sabato 15 marzo 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Cara Miriam, mi spiace polemizzare con te, di Giuliano Ferrara
2) Vita, morte e nessun miracolo dell’esecutivo di centro sinistra. Dalla tutela della vita umana e della famiglia naturale ai rapporti con la Chiesa: un bilancio fallimentare.
3) Lettera di Julián Carrón per la morte di Chiara Lubich
4) Coda: dalla vita della Lubich una novità per il mondo
5) Il sangue del Tibet sulla Pechino dei Giochi


Dal Foglio.it
Cara Miriam, mi spiace polemizzare con te
Di Giuliano Ferrara
Ma il tuo articolo su Repubblica mi ha traumatizzato
Cara Miriam, mi spiace polemizzare con te perché, per ragioni di lunga amicizia familiare, è come se polemizzassi con mia madre. Ma devo dirti che il tuo articolo di ieri su Repubblica mi ha traumatizzato. Lo trovo incredibile, ideologico in un senso disumanizzante, anche sul piano dei rapporti personali. Tu attribuisci alla mia “forsennata” campagna contro l’aborto, che spacci mendacemente come una campagna contro la 194, senza un soprassalto di riflessione e di verità che da te mi sarei atteso, il risultato di spingere le donne all’aborto clandestino. Non è decente, anche se la cosa è sussurrata in modo insinuante e riposta in una zona non troppo visibile del tuo giornale. Quello stesso giornale che, in altre pagine, si apre bene o male alla discussione onesta sulla scia del libro di Sofri “Contro Giuliano”.
Le inchieste di Genova, battezzate audacemente “operazione Erode”, sono cominciate nell’ottobre del 2007, tre mesi prima del mio appello a una moratoria per l’aborto. Dunque: non solo non c’è alcun nesso di merito tra le cose che ho preso a dire con forza dopo il voto dell’Onu e quella vicenda giudiziaria e di costume, ma i fatti sui quali suggerisci una qualche mia influenza sono precedenti al mio articolo del 19 dicembre sulla moratoria. Stabilire ex post un collegamento denigratorio è semplicemente incongruo da parte di una persona come te, alla quale voglio bene ma, da oggi, con pudore e dolore personale.
La cosa più grave di tutte è che tu sorvoli sul fatto, registrato dai cronisti del tuo stesso giornale, che le “innocenti” motivazioni di quegli aborti clandestini, riservati e appartati rispetto alla “trafila burocratica” della legge 194, sono un patente tradimento della lettera e dello spirito di quella legge. Che infatti tu inviti obliquamente a ripensare, perché l’aborto diventi un diritto indiscutibile, non più soggetto ad alcuna verifica sociale di tutela della maternità e della vita fin dal suo inizio, come è scritto nella legge che fingi di difendere da un attacco oscurantista nel momento stesso in cui la vuoi correggere in senso ultra-abortista. Mi colpisce poi il tuo sovrano disinteresse per aborti decisi senza che sia in questione la salute fisica o psichica di una donna, per pura valutazione di opportunità o di convenienza.
La verità è che un inganno vige sovrano da trent’anni. Fu strappata al Parlamento italiano una legge di regolazione dell’aborto ispirata in teoria alla lotta contro l’aborto clandestino e alla prevenzione sociale del fenomeno dell’aborto. Ma fin dal principio quel compromesso ha cominciato a ratificare, per pura mistificazione ideologica, un diritto assoluto e sovrano sulla vita nascente da parte del soggetto femminile, cioè di un’astrazione ideologica che si chiama Donna e che non è le donne. Le donne sono con i bambini ingoiate nel buio dell’aborto, non assassine (lo pensava anche la Ginzburg). Perfino quando lo decidono per un reality show. Ma gli argomenti libertari oggi sbandierati o dissimulati sono pestiferi. Le donne sono senza colpa, l’ideologia maschile e vile della Donna no.
