Nella rassegna stampa di oggi:
1) Stiamo lottando per Caterina – Antonio Socci - 13 settembre 2009 - Ringrazio immensamente tutti coloro che in queste ore pregano per mia figlia, Caterina, 24 anni, che si trova in coma all’ospedale di Firenze per un inspiegabile arresto cardiaco.
2) JanSobieski Scrivere - Luigi Mascheroni - IL FOGLIO 7 settembre 2009 - "Alla scoperta della lobby "ricca e lagnosa" - L'omosessualismo avanza silenziosamente grazie al politicamente corretto dilagante, ai finanziamenti colossali delle corporations e a appoggi insospettabili... Come il peggiore dei luoghi comuni, si rafforza negandolo. Più i gay ripetono «non siamo un potere forte, né occulto», più il mondo etero si convince che «sono una lobby potentissima».
3) UE/ La minaccia di Irlanda e Germania - Mario Mauro lunedì 14 settembre 2009 – Ilsussidiario.net
4) Libera Chiesa in libero Stato. Secondo Ruini - Prima con un libro e poi con un grande convegno a Roma nientemeno che su Dio, il cardinale rilancia il "progetto culturale" della Chiesa italiana. Che coincide con la "priorità" che Benedetto XVI ha assegnato al suo pontificato - di Sandro Magister
Stiamo lottando per Caterina – Antonio Socci - 13 settembre 2009 - Ringrazio immensamente tutti coloro che in queste ore pregano per mia figlia, Caterina, 24 anni, che si trova in coma all’ospedale di Firenze per un inspiegabile arresto cardiaco.
C’è una cosa importantissima e preziosissima che si può fare: pregare! Far celebrare messe e recitare rosari per la sua guarigione è, in questo momento, la speranza più grande. Noi e gli amici lo stiamo facendo instancabilmente, anche con la recita della preghiera per ottenere l’intercessione di don Giussani (ve la copio qua sotto).
Io e tutta le mia famiglia ve ne siamo grati.
Che Dio vi benedica.
Antonio Socci
Signore Gesù, tu che ci hai donato don Giussani come padre e ci hai insegnato, attraverso di lui, la gioia di riconoscere la nostra esistenza come offerta a te gradita, concedici per sua intercessione la grazia della guarigione di Caterina. Te lo chiediamo per la sua glorificazione e per la nostra consolazione. Amen.
JanSobieski Scrivere " - Alla scoperta della lobby "ricca e lagnosa" - L'omosessualismo avanza silenziosamente grazie al politicamente corretto dilagante, ai finanziamenti colossali delle corporations e a appoggi insospettabili... Come il peggiore dei luoghi comuni, si rafforza negandolo. Più i gay ripetono «non siamo un potere forte, né occulto», più il mondo etero si convince che «sono una lobby potentissima».
Quando Benedetto XVI, parlando ai nunzi apostolici dell’America Latina nel febbraio 2007, ribadì il ruolo centrale del matrimonio nella società contemporanea, «che è l’unione stabile e fedele tra un uomo e una donna», lamentando come la famiglia «mostra segni di cedimento sotto la pressione di lobby capaci di incidere sui processi legislativi», l’universo gay, sentendosi chiamato in causa, rispose sdegnato che la vera lobby, semmai, era quella vaticana... Ma l’opinione pubblica ebbe confermato, ex cathedra, un sospetto magari tendenzioso ma radicato.
In Italia, per ben note questioni storiche, il «potere» dei gruppi omosessuali è ancora sotto traccia. Ma nel resto del mondo occidentale, soprattutto nei Paesi anglosassoni dove i termini gay e lobby non hanno alcuna connotazione negativa, l’omosessualità, oltre che una ragione di orgoglio, pride, è anche una questione di potere, power.
E se recentemente è stato lo stesso presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a fare i conti con il peso politico della comunità gay (in occasione del referendum sul matrimonio omosessuale nello stato della California è stato aspramente criticato per le sue affermazioni sul matrimonio come «un’unione sacra, benedetta da Dio, tra un uomo e una donna»), è soprattutto nel mondo degli affari e dell’economia che le quotazioni della «gay corporation» sono in costante aumento: una dettagliata inchiesta pubblicata su Corriere Economia nel marzo 2008 metteva in evidenza la straordinaria capacità da parte dei gay di «fare rete». E sottolineava come, mentre aveva fatto discutere la decisione della banca d’affari Lehman Brothers di dedicare una giornata di selezione a Hong Kong solo per gli omosessuali per accaparrarsi i talenti migliori, per tante società americane la cosa non presentava nulla di speciale. Negli Usa esiste un’associazione, Out&Equal, con sede a San Francisco – capitale storica della liberazione (omo)sessuale – che promuove il diritto all’uguaglianza degli omosessuali nei luoghi di lavoro. E in tutte le grandi banche, in Ibm, in Johnson&Johnson, esistono gruppi organizzati di «Glbt», l’acronimo utilizzato per riferirsi a gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Ed è attraverso organizzazioni come queste che la comunità omosessuale «fa network», cioè lobby.
