martedì 5 luglio 2011

1)     Scola, CL e certi pregiudizi di Angelo Busetto, 05-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
2)    BENEDETTO XVI: L'AMORE FRATERNO IN DIO È IL RIMEDIO PER L'UMANITÀ - Discorso introduttivo alla preghiera mariana dell'Angelus
3)    I giorni di Sodoma Di Massimo Viglione - 03/07/2011, http://www.libertaepersona.org
4)    Chi ha tradito vita e famiglia? di Stefano Fontana e Francesco Agnoli, 04-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
5)    Sono i cattolici a non credere nei principi non negoziabili di Stefano Fontana, 04-07-2011, http://labussolaquotidiana.it
6)    Non dimentichiamo le colpe del Pdl, un popolo c'è ancora di Francesco Agnoli, 04-07-2011, http://labussolaquotidiana.it
7)    Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Si può essere “cattolici democratici” senza essere più cattolici? - Da “Libero”, 3 luglio 2011
8)    La fecondità europea è in caduta libera perché non ci si sposa quasi più di Roberto Volpi, il Foglio quotidiano, 3 luglio 2011
9)    Il cervello? Allenare con cura di Marco Magrini, Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2011
10)                      LA SCIENZA - Neuroni, pensieri e sensazioni l'intelligenza umana in un pc - L'Human Brain Project del Politecnico di Losanna riprodurrà le operazioni dell'encefalo usando un super computer, potrebbe essere completato entro il 2023 e l'Ue è pronta a finanziarlo. Nell'équipe neuroscienziati e informatici, esperti di robotica e di bioetica di nove Paesi europei "Ce la faremo" - di ELENA DUSI, http://www.repubblica.it
11)                      I NEURONI DISTRUTTI DAL PARKINSON "RICREATI" DALLA PELLE IN LABORATORIO di Boncinelli Edoardo, Corriere della Sera di lunedì 4 luglio 2011
12)                      Il condominio dei padri separati - Alimenti all´ex moglie, mutuo e spese legali: i papà senza famiglia finiscono in bolletta e sono i "nuovi poveri". E aumentano i residence per accoglierli. Sono professionisti, impiegati, uomini d´arte. Nessuno di loro aveva mai avuto problemi economici, ma dopo la separazione hanno scoperto di non potersi permettere un affitto Viaggio, a Roma, in uno dei "residence", in aumento in tutto il Paese, che a prezzi sociali danno un tetto, e un po´ di sollievo, a questi "nuovi poveri". E ai loro figli - 04 luglio 2011 di MARIA NOVELLA DE LUCA, http://www.repubblica.it
13)                      «La Chiesa non è semplice filantropia» di Massimo Introvigne, 05-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
14)                      04/07/2011 - VATICANO – CINA - La Santa Sede condanna l’ordinazione episcopale di Leshan di Bernardo Cervellera - In una Dichiarazione resa nota oggi, si afferma che il Vaticano non riconosce il nuovo vescovo, che egli non può amministrare la diocesi e che è scomunicato. Voci a Leshan dicono che il nuovo vescovo abbia due figli. Il Vaticano aveva comunicato da tempo che egli non poteva essere accettato come candidato “per motivi gravi”. Avvertimento anche ai vescovi che hanno partecipato all’ordinazione. Timori che il governo voglia creare uno scisma di fatto, ordinando decine di altri vescovi senza il mandato papale.
15)                      ABORTO: SEGNO DI UN QUALCOSA DI PEGGIORE? - Un docente di etica alla Santa Croce parla della perdita di umanità - ROMA, lunedì, 4 luglio 2011 (ZENIT.org)
16)                      LA GUERRA DELLA CINA CONTRO LE DONNE E LE BAMBINE - Un avvocato USA contro la politica del figlio unico di Edward Pentin
17)                      Svezia: i bambini senza sesso in un laicissimo stato confusionale Di Enzo Pennetta - 04/07/2011 - Bioetica – da http://www.libertaepersona.org

Scola, CL e certi pregiudizi di Angelo Busetto, 05-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Guardando le reazioni della stampa alla nomina del patriarca Angelo Scola a Milano viene da domandarsi quanto il marchio di Comunione e Liberazione (CL) abbia segnato la sua figura nelle paginate che i quotidiani gli hanno dedicato.

Sembrano emergere due principali chiavi di lettura. Da una parte c’è chi afferma che la sua formazione ciellina è una sorta di peccato originale: anche quando viene cancellato dal battesimo, le conseguenze restano; ciellino sei, ciellino resterai. Dall’altra parte c’è chi afferma che il patriarca Scola, soprattutto nei nove anni trascorsi a Venezia, ha dimostrato di aver ben superato la sua origine ciellina, aprendosi a un orizzonte assai più vasto di quello suggerito dalla precedente appartenenza fino a sorprendere veneziani e non veneziani. Che pensare di queste valutazioni?

Mi sia permesso affermare - anche in forza di personale esperienza - che questi giudizi espressi da alcuni giornali appaiono frutto di pregiudizio o almeno di non adeguata conoscenza della realtà. L’esperienza proposta dal movimento di CL è un cammino che introduce al reale considerato nella totalità dei suoi fattori. È esattamente il contrario di ogni forma di spiritualismo individualistico, di settarismo e di fondamentalismo. Il carisma di CL, accolto e riconosciuto dal Magistero, aiuta chi vi aderisce a percepire e a vivere la cattolicità della Chiesa. Chi si lascia educare dal movimento viene condotto ad abbracciare passato e presente e futuro, vicini e lontani, anche se poi con sano realismo dovrà fare i conti con la naturale difficoltà a vivere in piena coerenza.

"Appartenere a CL" è un modo concreto di "appartenere alla Chiesa"; non è fare una cosa a parte, staccata dal resto. Si costruisce con modalità specifiche - come sempre è accaduto nella storia - la Chiesa di tutti. Con la scelta di Scola ad arcivescovo di Milano, possiamo rilevare che un carisma - portato a maturità - ritorna nel luogo in cui è spuntato e nel quale le sue radici sono così profonde da espanderlo in tutto il mondo. Una grande diocesi si avvale, anche a livello di guida, di un dono di Grazia che lo Spirito Santo ha fatto nascere proprio in quel luogo. Come diceva Papa Giovanni Paolo II, un carisma rettamente vissuto è un bene per tutta la Chiesa, è una grazia che va a riverberarsi in tutto il mondo. Angelo Scola, che la natura ha gratificato di grandi doti personali, ha avuto la ventura di incontrare validi maestri di vita e di fede e un educatore eccezionale come don Giussani.

L’educazione ricevuta in CL ne ha raccolto ed esaltato la struttura umana già così ricca. Anche lui, come altri aderenti al movimento, avrà provato sulla propria pelle la pesantezza di giudizi mondani e schematici, ma allo stesso tempo avrà sentito riecheggiare in cuore la parola di Pietro a Gesù: “Signore, da chi andremo?”. Gli apostoli, avendo incontrato Cristo non attraverso elucubrazioni razionali ma in un’esperienza umanamente vera e bella, non hanno potuto andare da nessun’altra parte se non quella intravvista e sperimentata stando con Lui. Quanto a noi, non ci resta che pregare, domandando al Signore che il patriarca Scola prosegua il suo personale cammino di sequela a Cristo e di obbedienza al Suo successore, per il bene della Diocesi di Milano e di tutta Chiesa e per una testimonianza credibile al mondo.


BENEDETTO XVI: L'AMORE FRATERNO IN DIO È IL RIMEDIO PER L'UMANITÀ - Discorso introduttivo alla preghiera mariana dell'Angelus

ROMA, domenica, 3 luglio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI nel rivolgersi ai fedeli e pellegrini giunti in piazza San Pietro per la recita dell'Angelus.

* * *
Cari fratelli e sorelle!
Oggi, nel Vangelo, il Signore Gesù ci ripete quelle parole che conosciamo così bene, ma che sempre ci commuovono: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero" (Mt 11,28-30). Quando Gesù percorreva le strade della Galilea annunciando il Regno di Dio e guarendo molti malati, sentiva compassione delle folle, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore" (cfr Mt 9,35-36). Quello sguardo di Gesù sembra estendersi fino ad oggi, fino al nostro mondo. Anche oggi si posa su tanta gente oppressa da condizioni di vita difficili, ma anche priva di validi punti di riferimento per trovare un senso e una meta all’esistenza. Moltitudini sfinite si trovano nei Paesi più poveri, provate dall’indigenza; e anche nei Paesi più ricchi sono tanti gli uomini e le donne insoddisfatti, addirittura malati di depressione. Pensiamo poi ai numerosi sfollati e rifugiati, a quanti emigrano mettendo a rischio la propria vita. Lo sguardo di Cristo si posa su tutta questa gente, anzi, su ciascuno di questi figli del Padre che è nei cieli, e ripete: "Venite a me, voi tutti…".
Gesù promette di dare a tutti "ristoro", ma pone una condizione: "Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore". Che cos’è questo "giogo", che invece di pesare alleggerisce, e invece di schiacciare solleva? Il "giogo" di Cristo è la legge dell’amore, è il suo comandamento, che ha lasciato ai suoi discepoli (cfr Gv 13,34; 15,12). Il vero rimedio alle ferite dell’umanità, sia quelle materiali, come la fame e le ingiustizie, sia quelle psicologiche e morali causate da un falso benessere, è una regola di vita basata sull’amore fraterno, che ha la sua sorgente nell’amore di Dio. Per questo bisogna abbandonare la via dell’arroganza, della violenza utilizzata per procurarsi posizioni di sempre maggiore potere, per assicurarsi il successo ad ogni costo. Anche verso l’ambiente bisogna rinunciare allo stile aggressivo che ha dominato negli ultimi secoli e adottare una ragionevole "mitezza". Ma soprattutto nei rapporti umani, interpersonali, sociali, la regola del rispetto e della non violenza, cioè la forza della verità contro ogni sopruso, è quella che può assicurare un futuro degno dell’uomo.
Cari amici, ieri abbiamo celebrato una particolare memoria liturgica di Maria Santissima lodando Dio per il suo Cuore Immacolato. Ci aiuti la Vergine a "imparare" da Gesù la vera umiltà, a prendere con decisione il suo giogo leggero, per sperimentare la pace interiore e diventare a nostra volta capaci di consolare altri fratelli e sorelle che percorrono con fatica il cammino della vita.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Cari fratelli e sorelle, mi unisco alla gioia della Chiesa in Romania, in particolare della Comunità di Satu Mare, dove oggi viene proclamato Beato János Scheffler, che fu Vescovo di quella Diocesi e morì martire nel 1952. La sua testimonianza sostenga sempre le fede di quanti lo ricordano con affetto e delle nuove generazioni.
Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli venuti da Pistoia e ai ragazzi di Latisana, Arcidiocesi di Udine. A tutti auguro una buona domenica e un buon mese di luglio. Nei prossimi giorni lascerò il Vaticano per recarmi a Castel Gandolfo. Da là, a Dio piacendo, guiderò l’Angelus domenica prossima. Grazie! Buona domenica e buona settimana a tutti voi.
[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]
Discorso introduttivo alla preghiera mariana dell'Angelus
ROMA, domenica, 3 luglio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI nel rivolgersi ai fedeli e pellegrini giunti in piazza San Pietro per la recita dell'Angelus.
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Cari fratelli e sorelle!
Oggi, nel Vangelo, il Signore Gesù ci ripete quelle parole che conosciamo così bene, ma che sempre ci commuovono: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero" (Mt 11,28-30). Quando Gesù percorreva le strade della Galilea annunciando il Regno di Dio e guarendo molti malati, sentiva compassione delle folle, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore" (cfr Mt 9,35-36). Quello sguardo di Gesù sembra estendersi fino ad oggi, fino al nostro mondo. Anche oggi si posa su tanta gente oppressa da condizioni di vita difficili, ma anche priva di validi punti di riferimento per trovare un senso e una meta all’esistenza. Moltitudini sfinite si trovano nei Paesi più poveri, provate dall’indigenza; e anche nei Paesi più ricchi sono tanti gli uomini e le donne insoddisfatti, addirittura malati di depressione. Pensiamo poi ai numerosi sfollati e rifugiati, a quanti emigrano mettendo a rischio la propria vita. Lo sguardo di Cristo si posa su tutta questa gente, anzi, su ciascuno di questi figli del Padre che è nei cieli, e ripete: "Venite a me, voi tutti…".
Gesù promette di dare a tutti "ristoro", ma pone una condizione: "Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore". Che cos’è questo "giogo", che invece di pesare alleggerisce, e invece di schiacciare solleva? Il "giogo" di Cristo è la legge dell’amore, è il suo comandamento, che ha lasciato ai suoi discepoli (cfr Gv 13,34; 15,12). Il vero rimedio alle ferite dell’umanità, sia quelle materiali, come la fame e le ingiustizie, sia quelle psicologiche e morali causate da un falso benessere, è una regola di vita basata sull’amore fraterno, che ha la sua sorgente nell’amore di Dio. Per questo bisogna abbandonare la via dell’arroganza, della violenza utilizzata per procurarsi posizioni di sempre maggiore potere, per assicurarsi il successo ad ogni costo. Anche verso l’ambiente bisogna rinunciare allo stile aggressivo che ha dominato negli ultimi secoli e adottare una ragionevole "mitezza". Ma soprattutto nei rapporti umani, interpersonali, sociali, la regola del rispetto e della non violenza, cioè la forza della verità contro ogni sopruso, è quella che può assicurare un futuro degno dell’uomo.
Cari amici, ieri abbiamo celebrato una particolare memoria liturgica di Maria Santissima lodando Dio per il suo Cuore Immacolato. Ci aiuti la Vergine a "imparare" da Gesù la vera umiltà, a prendere con decisione il suo giogo leggero, per sperimentare la pace interiore e diventare a nostra volta capaci di consolare altri fratelli e sorelle che percorrono con fatica il cammino della vita.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Cari fratelli e sorelle, mi unisco alla gioia della Chiesa in Romania, in particolare della Comunità di Satu Mare, dove oggi viene proclamato Beato János Scheffler, che fu Vescovo di quella Diocesi e morì martire nel 1952. La sua testimonianza sostenga sempre le fede di quanti lo ricordano con affetto e delle nuove generazioni.
Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli venuti da Pistoia e ai ragazzi di Latisana, Arcidiocesi di Udine. A tutti auguro una buona domenica e un buon mese di luglio. Nei prossimi giorni lascerò il Vaticano per recarmi a Castel Gandolfo. Da là, a Dio piacendo, guiderò l’Angelus domenica prossima. Grazie! Buona domenica e buona settimana a tutti voi.

