venerdì 29 gennaio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) DISCORSO DI BENEDETTO XVI NELL'UDIENZA ALLE PONTIFICIE ACCADEMIE - Occorre promuovere un autentico umanesimo cristiano
2) NASCE UN SITO INTERNET SUI CRISTIANI PERSEGUITATI - “Dove Dio piange” mostra la testimonianza di agenti pastorali in zone di pericolo
3) Papa e antipapa. Lo strano caso delle elezioni amministrative a Roma e regione - Alla carica di governatore del Lazio è in corsa Emma Bonino, da sempre avversaria irriducibile della Chiesa. Tra il clero e i cattolici molti l'appoggiano, e la gerarchia lascia correre. Un intellettuale laico si ribella e accusa - di Sandro Magister
4) Gender e nozze gay. - L’Europa ora frena - di Pierluigi Fornari - Avvenire 28 Gennaio 2010
5) Laici fuorilegge - Mario Mauro - venerdì 29 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
6) Dirette web - Oggi - diretta video con Giovanni Bazoli, Pierluigi Bersani e Giorgio Vittadini – ilsussidiario.net - Questa sera sarà possibile seguire in diretta video dalle 17:15 l'incontro organizzato nell'aula magna dell’Università di Padova (palazzo del Bo, via VIII Febbraio, 2 - Padova) dall'Associazione Culturale Universitaria Antonio Rosmini dal titolo: Caritas in veritate, un vademecum per orientarsi nel mondo globalizzato - Partecipano: Mons. Giampaolo Crepaldi, Giovanni Bazoli, Pierluigi Bersani, Giorgio Vittadini, Maurizio Sacconi. Modera Massimo Castagnaro
7) ANTEPRIMA/ Bernardini: i miei appunti sulla "sfida"di portare in Tv la fiction su S. Agostino - Massimo Bernardini - venerdì 29 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
8) 27 Gennaio 2010 – IDEE - L’anima «densa» di Mounier da http://www.avvenire.itbaia

DISCORSO DI BENEDETTO XVI NELL'UDIENZA ALLE PONTIFICIE ACCADEMIE - Occorre promuovere un autentico umanesimo cristiano

ROMA, giovedì, 28 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo giovedì da Benedetto XVI nel ricevere in udienza, in Vaticano, i membri delle Pontificie Accademie in occasione della 14a Seduta pubblica.

* * *
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Presidenti e Accademici,
Signore e Signori!
Sono lieto di accogliervi e di incontrarvi, in occasione della Seduta Pubblica delle Pontificie Accademie, momento culminante delle molteplici attività dell’anno. Saluto Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto. Estendo il mio saluto ai Presidenti delle Pontificie Accademie, agli Accademici e ai Sodali presenti. L’odierna Seduta Pubblica, nel corso della quale è stato consegnato, a mio nome, il Premio delle Pontificie Accademie, tocca un tema che, nell’ambito dell’Anno Sacerdotale, riveste particolare importanza: "La formazione teologica del presbitero".
Oggi, memoria di San Tommaso d’Aquino, grande Dottore della Chiesa, desidero proporvi alcune riflessioni sulle finalità e sulla missione specifica delle benemerite Istituzioni culturali della Santa Sede di cui fate parte e che vantano una variegata e ricca tradizione di ricerca e di impegno in diversi settori. Gli anni 2009-2010, infatti, per alcune di esse, sono segnati da una specifica ricorrenza, che costituisce ulteriore motivo per rendere grazie al Signore. In particolare, la Pontificia Accademia Romana di Archeologia ricorda la Fondazione avvenuta due secoli fa, nel 1810, e la trasformazione in Accademia Pontificia, nel 1829. La Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino e la Pontificia Accademia Cultorum Martyrum hanno ricordato il loro 130° anno di vita, essendo state fondate entrambe nel 1879. La Pontificia Accademia Mariana Internazionale ha celebrato, poi, il 50° della propria trasformazione in Accademia Pontificia. Le Pontificie Accademie di San Tommaso d’Aquino e di Teologia hanno ricordato, infine, il decennale del loro rinnovamento istituzionale, avvenuto nel 1999 con il Motu proprio Inter munera Academiarum, che reca proprio la data del 28 gennaio.
Tante occasioni, dunque, per rivisitare il passato, attraverso la lettura attenta dei pensieri e delle azioni dei Fondatori e di quanti si sono prodigati per il progresso di queste Istituzioni. Ma lo sguardo retrospettivo e la memoria del glorioso passato non possono costituire l’unico approccio a tali eventi, che richiamano soprattutto il compito e la responsabilità delle Accademie Pontificie di servire fedelmente la Chiesa e la Santa Sede, rinnovando nel presente il ricco e diversificato impegno, che già ha prodotto preziosi frutti anche nel recente passato. La cultura contemporanea, e ancor più gli stessi credenti, infatti, sollecitano continuamente la riflessione e l’azione della Chiesa nei vari ambiti in cui emergono nuove problematiche e che costituiscono anche settori in cui operate, come la ricerca filosofica e teologica; la riflessione sulla figura della Vergine Maria; lo studio della storia, dei monumenti, delle testimonianze ricevute in eredità dai fedeli delle prime generazioni cristiane, a cominciare dai Martiri; il delicato ed importante dialogo tra la fede cristiana e la creatività artistica, a cui ho voluto dedicare l’Incontro con personalità del mondo dell’arte e della cultura, svoltosi nella Cappella Sistina lo scorso 21 novembre. In questi delicati spazi di ricerca e di impegno, siete chiamati a offrire un contributo qualificato, competente e appassionato, affinché tutta la Chiesa, e in particolare la Santa Sede, possa disporre di occasioni, di linguaggi e di mezzi adeguati per dialogare con le culture contemporanee e rispondere efficacemente alle domande e alle sfide che l’interpellano nei vari ambiti del sapere e dell’esperienza umana.
Come ho più volte affermato, l’odierna cultura risente fortemente sia di una visione dominata dal relativismo e dal soggettivismo, sia di metodi e atteggiamenti talora superficiali e perfino banali, che danneggiano la serietà della ricerca e della riflessione e, di conseguenza, anche del dialogo, del confronto e della comunicazione interpersonale. Appare, pertanto, urgente e necessario ricreare le condizioni essenziali di una reale capacità di approfondimento nello studio e nella ricerca, perché ragionevolmente si dialoghi ed efficacemente ci si confronti sulle diverse problematiche, nella prospettiva di una crescita comune e di una formazione che promuova l’uomo nella sua integralità e completezza. Alla carenza di punti di riferimento ideali e morali, che penalizza particolarmente la convivenza civile e soprattutto la formazione delle giovani generazioni, deve corrispondere un’offerta ideale e pratica di valori e di verità, di ragioni forti di vita e di speranza, che possa e debba interessare tutti, soprattutto i giovani. Tale impegno deve essere particolarmente cogente nell’ambito della formazione dei candidati al ministero ordinato, come esige l’Anno Sacerdotale e come conferma la felice scelta di dedicargli la vostra annuale Seduta Pubblica.
Una delle Pontificie Accademie è intitolata a San Tommaso d’Aquino, il Doctor Angelicus et communis, un modello sempre attuale a cui ispirare l’azione e il dialogo delle Accademie Pontificie con le diverse culture. Egli, infatti, riuscì ad instaurare un confronto fruttuoso sia con il pensiero arabo, sia con quello ebraico del suo tempo, e, facendo tesoro della tradizione filosofica greca, produsse una straordinaria sintesi teologica, armonizzando pienamente la ragione e la fede. Egli lasciò già nei suoi contemporanei un ricordo profondo e indelebile, proprio per la straordinaria finezza e acutezza della sua intelligenza e la grandezza e originalità del suo genio, oltre che per la luminosa santità della vita. Il suo primo biografo, Guglielmo da Tocco, sottolinea la straordinaria e pervasiva originalità pedagogica di San Tommaso, con espressioni che possono ispirare anche le vostre azioni: Frà Tommaso – egli scrive - "nelle sue lezioni introduceva nuovi articoli, risolveva le questioni in un modo nuovo e più chiaro con nuovi argomenti. Di conseguenza, coloro che lo ascoltavano insegnare tesi nuove e trattarle con metodo nuovo, non potevano dubitare che Dio l’avesse illuminato con una luce nuova: infatti, si possono mai insegnare o scrivere opinioni nuove, se non si è ricevuta da Dio una ispirazione nuova?" (Vita Sancti Thomae Aquinatis, in Fontes Vitae S. Thomae Aquinatis notis historicis et criticis illustrati, ed. D. Prümmer M.-H. Laurent, Tolosa, s.d., fasc. 2, p. 81).
Il pensiero e la testimonianza di San Tommaso d’Aquino ci suggeriscono di studiare con grande attenzione i problemi emergenti per offrire risposte adeguate e creative. Fiduciosi nella possibilità della "ragione umana", nella piena fedeltà all’immutabile depositum fidei, occorre – come fece il "Doctor Communis" – attingere sempre alle ricchezze della Tradizione, nella costante ricerca della "verità delle cose". Per questo, è necessario che le Pontificie Accademie siano oggi più che mai Istituzioni vitali e vivaci, capaci di percepire acutamente sia le domande della società e delle culture, sia i bisogni e le attese della Chiesa, per offrire un adeguato e valido contributo e così promuovere, con tutte le energie ed i mezzi a disposizione, un autentico umanesimo cristiano.
Ringraziando, dunque, le Pontificie Accademie per la generosa dedizione e per l’impegno profuso, auguro a ciascuna di arricchire le singole storie e tradizioni di nuovi, significativi progetti attraverso cui proseguire, con rinnovato slancio, la propria missione. Vi assicuro un ricordo nella preghiera e, nell’invocare su di voi e sulle Istituzioni a cui appartenete l’intercessione della Madre di Dio, Sedes Sapientiae, e di San Tommaso d’Aquino, di cuore imparto la Benedizione Apostolica.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


NASCE UN SITO INTERNET SUI CRISTIANI PERSEGUITATI - “Dove Dio piange” mostra la testimonianza di agenti pastorali in zone di pericolo

