Nella rassegna stampa di oggi:
1) Il figliolo del Cav. confida a Vanity Fair la sua filosofia di vita, di Giuliano Ferrara
2) Il grido d’allarme di Ratzinger: «Deriva secolare nella Chiesa»
3) Dopo il voto in Spagna ,Il ruolo dei cattolici tra collaborazione leale e presenza incisiva
4) La Chiesa spagnola continuerà a battersi contro aborto ed eutanasia Ribadisce il Primate di Spagna dopo la rielezione di Zapatero
5) Staminali adulte, l’Europa si muove - La Commissione Ue valuta le cellule riprogrammate
Da il Foglio.it
Le confessioni di Piersilvio
Il figliolo del Cav. confida a Vanity Fair la sua filosofia di vita
Di Giuliano Ferrara
Il giovane uomo che oggi dirige le televisioni Mediaset, e che si chiama Piersilvio Berlusconi, ha un tratto personale amabile. Dicono che sia bravo e che meriti per intero la sua fortuna. Lo ricordo ragazzo, poi l’ho genericamente perso di vista, ma chi fa vita pubblica è sempre sotto osservazione. Infatti Vanity Fair lo ha sollecitato a parlare del tema del giorno: l’aborto, e con esso di quel che riguarda la visione personale dell’esistenza umana e del modo di viverla. Piersilvio se l’è cavata restituendo al settimanale della Condè Nast un suo ritratto molto ordinario, da uomo comune figlio del proprio tempo. In politica gli piacciono Daniele Capezzone e i radicali, che peraltro si piacciono ormai poco tra di loro, ma fa niente. Le idee radicali ebbero un tratto eroico e solitario, oggi hanno uno charme particolare per i giovani, si portano senza troppe difficoltà, sono scarpe comode. Meno comode le idee dei cattolici, un mondo a parte, una specie di invadente minoranza che resiste alla totalità culturale della nostra epoca. Piersilvio dice che il matrimonio e i figli sono due cose diverse per lui, e in effetti è così per gran parte delle nuove leve. Siamo nell’epoca in cui i figli si fabbricano, a piacere, e si chiamano nelle leggi “prodotto del concepimento”. E il matrimonio non ha più molto senso, se non sia un sacramento religioso: il divorzio ha reso quello civile un po’ ridicolo, il matrimonio omosessuale lo ha ridotto a una parodia grottesca di se stesso, e comunque non usa più tanto. Come il matrimonio, anche l’educazione dei figli è relativizzata. Piersilvio dice che la sua Lucrezia gli è affettuosamente vicina ora che è più grande, perchè ora è un piacere quello stare insieme che prima era solo un dovere. Però un ricordo dell’educazione ricevuta lo accompagna quando, con tenerezza, dice di avere l’impulso di tenere per mano sua madre e suo padre, che rilutta, ogni volta che attraversano insieme la strada. E’ così, resta la gratitudine per il passato, un affetto anche fisico e dolce per chi ti ha educato, meno chiara è l’apertura al futuro. Piersilvio infatti, quanto al futuro dell’umanità dopo un miliardo di aborti consumati nel mondo lungo i suoi trent’anni di vita spigliata e impegnativa, dice di tenere alla libertà della donna e a soluzioni che scongiurino la piaga dell’aborto clandestino, sul resto decide la coscienza. Giusto. Ma Piersilvio non aggiunge un qualche allarme, che invece io sento, per la trasformazione dell’aborto legale in quel che non doveva essere, una contraccezione di massa che si risolve in una strage di innocenti moralmente indifferente. Molto comprensibile questa soave sordità, tipica di una certa Milano moderna, quella delle Invasioni barbariche, tv concorrente. Reagan però aveva notato che tutti quelli che sono per l’aborto hanno il privilegio di essere già nati.
Il grido d’allarme di Ratzinger: «Deriva secolare nella Chiesa»di Andrea Tornielli
da Roma
È un giudizio realistico e disincantato, pronunciato con la pacatezza che lo ha sempre contraddistinto ma proprio per questo ancora più tagliente: la secolarizzazione, quella «superbia della ragione» che fa vivere «come se Dio non ci fosse» ha colpito la stessa Chiesa cattolica, favorendo nei fedeli ma anche nei pastori «una deriva verso la superficialità e un egocentrismo». Lo ha detto ieri mattina Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio consiglio della cultura, guidato dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi, che in questi giorni dibatte sul tema: «La Chiesa e la sfida della secolarizzazione». Papa Ratzinger ha detto in modo forte e chiaro che i credenti ma anche i pastori non sono esenti o immuni da questo fenomeno che «mette a dura prova la vita cristiana».