[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]


I giorni di Sodoma Di Massimo Viglione - 03/07/2011, http://www.libertaepersona.org

Uno dei migliori sistemi per seguire le tracce della dirompente evoluzione del processo di distruzione di ciò che rimane della nostra civiltà cristiana e – nella misura del possibile – dello stesso ordine del creato così come voluto da Dio, è percepire i messaggi che arrivano da certe pubblicità, specie quelle a carattere meno commerciale e più ideologico (tipo “pubblicità&progresso”, insomma). Se ne potrebbero ricordare a decine di esempi, da quelle – tanto per citarne alcune – degli anni passati della premiata ditta Benetton/Oliviero Toscani a quella di Ikea (già recentemente commentata), aperta a tutti i “tipi di famiglia” (con due giovinotti mano nella mano). Ebbene, a poco tempo da questo capolavoro della multinazionale svedese (che però, pur nella sua follia sovversiva, potrebbe essere in linea di principio ipocritamente ricondotto a logiche commerciali), un’altra pubblicità omosessualista – stavolta con cartelloni di enormi dimensioni, oltre che sui mezzi pubblici e un po’ ovunque – sta invadendo Roma, dopo il “successo” del “gay-pride”, ed è quella per il decennale del “gay village”, usuale estivo ritrovo per omosessuali finanziato puntualmente dal Comune di Roma, sia quando c’era il “ma anchista” Veltroni, e sia ora che c’è il cattolico neo simpatizzante pro-gay sindaco Alemanno (già convinto sponsorizzatore del recente “gay-pride”). E questa volta tale pubblicità non ha nulla di commerciale, ovviamente, ha solo significato ideologico. Quale significato? Perché vale la pena di parlarne in un articolo? Cerco subito di spiegarlo in poche parole, per quanto possibile; ritengo infatti che quella che può sembrare di primo sguardo una battuta polemica in stile “gay” sia invece un vero e proprio “cartello programmatico” di un mondo infernale che sta avanzando. Vi sono varie versioni di questa pubblicità, ma il tema comune è questo: una coppia, con il naso da Pinocchio (che mente sapendo di mentire quindi) che dice: “Noi? Scherzi?”, il tutto sovrastato dalla scritta “Gay Village”. A nessuno può sfuggire il significato del messaggio: anche chi fa finta ipocritamente di scandalizzarsi o per lo meno di non avere alcun interesse a frequentare il “Gay Village” (e quindi gli omosessuali tout court), in realtà nel profondo lo vorrebbe eccome. È insomma solo questione di ipocrisia: siamo tutti pinocchi che prima o poi getteremo la maschera e apertamente manifesteremo l’omosessualità che vi è in noi. In ognuno di noi. In tutti noi che riteniamo l’omosessualismo un peccato aberrante. Ma in realtà non capiamo che siamo solo ipocriti o condizionati da una cultura retriva, e che prima o poi, grazie ai movimenti omosessualisti gay e ai politici complici (e qui la lista sarebbe lunga… ogni giorno più lunga…), getteremo il nostro naso da Pinocchio e manifesteremo la nostra vera natura. Come detto, il messaggio è molto più inquietante e pericoloso di quanto forse possa apparire di primo acchitto agli ingenui. Qui non si sta solo pubblicizzando un luogo di ritrovo, nemmeno una ideologia in sé. Qui si sta affermando che un giorno tutti ci accorgeremo che anche noi siamo come loro e smetteremo di essere bugiardi con noi stessi e con gli altri. Insomma, è un invito a prepararci, a tagliare i tempi della nostra ipocrisia e ad affrettare quelli della definitiva liberazione. Magari iniziando ad andare al “Gay Village”… L’aspetto forse non facile da cogliere in tutto questo è quello più recondito. È l’“avviso ai viaggiatori”: “un giorno anche voi sarete come noi”. È il “smettete di mentire”. È il “siate sinceri con voi stessi”. È il “preparatevi”. È il totalitarismo di un’ideologia che non vuole solo rivendicare presunti “diritti” inesistenti, che non vuole solo ottenere ciò che mai in nessun tempo e in nessun luogo è esistito (un conto infatti è l’omosessualità, più o meno diffusa ovunque e in tutti i tempi, un conto l’omosessualismo, cioè l’avanzamento della richiesta di diritti civili e sociali speciali proprio in quanto e perché omosessuali: questo sta accadendo solo nei nostri folli giorni), ma che vuole imporre alla società intera il proprio “stile di vita” come il migliore, e chissà, forse, un giorno, come l’unico… Stiamo esagerando? È la solita replica degli impauriti remissivi, che negano anche la realtà dinanzi ai loro occhi pur di evitare di affrontarla per quello che essa è. Se avessero detto – non dico a un uomo medievale, non dico a un uomo del 1500, non dico a un uomo del 1800 – ai nostri nonni che un giorno avremmo avuto sfilate di “Orgoglio omosessualista” in tutto in mondo, compreso a Roma, dove si sarebbe profanato prima il Colosseo e poi occupato il Circo Massimo, e che questo sarebbe avvenuto con il consenso dei politici, compresi quelli di “destra”, compresi quelli che si definiscono “cattolici”, e nel silenzio assoluto delle gerarchie ecclesiali, e magari con il consenso di qualche “prete di frontiera”… pensate forse che ci avrebbero creduto? O avrebbero detto: “State esagerando”… “ciò non avverrà mai”… “Gli omosessuali vogliono solo fare i fatti loro, e nient’altro, come sempre”… Questo certamente avrebbero risposto i nostri nonni, ed era giusto pensare così a quei tempi (cioè ancora fino agli anni Sessanta…). Ma oggi, come si fa a continuare a chiudere gli occhi senza colpa e complicità? Come si fa a pensare che le lobby omosessualiste vogliano solo avere più “diritti”? Ma quali “diritti”, poi? Volevano il “matrimonio”? Lo stanno ottenendo quasi ovunque. Volevano l’adozione dei bambini? La stanno ottenendo quasi ovunque. Pensate che si fermeranno qui? Illusi. Verranno ancora altri “Gay Pride”, altre richieste, senza sosta. E più otterranno, più vedranno politici disponibili e complici, più vedranno le gerarchie ecclesiastiche silenti e prone, e noi laici esterefatti ma innocui, anzi, col tempo, “abituati” a ciò che solo 50 anni fa era impensabile e inimmaginabile, più avanzeranno richieste. Lo ripeto per i sordi e i muti: più avanzeranno richieste. Quali richieste? Chissà, provo a indovinare… Magari un giorno, scendendo e precipitando in questa china, qualche lobby omosessualista potrebbe avanzare un’accusa verso chi omosessuale non è: quella di “razzismo sessuale”… E tutti sappiamo molto bene che in questa nostra società laicista e tollerante si può essere tutto, fuorché “razzista”. Ci avete mai pensato a questa eventualità e alle sue conseguenze? Sono esagerato? Magari lo fossi… Preghiamo Dio che sia così. Ma, personalmente, non mi meraviglierei di certo se si arrivasse a questo. Non posso più permettermi il lusso di far finta di vivere nel mondo di mio nonno. Concludo con la più amara delle riflessioni. Se il problema fossero solo gli omosessualisti e le loro folli pretese, sarebbe (ed è) un’immane tragedia, il segno della fine melmosa della nostra civiltà. Ma c’è di peggio, molto peggio. Ci sono i politici conniventi e sponsorizzatori, non solo di sinistra, ma anzitutto di destra (ministre d’assalto, sindaci “cattolici”, laicisti di ogni genere). Ci sono gli scienziati alla Umberto Veronesi (ogni giorno sui giornali e in tv) che ci ammoniscono che quello omosessuale è l’unico amore puro. Ci sono i cattivi maestri della tolleranza a ogni costo, sparsi ovunque nelle scuole, nelle università, nelle televisioni, sui giornali, nelle famiglie, ovunque. Ma soprattutto c’è il silenzio devastante di chi dovrebbe urlare. Di chi dovrebbe ricordare a tutti ogni giorno cosa è avvenuto a Sodoma e Gomorra. C’è il silenzio di chi dovrebbe essere pronto a dare la vita ogni giorno per difendere l’ordine del creato, così voluto da quel Dio a cui ha donato la propria vita. C’è il silenzio di chi ha la somma responsabilità su questa terra, che è quella di assicurare la vita eterna a ogni anima, di servire e difendere la Verità, di proteggere l’innocenza e la purezza, di preservare dal peccato non solo gli adulti, ma anzitutto i bambini. C’è il silenzio di chi si preoccupa più di dare moschee ai musulmani, di difendere no global e criminali e di denunciare la svalutazione dei bot che di urlare a squarciagola, fino alla morte se necessario, “NON LICET!”. C’è il silenzio di chi non perde un’occasione per sdegnarsi per il Bunga Bunga di uno e poi tace dinanzi all’omosessualizzazione della società intera. Dinanzi ai bambini affidati a coppie dello stesso sesso. C’è il silenzio di quelli che dovrebbero essere i nostri padri, preoccupati di molte altre cose. E allora, tocca a noi parlare. Perché «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt., 18,6). E non possiamo più essere complici dei complici degli scandalizzatori.


Chi ha tradito vita e famiglia? di Stefano Fontana e Francesco Agnoli, 04-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Il 30 giugno il quotidiano Il Foglio ha pubblicato un articolo in cui il nostro collaboratore Francesco Agnoli analizzava il "tradimento" del Pdl nei confronti di quell'elettorato cattolico che vedeva nel maggiore partito di centrodestra un punto di riferimento per la difesa e la promozione dei princìpi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione. Da questa analisi è nato un dibattito che ha coinvolto altre firme de La Bussola Quotidiana, e che qui cominciamo a ospitare: Stefano Fontana, pur condividendo molte critiche al Pdl, sostiene che il vero problema sia nel mondo cattolici, dove né laici né ecclesiastici - a parte poche eccezioni - dimostrano di credere veramente che i princìpi non negoziabili siano il fondamento di una politica per il bene comune. Risponde Agnoli che invita a non sottovalutare quel popolo che aveva portato alla vittoria nel referendum sulla Legge 40 e al Family Day, ma che è stato tradito sia dal Pdl sia da tanti vescovi.
Infine, alleghiamo un'analisi di Marco Invernizzi sul discorso di insediamento di Angelino Alfano a segretario del Pdl, che ha offerto alcune indicazioni positive, da non far cadere.

Sono i cattolici a non credere nei principi non negoziabili di Stefano Fontana, 04-07-2011, http://labussolaquotidiana.it

Su Il Foglio del 30 giugno, Francesco Agnoli affronta il tema dei rapporti del PdL con i cattolici e i principi non negoziabili. In sintesi la tesi di Agnoli è che il PdL è andato al governo anche con i voti dei cattolici promettendo la difesa dei principi non negoziabili, ma poi li ha sistematicamente snobbati e questo può essere un boomerang. Perché li ha snobbati? Per l’appoggio al Gaypride, la legalizzazione della pillola EllaOne, gli appoggi di Mara Carfagna al movimento Gay, il rifiuto di creare un ministero della famiglia dopo il Family Day, gli ostacoli posti a Roberto Formigoni all’indomani delle elezioni e così via. Perché può essere un boomerang? Perché priva il centrodesta di una vera e propria cultura di appartenenza.

Agnoli dice cose giuste. Tranne una. Egli presuppone che i cattolici siano interessati ai principi non negoziabili e che tre anni fa abbiano votato PdL per difendere i principi non negoziabili. Se lo scordi. Le cose non stanno così. Giusto puntare l’osservazione sul PdL, ma non possiamo non fissare lo sguardo anche sul mondo cattolico.

Bisogna (tristemente ma realisticamente) riconoscere che l’insistente richiamo di Benedetto XVI ai principi non negoziabili non è (ancora) filtrato alla base del mondo cattolico. E, per dirla con maggiore chiarezza, non è ancora filtrato nella testa di molti vescovi. Non se ne è pienamente compreso il significato strategico in ordine all’orientamento dei cattolici in politica, lo si intende ancora come un doveroso richiamo ma di uguale valore ad altri richiami su altri temi, come l’ambiente o l’energia. Si è ancora molto lontani dal comprendere che da quei “principi” dipende il legame pubblico del cristianesimo con il mondo, la difesa del creato e della legge naturale. La controffensiva contro l’esclusione del cristianesimo dal mondo passa per di lì.


Ci vuole tempo perché le idee filtrino, e ci vuole disponibilità a farle filtrare. Molti dicono “sì, sì” ma poi non fanno la volontà del Papa. L’appello ai principi non negoziabili non è semplicemente una tattica, è espressione di una teologia, di una visione dei rapporti tra Chiesa e mondo, richiede la riabilitazione della metafisica e della legge naturale, è diretta espressione della teologia del Dio-Logos che non ha fatto il mondo a caso, richiede la riabilitazione del concetto di verità. Ora, dove troviamo, nel mondo cattolico, tutto questo? In alcune isole, certo, ma non in modo diffuso. Fate un giro in ciò che scrivono i settimanali diocesani. Esaminate i programmi degli insegnamenti negli Istituti teologici. Guardate alla formazione di associazioni importanti come l’Azione cattolica. Dove trovate una sistematica adesione a questo orientamento? Nei Seminari forse? Nelle scuole di formazione sociale e politica? In qualche movimento, e non in tutti.


Uno dei motivi di fondo che impediscono alla prospettiva del Papa sui principi non negoziabili di venire accolta tra i cattolici è il seguente: essa presuppone che i principi della legge naturale abbiano bisogno del cristianesimo sia per essere conosciuti compiutamente sia per essere mantenuti ed applicati. E’ un aspetto della dipendenza, pure nella sua legittima autonomia, della natura dalla sopranatura. Ora, nel mondo cattolico in genere non si crede più che le cose stiano così. Dopo il Concilio, ma non per il Concilio, non si crede più che le cose stiano così. Eppure è davanti agli occhi di tutti che stanno così.

Prendiamo per esempio il matrimonio: scomparso il matrimonio religioso scompare anche il matrimonio civile. Se le cose potessero reggere sul piano naturale anche senza il soprannaturale, ad una diminuzione dei matrimoni religiosi dovrebbe corrispondere un aumento di quelli civili ed invece diminuiscono anche quelli. Senza il riferimento religioso il matrimonio, e con esso la legge naturale del coniugio, sparisce in quanto tale.

Tornando ad Agnoli, egli ha certamente ragione, ma si illude circa il mondo cattolico. Non voglio con ciò dire che non esistano pezzi significativi di modo cattolico che hanno compreso la  posta in gioco, né negare che questi settori siano anche in aumento: ma i grandi numeri, le correnti ancora dominanti e i centri di potere (anche il mondo cattolico ha i suoi centri di potere) sono su un’altra strada. Lo ha confermato drammaticamente l’atteggiamento di fronte ai recenti referendum.


Nel PdL si può addirittura dire che questi settori cattolici a favore dei principi non negoziabili siano stati perfino sovra rappresentati. L’attuale sistema elettorale, che molti contestano e che per certi versi è contestabile, di fatto ha però permesso la cooptazione partitica di numerosi deputati cattolici o di sensibilità aperta al cattolicesimo dei principi non negoziabili. Il che ha permesso, per certi versi, di “tenere” temporaneamente.

La zapaterizzazione dell’Italia non c’è (ancora) stata. Non ha permesso certo la completa tenuta su fronti molto sensibili come quelli che Agnoli segnala. Ma il motivo di fondo di questi cedimenti è meno della variegata composizione del PdL che nella scarsa convinzione del mondo cattolico.


Non dimentichiamo le colpe del Pdl, un popolo c'è ancora di Francesco Agnoli, 04-07-2011, http://labussolaquotidiana.it

Rispondere alle obiezioni di Stefano Fontana alla mia analisi pubblicata sul Foglio, non mi è difficile, perché mi trovo sostanzialmente d’accordo con quanto egli scrive, con la solita acutezza e schiettezza. Con qualche distinguo. Nel mio articolo, infatti, mi sono limitato ad esaminare solo una delle due parti in causa, il Pdl, e la sua crisi, senza parlare del mondo cattolico, e delle sue pecche, semplicemente per mancanza di spazio.

Ho scritto che, a mio modo di vedere, questo grande partito di centro destra non può che avere un riferimento culturale: la legge naturale, la dottrina della Chiesa. Altrimenti il centro destra non esiste, o è solamente un pensiero riguardo all’economia, al mercato, e nulla più; altrimenti si mette a ruota della sinistra, inarrestabile produttrice di ideologie e di utopie in prossima scadenza, e cerca di vivacchiare alla Gianfranco Fini: tentando di sdoganarsi ogni giorno di fronte ai poteri forti, sino a sposare le stesse posizioni della sinistra. Guadagnando così grandi spazi sui giornali ma perdendo i voti della gente. Nell’articolo citato sostenevo anche che il Pdl ha tradito l’elettorato cattolico: nominando un portavoce come Daniele Capezzone, per anni segretario radicale; rinunciando a battaglie ideali sulla Ru 486 e su ellaOne; emarginando personalità del mondo cattolico come Roberto Formigoni, che avrebbe aspirato, giustamente a dare un contributo al governo ecc, ecc…

Proprio di fonte a questa mia affermazione Stefano Fontana ha ritenuto giusto rilanciare: ma dove sono questi cattolici che votano in base ai principi non negoziabili? “Bisogna (tristemente ma realisticamente) riconoscere, ha aggiunto,  che l’insistente richiamo di Benedetto XVI ai principi non negoziabili non è (ancora) filtrato alla base del mondo cattolico. E, per dirla con maggiore chiarezza, non è ancora filtrato nella testa di molti vescovi”.