BEIRUT / KÖNIGSTEIN, giovedì, 28 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Un sito Internet dedicato alle nuove persecuzioni subite dai cristiani è stato lanciato il 25 gennaio su iniziativa della Catholic Radio and Television Network (Crtn) dell'associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).
Si tratta della pagina web in inglese “Where God Weeps - the suffering Church in focus”, http://www.wheregodweeps.org/ (“Dove Dio piange, una messa a fuoco sulla sofferenza della Chiesa”).
Il nuovo sito vuole offrire agli utenti informazioni complete sulla situazione dei Paesi in cui molti cristiani sono esiliati o uccisi, e raccoglie testimonianze di Vescovi, Cardinali e missionari sul tema.
Secondo quando ha riferito all'agenzia Sir Mark Riedemann, direttore di Crntv, “il sito offre una importante opportunità per le persone che vogliono conoscere maggiormente le sofferenze patite dai cristiani nel mondo. Le persecuzioni sono in aumento e quelle contro i cristiani in particolare. Al punto che in alcuni Paesi è a rischio la stessa sopravvivenza della Chiesa”.
Chi visiterà questa pagina potrà quindi scoprire come nel XXI secolo la gente continui a dare la vita per far fruttare il seme del Vangelo, annunciando il Signore in luoghi in cui tanti cristiani sono discriminati e perseguitati.
L'elemento centrale di “Dove Dio piange” è un reportage che si realizza una volta al mese da un Paese diverso. Si tratta di un documentario di circa 12 minuti in cui si offrono statistiche, un panorama generale della realtà e testimonianze o interviste a qualche leader della Chiesa locale.
“Dove Dio piange” ha dedicato questo mese il suo approfondimento alla situazione dei cristiani in Libano. Oltre alla panoramica generale, si offre la testimonianza di Paul Karn, direttore nazionale della Pontifical Mission Society nel Paese.
Il reportage mostra come il Libano, pur essendo un Paese democratico in cui coesistono 18 credo diversi, sia in continuo pericolo per via dei Paesi vicini, il cui regime è teocratico o dittatoriale.
Molti cristiani di altri Paesi asiatici arrivano a rifugiarsi in Libano in modo clandestino per le continue minacce o persecuzioni.
“Dove Dio piange” non si ferma al piano informativo, concentrandosi anche su quello propositivo. Offre agli utenti modi per aiutare a sostenere economicamente le azioni evangelizzatrici e il seminario e illustra il sostegno offerto dalle Diocesi libanesi ai cristiani che vi si rifugiano.
Le serie trasmesse da “Dove Dio piange” si possono vedere anche sui canali televisivi EWTN Global, Salt & Light TV (Canada) e Boston Catholic TV, e seguire sulle stazioni radio EWTN Radio, Sacred Heart Radio, Guadalupe Radio, Ave Maria Radio.


Papa e antipapa. Lo strano caso delle elezioni amministrative a Roma e regione - Alla carica di governatore del Lazio è in corsa Emma Bonino, da sempre avversaria irriducibile della Chiesa. Tra il clero e i cattolici molti l'appoggiano, e la gerarchia lascia correre. Un intellettuale laico si ribella e accusa - di Sandro Magister
ROMA, 28 gennaio 2010 – Più di mezzo secolo dopo quel lontano 1952 e in entrambi i casi con le elezioni amministrative alle porte, si ripresenta oggi per la diocesi del papa un pericolo identico: che il suo governo civile cada in mani nemiche.

Ma le reazioni della Chiesa appaiono oggi molto diverse da allora.

Nel 1952 il papa e le autorità vaticane, allarmatissimi, si attivarono in prima persona. Temendo la vittoria elettorale, proprio sotto le mura vaticane, di comunisti e socialisti che all'epoca erano legatissimi all'impero di Mosca, Pio XII ordinò al partito cattolico – la Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi, oggi in via di beatificazione – di far fronte comune con i partiti di estrema destra dentro una lista civica capeggiata dall'anziano sacerdote Luigi Sturzo – anche lui oggi incamminato agli altari – e forte del sostegno dell'Azione Cattolica e dei suoi Comitati Civici.

De Gasperi rifiutò. Nelle elezioni amministrative di Roma tenne ferma l'alleanza con i partiti laici di centro, la stessa con cui era al governo in Italia. Aveva visto giusto e i numeri gli diedero ragione. A Roma i comunisti e i socialisti furono sconfitti.

Ciò non tolse che Pio XII punì De Gasperi per la disubbidienza, rifiutando di riceverlo in udienza con la moglie e la figlia Lucia in occasione dei suoi trent'anni di matrimonio e dei voti religiosi della figlia.


LA SORPRESA EMMA BONINO


Oggi il quadro politico italiano è profondamente mutato. La DC non c'è più. I cattolici sono diluiti in tutti i partiti. Al governo nazionale c'è Silvio Berlusconi, che su vita, famiglia e scuola è il leader più vicino alle attese della Chiesa. Al governo della regione Lazio e quindi della diocesi del papa c'è un'amministrazione di sinistra, lontana e sbiadita erede del defunto partito comunista.

Questa amministrazione ha subito nei mesi scorsi un duro colpo con le dimissioni del suo presidente, Giuseppe Marrazzo, travolto da avventure a luci rosse con transessuali e cocaina. Privi di un proprio candidato alternativo, per riconquistare il governo del Lazio nelle elezioni regionali che si terranno tra due mesi i partiti di sinistra hanno accettato di appoggiare l'autocandidatura a presidente di un personaggio ad essi esterno, simbolo del radicalismo anticattolico più spinto, Emma Bonino (nella foto).

Emma Bonino è una veterana dei "diritti umani". Ma entro questi "diritti" – che ha difeso anche come incaricata della Commissione Europea – essa ha sempre incluso aborto, eutanasia, matrimoni omosessuali, libertà di droga, insomma l'intera panoplia di quella che Giovanni Paolo II definì "cultura della morte". Dagli anni Settanta circola un filmato che la ritrae, fiera, mentre pratica un aborto a una donna aiutandosi con un barattolo di latta e una pompa di bicicletta.

Ebbene, di fronte alla sfida rappresentata dalla candidatura Bonino, come reagisce la Chiesa? Sicuramente non come fece nel 1952. Anche perché oggi è impensabile che il papa in persona detti ai cattolici una precisa "macchina" politica per fronteggiare il pericolo.

Anche nella Chiesa infatti, oltre che in campo politico, tante cose da allora sono cambiate. La Chiesa italiana non ha più un partito cattolico di riferimento. Si muove libera a tutto campo. La sua battaglia è fatta di "cultura cristianamente orientata". E grazie a questa libertà e intraprendenza riesce a volte a essere più influente che in passato, nella sfera pubblica. È questo il modello Ruini, dal nome del cardinale che ha guidato la conferenza episcopale per sedici anni, fino al 2007.

Se e come questo modello stia operando oggi, con il caso Bonino, è materia vivacemente discussa.


"UNO SCHIAFFO ALLA COMUNITÀ CRISTIANA"


Ad accendere la discussione è stato un intellettuale che non appartiene alla Chiesa ma è da anni vigoroso apologeta della visione di Karol Wojtyla, Joseph Ratzinger e Camillo Ruini: Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano d'opinione "il Foglio".

La scintilla gliel'ha offerta un articolo – durissimo contro la Bonino – uscito il 20 gennaio su "Avvenire", il giornale della conferenza episcopale italiana. Domenico Delle Foglie, l'autore dell'articolo, è un cattolico di primo piano, ha organizzato per mandato dei vescovi il "Family Day" di due anni fa e dirige il sito "Più voce. Cattolici in rete". È stato vicedirettore di "Avvenire" e lo scorso autunno fu quasi sul punto d'essere chiamato a dirigerlo, al posto del dimissionario Dino Boffo e in continuità con lui, ruiniano a tutto tondo.

Ma prima ancora che Delle Foglie scrivesse il suo articolo, nel principale partito della sinistra italiana, il Partito Democratico, la candidatura Bonino aveva diviso i cattolici che ne fanno parte. Due di essi, Renzo Lusetti ed Enzo Carra, avevano abbandonato il partito, giudicandolo non più abitabile. Altri invece, come Franco Marini e Maria Pia Garavaglia, avevano salutato con favore la candidatura Bonino, addirittura raccomandandola come "capace di temi e programmi che stanno a cuore agli elettori cattolici".

Contro questi cattolici "arrendevoli" e "illusi", Delle Foglie ha invece scritto che la Bonino incarna almeno tre pericoli gravi.

Il primo è simbolico: uno "schiaffo alla comunità cristiana" da parte di "una testimone di militante inimicizia nei confronti della visione cristiana dell'uomo e del mondo".

Il secondo pericolo è che, qualora vincesse, la neopresidente Bonino si metterebbe all'opera per fare del Lazio "il laboratorio di tutti gli zapaterismi", dal nome del premier spagnolo iperlaicista.

Il terzo è la "sovrana ipocrisia" di cui la Bonino dà prova già nel corso della campagna elettorale, quando promette di operare "con e per i cattolici", lei che ha speso tutta una vita a lottare contro la Chiesa.

Ebbene, il giorno dopo l'uscita di questo articolo su "Avvenire", sulla prima pagina del "Foglio" Ferrara sottoscrisse in pieno quanto scritto da Delle Foglie. Ma nello stesso tempo si scagliò contro il giornale dei vescovi perché aveva nascosto quell'articolo a pagina 11, perché l'aveva declassato a opinione personale dello scrivente, perché insomma aveva dato prova di timidezza nell'affrontare una questione che riguarda non piani urbanistici o altre faccende opinabili, ma quei principi supremi definiti dallo stesso papa "non negoziabili".

Insomma, concludeva Ferrara alludendo a ciò che faceva la Chiesa nel 1952 e prima di quell'anno: "Meglio i Comitati Civici di una volta che il timido 'Avvenire' di oggi".


VITERBO. MA NON ERA LA CITTA DEI PAPI?


A Ferrara rispose il giorno successivo il direttore di "Avvenire" Marco Tarquinio. E Ferrara gli controrispose ventiquattr'ore dopo, confermando le sue critiche. Intanto, però, "il Foglio" aveva fatto altro. Aveva mandato una sua valente inviata, Marianna Rizzini, a esplorare le diocesi della regione Lazio, per sentire cosa pensassero i preti e i fedeli della candidata Bonino.

Il responso della prima diocesi esplorata, quella di Viterbo, fu impietoso. Il titolo: "Chiesa di base con Emma. Inchiesta a Viterbo. Compatte opinioni cattoliche, in certi casi fervide, a favore della candidata abortista, divorzista, eutanasista, che definì l'embrione 'un grumo inerte'. Rari i distinguo, e timidi".

In effetti, nel reportage di Marianna Rizzini da Viterbo i soli che si schieravano contro la Bonino erano i "missionari" del Movimento per la Vita, quelli che dedicano la loro vita a far nascere i bambini, non a farli abortire.

Di poco più confortante è stato il secondo reportage della serie, dalla diocesi di Frosinone. E così un terzo, dalla città di Roma.


LA PAROLA AI VESCOVI: BAGNASCO E NEGRI


A questo punto sono entrati in campo i vescovi. Il primo, Angelo Bagnasco, è il cardinale che ha preso il posto di Ruini alla presidenza della conferenza episcopale. Nella prolusione con cui ha aperto il 25 gennaio la sessione invernale del consiglio permanente della CEI, Bagnasco ha detto di avere questo "sogno":

"Vorrei che questa stagione contribuisse a far sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni. Italiani e credenti che avvertono la responsabilità davanti a Dio come decisiva per l’agire politico".