Una lobby potente e ricca. Anzi, secondo un dossier del 2006 della rivista Tempi, ricchissima: la lobby omosessuale internazionale, che ha le sue roccaforti a New York, Washington, San Francisco e Bruxelles, è sempre più influente. Riceve finanziamenti sia dalle grandi corporation americane, sia dai governi e dalle istituzioni internazionali, spesso sotto forma di donazioni a Ong o fondi per la lotta all’Aids. Uno tra i più influenti gruppi che appoggiano le battaglie per i diritti delle comunità gay e bisessuali negli Usa come in America Latina e in Europa è quello dei «Catholics for a Free Choice», un’organizzazione che assieme all’«International Lesbian and Gay Association» (presente in 90 Paesi con oltre 400 organizzazioni affiliate) lavora a Bruxelles per far pressione sui legislatori affinché agiscano contro gli Stati che non riconoscono le unioni omosessuali.
Giusto per capirne la potenza economica, il gruppo «Catholics for a Free Choice» dispone di un budget annuale di 900mila dollari ed è finanziata da molti «poteri forti», tra cui la Playboy Foundation, la MacArthur Foundation, l’Open Society Institute del finanziere George Soros e la Rockefeller Foundation. Le medesime fondazioni, poi, con l’aggiunta di colossi dell’industria mondiale – dalla Kodak all’American Airlines, da Apple alla Toyota – finanziano per decine di migliaia di dollari la più importante organizzazione gay con sede a Washington: la «Human Rights Campaign». E solo per citare un altro colosso, la Sony è tra i fondatori di «Mtv Gay Channel» e sponsorizza gli attivisti pro-nozze gay e pro-aborto della «Rock for Choice» che coinvolge numerose star della musica, dai Red Hot Chili Peppers a Tracy Chapman.
Come fanno notare molti intellettuali, la potenza politico-economica dei gruppi gay è tale da influenzare l’intero ambito sociale, arrivando a imporre le regole del «politicamente corretto». Esempi? La riforma del diritto di famiglia voluta da Zapatero in Spagna per introdurre il matrimonio tra omosessuali ha cancellato dal codice civile i termini «marito» e «moglie» (sostituiti da «coniuge») e «padre» e «madre» (sostituiti da «genitore»); la Bbc ha diramato una circolare interna in cui bandisce i termini «padre» e «madre»; il ministero della Pubblica istruzione inglese suggerisce agli insegnanti di redarguire i bambini che si riferiscano ai propri genitori chiamandoli «mamma» o «papà» perché ciò farebbe sentire discriminati i bambini cresciuti da coppie omosessuali... E qualche mese fa, a una domanda della giuria di Miss America sulle unioni gay, Carrie Prejean, rispondendo che «nella mia nazione ideale il matrimonio è tra un uomo e una donna», si è giocata il titolo.
E se sulla strada del politicamente corretto anche l’Italia sta facendo passi da gigante, su quella del potere-gay, invece, il nostro Paese – cattolico per fede, omofobo per cultura e moralista per tradizione - è sicuramente un passo indietro rispetto agli Usa e al resto d’Europa. Asher Colombo, sociologo dell’Università di Bologna che con il collega Marzio Barbagli è autore del saggio Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia (uscito per il Mulino nel 2007), è chiarissimo: «Se per lobby si intende un vero gruppo organizzato che opera all’interno dei palazzi del potere per influenzare decisione politiche o economiche, allora in Italia il concetto di lobby gay non ha senso. Associazioni anche importanti come Arcigay o Arcilesbiche sono più simili a movimenti sociali che a vere forme organizzate come ad esempio la lobby degli industriali... Però è indubbio che ci sono singole persone di orientamento omosessuale molto influenti nelle arti, nella politica, nello spettacolo. La moda e la televisione, ad esempio, sono settori dove l’omosessualità è una caratteristica meno discriminante che in altri campi e dove è più facile fare coming out. E ciò modifica la percezione dell’opinione pubblica che confonde la minor discriminazione all’ingresso con il fare lobbying...».
Moda e televisione: proprio i due regni dove il luogo comune del potere gay si rafforza negandolo. Quando poco prima dell’estate il direttore di Vogue Italia Franca Sozzani, intervistata da Klaus Davi, liquidò la lobby omosessuale nel mondo della moda come un «mito», tutti – ricordandosi l’indiscrezione di quel dirigente di Dolce&Gabbana secondo il quale «noi assumiamo solo gay» – hanno inteso esattamente il contrario. Così come non c’è addetto ai lavori del mondo editorial-giornalistico che non ricordi – due anni fa – la processione di star della politica e della cultura che sfilò al teatro Manzoni di Milano quando Alfonso Signorini presentò in pompa magna il suo libro sulla Callas. Un parterre che neppure Eco, o Cacciari, o Baricco, o Camilleri – anche tutti insieme – potrebbero mai sognare.
Intanto, anche da noi, sull’onda mediatica del successo di film e serial tv politicamente molto corretti e culturalmente molto queer, c’è chi sta pensando di fondare un partito «altro». All’ultimo Gay Pride, a Genova lo scorso giugno, il presidente di Arcigay Aurelio Mancuso ha ribadito la necessità per i gay di «entrare in politica». Sfilando in piazza per andare ben oltre il semplice concetto di lobby.