Questa discussione atroce, che per dovere etico e per impulso personale ho creduto giusto riproporre con grande imbarazzo di tutti o quasi tutti, si svolse anche allora. Ho ripubblicato una polemica di Antonello Trombadori con Carla Ravaioli che verteva proprio su questo punto. Non so all’epoca quale fosse la tua opinione. Se è cambiata, se pensi che la 194 sia una trafila burocratica che inquisisce nella libera coscienza delle donne, e che va abolita, prendi il coraggio a quattro mani e dillo senza tante storie, come ha fatto sul mio giornale una persona onesta come Roberta Tatafiore, senza ricorrere a sotterfugi e senza indicarmi alla gogna estremista e fanatizzata del tuo popolo di lettori innocenti.



Vita, morte e nessun miracolo dell’esecutivo di centro sinistra. Dalla tutela della vita umana e della famiglia naturale ai rapporti con la Chiesa: un bilancio fallimentare.
Il Timone ha raccolto per voi le prove.


Maggio 2006: Comunisti e Radicali al potere. La formazione di Governo è sostenuta da 21 partiti, e conta 103 membri tra ministri e sottosegretari: è l'esecutivo più numeroso di sempre.
Ma, soprattutto, è il primo governo della storia repubblicana a vedere la partecipazione diretta di Rifondazione Comunista e dei Radicali italiani, divenendo così l'unico governo sostenuto dall'intera sinistra parlamentare, cosa che non accadeva più dal 1947.
Maggio 2006: la sperimentazione sugli embrioni. Non sono ancora trascorsi quindici giorni dalla nascita dell'esecutivo, che il ministro dell'Università e della Ricerca Fabio Mussi ritira, a Bruxelles, l'adesione italiana a una moratoria nell'uso degli embrioni come cavie di laboratorio, voluta dal governo Berlusconi insieme a Germania, Polonia, Slovenia, Austria e Malta. È il 30 maggio 2006. Mussi auspica apertamente «il cambiamento della legge 40».
Infuria la polemica politica. Ma, pur di salvare la ghirba del Governo, i cattolici che sostengono la maggioranza bocciano una mozione presentata dall'opposizione, nella quale la tutela dell'embrione è affermata in maniera inequivocabile.
Giugno 2006: l'anticamera dell'eutanasia. I partiti di governo lanciano nella mischia il senatore Ignazio Marino, "cattolico", che il 27 giugno 2006 presenta - insieme alla capogruppo dell'Ulivo al Senato Anna Finocchiaro - un disegno di legge sul "Testamento biologico", anticamera dell'eutanasia. Questa iniziativa - guardata con approvazione anche da settori dell'opposizione - sembra destinata al successo, e viene fermata solo dalla caduta del Governo.
Settembre 2006: al Papa ci pensino le Guardie Svizzere. Romano Prodi è a New York per intervenire all'Onu. È il 19 settembre e un giornalista gli domanda che cosa ne pensi dell'allarme lanciato da Ali Agca, che ha parlato di pericoli per il viaggio in Turchia del Papa. «Che cosa vuole che sappia, io, della sicurezza del Papa in Turchia? Non so nulla, in proposito, vedranno le sue guardie...» è la sconcertante risposta del premier.
Novembre 2006: la droga raddoppia. Il ministro della Salute Livia Turco, "cattolico", emana un decreto sul tema delle droghe: viene innalzato da 500 a 1000 milligrammi il quantitativo massimo di cannabis che può essere detenuto per uso personale. È il 13 novembre 2006. Si scatenano aspre polemiche e dopo alcuni mesi il decreto viene affondato da una decisione del TAR.
