Ghana, 1 Swaziland, 1 Repubblica democratica del Congo, 1 Sudafrica), 4 Europa (2 Spagna, 1 Italia, 1 Germania). I luoghi della morte: 8 Asia (4 Iraq, 3 Filippine, 1 Sri Lanka), 7 America (3 Messico, 2 Colombia, 1 Brasile, 1 Guatemala), 4 Africa (2 Sudafrica, 1 Kenya, 1 Ruanda), 2 Europa (Spagna). Non sempre, dunque, si tratta di luoghi in cui i cristiani sono minoranza; anzi, spesso sono Paesi in cui – almeno formalmente – c’è libertà religiosa e la presenza della Chiesa cattolica è antica o almeno secolare, e consolidata. Anche in quei luoghi, tuttavia, i «testimoni dell’amore» non vivono in un mondo a parte. Il loro è – letteralmente, evangelicamente – un intercedere, uno stare in mezzo, fra gli ultimi, fra le vittime della povertà, della violenza, dell’ingiustizia: consapevoli che potrebbero essere chiamati a «offrire la vita». Come il Buon Pastore, il cui Vangelo hanno scelto di annunciare.
Preti, religiosi, diaconi: otto sono morti in Asia, sette nelle Americhe, quattro in Africa, due in Europa Vittime della stessa violenza che colpisce le popolazioni fra le quali sono impegnati, in contesti di povertà, degrado, ingiustizia Come il «protomartire» Stefano, hanno saputo coniugare «l’impegno sociale della carità» e «l’annuncio coraggioso della fede». In queste parole di Benedetto XVI, la «bussola» dell’ultimo dossier Fides



Viva Harry Potter, abbasso la Rowling
DI MASSIMO INTROVIGNE
Avvenire, 29.12.2007

Prima afferma che Silente è un omosessuale. Poi rifiuta Tolkien, suo maestro. Infine, nega perfino di essere cristiana. La stampa «liberal» ringrazia, ed esalta il suo libro

Emoziona l’uscita in Italia di Harry Potter e i doni della morte, il settimo e ultimo volume della saga del maghetto? Pochi, per la verità, sono riusciti a non leggere le recensioni dell’edizione inglese, e quindi a non sapere già come va a finire. Il titolo fa riferimento a tre doni che la Morte fa a tre fratelli che la hanno sfidata: una bacchetta magica, una pietra che promette di resuscitare i morti e il mantello dell’invisibilità che chi ha letto i volumi precedenti sa essere già in possesso di Harry Potter. Da questa vecchia storia – verso cui attira la sua attenzione nel testamento Silente, l’amato maestro ucciso al termine del sesto volume – Harry Potter finisce per essere ossessionato, dedicando alla ricerca dei due 'doni della morte' che gli mancano forse più tempo di quanto dovrebbe, impegnato com’è – con gli amici Ron ed Hermione – nella lotta finale contro l’Oscuro Signore, Lord Voldemort.
Tre temi dominano i trentasei capitoli del romanzo. Il primo è quello degli oggetti magici: non solo i 'regali della Morte' ma le bacchette magiche – per molte delle oltre seicento pagine Voldemort gira il mondo, uccidendo e torturando, alla ricerca della bacchetta perfetta che gli permetterà di sconfiggere Harry – e gli ' horcruxes' dove l’Oscuro Signore ha disseminato frammenti della sua anima per assicurarsi l’immortalità e che Harry deve trovare e distruggere. E tuttavia la lezione del libro è che non sono gli oggetti a vincere le battaglie fra il Bene e il Male, ma le persone: non esiste la bacchetta magica perfetta, ogni bacchetta vale soltanto quanto chi la usa. Il secondo tema – che la Rowling riprende ampiamente da Orwell – è la corruzione del potere: il ministero della Magia cade quasi senza lottare nelle mani di Voldemort e s’impegna prima a discriminare, poi ad arrestare e uccidere i maghi che non sono 'di sangue puro', non sono cioè nati da genitori maghi. La metafora del nazismo e di altri totalitarismi è inequivocabile. E, poiché i maghi 'purosangue' inebriati di potere organizzano attentati anche contro gli inglesi che ignorano l’esistenza del mondo parallelo della magia, non manca neppure il riferimento al terrorismo. Il terzo tema è il valore redentivo delle molte sofferenze che attendono Harry Potter, che qui, come altri eroi della cultura popolare, diventa una figura di salvatore pronto a morire per la salvezza degli altri. E fa da filo conduttore al romanzo una frase della Prima lettera ai Corinzi (15,26) che Harry trova su una pietra tombale in una vecchia abbazia: «L’ultimo nemico a essere sconfitto sarà la morte».
Senonché fra l’uscita dell’edizione inglese e quella dell’edizione italiana è successo qualche cosa di sgradevole. Gli spunti implicitamente cristiani sono stati notati da quasi tutti i critici, e il romanzo – per quanto alcuni ancora non si fidino – è stato promosso da autorevoli riviste cattoliche e protestanti.
Ma, ogni medaglia ha il suo rovescio, e la Rowling è stata attaccata dalla stampa laicista internazionale come vittima del complesso identitario che dopo l’11 settembre ha portato a riscoprire il cristianesimo anche scrittrici un tempo in fama sulfurea come Anne Rice, che oggi è passata da Intervista col vampiro ai libri devoti e si proclama «una scrittrice per Cristo». Se la Rice si è limitata a dire che comunque voterà Hillary Clinton, la Rowling si è davvero spaventata all’idea di essere esclusa dall’eletto consesso degli scrittori di moda, che devono essere per definizione irreligiosi e sostenitori del matrimonio dei gay.
Prima si è fatta applaudire a New York affermando che Silente, come se l’immagina la scrittrice, è un omosessuale (ma per fortuna il lettore non se ne accorge). Poi, dopo avere rimosso dalle sue biografie online il riferimento all’affiliazione religiosa riformata, si è messa a dichiarare agli intervistatori (anche in Italia) di sentirsi «attratta dall’assoluto» ma non cristiana, e convinta che «si possa vivere una vita buona e utile senza credere in Dio», mentre «credere in Dio non garantisce una vita morale». Ripudiato anche Tolkien (troppo cattolico), un tempo riconosciuto come maestro, la Rowling potrà tranquillamente fare Capodanno con i colleghi della lobby degli scrittori liberal cui sono garantite buone recensioni dal New York Times e da Repubblica. Una ragione per buttare via Harry Potter? Non necessariamente. Senza aspettare Umberto Eco, già il Medioevo conosceva la differenza fra intentio auctoris, le idee dell’autore, e intentio operis, quel che oggettivamente può trasmettere l’opera. Un fior di anticlericale come Collodi ha creato con Pinocchio una storia suscettibile (ce lo insegna il cardinale Biffi) di un’interpretazione cristiana. Su Harry Potter il dibattito continua: ma il maghetto ormai appartiene più ai lettori che all’autrice. Chi lo apprezza, di fronte alle ultime discutibili esternazioni della scrittrice, ha tutto il diritto di rispondere: Viva Harry Potter, abbasso la Rowling.

giovedì 27 dicembre 2007

Rassegna stampa del 27 dicembre 2007

Nella rassegna stampa di oggi:

1) il testo integrale del messaggio natalizio «Urbi et Orbi» rivolto alle 12 di martedì, solennità del Natale del Signore, dalla Loggia delle Benedizioni da Benedetto XVI
2) «Quanti hanno seguito Stefano» - Pubblichiamo il discorso pro­nunciato ieri da Benedetto XVI prima della recita dell’Angelus
3) I MARTIRI E IL NATALE - LA VITTORIA SULL’ODIO E SULLA MORTE
4) Natale di terrore in Orissa: 3 uccisi e 13 chiese cristiane bruciate dai fondamentalisti