E ancora:

"Vorremmo che i valori che costituiscono il fondamento della civiltà − la vita umana comunque si presenti e ovunque palpiti, la famiglia formata da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio, la responsabilità educativa, la solidarietà verso gli altri, in particolare i più deboli, il lavoro come possibilità di realizzazione personale, la comunità come destino buono che accomuna gli uomini e li avvicina alla meta − formassero anche il presupposto razionale di ogni ulteriore impresa, e perciò fossero da questi cattolici ritenuti irrinunciabili sia nella fase della programmazione sia in quella della verifica".

Bagnasco non ha aggiunto nulla, a proposito del caso Bonino. Parecchio di più ha detto invece un presule che non fa parte del consiglio permanente ma non è di second'ordine: Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro, milanese e stretto collaboratore in gioventù del fondatore di Comunione e Liberazione, don Luigi Giussani.

In un'intervista a Paolo Rodari su "il Foglio" del 26 gennaio, Negri ha detto che un limite della Chiesa italiana è di non saper sempre rendere operativo il pur chiarissimo magistero degli ultimi due papi:

"Perché di fronte a una candidatura dichiaratamente contro la Chiesa una parte del mondo cattolico si mostra privo di atteggiamento critico? È la domanda che mi sono posto dopo aver letto l’inchiesta del 'Foglio' a Viterbo che ha evidenziato come per molti cattolici non fa difficoltà la candidatura della Bonino nel Lazio. Se facessimo la medesima inchiesta in altre regioni, vorrei dire in tutte le regioni d’Italia, il risultato sarebbe lo stesso di Viterbo. Perché il dato è uno e chiede d’essere guardato: stiamo crescendo generazioni assolutamente incapaci di giudizio critico sulle cose. Leggendo l’inchiesta del 'Foglio' mi è venuto in mente quel versetto della Bibbia, Geremia 31, dove si dice: ‘I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati’. Mi domando: siamo stati capaci di favorire in questi anni l’espressione di una vera cultura della fede? Oppure è cresciuta tra noi, sotto i nostri occhi, una generazione per la quale il dialogo viene prima dell’identità? A volte sembra che il dialogo che impostiamo con chi non crede altro non sia che una resa senza condizioni. Nel nome del dialogo ci dimentichiamo chi siamo. E dimenticandoci chi siamo sono sempre gli altri ad avere ragione, ad avere la meglio”.

Per il vescovo Negri occorre ripartire da ciò che predicano Benedetto XVI e la conferenza episcopale italiana

"Sono dieci anni che i vescovi parlano di emergenza educativa. Occorre lavorare tutti su questa emergenza perché soltanto in questo modo i cattolici di oggi e di domani potranno imparare a giudicare e difendere la propria identità. Soltanto in questo modo i cattolici potranno capire che è arrivato il tempo di uscire dalla notte in cui tutte le vacche sono nere e tutte le identità hanno lo stesso colore. Un tempo, insomma, in cui anche il vaglio critico dei candidati alle elezioni sarà più semplice”.


LA POLEMICA CONTINUA


Lo stesso giorno, su "Avvenire" un altro cattolico in vista, Pio Cerocchi, di nuovo criticava con severità quei politici cattolici presenti nel Partito Democratico che avevano accettato passivamente la candidatura Bonino.

Anche questa volta in una pagina interna e come opinione personale.


Gender e nozze gay.
Il Consiglio d’Europa rinvia ad aprile

L’assemblea del consiglio d’Europa ha rinviato alla commissione delle questioni giuridiche e dei diritti dell’uomo la bozza di risoluzione sul gender, che verrà riportata nell’assemblea parlamentare di Strasburgo il prossimo aprile. Il documento, in nome della lotta alla discriminazione contro l’orientamento sessuale e il cosiddetto gender, opera una forte azione di lobbying giuridica, politica e culturale per aprire la strada nel vecchio Continente al matrimonio gay e alla possibilità di adozione per le coppie omosessuali, prefigurando anche una sorta di reato di opinione per chi osi esprimere valutazioni etiche o religiose in merito. Da notare che il Consiglio, diversamente dall’Unione europea, raggruppa ben 47 stati membri, includendo numerosi paesi dell’Est europeo di forti radici cristiane, che si affacciano al confronto con il mondo occidentale dopo la chiusura del comunismo. Martedì Amnesty, Human Rights Watch e Ilga avevano tenuto una riunione nel Palazzo d’Europa per sostenere la risoluzione…


Gender e nozze gay. - L’Europa ora frena - di Pierluigi Fornari - Avvenire 28 Gennaio 2010
L’assemblea del consiglio d’Europa rinvia alla commissione delle questioni giuridiche e dei diritti dell’uomo la bozza di risoluzione sul gender. Il documento, in nome della lotta alla discriminazione contro l’orientamento sessuale e il cosiddetto gender, opera una forte azione di lobbying giuridica, politica e culturale per aprire la strada nel vecchio Continente al matrimonio gay e alla possibilità di adozione per le coppie omosessuali, prefigurando anche una sorta di reato di opinione per chi osi esprimere valutazioni etiche o religiose in merito. Da notare che il Consiglio, diversamente dall’Unione europea, raggruppa ben 47 stati membri, includendo numerosi paesi dell’Est europeo di forti radici cristiane, che si affacciano al confronto con il mondo occidentale dopo la chiusura del comunismo.
Comunque il numero, circa settanta, e la portata degli emendamenti (molti a firma del neopresidente del gruppo del Ppe, Luca Volontè, di Renato Farina, di Lorenzo Cesa e del sammarinese Marco Gatti) induce il relatore, lo svizzero Andreas Gros del gruppo socialista, a chiedere un ulteriore approfondimento in ambito più ristretto prima di riportare nell’assemblea parlamentare di Strasburgo in aprile la risoluzione. «Registro con soddisfazione - osserva Volontè - che su una risoluzione che tratta una materia così controversa sia stato lo stesso relatore a chiedere il ritorno in commissione, dove si potranno approfondire alcuni aspetti che si prestano ad interpretazioni pericolose per la sovranità dei Paesi membri, per la libertà di espressione, la libertà di professare la propria religione».
Nonostante gli emendamenti, il dibattito forse appositamente calendarizzato nel giorno della memoria, sembra dominato dal politicamente corretto. Il gender, termine incompatibile con l’ordinamento giuridico italiano, diventa parola d’ordine per quasi tutti gli intervenuti.
L’acronimo Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali) la password per essere ammessi nei palazzi del potere europeo. C’è da dire anche che per motivi procedurali, sono rinviati al testo scritto ben deci interventi, tra cui numerosi erano i critici alla bozza di risoluzione. A nome del Ppe, la serba Elvira Kovács pronuncia, invece, un intervento perfettamente allineato con le tesi di Gross, che infatti la ringrazia esplicitamente.
La critica invece Farina, rimproverandole di non aver tenuto conto di quanto emerso nella riunione del gruppo prima della seduta e dei principi ispiratori del Partito popolare europeo. Ma l’inglese John Austin del gruppo socialista sostiene che vietare la promozione dell’omosessualità nelle scuole provoca maggior bullismo contro i gay, aumenta l’omofobia ed i reati di odio. Il connazionale Humfrey Malins del gruppo democratico europeo (Edg) si chiede, invece, se un prete che in un’omelia pronuncia un giudizio morale sulla omossessualità sarà considerato colpevole di tali reati. Il lituano Egidijus Vareikis del Ppe chiede attenzione per le famiglia, composta da marito e moglie che hanno figli. Confuta l’idea che la mancanza di una legislazione specifica a favore degli omosessuali comporti qualsiasi discriminazione : «Sono cittadini come gli altri ed hanno gli stessi diritti degli altri». Vareikis ricorda, poi, ai socialisti che le cose non sono così semplici come sembra nella risoluzione, tant’è che un classico della loro cultura, Charles Darwin, sostenne che l’omosessualità pone problemi per la biodiversità.
Gross in replica rimprovera a Vareikis che in Lituania c’è una legge che vieta la di fare propaganda omosessuale e bisessuale rivolta ai bambini. Ma nota soddisfatto : «Abbiamo già discusso del rapporto insieme per lungo tempo, lo ricordo: la sua posizione era molto più dura». Applausi scroscianti dalle tribune dell’emiciclo dove assiste il pubblico. Un evento piuttosto irrituale per una delle massime istituzioni europee. Martedì Amnesty, Human Rights Watch e Ilga hanno tenuto una riunione nel Palazzo d’Europa per sostenere la risoluzione.


Laici fuorilegge - Mario Mauro - venerdì 29 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
Il Parlamento francese ha raccomandato il divieto del burqa nei servizi pubblici. E’ la soluzione giusta? Se proposto nel nostro paese soddisferebbe davvero la nostra volontà di sicurezza e quella dei musulmani di integrarsi da minoranza all’interno di un paese di diversa tradizione?
La complessità dell’argomento non ci permette di offrire risposte esaustive alle domande appena poste, ma la misura approvata in Francia tiene vivo un dibattito di vitale importanza anche per noi. Dobbiamo innanzitutto capire quale sia il metodo da privilegiare come strategia globale di integrazione nei confronti degli immigrati.

In questo senso ci sono profonde differenze tra noi, che come ha sottolineato il Presidente Formigoni “puntiamo di più sullo strumento del dialogo”, e la Francia, che con il suo approccio più laicista, tende a privilegiare l’omologazione con le idee e lo spirito della nazione.
Tenuto conto, comunque, che ai fini della sola identificazione, nel nostro paese già vigono leggi che proibiscono a chiunque di girare a volto coperto: che è cosa ben diversa dal voler violare la libertà religiosa, è certamente preferibile la via italiana, perché uno Stato che tende ad intervenire in ogni dettaglio della vita dei cittadini, imponendo loro convincimenti tramite delle norme, finisce per favorire l’isolamento e la rabbia delle minoranze.

Tra le tantissime voci che si sono alzate a commento dell’iniziativa di Sarkozy, quella del ministro degli esteri Frattini risulta essere la più equilibrata e condivisibile. Il ministro dice chiaramente che siamo di fronte all’“errore storico del metodo francese", proibire e autorizzare per legge, l' opposto del multiculturalismo olandese senza regole, altro modello sbagliato.
Serve una terza via, che non parta dall' imposizione ma dal basso, dall' integrazione sul territorio, dal dialogo interreligioso e interculturale. Se si vieta qualcosa per legge, ci sarà sempre qualcuno pronto a ribellarsi, e a ricadere nell' illegalità”.