Febbraio 2007: i Dico per le unioni tra omosessuali. È la sera dell'8 febbraio 2007 quando tutti i principali telegiornali si aprono con le immagini del Ministro delle Pari opportunità Barbara Pollastrini e del Ministro della Famiglia Rosy Bindi che annunciano con toni trionfalistici il disegno di legge sui Dico. La sigla - che significa "DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi" - indica la volontà del Governo Prodi di riconoscere una serie di diritti alle coppie di fatto, anche dello stesso sesso. È il provvedimento più contestato di tutta la breve vita dell'esecutivo di centro sinistra. Il Ministro Bindi si giustifica dicendo che alla stesura del decreto «hanno collaborato molti giuristi cattolici», guidati da Renato Balduzzi (presidente del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) e da Stefano Ceccanti (ex presidente della FUCI - Federazione Universitaria Cattolica Italiana). La Chiesa e le opposizioni intervengono duramente, e ne scaturisce una mobilitazione che sfocia nel Family Day, a Roma, il 12 maggio 2007. Anche esponenti della maggioranza prendono poco alla volta le distanze dai Dico, che naufragano.
Il rapporto con la Chiesa cattolica. La vicenda dei Dico porta il Governo al minimo storico nei rapporti fra potere politico e Chiesa in Italia. Alcuni cattolici che fanno parte dell'esecutivo tentano di far credere che i Dico siano compatibili con il Magistero, e vengono apertamente sconfessati dalla Conferenza episcopale. I partiti della sinistra al governo (comunisti, verdi, socialisti) e i radicali aprono il fuoco contro "l'ingerenza del Vaticano nella politica italiana". I rapporti con la Chiesa resteranno tesi per tutta la legislatura.
Luglio 2007: arrivano i CUS. Di fronte al fallimento clamoroso dei Dico, la maggioranza non demorde e si inventa i CUS (Contratti di Unione Solidale). È il 12 luglio del 2007. I due conviventi, anche dello stesso sesso, ricorreranno al notaio o al giudice di pace. L'ideatore è il senatore Cesare Salvi. L'iter del provvedimento sembra più facile di quello toccato ai Dico, ma viene bruscamente interrotto dalla fine del governo.
Luglio 2007: attacco alla legge 40 del 2004. Il Ministro della Salute Livia Turco - con l'appoggio di ampie fette della maggioranza - avvia un progetto di riforma delle Linee Guida della Legge 40 sulla fecondazione artificiale. Obiettivo: rendere più permissiva la legge in vigore, aggirando alcuni divieti in essa contenuti. Proprio quando il Ministro sta per pubblicare il regolamento, il governo cade. Ma in queste settimane la Turco potrebbe ancora emanare le nuove regole, che affosserebbero la legge vigente.
Gennaio 2008: il bavaglio al Papa. C'è lo zampino del Governo nella vergognosa vicenda della Sapienza: mentre monta l'ostilità contro la visita del Papa, Prodi e i suoi ministri tacciono. Parleranno soltanto quando il Pontefice annuncerà di aver rinunciato. Il Ministro degli interni Giuliano Amato - rivela Andrea Tornielli su il Giornale – avrebbe consigliato il Papa di inventarsi una malattia diplomatica e restarsene a casa.
Che fine hanno fatto i protagonisti? A futura memoria, è interessante ricordare che cosa fanno oggi i protagonisti di questi atti. Romano Prodi ha annunciato che non si ricandiderà. Fabio Mussi e Cesare Salvi sono esponenti di spicco della Sinistra Arcobaleno, che candiderà come premier Fausto Bertinotti. Livia Turco è una dirigente del nuovo Partito Democratico guidato da Walter Veltroni. Rosy Bindi è stata candidata alle primarie del Partito democratico e ne è elemento di spicco. Barbara Pollastrini è uno dei 45 membri del Comitato nazionale per il Partito democratico. Del quale fanno parte anche Ignazio Marino, Giuliano Amato e Anna Finocchiaro.