Luigi Mascheroni - IL FOGLIO 7 settembre 2009
UE/ La minaccia di Irlanda e Germania - Mario Mauro lunedì 14 settembre 2009 – Ilsussidiario.net
Il primo ministro Brian Cowen ha annunciato che il 2 ottobre si terrà il secondo referendum irlandese sul Trattato di Lisbona. Se dovesse avere un risultato positivo, per l’entrata in vigore del Trattato nei Paesi dell’Unione europea mancheranno solamente la firma del Presidente polacco, che aspetta il risultato irlandese, e quella dell’euroscettico Presidente della Repubblica Ceca, dove peraltro il Trattato è già stato approvato dal parlamento.
Per incoraggiare la popolazione irlandese al voto referendario e per sollecitare una risposta positiva all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il governo irlandese ha pubblicato un Libro bianco che spiega i cambiamenti che il Trattato apporterà al funzionamento dell’UE e illustra le garanzie giuridicamente vincolanti e le assicurazioni ottenute dall’Irlanda in seguito alla bocciature del primo referendum.
Infatti dopo il "semaforo arancione" dato dalla Corte Costituzionale Tedesca all’adozione del Trattato, che potrà entrare in vigore solo a determinate condizioni, anche l’Irlanda ha ottenuto un compromesso in tale direzione.
Al vertice di Bruxelles di giugno i leader dell’UE hanno concesso all’Irlanda alcune garanzie giuridiche in materia di tassazione, neutralità militare e aborto, confermando la sovranità nazionale dell’Irlanda in questi settori. Questa decisione se da un lato spiana la strada al secondo referendum irlandese sul trattato di Lisbona, che si terrà in autunno, dall’altro rinforza il timore di creare differenti livelli di sovranità dell’Europa all’interno degli Stati membri.
In Germania infatti, come ricordato poco sopra, la Corte Costituzionale ha confermato la compatibilità del trattato di Lisbona con la Costituzione. Ha però dichiarato che prima di concludere la procedura di ratifica occorre modificare la parallela legge tedesca sul diritto di partecipazione del Parlamento nazionale alle politiche comunitarie.
Infatti la Legge fondamentale (Grund Gesetz), in seguito alla riforma costituzionale del 1992, ha previsto esplicitamente all’art. 23, I c. la partecipazione della Repubblica federale tedesca “allo sviluppo dell’Unione europea” nel rispetto “dei principi di democrazia, dello Stato di diritto, sociale e federativo e del principio di sussidiarietà” e di “una tutela dei diritti fondamentali essenzialmente paragonabile a quella della (…) Legge fondamentale”.
In sostanza la Corte di Karlsrhue ha rilevato che i meccanismi decisionali dell’Unione, nonostante questa in alcuni settori agisca come un’entità statale federale, sono essenzialmente ispirati al modello proprio delle organizzazioni internazionali, fondato sul principio dell’uguaglianza fra gli Stati, insomma l’Europa non è federalista, ma è un’Europa delle nazioni. Insomma è l'affermazione della centralità del Parlamento tedesco, non solo del Bundestag, ma anche del Bundesrat, come organismi nei quali si esprime appieno la democrazia.
Questo deve farci riflettere non solo sulla permanenza di un forte deficit di legittimità delle Istituzioni comunitarie, ma anche sul valore riconosciuto al Parlamento europeo, che paradossalmente vedrebbe i suoi poteri rafforzati proprio dal Trattato di Lisbona. Non si giustifica il voler riconoscere a tutti i costi maggiori poteri di partecipazione alle assemblea nazionali, considerando fra l’altro che proprio i parlamentari europei tedeschi rappresentano in assoluto il gruppo più numeroso all’interno dell’assemblea di Bruxelles e vengono eletti, secondo l’Europawahlgesetz, in modo generale, diretto, uguale, libero e segreto, così come sancito anche nella Legge fondamentale, per le elezioni dei membri del Bundestag.
La sentenza della Corte Costituzionale tedesca metteva in evidenza proprio il timore che venissero lese la sovranità e la competenza del Bundestag; per cui nello specifico non solo l’interesse nazionale, ma i poteri di ogni singolo Land devono essere salvaguardati e tutelati contro lo “sconfinamento” delle competenze europee.
Questo deve farci riflettere perché potrebbe, o avrebbe potuto portare non solo a una richiesta di maggior tutela delle sovranità nazionale e dei parlamenti, ma si potrebbe arrivare a pensare che anche le singole regioni di uno stato, soprattutto in quei paesi dove abbiano funzioni proprie e potere legislativo (si pensi alla stessa Italia, alla Spagna, per non dire al Regno Unito) potrebbero avanzare pretese simili. Allora più che parlare di Europa a due velocità si arriverebbe a un’Europa a più velocità che rischierebbe solo il testacoda.
Libera Chiesa in libero Stato. Secondo Ruini - Prima con un libro e poi con un grande convegno a Roma nientemeno che su Dio, il cardinale rilancia il "progetto culturale" della Chiesa italiana. Che coincide con la "priorità" che Benedetto XVI ha assegnato al suo pontificato - di Sandro Magister
ROMA, 14 settembre 2009 – La tempesta che nei giorni scorsi ha investito il giornale della conferenza episcopale italiana, "Avvenire", ha riacceso la discussione sui rapporti tra la Chiesa e il potere politico.
Negli stessi giorni, una lettera circolare della congregazione vaticana per l'educazione cattolica ai vescovi di tutto il mondo sull'insegnamento della religione cattolica nelle scuole ha riproposto una questione su cui la protesta laica è più ricorrente.