Queste affermazioni non contraddicono affatto le mie, bensì le completano. Per questo concordo, sebbene non del tutto. Perché, come scrivevo appunto nel citato articolo, il mondo cattolico attento ai principi non negoziabili che ha votato il centro destra alle elezioni del 2008 non sarà stato, quanto al numero, di ampiezza immensa, come giustamente nota Fontana, ma c’era, e di ottima qualità.

Se vogliamo era un embrione, una vita nascente ancora non del tutto completa, ma promettente. Una realtà, come scrissi nell’articolo sul Foglio, “che si sarebbe potuto espandere se solo si fosse voluto curarla, annaffiarla, sostenerla”. Questa breve proposizione può chiarire il mio pensiero: un Pdl intelligente avrebbe dovuto far leva sulle forze pro vita esistenti, lanciandole, sostenendole, anche finanziandole, persino appoggiandole nel confronto-scontro interno al mondo cattolico. Non certo illudendole, tradendole ed abbandonandole, come è avvenuto. Penso che anche su questo si possa essere tutti d’accordo.

L’unica differenza tra la mia ottica e quella di Fontana sta nella valutazione di quell’ “embrione” di mondo cattolico sensibile ai principi non negoziabili, che io forse sopravvaluto, ma che Fontana, a mio parere sottovaluta.  Mi spiego meglio: prima del 2008, cioè delle elezioni vinte dal centro destra, il mondo cattolico aveva dato alcuni forti segnali di vitalità, del tutto nuovi rispetto al passato. Il primo fu il referendum del 2005: ricordo di averlo vissuto, per scelta più di Giuliano Ferrara e di Dino Boffo, che mia, in prima linea, insieme a tantissimi medici, giuristi, giornalisti che hanno percorso l’Italia in lungo ed in largo, proponendo una certa visione della vita e della sua sacralità, in forte antitesi al pensiero nichilista della sinistra. Avevamo contro i giornali, le Tv, tutti i partiti di centro sinistra, alcuni esponenti importanti del centro destra, da Fini a Bocchino sino al ministro Prestigiacomo… Eppure possiamo ben dire che nelle città e nei paesi il monopolio degli incontri pubblici era nelle mani del fronte pro life. Ricordo ancora, per fare un solo esempio, il teatro di Sassuolo colmo, con 1000 persone, e il proprietario che ci diceva di non averlo mai visto così pieno da tanti anni… Quanta gente ho incontrato in quei giorni, carica, fiera, orgogliosa di difendere certi valori… Quanti giovani che parlavano di rispetto della vita, di famiglia, di amore coniugale, con convinzione! E quanti libri, opuscoli, volantini, sono spuntati improvvisamente da mille tipografie, da mille gruppi  e gruppuscoli sorti come funghi, quasi dal nulla. Non per caso si vinse quel referendum, Davide contro Golia, ed alla grande!

Poi c’è stato il Family Day del 2007: più di un milione di persone sono scese in piazza, contro i Dico del governo Prodi. Un milione di cattolici contro le scelte di un premier “cattolico”, almeno di nome. Una cosa mai vista! E quei manifestanti, ingiuriati sui grandi giornali come “familisti”, “fanatici”, “intolleranti”, erano orgogliosi di proclamare apertamente la bellezza della famiglia naturale, la responsabilità di fonte a Dio e al coniuge come opzione per la vita.

Possiamo veramente dimenticare tutto questo? Possiamo scordare che il centro destra fruì di questa effervescenza, di questa grande esperienza di vitalità, anche in termini di voti?

Non penso. Allora dobbiamo anche chiederci chi ha ucciso quell’entusiasmo, quegli instancabili convegnisti ed oratori del 2005, quella folla, festante, allegra, decisa, del Family day? Non posso che ribadire il mio pensiero: li hanno uccisi certamente quei politici che non li hanno saputi né voluti interpretare. Quelli che, una volta al governo, non hanno fatto nulla di concreto per la famiglia, e che sono addirittura giunti, vedi Rotondi e Brunetta, a riproporre i Dico contro cui un milione di persone aveva da poco manifestato.

Lo hanno ucciso, quell’entusiasmo, e qui non posso che concordare con Fontana, coloro che più di tutti avevano il dovere di curarlo, annaffiarlo, sostenerlo: quei cattolici, ecclesiastici o laici che fossero, che non hanno saputo o non hanno voluto valorizzare e fare crescere, in consapevolezza, organizzazione, maturità, quella vitalità nascente, quell’ancora confuso, ma ampio, sentimento di ribellione contro il nichilismo imperante.

Cosa ha fatto il Pdl? Nulla. I vescovi italiani, con pochissime eccezioni? Nulla!

E’ finita che il bambino è stato strozzato nella culla. Gli hanno tolto l’aria, l’entusiasmo, l’ingenuità, la sincerità, la meraviglia: con le manovre di curia e di palazzo, il desiderio del quieto vivere, il conformismo, il ponzio-pilatismo, le strategie politiche adottate da chi dovrebbe pensare soprattutto alle anime, alla loro salvezza eterna, e la mancanza di strategie politiche da parte di chi la politica la fa tutti i giorni…

Si era radunato un esercito, in modo quasi miracoloso, certo inaspettato, ma nessuno ha voluto mettersi alla testa; i più, soprattutto nel mondo ecclesiastico, non hanno voluto tenere alta la bandiera; chi invece l'ha presa in mano l'ha subito mollata o se ne è dimostrato indegno.

Stupirsi se poi c’è stato il naufragio, la delusione, lo sconforto? Se quell’esercito che aspettava di essere istruito e guidato, per arruolare nuove forze, si è sciolto? Se nel mondo cattolico, i credenti “adulti”, gli amici di Pisapia, hanno ripreso vigore e sicumera? 

Rimane però, a mio avviso, una certezza: se quelle idee sui “principi non negoziabili” sono state capaci di smuovere così tanto la “morta gora” della politica e di creare entusiasmi in tanti cattolici abituati ormai alla sonnolenza spirituale e culturale delle loro parrocchie, allora possono tornare a farlo. Se c’è chi prende in mano la bandiera…


Da Alfano segnali incoraggianti di Marco Invernizzi, 04-07-2011, http://labussolaquotidiana.it

Esaminato dal punto di vista dei principi non negoziabili, il discorso d'insediamento del neo-segretario Angelino Alfano pronunciato venerdì scorso davanti al Consiglio nazionale del Pdl ha promesso molto per il futuro del partito. Bisognerà poi vedere se si riuscirà a passare dalle parole ai fatti.

Le prime parole sono state incoraggianti. Dopo avere ricordato le proprie origini politiche, nel 1994, come candidato alle elezioni provinciali della sua Agrigento nella neonata Forza Italia, Alfano ha voluto subito mettere al centro della cultura politica del Pdl il diritto alla vita, la centralità della famiglia e la libertà di educazione.


Non sono sembrate frasi di circostanza, come spesso accade quando uomini politici vogliono dare un di più di carattere culturale alla propria iniziativa politica, in questo caso al partito che si accingono a guidare.


Importante, per esempio, il "modo" con cui ha scelto di presentare l'importanza politica del diritto alla vita. Quest'ultimo, ha detto Alfano, non può dipendere dalle decisioni di un Parlamento perché non sono le maggioranze politiche che danno o tolgono la vita. Parole importanti soprattutto se pronunciate da chi, come Alfano, avendo militato nel movimento giovanile della Dc, potrà farsi ricordare la confusione imperante nella dirigenza di quel partito fra volere della maggioranza e diritti del concepito, quando negli anni Settanta era in corso la grave e grande battaglia attorno alla legge 194 che legalizzava l'aborto.


Non solo, ma Alfano ha voluto anche ricordare come il suo partito riconosca la Costituzione del 1948 ma, a differenza della sinistra, non ritenga che i valori di riferimento per una identità nazionale si trovino in essa. La Costituzione, ha detto il segretario del Pdl, rappresenta il regolamento che determina le regole del gioco, ma i valori la precedono. Si tratta di una precisazione importante perché si oppone decisamente all'ideologia del patriottismo costituzionale che pretende di costruire l'identità di un popolo facendo calare dall'alto, attraverso la scuola, le istituzioni, i media e la cultura, un progetto di società che prescinde dalla realtà e dalle radici.

Insomma, Alfano ha ricordato che non bisogna "fare gli italiani" ma riconoscere le radici dell'identità italiana, proteggerla e valorizzarla. In questo senso credo si possano leggere le sue parole sulla preminenza della società rispetto allo Stato, ricordate con la fortunata espressione "più società e meno Stato".


Allo Stato Alfano ha dedicato molti passaggi del suo discorso, riprendendo alcune delle idee-forza che più caratterizzarono la discesa in campo di Silvio Berlusconi e poi per tante ragioni mai realizzate. Lo Stato non deve perseguitare fiscalmente gli italiani, conditio sine qua non affinché poi si possa pretendere, e giustamente ha ricordato Alfano, che i cittadini non evadano le imposte. Ma lo Stato dovrebbe anche permettere ai genitori di scegliere liberamente la scuola per i loro figli senza aggravi economici nel caso volessero scegliere una scuola diversa da quella statale. Questo punto, il terzo dei principi non negoziabili, è stato rivendicato con forza così come il secondo, quello che stabilisce la famiglia come cellula fondamentale della società. La famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, ha detto con forza Alfano, e faceva una certa impressione vedere in prima fila il ministro delle pari opportunità, Mara Carfagna, applaudire con convinzione le parole del suo leader politico. Speriamo che quanto avvenuto venerdì al Consiglio nazionale del Pdl sia il preludio affinché venga messa da parte definitivamente la proposta di una legge contro l'omofobia che in realtà in tutto l'Occidente è stata la chiave per introdurre il riconoscimento del matrimonio gay.


Oltre ai tre fondamentali principi della dottrina sociale della Chiesa, Alfano ha ricordato altre cose importanti ed eticamente sensibili.


Intanto ha ricordato con forza l'appartenenza all'Occidente del partito che ha cominciato a dirigere, intendendo con Occidente una cultura e una civiltà, non una mera espressione geografica. Occidente che ha un grande problema, ha ricordato Alfano verso la fine del suo intervento, quello demografico: un popolo dove non ci si sposa e non si fanno figli è destinato alla decadenza e per questo Alfano ha promesso di rilanciare un grande piano per la casa, affinché tutti i giovani che lo vogliono possano accedere ai finanziamenti necessari per avere la prima casa e potersi sposare. Un punto importante, spesso sottovalutato se non da pochi economisti, come il presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi, che ricorda continuamente appunto la centralità politica del problema demografico in Italia e in generale nel mondo occidentale.


Il richiamo all'Occidente è servito ad Alfano anche per ricordare come il Pdl appartenga al Partito popolare europeo e non possa essere marginalizzato e isolato come una sorta di anomalia passeggera, così come vorrebbero gli avversari politici di Berlusconi in Italia, che da anni cercano di sostenere la presunta “impresentabilità” all’estero del Pdl e del suo leader.


Buono l'inizio, dunque. Ma i problemi sono tanti, a cominciare da un partito complicato, dove sono presenti personalità con storie politiche molto diverse, finora tenute insieme dal carisma di Berlusconi, ma che potrebbero scontrarsi, culturalmente ma soprattutto per contare di più dentro un partito che sta cominciando ad assumere una fisionomia normale, cioè politica.

Gli applausi che hanno accompagnato i passaggi del discorso di Alfano quando ha evocato i principi non negoziabili sono apparsi autentici, anche e forse proprio perché non erano forzate ovazioni da stadio. Ma come si sa un partito, soprattutto il primo partito d'Italia, che governa da tre anni e fra due ritornerà a chiedere di essere scelto dall'elettorato, deve tenere conto dell'opinione pubblica, della “pancia” del Paese. E qui si rivela l'intreccio tra i valori e la possibilità concreta di tradurli in proposte di legge o comunque di difenderli da altre e avverse proposte di legge. Un intreccio difficile e complesso per verificare quanto bene comune sia storicamente raggiungibile in un determinato contesto storico.

Ma conforta sapere che il segretario del Pdl creda che il suo partito non avrebbe senso se non si ancorasse a questi valori e all’idea di bene comune che nasce dalla dottrina sociale della Chiesa e si esprime anzitutto nei principi non negoziabili. Un buon inizio, appunto. Speriamo che il seguito non lo smentisce.


Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Si può essere “cattolici democratici” senza essere più cattolici? - Da “Libero”, 3 luglio 2011

Vito Mancuso è un tipo minuto dall’aria dimessa e stropicciata. E’ uno dei figli spirituali del cardinal Martini e oggi è approdato a scrivere per Repubblica.

Commentando la nomina del cardinale Scola a Milano, ha spiegato che “la questione è politica” (curioso modo di considerare la Chiesa): siccome la Curia di Milano è stata per trent’anni nell’orbita di Martini e della sua corrente, secondo Mancuso tale doveva restare.

Invece con Scola il “cattolicesimo democratico” avrebbe subito – a suo dire – “un’umiliazione pesante” perché avrebbe perso “l’unico punto di riferimento nazionale”.

Benedetto XVI – afferma l’intellettuale di Repubblica – scegliendo Scola ha scelto di “contrastare frontalmente” quella linea “cattolico democratica”.

In pratica, se così stessero le cose, dovremmo concludere che il papa ha deciso di restituire a Milano il cattolicesimo tout court, senza aggettivi. E ci sarebbe solo da rallegrarsene.

Ma la chicca dell’articolo di Mancuso è un’altra, quella dove si apprende che egli è il confidente segreto dello Spirito Santo. Scrive infatti: “non so se questo sia davvero il volere dello Spirito Santo che ha sempre amato il pluralismo”.

Evidentemente lo Spirito Santo ha detto a Mancuso che preferiva Ravasi.

La singolare idea del cattolicesimo che ha Mancuso è stata bocciata duramente, mesi fa, da Civiltà Cattolica e da Vincenzo Vitale nel libro “Volti dell’ateismo”.

Quelle pagine mostrano che Mancuso sarà anche all’interno del “cattolicesimo democratico”, ma – visti tutti i dogmi di fede che nega – sta al di fuori del cattolicesimo.

Me ne dispiace molto. Ho avuto occasione di incontrare Mancuso di recente e voglio raccontare l’episodio.

Ho accettato l’invito al programma di Corrado Augias in onda su Rai 3 verso mezzogiorno per un’intervista sul mio libro appena uscito, “La guerra contro Gesù”.

Sapevo che il salotto di Augias non è affatto neutro e che il conduttore, pure lui giornalista di Repubblica, è animato da forti sentimenti anticattolici (che scatenano ricorrenti proteste su “Avvenire”).

Io stesso, nel mio libro, lo pizzicavo su alcune assurdità da lui scritte a proposito di cristianesimo (pure durante la trasmissione ho dovuto contestargli un’altra castroneria).

Dunque non mi sono stupito quando i curatori del programma mi hanno informato che in studio era stato chiamato pure Vito Mancuso.

Mi ha divertito che Augias avesse voluto “un rinforzo”. Sinceramente – lo dico senza protervia – la cosa non mi ha affatto impensierito.

Ma non era finita. Augias – per sentirsi ancora più al sicuro – ha deciso di procedere così: lui poneva una domanda, solitamente molto dura con la Chiesa, spesso una requisitoria.

Io ero chiamato a rispondere e Mancuso poi era invitato a replicare alla mia risposta. Cosicché avevano sempre la prima e l’ultima parola. Ha fatto sistematicamente così. 