Conclusioni
Di fronte a fatti così eloquenti, si impongono alcune considerazioni. La prima: il Governo Prodi ha progettato una serie di attentati alla legge naturale e alla libertà di parola della Chiesa, che non si sono concretizzati solamente per la sua fine prematura. Dunque, la caduta del Governo Prodi è stata provvidenziale. Secondo: è la prima volta nella storia repubblicana che è il governo (e non il Parlamento) a farsi direttamente promotore di iniziative così numerose di marca anti-cattolica. Terza e ultima considerazione: il giorno in cui ognuno di noi dovrà andare a votare, sarà bene non dimenticare questi venti mesi di autentico assedio ai valori che contano. La minaccia continua.
Mario PALMARO
IL TIMONE - Marzo 2008 (pag. 12-13)


DALLA PROLUSIONE DI BAGNASCO
QUEL SENTIRSI COMUNITÀ DI INTENTI

CESARE MIRABELLI
La solidarietà è un «dovere costituzionale». È probabile che un’affermazione così pe­rentoria in molti susciti sorpre­sa o perplessità. Siamo abitua­ti a considerare la Costituzione come la 'carta dei diritti', spes­so il sostegno per le nostre ri­vendicazioni, la leva per affer­mare come pretesa la soddisfa­zione delle proprie attese nei confronti degli altri e delle isti­tuzioni. Al più, diritti che trova­no un limite nei diritti altrui, quasi per un regolamento di confini tra opposti egoismi. Ep­pure accanto ai diritti, anzi, l’al­tra faccia dei diritti sono, ap­punto, i doveri verso gli altri e quelli connessi all’essere ed al sentirci comunità.
Una delle più importanti di­sposizioni costituzionali, che e­sprime al meglio l’impostazio­ne personalistica che pervade tutta la Carta fondamentale, ri­conosce e garantisce i diritti in­violabili dell’uomo, ancorati al­la dignità della persona, di ogni persona. Ma non si ferma a questo. L’articolo 2 della Costi­tuzione allo stesso tempo e con pari forza «richiede l’adempi­mento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, econo­mica e sociale». Si va oltre la li­bertà dal bisogno, come condi­zione per l’effettivo godimento, da parte dell’individuo, dei suoi diritti di libertà, per aprire ad u­na dimensione solidaristica la stessa concezione dei diritti. Es­sere e sentirsi una comunità, appunto, che ha comuni desti­ni, nella quale ciascuno opera con l’originalità che gli è pro­pria, in una prospettiva attenta al bene comune. In maniera sorprendente affiorano, nelle a­sciutte formule giuridiche, non solo principi, ma anche valori che animano e danno sostanza a quei principi.
«Dobbiamo uscire dall’indivi­dualismo, dal pensare egoisti­camente solo a se stessi e alla propria categoria nella dimen­ticanza di tutti gli altri». Que­st’esortazione del cardinale Ba­gnasco, contenuta nell’ultima prolusione al Consiglio perma­nente della Cei, riflette un do­vere morale, una visione del­l’uomo radicata nella dimen­sione religiosa. Questa, tutta­via, si inquadra bene anche in quei valori che animano la Co­stituzione e ne fanno non solo un documento giuridico, ma l’espressione profonda del sen­tire di una comunità. La prolu­sione ha raccolto anche «le at­tese più urgenti», comunemen­te avvertite: l’emergenza abita­tiva, una maggiore sicurezza nel lavoro, il sostegno alla mater­nità, la difesa del potere d’ac­quisto di chi trae il sostenta­mento dal proprio lavoro o dal­la pensione... Ed ha invitato ad un impegno convergente, «nel rispetto dei ruoli che il corpo e­lettorale vorrà assegnare», «per dare un miglioramento effetti­vo alle condizioni di vita della parte più consistente della po­polazione ». Su questo terreno si esprime il dovere di solidarietà al quale la Costituzione ci richiama: non solo sociale ed economica, ma anche politica. L’obiettivo è co­mune, vi può essere una diver­sa visione dei mezzi per conse­guirlo, e la scelta tra essi può es­sere oggetto di dibattito e di competizione, ma non di scon­tro o di reciproca interdizione tra quanti, nell’agire politico, hanno a cuore il bene comune.