Dopo aver riaffermato l’importanza del dialogo con i movimenti culturali del nostro tempo, il pontefice ha affrontato il problema della secolarizzazione, che «si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla trascendenza» e «invade ogni aspetto della vita quotidiana» sviluppando «una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana».
Questa secolarizzazione, ha chiarito Benedetto XVI, «non è soltanto minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti». «Essi vivono nel mondo - ha aggiunto il Papa - e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a lui e di ritornare a lui. Inoltre - ha detto ancora - la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale». Così, osserva Ratzinger, la «morte di Dio» che tanti intellettuali avevano annunciato nei decenni passati ha ceduto il posto a «uno sterile culto dell’individuo», con il «rischio di cadere in un’atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, caratterizzati talvolta da forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo».
L’invito è quello di «reagire» a questa «deriva» richiamando «i valori alti dell’esistenza, che danno senso alla vita e possono appagare l’inquietudine del cuore umano alla ricerca della felicità: la dignità della persona umana e la sua libertà, l’uguaglianza tra tutti gli uomini, il senso della vita e della morte e di ciò che ci attende dopo la conclusione dell’esistenza terrena». Un invito a non dimenticare quelle realtà ultime sulle quali il catechismo insisteva, e che sono invece scomparse dalla predicazione.
il Giornale 10-3-2008
Dopo il voto in Spagna ,Il ruolo dei cattolici tra collaborazione leale e presenza incisiva
di Antonio Pelayo
Il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) ha vinto con ampio margine le elezioni legislative tenutesi in Spagna domenica 9 marzo contro il suo unico possibile rivale, il Partito popolare (Pp). Il primo ha ottenuto 169 dei 350 seggi delle Cortes generales (Camera dei deputati) contro i 154 del secondo. Seguono con percentuali molto meno importanti altre formazioni politiche che rappresentano i movimenti nazionalisti della Catalogna e del Paese basco e le formazioni di sinistra.
Non è stata una sorpresa visto che da diverse settimane tutti gli istituti demoscopici - con margini differenti - avevano anticipato la vittoria socialista e la sconfitta popolare, soprattutto a seguito dei due dibattiti televisivi a cui hanno partecipato i loro leader, José Luis Rodríguez Zapatero e Mariano Rajoy. L'ultimo assassinio perpetrato dal gruppo terroristico Eta - nel quale ha perso la vita il dirigente socialista di Mondragón, in provincia di Guipúzcoa, Isaías Carrasco - non sembra avere avuto un'influenza decisiva su un elettorato che si è recato alle urne con un'alta percentuale, il 75,32 per cento, di poco inferiore a quella delle elezioni del 2004 tenutesi pochi giorni dopo i mostruosi attentati di Madrid che provocarono quasi duecento morti e mille feriti.
Il segretario generale del Psoe, José Luis Rodríguez Zapatero, che sicuramente sarà rieletto per un secondo mandato di quattro anni come presidente del Governo, ha espresso la propria soddisfazione per "l'ampia vittoria", ma non ha ottenuto quella maggioranza assoluta dei seggi alla Camera che aveva ripetutamente chiesto ai suoi elettori e che hanno ottenuto i suoi predecessori nell'incarico, il socialista Felipe González e il popolare José María Aznar, quando si sono presentati per un secondo mandato che entrambi hanno agevolmente conseguito. Per governare con una certa stabilità potrebbe optare per un'alleanza o con i nazionalisti moderati catalani del CiU (11 seggi) o del Partito nazionalista basco (6 seggi), il che appare piuttosto problematico, o stabilire patti temporanei con altre formazioni politiche. Questa ipotesi appare più conforme al pragmatismo politico di cui ha sempre dato prova il giovane dirigente socialista.
Il leader del Pp Mariano Rajoy ha subito una "dolce sconfitta" ottenendo i migliori risultati per il suo partito - 154 seggi contro i 148 del 2004 e un incremento sostanziale nel numero dei votanti - ma non sufficienti per assumere il Governo del Paese. I popolari hanno assistito a un aumento dei voti in regioni che sono per tradizione loro feudi elettorali come Valencia, Castilla-León, Murcia e Cantabria, e anche a Madrid dove l'assenza nelle liste del sindaco Alberto Ruiz Gallardón non è stato un ostacolo per superare il suo rivale di oltre trecentomila schede. Hanno altresì migliorato in Andalusia, dove i socialisti hanno il loro "granaio" elettorale e governano da decenni, ma i risultati sono rimasti bassi in Catalogna e nel Paese basco. Nonostante questi trionfi che nessuno può contestargli, la leadership di Mariano Rajoy all'interno del partito non potrà non essere messa in discussione dopo il suo secondo tentativo fallito di ottenere il Governo della nazione. La sua delusione è stata evidente la notte delle elezioni quando è apparso di fronte ai suoi entusiastici sostenitori in calle Génova a Madrid - sede del Pp - ma il suo mandato, in linea di principio, è garantito fino al prossimo congresso del partito che si terrà in autunno. Salvo sorprese.