Così ho dovuto digerire delle assurdità che facevano veramente venire l’orticaria: sentir ripetere per l’ennesima volta, dopo il secolo dei genocidi perpetrati dalle ideologie atee, che “il monoteismo” (genericamente inteso) sarebbe fonte di intolleranza è veramente insopportabile.

Certo, la prassi adottata da Augias non è un esempio di conduzione seria e ‘super partes’. Ma in fondo mi aspettavo cose del genere (quando non si hanno argomenti si ricorre ai mezzucci). Però le sorprese non erano finite.

Ho infatti scoperto lì, direttamente in trasmissione, che – insieme al mio – il conduttore aveva deciso di parlare anche di un altro libro (di Matthew Fox, “In principio era la gioia”), pubblicato in una collana curata da Mancuso stesso. Ovviamente un libro contro la dottrina cattolica.

Un’altra scorrettezza perché – non essendo stato informato, come era doveroso fare – mi sono trovato a dover discutere di un testo che non conoscevo, mentre Mancuso sapeva in anticipo che si sarebbe trattato del mio libro.

Il volume di Fox peraltro serviva ad Augias solo ad alimentare la polemica anticattolica, perché – ho scoperto in seguito – era già stato presentato in quella trasmissione.

Mi sono detto: ma quanto sono insicuri dei propri argomenti se devono ricorrere a questi miseri sistemi? Perché sono così impauriti da un confronto libero e paritario?

Naturalmente io ho detto comunque alcune cose e – stando alla quantità di mail che ho ricevuto – credo di averlo fatto anche in maniera efficace.

Ma adesso devo dirvi ciò che mi ha sconcertato.

Il volume di Fox si scaglia contro la dottrina del peccato originale, come se questa realtà fosse stata torvamente inventata dalla Chiesa per colpevolizzare gli uomini.

E Mancuso ha proclamato le stesse idee nei suoi libri e in quella trasmissione.

Interpellato in proposito io ho osservato semplicemente che il peccato originale è un fatto così evidente, tangibile, che chiunque può constatarlo nella sua esperienza quotidiana, tanto è vero che poeti non credenti come Charles Baudelaire e Giacomo Leopardi hanno descritto benissimo questa condizione decaduta dell’uomo, desideroso di felicità, ma strutturalmente incapace di conquistarla.

La nostra umanità è inquinata dal dolore, dal male e dalla morte. E’ un fatto, una realtà che tutti – in ogni istante – ci troviamo amaramente a constatare.

Ciò dimostra – ho concluso – che non è per nulla la Chiesa ad aver “inventato” il peccato originale, ma – al contrario – è lei l’unica ad aver dato una spiegazione della nostra condizione: la sua dottrina del peccato originale infatti fornisce l’unica ragione esauriente del guazzabuglio disperante in cui l’uomo, dalla sua nascita, si trova “gettato”.

Non solo. La Chiesa non si limita a rivelare all’uomo le cause di questa condizione, comunque misteriosa, ma annuncia e propone Gesù, il salvatore, l’unico che questa condizione può redimere, che può capovolgere il segno mortifero dell’esistenza e cambiare radicalmente il nostro destino infelice. Donando la felicità.

A questo punto è intervenuto Mancuso che ha cominciato una sua requisitoria: il peccato originale – a suo dire – è stato inventato nel V secolo da S. Agostino e nel 418, al Concilio di Cartagine, la Chiesa ha reso dogma il pensiero di Agostino.

Incredulo per questa assurdità ho obiettato che la dottrina del peccato originale c’è già in san Paolo, cioè all’origine del cristianesimo.

Mancuso lo ha negato dicendo testualmente che in san Paolo vi sarebbe soltanto il parallelismo fra Adamo e Cristo. Non sapevo se mettermi a ridere o a piangere. Possibile che un semplice giornalista come me debba svelare a uno che si fa presentare come “teologo” (e addirittura “teologo cattolico”) che San Paolo ha scritto, all’incirca nell’anno 58, la fondamentale Epistola ai Romani e che nel capitolo quinto di tale Epistola si trova già espressa nel dettaglio la dottrina del peccato originale?

Non contento di quella topica Mancuso negava che il peccato originale fosse una condizione dell’uomo e insisteva nel dire che la Chiesa imputava agli uomini un peccato non commesso.

Mi è stato facile invitare Mancuso a leggere almeno il Catechismo della Chiesa Cattolica dove sta scritto a chiare lettere che il peccato originale è stato da noi “contratto”, ma non “commesso” e che è “condizione di nascita e non atto personale” (n. 76).

Sapevo peraltro che Mancuso nega una quantità di altri dogmi della Chiesa. E’ capace di scrivere una cosa del genere: “non c’è alcuna esigenza di credere nella sua (di Gesù, nda) risurrezione dai morti per essere salvi”.

Vitale, dopo un’accurata disamina di queste mancusate, conclude che egli, negando “diversi dogmi fondamentali per la fede” come “peccato originale, immacolata concezione, immortalità dell’anima, eternità dell’inferno, si colloca volontariamente non solo al di fuori della teologia, ma anche al di fuori della dottrina cattolica e della Chiesa”.

Io, dopo l’articolo di Mancuso su Milano, mi limito a domandarmi solo se si possa essere “cattolici democratici” senza essere cattolici. Chissà che ne pensa il cardinal Martini.
Antonio Socci


La fecondità europea è in caduta libera perché non ci si sposa quasi più di Roberto Volpi, il Foglio quotidiano, 3 luglio 2011

Le ultime notizie da Eurostat danno la popolazione europea alla sua massima espansione attorno al 2040, per poi scivolare in un leggero declino che la porterà nel 2060 a 517 milioni di abitanti, ben sopra i 501 di adesso. Oltre il 2060 l’Eurostat non azzarda. Fa bene. Anche perché sono già un azzardo le stime in questione, per le quali la Germania perderà quasi 16 milioni di abitanti e l’Inghilterra ne guadagnerà altrettanti, mentre l’Italia, con 65 milioni, sarebbe uno dei paesi col maggiore incremento. La previsione Eurostat che riguarda l’Italia è superiore alla previsione “alta” dell’Istat, ma surclassa anche la previsione “centrale” (che prevede 63 milioni di abitanti, tra gli anni Trenta e Quaranta, per poi cominciare un lento cammino discendente), ritenuta più affidabile. In precedenza, Eurostat dava l’Europa sotto il mezzo miliardo di abitanti già prima del 2050 e l’Italia a 59 milioni, previsione allora in linea con quella “bassa” dell’Istat. Va a capire che cosa ha fatto cambiare idea a Eurostat, visto che nel frattempo la fecondità italiana è diminuita.

La fecondità, appunto. E’ evidente che l’Europa non ce la fa neppure alla lontana ad assicurare il semplice rimpiazzo delle generazioni (2,1 figli in media per donna). E hai voglia di andarti a inventare chissà quali cause profonde. Il fatto puro e semplice, rispetto a non più di quattro decenni fa, è che si hanno meno rapporti sessuali nelle età feconde.

Una tesi straordinariamente diffusa al riguardo vuole che il matrimonio non più per sempre, il successo del divorzio, la maggiore libertà sessuale, unitamente alla pratica dei rapporti sessuali non più condizionati, neppure alla lontana, dalla procreazione (se non per evitarla), non abbiano fatto che determinare un aumento assoluto dei rapporti sessuali tra uomini e donne rispetto alle epoche in cui quei rapporti erano molto meno liberi. Non è così. Negli anni in cui il matrimonio era in salute, gli italiani non soltanto si sposavano pressoché tutti ma lo facevano a età decisamente giovanili. In particolare, l’età media al matrimonio della donna è passata dai 24 di allora ai 30 anni di oggi. Sei anni cruciali, in cui si è nel pieno della vitalità, anche sessuale. Cosicché appare non improbabile ma del tutto impossibile che le donne di oggi, che si sposano assai poco e lo fanno a età già avanzate, abbiano mediamente un numero di rapporti sessuali pari alle loro coetanee sposate degli anni Sessanta. Godono, è indiscutibile, di maggiore libertà, anche e proprio sotto un profilo strettamente sessuale, cambiano un maggior numero di partner, ma questo non si traduce affatto in un maggior numero di rapporti sessuali. Una venti-trentenne nel matrimonio ha senz’altro, mediamente parlando, un numero di rapporti sessuali molto superiore a quelli di una donna di pari età non sposata – e, com’è nella maggioranza dei casi a quelle età, neppure convivente con un uomo.

Secondo un’altra tesi che va per la maggiore la riproduzione sessuale risulterebbe facilitata piuttosto fuori del matrimonio che non dentro il matrimonio in considerazione del fatto, che ben presto la vita sessuale nel matrimonio diventa abitudine e finisce per trasformarsi in svogliato rituale. E’ vero che la proporzione dei nati fuori dal matrimonio sul totale dei nati non fa che aumentare. Anche in Italia, dove pure questa proporzione è più bassa che nei paesi dell’Europa del centro-nord, un nato su quattro viene da coppie di fatto, e ha visto una crescita considerevole a partire dalla metà degli anni Settanta, a legislazione sul divorzio ormai sicura. In alcuni paesi dell’Europa nord occidentale questa proporzione sfiora il livello di un nato su due e si prefigura addirittura un sorpasso negli anni a venire: più nati fuori che dentro il matrimonio. L’errore di questa tesi è quello di non capire che queste cifre rappresentano più il riflesso della crisi del matrimonio che non il successo in sé e per sé, riproduttivamente parlando, delle coppie non matrimoniate. E’ la crisi del matrimonio a rivalutare ed esaltare oltre i suoi meriti il “fuori matrimonio”. Non soltanto, infatti, nell’Europa continentale e settentrionale il matrimonio è assai poco frequente – solo quattro matrimoni annui ogni mille abitanti – ma è anche sottoposto a un tasso di divorzialità pari alla metà del tasso di nuzialità, assai alto in sé e più alto di quello italiano. Cosicché il contributo al totale delle nascite di una vita matrimoniale limitata nella diffusione e anche nella durata non può che essere assai poco soddisfacente, cosa che di riflesso porta all’innalzamento della proporzione delle nascite che si verificano fuori dal matrimonio sul totale delle nascite.

Ma da questo stato di cose non si può ricavare affatto la conclusione che mentre il matrimonio non è più così “efficiente” per la procreazione sono proprio le unioni che ne prescindono a rivelarsi le più prolifiche. Entrambe queste affermazioni sono sbagliate. Relativamente al matrimonio, in quanto sta diventando una fattispecie minoritaria e instabile. E relativamente alle altre unioni perché non sono prolifiche in se stesse, bensì semplicemente in crescita quantitativa, conseguentemente all’arretramento del matrimonio.

Stiamo dunque assistendo, non soltanto a livello europeo ma occidentale in senso pieno, a uno spostamento marcato della riproduzione dall’ambito matrimoniale a quello extra matrimoniale. Questo spostamento – è il punto su cui riflettere – non ha attenuato l’indebolimento della riproduzione sessuale ma, tutto il contrario, ne è stato un fattore, e forse il più decisivo, di aggravamento. Caduto il matrimonio caduti i rapporti sessuali caduta la fecondità caduta la riproduzione sessuale. E’ questa l’unica tesi che abbia il suffragio dei dati, checché se ne pensi del matrimonio.
© - FOGLIO QUOTIDIANO


Il cervello? Allenare con cura di Marco Magrini, Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2011

È bene che sappiate subito una cosa: questa intervista cambierà, seppur di poco, il vostro cervello. Perché dopotutto, «l'obiettivo ultimo è conoscere se stessi», dice Tomaso Poggio. Ma Poggio, che filosofo non è, dell'iscrizione sul tempio dell'Oracolo di Delfi ha una visione molto più moderna. Per lui, conoscere noi stessi significa capire come funziona il cervello umano, togliere i veli sui meccanismi dell'intelligenza. «Secondo me, è una questione ancor più importante dell'origine della vita o della materia. Per un semplice motivo: è con il cervello che cerchiamo di capire gli altri problemi», dice il neuroscienziato dell'Mit, direttore del Center for biological and computational learning.
È un po' restrittivo, definire Poggio un neuroscienziato. Saldamente fra i primi dieci della classifica Top italian scientist (secondo il cosiddetto H-index, che tiene conto dei lavori pubblicati e di quante volte vengono citati), è però anche il numero uno per ecletticità: ha scritto paper di biofisica, matematica dei sistemi non lineari, teoria dell'apprendimento, visione degli insetti, genomica, computer grafica e perfino di finanza (con i suoi algoritmi ha cofondato un hedge fund, poi venduto). È una specie di conferma: tutto comincia dal cervello.
«Siamo ancora ben lontani dal capire come funzioni l'intelligenza», avverte il professore dell'Mit, nato a Genova 64 anni fa. «Ma la ricerca sta portando frutti a una rapidità un tempo impensabile». Poggio è un pioniere della visione computerizzata, eppure ammette che non si sarebbe mai atteso di vedere - nell'arco della vita - le applicazioni commerciali di un lavoro uscito dal suo laboratorio quindici anni fa. «C'è un'azienda israeliana, fondata da un mio ex allievo – racconta – che produce sistemi visivi per le automobili: mantiene la distanza di sicurezza, vede i pedoni e frena in caso di pericolo». La Volvo già monta su una vettura i sistemi della MobilEye di Gerusalemme, che nei prossimi due anni saranno adottati anche da Bmw, Audi, Toyota, Ford. Ormai, quasi tutte le macchine fotografiche digitali sono in grado di individuare volti umani, per metterli a fuoco. Anche questo origina da uno studio di Poggio degli anni Novanta. Un po' di tempo prima era successo lo stesso con l'algoritmo – originalmente adottato da Panasonic – per correggere il movimento della mano nelle telecamere. È quel che accade quando si usa il cervello per studiare il cervello. L'intelligenza come grimaldello dell'intelligenza.
E pensare che questa storia origina da «Fiori per Algernon», un libro per bambini degli anni Cinquanta, dove un uomo e un topo si sottopongono a un esperimento per aumentare la propria intelligenza. «Rimasi attratto dalle domande scientifiche sull'intelligenza. Che cos'è? Come si può migliorarla?», racconta lo scienziato genovese che, dopo dieci anni all'Istituto Max Plank per la biologia cibernetica, nell'81 ha accettato la cattedra all'Mit.
Ma quelle domande sono ancora aperte. «Il cervello ha bel numero di connessioni: 10 alla quattordicesima», ovvero 100mila miliardi. A voler fare un'analogia con il computer, «la memoria umana è nell'ordine dei 10 alla quindicesima bit». Le macchine «sono già in grado di fare cose meglio di noi, ad esempio giocare a scacchi, ma ho qualche dubbio quando Ray Kurzweil dice che la crescita della capacità di calcolo porterà a macchine più intelligenti di noi: nessuna crescita esponenziale può andare avanti all'infinito, e non è detto che maggiore capacità di calcolo comporti maggiore intelligenza».
Il prossimo obiettivo di Tomaso Poggio è puntare dritto ai meccanismi dell'intelligenza. Il suo contributo all'umana scoperta del cervello umano, potrebbe racchiudersi in un'intuizione: «Credo che la chiave dell'intelligenza stia nell'apprendimento», dice, osservando poi che sarebbe una buona idea spiegare a scuola, alle giovani generazioni, che il cervello «è come un muscolo da allenare». A conti fatti, non si studia la storia per imparare le date, ma per "costruire" il cervello.
«Il cervello è in costante cambiamento», spiega il professore. «Durante questa chiaccherata al telefono, le cose che ci siamo detti hanno cambiato fisicamente il nostro cervello: alcuni dendriti, piccoli rametti dei neuroni, sono cresciuti e altri sono decresciuti». Ma anche i dendriti dei lettori che arrivano in fondo all'intervista? «Certo, anche i loro».