Lettera di Julián Carrón per la morte di Chiara Lubich
Milano, 14 marzo 2008
Carissima Eli,
insieme agli amici di Comunione e Liberazione partecipo al dolore tuo e di tutto il movimento dei Focolari per la morte di Chiara Lubich. Nulla di ciò che è stata andrà perduto, per la sicurezza che ci viene dalle parole del Signore Gesù: «Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati».
Cristo l’ha assimilata a sé attraverso la strada della croce, che lei ha vissuto come offerta totale per la vita della Chiesa. Chiara ora vede faccia a faccia il volto del Padre, che ha suscitato in lei un carisma per rendere vivo l’avvenimento cristiano come luce che sostiene la speranza. Così la maternità spirituale è fiorita in lei dal suo sì al disegno di Dio, dentro l’alveo della nostra madre Chiesa.
Ricordando i lunghi anni di amicizia con don Giussani, culminata quel 30 maggio 1998 in piazza San Pietro con le loro testimonianze davanti a tutta la Chiesa e al mondo, raccomando l’anima di Chiara alla misericordia del Padre, in attesa del bel giorno della vittoria finale di Cristo Risorto, giorno della resurrezione della carne per la felicità eterna. Chiara e don Giussani sostengano i nostri passi, per una fede sempre più appassionata e ragionevole sulla strada che hanno aperto per noi, nella sequela del Santo Padre.
don Julián Carrón
Carissima
Eli Folonari
Movimento dei Focolari
Rocca di Papa (Rm)



TESTIMONI DELLA FEDE
il fatto
Il presidente dei teologi italiani sottolinea il rinnovamento spirituale portato dalla fondatrice del movimento dei Focolari. Con semplicità e radicalità evangelica
Carisma fecondo
Coda: dalla vita della Lubich una novità per il mondo
Avvenire, 15 marzo 2008
DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO
Piero Coda, presidente dei teologi italiani e segretario della Pontificia accademia di teologia, non ha esitazione. Dice di Chiara Lubich, precedendo ogni domanda: «Rappresenta nel cammino la testimonianza di un grande carisma che non avrei ti­more di collocare accanto ai grandi carismi che hanno rinnovato lungo i secoli la vita della chiesa: Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila, Teresina di Lisieux. È stata una grande discepola di Gesù che, in sintonia con il Vaticano II, ci ha fatto gustare una Chie­sa comunione, aperta a 360 gradi e capace di incidere con una cultura nuova nel nostro tempo».
Monsignore, Chiara Lubich non è un po’ come il seme morto per rinascere?
Certamente ha dato vita a una grande corrente di rin­novamento spirituale, cul­turale e sociale nella vita del­la Chiesa del nostro tempo. La sua partenza è il corona­mento di una esistenza straordinaria e, al tempo stesso, è questo chicco di frumento che cade in terra, unito a Gesù, il Signore che tra qualche giorno celebre­remo morto e risorto. Chic­co di frumento chiamato a portare ancora più frutti. Certamente la partenza di Chiara apre uno scenario nuovo anche per la presen­za dell’azione del Movi­mento dei Focolari e prelu­de, ne sono certo, a una sta­gione ricca di frutti, di nuo­ve frontiere in fedeltà a quel carisma dell’unità che lo Spirito Santo ha elargito a Chiara e di cui Chiara si è fat­ta testimone lungo questi decenni.
Lei ha detto: ancora altri frutti. Perché da quei giorni di guerra di frutti già ce ne sono stati, pensiamo ai tan­ti Focolari diffusi in tutto il mondo. Questi frutti cosa rappresentano nella vita della Chiesa?