Il rapporto tra religione e politica è una classica questione di "confini", come dice anche il titolo di un dialogo, divenuto un libro, tra il pensatore laico Ernesto Galli della Loggia e il cardinale Camillo Ruini.
Presentando il libro a Milano, a Palazzo Marino, lo scorso 9 settembre, Ruini ha trovato occasione per dire in sintesi come lui vede il ruolo pubblico della religione nelle moderne democrazie e i punti d'accordo e di disaccordo tra la Chiesa e la visione laica.
Il suo intervento, riprodotto integralmente più sotto, è tanto più interessante in quanto va ai "fondamentali" della controversia sulla laicità.
È una controversia che implica inevitabilmente la domanda suprema su Dio. Perché "con Dio o senza Dio cambia tutto", ha detto il cardinale, che proprio alla questione di Dio ha dedicato un grande convegno che si terrà a Roma dal 10 al 12 dicembre, promosso dalla conferenza episcopale italiana e in particolare dal suo comitato per il "progetto culturale", di cui lo stesso Ruini è presidente.
Il convegno non sarà strettamente “di Chiesa”. Spazierà dalla filosofia alla teologia, dall’arte alla musica, dalla letteratura alla scienza. E gli oratori saranno di assoluto rilievo internazionale nei rispettivi campi: siano essi cattolici o no, credenti od agnostici, da Robert Spaemann ad Aharon Appelfeld, da Roger Scruton a Rémi Brague, da Martin Nowak a Peter van Inwagen.
Non sarà neppure una sfilata di opinioni giustapposte, tanto meno una sorta di “cattedra dei non credenti” del tipo di quelle promosse anni fa dal cardinale Carlo Maria Martini. Il disegno è mirato. Punta deciso a mettere a fuoco quella “priorità” che per Benedetto XVI “sta al di sopra di tutte”, in un tempo “in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento”.
La priorità cioè – come ha scritto papa Joseph Ratzinger nella sua lettera ai vescovi del 10 marzo 2009 – “di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.
Per la conferenza episcopale italiana un convegno di tale portata è una prima assoluta. Il "progetto culturale" di cui Ruini è stato ideatore trova in esso una delle sue esplicazioni maggiori. Perché tale progetto non è altro che "uno sforzo per trasformare il messaggio della Chiesa in cultura popolare", come ha detto il rettore dell'Università Cattolica di Milano, Lorenzo Ornaghi, nel commentare il libro di Ruini e Galli della Loggia. Uno sforzo che ha avuto e ha nel quotidiano "Avvenire" una delle sue tribune più importanti.
Ma lasciamo la parola al cardinale.
Una laicità positiva per il futuro - di Camillo Ruini
Quello della laicità è un grande tema, del quale si discute da anni con un interesse che sembra inesauribile. È difficile, pertanto, proporre in merito "idee innovative", come è auspicato per questo incontro.
In rapporto all’emergere di qualcosa di nuovo vorrei segnalare anzitutto il rischio insito nella parola "laicità", non per se stessa ma perché, nel dibattito culturale e politico italiano, essa risente facilmente della parentela con il termine francese "laicité", portatore, storicamente, di un significato assai preciso e, a mio avviso, abbastanza angusto, rispetto alle problematiche attuali oltre che alla rilevanza dell’altro filone, che per intenderci chiameremo "nord-americano".
Affinché una "nuova" laicità sia elaborata concettualmente, e soprattutto possa prendere piede nella realtà, la matrice americana mi sembra assai più utile di quella francese, ma soprattutto occorre misurarsi seriamente con il rilievo assunto dalla presenza delle diverse religioni sulla scena pubblica, oltre che con le questioni poste sia dalla trasformazione dei costumi e modi di vivere sia dagli sviluppi scientifici e tecnologici, in particolare nell’ambito delle biotecnologie.
Mi preme inoltre inserire una considerazione della quale di solito non si parla, ma che mi sembra indispensabile per impostare correttamente, o se vogliamo con onestà intellettuale, tutto il discorso sulla laicità e sul ruolo pubblico delle religioni.
Questa considerazione è contenuta nel sottotitolo del convegno internazionale su Dio, promosso per il prossimo dicembre [a Roma] dal comitato per il progetto culturale [della conferenza episcopale italiana]: "Con Lui o senza di Lui cambia tutto".
Robert Spaemann, nel 2001, ha illustrato in maniera molto sintetica ma altrettanto magistrale il significato di questa affermazione, precisando che la risposta all’interrogativo: fa differenza che Dio esista o non esista? cambia profondamente a seconda che si tratti dei credenti o dei non credenti, sia atei sia agnostici.
I credenti autentici rispondono che la differenza non solo esiste ma è grande e radicale – anzi, è la prima e la più grande –, riguardo sia al modo di concepire la realtà sia all’orientamento da dare alla nostra vita: per loro infatti Dio è l’origine, il senso e il fine dell’uomo e dell’universo.
I non credenti invece possono differenziarsi nelle loro risposte, a seconda che ritengano la fede in Dio negativa, positiva o irrilevante per la vita dell’uomo e della società, ma propriamente parlando si riferiscono soltanto alla nostra fede in Dio, non alla realtà stessa di Dio, dato che secondo loro Dio non esiste, o comunque non possiamo sapere niente di lui, nemmeno se egli esista.