Il voto del 9 marzo ha portato a un consolidamento del bipartitismo e del bipolarismo politico conferendo ai due partiti maggiori un'impressionante maggioranza alla Camera ed è stato severo con i movimenti nazionalisti catalani e baschi più radicali che perdono peso rappresentativo e deputati. In modo particolare retrocedono le formazioni più estremiste come la Sinistra repubblicana catalana (Erc) che da 8 seggi passa a 3; lo stesso vale per Sinistra unita che ha perso 3 dei 5 seggi di cui disponeva e il cui coordinatore Gaspar Llamazares ha presentato le dimissioni. Il tracollo di questi partiti - come la sensibile perdita del Pnv nell'elettorato basco - ha travasato una buona parte dei loro voti nel Partito socialista trasformandolo nel partito più votato sia in Catalogna sia nel Paese basco. Questa è, senza dubbio, una delle chiavi per non dire "la" chiave della vittoria di Rodríguez Zapatero, con le conseguenze che si possono immaginare per la sua futura politica in una materia tanto delicata come la territorialità della nazione spagnola.
L'unica novità rispetto alle precedenti elezioni è stato l'ingresso nel Parlamento di un nuovo partito di recente creazione da parte di un gruppo di politici e intellettuali (come Fernando Savater) preoccupati per la deriva nazionalista del socialismo governante. L'Unione di progresso e democrazia, la cui leader è la ex-deputata socialista Rosa Diez, ha ottenuto un unico seggio a Madrid con una percentuale di voti quasi del 4 per cento, e costituirà una presenza scomoda per il presidente Rodríguez Zapatero nella prossima legislatura.
A tutti questi elementi che non renderanno facile il compito del prossimo presidente del Governo spagnolo, bisogna aggiungere i dati economici che hanno già fatto lanciare negli ultimi mesi i primi e seri segnali di allarme: aumento sensibile della disoccupazione, alto livello di inflazione, riduzione della "bolla" immobiliare, altissimo squilibrio nella bilancia commerciale del Paese, riduzione dei consumi, congiuntura internazionale di segno negativo, ecc. È possibile che nelle prossime settimane alcuni di questi problemi - e altri - che sono stati tamponati perché non si manifestassero durante la campagna elettorale, si mostreranno in tutta la loro gravità dinanzi a un'opinione pubblica che ha vissuto in una fase, forse, di eccessiva euforia. Il vicepresidente Solbes, che sarà confermato a capo della gestione del governo socialista, avrà dinanzi a sé un panorama molto meno roseo del previsto e dovrà ridimensionare alcune delle promesse fatte da Rodríguez Zapatero durante la campagna elettorale.
Ma la domanda che si pone la maggior parte degli analisti internazionali è come interpreta il Psoe e, più concretamente il suo segretario generale, questa vittoria elettorale che presuppone alcune critiche o revisioni della sua precedente gestione. Il presidente Rodríguez Zapatero nelle sue prime dichiarazioni dopo la vittoria ha assicurato che governerà "per la maggioranza" senza specificare le sue reali intenzioni. I risultati elettorali dovrebbero portarlo a stabilire con il Partito popolare - il cui ruolo esce rafforzato dalle urne - un patto di stato per risolvere di comune accordo alcuni dei grandi problemi nazionali. Il primo di tutti è quello dell'articolazione definitiva del concetto e della realtà territoriale spagnola sulla quale, certamente, sono in sospeso alcune decisioni del Tribunale costituzionale; un Paese che figura fra le prime forze economiche del mondo non può ancora dibattersi in sterili liti tribali mascherate da nazionalismo. Dall'intesa e dalla collaborazione fra i due partiti su questioni importanti come la lotta contro il terrorismo deriverebbero solo vantaggi per il Paese, come è già stato dimostrato in passato, ma oggi i margini per un accordo di questo tipo appaiono molto stretti.