Il contributo specifico di Chiara è racchiuso nel cari­sma dell’unità che la Chie­sa ha riconosciuto essere presente nella vita di Chia­ra e nella sua azione attra­verso l’opera da lei fondata, l’opera di Maria. Chiara ha portato una straordinaria corrente di rinnovamento spirituale. Direi semplicemente che ci ha richiamati a vi­vere il Vangelo sine glossa, cioè a vivere l’amore di Dio con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze, in risposta al­l’amore che Dio ha per noi in Gesù, e ad amare il prossimo, qualunque esso sia, come noi stessi. Questa semplicità e ra­dicalità del Vangelo è il cuore della novità che Chiara ha portato e che poi ha saputo declinare lei stessa e la costel­lazione di uomini, donne, bambini, giovani, adulti, fami­glie, uomini di Chiesa, membri di altre Chiese e appartenenti ad al­tre religioni. Vale a dire, l’universo di tutti quelli che sono stati coin­volti da lei in questo ideale di unità.
Non c’è qualcosa di francescano in tutto questo? Lei, del resto, scel­se di chiamarsi Chiara, benché le avessero dato il nome di Silvia.
Chiara è all’inizio di una corrente di rinnovamento spirituale che get­ta le radici molto lontano nella spi­ritualità della Chiesa. Ci sono due grandi scuole alle quali si è forma­ta: quella di San Francesco (era o­riginariamente terziaria france­scana) e quella rappresentata dal­l’Azione Cattolica di cui Chiara e­ra attivamente partecipe. Sono sta­te le due scuole di Chiara ragazza e poi di Chiara giovane, all’interno delle quali si è insinuata progressi­vamente, con forza sempre più limpida, la novità di un tocco del­lo Spirito nuovo, di un carisma i­nedito riconosciuto prima dal ve­scovo di Trento e poi dalla Chiesa universale.
C’è un altro aspetto di questa spi­ritualità dei Focolari: ilVangelo vis­suto. In cosa consiste?
Significa accostarsi alla parola di Dio che ci è consegnata dalla Sa­cra Scrittura, interpretata dalla Chiesa lungo i secoli. Vuol dire ac­costarsi a questa parola di Dio fa­cendone alimento per la propria vita non soltanto spirituale, ma fa­cendone lampada per i propri pas­si, cioè ispirazione per il proprio cammino, per il proprio servizio nella Chiesa e nel mondo, nella vi­ta di famiglia, nell’impegno cultu­rale. Vangelo vissuto significa, co­me insegna il Vaticano II, il fer­mento, il lievito, il sale di una pre­senza dei cristiani della vita nel no­stro tempo.
I fondatori di quasi tutti i grandi movimenti ecclesiali contempo­ranei sono italiani. Come spiega il teologo questa singolarità?
La stagione della Chiesa cattolica, prima e dopo il Vaticano II, ha co­nosciuto un grande momento di rilancio e di rivitalizzazione attra­verso dei fondatori che affondano le loro radici in esperienze e tradi­zionni cristiane molto ricche. Chia­ra, ad esempio, viene dalla città di Trento, quindi da una esperienza di vita cristiana intensa e molto vi­va. È come il segno che la vita del­la Chiesa è un tronco millenario saldamente ancorato nelle sue ra­dici e che è capace proprio per que­sto di generare germogli sempre nuovi e imprevisti.
«Il suo contributo è racchiuso nel carisma dell’unità che la Chiesa ha riconosciuto presente nella sua opera»


15/03/2008 10:46
TIBET
Il sangue del Tibet sulla Pechino dei Giochi
di Bernardo Cervellera
A pochi mesi dalle Olimpiadi di Pechino, il governo cinese in allerta sopprime con carri armati e soldati le richieste disperate dei giovani tibetani. La Cina raccoglie quello che ha seminato: in quasi 50 anni, non ha mai dato alcuna speranza alla popolazione del Tibet, ampliando invece il controllo e il genocidio.