Il riconoscimento di questa profonda diversità di approccio tra credenti e non credenti sgombra il terreno dagli equivoci delle false uniformità, ma non implica affatto una impossibilità di convergere su obiettivi concreti e importanti: anzi, nelle attuali circostanze storiche, importantissimi. Evidenzierò in seguito alcuni di questi.
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Ritornando alla questione della laicità, distinguerei tra gli aspetti sui quali oggi esiste un consenso sostanziale, anche se spesso mascherato da polemiche piuttosto strumentali, e i punti sui quali invece il contrasto è profondo, anzi, tende forse ad acuirsi.
Seguendo da una parte la voce "Laicismo", redatta da Giovanni Fornero nella terza edizione del "Dizionario di filosofia" dell’Abbagnano, e dall’altra i documenti "Gaudium et spes" e "Dignitatis humanae" del Concilio Vaticano II, possiamo individuare gli aspetti su cui c’è consenso anzitutto nel principio dell’autonomia delle attività umane, cioè nell’esigenza che esse si svolgano secondo regole proprie, non imposte loro dall’esterno. Dietro questo consenso rimane anche qui la diversità tra credenti e non credenti: i primi ritengono infatti che questa autonomia abbia in Dio creatore la propria origine e la propria ultima condizione di legittimità ("Gaudium et spes" 36).
Un secondo elemento di consenso è costituito, contrariamente a molte apparenze, dall’affermazione della libertà religiosa, come diritto inalienabile di ogni persona e, almeno secondo la Chiesa cattolica, di ogni comunità.
Decisiva è stata, al riguardo, la svolta operata dal Vaticano II con la dichiarazione "Dignitatis humanae", rispetto alle posizioni precedenti della Chiesa in materia. Una differenza nei confronti di opinioni diffuse nel mondo laico riguarda il fondamento ultimo di tale libertà, che il Concilio intende in modo da escludere un approccio relativistico incompatibile con la rivendicazione di verità del cristianesimo. Aggiungo che la "Dignitatis humanae" (n. 7) afferma nettamente che la libertà dell’uomo nella società va riconosciuta nella maniera più ampia possibile, limitandola soltanto se e in quanto ciò sia necessario.
Sulla base dei due principi condivisi dell’autonomia delle attività umane e della libertà, in particolare della libertà religiosa, un ampio consenso sussiste inoltre – di nuovo, contrariamente alle apparenze – sulle norme o i criteri di fondo che devono regolare i rapporti tra lo Stato e le comunità religiose, compresi quelli tra lo Stato e la Chiesa in Italia.
Si tratta in concreto della loro distinzione e autonomia reciproca, oltre che dell’apertura pluralistica degli ordinamenti dello Stato democratico e liberale alle posizioni più diverse – comprese quelle di matrice religiosa e anche confessionale –, che di per sé hanno tutte, davanti allo Stato, uguali diritti e uguale dignità.
Le motivazioni e le dimensioni di questa apertura sono però assai diverse, a seconda dei punti di vista degli interlocutori, come vedremo tra breve.
L’ostacolo che si frapponeva in Italia, e che ancora in qualche modo sopravvive in vari altri paesi, anche europei, cioè la "religione di Stato" o il carattere confessionale dello Stato, è stato superato istituzionalmente con l’accordo del 1984 di revisione del Concordato, che, nel protocollo addizionale, in relazione all’art. 1, recita: "Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato nei Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano".
Alla base della revisione del Concordato stanno, come è noto, da una parte la Costituzione della Repubblica e dall’altra il Concilio Vaticano II con il riconoscimento della libertà religiosa.
L’obiezione che la sussistenza stessa del Concordato rappresenti un privilegio, contrario al principio dell’apertura pluralista e paritaria dello Stato alle diverse confessioni religiose e posizioni culturali, dopo l’accordo di revisione non sembra insuperabile: le relazioni concrete tra uno Stato e le diverse confessioni religiose presenti nel corpo sociale non possono infatti non tener conto della situazione storica e dei modi nei quali, all’interno di essa, lo Stato può riconoscere un carattere pubblico, e non soltanto privato, alle varie confessioni, con gli effetti concreti che conseguono da un tale riconoscimento.
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Venendo ora agli aspetti della laicità su cui esistono divergenze profonde, ossia ai problemi oggi realmente aperti, essi si concentrano principalmente, nei paesi di democrazia liberale ai quali limito il mio discorso, sul ruolo pubblico che le religioni possono o non possono esercitare e sulle condizioni alle quali possono eventualmente esercitarlo.
La gamma delle opinioni e posizioni al riguardo è ampia e variegata, ma sembra possibile individuare due orientamenti, e direi due sensibilità, di fondo.
Uno di essi tende a ridurre il ruolo pubblico delle religioni, talvolta fin quasi a sopprimerlo, e viene motivato sottolineando, da una parte, il carattere personale, spirituale e intimo, piuttosto che sociale e istituzionale, della religiosità autentica; privilegiando, d’altra parte, nella vita di una nazione, la sfera propriamente politica rispetto a quella del sociale.
L’altro orientamento tende invece a favorire, o comunque ad accogliere senza riserve mentali, il ruolo pubblico delle religioni, ritenendo anche le dimensioni sociali e istituzionali essenziali per le religioni e insistendo sull’autonomia e la rilevanza irriducibile della sfera del sociale.