LA SCIENZA - Neuroni, pensieri e sensazioni l'intelligenza umana in un pc - L'Human Brain Project del Politecnico di Losanna riprodurrà le operazioni dell'encefalo usando un super computer, potrebbe essere completato entro il 2023 e l'Ue è pronta a finanziarlo. Nell'équipe neuroscienziati e informatici, esperti di robotica e di bioetica di nove Paesi europei "Ce la faremo" - di ELENA DUSI, http://www.repubblica.it

Servirà un computer un milione di volte più potente dei supercalcolatori di oggi. Ma alla fine - il traguardo è fissato per il 2023 - gli scienziati dell´Human Brain Project contano di riprodurre il funzionamento del cervello umano in un unico enorme circuito elettrico.
«L´obiettivo è ambizioso, ma non impossibile se guardiamo alla velocità con cui è cresciuta la potenza di calcolo negli ultimi anni» spiega Enrico Macii, docente di circuiti elettronici al Politecnico di Torino. La squadra dell´Human Brain Project mette insieme esperti di neuroscienze e di informatica, di robotica e di bioetica, provenienti da nove paesi europei. A coordinarli è Henry Markram del Politecnico di Losanna, che in sei anni di lavoro è già riuscito a tradurre nella lingua dei computer la vita e il funzionamento di un frammento di 10mila neuroni della corteccia cerebrale di un topo. Una goccia nel mare rispetto ai 100 miliardi di neuroni del cervello umano che il team europeo si propone di analizzare e di riprodurre, mattone su mattone, all´interno di un calcolatore.
Se ad aiutare Markram con il cervello del topo è stato un calcolatore parente di quel Deep Blue che nel 1997 battè a scacchi Garry Kasparov, per l´organo del pensiero umano ancora non esiste una macchina capace di raccogliere la sfida. «Useremo non un singolo computer, ma un cluster di supercalcolatori collegati fra loro» spiega Macii. Per il momento l´Human Brain Project è in corsa per aggiudicarsi il colossale finanziamento di un miliardo di euro in dieci anni che l´Unione Europea ha promesso ai due progetti di ricerca più importanti e lungimiranti del continente.
Sei team di scienziati sono in corsa per il riconoscimento, che verrà assegnato nell´estate del 2012. I concorrenti di Losanna si occupano di grafene, il materiale che promette di rimpiazzare il silicio e che è stato premiato l´anno scorso con il Nobel della fisica; di una piattaforma di computer in grado di analizzare enormi quantità di dati da tutto il mondo e prevedere crisi naturali o collassi economici; di "angeli guardiani", macchine che raccolgono dati su un individuo lungo il corso della sua vita e lo aiutano nelle sue scelte senza utilizzare batterie ma ricavando energia dal corpo umano; di strumenti per l´analisi del Dna e la medicina personalizzata; di robot intelligenti, capaci di emozioni e in grado di assistere gli anziani o di aiutare i soccorritori durante le catastrofi.
«Noi di Human Brain Project stiamo preparando il progetto finale da sottoporre alla Commissione Europea» spiega Macii. «Il primo passo è raccogliere dati molto accurati sul cervello. Poiché ci occuperemo del cervello umano, abbiamo bisogno di sensori che non siano invasivi». Successivamente, bisognerà tradurre le leggi che regolano pensieri e sensazioni in un linguaggio comprensibile ai computer. «Ed è in questa fase che avremo bisogno di un´enorme capacità di calcolo» e di una potenza neppure paragonabile ai 30 watt di una lampadina consumati in media dal nostro organo del pensiero. Nel database informatico finiranno infatti dati su come i neuroni sono strutturati, secondo quale architettura sono legati ai neuroni vicini, quali neurotrasmettitori utilizzano per scambiare messaggi e quali geni sono attivi al loro interno. Come è avvenuto per il frammento di cervello di topolino simulato da Markram, si partirà da un piccolo gruppo di cellule per poi ricostruire una singola area cerebrale e infine l´organo intero.
Quando il gigantesco meccanismo del cervello artificiale sarà completato, potrà simulare l´effetto di nuovi farmaci, «o potrà essere trasferito in un robot capace di prevedere il futuro» spiega Macii. Non è un caso che una parte dell´équipe - fra cui i ricercatori del Cnr e del laboratorio Lens dell´università di Firenze - si stia occupando di costruire sistemi di visione artificiale. Ma la sfida si presenta enorme, se si pensa che per simulare il funzionamento di un solo neurone oggi serve la potenza di calcolo di un laptop, e se ciascuno dei 100 miliardi di neuroni umani può stringere una connessione con altri 10mila neuroni vicini. E a Deep Blue non resterà che impallidire quando si renderà conto che è finita l´epoca delle partite a scacchi.

L'intervista
L'italiano Egidio D'Angelo fa parte del gruppo di lavoro: ''Un software per tradurre come funziona la nostra mente''
«Siamo lanciati, pensiamo che il riconoscimento della Commissione Europea non ci sfuggirà». Egidio D´Angelo, neuroscienziato dell´università di Pavia, lavora all´Human Brain Project. Si occupa del primo anello della catena: la raccolta dei dati all´interno del cervello.
Come avviene il suo lavoro?
«Siamo in grado di osservare anche singoli neuroni: come sono collegati con gli altri neuroni, come comunicano fra loro, quali neurotrasmettitori usano. I nostri dati sono il punto di partenza. Il difficile viene soprattutto dopo».
Cervello umano e computer funzionano in modo così differente.
«Il cuore del problema sarà sviluppare un software in grado di tradurre tutti i dati sul funzionamento del cervello in un linguaggio informatico».
Si parla da anni di intelligenza artificiale. Ma il vostro progetto è qualcosa di diverso?
«In un certo senso è un progetto più umile. Partiamo dal presupposto che non conosciamo nulla del funzionamento del cervello. Scegliamo allora di osservarlo nei suoi dettagli e di ricostruirlo su un supporto informatico mattone su mattone. È un´operazione di simulazione che è molto complicata ma in cui paradossalmente ci limitiamo a imitare la natura. Il risultato finale potrà servirci a guidare robot o a farci capire i meccanismi delle malattie mentali, sviluppando nuovi farmaci più efficaci degli attuali». (Elena Dusi)
(04 luglio 2011) © RIPRODUZIONE RISERVATA


I NEURONI DISTRUTTI DAL PARKINSON "RICREATI" DALLA PELLE IN LABORATORIO di Boncinelli Edoardo, Corriere della Sera di lunedì 4 luglio 2011

Uno studio del San Raffaele pubblicato sulla rivista scientifica «Nature» apre nuove prospettive di cura. Senza l'utilizzo di cellule staminali I neuroni distrutti dal Parkinson «ricreati» dalla pelle in laboratorio di Alcune cellule fondamentali del corpo umano si possono oggi produrre direttamente senza passare per una fase di cellula staminale. E' il caso dei neuroni dopaminergici del nostro cervello che si possono ottenere direttamente da cellule adulte della pelle. Un gruppo di ricerca italiano guidato da Vania Broccoli del San Raffaele di Milano ha appena pubblicato sulla rivista Nature i risultati di una ricerca su questo tema, in collaborazione con i gruppi di Alexander Dityatev dell'Istituto italiano di tecnologia (lit) di Genova e di Stefano Gustincich della Sissa di Trieste. Partendo da cellule adulte, fibroblasti per la precisione, di topo oppure di uomo, i ricercatori sono riusciti a convertirle in quegli specifici neuroni del mesencefalo che producono dopamina e che contribuiscono a controllare i movimenti del nostro corpo, così che la loro assenza o ridotta attività causano i ben noti problemi associati al morbo di Parkinson.

Sono decenni che si cerca una soluzione cellulare per tale morbo. Poiché il danno implicato è relativamente ristretto — si tratta infatti di un difetto circoscritto a questo tipo di neuroni — sembrerebbe facile porvi rimedio, ad esempio rimpiazzando le cellule non più funzionali con nuove cellule all'altezza del loro compito. Però per ora non ci si era riusciti. Viene quindi più che a proposito l'esperimento di Broccoli e collaboratori, che Nature ha ritenuto così importante da pubblicarlo e darne anche un'anteprima on-line. Cellule neuronali sono state già prodotte in vitro a partire da cellule staminali artificiali o anche direttamente da fibroblasti senza passare per una fase di cellula staminale. Si tratta però di una popolazione mista di neuroni di tutti i tipi e come tale difficilmente utilizzabile per scopi clinici. Il bello dell'esperimento di cui stiamo parlando è che porta alla produzione di soli neuroni dopaminergici, proprio quelli implicati nel Parkinson. Lo scopo viene raggiunto inserendo nei fibroblasti in coltura tre geni di alto livello gerarchico che li riprogrammano completamente nella direzione voluta. Non passare attraverso una fase di cellula staminale, commentano gli autori, aggira il problema della generazione di possibili cellule tumorali, un rischio sempre in agguato quando si maneggiano cellule staminali indotte. Ovviamente si può contare così su un numero ridotto di cellule, ma trattandosi di fibroblasti il problema del numero di cellule troppo basso non esiste. Prima di essere riprogrammati, infatti, i fibroblasti possono essere coltivati in gran numero. Un gran bel lavoro che combina il rigore di una ricerca fondamentale con un notevole acume applicativo.


Il condominio dei padri separati - Alimenti all´ex moglie, mutuo e spese legali: i papà senza famiglia finiscono in bolletta e sono i "nuovi poveri". E aumentano i residence per accoglierli. Sono professionisti, impiegati, uomini d´arte. Nessuno di loro aveva mai avuto problemi economici, ma dopo la separazione hanno scoperto di non potersi permettere un affitto Viaggio, a Roma, in uno dei "residence", in aumento in tutto il Paese, che a prezzi sociali danno un tetto, e un po´ di sollievo, a questi "nuovi poveri". E ai loro figli - 04 luglio 2011 di MARIA NOVELLA DE LUCA, http://www.repubblica.it

ROMA - «Papà, stanotte guardiamo le stelle?». Bruno sorride e dice sì. La serata è limpida, il vento ha portato via l´afa, e il telescopio enorme e bellissimo ingombra l´intero salotto del mini appartamento nel "condominio" dei papà separati. Ci sono i fiori, le porte aperte, i vasi di gerani e di girasoli. «Quando i miei figli vengono qui nel weekend è sempre una festa. Ora la scuola è finita e possiamo fare un po´ più tardi… Stasera ceneremo con il mio amico Sergio e la sua bambina che abitano qui accanto, poi domani gita al lago tutti insieme. Ho passato tutta una vita in teatro: Eduardo, Gassman, compagnie su compagnie, ovunque mi trovo "faccio famiglia". Dopo la fine del mio matrimonio, per 4 anni non ho più avuto né una casa né una stanza dove portare i miei figli, non potevo permettermi nemmeno un monolocale».
«Sono dovuto tornare a Napoli dai miei genitori - continua Bruno - ho perso il lavoro, mi sono ammalato. Non riuscire a vedere i bambini è stata una sofferenza enorme, per me e per loro. Poi mi sono messo in lista, da un mese sono approdato nella casa dei papà e finalmente ho trovato un´ancora».
Bruno, che faceva il direttore di scena nei più grandi teatri italiani. Sergio, veterinario. Giancarlo, cuoco in un hotel a 4 stelle. E poi carabinieri, poliziotti, insegnanti, ingegneri, artigiani: padri separati, ex mariti, avevano redditi medi o da benestanti, dopo la crisi delle loro unioni sono diventati "nuovi poveri", hanno vagato tra amici, parenti, dormitori. Impossibile pagare un affitto se dopo aver versato il mantenimento per i figli e magari una rata di mutuo restano nel portafoglio 300, al massimo 500 euro. E la fine di un amore diventa così anche una catastrofe economica.
Roma, Casal Monastero, estrema periferia nordest della Capitale. Si deve superare un inferno di traffico e cantieri per arrivare in quest´area di urbanizzazione nuova dove resiste un residuo pezzo di campagna. È qui, nel residence Torre di Pratolungo, che due anni fa è stata inaugurata la casa, anzi il "condominio dei papà" del Comune di Roma, il più grande d´Italia. Venti appartamenti autonomi, ognuno dotato di salotto, camera da letto, bagno, angolo cottura e un piccolo spazio esterno in un giardino comune. Sono 4 milioni i padri separati in Italia, e, di questi, secondo le stime della Caritas, 800mila sono precipitati nella povertà dopo aver lasciato la casa coniugale. Uomini con redditi e professioni stabili, da 1600-2000 euro al mese, e che oggi affollano mense e dormitori pubblici. Ma che soprattutto non hanno più uno spazio protetto dove poter stare con i loro figli, perché nel 90 per cento dei casi di separazione nella casa di famiglia restano a vivere la moglie e i bambini. Così in tutta Italia sono nate in pochi anni decine di case dei papà, ostelli, miniappartamenti, condomini, gestiti dagli enti locali, ma anche da associazioni private o religiose, a Bolzano, Roma, Milano, Savona, Venezia. Alcune strutture sono riservate ai padri. Altre, come a Trento, ai genitori (sia madri che padri) in difficoltà.
«Ogni papà qui paga 200 euro di affitto al mese, può restare un anno o poco di più», spiega Ilaria Perulli della cooperativa romana Un sorriso. Per accedere, bisogna fare la domanda al municipio di appartenenza dimostrando di avere un reddito Isee al di sotto di una certa soglia. «La casa è una specie di luogo della tregua, dove uomini che sentono di aver perso tutto trovano finalmente un po´ di pace» spiega Perulli. «E una volta al mese, ma in estate si raddoppia, facciamo laboratori per i bambini: con i padri, ma anche le madri, i nonni…». Aggiunge Sveva Belviso, assessore alle Politiche sociali del Comune di Roma: «Presto gli appartamenti diventeranno 30, la richiesta è altissima e siamo di fronte a un´emergenza sociale. A differenza delle madri, per i padri non esisteva nulla».
Sergio ha 48 anni e fa il veterinario. Il suo appartamento è curato: quadri, libri, piante, una cucina per le bambole e il frigorifero ben fornito. «Mia figlia dice che questa è la casa dei cento gatti. Ha fatto subito amicizia con i bambini degli altri papà. Mia moglie e io ci siamo separati serenamente, eppure a settembre scorso, quando ha lasciato casa, mi sono sentito un profugo. La separazione è arrivata proprio nel momento in cui stavo facendo un salto nel lavoro e avevo messo su, con un socio, un ambulatorio veterinario… Ero pieno di debiti, disperato, e se non fosse stato per la straordinaria solidarietà di molti amici non avrei avuto un rifugio dove dormire, e nemmeno dove incontrare mia figlia». Sergio è arrivato nel "condominio dei papà" a febbraio. «All´inizio mi è sembrato strano approdare in periferia, vengo da corso Trieste, un quartiere borghese, da una vita benestante. L´appartamento era freddo, ho cercato subito di renderlo accogliente perché mia figlia si sentisse a casa. Ogni mattina attraverso la città, vado a prenderla e la porto a scuola. Poi, nei giorni di festa, nei weekend sta con me. Tra noi padri del condominio sono nate belle amicizie. È una strana comunità, un po´ scherzosa, un po´ da compagni di sventura. C´è chi è più arrabbiato, chi più sofferente, chi più sereno. Ma quello che inasprisce anche le situazioni più lievi è il dramma economico».
«Ormai è evidente in tutto il mondo occidentale che la separazione impoverisce gravemente la famiglia» osserva Milena Pini, presidente dell´Associazione italiana degli avvocati per la famiglia (Aiaf). «I problemi però sono su entrambi i fronti, perché se è vero che per i padri diventa un dramma trovare un alloggio, è vero anche che spesso le madri devono fare battaglie durissime per avere ciò che spetta loro per mantenere i figli. In questi casi dovrebbe essere lo Stato ad anticipare l´assegno di mantenimento, rivalendosi poi sul genitore inadempiente». Una prassi già attiva a Bolzano, dove la Provincia si fa carico dell´assegno se il genitore non paga. E proprio a Bolzano è nata nel 2004 la prima "comunità" per padri separati. «Tra pochi giorni», anticipa Elio Cirimbelli, fondatore e direttore dell´Asdi, centro di assistenza ai separati e divorziati «questa struttura chiuderà e inaugureremo dei veri e propri appartamenti per dare più privacy ai genitori e ai figli. È per tutelare i bambini che nel 2004 abbiamo fondato le nostre microcomunità. E poi non avere un posto dove accogliere i propri figli dopo la separazione può addirittura portare il giudice a impedire gli incontri perché manca un luogo ritenuto idoneo».
Giancarlo fa il cuoco e guadagna 1600 euro al mese. Seicento li versa alla moglie (casalinga) e alle due figlie, 450 servono per pagare un vecchio debito. A lui restano in tasca 550 euro, di cui 30 per la tessera dell´autobus. Tolti i 200 euro di affitto per la casa dei papà, Giancarlo può contare su un reddito di poco più di 300 euro al mese. È arrabbiato, deluso. «La separazione l´ho subita. Quando vivevamo tutti insieme non ci mancava niente, eravamo una famiglia dignitosa. Oggi siamo poveri. Qui ho una piccola mansarda, con una bella luce. Mi sento al sicuro, non mi manca nulla, le mie figlie ci vengono volentieri, ho ritrovato la mia dignità. Ma domani? Dovrò di nuovo chiedere, per favore, un posto per dormire?».
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LA SALUTE GLOBALE CONVIENE A TUTTI di Vella Stefano, Corriere della Sera di domenica 3 luglio 2011