il messaggio della Natività - Nelle parole pronunciate martedì a mezzogiorno il Papa ha ricordato chi soffre per situazioni di violenza e iniquità, soffermandosi sui popoli straziati dalla guerra
«È offerta a tutti quella speranza che vince il buio» Benedetto XVI nel discorso «Urbi et Orbi»: la luce di Cristo nelle tenebre della miseria, dell’ingiustizia, della guerra
Pubblichiamo il testo integrale del messaggio natalizio «Urbi et Orbi» rivolto alle 12 di martedì, solennità del Natale del Signore, dalla Loggia delle Benedizioni da Benedetto XVI ai fedeli in Piazza San Pie­tro e a quanti lo ascoltavano attraverso la radio e la televisione.
« Un giorno santo è spuntato per noi: / venite tutti ad a­dorare il Signore; / oggi u­na splendida luce è discesa sulla terra» (Messa del giorno di Natale, acclamazio­ne al Vangelo). Cari fratelli e sorelle!« Un giorno santo è spuntato per noi ». Un giorno di grande speran­za: oggi è nato il Salvatore dell’umanità! La nascita di un bambino porta normal­mente una luce di speranza a quanti lo attendono trepidanti. Quando nacque Gesù nella grotta di Betlemme, una «grande luce» apparve sulla terra; una grande speranza entrò nel cuore di quan­ti lo attendevano: « lux magna », canta la liturgia di questo giorno di Natale.
Non fu certo «grande» alla maniera di questo mondo, perché a vederla, dap­prima, furono solo Maria, Giuseppe e al­cuni pastori, poi i Magi, il vecchio Si­meone, la profetessa Anna: coloro che Dio aveva prescelto. Eppure, nel na­scondimento e nel silenzio di quella not­te santa, si è accesa per ogni uomo una luce splendida e intramontabile; è venu­ta nel mondo la grande speranza porta­trice di felicità: «il Verbo si è fatto carne e noi abbiamo visto la sua gloria» ( Gv 1,14) « D io è luce – afferma san Gio­vanni – e in lui non ci sono tenebre» ( 1 Gv 1,5). Nel Li­bro della Genesi leggiamo che quando ebbe origine l’universo, «la terra era infor­me e deserta e le tenebre ricoprivano l’a­bisso. «Dio disse: 'Sia la luce!'. E la luce fu» ( Gn 1,2-3). La Parola creatrice di Dio – Dabar in ebraico, Verbum in latino, Lo­gos in greco – è Luce, sorgente della vita. Tutto è stato fatto per mezzo del Logos e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste (cfr Gv 1,3). Ecco perché tutte le creature sono fondamentalmen­te buone, e recano in sé l’impronta di Dio, una scintilla della sua luce.Tuttavia, quando Gesù nacque dalla Ver­gine Maria, la Luce stessa è venuta nel mondo: «Dio da Dio, Luce da Luce», pro­fessiamo nel Credo. In Gesù Dio ha as­sunto ciò che non era rimanendo ciò che era: «l’onnipotenza entrò in un corpo in­fantile e non fu sottratta al governo del­l’universo » (cfr Agostino, Serm 184, 1 sul Natale). Si è fatto uomo Colui che è il creatore dell’uomo per recare al mondo la pace. Per questo, nella notte di Natale, le schiere degli Angeli cantano: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e pace in terra agli uomini che egli ama» ( Lc 2,14). « Oggi una splendida luce è di­scesa sulla terra ». La Luce di Cristo è portatrice di pa­ce. Nella Messa della notte la liturgia eu­caristica si è aperta proprio con questo canto: «Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo» ( Antifona d’ingresso). Anzi, solo la «grande» luce apparsa in Cristo può do­nare agli uomini la «vera» pace: ecco per­ché ogni generazione è chiamata ad ac­coglierla, ad accogliere il Dio che a Be­tlemme si è fatto uno di noi. Q uesto è il Natale! Evento storico e mistero di amore, che da oltre duemila anni interpella gli uo­mini e le donne di ogni epoca e di ogni luogo. È il giorno santo in cui riful­ge la «grande luce» di Cristo portatrice di pace! Certo, per riconoscerla, per acco­glierla ci vuole fede, ci vuole umiltà. L’u­miltà di Maria, che ha creduto alla paro­la del Signore, e ha adorato per prima, china sulla mangiatoia, il Frutto del suo grembo; l’umiltà di Giuseppe, uomo giu­sto, che ebbe il coraggio della fede e pre­ferì obbedire a Dio piuttosto che tutela­re la propria reputazione; l’umiltà dei pa­stori, dei poveri ed anonimi pastori, che accolsero l’annuncio del messaggero ce­leste e in fretta raggiunsero la grotta do­ve trovarono il bambino appena nato e, pieni di stupore, lo adorarono lodando Dio (cfr Lc 2,15-20).I piccoli, i poveri in spirito: ecco i protagonisti del Natale, ieri come oggi; i pro­tagonisti di sempre della storia di Dio, i costruttori infaticabili del suo Regno di giustizia, di amore e di pace.Nel silenzio della notte di Be­tlemme Gesù nacque e fu ac­colto da mani premurose. Ed ora, in questo nostro Natale, in cui con­tinua a risuonare il lieto annuncio della sua nascita redentrice, chi è pronto ad a­prirgli la porta del cuore? Uomini e don­ne di questa nostra epoca, anche a noi Cristo viene a portare la luce, anche a noi viene a donare la pace!Ma chi veglia, nella notte del dubbio e dell’incertezza, con il cuore desto e o­rante? Chi attende l’aurora del giorno nuovo tenendo accesa la fiammella della fede? Chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi avvolgere dal fascino del suo amore? Sì! È per tutti il suo messag­gio di pace; è a tutti che vie­ne ad offrire se stesso come certa speranza di salvezza.L a luce di Cristo, che viene ad illuminare o­gni essere umano, possa finalmente rifulgere, e sia consolazione per quan­ti si trovano nelle tenebre della miseria, dell’ingiusti­zia, della guerra; per coloro che vedono ancora negata la loro legittima aspirazio­ne a una più sicura sussi­stenza, alla salute, all’istru­zione, a un’occupazione stabile, a una partecipazio­ne più piena alle responsa­bilità civili e politiche, al di fuori di ogni oppressione e al riparo da condizioni che offendono la dignità umana - Vittime dei sanguinosi conflitti ar­mati, del terrorismo e delle violenze di o­gni genere, che infliggono inaudite sof­ferenze a intere popolazioni, sono parti­colarmente le fasce più vulnerabili, i bambini, le donne, gli anziani. Mentre le tensioni etniche, religiose e politiche, l’in­stabilità, le rivalità, le contrapposizioni, le ingiustizie e le discriminazioni, che la­cerano il tessuto interno di molti Paesi, inaspriscono i rapporti internazionali. E nel mondo va sempre più crescendo il numero dei migranti, dei rifugiati, degli sfollati anche a causa delle frequenti ca­lamità naturali, conseguenza spesso di preoccupanti dissesti ambientali.I n questo giorno di pace, il pensiero va soprattutto laddove rimbomba il fragore delle armi: alle martoriate ter­re del Darfur, della Somalia e del nord della Repubblica Democratica del Con­go, ai confini dell’Eritrea e dell’Etiopia, all’intero Medio Oriente, in particolare al­l’Iraq, al Libano e alla Terrasanta, all’Afghanistan, al Pakistan e allo Sri Lanka, alla regione dei Balcani, e alle tan­te altre situazioni di crisi, spesso pur­troppo dimenticate.Il Bambino Gesù porti sollievo a chi è nel­la prova e infonda ai responsabili di go­verno la saggezza e il coraggio di cercare e trovare soluzioni umane, giuste e du­rature. Alla sete di senso e di valore che avverte il mondo oggi, alla ricerca di be­nessere e di pace che segna la vita di tut­ta l’umanità, alle attese dei poveri Cristo, vero Dio e vero Uomo, risponde con il suo Natale. Non temano gli individui e le nazioni di riconoscerlo e di accoglierlo: con Lui «una splendida luce» rischiara l’orizzonte dell’umanità; con Lui si apre «un giorno santo» che non conosce tra­monto. Questo Natale sia veramente per tutti un giorno di gioia, di speranza e di pace!« Venite tutti ad adorare il Si­gnore ». Con Maria, Giusep­pe e i pastori, con i magi e la schiera innumerevole di umili adora­tori del neonato Bambino, che lungo i se­coli hanno accolto il mistero del Natale, anche noi, fratelli e sorelle di ogni conti­nente, lasciamo che la luce di questo gior­no si diffonda dappertutto: entri nei no­stri cuori, rischiari e riscaldi le nostre ca­se, porti serenità e speranza nelle nostre città, dia al mondo la pace.È questo il mio augurio per voi che mi a­scoltate. Augurio che si fa preghiera u­mile e fiduciosa al Bambino Gesù, perché la sua luce disperda ogni tenebra dalla vostra vita e vi ricolmi dell’amore e della pace. Il Signore, che ha fatto risplendere in Cristo il suo volto di misericordia, vi ap­paghi della sua felicità e vi renda mes­saggeri della sua bontà. Buon Natale! Benedetto XVI



«Quanti hanno seguito Stefano»
Pubblichiamo il discorso pro­nunciato ieri da Benedetto XVI prima della recita dell’Angelus.
C ari fratelli e sorelle!
All’indomani del Natale, la liturgia ci fa celebrare la 'nascita al cielo' del primo martire, santo Stefano. 'Pieno di fede e di Spirito Santo' (At 6,5), egli fu scelto come diaco­no nella Comunità di Gerusa­lemme, insieme con altri sei di­scepoli di cultura greca. Con la forza che gli veniva da Dio, Ste­fano compiva numerosi mira­coli ed annunciava nelle sina­goghe il Vangelo con 'sapien­za ispirata'. Fu lapidato alle porte della città e morì, come Gesù, invocando il perdono per i suoi uccisori (At 7,59-60). Il legame profondo che unisce Cristo al suo primo martire Ste­fano è la Carità divina: lo stes­so Amore che spinse il Figlio di Dio a spogliare se stesso e a far­si obbediente fino alla morte di croce (cfr Fil 2,6-8), ha poi spin­to gli Apostoli e i martiri a dare la vita per il Vangelo.
Bisogna sempre rimarcare questa caratteristica distintiva del martirio cristiano: esso è e­sclusivamente un atto d’amo­re, verso Dio e verso gli uomi­ni, compresi i persecutori. Per­ciò noi oggi, nella santa Messa, preghiamo il Signore che ci in­segni 'ad amare anche i nostri nemici sull’esempio di [Stefa­no] che morendo pregò per i suoi persecutori' (Orazione 'colletta'). Quanti figli e figlie della Chiesa nel corso dei se­coli hanno seguito questo e­sempio! Dalla prima persecu­zione a Gerusalemme a quelle degli imperatori romani, fino alle schiere dei martiri dei no­stri tempi. Non di rado, infatti, anche oggi giungono notizie da varie parti del mondo di mis­sionari, sacerdoti, vescovi, reli­giosi, religiose e fedeli laici per­seguitati, imprigionati, tortu­rati, privati della libertà o im­pediti nell’esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunio­ne con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa. Nella Lettera Enciclica Spe salvi (cfr n. 37), ricordando l’esperienza del martire vietnamita Paolo Le­Bao-Thin (morto nel 1857), fac­cio notare che la sofferenza è trasformata in gioia mediante la forza della speranza che pro­viene dalla fede. Il martire cri­stiano, come Cristo e median­te l’unione con Lui, 'accetta nel suo intimo la croce, la morte e la trasforma in un’azione d’a­more. Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa un atto d’amore che si dona totalmente. La violenza così si trasforma in amore e quindi la morte in vita' (Ome­lia a Marienfeld - Colonia, 20 agosto 2005). Il martire cristia­no attualizza la vittoria dell’a­more sull’odio e sulla morte.Preghiamo per quanti soffro­no a motivo della fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. Ma­ria Santissima, Regina dei Martiri, ci aiuti ad essere te­stimoni credibili del Vangelo, rispondendo ai nemici con la forza disarmante della verità e della carità. Benedetto XVI



I MARTIRI E IL NATALE - LA VITTORIA SULL’ODIO E SULLA MORTE
Avvenire, 27.12.2007
DAVIDE RONDONI Cosa c’è da festeggiare ? Cosa ci dovrebbe rallegrare in un marti­rio ? Eppure la Chiesa mette la festa del primo martire, di Stefano, subi­to dopo quella della nascita di Gesù. Subito dopo, per così dire addosso alla festa di massima gioia, ecco la festa che ha colore del sangue, del sacrificio. Come a voler dire che l’u­na non si capisce senza l’altra. Co­me a indicare che la festa della na­scita di Gesù si completa, si realiz­za, insomma si compie nel gesto di quel ragazzo, Stefano.Ma che razza di gesto fu? Oggi sen­tiamo spesso parlare di martiri. È pa­rola che è rientrata in un vocabola­rio fin troppo ricco di nuove e anti­chissime figure dell’orrore. E viene il più delle volte accostata a immagi­ni, a sentimenti di guerra. Invece il gesto di Stefano, come ha voluto ri­cordare ieri Benedetto XVI, non a­veva dentro nemmeno un’oncia d’o­dio. Qui sta la grande differenza. E si comprende il legame con il Natale. Si tratta di un gesto d’amore com­pleto. Come solo l’imitazione di Cri­sto, che morì ucciso amando i suoi assassini, può mobilitare. Nemmeno un’ombra di odio attraversa il cuore del martire cristiano. Nemmeno un’ombra di guerra. Lo ha ripetuto ieri il Papa, nel suo ennesimo gesto di chiarore e di pace. Ricordando an­che che il gesto di Stefano, la sua di­sponibilità non è cosa che si è per­duta nei secoli passati. Ma oggi ac­cade, nuovamente, terribilmente, in tante zone del mondo.Sono tanti i martiri cristiani dei no­stri giorni. Sono gli eroi di nessuna guerra. Sono gli eroi di un’offerta. E di un segreto entusiasmo. Non sono obbligati da nessuno, non sono re­clutati come kamikaze, ma sono mossi da quella certezza d’amore per Dio e per gli uomini che ha pre­so l’evidenza di un bambino, poi di un giovane uomo eccezionale. In­somma l’evidenza di Gesù è dive­nuta più cara della vita. E a chi chie­de di negarla danno la loro vita a te­stimonianza suprema di quel che hanno visto e udito. Perciò, come ha detto ieri il Papa, l’amore per Dio e per gli uomini nel martirio arriva ad­dirittura a diventare 'amore per i nemici'. Non si indica con questo u­na bizzarra distorsione del senti­mento. Come si può amare chi ti uc­cide? Ma la testimonianza resa fino alla fine, la testimonianza al Dio che ama gli uomini, che li vuole liberi, è il più grande e chiaro gesto d’amo­re. Rivolto a tutti, compreso a chi brandisce l’arma che taglia il filo del tuo respiro.Stefano lo sapeva. I tanti martiri di oggi lo sanno. La loro morte non rientra nella strategia di qualche po­tenza umana che vuole piegare la re­sistenza di qualcun altro ricorrendo allo choc del kamikaze. Nessuna strategia di conquista. Solo il ripe­tersi di quel primo martirio. Di quel­la offerta dinanzi all’odio e alla ce­cità. Così che tutti i giorni in cui c’è un martirio cristiano è come se il giorno della Nascita di Gesù venisse vicino. È come se ad ogni martirio – dei secoli passati e del presente – la nascita di Dio accadesse lì accanto. Come se al giorno del sacrificio e del sangue, del dolore di perdere la vita o di vederla andare via da chi si ama, si facesse vicino il giorno, l’istante della nascita e della definitiva com­pagnia di Dio agli uomini.E i martiri infatti sono coloro che con più certezza, con una speciale chia­rezza hanno visto e compreso il Na­tale. Sono coloro che hanno giocato tutto sulla certezza del Natale. Per loro il Natale e il giorno della loro morte avevano la stessa luce. Lo stesso amore. Così grazie al loro sa­crificio anche noi vediamo più a fon­do nel mistero buono di quella Na­scita