Va detto qui chiaramente che queste diversità di orientamenti si pongono oggi in maniera trasversale rispetto alla distinzione, consueta in Italia, tra cattolici e laici, come anche tra credenti e non credenti. Tra i cattolici si trovano infatti non pochi sostenitori di una religiosità concentrata sul suo aspetto spirituale, che sono facilmente critici del ruolo pubblico delle religioni e in particolare del cattolicesimo, mentre tra i laici, specialmente dopo l’emergere delle nuove e grandi questioni etiche e antropologiche, e dopo la rinnovata presenza delle religioni non cristiane sulla scena mondiale, sono numerosi quelli che riconoscono volentieri un tale ruolo, e non di rado lo auspicano.
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Su questa problematica tenterò ora di esporre sinteticamente il mio punto di vista.
I fenomeni religiosi, in concreto tutte le religioni, compreso evidentemente il cristianesimo, hanno di per sé non minori titoli che ogni altra realtà o fenomeno sociale ad influire sulla scena pubblica, ivi compresa la dimensione propriamente politica. Ciò naturalmente nel rispetto delle regole della democrazia e dello Stato di diritto o, per usare una terminologia oggi in voga, delle procedure attraverso le quali si formano e si esprimono le decisioni politiche.
Non vi è quindi ragione per porre alle religioni speciali condizioni per esercitare un ruolo pubblico: ad esempio condizioni riguardanti la razionalità del loro argomentare. La decisione se un modo di argomentare sia razionale, o forse più precisamente plausibile e convincente, in un sistema democratico è affidata infatti, in ultima analisi, soltanto alla valutazione che ne dà la generalità dei cittadini nelle sedi appropriate, anzitutto quelle elettorali.
Vorrei indicare infine i motivi per i quali il ruolo pubblico delle religioni – in particolare del cristianesimo – è importante e può rendere un servizio positivo alla vita della società. In altri termini, vorrei indicare le ragioni pratiche di quella laicità "sana" o "positiva" di cui ha parlato a più riprese Benedetto XVI, aperta cioè alle fondamentali istanze etiche e al senso religioso che portiamo dentro di noi.
Una motivazione assai rilevante è stata indicata da E.-W. Böckenförde già molti anni fa, nel suo classico saggio su "La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione": lo Stato liberale secolarizzato vive infatti di presupposti che esso stesso non può garantire e tra questi, come già sosteneva Hegel, sembrano svolgere un ruolo peculiare gli impulsi e i vincoli morali di cui la religione è la sorgente.
Molto recentemente Rémi Brague, in un intervento su "Fede e democrazia" pubblicato sulla rivista "Aspenia" nel 2008, ha proposto un aggiornamento interessante, e a mio parere nella sostanza condivisibile, della tesi di Böckenförde.
In primo luogo ha esteso questa tesi dallo Stato all’uomo di oggi, che in larga misura ha smesso di credere nel proprio valore, a causa di quella tendenza a ridurre l’uomo stesso a un fenomeno della natura e di quel totale relativismo che sono alla base delle attuali interpretazioni della laicità contrarie all’apertura sollecitata da Benedetto XVI. È l’uomo, dunque, e non solo lo Stato, ad aver bisogno oggi – ma, a mio avviso, sostanzialmente sempre – di un sostegno che non è in grado di garantirsi da se stesso.
In secondo luogo la religione non è soltanto, e nemmeno primariamente, fonte di impulsi e vincoli etici. Oggi, prima che di assicurare dei limiti e degli argini, si tratta di trovare delle ragioni di vita. Proprio questa è, fin dall’inizio, la funzione, o meglio la missione più propria del cristianesimo: esso infatti ci dice anzitutto non "come" vivere, ma "perché" vivere, perché scegliere la vita, perché gioirne e perché trasmetterla.
Il libro "Confini" è, come precisa il suo sottotitolo, un esercizio di "dialogo sul cristianesimo e il mondo contemporaneo", che cerca di approfondire nelle sue motivazioni e di rivestire di concretezza quella laicità non ostile al cristianesimo, anzi alimentata in buona misura da esso, nella quale il professor Galli della Loggia ed io, pur con tutti i nostri diversi punti di vista, individuiamo concordemente un presidio essenziale dell’ispirazione umanistica della nostra civiltà.
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Il libro:
Ernesto Galli della Loggia, Camillo Ruini, "Confini. Dialogo sul cristianesimo e il mondo contemporaneo", Mondadori, Milano, 2009.