Sono almeno 20 milioni le persone che muoiono prematuramente nei Paesi in via di sviluppo per malattie che nei Paesi ricchi sono prevenibili o curabili. Tra queste, i io milioni di individui con infezione da Hiv che non possono accedere alle cure che hanno trasformato una malattia mortale in una patologia cronica. La Conferenza Aids dell'anno 2000, organizzata per la prima volta in Africa, ha fatto comprendere la dimensione catastrofica di questa epidemia nel Sud del Mondo e ha avviato la battaglia per l'accesso universale alle cure. Dieci anni fa, 198 Paesi hanno sottoscritto, in una sessione delle Nazioni Unite, il solenne impegno a raggiungere, entro il 2015, dieci «obiettivi del millennio». Molti riguardano la salute: abbattere la mortalità infantile, quella da parto e quella per Aids, Tbc e malaria. Ma, al ritmo attuale, ci vorranno più di 25o anni per raggiungere quei, seppur parziali, obiettivi, altro che 2015! Dal 17 luglio il nostro 99 Paese avrà l'onore di ospitare a Roma la Conferenza Mondiale Occuparsi delle sull'Aids. Ma l'Italia da tre malattie di chi è anni non onora le sue promesse nei confronti lontano previene del Fondo Globale, una quelle di chi delle istituzioni internazionali che sta ci sta accanto permettendo ai Paesi poveri di affrontare 1'Aids. Non è solo «beneficienza»: la terapia anti-Hiv permette di abbattere la trasmissione del virus e quindi, in prospettiva, forse, di spegnere l'epidemia. La crisi economica c'è, si fa sentire, le difficoltà ci sono, inutile fingere; però questo debito era stata contratto prima con la comunità internazionale. Il concetto di salute globale trascende le prospettive delle singole nazioni. Non solo perché i virus non hanno bisogno di passaporto. Ma perché in un mondo globale, interconnesso e sempre più «piccolo», occuparsi della salute anche di chi è più lontano significa curare e prevenire le malattie di chi ti sta accanto. Per l'oggi, ma soprattutto per le generazioni future. La salute non è solo un diritto di ogni uomo, ma riguarda lo sviluppo dei popoli e la pace. Non c'è sviluppo senza salute. E non c'è pace senza diritti: il diritto alla salute è tra quelli fondamentali.


Lo «scandalo» del Corpus Domini di Guido Villa, 05-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Dal mondo cattolico di lingua tedesca giungono preoccupanti segnali di una sempre più flebile fede nella presenza reale di Gesù nell’Eucaristia.

Il primo caso che segnaliamo accade a Magdeburgo, in Germania. In occasione della processione del Corpus Domini, quest’anno l’Ufficio Stampa della diocesi ha fornito agli organi di informazione locali una spiegazione del mistero dell’Eucaristia che lascia allibiti.
Nel comunicato diramato si afferma infatti che in tale occasione i cattolici celebrano in modo particolare la presenza di Gesù nei segni della cena (il concetto usato in tedesco è «Zeichen des Abendmahls», quindi un linguaggio tipicamente protestante), ovvero nel calice e nel pane benedetti. Quale espressione di questa fede, dal secolo XIII «un tale pane benedetto […] viene portato nelle strade con tutti gli onori affinché sia visibile a tutti».

Interrogato su questa grave improprietà di termini usata nel descrivere l'Eucaristia, il portavoce della diocesi di Magdeburgo, Thomas Lazar, ha fornito una risposta che rivela la confusione di cui spesso soffre la Chiesa tedesca. Nella processione del Corpus Domini, ha precisato, infatti, Lazar al portale cattolico kath.net, non si porta per le strade «un pane benedetto qualsiasi, bensì Gesù Cristo, presente in questo Sacramento. [ …] Con l'espressione “pane benedetto” non si era inteso fornire una definizione dogmatica dell'Eucaristia, ma avvicinare i lettori non cristiani della regione, che sono l'80% della popolazione, al mistero della solennità del Corpus Domini». Proseguendo: «Sono convinto che noi nell'est della Germania, se vogliamo che la gente ci stia ad ascoltare, dobbiamo usare una lingua che possa interessare e conquistare. Se nell'ambiente in cui viviamo scrivessimo che portiamo per le strade e adoriamo il Corpo e il Sangue del Figlio di Dio Gesù Cristo, ciò susciterebbe sicuramente irritazione e avversione […]».

Insomma, per rendersi attraenti, sembra dire il portavoce della Diocesi di Magdeburgo, occorre talvolta attenuare il senso pieno delle verità di fede. Tuttavia, il linguaggio tipicamente protestante di cui è intriso il sopracitato messaggio diffuso alla stampa fa sorgere qualche legittimo dubbio sul fatto che si sia in realtà cercato di evitare di urtare la suscettibilità dei luterani nel cui Duomo - che ovviamente fino alla Riforma protestante era però una cattedrale cattolica… - ha avuto luogo la Santa Messa che ha preceduto la processione del Corpus Domini, conclusasi poi nell’attuale cattedrale cattolica di San Sebastiano.

Un altro segnale preoccupante giunge poi da San Gallo, nella Svizzera tedesca. Il parroco cattolico del Duomo, Josef Raschle, ha infatti avuto la brillante idea di rafforzare la fede dei propri parrocchiani nel mistero dell’Eucaristia invitando a predicare, sempre in occasione della solennità del Corpus Domini, il pastore protestante Hansruedi Felix della Chiesa riformata svizzera (quella fondata da Huldrych Zwingli), presso la quale, così come presso tutte le comunità protestanti, non si crede nella presenza reale del vero Corpo e del vero Sangue di Cristo nel sacramento dell’Eucaristia, né nel valore sacrificale della Santa Messa che rende presente e attuale il martirio di Cristo sulla Croce.

Da un predicatore non cattolico non ci si poteva certo attendere un’immersione nel mistero dell’Eucaristia e infatti l’“omelia” di Felix ha avuto come tema principale la cosiddetta “Concordia di Leuenberg”, l’accordo con cui luterani e riformati, e in seguito altre comunità protestanti, hanno finalmente considerato superate alcune controversie teologiche interne al protestantesimo, anche in riferimento a quella che essi chiamano la “santa cena”.

A questo punto è lecito domandarsi se il messaggio inviato ai credenti dal parroco Raschle e dal vescovo di San Gallo Markus Büchel - quest’ultimo certamente non all’oscuro dell’iniziativa del suo sacerdote - scegliendo di affidare la predicazione al pastore Felix, e quindi ammettendolo a ricevere la Comunione proprio in occasione della solennità del Corpus Domini, sia stato quello dell’equivalenza tra sacerdozio cattolico e pastorato protestante, quello dell’identità tra Santa Messa cattolica e “santa cena” protestante e infine che la “Concordia di Leuenberg” rappresenti il modello per risolvere le controversie teologiche sull’Eucaristia anche tra cattolici e protestanti, con la conseguente abolizione dal credo cattolico degli articoli di fede riguardanti la presenza reale e il sacrificio eucaristico.

È peraltro triste constatare come in quei mondi la pratica di invitare a predicare pastori protestanti e ammetterli a ricevere la Comunione sia diffusa, tollerata e magari incoraggiata, benché rappresenti un evidente caso di sacrilegio e di profanazione della Santa Messa e dell’Eucaristia.

È infatti tipico della retorica irenistica e falso-ecumenica affermare che tra cattolici e protestanti è più ciò che unisce di ciò che divide, come se gli elementi di contrasto - quali appunto la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù nell’Eucaristia, il valore di sacrificio della Santa Messa, i dogmi della Chiesa, la venerazione della Beata Vergine Maria, la Vergine Maria quale sancta Dei genitrix, la sua Immacolata Concezione, l’idea propria del sacerdozio, la figura del Papa e altri ancora - fossero questioni di scarsa importanza. È tipico, ma è un cattivo pensiero e un pessimo insegnamento.

Il neoeletto arcivescovo di Berlino, Rainer Maria Woelki, intervistato nel 2010 dal giornale diocesano di Colonia Kirchenzeitung für das Erzbistum Köln, richiesto di una previsione sullo stato della Chiesa cattolica nell'anno 2035, ha risposto: «Vivremo l’esperienza di un cristianesimo molto deciso. Ciò che oggi è ancora di facciata, crollerà […]. La Chiesa dovrà lasciarsi ricondurre all’essenziale. Questo è un lungo processo, che il Signore ha già avviato […]». Parole sante.


«La Chiesa non è semplice filantropia» di Massimo Introvigne, 05-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Il 2 luglio Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i partecipanti a un pellegrinaggio della Diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, cui ha dedicato un discorso sulla natura della Chiesa e sulla corretta interpretazione dell’espressione «popolo di Dio» privilegiata dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

Non bisogna mai perdere di vista, ha detto il Papa, che la «Chiesa [è] comunità pellegrina nella storia verso il suo compimento escatologico in Dio». Questo significa «riconoscere che la Chiesa non possiede in se stessa il principio vitale, ma dipende da Cristo, di cui è segno e strumento efficace». La Chiesa opera nella storia perché anche chi non è vissuto in Palestina duemila anni fa possa incontrare il Signore. «Nella relazione con il Signore Gesù essa trova la propria identità più profonda: essere dono di Dio all’umanità, prolungando la presenza e l’opera di salvezza del Figlio di Dio per mezzo dello Spirito Santo». La Chiesa è dunque un mistero: «è essenzialmente un mistero d’amore a servizio dell’umanità in vista della sua santificazione».

Ma perché, allora, il Concilio privilegia l’espressione «popolo di Dio»? «Il Concilio Vaticano II - ha spiegato il Papa - ha affermato su questo punto: “Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse” (Lumen gentium n. 9)». Lungi dal volere contraddire le nozioni di corpo mistico di Cristo e di mistero, il Concilio ha voluto sottolineare che «realmente la Parola di Dio ha creato un popolo, una comunità, ha creato una comune gioia, un pellegrinaggio comune verso il Signore». Essere popolo non significa però essere una mera realtà sociologica: l’essere Chiesa «non viene solo da una forza organizzativa nostra, umana, ma trova la sua sorgente e il suo vero significato nella comunione d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: questo amore eterno è la fonte dalla quale viene la Chiesa e la Trinità Santissima è il modello di unità nella diversità e genera e plasma la Chiesa come mistero di comunione».

Dunque la Chiesa è insieme e nello stesso tempo popolo di Dio e corpo di Cristo. Chi invece contrappone le nozioni di popolo di Dio e di corpo mistico, secondo quella che il Papa ha chiamato in altre occasioni «ermeneutica della discontinuità e della rottura» del Vaticano II, riduce la Chiesa a una semplice dimensione orizzontale, che ne falsifica la vera identità. «È necessario – ha detto il Papa – ripartire sempre e in modo nuovo da questa verità per comprendere e vivere più intensamente l’essere Chiesa, “Popolo di Dio”, “Corpo di Cristo”, “Comunione”. Altrimenti si corre il rischio di ridurre il tutto ad una dimensione orizzontale, che snatura l’identità della Chiesa e l’annuncio della fede e farebbe più povera la nostra vita e la vita della Chiesa». Contro un certo progressismo, il Papa ribadisce che «è importante sottolineare che la Chiesa non è un’organizzazione sociale, filantropica, come ve ne sono molte: essa è la Comunità di Dio, è la Comunità che crede, che ama, che adora il Signore Gesù e apre le “vele” al soffio dello Spirito Santo, e per questo è una Comunità capace di evangelizzare e di umanizzare. La relazione profonda con Cristo, vissuta e alimentata dalla Parola e dall’Eucaristia, rende efficace l’annuncio, motiva l’impegno per la catechesi e anima la testimonianza della carità».

L’umanità sofferente di oggi non ha bisogno dell’ennesima agenzia filantropica, ma della Chiesa come luogo dove d’incontra veramente il Signore. «Molti uomini e donne del nostro tempo hanno bisogno di incontrare il Dio, di incontrare Cristo o di riscoprire la bellezza del Dio vicino, del Dio che in Gesù Cristo ha mostrato il suo volto di Padre e chiama a riconoscere il senso e il valore dell’esistenza. Far capire che è bene vivere da uomo». E proprio nell’attuale momento di crisi, c’è sempre di più bisogno della Chiesa come mistero e annuncio di Dio, perché la radice della crisi è precisamente la negazione di Dio. «Assistiamo ad atteggiamenti complessi: ripiegamento su se stessi, narcisismo, desiderio di possesso e di consumo, sentimenti e affetti slegati dalla responsabilità. Tante sono le cause di questo disorientamento, che si manifesta in un profondo disagio esistenziale, ma al fondo di tutto si può intravedere la negazione della dimensione trascendente dell’uomo e della relazione fondante con Dio. Per questo è decisivo che le comunità cristiane promuovano percorsi validi e impegnativi di fede».

Il senso della Chiesa va insegnato tramite la formazione e l’educazione, e per comprendere la nozione di Chiesa del Vaticano II occorre dunque rileggere anche la dichiarazione sull’educazione Gravissimum educationis. «Particolare attenzione va posta al modo di considerare l’educazione alla vita cristiana, affinché ogni persona possa compiere un autentico cammino di fede, attraverso le diverse età della vita; un cammino nel quale – come la Vergine Maria – la persona accoglie profondamente la Parola di Dio e la mette in pratica, diventando testimone del Vangelo. Il Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione Gravissimum educationis, afferma: “L’educazione cristiana tende soprattutto a far sì che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, che hanno ricevuto… si preparino a vivere la propria vita secondo l’uomo nuovo, nella giustizia e nella santità della verità” (n. 2)».

Chi dice educazione, dice famiglia. «In questo impegno educativo la famiglia resta la prima responsabile. Cari genitori, siate i primi testimoni della fede! Non abbiate paura delle difficoltà in mezzo alle quali siete chiamati a realizzare la vostra missione. Non siete soli! La comunità cristiana vi sta vicino e vi sostiene. La catechesi accompagna i vostri figli nella loro crescita umana e spirituale, ma essa va considerata come una formazione permanente, non limitata alla preparazione per ricevere i Sacramenti; dobbiamo in tutta la nostra vita crescere nella conoscenza di Dio, così nella conoscenza di che cosa significhi essere un uomo». Ancora, ai genitori il Papa raccomanda: «Sappiate attingere sempre forza e luce dalla Liturgia: la partecipazione alla Celebrazione eucaristica nel Giorno del Signore è decisiva per la famiglia, per l’intera Comunità, è la struttura del nostro tempo». Così l’educazione formerà a poco a poco «persone mature nella fede, per vivere in contesti nei quali spesso Dio viene ignorato; persone coerenti con la fede, perché si porti in tutti gli ambienti la luce di Cristo; persone che vivono con gioia la fede, per trasmettere la bellezza di essere cristiani».