Il vero problema è il rifiuto del contatto con la comunità in cui vive da parte di chi si vela, di conseguenza non sarà alcuna legge a fargli cambiare idea. All’origine di tutto sta il fatto che dobbiamo comprendere le ragioni che stanno alla base di questo rifiuto, e per fare questo l’unica arma di cui disponiamo è quella del dialogo e della massima apertura. Un percorso lungo e accidentato, ma l’unico che può portare a risultati tangibili.
Dobbiamo essere contrari a chi utilizza il fenomeno migratorio soltanto per il proprio progetto politico, perché se quel progetto politico arriva addirittura a strumentalizzare le proprie tradizioni in rapporto a tutte le altre, il pericolo per la convivenza e per una vera integrazione è immensamente più grande.

Alla base ci sono appunto convivenza e integrazione, nel senso che il rapporto con le minoranze deve essere considerato un’opportunità per tutti. Il nostro modo di essere e le nostre tradizioni devono servire per alimentare questo rapporto, che va considerato come un arricchimento reciproco e quindi un arricchimento della nostra società. Questo non significa guardare in maniera positiva chi nasconde la propria identità coprendosi il viso in pubblico, ma al contrario significa considerare prioritario il fatto che l’immigrato si senta veramente “uno di noi”, un uomo con pari dignità che si senta parte integrante, attore e promotore dello sviluppo sociale e democratico.


ANTEPRIMA/ Bernardini: i miei appunti sulla "sfida"di portare in Tv la fiction su S. Agostino - Massimo Bernardini - venerdì 29 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
Portare il film tv su S. Agostino qui, nella sacrestia della chiesa romana degli agostiniani - dove persino Lutero veniva in visita prima dellla rottura - e poi parlarne nella meravigliosa biblioteca Angelica, è probabilmente il modo giusto, visto che qui riposano le spoglie di Monica, madre del santo.

Sintesi popolare, la storia per bigini e per frammenti, anche quella dei santi. Agostino, intelligente e presuntuoso oratore e servo dell'imperatore, che incontra il vecchio, saggio e libero vescovo Ambrogio. Elementi alti e bassi, persino la sua paternità difficile, da intellettuale distratto. Virile e consapevole Ambrogio, che difende l'Incarnazione: "La verità è una persona, Gesù Cristo". Ma combatte contro il potere che vuole contrastare e controllare la Chiesa.

Rieccheggiano le parole della Confessioni, parole intime, dirette.

Come risolvere la "notte" e la conversione di Agostino? Non vi anticipo come lo fa la fiction.

Ambrogio diviene suo padre nello spirito. Agostino: "Ho sempre parlato troppo, oggi per la prima volta ho ascoltato la Tua voce" e piange.

Arriva il "Tardi ti amai" di Agostino, che con la sua sola citazione suscita vera commozione. Sono le citazioni delle sue parole a dar fiato alla storia, insieme ai grandi attori come Nero, Guerritore e Giordana.

Preziosi bello, moderno, forse di gamma limitata (sincero ma confuso nel raccontare la sua avventura di interprete).


27 Gennaio 2010 – IDEE - L’anima «densa» di Mounier da http://www.avvenire.it
Quale è stato il codice personalistico di Mounier? Vi è in lui un ’principio persona’ intorno a cui ruoti il suo pensiero, in modo analogo a quanto accade col "principio responsabilità" nell’opera di Hans Jonas? È Mounier stesso a metterci sulla strada giusta in Personalismo e cristianesimo (1939). All’obiezione di tanti secondo cui non vale la pena prendere le mosse troppo da lontano (ossia da una riflessione filosofica sull’uomo) per orientarsi sui problemi della civiltà e della politica, risponde: «La ragione è che le esigenze temporali del personalismo, a dire il vero, sono costringenti a rigore solo se la persona trascende ontologicamente ciò che è biologico e sociale, e che solo una metafisica cristiana assicura questa trascendenza. Occorre dunque addentrarsi maggiormente nel contenuto del personalismo cristiano». Il polo animante del personalismo mounieriano degli anni ’30 o la sua intentio è individuato nel cristianesimo; più che un personalismo primariamente metafisico e/o morale il suo è un personalismo cristiano, che elabora l’impronta specifica che il cristianesimo dà alla filosofia della persona.

Il centro di questo personalismo teologico sta nell’assunto, vero cardine della teologia cristiana contro ogni sapienza pagana d’ora innanzi spossessata, che la persona «è in rapporto immediato con Dio, nulla interposita natura (Sant’Agostino)». Quale distanza dalla vulgata antropologica attuale in cui la persona è un momento transeunte e meramente organico-vitale dell’evoluzione della vita, e non è in rapporto con alcuna trascendenza! Vero è invece che, in virtù della connessione tra Dio e l’uomo, quando declina l’uno declina anche l’altro: "morte di Dio" e morte dell’uomo procedono di conserva. Mounier va ben oltre l’opposizione moderna tra Dio e uomo, per cui quanto viene attribuito al primo è tolto all’altro, secondo la nota posizione di Feuerbach, Marx, Bakunin, Proudhon.

Dedicando attenzione al tema dell’anima, Mounier produce un distacco dall’orizzonte dell’impersonale e una valorizzazione del personale come individuale. Da questo lato egli è condotto ad aprire una polemica antiellenica: l’ellenismo o il pensiero greco viene giudicato incapace di intendere e valorizzare l’individuale, e di tendere invece verso l’eterno ritorno. Egli reagisce contro l’impersonalismo che parassita l’antropologia e che la indirizza verso il terreno neutro della scienza.
Nonostante la brevità del messaggio di Personalismo e cristianesimo sull’anima, vi sono alcuni preziosi ammaestramenti da trarre.

In Mounier traspare l’idea che l’enigma della persona e dell’anima sia talmente denso che il pensiero filosofico e scientifico non siano da soli in grado di diradarlo, e che dunque occorra nutrirsi della Rivelazione. Settant’anni dopo la situazione è molto mutata e la questione dell’anima - lungamente accantonata - fatica molto a farsi strada nonostante qualche recente tentativo di ripresa che deve fare i conti col naturalismo, le neuroscienze, il darwinismo. Come mi è capitato di scrivere, oggi noi arriviamo sempre in tempo per la psiche e il cervello, e tardi per l’anima.

Nel 1939 il personalismo di Mounier aveva raggiunto un’elaborazione che si presentava pregna di due cammini che dopo il 1945 si allontaneranno nel senso che ad uno solo dei due verrà dato ampio rilievo: un cammino di riflessione rivolto verso un personalismo a base teologica e "ontologica", e un personalismo più legato ad una descrizione delle categorie dell’azione verso cui Mounier si orientò, facendo ampio ricorso a categorie quali: esistenza incorporata, libertà sotto condizione, vocazione, concentrazione, espansione, presenza a sé e alla storia, engagement, épanouissement, affrontement.

Si tratta di categorie in cui affiora l’appartenenza di Mounier alla grande tradizione morale francese, ma che in taluni casi risentono della congiuntura particolare in cui furono pensate per cui oggi sono divenute alquanto gergali. Penso in specie alla categoria alquanto abusata e polimorfa di engagement che è stata quasi una parola d’ordine per due o tre generazioni, ma che attualmente risulta poco parlante.

Andrebbero perciò rielaborate, forse rinominate e esplorate secondo nuovi contenuti, se vogliamo mantenere loro una promessa di futuro. Nella vita dello spirito e della cultura tutto accade come se le parole che al momento incidono più intensamente siano dotate di minor durata e si consumino più velocemente, a meno che non siano portate da parole più profonde. Ora queste parole più profonde ci sono in Mounier, ma nell’ultimo decennio di vita e nell’urgenza dell’azione sono rimaste inespresse e non ulteriormente elaborate. Forse ciò ha contribuito al minor impatto del personalismo mounieriano nelle ultime decadi.


giovedì 28 gennaio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: MAI PIÙ AUSCHWITZ! - Si commemora oggi il “Giorno della memoria” per ricordare la Shoah
2) LA MORTE DI ELUANA E L'ASSUEFAZIONE ALL’“EVIDENZA NEGATA” - di Antonio Gaspari
3) ABORTO E IDEOLOGIA DI GENERE: DUE RISOLUZIONI AL CONSIGLIO D’EUROPA - “La sessualità umana è una attività, non una identità” - di Jesús Colina
4) Il Giornale 27 gennaio 2010 - Una lettera inedita rivela che Wojtyla era pronto a dimettersi da Pontefice - di Andrea Tornielli
5) Nella memoria liturgica del Dottore Angelico - Il liberatore dell'intelletto - di Inos Biffi - L'Osservatore Romano - 28 gennaio 2010
6) Da questa settimana in libreria il nuovo testo di Padre Livio, con Diego Manetti, "I SEGRETI DI MEDJUGORJE. La Regina della Pace rivela il futuro del mondo" - Lunedì 1 febbraio Padre Livio presenterà l'opera su Radio Maria. - Da giovedì 4 febbraio ogni giorno alle 9,30 su Radio Maria andranno in onda le conversazioni con Padre Livio sui segreti di Medjugprje
7) Diagnosi prenatali, l’eugenetica di massa - di Daniele Zappalà – Avvenire, 28 gennaio 2010
8) Embrioni, la lista degli scarti - Anche malattie 'lievi' nell’elenco delle disfunzioni che autorizzano la selezione preimpianto - Elisabetta Del Soldato – Avvenire, 28 gennaio 2010
9) Scoperte etiche: neuroni nuovi non «ringiovaniti» - Viviana Daloiso – Avvenire, 28 gennaio 2010


BENEDETTO XVI: MAI PIÙ AUSCHWITZ! - Si commemora oggi il “Giorno della memoria” per ricordare la Shoah
ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Mai più Auschwitz, mai più tragedie simili a quella della Shoah, frutto di odio razziale e religioso. E' questo l'accorato appello di Benedetto XVI risuonato questo mercoledì, nell'aula Paolo VI, al termine dell'Udienza generale.
Le parole del Papa hanno richiamato la commemorazione quest'oggi del “Giorno della memoria”, istituito nel 2000 dal Parlamento Italiano al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
In occasione di questa ricorrenza le città italiane organizzano mostre, conferenze, visite guidate a musei e sinagoghe, incontri di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, al fine di conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un così tragico ed oscuro capitolo della storia.
“Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli del campo di concentramento nazista della città polacca di Oświęcim, nota con il nome tedesco di Auschwitz, e vennero liberati i pochi superstiti”, ha ricordato il Papa.
“Tale evento e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono al mondo l'orrore di crimini di inaudita efferatezza, commessi nei campi di sterminio creati dalla Germania nazista”, ha aggiunto.
“Crimini ignobili”, aveva detto poco prima rivolgendosi ai fedeli di lingua tedesca, “prodotti in Germania dalla megalomania sprezzante del genere umano e dall'odio razziale dell'ideologia nazista”.
Il “Giorno della memoria”, ha continuato, serve a celebrare “tutte le vittime di quei crimini, specialmente dell’annientamento pianificato degli Ebrei” e “quanti, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati, opponendosi alla follia omicida”.
“Con animo commosso – ha invitato il Pontefice – pensiamo alle innumerevoli vittime di un cieco odio razziale e religioso, che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte in quei luoghi aberranti e disumani”.
“La memoria di tali fatti, in particolare del dramma della Shoah che ha colpito il popolo ebraico, susciti un sempre più convinto rispetto della dignità di ogni persona, perché tutti gli uomini si percepiscano una sola grande famiglia”.
“Dio onnipotente illumini i cuori e le menti, affinché non si ripetano più tali tragedie!”, ha quindi concluso.