Natale di terrore in Orissa: 3 uccisi e 13 chiese cristiane bruciate dai fondamentalisti
L'organizzazione nazionalista Vishva Hindu Parishad voleva proibire ai cristiani di celebrare il Natale. Una lunga lista di violenze. Attaccate anche alcune postazioni della polizia…
New Delhi (AsiaNews) - Natale di violenza in Orissa. Tre persone sono state uccise; 13 chiese bruciate; 2 case parrocchiali distrutte; decine di feriti, molti dei quali in gravissime condizioni; un orfanotrofio cristiano vandalizzato; treni bloccati per ore; auto della polizia bruciate: è il bilancio provvisorio di un attacco a tutto campo dell’organizzazione fondamentalista Vishva Hindu Parishad (Vhp) cominciato alla vigilia di Natale e continuato per tutto il giorno di ieri. La polizia ha decretato il coprifuoco in molti villaggi, ma non riesce ancora a controllare tutta la situazione.La scintilla della deflagrazione è cominciata a Bramunigam di Phulbani (Orissa) il 24 dicembre, quando Swami Lakhananda Sarswati, un leader locale del Vhp, 80enne, insieme alle sue guardie del corpo, hanno visitato una zona cristiana, dove i fedeli avevano issato delle tende per la celebrazione del Natale, distrutte in precedenza da 300 membri del Vhp. Il litigio che ne è seguito, diffuso dai media come “un attacco a Swami Lakhananda Sarswati”, ha scatenato una giornata di “sciopero” nazionale dell’Orissa, lanciato dal Vhp. Nel distretto di Phulbani si è scatenato l’inferno. Molti membri del Vhp, con armi da fuoco, hanno attaccato 13 chiese, proibito ai cristiani di celebrare il Natale e sparato su alcuni fedeli facendo tre morti (due di loro sono cristiani). I feriti sono decine e almeno 3 di loro stanno lottando con la morte. Gli scontri sono continuati anche nella giornata di Natale, mentre – secondo testimonianze locali – la polizia non è intervenuta per nulla. Una lista delle violenze, diffusa dalla All India Christian Council, comprende: 1) a Daringabadi, un ufficio della World Vision of India (protestante) è stato bruciato; i documenti dell’ufficio sono stati distrutti, inseme a una jeep e a 7 motociclette2) A Ballinguda, 5 chiese sono state danneggiate. Fra essi vi sono una chiesa battista, una cattolica, una pentecostale, un convento di suore cattoliche. Mobili, altoparlanti, microfoni, tende sono stati bruciati. Vandalizzata anche una scuola di computer. I membri del Vhp hanno bloccato una liturgia in una chiesa battista. 3) A Nuagam le chiese dei villaggi di Kdupakia, Sirtiguda, Gosukia e Jangungia sono state assalite, mobili, proprietà e oggetti liturgici distrutti. 4) A Chakapad, una chiesa è stata incendiata mentre si teneva una celebrazione all’interno. Alcuni fedeli sono rimasti gravemente feriti. 5) A Phringia, una chiesa cattolica è stata distrutta da una bomba lanciata dai fondamentalisti. Il pastore protestante Junas Digal è stato rasato a zero, trascinato in un tempio indù e costretto a inginocchiarsi davanti alle divinità indù. 6) A Raikia, decine di negozi appartenenti a cristiani sono stati distrutti. I gruppi del Vhp, imbracciando delle armi, hanno presidiato le strade per tutta la giornata di ieri, ordinando ai cristiani di rimanere in casa. 7) A Phulbani, a cattolici e battisti è stato vietato di celebrare il Natale nelle loro chiese. Un orfanotrofio retto da un sacerdote cattolico è stato attaccato e 3 veicoli sono stati bruciati. La scuola del Carmelo a Phulbani ha subito violenze e i bus della scuola sono stati distrutti e bruciati. Molti cristiani denunciano l’inerzia dei poliziotti. Ma a Phulbani e Tikabali la folla dei fondamentalisti ha preso di mira anche loro: una stazione di polizia e un posto di blocco sono stati bruciati, insieme a una jeep per le ispezioni. Anche la casa del ministro Padmanabh Beheras è stata attaccata. Un vasto numero di treni ha subito ritardi a causa di un sit-in di 4 ore inscenato dal Vhp sui binari e sulle autostrade di Cuttack, Balasore, Bubaneshwar e Bhadrak. Il commissario Satyabrata Sahu ha dichiarato di aver imposto il coprifuoco a Phulbani, Baliguda, Daringibadi e Brahmanigaon, ma la situazione non è ancora tornata alla normalità. Nel distretto di Phulbani vi sono circa 100 mila cristiani su una popolazione di 650 mila. L’Orissa è uno stato dove il fondamentalismo nazionalista indù è molto forte. Dal 1968 vi è una legge anti-conversione, che blocca la missione dei cristiani. Nel 1999 il missionario australiano Graham Staines e i suoi due figli sono stati uccisi e bruciati nella loro auto. Sempre nel ’99, è stato ucciso anche un sacerdote cattolico, p. Arul Doss. di Niormala CarvalhoAsiaNews 26/12/2007 10:41

martedì 25 dicembre 2007

Rassegna stampa del 24 dicembre 2007

Benedetto XVI: Natale, "mistero dell'amore che non finisce mai di stupirci"
Parole introduttive alla preghiera dell'Angelus
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI nell'introdurre la preghiera dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini convenuti in piazza San Pietro.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
Solo un giorno separa questa IV domenica di Avvento dal santo Natale. Domani notte ci raduneremo per celebrare il grande mistero dell'amore che non finisce mai di stupirci. Dio si è fatto figlio dell'uomo perché noi diventiamo figli di Dio. Durante l'Avvento, dal cuore della Chiesa si è elevata spesso una implorazione : "vieni, Signore, a visitarci con la tua pace, la tua presenza ci riempirà di gioia." La missione evangelizzatrice della Chiesa è la risposta al grido "vieni, Signore Gesù", che percorre tutta la storia della salvezza e che continua a levarsi tra le labbra dei credenti. "Vieni Signore a trasformare i nostri cuori, perché nel mondo si diffondano la giustizia e la pace". Questo intende richiamare la Nota Dottrinale su alcuni aspetti dell'Evangelizzazione appena pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Il documento si propone, in effetti, di ricordare a tutti i cristiani, in una situazione in cui spesso non è più chiara nemmeno a molti fedeli la stessa ragion d'esser dell'evangelizzazione, che l'accoglienza della buona novella nella fede spinge di per sé a comunicare la salvezza ricevuta in dono.
Infatti, la verità che salva la vita, che si è fatta carne in Gesù, accende il cuore di chi la riceve, con un amore verso il prossimo che muove la libertà a ridonare ciò che si è gratuitamente ricevuto. Essere raggiunti dalla presenza di Dio, che si fa vicino a noi al Natale, è un dono inestimabile, dono capace di farci vivere nell'abbraccio universale degli amici di Dio, in quella rete di amicizia con Cristo che collega cielo e terra, che protende la libertà umana verso il suo compimento e che, se vissuta nella sua verità, fiorisce in una amore gratuito e colmo di premura per il bene di tutti gli uomini. Nulla è più bello, urgente ed importante che ridonare gratuitamente agli uomini quanto gratuitamente abbiamo ricevuto da Dio.
Nulla ci può esimere o sollevare da questo oneroso ed affascinante impegno. La gioa del Natale che già pregustiamo, mentre ci colma di speranza, ci spinge al tempo stesso ad annunciare a tutti la presenza di Dio in mezzo a noi.
Modello impareggiabile di evangelizzazione è la vergine Maria, che ha comunicato al mondo non un'idea ma Gesù, il Verbo incarnato. Invochiamola con fiducia affinché la Chiesa annunci anche nel nostro tempo Cristo Salvatore. Ogni cristiano ed ogni comunità sentono la gioia di condividere con gli altri la buona notizia che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito perché il mondo si salvi per mezzo di lui. E' questo il senso autentico del Natale, che sempre dobbiamo riscoprire e intensamente vivere.
[Dopo l'Angelus il Papa si è rivolto ai presenti in varie lingue. In italiano ha detto:]
Rivolgo il mio cordiale saluto agli operatori del giornale vaticano "L'Osservatore Romano" che stamane in piazza San Pietro propongono un iniziativa di solidarietà in favore di bambini dell'Uganda. Mentre esprimo apprezzamento per la speciale attenzione che "L'Osservatore Romano" dedica alle emergenze umanitarie in ogni parte del mondo, lodo il fatto che ciò trova riscontro anche in gesti concreti come questo per il quale auguro una buona riuscita.
Saluto finalmente con affetto i pellegrini di lingua italiana. Insieme con una buona domenica auguro a tutti di vivere le prossime festività nella luce e nella pace che promanano da Cristo Salvatore. Buon Natale a tutti voi.
[© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana]



ECCO DI CHI STIAMO PARLANDO
Dall’atomo primitivo alla nascita e dall’esplosione vitale alla vita del feto. L’embrione è qualcosa o qualcuno? Prima di rispondere leggete qui…
di Francesco Agnoli