Per essere se stessa, la Chiesa ha bisogno di sacerdoti, cui il Papa ha rivolto questa esortazione: «Annunciate con coraggio e fedeltà il Vangelo, siate testimoni della misericordia di Dio e, guidati dallo Spirito Santo, sappiate indicare la verità, non temendo il dialogo con la cultura e con coloro che sono in ricerca di Dio». E ha bisogno, come ancora il Concilio ha ricordato collegando strettamente la sua figura alla nozione della Chiesa, di «Maria Santissima, Madre del Signore e Madre della Chiesa, Madre nostra. In lei contempliamo quello che la Chiesa è ed è chiamata ad essere. Con il suo “sì” ha dato al mondo Gesù ed ora partecipa pienamente della gloria di Dio. Anche noi siamo chiamati a donare il Signore Gesù all’umanità, non dimenticando di essere sempre suoi discepoli».


04/07/2011 - VATICANO – CINA - La Santa Sede condanna l’ordinazione episcopale di Leshan di Bernardo Cervellera - In una Dichiarazione resa nota oggi, si afferma che il Vaticano non riconosce il nuovo vescovo, che egli non può amministrare la diocesi e che è scomunicato. Voci a Leshan dicono che il nuovo vescovo abbia due figli. Il Vaticano aveva comunicato da tempo che egli non poteva essere accettato come candidato “per motivi gravi”. Avvertimento anche ai vescovi che hanno partecipato all’ordinazione. Timori che il governo voglia creare uno scisma di fatto, ordinando decine di altri vescovi senza il mandato papale.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Dura presa di posizione della Santa Sede contro l’ordinazione di p. Paolo Lei Shiyin a vescovo di Leshan (Sichuan - v.foto), avvenuta lo scorso 29 giugno senza il mandato del papa (cfr.: 29/06/2011 Leshan, sette vescovi legittimi all’ordinazione episcopale senza mandato del papa).

In una dichiarazione pubblicata oggi dalla Sala stampa, si afferma che il neo-ordinato “è privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana”, che la Santa Sede “non lo riconosce” come vescovo di Leshan; che egli è incorso nella scomunica. Anche ai vescovi consacranti (7, tutti in comunione del papa), si ricorda che essi si sono esposti alla possibilità di scomunica, se non sono stati costretti dall’esterno a parteciparvi.

La dichiarazione, dai toni molto duri e fermi, ribatte che “un’ordinazione episcopale senza mandato pontificio si oppone direttamente al ruolo spirituale del Sommo Pontefice e danneggia l’unità della Chiesa” e precisa: “L’ordinazione di Leshan è stata un atto unilaterale, che semina divisione e, purtroppo, produce lacerazioni e tensioni nella comunità cattolica in Cina”.

L’ordinazione di Leshan è la prima ad avvenire dopo che la Santa Sede aveva diffuso una dichiarazione riguardo alle scomuniche in cui incorrono coloro che partecipano – come candidati o come ordinanti - a una ordinazione illecita (cfr. 13/06/2011 Ordinazioni illecite in Cina: la Santa Sede spiega cosa fare con i vescovi scomunicati).

La particolare durezza si spiega anzitutto col fatto che in questo caso, lo stesso candidato, p. Lei, “era stato informato da tempo – dice la dichiarazione di oggi - che non poteva essere accettato dalla Santa Sede come candidato episcopale, a causa di motivi comprovati e molto gravi”. Secondo voci raccolte da AsiaNews a Leshan, il sacerdote sarebbe già padre di uno o due figli e sarebbe molto legato all’Associazione patriottica: egli è membro della Conferenza consultiva politica del popolo cinese, un organismo di consiglio al parlamento cinese. È vice-presidente dell’Associazione patriottica ed è stato presidente dell’Ap per il Sichuan.

L’altro motivo che spiega la durezza della dichiarazione è che l’Ap (e il governo) stanno pianificando altre decine di ordinazioni illecite creando uno scisma di fatto nella Chiesa cinese e rendendo vano lo sforzo compiuto da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI a riconciliare la Chiesa ufficiale e sotterranea.

La dichiarazione ricorda che l’ordinazione di Leshan “ha amareggiato profondamente il Santo Padre, il Quale desidera far giungere agli amati fedeli in Cina una parola di incoraggiamento e di speranza, invitandoli a pregare e ad essere uniti”.

“La sopravvivenza e lo sviluppo della Chiesa – si aggiunge - possono avvenire soltanto nell’unione a colui al quale, per primo, è affidata la Chiesa stessa, e non senza il suo consenso, come invece è avvenuto a Leshan. Se si vuole che la Chiesa in Cina sia cattolica, si devono rispettare la dottrina e la disciplina della Chiesa”.


Riportiamo qui sotto il testo completo della Dichiarazione:

DICHIARAZIONE DELLA SANTA SEDE:ORDINAZIONE EPISCOPALE NELLA DIOCESI DI LESHAN (PROVINCIA DI SICHUAN, CINA CONTINENTALE)

Riguardo all’ordinazione episcopale del Rev. Paolo Lei Shiyin, avvenuta mercoledì 29 giugno scorso e conferita senza il mandato apostolico, si precisa quanto segue.

1) Il Rev. Lei Shiyin, ordinato senza mandato pontificio e quindi illegittimamente, è privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana, e la Santa Sede non lo riconosce come il Vescovo della diocesi di Leshan. Restano fermi gli effetti della sanzione in cui egli è incorso per la violazione della norma del canone 1382 del Codice di Diritto Canonico.
Lo stesso Rev. Lei Shiyin era stato informato da tempo che non poteva essere accettato dalla Santa Sede come candidato episcopale, a causa di motivi comprovati e molto gravi.

2) I Vescovi consacranti si sono esposti alle gravi sanzioni canoniche, previste dalla legge della Chiesa (in particolare dal canone 1382 del Codice di Diritto Canonico; cfr Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi del 6 giugno 2011).

3) Un’ordinazione episcopale senza mandato pontificio si oppone direttamente al ruolo spirituale del Sommo Pontefice e danneggia l’unità della Chiesa. L’ordinazione di Leshan è stata un atto unilaterale, che semina divisione e, purtroppo, produce lacerazioni e tensioni nella comunità cattolica in Cina. La sopravvivenza e lo sviluppo della Chiesa possono avvenire soltanto nell’unione a colui al quale, per primo, è affidata la Chiesa stessa, e non senza il suo consenso, come invece è avvenuto a Leshan. Se si vuole che la Chiesa in Cina sia cattolica, si devono rispettare la dottrina e la disciplina della Chiesa.

4) L’ordinazione episcopale di Leshan ha amareggiato profondamente il Santo Padre, il Quale desidera far giungere agli amati fedeli in Cina una parola di incoraggiamento e di speranza, invitandoli a pregare e ad essere uniti.

Dal Vaticano, 4 luglio 2011


ABORTO: SEGNO DI UN QUALCOSA DI PEGGIORE? - Un docente di etica alla Santa Croce parla della perdita di umanità - ROMA, lunedì, 4 luglio 2011 (ZENIT.org)

ROMA, lunedì, 4 luglio 2011 (ZENIT.org).- L’aborto è segno di un qualcosa di pervasivo e profondamente radicato nella società: la perdita della identità dell’uomo, in cui gli uomini e le donne non si riconoscono più come esseri chiamati a partecipare del potere creativo di Dio.
Questa è l’osservazione espressa da padre Robert Gahl, professore associato di etica presso la Pontificia Università della Santa Croce.
Al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, padre Gahl ha parlato della storia dell’aborto e di cosa implichi per il futuro.
L’aborto è una piaga universale. Ogni anno si effettuano più di 53 milioni di aborti in tutto il mondo. In alcuni Paesi più del 70% delle donne ha avuto un aborto. Perché oggi sono così dominanti questioni come aborto o eutanasia?

Padre Gahl: È un triste paradosso, che in fondo evoca il peccato originale. Con il peccato originale, Adamo ed Eva hanno tentato di sostituirsi a Dio. Quando gli esseri umani oggi cercano di acquisire il potere divino – il potere sull’origine della vita – e di sostituirsi a lui per poter controllare l’inizio della vita in un modo che è contrario al disegno di Dio e quindi contrario al disegno dell’amore, si sentono per un momento potenti. Arrivano anche a sentirsi vittoriosi per il prodotto che sono riusciti a creare. Tuttavia, poco dopo, subentra la frustrazione e persino la negazione della propria identità, perché essa è un’identità di amore, essendo noi fatti per amare.
I nostri cuori sono fatti per l’amore. Quindi, da persone che amano, nei loro rapporti familiari, diventiamo dei meri produttori, persone che hanno il controllo sui propri prodotti. Diventa la negazione della nostra dignità, perché se il nostro potere di dar vita è semplicemente quello di produrre elementi che implicano che “io sono stato prodotto” e che “io sono semplicemente l’esito di un sistema meccanizzato di produzione”, questa è la negazione della mia dignità come figlio di Dio e come figlio dei miei genitori.
Se guardiamo indietro nella storia, qual è stato il momento, il fattore decisivo, che ci ha portato, per esempio, ad accettare l’aborto e la ricerca sulle cellule staminali e alla prospettiva dell’eutanasia?

Padre Gahl: L’aborto è purtroppo molto diffuso, al punto che oggi molte persone e persino i documenti delle Nazioni Unite, lo considerano come un diritto. L’origine di tutto questo sta nella rivoluzione sessuale, che non è stata una rivoluzione di liberazione, ma una rivoluzione di narcisismo, di alienazione, di distacco dai legami, dagli affetti, dall’amicizia e di amore con altri. Elemento centrale della rivoluzione sessuale, che ha agito come una sorta di catalizzatore – come gettare benzina sul fuoco – è stato lo sviluppo dei contraccettivi chimici, che ha permesso di scindere il rapporto sessuale dalla procreazione e che ha consentito alle persone di godere della sessualità come un mero piacere egoistico. Ha consentito di scollegare quell’intrinseco ordine verso il dono della vita e così facendo ha scollegato la sessualità dagli impegni propri dell’amore: formare una famiglia, diventare padre e madre. È stata una degradazione della dignità umana.
Credo che il problema dell’aborto sia come un faro d’avvertimento. Un segno di avvertimento molto grave, che riguarda la vita stessa, ma che è indicativo di qualcosa di ancora più pervasivo e profondamente radicato nella nostra società, più di quanto non si possa pensare.
E di che si tratta?

Padre Gahl: Della perdita di identità di se stessi, in quanto esseri che partecipano al potere creativo di Dio e che sono chiamati ad essere genitori.
L’aborto è spesso considerato come il diritto di poter scegliere, ma viene addirittura giustificato come espressione di amore. Per esempio: preferirei abortire mio figlio piuttosto che crescerlo privo di amore. Come è possibile che siamo arrivati a questo sovvertimento in cui la morte è giustificata dall’amore?

Padre Gahl: Il vero amore umano è incondizionato. Amare qualcuno nonostante tutto. Nonostante qualsiasi cosa possa accadergli, ti prenderai cura di lui. Se si ammala, se in un incidente diventa paralizzato, ti prenderai cura di lui per il resto della sua vita. Un altro tipo di amore – forse un amore più egoistico – è quello in cui doni a qualcuno solo finché ti va. L’aborto è strumentale a questo tipo di amore, diventa una via d’uscita.
Bisogna invece rovesciare l’intera questione e accogliere tutti, ogni vita umana, come diceva Madre Teresa: non esistono figli non voluti. Se c’è un figlio indesiderato, portatelo a me e io mi prenderò cura di lui perché io amo quel figlio.
E questa è la verità della questione: se dovessimo accettare l’aborto come strumento di una sorta di azione altruistica, che consente di evitare le avversità della vita, ciò porterebbe tragicamente, direi delittuosamente, a sostenere che i disabili non dovrebbero esistere. Una volta fatto questo, arriveremmo alla negazione di ogni dignità umana.
Siamo passati dall’importanza della vita in quanto tale, a dare maggiore importanza alla qualità di quella vita. Questo passaggio verso la qualità della vita porta alla domanda: qual è la qualità della vita? Io vivo qualitativamente bene? E i disabili, godono di una qualità di vita sufficiente? E questa domanda riguarda la loro stessa esistenza.

Padre Gahl: Esattamente. La logica odiosa che è insita in ciò che lei ha appena descritto porta anche a giudicare noi stessi in base alle nostre capacità: io valgo per ciò che sono in grado di fare nella società. Se, a un certo momento, risultassi deludente perché mi sono ammalato, perché ho sbagliato, o perché mi trovo in un settore dell’economia che non è più desiderato dai consumatori, mi sentirei meno accettato da parte degli altri.
Questa struttura di giudizio si applica anche alle madri che danno alla luce bambini affetti, per esempio, dalla sindrome di Down. Queste madri si sentono giudicate negativamente ed è orribile, come se si fosse trattato di una scelta sbagliata, quella di mettere al mondo quel bambino, quel bellissimo essere umano. Questa è l’eugenetica: una logica perversa che ha portato, nelle società occidentali, all’aborto di quasi il 90% dei bambini diagnosticati con sindrome di Down.
Il dono più grande di Dio all’umanità è la possibilità di essere co-creatori della vita insieme a lui. Cosa rappresenta l’aborto in questo rapporto tra l’uomo e Dio?

Padre Gahl: Talvolta dimentichiamo – a causa del nostro “scientismo” che riduce tutto ad elementi scientifici – che l’inizio della vita umana non risiede solo nell’uomo e nella donna, ma anche in Dio. Richiede il concorso di tre persone, perché l’anima umana è immateriale. È un’anima spirituale che è creata direttamente e immediatamente da Dio. Quindi quando un uomo e una donna si uniscono per avere un figlio, questo sarà anche – e ancor di più – figlio di Dio.
Quindi, se riusciremo a recuperare il rispetto della vita, sarà grazie a una rinnovata consapevolezza del ruolo di Dio nel dare la vita e di questo potere che abbiamo insito in noi, che è un potere divino e trascendente. È un potere creativo in cui è come se avessimo Dio nelle nostre mani, perché possiamo, in un certo senso, dire noi a lui quando creare una nuova anima umana. Quindi se rinnoviamo quel rispetto per l’intervento di Dio, rinnoviamo anche il rispetto reciproco tra noi in quanto immagine di Dio, in quanto alter Christus.
In Paesi come la Russia, più del 70% delle donne ha avuto un aborto. I tassi di aborto in alcune province russe arrivano anche a livelli di 8 o 10 aborti per donna, perché è utilizzato come mezzo di controllo delle nascite. In Cina la politica del figlio unico ha costretto molte donne ad abortire. Che impatto spirituale e psicologico può avere questo sulla società?

Padre Gahl: Nell’Europa orientale, dove vediamo questi elevati tassi di aborto, spesso associati a elevati tassi di suicidio, alcolismo e gravi depressioni, esiste un senso di nichilismo, di totale perdita del senso della vita. Questo avviene in una società che non è edificata sull’amore per i propri figli. Questo deve essere rinnovato. Grazie a Dio, in alcuni di questi Paesi si è effettivamente registrata una tendenza positiva. Nella Federazione russa, in particolare, vi è stato un recente aumento nei tassi di natalità. I tassi di aborto sono ancora molto elevati, ma si spera che questo aumento della natalità possa arrivare anche a ridurre i tassi di aborto.
Cosa potrebbe e dovrebbe fare di più la Chiesa in questo ambito?