LA MORTE DI ELUANA E L'ASSUEFAZIONE ALL’“EVIDENZA NEGATA” - di Antonio Gaspari
ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Ha destato scalpore la lettura della 'Re lazione di consulenza tecnica medico-legale', relativa alla morte di Eluana Englaro, fatta dal gip di Udine in occasione della seduta in cui ha de finitivamente stabilito che il tut to è avvenuto “regolarmente”.
Nella relazione vengono riportate le note dell’équipe del dottor Amato De Monte che sede va accanto a Eluana e registrava di ora in ora gli “elementi indicativi di sofferenza”.
Come ha riportato Lucia Bellaspiga sulla pagine di Avvenire (14 gennaio 2010) si tratta di un rapporto “meticoloso”, in cui è descritta l’agonia di Eluana.
“La sua voce – è scritto – si è sentita sette volte”. I suoni si moltiplicano il 4, il 5 ed il 6 di febbraio. Una infermiera ha annotato 'Sembrano sospiri'. L’8 di febbraio (il giorno prima di morire) il rapporto parla di “nessun suono”, ma ore e ore di “respiro affaticato e affannoso”. Nei palmi delle mani, strette, i segni delle sue stesse unghie.

Un gelo al cuore la descrizione del cadavere: “Trattasi di cadavere femminile, della lunghezza di circa 171 centimetri, del peso di 53.5 chili, cute liscia ed elastica, capelli neri... Entrambi i lobi pre­sentano un foro per orecchini. Indossa una camicia da notte in cotone rosa”.
La relazione è agghiacciante non solo perchè mostra che Eluana mostrava segni di evidente e solida vitalità, ma soprattutto conferma l’atroce sofferenza a cui è andata incontro morendo di sete.
Intervistata da ZENIT la dott.ssa Chiara Mantovani, Vicepresidente nazionale per il Nord Italia dell'Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI), ha osservato che l’articolo pubblicato da “Avvenire” “avrebbe dovuto scatenare polemiche, cortei, manifestazioni pubbliche e scioperi della fame. Invece, niente”.
“Neppure di fronte al racconto discreto ma agghiacciante della morte di Eluana – ha affermato –, neppure davanti a frammenti di cronaca in differita che muovono lo stomaco, si è mosso chicchessia, nessun profeta della morte pietosa si è indignato per come è morta la Englaro”.
La Vicepresidente dell’AMCI sostiene che purtroppo ci stiamo “abituando all’evidenza negata” e fa l’esempio della pillola abortiva RU 486 mostrata come “innocua, discreta, civile e rispettosa della legge 194/78”.
“Neppure – ha aggiunto – quando si viene a sapere ufficialmente che in Emilia Romagna ci si fa un baffo delle regole per la somministrazione, così che l’aborto è diventato davvero un fatto privatissimo e clandestino – nel senso che non ha diritto di cittadinanza nelle preoccupazioni sociali ed etiche –, neppure allora qualcuno si sente in dovere di chiedere scusa”.
Per la Mantovani, “nessuno chiede scusa o dice mi sono sbagliato perchè domina l’ideologia del ‘quel che voglio, quando lo voglio, perché lo voglio’ non si ha tempo per ragionare e ripensare, magari persino pentirsi. I fatti? Tanto peggio per i fatti”.
In merito alla vicenda della Englaro la dott.ssa Mantovani ha sottolineato i fatti contenuti nella 'Re­lazione di consulenza tecnica medico-legale' e cioè: “Eluana non presentava un fisico minato, si è lamentata fino a che ne ha avuto la forza, e il modo di nutrirla non poneva problemi medici”.
“Evidentemente – ha argomentato l’esponente dell’AMCI - i problemi erano di altro tipo, stavano (e restano) nello sguardo con cui ci si rivolge a persone come lei: scomparsa per sentenza la compassione che ha generato in due millenni l’assistenza ai bisognosi, negata la dignità senza condizioni per ogni essere umano, subordinato il diritto di vivere al desiderio proprio o di altri, non ci si può meravigliare se ci guardiamo reciprocamente con sospettosi criteri di efficienza”.
Inoltre ci sono anche dati tecnici che “inquietano” ed in particolare la “mezz'ora tra il decesso e la registrazione dell'elettrocar diogramma” giustificata come un “ritardo dovuto alla difficoltà di reperimento del lo strumento”.
A questo punto la Mantovani pone domande scottanti: “Che forse il personale della clinica di Udine non si aspettava di dover utilizzare un elettrocardiografo per stilare il certificato di morte di una donna portata lì per morire? Difficoltà di reperire uno strumento? Credibile in queste ore a Port-au-Prince, non alla Clinica 'La Quiete'”.
La Relazione parla di Eluana che 'ha capelli neri, cute liscia ed elastica, corpo normale, nessun decubito'. E dicevano che ormai era morta. Ma la Mantovani aggiunge: “e se fosse stata piagata, calva, magra? Allora l’opinione pubblica, sarebbe più tranquilla?”.
“Forse sì – risponde -, perché sembra che un sottile e insapore veleno sia stato messo nell’acqua potabile: l’indifferenza e la presunta pietà (così la chiamava Giovanni Paolo II, nella Preghiera per la vita) conducono alla stessa irragionevole persuasione, che se non sei viva secondo i parametri dell’efficienza e della bellezza e della comunicazione, non sei davvero viva”.
“Non c’è rimedio ad un tale avvelenamento della ragione (quella che interroga obiettivamente i fatti e ne trae conseguenze e assume responsabilità anche quando costano) - ha aggiunto la Vicepresidente per il Nord dell’AMCI - se non l’esercizio quotidiano e oggi eroico del rispetto per il reale”.
E allora, ha concluso, “facciamo il possibile per accorgerci del reale prima che ce lo raccontino i certificati di morte”.


ABORTO E IDEOLOGIA DI GENERE: DUE RISOLUZIONI AL CONSIGLIO D’EUROPA - “La sessualità umana è una attività, non una identità” - di Jesús Colina
STRASBURGO, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Due relazioni saranno esaminate e votate dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa questa settimana, spiega l’esperto di diritto europeo Grégor Puppinck in questa intervista rilasciata a ZENIT.
Una di queste contiene una proposta di risoluzione diretta a promuovere i diritti dei cosiddetti “LGBT” (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali), tra i quali sono contemplati anche il matrimonio, l’adozione e l’inseminazione artificiale. L’altra, invece, è a favore di una politica di riduzione demografica, che comprende tra i suoi strumenti anche l’aborto.

Grégor Puppinck è direttore dello European Centre for Law and Justice*, una ONG con sede a Strasburgo specializzata in diritto europeo, ed ha partecipato ai lavori del “Comitato di esperti sulla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” (DH-LGTB) del Consiglio d’Europa.

L’attenzione si è incentrata su due testi che sollevano perplessità, e che saranno esaminati e votati nel corso della prossima sessione dell’Assemblea parlamentare, questa settimana. Diversi deputati e ONG hanno proposto di correggere o arginare questi testi. Di che si tratta?

G. Puppinck: Si tratta di due relazioni parlamentari elaborate in seno al Consiglio d’Europa.

Queste hanno come obiettivo, da una parte, quello di promuovere i diritti dei cosiddetti “LBGT” (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali), trai quali figurano anche il matrimonio, l’adozione e l’inseminazione artificiale.

Dall’altra quello di favorire una politica di riduzione demografica, anche attraverso – e qui è l’elemento problematico – l’aborto.

Le relazioni saranno discusse e votate, rispettivamente, mercoledì 27 e venerdì 29 gennaio, a Strasburgo.

Che problemi concreti presenta la relazione sui diritti dei “LBGT”?

G. Puppinck: La relazione di M. Andreas Gross, il cui titolo è “Discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” è problematica perché non si limita all’obiettivo rispettabile di tutelare le persone “LBGT” da violenze e discriminazioni ingiustificate.

In realtà, la proposta di risoluzione in essa contenuta va al di là di questo e tende a forzare l’opinione e le coscienze, imponendo un’idea secondo cui ogni tipo di rapporto (eterosessuale, omosessuale, bisessuale o transessuale) sarebbe equivalente dal punto di vista della natura e della morale.

Come conseguenza, la risoluzione non permetterebbe alcuna distinzione morale, politica o giuridica, per esempio, in relazione al matrimonio, all’adozione o all’inseminazione artificiale.

E andando oltre la legittima tutela delle persone “LBGT” contro le violenze fisiche e le discriminazioni ingiustificate, questa risoluzione viola diversi diritti fondamentali.

In primo luogo verrebbero indebolite le libertà di opinione, di espressione e di religione, poiché non sarebbe considerato più ammissibile avere un’opinione morale o religiosa sull’omosessualità.

È semplicemente il diritto a “non essere d’accordo” che verrebbe meno, in favore di un pensiero unico, in nome dello “sradicamento dell’omofobia e della transfobia”.

La libertà della Chiesa e dei credenti è direttamente e attualmente minacciata in questo contesto.

Inoltre, anche l’interesse dei bambini e delle famiglie viene minacciato. Di fatto, la famiglia e i bambini non sarebbero più riconosciuti come realtà naturali in se stesse, ma come oggetto di desiderio soggettivo.

Posto che l’adulto LGBT può avere questo desiderio, la proposta di risoluzione conclude affermando l’esistenza di un loro “diritto” a sposarsi, ad adottare e a fondare una “famiglia”, come se le realtà naturali non esistessero.

D’altra parte, del superiore interesse del bambino non si dice nulla, sebbene potrebbe sembrare del tutto opportuno educare i bambini sin dalla tenera età contro i pregiudizi.

Qual è la filosofia che sottende questa proposta di risoluzione?

G. Puppinck: L’affermazione di diritti delle persone LBGT si realizza, da un lato, mediante la negazione della differenziazione tra le realtà – effettivamente diverse – di coppie eterossessuali e di rapporti tra LGBT.

E dall’altro, sul fondamento di una neutralizzazione morale della sessualità, specialmente nella sua variante LGBT.