“L’atomo primitivo” della Genesi.
Nel XII secolo un vescovo francescano di nome Roberto Grossatesta, studiando attentamente il libro della Genesi e quello della natura, ipotizzò che l’universo intero fosse nato da un minuscolo puntino di luce-energia creato da Dio e destinato a espandersi immensamente sino a dar vita a un cosmo incredibilmente grande, ordinato e complesso. Probabilmente, se non fosse stato un vescovo, un grande studioso della luce, degli specchi e dell’arcobaleno, e non avesse avuto un certo ruolo nella costruzione dei primi occhiali da vista, qualcuno avrebbe potuto accusarlo di essere un po’ matto. Come? L’incredibile molteplicità delle forme viventi, il mondo minerale, vegetale, animale, ognuno così complesso al suo interno, tutto da un miserabile puntino indistinto? L’immensamente grande dall’incredibilmente piccolo? Eppure parecchi secoli dopo, nel Novecento, un altro sacerdote, un filosofo tomista, l’abate Lemaître, avrebbe sostenuto la nascita dell’universo da un singolo “atomo primitivo”, dando vita alla teoria che verrà detta del “Big Bang”, ancor oggi ritenuta, da molti, assai attendibile. Del resto già Galileo Galilei aveva puntato il cannocchiale verso i cieli immensi, facendo notevolissime scoperte; ma aveva anche spiegato l’importanza di guardare ciò che è piccolo, costruendo il cosiddetto “occhialino”, l’antenato del moderno microscopio. Ebbene il parallelo tra l’universo fisico e l’uomo si impone spontaneamente. Per i medievali infatti l’uomo è un microcosmo, analogo, per molti aspetti, al macrocosmo: è, idealmente, il centro del mondo, in quanto “luogo” in cui la vita acquista autocoscienza, consapevolezza, spirito e pensiero. Anche l’uomo, al pari del creato intero, nasce per così dire da una stupenda “esplosione”, da un Big Bang, semplicissimo e complessissimo a un tempo. L’unione di due persone che si amano, uomo e donna, genera infatti una creatura nuova, che eredita parte del patrimonio genetico del padre e parte della madre, costituendo però un nuovo individuo, assolutamente unico, originale e irripetibile. C’è già, in questo rapporto, una “esplosione”, che ben esprime quel mistero grande che si intravede dietro l’amore: la sua capacità di creare. L’amore, infatti, dicevano sempre i filosofi medievali, è “diffusivo di se stesso”: tende a irradiarsi come la luce del sole, che si diffonde ovunque, velocissima, penetrando e vivificando, donando i colori, scaldando e facendo crescere.
* * *
L’embrione umano: qualcosa o qualcuno?
Ma l’esplosione non è solo, per così dire, metaforica, un’esplosione d’amore: è anche fisica, proprio come per l’“atomo primitivo” di Lemaître. Ogni uomo infatti inizia a esistere come embrione monozigote, cioè come creatura di una sola cellula, capace di svilupparsi ed evolvere sino a dar vita a una persona completa. In origine, dunque, tutto il mondo in un atomo, tutto l’uomo in una cellula. Chi amasse la filosofia potrebbe capire già da queste osservazioni come si possa giustificare, filosoficamente, il monoteismo creazionista: tutto deriva dall’uno, come scriveva già Galilei, che è per così dire il numero più piccolo, perché dà vita a tutti gli altri, ma anche il più grande, perché, in origine, li contiene tutti. Oppure, usando un’altra immagine, si potrebbe dire che l’universo, come anche il corpo umano, è un unico grande quadro, pieno di figure e di elementi diversi che concorrono a una rappresentazione unitaria: dietro questa unità nella molteplicità si può postulare la mano intelligente di un unico pittore. Ma rimaniamo nel campo del visibile: che cosa vediamo osservando la cellula iniziale che darà vita a un uomo completo di arti, organi, apparati eccetera? La rivista scientifica Newton (n. 3, 2004) riporta questa descrizione: “All’inizio è solo una microscopica cellula, alla fine saranno milioni e milioni di cellule organizzate che pesano oltre un miliardo di volte quella iniziale. In mezzo ci sono giorni e giorni di lavoro scandito da tappe precise. Prima, ventitrè stadi per lo sviluppo dell’embrione, sessanta giorni perché dalla cellula fecondata si arrivi a un esserino dalla testa arrotondata con il tronco e gli arti ben formati. Poi, il periodo fetale, molto più lungo del precedente, che prosegue per altre ventinove settimane circa. Un cammino avventuroso e ricco di colpi di scena che dura 266 giorni, giorno più giorno meno”. Tutto a partire da un puntino di pochi millimetri, in cui esiste già un’“intelligenza” intrinseca, che permette un graduale sviluppo ordinato e finalizzato che porta alla formazione di organi e apparati, così diversi l’uno dall’altro, eppure armonizzati in unità. Questa “intelligenza” intrinseca, paragonata spesso al programma di un computer, è il cosiddetto Dna, ovverosia un “lungo e sottilissimo filamento che trasmette tutte le informazioni che servono a costruire quell’unico, particolare, nuovo essere umano”. Tale programma, per uno dei suoi più grandi studiosi, lo scienziato Erwin Chargaff, ci rimanda, evidentemente, all’esistenza non del “Signor Caso”, autore involontario di qualcosa di sensato, ma di un programmatore intelligente. Infatti, come nessuna musica degna di essere definita tale può incidersi da sola, casualmente, sul nastro di una cassetta, analogamente è difficile affermare che la melodia infinitamente più grandiosa della vita, nei vari momenti della sua esplicitazione, possa derivare dall’assoluta mancanza di cause, e cioè dalla assenza di un compositore.
“Ecco, l’eredità del Signore sono i figlioli: la sua ricompensa il frutto del seno. Quali frecce nella mano dell’eroe, tali sono i figli della giovinezza”. (Salmo 126)
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L’alba dell’Io.
Tornando alla rivista citata, Newton, essa ci informa, tramite un accurato servizio fotografico a cura del ginecologo tedesco Rainer Jonas, che a quattro settimane “l’embrione non raggiunge i sei millimetri di lunghezza e pesa un centesimo di grammo… sono però già evidenti gli abbozzi delle braccia e delle gambe, mentre su ogni lato del viso è riconoscibile una protuberanza, il primo accenno di occhi. Il cuore comincia a battere e, soprattutto, ha inizio un grandioso progetto: il cervello”. Tra la quinta e la sesta settimana, “l’embrione si presenta con una grossa testa reclinata in avanti… il palmo delle manine è ben definito”: potremmo già prendere le impronte digitali, così incredibilmente uniche e originali. Alla settima settimana, l’embrione è “lungo 17 millimetri, pesa appena 7 centesimi di grammo ed è già in grado di provare sensazioni, anche se primitive”. Alla nona settimana, infine, c’è un esserino ormai completo, in cui addirittura crescono le unghie delle mani e dei piedi. Dimostra già “gusti precisi”: “L’ecografia rivela che iniettando nel liquido amniotico delle sostanze dolci il feto fa dei movimenti di suzione e deglutizione, mentre in presenza di sostanze amare fa delle smorfie accompagnate dal tentativo di chiudere la bocca”. Che cosa succeda in seguito lo sappiamo: il bimbo continua a crescere, senza soluzione di continuità, mentre la natura si “concentra su dettagli e dimensioni”. La sua vita è già così intensa che scalcia, nuota come un astronauta nel liquido amniotico, percepisce i rumori e i suoni provenienti dall’esterno, sino ad affezionarsi al battito del cuore della madre. Il Corriere della Sera del 29/6/2004 ci informa addirittura che con una nuova ecografia tridimensionale a ultrasuoni si è scoperto che “a 26 settimane il feto riesce addirittura a esprimersi in modi diversi: sbadigliando, sfregandosi gli occhi, piangendo, succhiando e sorridendo”. Sono le stesse considerazioni esposte in vari scritti dal dottor Carlo Bellieni, neonatologo di fama internazionale, che ha studiato attentamente il suo paziente tipico, e cioè proprio il feto, per comprenderne le caratteristiche, anche in vista di eventuali cure prenatali. Nel suo “Se questo non è un uomo” (Ancora, 2004) ci racconta che in utero il feto “ascolta, gusta i sapori, sente i movimenti, sente gli odori. Alla base del cranio fetale c’è un organo, detto organo vomeronasale che serve appunto per sentire gli odori nel mezzo acquatico, e che si atrofizzerà dopo la nascita… Dalla ventiduesima settimana il feto ha una reazione di soprassalto quando gli viene proposta una musica ad alto volume attraverso la parete uterina. Sappiamo poi che il feto sa abituarsi agli stimoli: se il feto ascolterà più volte la stessa musica attraverso la parete uterina, dopo alcune volte non sussulterà più, anzi i battiti cardiaci inizieranno a diminuire, come fa un adulto quando ascolta una cosa che lo interessa”. Nei vari capitoletti del suo libro Bellieni analizza quindi “la memoria del feto”, “il piacere del feto”, la possibilità che egli possa in qualche modo sognare, e la sua percezione del dolore. Nel suo “L’alba dell’io” ci dà altre informazioni preziose, che così riassume: “A 23 settimane il feto distingue la voce materna dalle altre, riconosce i suoni. Secondo uno studio pubblicato su Lancet, i neonati riconoscono le musiche delle telenovele ascoltate dalla mamma. Le melodie udite in utero calmano il pianto del bambino… in generale lo calma tutto ciò che riproduce la sua situazione prenatale: i figli delle ballerine per esempio vogliono essere cullati vigorosamente, abituati come sono al movimento”.
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Parola di abortista.
Anche un celebre ginecologo come Carlo Flamigni, docente universitario a Bologna, collaboratore del quotidiano l’Unità e sostenitore agguerrito della liceità dell’aborto e della fecondazione artificiale, concorda con queste osservazioni: “Lontano dall’essere un ospite inerte, il feto svolge un ruolo attivo nell’andamento della gravidanza, controlla vari aspetti del suo sviluppo ed è capace di rispondere a vari stimoli uditivi, visivi e tattili provenienti dall’ambiente esterno. Alcuni psicologi parlano di ‘personalità’ del feto prima della nascita. Queste supposizioni sono confortate da vari racconti di individui in ipnosi che hanno ricordato esperienze vissute nel periodo prenatale o l’esperienza della nascita. In base quindi al presupposto che il feto possa essere cosciente, consapevole e capace di memoria, è anche stato ipotizzato che le esperienze che vive durante il periodo prenatale possano influire sullo sviluppo della sua emotività e sulla sua mente” (“Avere un bambino”, Mondadori). E altrove: “Il mondo del bambino in utero comincia solo adesso ad aprirsi allo studio e alla conoscenza. Sappiamo che il feto dorme e che in alcuni momenti il suo sonno si accompagna a movimenti oculari rapidi (sonno Rem), come il sonno dell’adulto che sogna…”.
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Il protagonismo biologico dell’embrione.
Ebbene, in tutto questo processo, che ci è ancora per moltissimi aspetti sconosciuto, dall’embrione, al feto, al neonato, la nuova vita è incredibilmente protagonista. Per dirla con un altro ginecologo di fama, Pino Noia, “l’embrione è un attivo orchestratore che dirige il suo impianto e il suo destino futuro”. Del resto, già nel lontano 1947, il famoso biologo Jean Rostand, in “L’avventura umana dal germe al neonato”, scriveva che “dal momento della fecondazione la parte più importante della costituzione fisica è determinata. Per il solo fatto che l’uovo ha ricevuto quei dati cromosomi, nulla potrebbe impedire, se esso si sviluppa, che produca un individuo di un dato sesso, con una data qualità di capelli, una data forma di cranio, un dato colore di occhi…: un pittore onnisciente potrebbe derivare l’immagine di qualsiasi individuo dal semplice esame dei cromosomi dell’uovo fecondato dal quale nascerà”. Ciò comporta appunto che la nuova vita, meccanicamente isolata dall’organismo materno grazie a una membrana mucopolisaccaridica prima e al trofoblasto poi, ha già in sé tutto ciò che gli serve allo sviluppo e alla sua evoluzione: “Conserverà sempre la sua singolarità genetica, perché non usufruirà di nessun apporto di materiale genetico organizzato che intervenga dall’esterno a modificarlo” (Giorgio Carbone, “L’embrione umano: qualcosa o qualcuno?”, ESD). L’embrione, dunque, non è, come la statua fatta da un falegname, plasmata a suo piacere, nel tempo voluto e secondo un suo personale disegno, che può essere tranquillamente considerata una proprietà e un “brevetto” del falegname stesso.
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Il rapporto con la madre.
Questo non significa, però, che il nascituro non abbia bisogno di aiuto, e cioè della generosa ospitalità della madre. A lei infatti è richiesto di sopportare le nausee, il mutamento del proprio fisico, la stanchezza e la debilitazione, e, infine, il dolore del parto: l’amore materno si rivela subito, anche fisicamente, come un amore basato sul sacrificio e sulla dedizione completa, che rimarrà caratteristica della madre anche negli anni a venire. Del resto, tale indissolubile legame, spirituale e fisico, ha origine già nei primissimi giorni, allorché l’embrione e la madre intraprendono un dialogo intensissimo, in cui la madre è chiamata, solitamente, a dare, e, più raramente, a ricevere. Sin dal concepimento infatti si instaura tra l’embrione che risale la tuba e la donna che si prepara ad accoglierlo il cosiddetto “colloquio crociato”. Tale colloquio viene abitualmente definito “talk cross” ed è, come scrive Flamigni, uno “scambio di informazioni chimiche”: “L’inizio dell’impianto della blastocisti (particolare stadio dell’embrione, ndr) e l’invio di messaggi specifici alla madre sono contemporanei a profonde modificazioni dell’utero (la mucosa si trasforma e si ispessisce; aumentano i vasi sanguigni; la muscolatura diviene più soffice ed elastica) e della blastocisti stessa, le cui cellule iniziano a differenziarsi e a costruire i propri sistemi di ancoraggio nei confronti della mucosa, sistemi che serviranno anche per lo scambio di sostanze chimiche”. Insomma: l’embrione dialoga con la madre e la madre con lui, con finalità che sono benefiche e preparatorie per entrambi. Questo colloquio è essenziale, tanto è vero che continuerà nel tempo: madre e figlio non smetteranno di comunicare con “messaggi misteriosi”, “messaggi impalpabili che la biochimica ufficiale non riesce né a percepire né a quantificare” (op. cit.). Gli studi più recenti ci spingono ad andare oltre, e cioè a ritenere che vi sia una interazione profonda tra madre e figlio, già in utero, anche dal punto di vista psicologico. Lo hanno sottolineato parecchi medici, allarmati dalla sempre maggior ansietà con cui la società accoglie i suoi figli. Sembra infatti che le indagini prenatali, tralasciando ogni altra considerazione, come pure l’obbligo sociale del figlio sano e bello a tutti i costi, siano in qualche modo percepiti dal figlio stesso, quasi avvertisse la precarietà del suo destino e l’ansia di colei che lo ospita. E’ sempre Flamigni a spiegarci che “vari studi hanno dimostrato che l’attitudine della madre verso il feto ha un forte impatto sulla salute sia fisica sia psichica del nascituro. I bambini nati da madri ‘ambivalenti’, cioè con difficoltà ad accettare la gravidanza anche se apparentemente felici, presentano spesso problemi comportamentali e somatici, quali disturbi gastrointestinali. Le cosiddette ‘cool mothers’, madri cioè che per problemi di carriera o finanziari non vogliono una gravidanza, hanno più spesso figli inizialmente letargici e apatici. Il bambino prima della sua nascita è strettamente legato alle esperienze fisiche, mentali ed emotive della madre. E’ stato coniato il termine ‘toxic womb’ a sottolineare l’importanza dell’influenza degli stress emotivi, fisici e psicologici dei genitori e in particolare della madre. Diversi autori hanno suggerito che la gravidanza e la nascita sono eperienze formative non solo per i genitori, ma anche per il bambino. Durante i nove mesi di gestazione, i genitori possono essere felici, ambivalenti, arrabbiati, o senza speranza e allo stesso modo il bambino si può sentire benvenuto o respinto”. Per questo, conclude Flamigni, “il compito di essere genitori non inizia con la nascita o uno o due anni dopo, ma già durante la gravidanza, quando il grembo materno diviene una scuola che tutti i bambini frequentano e in cui i genitori sono gli insegnanti”.
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Quando il figlio salva la madre.
Per concludere si può notare che se è vero che alla madre è richiesto un amore capace di sacrificio e di dedizione al figlio, sin dalla sua primissima comparsa, è anche vero che quest’ultimo non è fonte di gioia e di bene solo a partire dalla sua nascita, quando, con la sua bellezza, riesce a stupire e a consolare la madre di ogni passata sofferenza. Sembra infatti che anche il figlio abbia potenzialità benefiche, a livello fisico, sulla madre, ancora in utero. Diana Bianchi, ricercatrice genetista della Tuft University di Boston, ha dimostrato la possibilità che il “traffico cellulare” tra madre e concepito possa portare, in alcuni casi, alla guarigione di un tumore materno. Ha infatti documentato “un’esperienza molto particolare, notando che le cellule staminali del figlio ancora in grembo avevano circondato un follicolo tiroideo della madre che aveva avuto una tendenza neoplastica trasformandolo in cellule tiroidee. Individuando il tumore, dunque, le cellule staminali fetali si sono differenziate in cellule tiroidee per curare e circoscrivere una lesione materna: hanno quindi la potenzialità di riparare danni a organi della gestante, trasmettendo benefici per la salute” (Noi-Avvenire, 25/1/2004). Inoltre le cellule del nascituro continuano a rimanere per decenni nella madre, e “potrebbero svelare perché, per esempio, le donne sono più longeve dell’uomo” (Il Giornale, 9/10/2004).
“Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo”. (Salmo 139)