Il professor Galli della Loggia è tornato su uno dei temi discussi nel libro in un editoriale sul "Corriere della Sera" del 30 agosto 2009:
> Quelle distanze con la Chiesa
In questo editoriale, Galli della Loggia ha prospettato un superamento del Concordato tra l'Italia e la Santa Sede, all'insegna di una Chiesa spoglia di poteri. E questo, assieme ad altri elementi arditamente collegati, ha indotto un commentatore cattolico come Antonio Socci (su "Libero" dell'11 settembre 2009) a vedere all'opera un disegno più vasto, ecclesiale e politico, di contestazione della linea impersonata per anni dal cardinale Ruini, un disegno con addentellati anche in Vaticano:
> "C'est Fini! Galli della Loggia, Mieli e la Chiesa
Indipendentemente dalla ricostruzione di Socci, un dato certo è che alcuni circoli cattolici, assecondati da prelati, mostrano un febbrile interesse a che prenda vita in Italia una nuova formazione politica di centro, nella quale i cattolici e la Chiesa possano trovarsi "di casa". Questo interesse appare acuito dopo la tempesta che ha investito "Avvenire", con le dimissioni del suo direttore Dino Boffo. Uno dei più attivi nel manifestare tale interesse è Andrea Riccardi, fondatore e leader della Comunità di Sant'Egidio. Riccardi ha esposto la sua aspettativa di una svolta sia politica che ecclesiale – postberlusconiana e postruiniana – il 12 settembre dalla tribuna di un congresso dell'UDC a Chianciano, nel quale erano prima di lui intervenuti Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini e Francesco Rutelli.
La mattina dello stesso 12 settembre, Riccardi aveva anticipato il suo intervento a Chianciano in questo articolo sul "Corriere della Sera":
> I cattolici e l'esigenza di una visione per superare i fuochi d'artificio
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La lettera vaticana sull'insegnamento della religione nella scuola, citata in apertura di questo servizio:
> Lettera circolare sull'insegnamento della religione nella scuola, 5 maggio 2009
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I servizi di www.chiesa sul caso "Avvenire", concentrati sui suoi risvolti ecclesiali:
> La Chiesa, Obama e Berlusconi. La confusione al potere (31.8.2009)
> Dino Boffo lascia "Avvenire". "Per gli interessi della mia Chiesa" (3.9.2009)
> "Avvenire" ha due lettori tra loro discordi: i vescovi e il Vaticano (10.9.2009)
E l'analisi complessiva del caso, anche sul versante politico, da parte del professor Pietro De Marco:
> "La questione non finisce qui". Sul caso Boffo e sul suo successore
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Un precedente servizio di www.chiesa sulla questione della laicità, con interventi dei cardinali Camillo Ruini e Angelo Scola, e dei professori Ernesto Galli della Loggia e Pietro De Marco:
> Laicità in pericolo. Due cardinali accorrono in sua difesa (23.2.2009)
E una lettura "americana" delle stesse questioni, in un libro dell'arcivescovo Charles J. Chaput:
Come far politica da cattolici. Il promemoria di Denver (13.8.2008)
1) Stiamo lottando per Caterina – Antonio Socci - 13 settembre 2009 - Ringrazio immensamente tutti coloro che in queste ore pregano per mia figlia, Caterina, 24 anni, che si trova in coma all’ospedale di Firenze per un inspiegabile arresto cardiaco.
2) JanSobieski Scrivere - Luigi Mascheroni - IL FOGLIO 7 settembre 2009 - "Alla scoperta della lobby "ricca e lagnosa" - L'omosessualismo avanza silenziosamente grazie al politicamente corretto dilagante, ai finanziamenti colossali delle corporations e a appoggi insospettabili... Come il peggiore dei luoghi comuni, si rafforza negandolo. Più i gay ripetono «non siamo un potere forte, né occulto», più il mondo etero si convince che «sono una lobby potentissima».
3) UE/ La minaccia di Irlanda e Germania - Mario Mauro lunedì 14 settembre 2009 – Ilsussidiario.net
4) Libera Chiesa in libero Stato. Secondo Ruini - Prima con un libro e poi con un grande convegno a Roma nientemeno che su Dio, il cardinale rilancia il "progetto culturale" della Chiesa italiana. Che coincide con la "priorità" che Benedetto XVI ha assegnato al suo pontificato - di Sandro Magister
Stiamo lottando per Caterina – Antonio Socci - 13 settembre 2009 - Ringrazio immensamente tutti coloro che in queste ore pregano per mia figlia, Caterina, 24 anni, che si trova in coma all’ospedale di Firenze per un inspiegabile arresto cardiaco.
C’è una cosa importantissima e preziosissima che si può fare: pregare! Far celebrare messe e recitare rosari per la sua guarigione è, in questo momento, la speranza più grande. Noi e gli amici lo stiamo facendo instancabilmente, anche con la recita della preghiera per ottenere l’intercessione di don Giussani (ve la copio qua sotto).
Io e tutta le mia famiglia ve ne siamo grati.
Che Dio vi benedica.
Antonio Socci
Signore Gesù, tu che ci hai donato don Giussani come padre e ci hai insegnato, attraverso di lui, la gioia di riconoscere la nostra esistenza come offerta a te gradita, concedici per sua intercessione la grazia della guarigione di Caterina. Te lo chiediamo per la sua glorificazione e per la nostra consolazione. Amen.
JanSobieski Scrivere " - Alla scoperta della lobby "ricca e lagnosa" - L'omosessualismo avanza silenziosamente grazie al politicamente corretto dilagante, ai finanziamenti colossali delle corporations e a appoggi insospettabili... Come il peggiore dei luoghi comuni, si rafforza negandolo. Più i gay ripetono «non siamo un potere forte, né occulto», più il mondo etero si convince che «sono una lobby potentissima».