Questa risoluzione si basa sul presupposto che la sessualità sia esterna alla sfera dell’azione morale.

Tuttavia, la sessualità umana, come ogni attività volontaria, possiede una dimensione morale: si tratta di un’attività posta in essere da una volontà individuale, per una finalità; non è una “identità”.

In altre parole, dipende dall’agire e non dall’essere, nonostante quanto le tendenze omosessuali possano essere radicate nella personalità.

Negare la dimensione morale della sessualità equivale a negare la libertà della persona in questo ambito e porta, in ultima analisi, verso una violazione della sua dignità ontologica.

Le conseguenze di questa impostazione emergono in tutto il testo che viene sottoposto all’esame e al voto dell’Assemblea.

In questo senso, per esempio, si equipara il comportamento sessuale a criteri come la razza, l’età o il sesso, nonostante che questi ultimi siano generalmente accettati per la loro oggettività, in quanto ricadono nell’essere e non nell’agire.

In un senso più generale, la conseguenza principale – e senza dubbio l’obiettivo – dell’estromissione della sessualità dalla sfera dell’azione morale, è di impedire la possibilità stessa di una valutazione morale del comportamento.

Come risultato, la giustificazione morale di una differenza di trattamento – di una discriminazione – diventa impossibile: i diversi tipi di comportamento sessuale sono presenti “in abstracto” come neutrali e equivalenti tra loro.

Diventa impossibile e persino vietato, esprimere un’opinione su questa questione.

Per contro, l’approccio classico e propriamente giuridico, al concetto di discriminazione, si basa sulla valutazione “in concreto” delle circostanze che giustificano o meno una differenza di trattamento.

Si viola in questo modo il diritto ad avere un’opinione personale su un determinato comportamento e ad agire di conseguenza, nella propria sfera personale.

Si vieta la possibilità di valutare, dal punto di vista morale, la differenza tra le diverse realtà di una coppia eterosessuale e i rapporti LGBT, costringendo ad adottare un approccio indifferente e a non poter controbattere alle rivendicazioni idealistiche di presunti “diritti”, come il diritto al matrimonio, all’adozione o alla procreazione medicalmente assistita.

E questo perché esiste l’imperativo di preservare le libertà giuridiche di coscienza e di religione, di pensiero e di parola.

Come opera lo European Centre for Law and Justice (ECLJ) su questi temi?

G. Puppinck: Come organizzazione non governativa, specializzata in diritto internazionale ed europeo dei diritti umani, l’ECLJ ha scritto una memoria molto approfondita, che illustra, basandosi su un’analisi puramente giuridica, gli elementi di questa risoluzione che devono essere modificati.

Sul sito Internet dell’ECLJ è disponibile un memorandum in inglese, che abbiamo preparato su richiesta di un gruppo di deputati, coordinato dal dinamico deputato italiano Luca Volonté.

Fino a questo momento l’Assemblea parlamentare ha agito con una certa indifferenza su alcune questioni molto sensibili, sebbene le sue raccomandazioni esercitino un’influenza reale, soprattutto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Per questo è importante seguire da vicino i suoi lavori. Negli ultimi anni, altre ONG hanno svolto un’attività di “lobbying” diretta e classica, per esempio invitando a scrivere ai deputati.

Un'azione quest'ultima molto efficace. I dati dei deputati si trovano sul sito internet dell’Assemblea parlamentare.

E sull’altro testo, quello sulla demografia, che sarà votato questa settimana?

G. Puppinck: Si tratta della relazione intitolata: “Quindici anni dopo il Programma d’azione della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo”, che si riferisce alla Conferenza del Cairo. La proposta di raccomandazione sarà discussa venerdì 29 gennaio.

L’ECLJ ha espresso la sua preoccupazione per la promozione dell’aborto come mezzo di controllo demografico e di pianificazione familiare.

Nel corso dei negoziati sul Programma d’azione del Cairo, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno escluso esplicitamente l’aborto come mezzo di regolazione delle nascite, così come è stata esclusa l’affermazione di un ipotetico “diritto” fondamentale ad abortire.

La relazione nel suo insieme si fonda su un’ideologia neomaltusiana, in cui si insiste sulla necessità concreta di limitare le nascite nei Paesi più poveri.

Anche per questa raccomandazione, l’ECLJ ha elaborato uno studio approfondito, disponibile in francese e in inglese, su Internet.

Questo intervento ha provocato un primo rinvio dell’esame del testo, previsto inizialmente per l’ultima sessione.

In questa analisi, insistiamo molto sul fatto che la promozione dell’aborto costituisca una violazione dei diritti fondamentali sui quali è stato costituito il Consiglio d’Europa.

Questa promozione è contraria alla tutela della vita umana e alla sua dignità, nonché al rispetto della sovranità nazionale.

Il Programma d’azione del Cairo non ha creato un “diritto” all’aborto e ha lasciato agli Stati membri il compito di decidere sul grado di tutela da riservare ai nascituri nei rispettivi Paesi.

Il Programma d’azione precisa che l’attuazione delle raccomandazioni in esso contenute “è un diritto sovrano che ciascun Paese esercita in maniera compatibile con le proprie leggi nazionali e le sue priorità in materia di sviluppo, nel pieno rispetto dei valori religiosi ed etici e delle origini culturali del suo popolo, e in conformità con i diritti umani universalmente riconosciuti”.


* Il Centro europeo per la legge e la giustizia (ECLJ) è un’organizzazione non governativa fondata nel 1998 a Strasburgo e ha come obiettivo la tutela dei diritti umani e la libertà religiosa in Europa. I giuristi dell’ECLJ sono intervenuti in numerosi casi giunti anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’ECLJ gode di uno statuto consultivo speciale presso le Nazioni Unite ed è accreditato presso il Parlamento europeo.

http://www.eclj.org


Il Giornale 27 gennaio 2010 - Una lettera inedita rivela che Wojtyla era pronto a dimettersi da Pontefice - di Andrea Tornielli
Un libro svela i retroscena su Giovanni Paolo II: in una lettera scritta di suo pugno si diceva disposto a lasciare il Vaticano in caso di malattia. Il Papa teneva nell’armadio una cintura per flagellarsi. E a volte dormiva per terra

Un giorno, una delle suore in servizio nell’appartamento pontificio vide Giovanni Paolo II particolarmente affaticato e gli confidò di essere «preoccupata per Sua Santità». «Anch’io sono preoccupato per la mia santità» fu la sorridente e fulminea risposta di Papa Wojtyla. Preoccupazione infondata, ora che la causa di beatificazione si sta concludendo e presto il Pontefice polacco salirà sugli altari. Comincia con questo episodio piccolo eppure illuminante sulla personalità di Karol Wojtyla, il libro che il postulatore della causa Slawomir Oder ha scritto con il giornalista Saverio Gaeta rivelando testimonianze inedite emerse durante il processo. Il libro, Perché è santo (Rizzoli, pp. 200, 18,50 euro), è stato presentato ieri a Roma dal cardinale José Saraiva Martins, Prefetto emerito della Congregazione delle cause dei santi.

Tra gli inediti più interessanti del volume da oggi in libreria, c’è un documento relativo alle dimissioni di Giovanni Paolo II, il quale, con l’approssimarsi dei 75 anni, nel 1994, fece studiare la possibilità di lasciare l’incarico anche in considerazione della malattia dalla quale era stato colpito, il morbo di Parkinson. Alla fine, «dopo aver pregato e riflettuto a lungo», consapevole che nella Chiesa «non c’è posto per un Papa emerito», Wojtyla decise di continuare, informando però il collegio cardinalizio di aver «già messo per iscritto» da tempo la sua volontà di rinunciare «nel caso di infermità che si presuma inguaribile» e che gli impedisca di esercitare le sue funzioni. All’infuori di questa ipotesi, però, scriveva, «avverto come grave obbligo di coscienza il dovere di continuare a svolgere il compito a cui Cristo Signore mi ha chiamato, fino a quando egli, nei misteriosi disegni della sua Provvidenza, vorrà».

La lettera autografa di dimissioni è datata 15 febbraio 1989 ed è significativo che sia stata scritta prima dell’insorgere del Parkinson. Il Papa dichiara di voler rinunciare all’incarico «nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, di lunga durata, e che mi impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del mio ministero apostolico, ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento a ciò sia parimente ostacolo», lasciando al cardinale decano, al Vicario di Roma e ai capi dicastero «la facoltà di accettare e di rendere operanti» le dimissioni.

Nel libro, che riporta il meglio delle 114 testimonianze agli atti della causa, pur omettendo i nomi di chi ha testimoniato, vengono confermati gli aspetti mistici di Giovanni Paolo II e il suo dialogo con Maria: uno dei suoi collaboratori, mentre parlavano delle apparizioni mariane, gli chiese se avesse mai visto la Madonna. La risposta del Papa fu netta: «No, non ho visto la Madonna, ma la sento». E alla luce di queste parole sono destinate a pesare le molteplici testimonianze che attestano come Wojtyla credesse alle apparizioni di Medjugorje. Nel libro si riportano, accreditandole, le parole da lui pronunciate nel 1987, durante un breve colloquio, con la veggente Mirjana Dragicevic, alla quale confidò: «Se non fossi Papa, sarei già a Medjugorje a confessare». Un’intenzione che trova conferma nella testimonianza del cardinale Frantisek Tomasek, arcivescovo emerito di Praga, il quale gli sentì dire che, se non fosse stato Papa, avrebbe voluto andare nel piccolo paese dell’Erzegovina per offrire aiuto nell’assistenza dei pellegrini.

Anche il rapporto mistico con Padre Pio trova nuove conferme. Un testimone, che ebbe un’udienza con Giovanni Paolo II dopo aver preso parte alla sua messa nella cappella privata, a un certo punto del colloquio «ebbe l’impressione di veder sfumare il volto del Pontefice e apparire al suo posto l’immagine benevola del volto di Padre Pio. Quando rivelò la sua esperienza al Papa, si sentì rispondere con semplicità: “Anch’io lo vedo”».

Viene fatta anche chiarezza sulle sue mortificazioni corporali alle quali Wojtyla si sottoponeva. «Era lui stesso a infliggere al proprio corpo disagi e mortificazioni... Non di rado passava la notte coricato sul nudo pavimento». Ma non si limitava a questo. Come hanno potuto sentire con le proprie orecchie alcuni membri del suo stretto entourage, «in Polonia come in Vaticano, Karol Wojtyla si flagellava. Nel suo armadio, in mezzo alle tonache, era appesa sull’attaccapanni una particolare cintura per i pantaloni, che lui utilizzava come frusta e che faceva portare sempre anche a Castel Gandolfo».