Molti si sono chiesti anche come saranno le relazioni del prossimo Governo con la Chiesa cattolica dopo gli ultimi burrascosi scontri a proposito della manifestazione a favore della famiglia che ha avuto luogo a Madrid il 30 dicembre e la nota della Conferenza episcopale spagnola alla vigilia delle elezioni, che hanno tanto irritato i socialisti e che hanno suscitato reazioni spropositate. Anche questa sarà una prova che permetterà di misurare la prudenza del presidente dinanzi alle pressioni dell'ala più laicizzante del suo partito che esige la denuncia dei vigenti accordi con la Santa Sede, e di una serie di lobbies che hanno fatto dell'anticlericalismo la loro bandiera per far presa sulla popolazione. Il cardinale Rouco Varela, recentemente eletto presidente della Conferenza episcopale spagnola, ha offerto al Governo "collaborazione leale" e questo sarà senza dubbio l'atteggiamento della gerarchia che, naturalmente, né con questo né con nessun altro Governo è disposta a rifugiarsi, come si dice, nelle sacrestie, ma che aspira a far sì che i cattolici spagnoli, come tutti i cittadini, possano far udire la propria voce nella difesa della dignità e dei diritti della persona nell'agora della politica e della società.
(©L'Osservatore Romano - 12 marzo 2008)
La Chiesa spagnola continuerà a battersi contro aborto ed eutanasia
Ribadisce il Primate di Spagna dopo la rielezione di Zapatero
MADRID, martedì, 11 marzo 2008 (ZENIT.org).- La Chiesa in Spagna continuerà la sua battaglia per difendere la vita dal concepimento alla morte naturale, combattendo quindi sia l'aborto che l'eutanasia. Lo ha affermato il Primate di Spagna, il Cardinale Antonio Cañizares, all'indomani della vittoria del Partito Socialista nelle elezioni politiche nel Paese.
In un'intervista rilasciata al “Corriere della Sera”, l'Arcivescovo di Toledo si è congratulato con il premier rieletto José Luis Rodriguez Zapatero, assicurando la volontà della Chiesa spagnola di collaborare per perseguire il bene comune ma ribadendo allo stesso tempo che questa sarà sempre “contro un eventuale ampliamento della legge sull’aborto e contro l’eutanasia”.
Secondo il Primate spagnolo, “è in corso una rivoluzione culturale. Non solo in Spagna; in tutto l'Occidente. La denuncia Benedetto XVI, quando paventa la dittatura del relativismo”.
La Spagna, osserva, “rappresenta la punta più avanzata di questa rivoluzione, con le sue leggi di genere, che vanno ben oltre il femminismo tradizionale, questa sorta di lotta di classe tra uomo e donna. Il Governo spagnolo ha varato leggi che negano l'evidenza della natura e della ragione, che affidano allo Stato la formazione morale dei giovani, che si propongono di fondare una nuova cultura su una concezione falsa della libertà”.
Di fronte a questa situazione, la Chiesa non ha “nulla da rimproverarsi”. “Sarebbe un tradimento se rinunciassimo a difendere la vita, dal concepimento alla morte naturale. Noi non siamo contro la democrazia, ma a favore; chi nega il diritto alla vita è contro la democrazia, e conduce la società al disastro”.
“Noi difenderemo i valori in pericolo”, ha dichiarato.
Il porporato ricorda che la Corte costituzionale ha riconosciuto i diritti del nascituro e afferma che è necessario “innanzitutto chiedere la piena applicazione della legge in vigore”, dicendosi “convinto che molti dei centomila aborti che avvengono in Spagna ogni anno sarebbero evitati”.
“Conosco la battaglia di Giuliano Ferrara per la moratoria, e vi aderisco – rivelato –. Per il futuro, mi batterò per l'abolizione dell'aborto. Che è il peggior degrado della storia dell'umanità”.
In questi anni, ha osservato il Cardinale, “la Chiesa spagnola non ha compiuto un solo atto di ingerenza. Il cristianesimo è l'unica religione che separa fede e politica: a Dio quel che è di Dio, a Cesare quel che è di Cesare. Di Dio sono la vita, la verità, l'uomo”.
Per il Primate spagnolo, il futuro della società “si gioca in una grande battaglia culturale, e che nessun cattolico, in qualunque partito militi, può disertare”.
Ognuno, quindi, “deve fare la sua parte. E la Chiesa deve evangelizzare la Spagna. Noi non vogliamo essere fattore di divisione, ma del progresso autentico; non del progresso che rinchiude la ragione nel recinto della scienza”.
Rispetto alla Chiesa in Italia, quella in Spagna secondo il porporato ha meno spazio sui media, ma “anche in Spagna la gente ci sta a sentire. Quando mi incontrano in stazione o all'aeroporto, i passanti mi incoraggiano: 'Don Antonio, avanti così!'”.