Il Foglio 21 dicembre 2007


INTERVISTA A CLAUDIO RISE’
di Cristiano Gatti
Il Giornale 22/12/2007
Certo si fa prima a lavare via tutto questo sangue domestico con un pratico luogo comune, classico armamentario da cronisti svogliati, genere «improvvisa esplosione di follia tra le mura domestiche». Ma sì: un bel raptus, una bella depressione, e passiamo pure agli altri titoli del nostro notiziario... Purtroppo tutti quanti sappiamo che non è così semplice. La semplificazione aiuta a rimuovere gli incubi, ma non a comprendere. Sono grato a Claudio Risè - che dalla sua postazione di psichiatra e psicanalista è un acuto osservatore di umanità - per aver sgombrato molta nebbia. Per aver detto due o tre cose molto chiare. Per non essersi perso, come tanti suoi colleghi di grido, nelle chiacchiere da talk-show di metà pomeriggio o di prima serata.
Chi abbia voglia di chiarire che cosa davvero stia succedendo nella famiglia italiana - vecchio o giovane, uomo o donna, di destra o di sinistra - può leggersi questa intervista. Si può dissentire, ma non è tempo perso. Risè, sorpreso da tanti delitti domestici?
«No. Ci siamo costruiti un certo modo di vivere: i nodi stanno venendo al pettine».
Quale il nodo più nodo? «L’aborto. Siamo la prima società che ha legalizzato l’omicidio di un bambino. La stessa società che risparmia la vita a un criminale accertato, battendosi contro la pena di morte, uccide legalmente un essere indifeso». Il risultato? «Accettato l’aborto, nell’inconscio di uomini e donne passa l’idea della violenza quotidiana, intima, familiare. Se si può esercitare violenza su un essere inerme, il resto viene da sé».
Visione cristiana?
«Guardi, i più recenti studi francesi, cioè di un Paese veramente laico, attribuiscono alla legalizzazione dell’aborto un peso enorme. È come il nullaosta alla violenza. A quel punto, l’uccisione è accanto a te come un’opzione praticabile».Crolla un tabù: l’intoccabilità della vita umana.
«Sì, crolla un tabù. Uso un termine che piace molto in quest’epoca: è lo sdoganamento della violenza. Oltre tutto, della peggiore: non è neppure quella dei combattimenti bellici o della pena di morte, ma è contro un bambino indifeso».
E la famiglia, come ci leghiamo al problema della famiglia?
«L’aborto trasmette in casa un virus: a livello inconscio, rende praticabile l’uccisione anche in un ambito intimo e domestico come la famiglia, luogo una volta considerato sacro e intoccabile. Se l’uccisione non è più percepita come uccisione, salta tutto: il sacro della vita, il sacro della famiglia».
Quando abbiamo deciso di demolire?
«Anni ’70. Casualmente, gli anni di aborto e divorzio. Curioso: mentre a livello sociale si combatteva per difendere gli interessi delle masse, cioè collettivi, con quelle leggi abbiamo messo sul piedestallo l’individuo. Prima, le persone pensavano che fosse interesse di tutti non uccidere bambini e tenere unite le famiglie, perché questo contribuiva al benessere della società. Oltre la boa degli anni ’70, passa un’altra convinzione: quello che un individuo ritiene sia utile all’individuo, va fatto. Se c’è un impiccio come un nuovo bimbo, lo si rimuove. Se c’è un nuovo amore, o una nuova opportunità di lavoro, si cambia vita. È la fine della famiglia: ogni stormir di fronda può essere causa sufficiente per disfarla. Basta la semplice stanchezza del legame: prima veniva superata nell’interesse superiore della famiglia, cioè della società, ora diventa occasione per andarsene».
E la violenza?
«Se la famiglia è fragile, se non è più sacra (anche in senso laico), la famiglia può essere distrutta in ogni momento. C’è spazio per l’opzione della violenza. Ciò che una volta era intoccabile, adesso è toccabilissimo. Gli ultimi studi americani dimostrano che la maggior parte dei casi difficili - tossici, suicidi, carcerati, malati mentali - nasce tra i figli cresciuti senza padre, cioè in famiglie distrutte».
Dunque, vaghiamo tra le macerie degli anni ’70. Ma intravede una via d’uscita?
«Il malessere è forte. Però ci sono già importanti germi di cambiamento. Cresce il senso religioso. Il giudizio dei giovani su aborto e divorzio è molto più negativo di quello dei loro genitori: guarda caso, alle manifestazioni per gli anniversari di quelle leggi c’erano pochissimi ragazzi. In America c’è un fortissimo recupero del matrimonio indissolubile. I giovani non credono all’idea del matrimonio smontabile dalla sera alla mattina. O è per sempre, o niente. La verità è che i ragazzi non vedono nei miti degli anni ’70, i miti dei loro padri e delle loro madri, una via praticabile. È una via esaurita».


PROSTITUZIONE, LA PRIMA LOTTA È CULTURALE
Come fossimo primitivi. Le schiave in mezzo a noi
Avvenire, 24.12.2007
DAVIDE RONDONI
L’ Italia è un Paese dove vige la schiavitù. E se in un paese c’è la schiavitù significa che tutti siamo colpevoli. Là dove esiste uno schiavo non esiste la libertà per nessuno. E chi dice o pensa: sono libero, compie una censura violenta, colpevole. Una schiavitù avviene sotto i nostri occhi. Anche se non vediamo catene o lacci perché non si vedono contro la luce dei fanali sui viali di periferia o nelle misere luci stroboscopiche dei night. Centomila ragazze vendute per strada, cinquantamila in locali miserevoli.
Colpevoli siamo noi clienti, noi governanti, noi prostitute, noi passanti.
Il governo tergiversa, prepara disegni di legge confusi e poi li ritira. Nei comuni si profilano soluzioni che non sono soluzioni, ma segni di disperazione. O peggio, di accondiscendenza alla schiavitù. È una peste. Che andrebbe combattuta, e invece la si lascia proliferare. E non ci si ripari dietro il vecchio adagio che tanto si tratta del più antico mestiere del mondo. Se anche fosse vero, e se anche consideriamo inevitabile l’umana debolezza e la tendenza a lasciarsi andare, tutto questo non giustifica tale esercito di schiave, né il colossale laido business che continua a crescere sulle loro schiene, sulle loro gambe, sul loro ventre. Perché una debolezza va corretta, e un mercato mostruoso di schiave va combattuto.
Se in un Paese c’è la schiavitù significa che la mente dei governanti e quella dei passanti è ormai abituata a considerare normale la schiavitù. E questo annulla ogni presunzione di progresso raggiunto. Una mente abituata alla schiavitù non è progredita in nulla. Semmai è tornata ad essere incivile.
La manifestazione che ieri sera gli amici di don Benzi, il sant’uomo che aveva lanciato dal fondo della sua carità il grido d’allarme per queste schiave, e a loro ha aperto le sue braccia di prete e di cittadino, ecco quella manifestazione è il segno a cui dobbiamo aggrapparci tutti, per non soffocare dentro alla colpa dell’acconsentire alla schiavitù.
Poiché un uomo ha detto: «questa indegnità deve finire» allora c’è speranza per noi, per la nostra mente schiavista di governanti e di passanti, di prostitute o di clienti. Aggrapparci alle richieste di don Benzi e dei suoi è l’unico modo per mostrare che qualcosa nella nostra coscienza non ha ceduto all’accettazione della schiavitù come fatto normale. È l’unico modo per dire «l’Italia è un Paese civile» senza dover provare interamente vergogna dei nostri parlamenti, dei nostri viali, delle nostre città.
Si deve colpire duro questo commercio di schiave. Se lo si lascia continuare, possiamo cambiare tutte le leggi elettorali, tutti i governi, tutti i partiti e le coalizioni che vogliamo, ma l’Italia resterà una terra di schiavi.
E di schiavisti. Si deve colpire duro, combattendo con la possibile disperazione che si tratti di ragazze perdute. Combattendo il sottile e velenoso cinismo che non possa essere che così. Quel cinismo e quella disperazione che ci fanno considerare quelle ragazze, spesso giovanissime, meno che bestie.
Buone solo ad essere vendute.
Ci vuole una polizia che vigili sulle strade, e una speranza che vigili nelle coscienze. Una polizia che dia la caccia a coloro – uomini e, fatto tremendissimo, anche donne – che sfruttano tali schiave, e ci vuole un sussulto di dignità che non ci faccia accettare la vendita del corpo umano, del sesso, della dignità umana come una attività fieristica a cui destinare una zona di periferia. Ci vuole la polizia e ci vuole la dignità. Come sempre, quando una generazione che non voglia esser vile e disumana si trova a combattere le forme peggiori di potere e di violenza. Se non combattiamo per liberare l’Italia dalla schiavitù, che generazione saremo?