Roma (AsiaNews) - Dieci morti e i carri armati a Lhasa sono la risposta cinese al “terrorismo” tibetano, che riesce ad esprimersi solo con proteste, marce di monaci e civili, negozi in fiamme, auto bruciate.
A quasi 50 anni dalla rivolta repressa nel sangue, che ha portato all’esilio il Dalai Lama e decine di migliaia di tibetani, una nuova fiammata rischia di far divampare un incendio violento. Il tutto a pochi mesi dalle Olimpiadi, che Pechino sbandiera come i Giochi della pace e della fraternità universale.
Sono proprio le Olimpiadi ad aver acceso la scintilla. Atleti tibetani hanno domandato di partecipare alle Olimpiadi sotto la bandiera del Tibet, ma la Cina lo ha negato. Per le cerimonie d’inizio e fine dei Giochi sono previste performance di danzatori tibetani sorridenti sotto la bandiera cinese, mentre a Lhasa e nel Tibet la popolazione rischia il genocidio.
Un genocidio anzitutto economico: le alte terre himalayane, ricche di minerali, sono disseminate di scienziati cinesi che ricercano miniere di rame, uranio e alluminio, mentre ai locali non resta che l’abbandono dei loro pascoli e il lavoro nelle fabbriche cinesi. Il turismo, con il suo strascico di alberghi, karaoke, prostituzione, è tutto in mano ai milioni di coloni cinesi, violentando la cultura ancestrale.
La Cina dice che tutto questo serve per lo sviluppo della popolazione. Forse è anche vero, se non ci fosse anche il genocidio culturale e religioso: nessun insegnamento della religione e della lingua tibetane; nessuna esibizione o lode al Dalai Lama, controllo di ferro sui monasteri e i civili grazie allo spiegamento di oltre 100 mila soldati cinesi.
Nel ’95 il controllo di Pechino è giunto fino a determinare il “vero” Panchen Lama, eliminando quello riconosciuto dal Dalai Lama. E dallo scorso settembre, tutte le reincarnazioni dei buddha (fra cui quella del Dalai Lama stesso, ormai 70enne), per essere “vere”, devono avere l’approvazione del Partito.
Le proteste di questi giorni, portate avanti soprattutto da giovani monaci e civili sono il frutto della disperazione davanti al lento morire di un popolo impotente. Tale disperazione è creata anche da Pechino. Per tutti questi anni il Dalai Lama ha proposto alla Cina una soluzione pacifica, con un’autonomia religiosa per il Tibet, rinunciando all’indipendenza.
Vi sono stati anche incontri fra rappresentanti del governo tibetano in esilio e le autorità del governo cinese. Ma quest’ultimo, alla fine, ha sempre sbattuto la porta in faccia, sospettando chissà quali mire indipendentiste nell’Oceano di Saggezza (un altro nome del Dalai Lama), che ormai desidera solo essere un leader religioso.
La mancanza di segni di speranza porta a gesti disperati. Temiamo che la situazione a Lhasa diventi sempre più incandescente o spinga la Cina a soluzioni estreme, con la scusa di combattere “il terrorismo separatista”. Per la Cina è il momento della verità: dopo essersi preparata a diventare un Paese moderno per le Olimpiadi, deve mostrare di essere tale anche nel risolvere crisi sociali e di libertà. L’apertura di un dialogo col Dalai Lama sarebbe il passo da fare. Sembra quasi una nemesi storica che a decidere questo debba essere il presidente Hu Jintao.
Nel marzo ’89 vi è stata un’ennesima rivolta in Tibet, conclusa con un massacro e con la legge marziale, decretata proprio da Hu Jintao, a quel tempo segretario del Partito a Lhasa. Pochi mesi dopo vi è stato il grande massacro di Tiananmen a Pechino. Ma dopo quasi 20 anni Hu Jintao si trova davanti agi stessi problemi. La repressione non ha risolto nulla: è tempo per un altro tipo di soluzione.