Un altro inedito reso noto è il testo di una «lettera aperta» ad Ali Agca, con parole di perdono, che il Papa avrebbe voluto leggere durante l’udienza generale del 21 ottobre 1981. Come pure la segnalazione da parte dei servizi segreti italiani al Vaticano, di un progetto di sequestro del Papa da parte delle Brigate rosse, che giunse Oltretevere poco prima dell’attentato di Agca e per questo, appena colpito, il Papa disse al suo segretario: «Come per Bachelet», riferendosi al vicepresidente del Csm assassinato a Roma dai brigatisti nel febbraio 1980. Non manca infine una testimonianza relativa alla politica che coinvolge la Lega Nord. Giovanni Paolo II guardava infatti con particolare preoccupazione alle spinte secessionistiche che minavano l’unità del Paese.

Come ha raccontato un testimone diretto di quei giorni: «Ricordo ancora vivamente lo sconcerto del Papa nell’estate del 1996, quando la Lega Nord andò alle fonti del fiume Po. Sentiva questo gesto come un crimine contro l’unità del Paese e mi chiedeva perché non intervenivano i carabinieri e il presidente della Repubblica non facesse nulla. Aveva ben presente il bene prezioso che l’Italia rappresentava anche per la Santa Sede e per il Papa. A questa convinzione si deve anche la decisione di unire nella persona del vicario di Roma la carica di presidente della Conferenza episcopale italiana».

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Nella memoria liturgica del Dottore Angelico - Il liberatore dell'intelletto - di Inos Biffi - L'Osservatore Romano - 28 gennaio 2010
"Come si diventa teologi?", chiesero un giorno a Tommaso d'Aquino: "Ponendosi, egli rispose, alla scuola di un valido maestro", e fece il nome di Alessandro Halense. Anche l'Angelico, per parte sua, si era posto alla scuola di un maestro, Alberto Magno, il solo che, con singolare perspicacia, intuì l'ingegno eccezionale del silenzioso discepolo "siciliano", preannunziandone la splendida riuscita. Quando venne a conoscenza della sua scomparsa (il 7 marzo 1274) esclamò: "È morto fra Tommaso d'Aquino, figlio mio in Cristo, luce della Chiesa".
Mettersi alla scuola di Tommaso è, senza ombra di dubbio, una via sicura per diventare non solo teologi, ma anche filosofi o, più in generale e semplicemente, per essere capaci di pensare bene, di ragionare.
È vero che non sono mancati, ai nostri giorni, soprattutto dei teologi, che, o non conoscendolo, se non per sentito dire, o fraintendendolo, ne hanno deciso l'inattualità. Ma non bisogna prenderli sul serio. In generale, essi sono convinti che prima di loro ci sia stato il diluvio, e si compiacciono di professarsi "senza padre, senza madre e senza genealogia"; e anche se talora studiano gli autori del passato, non lo fanno tanto per sapere quello hanno detto, ma per insegnare quello che avrebbero dovuto dire. Si sente spesso affermare che, per essere attuali, non ci si deve fermare a san Tommaso. Solo che, per non fermarsi a lui, bisognerebbe esserci arrivati, senza dire che ad aver valore e a importare non è affatto l'attualità, ma la verità, che rappresentò la passione fondamentale del Dottore Angelico.
Egli fu sensibilissimo alla storia, a "quello - diceva - che gli uomini hanno pensato": basti richiamare le sue "lezioni" bibliche e il suo impegno a commentare le opere di Aristotele, impresa, questa, certamente singolare per un "maestro in Sacra Pagina". Né, d'altronde, si accontentava di ripetere le parole degli autori studiati, fosse pure sant'Agostino, ma ne ricercava "l'intenzione profonda", di là dall'espressione (quae sit intentio profundior). Neppure questa, tuttavia, era la tappa conclusiva della sua indagine: quello che alla fine gli premeva era di trovare "quale fosse la verità" (veritas rerum circa hoc). Ed era il momento della liberazione.
Anche nel suo continuo accostamento ad Aristotele, la sua preoccupazione ultima non era tanto quella di ricostruirlo storicamente, quanto, in un certo senso, di renderlo più compiutamente vero e coerente fino in fondo, salvandolo da Averroè.
Scrive Chesterton che la rivoluzione aristotelica di Tommaso è consistita non nel "riconciliare Cristo con Aristotele, ma Aristotele con Cristo", e che egli è stato "uno dei grandi liberatori dell'intelletto umano". Tommaso è infatti un incomparabile educatore dell'intelligenza, un "apostolo dell'intelligenza" (Maritain) e lo poteva essere anzitutto per la grande stima che nutriva verso la ragione, che, egli riteneva, non depressa, o confusa dalla fede o dalla grazia, ma, al contrario, intimamente risanata: "La fede non distrugge la ragione, ma la oltrepassa e la porta alla perfezione" (De veritate, 14, 1, 9). Egli si spinge fino a dire: "Il sapiente ama e onora l'intelletto, che, tra le realtà umane, è quella a cui Dio riserva l'amore più intenso" (In x Ethicorum, lectio 13).
In questo cammino educativo Tommaso parte andando "diritto all'esse" (Maritain), ossia riconoscendo innata nella struttura dell'intelletto la capacità di percepire l'essere - "l'essere è la prima conoscenza dell'intelletto" - (2 Sententiae, 19, 5, 1, 2m) e i principi primi indimostrabili che gli sono naturalmente intrinseci, la conoscenza dei quali "ci è innata" (De veritate, 11, 1, c.) ed è condizione di ogni conoscenza.
L'uomo, partendo dall'autocoscienza (notitia sui) (De veritate 15, 1, 6), può allora interpretare quanto è oggetto immediato della sua esperienza, gli "esseri" o gli enti, e avvertirne l'intima insufficienza. Infatti, a motivo della loro mobilità, precarietà o contingenza, e frammentarietà non possono radicalmente autogiustificarsi: hanno il pregio dell'essere, ma insieme sono afflitti dal non-essere.
Conducendo la ragione su questa strada, Tommaso la porta a riconoscere la necessità, si direbbe l'"ovvietà", dell'esistenza di un "Essere" non toccato da alcun limite, Atto o perfezione pura, che sia all'inizio e quale fonte dell'attualità di ogni ente. Ed è come dire di ogni ente l'intima relazione e professione "religiosa", "teologica". Per questa relazione gli esseri possono esistere: lasciati a sé sono per la morte assoluta, ossia per la caduta nel non essere; possono continuare nell'esistenza solo perché "Dio continua a elargire a essi l'essere", in cui consiste la perfezione (Summa Theologiae, i, 4, 1, 3m).
Secondo Tommaso, il vertice di questo avvincente ed entusiasmante cammino è raggiunto col riconoscimento che l'essenza di Dio è quella di "essere": "Dio è essere per essenza" (Summa Theologiae, i, 4, 3, 3m); è l'ipsum esse (Summa Theologiae, i, 3, 4, c). E questa è una "sublime verità". Sembra di sentire una silenziosa ma viva emozione in lui, quando nella Summa contra Gentiles afferma: "In Dio l'essenza si identifica con l'essere. Di questa sublime verità Mosè fu ammaestrato dal Signore". Certamente, nella persuasione che di Dio "non possiamo sapere quello che è, ma piuttosto quello che non è" (Summa Theologiae, i, 3, intr.). D'altronde, affermare che la ragione può e deve arrivare a Dio, non significa svalutare il ruolo dell'affetto, anche perché per Tommaso "volontà e intelletto si includono reciprocamente" (Summa Theologiae, i, 16, 4, 1m) e "si accede a Dio con l'affetto dell'anima" (Summa Theologiae, i, 3, 1, 5m).
È nota, poi, la dottrina di Tommaso relativa alla conoscenza "per connaturalità" o "nella modalità dell'inclinazione" (cfr. Summa Theologiae, i, 6, 3m).
Riconoscere, in ogni caso, il primato dell'intelletto originariamente fatto per conoscere l'essere, significa affacciarsi già al mistero dell'essere stesso, che può solo stupire e portare a una sua mistica, che verrà sublimata all'accorgersi che l'Essere è "personalmente" Dio.
Abbiamo parlato di Tommaso come di liberatore dell'intelletto. E, infatti, se all'inizio sta la conoscenza dell'essere, vuol dire vi sta l'oggettività, la verità, non l'arbitrio, o l'emozione, o il desiderio "a essere appetibile (come bene) è l'essere" (Summa Theologiae, i, 5, 2, 3m). È quello che fa scrivere a Tommaso: "La verità non varia a seconda della diversità delle persone" - sia in bocca a un superiore o a un suddito, a un professore o a un alunno, a un padre o a un figlio, a Dio o all'uomo - "per cui quando uno dice la verità non può essere vinto da nessuno" (Expositio super Iob ad litteram, xiii, 19). È il senso dell'oggettività, del suo valore, del suo essere assoluto, non manipolabile a piacere. Perciò l'Angelico amava ripetere: "La verità, chiunque sia chi l'asserisca, ha lo Spirito Santo come genesi" (In Titum, 1, 13).
(©L'Osservatore Romano - 28 gennaio 2010)