Vicky, l’amore batte l’Aids
Avvenire, 24.12.2007
«Mi sono sentita accolta nella mia sofferenza. Era come se qualcuno mi avesse detto: tu hai un valore più grande della tua malattia» Ora ridà fiducia a chi l’aveva perduta
DI GIORGIO PAOLUCCI
Q uando Vicky scoprì di essere incinta del terzo fi­glio, suo marito la mise davanti a un’alternativa secca: rimanere sua moglie, rinunciando alla gravidanza, o separarsi da lui se voleva tenere il bambino. A quell’epoca aveva «solo» due figli, pochi per una donna ugandese. Perciò decise di portare avanti la gravidanza, cosa che segnò la fine della sua relazione co­niugale. Non capiva, Vicky, perché il suo uomo fosse co­sì crudele e intransigente. Nasce Brian, il terzogenito, do­po qualche anno la donna si ammala e perde il lavoro. E quel figlio così fortemente voluto, manifesta i sinto­mi della tubercolosi. Con le due malattie arrivano i pri­mi sospetti: dopo qualche mese Vicky si aggrava, all’o­spedale viene visitata e sottoposta al test dell’Hiv che ri­sulta positivo. «Fu in quel momento che ricordai e com­presi perché mio marito si era opposto alla terza gravi­danza: perché a quell’epoca anche lui era sieropositivo». Si fa ancora più dura la vita per una madre rimasta so­la con i suoi tre figli e quella sventura piombata come un macigno. «Due dei miei ragazzi erano sani ma non avevamo abbastanza soldi per mangiare, per le me­dicine e per la scuola. Ma soprattutto, non avevamo amore da nessuno. Non sapevo più se Dio esisteva davvero».
E Dio le si fa incontro, un giorno, nelle facce dei volonta­ri del Meeting Point International, una ong ugandese part­ner dell’italiana Avsi che – anche grazie al sostegno a di­stanza – aiuta più di duemila bambini, quasi tutti orfani, e oltre duemila adulti. Al Meeting Point sieropositivi e ma­lati di Aids vengono accolti, curati ed amati. «Quando so­no arrivata ero a pezzi, nel corpo e nello spirito – raccon­ta la donna –-, ma lì ho incontrato persone che mi dava­no un po’ del loro tempo e del loro affetto. Ho visto don­ne che non immaginavo potessero vivere in quel modo pur essendo malate di Aids: ballavano, cantavano, erano liete, positive. Ho ritrovato qualcuno della mia stessa tribù. Dopo un po’ che frequentavo quel posto ho cominciato a vedere una luce che faceva capolino nel buio della mia vita, e ho deciso di stare con loro. Ero costretta a letto, ma mi guardavano come se fossi una della loro famiglia pro­prio mentre i miei parenti e i vicini di casa si vergognava­no di me e dei miei figli, o ci guardavano con disprezzo. Era come se mi dicessero: Vicky, tu hai un valore, e il tuo valore è più grande del peso della tua malattia».
La donna comincia a comprare farmaci per Brian che rischiava di morire, dopo averlo tolto dalla scuola per il marchio di discriminazione con cui era bollato: lo chia­mavano «scheletro». Anche lei sta male, ha perso tren­ta chili, comincia a curarsi e le forze lentamente ritor­nano. Oggi Brian è un ragazzo sano e ha ripreso gli stu­di, Vicky ha 42 anni, vive a Kampala ed è diventata una dei volontari del Meeting Point, accoglie ed aiuta deci­ne di donne sieropositive che avevano smesso di spe­rare e tanti orfani. Quando se le trova davanti, dice loro che il valore della vita è più grande e più forte del virus che portano in corpo. «Le guardo come sono stata guar­data io quando arrivai qui. E dico a queste donne: tu hai un valore, e il tuo valore è più grande del peso della ma­lattia. Dicono che con l’Aids la morte vince, ma io pen­sando a come sono cambiata grido: morte, dov’è la tua vittoria? Il potere della morte è nella perdita della spe­ranza, nel non amare e nel non essere amati. Quando scopri di essere amata da qualcuno, come è successo a me, la morte è sconfitta, nel tuo cuore entrano i raggi della speranza. E diventi capace di ridare fiducia nella vita a chi l’aveva perduta».



IL RACCONTO DI NATALE Un uomo isolato, solo nella campagna nebbiosa e fredda. Un piatto in più, messo «per sbaglio» sulla tavola della festa.
E l’arrivo di un commensale inatteso: «Buon Natale ­mi dissi - . Non per augurio, ma per risultato»
L’ospite della Vigilia

di Erri De Luca

Fuori c’era una nebbia densa come la polenta. Finita la mungitura mi ero dato da fare in cucina intorno al camino. Mentre s’ammucchiava un po’ di brace, intagliavo la buccia alle castagne per poi metterle su. Al fornello bolliva la minestra.
Se in quella notte di Natale veniva a terra questa nebbia, perdeva la strada pure la stella cometa. Ma ci sono notti prescritte e devono capitare proprio a quel modo, limpide e pizzicate dal ghiaccio di una stella.
Bofonchiavo così mentre mi apparecchiavo il posto a tavola.
Soprapensiero avevo preso dalla dispensa due piatti anziché uno. E questo? Bah, se sei voluto uscire pure tu, stai lì, mi tieni compagnia. Mi capita di parlottare da solo, per sentire una voce. Mi piace dirmi qualcosa di sera.
Non ho la corrente elettrica, ho smesso di pagarla e me l’hanno staccata. Faccio con le candele e col fuoco nel camino. Era Natale, lo sapevo dal calendario, era pure domenica, due feste in una da lasciare correre.
Fuori s’era zittito il mondo. Non veniva nessun suono di motore dalla statale. Ho messo le castagne sulla brace, ho tagliato una cipolla grossa in cima al ciuffo, l’ho svuotata e all’interno ci ho messo un uovo, l’ultimo. Ho coperto con il pezzo tagliato e l’ho messa nel camino, circondata di brace. Ne esce una specialità. Era Natale anche per me.
Mi sono affacciato alla finestra. Bello starsene imbottiti dentro casa e dentro la nebbia. Mi sono strofinato le mani per vedere se mi veniva un poco di allegria.
Invece sono venuti un paio di fari: dalla statale avevano imboccato il mio sentiero. Avanzavano piano. Arrivò al mio cortile e spense il motore. Non successe nient’altro. Dal furgone non uscì nessuno. Mi infilai la giacca e il cappello, accesi la lampada a petrolio e andai a vedere.
Bussai al finestrino. Un uomo sui cinquanta, più o meno la mia età, abbassò il vetro: «Con questa nebbia non riesco a proseguire. Disturbo se resto qui mentre che passa?». La faccia era cordiale, dissi di sì.
«Sì? Allora disturbo?». Allora dissi no, «Non vuole venire dentro? Qua è freddo e magari la nebbia resta fino a domattina». «Non voglio disturbare, magari state facendo il cenone».
«Macché, sto da solo». Si convinse. Uscì dal furgone, raccattò una borsa e mi seguì. «Qui non c’è corrente, l’hanno staccata».

Seduti innanzi al fuoco gli dissi che per sbaglio quella sera avevo tirato fuori dalla credenza due piatti. Lui tolse dalla borsa un panno in cui era avvolto un salame intero. Poi dalla borsa uscì pure una bottiglia di vino. «È la mia cena, visto che per la nebbia non sono riuscito ad arrivare a casa». Tagliò con un coltello, di quelli a molte lame, sturò il vino. Mancava il secondo bicchiere, presi per me una scodella.
Sollevò la bottiglia, disse: «Alla vita» e versò.
Con la minestra nella scodella cominciò a raccontare.
«Vengo diritto dalla Bosnia. Sono stato a fare un viaggio con altri furgoni a portare un po’ di roba che serve più a loro che a noi». Gratis, chiesi. «Sì, da volontari, a spese nostre. Siamo partiti il 19, ritornati oggi». Bella mossa, gli dissi. «Ho da badare alle bestie, se no verrei una volta.
Non sono mie, nemmeno questa casa, nemmeno questo tavolo, la stalla, niente è mio. Sto a salario». Mangiammo la minestra, il salame, gli offrii l’uovo cotto alla brace dentro la cipolla. Restammo a chiacchierare, gli chiesi della guerra.
la nostra specialità di gente umana. È antica quanto noi, non si riesce a stare senza. Non è altro che l’autorizzazione ad ammazzare. Sembra che spunti in ogni generazione. Anche Natale è frutto di una guerra, l’esercito romano che impone in pieno inverno un censimento alla nazione conquistata. E così Maria partorisce lontano da casa.
«È Natale è una notte di pace in mezzo alla guerra».
«A me – rispondo – dà pace la natura.
Anche quando grandina o c’è nebbia da non vedersi i piedi, mi dà pace. Guardo le montagne e mi ritrovo loro coetaneo, di quando la terra le spingeva in alto. Sono più vicino alle bestie in stalla che agli uomini in città». Sorrise e disse: «Pure il bambinello è venuto al mondo più vicino alle bestie che agli uomini».
Sbucciammo le castagne pronte.
Andavamo dietro ai pensieri, come fa il vento con le nuvole. Sotto le parole si sentiva il brusio del camino e lo scrocchio delle castagne sgusciate dalle dita. Lui disse ancora: «Ho bisogno di avere un po’ di fede, ringraziare qualcuno. Non è opera nostra questo mondo, neanche il fuoco che ci sta scaldando. Chi ha fatto il legno adatto per bruciare? E la nebbia che fa incontrare le persone? Mi serve un po’ di fede, come uno spago per tenere insieme». Aspettai sette respiri prima di rispondere.
Quante parole, venute tutte insieme, mi ballavano a festa dentro le orecchie disabituate. Mi tenevo le nocche in grembo e sorridevo. «Alla fede non arrivo, credo alla pace, alla buona volontà degli uomini, credo che esiste il diritto e una sera come questa in ogni stanza del mondo».
Mi dissi a bassa voce: buon Natale. Non per augurio, ma per risultato: era un buon Natale quello che mi capitava, portato sulla slitta della nebbia. Era cominciato con un piatto in più tirato fuori dalla credenza.
Da allora faccio la stessa mossa ogni Natale, apparecchio per due.


FECONDAZIONE ASSISTITA
Avvenire, 24.12.2007
Scienza&Vita: speriamo ci sia un giudice anche per il concepito. Casini (Mpv): interessi economici dietro le aggressioni alla legge I politici si mobilitano: tradita la volontà popolare espressa dal referendum
Un altro giudice «impone» la selezione degli embrioni
DA ROMA PIER LUIGI FORNARI

Dopo il Tribunale di Cagliari, ancora una decisione che disattende la lettera e lo spirito della legge 40, sostenendo che il divieto di diagnosi preimpianto sia presente solo nelle linee guida E il ministro Melandri esulta...


Dopo la decisione del Tribuna­le di Cagliari, un altro caso di non applicazione della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita per via giudiziaria. Un’ordi­nanza del giudice di Firenze, infatti, impone al Centro Demetra di non ri­spettare le linee guida della legge, e­seguendo la diagnosi preimpianto e di conservare gli embrioni malati, ac­cogliendo il ricorso di una coppia di Milano, nella quale lei è portatrice di una malattia genetica (la estosi). «Il divieto di diagnosi preimpianto non esiste essendo stato posto illegitti­mamente dalle sole linee guida della legge 40/04 che vanno pertanto di­sapplicate », così motiva la decisione il giudice Isabella Mariani. Sulla base di queste motivazioni impone inoltre al Centro Demetra di «trasferire solo gli embrioni sani e crioconservare quelli malati fino al giudizio di meri­to » e di eseguire la procreazione assi­stita «secondo le migliori regole della scienza» in relazione alla salute della madre (e non del nascituro).
A commento della sentenza ha esul­tato la Verde Paola Balducci soste­nendo che la sentenza di fatto «ag­giorna le linee guida». Dello stesso pa- rere Rocco Berardo e Filomena Gallo, rispettivamente vice segretario del­l’Associazione Luca Coscioni e presi­dente dell’associazione Amica Cico­gna. «Un’ottima notizia», si è aggiun­ta la ministra Giovanna Melandri ri­petendo la 'leggenda' della «legge crudele».
Ma Wanda Ciaraldi, responsabile bioetica dell’Udeur, ha avvertito che con questa sentenza «si rischia di ar­rivare concretamente all’eugenetica». «Va notato – ha aggiunto l’esponente del Campanile – che spesso questi te­st danno dei falsi positivi». «E poi – ha aggiunto la Ciaraldi – non è accetta­bile che la sentenza di un giudice stra­volga una legge che nasce da un con­fronto in Parlamento e che ha visto l’apporto di tanti prestigiosi scienzia­ti ».
Per il leghista Massimo Polledri si tratta di «un precedente inquietan­te contro la volontà po­polare ». L’esponente del Carroccio ha pun­tualizzato che tale in­tervento «non può for­nire elementi utili per la terapia di malattie genetiche e non è utile al concepito». E ricor­dando i risultati del referendum ha sottolineato che «questa sentenza è contro il popolo». «L’ennesimo aggi­ramento, per via giudiziaria, della leg­ge 40 – ha commentato Isabella Ber­tolini di Fi –. Ancora una volta nel no­stro Paese la magistratura si sovrap­pone al Parlamento». «La legge 40 – ha puntualizzato poi Scienza&Vita – anche attraverso le li­nee guida dà attuazione a tutta la leg­ge, ed in particolare all’articolo 1, lad­dove si consente il ricorso alla pro­creazione medicalmente assistita, 'al­le condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che as­sicura i diritti di tutti i soggetti coin­volti, compreso il concepito'».
«Nel dibattito sul caso di Firenze – ha osservato Scienza&Vita – già va e­mergendo la caratura ideologica di u­na sentenza che vorrebbe riportare la lancetta all’indietro e negare i diritti del concepito. Speriamo che in Italia ci sia ancora un giudice che voglia ga­rantire 'i diritti di tutti i soggetti coin­volti, compreso il concepito'. E so­prattutto che i legislatori sappiano di­fendere adeguatamente la loro legge 40». «In Italia, sulle materie etica­mente sensibili – ha notato l’associa­zione –, c’è sempre un giudice ordi­nario pronto a sentenziare. E con il suo giudizio - per usare un argomen­to caro alla politica - riesce a pesare più del legislatore o di milioni di ita­liani che si sono espressi attraverso un referendum».
E il presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini, ha ricordato che «la diagnosi genetica preimpianto im­plica la soppressione deliberata di un rilevante numero di embrioni pre­sunti malati ma anche sani pur di a­vere la incerta garanzia che l’embrio­ne o gli embrioni trasferiti in utero non siano affetti dall’anomalia te­muta ». Per Casini «dietro le continue aggressioni alla legge 40 vi sono rile­vanti interessi economici», ma per «regola costituzionale il giudice è sog­getto soltanto alla legge alla quale non può sovrapporre i suoi desideri e le sue opinioni».