Padre Gahl: Anzitutto, quando pensiamo alla “Chiesa” tendiamo a pensare alla gerarchia – noi preti, i Vescovi, il Papa – ma in realtà la Chiesa è l’insieme dei cristiani battezzati. La Chiesa è una famiglia e quindi è necessario che tutti i suoi componenti – tutti i cristiani battezzati – accolgano la vita con amore. È necessario dare il proprio aiuto ai centri gravidanze difficili (crisis pregnancy centers). Certamente anche la Chiesa magistrale e gerarchica deve agire in coerenza con i principi della teologia morale cattolica in questo ambito.
La Chiesa deve continuare a seguire l’esempio di Karol Wojtyła, che come Arcivescovo di Cracovia aveva aperto centri di aiuto alle donne in situazioni difficili. Ma alla fine tutto si riduce a questo: Dio è amore. Io sono un figlio di Dio. Io sono fatto a immagine di Dio e quindi anche io devo rendere presente, in mezzo agli altri esseri umani, il volto di Dio, che è il volto dell’amore. Se facessimo così in ogni settore umano, se mostrassimo veramente rispetto per la dignità umana, rispetto e amore per le persone che soffrono, allora potremmo iniziare a recuperare nella società questi principi che sono necessari affinché ogni vita umana venga accettata. In questo modo, la vita non verrebbe più considerata come un mero prodotto, come i figli su misura da progettare in provetta, secondo i desideri dei produttori.
Se posso fare un passo indietro, vorrei aggiungere che anche la stessa nostra sessualità deve essere recuperata, nella consapevolezza che la sessualità è sacra e che quindi i nostri atteggiamenti di modestia e di rispetto verso la nostra sessualità e il desiderio sessuale devono essere vissuti in castità e fortezza, in modo preordinato alla donazione della vita all’interno della struttura della famiglia.
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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.
Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org
Where God Weeps: www.wheregodweeps.org


LA GUERRA DELLA CINA CONTRO LE DONNE E LE BAMBINE - Un avvocato USA contro la politica del figlio unico di Edward Pentin
ROMA, lunedì, 4 luglio 2011 (ZENIT.org).- “La politica cinese del figlio unico provoca più violenza contro le donne e le bambine di ogni altra politica sulla terra, di ogni politica ufficiale nella storia mondiale”.
Queste sono le parole appassionate di Reggie Littlejohn, un avvocato statunitense, fondatrice di Women's Rights Without Frontiers, un’associazione internazionale che lotta contro l’aborto forzato e la schiavitù sessuale in Cina. Californiana, in gioventù ha lavorato accanto a Madre Teresa nei bassifondi di Calcutta. Littlejohn ha avuto i primi contatti con questa politica quando ha rappresentato dei rifugiati cinesi che chiedevano asilo politico negli Stati Uniti negli anni Novanta.
“Sono stati prima perseguitati per essere cristiani e poi forzatamente sterilizzati”, ha ricordato. “Questo mi ha aperto gli occhi a una realtà che non conoscevo”.
Parlando con ZENIT durante una sua recente visita a Roma, Littlejohn ha definito la politica del figlio unico letteralmente una “guerra cinese contro le donne e le bambine”. Aborti forzati tra le donne che violano la politica sono all’ordine del giorno nel Paese e sono talvolta effettuati anche fino a nove mesi di gravidanza. Possono essere così violenti – ha affermato Littlejohn – che “le donne muoiono insieme ai loro figli in procinto di nascere”.
Ma la brutalità dell’aborto forzato non è l’unica violazione dei diritti umani conseguente alla infame “politica di pianificazione familiare”. Essa porta anche al cosiddetto “genericidio”, per la tradizionale preferenza cinese per i maschi, che lascia le femmine soggette all’aborto, all’abbandono e all’infanticidio. Esso porta anche alla schiavitù sessuale poiché l’eliminazione delle femmine ha indotto un maggior traffico di donne provenienti dai Paesi vicini alla Cina, attirate da un eccesso di circa 37 milioni di maschi cinesi rispetto alle femmine.
E sebbene il collegamento non sia pienamente dimostrato, questa politica può anche essere la causa di un più elevato tasso di suicidio tra le donne in Cina (l’Organizzazione mondiale della sanità dice che il Paese ha il più alto tasso di suicidio femminile al mondo, con circa 500 donne cinesi che ogni giorno mettono fine alla propria vita). “Non credo che questo sia slegato dall’aborto forzato, dalla sterilizzazione forzata e l’infanticidio”, ha affermato Littlejohn.
Né sono solo le donne e le bambine ad esserne vittima. Secondo numerose storie trapelate dalla Cina, da individui che rischiano la morte, il Governo applica anche una serie di metodi barbari sugli altri membri della famiglia per far rispettare questa politica. “I metodi usati sono assolutamente terrificanti”, ha affermato Littlejohn. Ricordando un incidente documentato, avvenuto nel marzo di quest’anno, ha spiegato che gli agenti della pianificazione familiare sono andati a casa di un uomo per prelevare la sorella da sottoporre a sterilizzazione forzata. “Poiché non si trovava in casa, hanno iniziato a picchiare suo padre. Quando lui ha cercato di difenderlo, uno degli agenti ha preso un lungo coltello e lo ha pugnalato due volte nel cuore ed è morto. Questo è omicidio”.
Eppure, ad oggi l’omicida non è stato arrestato e nonostante i tentativi della famiglia di rendere nota la storia, i media si sono rifiutati di diffondere la notizia. “Gli agenti della pianificazione familiare sono al di sopra della legge, possono fare qualunque cosa e farla franca ugualmente”, ha affermato Littlejohn. “Stanno terrorizzando la popolazione”.
Le statistiche riguardanti la politica cinese del figlio unico sono sconcertanti. Da che è stata avviata, nel 1979, le autorità si vantano di dire che sono state prevenute 400 milioni di nascite. Il Governo dice anche che sono circa 13 milioni gli aborti che vengono effettuati ogni anno. Questo ammonta a 1.458 ogni 60 minuti o – come ha detto Littlejohn – “a un massacro di Piazza Tienanmen ogni ora”.
“Ciò che è paradossale è che la Cina ha istituito la politica del figlio unico per motivi economici”, ha spiegato Littlejohn. “Volevano ridurre il numero delle coppette di riso da riempire per risparmiare, ma ora è diventata la condanna alla morte economica della Cina”.
Littlejohn ha dato due ordini di motivi per questo. Il primo è la disparità di sesso, con 37 milioni di maschi in più, che sta trainando il traffico di esseri umani e la schiavitù sessuale tra la Cina e i Paesi limitrofi. Il secondo è che la Cina avrà presto una popolazione anziana senza giovani che la possa sostenere. Lo ha definito come uno “tsunami di anziani”, che a suo avviso colpirà il Paese intorno al 2030.
“Non hanno previdenza sociale e per quanto ne so non hanno un piano efficace su come prendersi cura di questa enorme popolazione di anziani che si sta formando”, ha affermato. Per questo motivo è preoccupata “per l’inizio della vita e per la fine della vita” e teme che se la Cina è disposta a forzare l’aborto all’inizio della vita, “cosa vorranno forzare alla fine della vita quando si troveranno di fronte lo tsunami di anziani?”. Ha poi osservato che i cinesi hanno una cultura del rispetto degli anziani, ma si chiede se l’idea di eutanasia guadagnerà terreno quando le conseguenze demografiche della politica saranno pienamente realizzate.
“Chiaramente, la politica del figlio unico non ha più alcun senso. Allora perché mantenerla?”, si è chiesta Littlejohn. “Io credo che il motivo non sia tanto perché è una forma di controllo demografico, ma perché è una forma di controllo sociale”.
Tenere duro
Le autorità cinesi hanno detto che la politica rimarrà inalterata fino alla fine del 2015, anche se ha recentemente fatto intendere di voler forse concedere una politica dei due figli. Tuttavia, secondo Littlejohn questa non sarebbe in grado prevenire gli aborti forzati, le sterilizzazioni o gli infanticidi. Né sarebbe in grado di migliorare il trend demografico della nazione. Una politica dei due figli è già in atto nelle zone rurali e tra le minoranze, nel caso in cui il primo figlio sia femmina, ma ha fatto ben poco per ridurre la diffusa pratica di abortire le femmine, in un Paese con una pesante preferenza maschile.
Nonostante le diffuse violenze e il trauma inflitti dalle autorità, i governi occidentali hanno fatto poco per ottenere un cambiamento da parte della Cina. “Sono stati molto deludenti e deboli”, ha detto Littlejohn. “Questa dovrebbe essere la questione principale degli attivisti dei diritti umani, in ragione delle dimensioni della Cina. Un essere umano ogni cinque vive sotto la terrificante morsa della politica cinese del figlio unico. E non sono solo le donne ma anche gli uomini. La gente dice: perché la donna non cerca di scappare per avere il bambino? Non può scappare, perché se la prenderebbero con il padre, il fratello, il marito”.
Secondo Littlejohn, il Segretario di Stato USA, Hillary Clinton, si è espressa “con forza” contro l’aborto forzato in Cina e la Casa Bianca l’ha invitata a riferire sulla questione ascoltandola con attenzione. Ma, a suo avviso, questa linea non si è ancora “tradotta in un’azione concreta”. Littlejohn sostiene che i governi non vogliono battere questo punto perché la Cina vanta grandi crediti finanziari.
Inoltre, sia gli Stati Uniti che le Nazioni Unite contribuiscono a finanziare quella politica attraverso l’UNFPA (United Nations Family Planning Fund), oltre all’IPPF (International Planned Parenthood Federation), e a Marie Stopes International. A suo avviso, queste organizzazioni sono “fornitori di aborto” in Cina. Inoltre, sebbene nel 2001 gli Stati Uniti abbiano ridotto i finanziamenti all’UNFPA, perché era stata scoperta la sua complicità con la politica del figlio unico, il Dipartimento di Stato li ha ristabiliti nel 2009.
Tuttavia, negli Stati Uniti sta crescendo il sostegno all'abolizione dei finanziamenti USA. In questo senso, la rappresentante Renee Ellmers ha proposto una normativa che taglierà i finanziamenti all’UNFPA, con un risparmio di 400 milioni di dollari nei prossimi 10 anni. Littlejohn ha sottolineato che il disegno di legge deve ancora essere approvato in commissione per poi passare all’Assemblea, quindi c’è ancora tempo per gli elettori per fare pressione sui loro parlamentari.
Dal punto di vista positivo, questa orribile politica ha inavvertitamente unificato non solo gli abortisti pro-choice e gli attivisti pro-vita nell’opposizione all’aborto forzato, ma ha anche ravvicinato le religioni. Littlejohn ha evidenziato che nessuno tra cristiani, ebrei, musulmani o buddisti sostiene l’aborto, il che significa che “i credenti di queste religioni che sono costretti ad abortire lo vedono come una forma di persecuzione religiosa”.
Eppure, nonostante l’estensione di questa tragedia dei diritti umani, Littlejohn ha espresso ottimismo per il futuro. “Non è possibile che questa storia vada avanti ancora per molto”, ha affermato. “O il Partito comunista cinese accorderà la fine di queste atrocità, o queste avranno fine anche senza il suo consenso”.
Su Internet:
Un breve ma efficace filmato fatto da Women’s Rights Without Frontiers, sulla politica cinese del figlio unico: www.youtube.com/watch?v=JjtuBcJUsjY
La petizione internazionale contro l’aborto forzato e la schiavitù sessuale in Cina può essere firmata qui: www.womensrightswithoutfrontiers.org/index.php?nav=sign_our_petition
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Edward Pentin è autore freelance. Vive a Roma e può essere contattato a questo indirizzo: epentin@zenit.org.


La fattoria degli uomini Di Giuliano Guzzo - 04/07/2011 - http://www.libertaepersona.org

«Una mucca, un maiale, un coniglio o una tigre — ha detto il Ministro del Turismo Brambilla — devono avere le stesse tutele del cane o del gatto di casa, perché gli animali nascono uguali davanti alla vita ed è proprio la vita il loro primo diritto». Confesso di non essermi mai posto il problema di gerarchie all’interno del mondo animale, mentre da tempo mi chiedo se gli uomini siano davvero «uguali davanti alla vita». I 130.000 bambini a cui ogni anno, in Italia, viene impedito di nascere e le svariate migliaia di embrioni umani prodotti per la fecondazione salvo poi essere scartati o dimenticati in freezer, mi portano a dubitarne fortemente.

Di qui un piccolo grande dubbio: com’è possibile affermare che «gli animali nascono uguali davanti alla vita ed è proprio la vita il loro primo diritto» quando siamo noi per primi – noi "civilizzati" e "progrediti" - a non garantirci eguaglianza e diritto alla vita? Prima di preoccuparci per i diritti agli animali, forse, è il caso di rinfrescarci la memoria su quelli che sappiamo assicurarci vicendevolmente. Perché la prima regola di chi vuole farsi garante o addirittura insegnare un principio alto e nobile come l’eguaglianza , si sa, è il buon esempio. E non è affatto detto che su questo versante siano gli animali, oggi, coloro che più abbisognino di lezioni.


Svezia: i bambini senza sesso in un laicissimo stato confusionale Di Enzo Pennetta - 04/07/2011 - Bioetica – da http://www.libertaepersona.org

Per decenni siamo stati abituati a ritenere la Svezia un paese all’avanguardia, avanti dal punto di vista del comportamento sessuale, dell’organizzazione sociale, del pensiero scientifico (vedi premio Nobel) e della modernità in generale, ma ultimamente qualcosa deve essere andato storto, forse a correre troppo alla fine si rischia di inciampare.

Una delle ultime notizie arrivate dalla Svezia riguarda il concetto di Gender:
«A Egalia, asilo svedese di Stoccolma, i bambini possono «essere chi vogliono essere»: il lego è di fianco alle pentole per cucinare, le bambole sono asessuate, Biancaneve e Cenerentola sono abolite. Il corpo docenti non usa i pronomi “lui” e “lei”, ma il neutro così che ogni bambino possa scegliere il sesso che preferisce»
Da Tempi.it: Di Chiara Sirianni, 30 Giu 2011

L’idea che l’orientamento sessuale e le varie differenze tra maschi e femmine siano frutto dell’educazione e dell’ambiente in generale, va sotto il termine di teorie del Gender. Secondo queste teorie il sesso biologico può non coincidere con quello psicologico, o ancor di più, la natura è irrilevante: ciò che conta è come ci "sentiamo" e soprattutto come "vogliamo" essere.

Secondo gli evoluti psicologi svedesi, che stanno dietro l'esperimento dell’asilo di Egalia, dunque la differenza genetica tra maschi e femmine non conta molto, essa determinerebbe solo i caratteri sessuali fisici, la genetica insomma non determina le scelte e i comportamenti.

Ma sempre in Svezia qualche tempo fa era stata fatta una “scoperta” diametralmente opposta:
Sembra la scusa perfetta per il marito colto in flagrante: "Scusa, tesoro, ma sono nato così, non è mica colpa mia". Scienziati svedesi hanno infatti scoperto il gene dell'infedeltà: una specie di motorino che alcuni maschi hanno nel proprio Dna e altri no.
Da Repubblica.it: Di Enrico Franceschini, 3 settembre 2008

Insomma, se per gli scienziati svedesi esiste addirittura un gene che favorisce l’infedeltà, (affermazione tra l’altro scientificamente molto “discutibile”) ma perché allora non informano gli insegnanti dell’asilo di Egalia che nei cromosomi non esiste la neutralità sessuale?

Ebbene sì, in Svezia devono avere le idee molto confuse, in un’apoteosi di orwelliano bipensiero si afferma che il comportamento sessuale è determinato prevalentemente dall’ambiente a prescindere dai cromosomi x e y, e contemporaneamente si afferma l'esatto contrario, cioè che il comportamento è determinato in prevalenza geneticamente.

Chissà se un giorno anche noi saremo così “avanzati” come in Svezia.