Diagnosi prenatali, l’eugenetica di massa - di Daniele Zappalà – Avvenire, 28 gennaio 2010
«I test pre natali sem bra no aver preso una dimensione iperbolica, se si considerano le basi scientifiche incerte su cui si fondano. Emerge un commercio dei rischi che produce angoscia e ansia». A lanciare l’allarme è il professor Roland Gori, il noto psicopatologo e saggista francese all’origine di un recente appello, sottoscritto da numerosi ed eminenti specialisti di ginecologia ed ostetricia, sulle derive tecnocratiche legate all’accompagnamento della procreazione. L’appello, in Francia, ha rotto il ghiaccio su un autentico tabù. E allargando la propria riflessione, lo studioso non esita a parlare di minacce future di «distruzione dell’umanità nell’uomo a favore di una riproduzione tecnica della specie».
Professore, cosa l’ha spinta a lanciare l’allarme?
Da anni lavoro sulle derive ideologiche e psicopatologiche legate alla medicalizzazione dell’esistenza. Viviamo in una
Parla Roland Gori, lo psicopatologo e scrittore laico francese che ha lanciato l’appello di intellettuali e medici pubblicato da «Le Monde» contro la deriva tecnocratica della procreazione. «Donne incinte braccate negli ospedali per esami abusivi e inutili. L’individuo finisce sotto osservazione fino alle pieghe più intime della sua esistenza. È un approccio fideistico verso la scienza»
società che attraversa una crisi etica e in cui i politici tendono a rivolgersi alle scienze della vita, come la medicina, per costruire un sistema di disposizioni sulle condotte individuali. Diventa evidente più che mai il pericolo di una gestione pseudoscientifica e tecnica del vivente, capace di ripetere persino certi orrori del recente passato. Sul piano psicopatologico, ciò conduce a una dispersione negli individui di un’etica della critica e della responsabilità. Nello specifico, l’incontro di diversi specialisti nel campo dell’ostetricia mi ha fatto prendere coscienza della generalizzazione delle diagnosi prenatali. In certi reparti, mi è stato spiegato con inquietudine, le donne incinte vengono ormai quasi braccate. A giustificare quest’atteggiamento è la pretesa di anticipare i rischi per i nascituri.
Ma diversi test paiono abusivi e configurano anzi una specie di 'commercio del rischio'. Le donne incinte vengono invitate a sottoporsi a numerosi test anche su patologie eventuali su cui non esistono cure. Si spalanca dunque una questione etica enorme. Tanto più se si considerano le conseguenze psicologiche disastrose sulle donne. Qualcosa di naturale come la gravidanza nei casi peggiori può ridursi a una prova costante inflitta alla loro psicologia. Eppure, scientificamente, la definizione di molti di tali rischi resta controversa.
Si può parlare di una colonizza zione dei progetti d’avvenire del le famiglie?
È così. È qualcosa di simile alle recenti pretese di predire la delinquenza a partire da certi disturbi del comportamento nei bambini di neppure 3 anni. In quel caso, si partiva da studi sui topi mutanti e da articoli molto controversi. Si arriva in entrambi i casi ad aberrazioni che confondono predizione e prevenzione.
Queste forme di determinismo applicate all’uomo paiono rima re con scientismo...
In proposito, emerge un pericolo che in certi casi si potrebbe definire totalitario. Oggi, in nome di una certa concezione della scienza, del principio di precauzione, della prevenzione dei rischi, l’individuo può finire sotto osservazione fino alle pieghe più intime della sua esistenza. C’è il rischio, insomma, di calibrare gli individui così come si fa già oggi in Europa con i pomodori, cioè a partire da considerazioni tecnocratiche. È un approccio politico fideistico verso la scienza che tende a escludere il senso individuale della responsabilità e della solidarietà.
A livello clinico, che conseguen ze può avere questa pressione sulle persone che comincia an cor prima della culla?
Da tempo m’interesso alla possibilità di veder emergere ciò che chiamo 'patologie del nichilismo'. I sintomi che vediamo oggi moltiplicarsi, dalle più diverse dipendenze alla strumentalizzazione dell’altro, mi sembrano sempre più il rovescio della medaglia di questa nuova civiltà contabile, normativa, pseudoscientifica.
La gravidanza è il momento per eccellenza di contatto col miste ro della vita. L’offensiva tecno cratica che lei denuncia produce una perdita di senso?
Credo di sì. Diversi filosofi avevano visto in passato la scienza non certo come un mezzo per chiudere i conti col mistero. Ma al contrario, come una via che apre, attraverso la conoscenza, spazi per nuovi misteri ed enigmi. Oggi, spesso, la concezione della scienza applicata al vivente tende invece pericolosamente ad avvicinarsi al produttivismo e a una visione fino a ieri riservata all’industria.
Ciò è legato direttamente agli in teressi economici in gioco dietro il 'commercio dei rischi'?
Nel caso dei test prenatali, così come in altri ambiti dello stesso genere, esiste una porosità ormai estrema fra gli interessi commerciali e industriali, da una parte, e le politiche sanitarie. Una minima variazione nei valori giudicati dai poteri pubblici come una norma sanitaria possono tradursi per l’industria in notevoli oscillazioni del proprio giro d’affari.
In Europa si allarga il dibattito sui rischi di derive eugeniste. In Francia, a gettare il sasso è stato il professor Didier Sicard, ex pre sidente del Consiglio consultivo d’etica. Che ne pensa?
Sono d’accordo col professor Sicard, anche se abbiamo approcci al problema diversi.
Personalmente, parlerei di un rischio di eugenismo neoliberale.
Sulle questioni legate al vivente, gli esperti tendono oggi a prendere il posto di figure guida capaci di richiamare la coscienza morale. Il regno degli esperti tende a dirci in modo sempre più chiaro che la verità è la norma. Si tratta di una follia.
E ciò giunge proprio quando, in campi come la ricerca in biolo gia, emergono più che mai certi limiti conoscitivi della scienza.
Un paradosso?
Proprio così. L’onore della scienza sta nel riconoscere che non ha risposte a tutto, in particolare nel caso dell’umano. Oggi in Europa stiamo vivendo una vera ondata di morale utilitarista senza ancora possedere gli antidoti. Ma resto convinto che potremo trovarli in tre modi: tornando all’etica dei nostri mestieri scientifici, grazie a una riflessione epistemologica sulla scienza e infine attraverso un impegno pubblico di sensibilizzazione.


Embrioni, la lista degli scarti - Anche malattie 'lievi' nell’elenco delle disfunzioni che autorizzano la selezione preimpianto - Elisabetta Del Soldato – Avvenire, 28 gennaio 2010
Alle cliniche del Regno Unito non servirà più un permesso speciale per distruggere gli embrioni che riportano difetti genetici anche minori. La Human Fertilisation and Embryology Authority, l’ente che regola il settore della fecondazione artificiale ed embriologia, ha pubblicato qualche giorno fa una lista di 116 malattie genetiche ereditarie che se diagnosticate durante la fecondazione artificiale possono dare il via alla distruzione dell’embrione. La notizia ha sollevato critiche e preoccupazione perché tra queste condizioni ereditarie ce ne sono molte che garantiscono a un essere umano una qualità di vita decorosa e in alcuni casi, come dimostrato in passato, anche eccezionale. Domenica scorsa il Sunday Times sottolineava come alcuni grandi personaggi della nostra storia, per esempio Abramo Lincoln o Charles De Gaulle, siano riusciti a condurre una vita esemplare nonostante avessero una malattia oggi inclusa nella lista della HFEA, la sindrome Marfan, o come altri, per esempio Pete Sampras, sia riuscito ad eccellere nel tennis anche se malato di talassemia, sempre nell’elenco. «La notizia è terrificante – ci spiega Josephine Quintavalle di Core, Comment on Reproductive Ethics – e ancora di più se si considera che molti embrioni vengono scartati anche prima di essere diagnosticati difettosi. Se per esempio nella famiglia di una coppia che cerca di concepire attraverso la fecondazione artificiale c’è un nonno che ha avuto una malattia grave, gli embrioni che riportano i geni del nonno vengono eliminati automaticamente ancora prima di essere sicuri che questi contengano la stessa malattia. In poche parole è molto probabile che saranno distrutti embrioni assolutamente sani».

Per David King, direttore del gruppo Human Genetic Alert, l’iniziativa della HFEA «è un’ulteriore conferma dell’ossessione esistente in questo Paese di cercare la perfezione a tutti i costi quando sappiamo bene che la perfezione non esiste e che è sbagliato sbarazzarci di una vita perché questa non è perfetta. E contribuisce alla creazione di un clima sociale in cui anche le più piccole deviazioni da quella che è considerata la normalità vengono considerate inaccettabili».
La procedura per identificare anormalità genetiche ereditarie conosciuta con il nome di Pdg (Pre implantation genetic diagnosis) consiste nel rimuovere alcune cellule da un embrione tre giorni dopo la fecondazione. Gli embrioni che presentano cellule con geni a rischio vengono scartati mentre quelli considerati sani vengono impiantati nell’utero della madre.
«Purtroppo siamo solo all’inizio di questa folle corsa verso ciò che non si può altro che chiamare eugenetica», conclude la Quintavalle. L’autorità sta infatti valutando in questi giorni la possibilità di aggiungere alla lista altre 24 malattie ereditarie. Tra queste c’è anche la porfiria, una malattia genetica del sangue che provoca squilibri mentali e che negli ultimi anni del suo regno fu responsabile della 'pazzia' di Giorgio III. Il sovrano morì nel 1820, a 82 anni d’età.


Scoperte etiche: neuroni nuovi non «ringiovaniti» - Viviana Daloiso – Avvenire, 28 gennaio 2010
Se ci fosse ancora qualche dubbio sulla portata della scoperta effettuata nel 2007 dallo scienziato Shinya Yamanka sulle cellule riprogrammate, le notizie arrivate dall’America nelle ultime ore lo fugheranno definitivamente.
Gli studi effettuati alla Stanford University School di Palo Alto hanno infatti inaugurato un nuovo, incoraggiante ramo della ricerca «etica» sulle staminali (vale a dire non disposta a sacrificare embrioni per la riuscita dei suoi intenti) proprio a partire dal protocollo del ricercatore giapponese. E – come spiegato sull’ultimo numero di Nature – sono riusciti per la prima volta a ottenere cellule adulte capaci di trasformarsi in neuroni funzionanti senza essere prima ringiovanite, cioè riconvertite allo stato embrionale come secondo l’originale protocollo di Yamanaka.

Per comprendere l’importanza della scoperta occorre fare un passo indietro, e tornare proprio a quel novembre del 2007, quando lo scienziato giapponese diede l’annuncio della scoperta rivoluzionaria: nel suo laboratorio di Kyoto egli era stato in grado di riprogrammare fibroblasti umani e di topo e riportarli alla fase di pluripotenza (in pratica 'ringiovanirli') grazie a un cocktail di quattro fattori di trascrizione.
Risultato: delle cellule nuove, adulte e ridotte a uno stato simil-embrionale, chiamate iPs (staminali pluripotenti indotte) e capaci di trasformarsi in ogni tessuto umano proprio come in linea teorica si era sempre supposto potessero fare quelle ricavate dagli embrioni. Un passo concreto, finalmente, visto che con le stesse embrionali non si era mai riusciti a ottenere alcun tessuto umano per l’ingestibilità delle stesse cellule e il loro altissimo tasso di reazioni cancerogene.
Unico limite della scoperta, proprio il rischio di tumori che anche queste cellule dimostravano nei primi esperimenti. Di qui la corsa al perfezionamento della tecnica che negli ultimi due anni ha visto protagonisti quasi tutti i laboratori del pianeta.


Ora il team guidato da Marius Wering avrebbe trovato una soluzione al problema, testando l’efficacia di una serie di geni, fra i quali ne sono stati individuati tre in grado di convertire rapidamente i fibroblasti embrionali e post-natali di topo. Con una differenza fondamentale: queste cellule mature non vengono prima trasformate in embrionali (dunque riportate allo stato di pluripotenza), saltando proprio il passaggio che apriva la strada al rischio di tumori nelle riprogrammate. Di più: le cellule della Stanford University mostrano già dai primi test di poter esprimere numerose proteine neuroni-specifiche e formare sinapsi funzionali. In parole povere, da esse è possibile ottenere neuroni. Un risultato straordinario che se confermato nei prossimi mesi potrà aprire concretamente una nuova era per la medicina rigenerativa. Senza distruggere o manipolare vite umane.