Tentativo di scardinare la legge
Avvenire, 24.12.2007
Infondato giuridica­mente il tentativo di sostenere che il divie­to della diagnosi preim­pianto contenuto nelle li­nee guida sia contrario al­la stessa legge 40 sulla procreazione medical­mente assistita (Pma). In­fatti è inequivocabile il si­gnificato dell’articolo 13 della legge che alla lette­ra b, del terzo comma ap­punto vieta «ogni forma di selezione a scopo eu­genetico degli embrioni». Il regolamento applicati­vo varato nel luglio del 2004, nella parte relativa all’articolo 13, recita con­seguentemente che «è proibita ogni diagnosi preimpianto a finalità eu­genetica ». Ed aggiunge: «Ogni inda­gine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vi­tro, ai sensi dell’articolo 14, comma 5, dovrà essere di tipo os­servazionale. Qualora dall’indagine vengano e­videnziate gravi anoma­lie irreversibili dello svi­luppo di un embrione, il medico responsabile del­la struttura ne informa la coppia ai sensi dell’art. 14, comma 5. Ove in tal caso il trasferimento del­l’embrione, non coercibi­le, non risul­ti attuato, la coltura in vi­tro del mede­simo deve essere man­tenuta fino al suo estin­guersi ». Che la traduzione della norma fatta dalle linee guida non sia illegittima lo prova u­na sentenza del Tar del Lazio del 2005 che evi­denziò che la diagnosi preimpianto è preclusa dalla legge 40 «in quanto ricade nel divieto di sele­zione a scopo eugeneti­co ». Da ricordare inoltre il fatto che la Corte costi­tuzionale nell’ottobre del 2006 dichiarò inammissi­bile la questione di legit­timità costituzionale po­sta dal Tribunale di Ca­gliari relativa alla norma della legge che vieta la diagnosi preimpianto, ri­portando le stesse parole del ricorrente e cioè che il divieto della diagnosi preimpianto è «desumi­bile anche da altri artico­li della stessa legge, non impugnati, nonché dal­l’interpretazione dell’in­tero testo legislativo 'alla luce dei suoi criteri ispi­ratori' ». Del resto uno de­gli argomenti sostenuti dai referendari a favore dei quesiti era che la leg­ge vietava la diagnosi preimpianto.
Il divieto ignorato è presente nel testo della legge. Ed è stato confermato da verdetti del Tar e della Consulta





NUMERO 5
chiuso in redazione alle ore 9 del 21 dicembre 2007



SCAMBIAMOCI AUGURI DI SPERANZA PER UN 2008 VERAMENTE INDIMENTICABILE
Nell’anno degli anniversari, molti gli appuntamenti e i nodi che andranno sciolti
(070512) Questo 2007 che sta per concludersi è stato un anno dai grandi spunti positivi (basti citare il Family per tutti) ma anche dai gravi avvitamenti di temi vecchi e nuovi (cellule staminali, Ru486, eutanasia…). Nel 2008 ritroveremo puntualmente tutte le grandi questioni bioetiche ma torneremo a sperimentare il clima della mobilitazione: petizione del Forum e mobilitazione europea sono realtà già avviate, ma altre se ne aggiungeranno nell’anno dei grandi anniversari in cui ricorderemo i trent’anni della legge 194, i sessanta della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e poi ancora, la convenzione sui diritti del fanciullo e Costituzione italiana.
Insomma appuntamenti che terranno desto ed impegnato il popolo della vita. Avremo uno strumento in più per affrontarli: la neo costituita Area comunicazione del Movimento per la vita dopo aver rilanciato Trentadue si sta apprestando a varare la nuova edizione di Siallavita con tanto di restyling grafico e contenutistico. Il numero di gennaio, interamente dedicato alla Giornata per la vita sarà anche il primo numero del nuovo corso, purtroppo anche con un piccolo ritocco nel costo degli abbonamenti (fermo del resto da almeno dieci anni).
Per tutte queste ragioni gli auguri che ci scambiamo in vista delle prossime festività sono auguri di grande speranza e di reciproco impegno per una stagione esaltante da un lato, ma anche critica e determinante per gli sviluppi successivi. (Daniele Nardi)

40 MOVIMENTI PRO LIFE D’EUROPA LANCIANO UNA CAMPAGNA CONTINENTALE
Dieci milioni di firme per il diritto alla vita e la famiglia
(070501) I rappresentanti di 40 organizzazioni per la vita e la famiglia di 14 diversi Paesi europei si sono incontrati nei giorni scorsi a Strasburgo per iniziativa del Forum europeo per i diritti umani e le famiglie (Fefa), in occasione della proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (12 dicembre).
I pro life europei hanno deciso di lanciare una petizione che dovrà protrarsi fino al 10 dicembre 2008 (60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo), e che ha come obbiettivo la raccolta di 10 milioni di firme per la vita e la dignità dell’uomo in tutti i Paesi dell’Unione.
Nella petizione è scritto: “Consapevoli che la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà e la giustizia costituiscono il patrimonio spirituale e morale su cui si fonda l’unione dei popoli europei” constatiamo che “i diritti dell’uomo sono traditi anche perché non sono riconosciuti come titolari di tali diritti tutti gli esseri umani”.
Nel testo si sottolinea anche che “non è sempre chiara la definizione della famiglia, in un contesto generale in cui il crollo demografico in Europa è ragione di grave preoccupazione e diviene sempre più importante il compito educativo dei genitori verso i figli”.
I sottoscrittori della petizione chiedono infine che “alla base della interpretazione, della promozione e dell’attuazione dei diritti umani sia posto sempre il riconoscimento del diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale e dalla famiglia come nucleo fondamentale dello Stato, costituita mediante il matrimonio di una donna e di un uomo”.
In Italia ad organizzare la raccolta sarà il Movimento per la vita che ha attivato un indirizzo mail con cui aderire on line: dirittiumani@mpv.org

L’EUROPA RIPARTA DAI DIRITTI DELL’UOMO
Appello alle istituzioni ed ai popoli dei 350 giovani vincitori del Concorso scolastico
(070502) Giovedì 13 dicembre, nella sala Robert Schumann del Parlamento Europeo, si è conclusa la visita a Strasburgo dei 350 giovani vincitori del concorso indetto nel trascorso anno scolastico dal Movimento per la vita e dal Forum delle associazioni familiari sul tema "Io giovane e la famiglia".
Il concorso è giunto alla sua ventesima edizione conta su oltre ventimila giovani partecipanti ogni anno mentre i vincitori sono stati finora 8000.
I giovani, nella tradizionale seduta simulata nell’emiciclo del Consiglio d’Europa, hanno discusso animatamente, soprattutto sulle virtù che dovrebbero dare forza ai valori europei e sul ruolo e concezione della vita e della famiglia.
Facendo riferimento alla tradizione umanistica e civile del Vecchio Continente, i giovani hanno scritto e votato a maggioranza che "la convivenza civile dell'Europa si può realizzare solo quando vengono rispettati i diritti fondamentali dell’uomo".
Tra questi, hanno menzionato come “primo” e “imprescindibile”, “il diritto alla vita e la valorizzazione della famiglia primo luogo di accoglienza per l’essere umano”. “Il documento conclude: “Noi giovani d’Europa esortiamo i nostri parlamentari, rappresentanti della volontà e dei bisogni dei popoli, a prestare servizio a favore della famiglia e del bene comune, in modo da assicurare, senza distinzione di etnia e di cultura, l’armonia, l’uguaglianza sociale, la convivenza pacifica e la solidarietà tra le popolazioni europee”.

UN FISCO A MISURA DI FAMIGLIA
Il Movimento per la vita rinnova l’impegno nella petizione lanciata dal Forum
(070511) Il Movimento per la vita ha confermato la propria convinta e ferma adesione alla petizione su “un fisco a misura di famiglia” lanciata dal Forum delle associazioni familiari. Nella considerazione che vita e famiglia costituiscono un patrimonio antropologico comune ed inscindibile, il Movimento si augura di poter condividere con le altre associazioni familiari l’impegno per le molte iniziative che caratterizzeranno il prossimo anno, trentesimo della legge 194 e sessantesimo della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Per dare corpo all’adesione alla petizione popolare le Federazioni regionali del Movimento prenderanno contatto con i corrispondenti livelli del Forum per coordinare e rendere operativa la raccolta di firme.

LEGGE 194. TRENT’ANNI E LI DIMOSTRA TUTTI
Il dialogo è possibile ma alcune modifiche sono irrinunciabili
(070513) A conclusione del XXVII convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita (Roma 23-25 novembre 2007), gli oltre seicento partecipanti hanno fissato i punti che potrebbero costituire la base per aprire un dialogo sulla legge. Senza cambiare il giudizio integralmente negativo sulla 194, ma nonostante questo e nel prioritario interesse di offrire una maggior tutela del diritto alla vita a tutti gli italiani, nati o non nati, siamo disposti a lavorare insieme alle forze politiche ed alle istituzioni per individuare alcuni aspetti che rendano questa legge meno ingiusta».
Perché il dibattito sulla legge sia sincero e proficuo, vengono indicate alcune modifche alla normativa:
- Art. 1: La Repubblica non si limita a “tutelare la vita umana fin dal suo inizio”, ma “tutela il diritto alla vita fin dal concepimento”.
- Art. 4: Sono escluse le cause economico-sociali.
- Art. 5: La causa per cui l’aborto viene richiesto viene verbalizzata. Si dà atto a verbale anche delle offerte di alternative e del loro risultato. La funzione consultoriale è svolta esclusivamente in funzione dell’aiuto alla nascita. I consultori non hanno mai il compito di autorizzare l’aborto.
- Art. 6 e 7: Nell’aborto terapeutico la malattia della madre e l’anomalia del figlio è certificata sempre da un collegio di specialisti. Se l’aborto avviene per anomalia del figlio, è sempre effettuato il riscontro diagnostico sul feto. I dati sono riferiti alle Regioni e da queste al Ministro della Salute, che ne fa oggetto di valutazione e ne riferisce al Parlamento.
- Art. 9: L’obiezione di coscienza ha effetto immediato e riguarda anche gli addetti alle farmacie.
- Art. 16: La relazione ministeriale indica anche i dati relativi agli aborti evitati mediante l’intervento pubblico e riferisce anche sui risultati ottenuti dal volontariato.