“Finora c'è stato un deficit dei cattolici nella vita pubblica, ma le cose stanno cambiando, e il futuro sarà diverso”, ha aggiunto.
Il Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola (CEE), il Cardinale Antonio María Rouco, e il Segretario generale dell'organismo, monsignor Juan Antonio Martínez Camino, hanno indirizzato questo lunedì una lettera di auguri al Segretario generale del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE), com'è abitudine della CEE dopo lo svolgimento delle elezioni in Spagna.
A nome di tutti i membri della CEE, il Presidente e il Segretario dell'episcopato si sono congratulati con il candidato per i risultati elettorali e gli hanno assicurato la loro “preghiera perché il Signore gli conceda la sua luce e la sua forza nello svolgimento delle alte responsabilità che gli affida il popolo spagnolo, al servizio della pace, della giustizia, della libertà e del bene comune di tutti i cittadini”.
Allo stesso modo, gli hanno manifestato la loro “disposizione personale e della Conferenza Episcopale per collaborare sinceramente con le autorità legittime dello Stato per il miglior servizio del bene comune”.
LA BIOETICA A BRUXELLES
Staminali adulte, l’Europa si muove - La Commissione Ue valuta le cellule riprogrammate
Avvenire, 12 marzo 2008
DIDANIELAVERLICCHI
«Sicuramente un documento interessante» per chi osserva criticamente la politica di investimenti sinora seguita dall’Unione Europea sulle staminali. Sintetizza così Mario Mauro, eurodeputato del Ppe, i contenuti della risposta appena inviata dalla Commissione europea all’interpellanza presentata due mesi fa dall’intergruppo di bioetica (di cui Mauro fa parte). In quel documento, la presidente dell’intergruppo Hiltrud Breyer (dei Verdi tedeschi) chiedeva alla Commissione di bloccare la sperimentazione sugli embrioni – finanziata dalla Ue – alla lu- ce dei recenti progressi scientifici fatti sulle staminali adulte, in particolare con la scoperta delle «cellule adulte riprogrammate».
La Breyer faceva così sua la proposta di moratoria europea sull’uso di embrioni a scopo di ricerca lanciata nell’autunno scorso proprio da
Avvenire: i successi – argomentava l’interpellanza – di due diversi gruppi di ricerca (capitanati da James Thompson e da Shinya Yamanaka) nel campo delle staminali adulte riportate allo stadio primordiale senza toccare un solo embrione non significano nulla? E poi: la Commissione continuerà a investire in tecniche di ricerca ormai superate? La risposta arrivata propende per il 'sì'. Ma più interessanti risultano le motivazioni con le quali viene giustificata tale posizione. La Commissione dichiara infatti di essere «a conoscenza delle recenti scoperte scientifiche» sulle cellule riprogrammate ma che queste ultime non risultano ancora efficaci come le sperimentazioni sugli embrioni. «È un giudizio tecnico-scientifico che alla Commissione non compete » fa notare Mauro. Ma Janez Potocnik, il funzionario che ha redatto la risposta a nome della Commissione, ha scritto di più: «È ancora troppo presto per potere utilizzare tali scoperte ai fini delle cure e delle terapie. Riteniamo pertanto fondamentale proseguire le ricerche su tutti i tipi di cellule». Dunque una prima, importante ammissione di interesse verso la nuova via scientifica alternativa all’uso di embrioni umani. Mauro coglie la palla al balzo: «Di tutto questo si dovrebbe discutere in Parlamento». Ed è proprio quello che alcuni eurodeputati chiederanno presentando, a fine marzo un’altra interrogazione, questa volta orale (che necessita della firma di 37 parlamentari). «L’obiettivo è provocare un dibattito in aula per scoprire quali e quanti sono gli interessi sottostanti alla posizione della Commissione».
Qualche indizio in tal senso lo dà la stessa risposta di Potocnik. Per dimostrare che le sperimentazioni sugli embrioni sarebbero così efficaci da meritare anche investimenti privati si citano «partnership pubblicoprivate » tra governo inglese e tre grandi industrie farmaceutiche. Un intreccio di interessi «quantomeno sospetto e deontologicamente scorretto », spiega Mauro, visto che la Gran Bretagna, come altri Paesi, fa parte del Consiglio d’Europa che sulle linee di finanziamento per la ricerca deve decidere per tutta l’Unione. Su tutto questo occorre fare luce, prima di tutto a Strasburgo. L’appuntamento è dunque per aprile, quando presumibilmente verrà programmata la discussione sulla nuova interpellanza.