SINDROME POST ABORTO. PRESENTATO UN NUOVO SERVIZIO ALLA DONNA
Lavorerà a stretto contatto con i Centri di aiuto alla vita e con SosVita
(070514) Nel corso del XXVII convegno dei Centri di aiuto alla vita, è stato dato l’annuncio della creazione di un nuovo servizio del Movimento per la vita rivolto alle moltissime donne colpite dalla sindrome post aborto.
«Il servizio» spiega Lucio Romano, vicepresidente del Movimento per la vita «si prefigge, almeno nella prima fase un duplice obbiettivo: da un lato incentivare la ricerca su questa sindrome finora quasi sconosciuta agli ambienti medici italiani ma all’estero da tempo approfonditamente studiata, dall’altro formare e sostenere gli operatori dei Centri di aiuto alla vita che quotidianamente incontrano donne cadute in depressione a seguito di un aborto anche remoto».
«Il nuovo servizio lavorerà a supporto ed in stretta collaborazione con i trecento Cav sparsi in tutta Italia e con SosVita, la linea verde (800-813000) che da dieci anni raccoglie i problemi e le sofferenze di migliaia di donne alle prese con una gravidanza indesiderata o con un aborto pregresso. Ma non è escluso che in una seconda fase si possa aprire un centro di risposta diretta alle donne»

MORATORIA SUGLI EMBRIONI. ADESIONI A QUOTA DIECIMILA
C’è tempo fino al 31 dicembre per sottoscrivere
(070503) Sono già oltre diecimila le adesioni alla proposta di moratoria europea sulla distruzione di embrioni umani lanciata da Avvenire in cui sostanzialmente si chiede di tener conto delle più recenti scoperte sulle staminali, registrate in Giappone e negli Stati Uniti. E, in particolare, quelle relative alla possibilità di ringiovanire le cellule adulte allo stato di pluripotenza, consentendo così alla ricerca di evitare la distruzione di embrioni umani.
La raccolta, a cui ha dato la propria adesione anche il Movimento per la vita, proseguirà fino al 31 dicembre.

RU486. SONO DIVENTATE 16 LE VITTIME ACCERTATE
Si moltiplicano gli appelli all’Aifa per non registrare in Italia la pillola abortiva
(070504) Ancora una vittima accertata della Ru486. Una diciottenne americana è infatti la sedicesima donna ad aver perso la vita a seguito dell’uso della contestata pillola. Eppure l’iter per l’ingresso sul mercato italiano della pillola prosegue senza alcuna interruzione. Nel silenzio mediatico quasi totale la Ru486 ha dimostrato di mettere a rischio la vita delle donne dieci volte in più delle altre tecniche, oltre a promuovere l’aborto casalingo fai-da-te e demolire la legge 194, come già accaduto in Francia.
Si moltiplicano di conseguenza gli appelli all’Agenzia per il Farmaco, cui spetta l’ultima parola sulla registrazione della pillola nel nostro Paese, perchè tenga conto di quanto accaduto e non si faccia travolgere da chi vuole speculare sulla salute della donna.

RU486. LA PILLOLA E’ DIECI VOLTE PIU’ RISCHIOSA DELL’ABORTO CHIRURGICO
Presentato uno studio della Società medico-scientifica “Promed Galileo”
(0705154) Il 6 Dicembre a Roma, presso la Camera dei Deputati, è stato presentato uno studio scientifico in cui si denunciano tutti i limiti sull’efficacia, la tollerabilità ed i rischi della pillola abortiva Ru486.
La Società medico-scientifica Promed Galileo ha elaborato il documento, utilizzando strategie di ricerca orientate alla sensibilità è stata effettuata la ricerca delle fonti sulle banche dati, oltre alla letteratura "grigia" ed il web.
I ricercatori hanno condotto lo studio affermando che “Il documento intende rappresentare una fonte indipendente di informazioni per le Autorità regolatorie e le istituzioni oltre che per i cittadini poiché la percezione generale della problematica non è stata sufficientemente basata su una corretta valutazione delle evidenze”.
Le conclusioni dell’indagine non lasciano spazio a dubbi: il profilo di sicurezza dell’interruzione di gravidanza con mifepristone/misoprostol è inferiore rispetto a quella con aborto chirurgico, a parità di età gestazionale. Il rischio assoluto è basso per entrambe le metodiche, ma il rischio relativo dell’aborto farmacologico è di almeno 10 a 1.

SPAGNA 1. IMPERVERSA L’ABORTO CLANDESTINO
Decine di medici arrestati, cliniche chiuse per aborti oltre le 30 settimane
(070505) A seguito di perquisizioni e fermi svolte nei giorni scorsi da parte della polizia, emerge lo sconcertante quadro che vede coinvolti alcuni medici delle cliniche di Barcellona, accusati di aver compiuto aborti a feti di sette ed otto mesi.
Il dott Carlos Morin, responsabile delle cliniche fermato insieme ad altre cinque persone, avrebbe accettato di compiere aborti di 30 settimane con un’iniezione di una sostanza tossica al feto, al costo di 4.000 euro.
I sei fermi hanno portato a tre arresti nelle scorse settimane. Ma le indagini si sono allargate e sono finiti nella rete anche psichiatri e psicologi che avrebbero firmato certificati per consentire l’interruzione della gravidanza senza aver visitato le pazienti. Due cliniche a Madrid coinvolte nello stesso scandalo e collegate all’organizzazione del dottor Morin, sono state chiuse.

SPAGNA 2. ZAPATERO METTE IL FRENO AD ABORTO ED EUTANASIA
I due temi sono “troppo delicati” per entrare nei programmi elettorali dei socialisti
(070506) Tanto la riforma della legislazione sull’aborto quanto i dibattiti sull’eutanasia restano fuori dal nuovo programma elettorale del Partito socialista di Zapatero.
Le questioni di bioetica sono considerate terreno troppo delicato da affrontare, e, nonostante fossero stati inseriti nel programma elettorale del 2004, sarebbero esclusi dal programma per le elezioni del 9 marzo 2008 in cui il governo socialista di Zapatero cercherà la conferma per un secondo mandato.
Il governo spagnolo non ha intenzione di modificare l’attuale legge sull’aborto liberalizzandolo completamente nei primi mesi di gravidanza. Lo ha detto il ministro della sanità Bernat Soria spiegando che la questione ’non è nell’agenda politica’.
Le parole di Soria fanno seguito al ’no’ dei socialisti ad una mozione presentata in parlamento dall’estrema sinistra per liberalizzare l’aborto nei primi tre mesi. In precedenza il premier aveva riaperto il dibattito sull’aborto promuovendo ’una riflessione’ nel partito socialista su tale tema.

PORTOGALLO. MEDICI IN RIVOLTA PER DIFENDERE I PRINCIPI ETICI
L’associazione di categoria risponde picche all’ultimatum del ministro
(070507) L’Associazione nazionale dei medici in Portogallo con il suo leader Pedro Nunes, ha bocciato l’ultimatum impostogli dal governo di Lisbona in merito al cambiamento dello statuto dell’associazione che prevede “il rispetto della vita fin dal suo inizio”.
Il socialista Antonio Correia de Campos, ministro della Salute, aveva imposto all’associazione di rivedere lo statuto in seguito alla legalizzazione dell’aborto.
Nunes, che è portavoce di 35mila medici, ha risposto che “avere principi etici è ciò che differenzia gli esseri razionali da un gregge di pecore, il codice può essere cambiato solo dai medici e non dal ministro”.

CROAZIA. CROLLANO IN QUINDICI ANNI, ABORTI, DIVORZI E SUICIDI
Con la fine del regime comunista le Ivg si sono ridotte dell’88,5%
(070508) Seppure la legge sulle interruzioni volontarie di gravidanza sia la stessa, dal crollo del comunismo al 2005 gli aborti in Croazia sono diminuiti dell’88,5%.
Marijo Zivkovicc, del Centro per la famiglia di Zagabria ha spiegato che questo risultato “è tutto frutto del lavoro di educazione e formazione al Vangelo della vita promosso dalla Chiesa e dalle associazioni cattoliche”.
Nel 1989, ultimo anno del regime comunista in Croazia, si sono avuti 40mila aborti, mentre nel 2005 gli aborti sono stati 4600. Zivkovic ha comparato i dati di due città industriali con popolazioni simili, come Rijeka (330.000 abitanti) e Split (470.000 abitanti), ed ha fatto notare che in quest’ultima si sono registrati un calo nel numero degli aborti, dei divorzi e dei suicidi, una riduzione dell’uso di contraccettivi e una percentuale quasi doppia di famiglie con almeno tre bambini.
In totale controtendenza rispetto ai dati demografici europei, la Croazia dal 1995 ha visto un incremento dell’11% nel numero di giovani sotto i 14 anni; ha sempre più famiglie che mettono al mondo almeno tre figli; ha un basso tasso di divorzi; un bassissimo livello di persone infette dall’Aids; e un numero ancor più basso di persone che usano il condom.
Secondo il Presidente del Centro per la famiglia croato, gran parte di questo cambiamento culturale è dovuto al lavoro fatto dai cattolici negli anni Settanta e Ottanta, ma soprattutto dopo la caduta del comunismo.
Per dare una idea di come la cultura della vita stia prevalendo in Croazia basta guardare la moneta di 25 Kuna (l'equivalente di tre euro) che nel conio del 2000 ha una parte con l’immagine di un bambino in gestazione con tanto di cordone ombelicale.

URUGUAY. IL PRESIDENTE VASQUEZ PROMETTE IL VETO ALLA LEGGE SULL’ABORTO
La nuova normativa è stata già approvata dal Senato
(070509) Il presidente uruguayano ha ribadito la sua contrarietà al progetto di legalizzazione dell’aborto passato dal Senato con 18 voti a favore e 13 contrari. Il presidente ha affermato “La legge sulla Salute sessuale e riproduttiva ha elementi molto positivi che vanno salvaguardati. Tuttavia ce ne sono altri che non condivido dal punto di vista filosofico e biologico e sui quali sarà quindi posto il veto.”

REPUBBLICA DOMENICANA. GRANDE MOBILITAZIONE PER LA VITA
Vescovi, associazioni e semplici fedeli hanno invaso le vie di San Pedro
(070510) A San Pedro de Macorís, una delle principali città dell’isola, venerdì 30 novembre migliaia di persone hanno partecipato alla marcia a favore della vita e contro la cultura della morte, organizzata dalla Chiesa Cattolica e sostenuta da diverse organizzazioni cristiane. Il corteo ha preso avvio dalla Cattedrale di San Pietro Apostolo per giungere fino al cimitero municipale di Santa Fe, dove è stata inaugurata una nicchia in memoria dei non nati. Mons. Franciso Ozoria, vescovo della diocesi, ha presieduto la manifestazione, alla quale hanno partecipato rappresentanti ecclesiastici e delle diverse istituzioni locali.
In occasione della marcia è stato presentato il documento elaborato dalla Pastorale familiare della diocesi intitolato "Rispetta, difendi, servi ed ama la vita". Il documento esprime il convincimento che la soluzione ai problemi fondamentali della nazione non sia promuovere la cultura della morte, riflettendo sul carattere criminale ed immorale dell'aborto, e sui seri turbamenti psicologici personali, familiari e sociali che genera. "I buoni e retti legislatori - si legge nel documento - sono quelli che riconoscono che non hanno un potere assoluto in questa materia e che devono procurare solo, sempre ed in tutto, la difesa responsabile dei valori permanenti che derivano dalla legge naturale, rispecchiata nella coscienza e nel cuore degli uomini, dalla Legge di Dio. Anzi, sono quelli disposti a resistere con fermezza, onore e lealtà alle grandi pressioni che provengono da correnti esterne disumanizzanti, da istituzioni internazionali che premono e pretendono di giustificare la cultura della morte".

SOMMARIO SIALLAVITA
In distribuzione il numero di dicembre del mensile del Movimento per la vita

Convegno Cav Trentanni di 194? E’ ora di cambiare
Convegno Cav Sulla riforma della legge il dialogo possibile
Convegno Cav La legge ha fatto tante vittime più una: la cultura
Giornata per la vita La speranza è nell’uomo
Diritti dell’uomo Amnesty continua a perdere i pezzi
Presidenziali Usa Decideranno vita e famiglia
Family day Il ritorno del popolo della famiglia
Cellule staminali Ricerca ed etica ora vanno a braccetto
Vita in Movimento Samuele, la speranza
Anoressia e bulemia Me la prendo col mio corpo
Cantiamo la vita La vita vola sulle sette note
Cantiamo la vita Alexia: mia figlia mi ha cambiato
Cantiamo la vita Magris, amico dei viventi

Il numero successivo sarà interamente dedicato alla Giornata per la vita. Per ordinarne le copie è necessario inviare un fax o una mail entro il 7 gennaio 2008

Per informazioni tel. 06.689.2732, fax 06.686.5725, siallavita@mpv.org




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