Quando Benedetto XVI, parlando ai nunzi apostolici dell’America Latina nel febbraio 2007, ribadì il ruolo centrale del matrimonio nella società contemporanea, «che è l’unione stabile e fedele tra un uomo e una donna», lamentando come la famiglia «mostra segni di cedimento sotto la pressione di lobby capaci di incidere sui processi legislativi», l’universo gay, sentendosi chiamato in causa, rispose sdegnato che la vera lobby, semmai, era quella vaticana... Ma l’opinione pubblica ebbe confermato, ex cathedra, un sospetto magari tendenzioso ma radicato.
In Italia, per ben note questioni storiche, il «potere» dei gruppi omosessuali è ancora sotto traccia. Ma nel resto del mondo occidentale, soprattutto nei Paesi anglosassoni dove i termini gay e lobby non hanno alcuna connotazione negativa, l’omosessualità, oltre che una ragione di orgoglio, pride, è anche una questione di potere, power.
E se recentemente è stato lo stesso presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a fare i conti con il peso politico della comunità gay (in occasione del referendum sul matrimonio omosessuale nello stato della California è stato aspramente criticato per le sue affermazioni sul matrimonio come «un’unione sacra, benedetta da Dio, tra un uomo e una donna»), è soprattutto nel mondo degli affari e dell’economia che le quotazioni della «gay corporation» sono in costante aumento: una dettagliata inchiesta pubblicata su Corriere Economia nel marzo 2008 metteva in evidenza la straordinaria capacità da parte dei gay di «fare rete». E sottolineava come, mentre aveva fatto discutere la decisione della banca d’affari Lehman Brothers di dedicare una giornata di selezione a Hong Kong solo per gli omosessuali per accaparrarsi i talenti migliori, per tante società americane la cosa non presentava nulla di speciale. Negli Usa esiste un’associazione, Out&Equal, con sede a San Francisco – capitale storica della liberazione (omo)sessuale – che promuove il diritto all’uguaglianza degli omosessuali nei luoghi di lavoro. E in tutte le grandi banche, in Ibm, in Johnson&Johnson, esistono gruppi organizzati di «Glbt», l’acronimo utilizzato per riferirsi a gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Ed è attraverso organizzazioni come queste che la comunità omosessuale «fa network», cioè lobby.
Una lobby potente e ricca. Anzi, secondo un dossier del 2006 della rivista Tempi, ricchissima: la lobby omosessuale internazionale, che ha le sue roccaforti a New York, Washington, San Francisco e Bruxelles, è sempre più influente. Riceve finanziamenti sia dalle grandi corporation americane, sia dai governi e dalle istituzioni internazionali, spesso sotto forma di donazioni a Ong o fondi per la lotta all’Aids. Uno tra i più influenti gruppi che appoggiano le battaglie per i diritti delle comunità gay e bisessuali negli Usa come in America Latina e in Europa è quello dei «Catholics for a Free Choice», un’organizzazione che assieme all’«International Lesbian and Gay Association» (presente in 90 Paesi con oltre 400 organizzazioni affiliate) lavora a Bruxelles per far pressione sui legislatori affinché agiscano contro gli Stati che non riconoscono le unioni omosessuali.
Giusto per capirne la potenza economica, il gruppo «Catholics for a Free Choice» dispone di un budget annuale di 900mila dollari ed è finanziata da molti «poteri forti», tra cui la Playboy Foundation, la MacArthur Foundation, l’Open Society Institute del finanziere George Soros e la Rockefeller Foundation. Le medesime fondazioni, poi, con l’aggiunta di colossi dell’industria mondiale – dalla Kodak all’American Airlines, da Apple alla Toyota – finanziano per decine di migliaia di dollari la più importante organizzazione gay con sede a Washington: la «Human Rights Campaign». E solo per citare un altro colosso, la Sony è tra i fondatori di «Mtv Gay Channel» e sponsorizza gli attivisti pro-nozze gay e pro-aborto della «Rock for Choice» che coinvolge numerose star della musica, dai Red Hot Chili Peppers a Tracy Chapman.
Come fanno notare molti intellettuali, la potenza politico-economica dei gruppi gay è tale da influenzare l’intero ambito sociale, arrivando a imporre le regole del «politicamente corretto». Esempi? La riforma del diritto di famiglia voluta da Zapatero in Spagna per introdurre il matrimonio tra omosessuali ha cancellato dal codice civile i termini «marito» e «moglie» (sostituiti da «coniuge») e «padre» e «madre» (sostituiti da «genitore»); la Bbc ha diramato una circolare interna in cui bandisce i termini «padre» e «madre»; il ministero della Pubblica istruzione inglese suggerisce agli insegnanti di redarguire i bambini che si riferiscano ai propri genitori chiamandoli «mamma» o «papà» perché ciò farebbe sentire discriminati i bambini cresciuti da coppie omosessuali... E qualche mese fa, a una domanda della giuria di Miss America sulle unioni gay, Carrie Prejean, rispondendo che «nella mia nazione ideale il matrimonio è tra un uomo e una donna», si è giocata il titolo.
E se sulla strada del politicamente corretto anche l’Italia sta facendo passi da gigante, su quella del potere-gay, invece, il nostro Paese – cattolico per fede, omofobo per cultura e moralista per tradizione - è sicuramente un passo indietro rispetto agli Usa e al resto d’Europa. Asher Colombo, sociologo dell’Università di Bologna che con il collega Marzio Barbagli è autore del saggio Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia (uscito per il Mulino nel 2007), è chiarissimo: «Se per lobby si intende un vero gruppo organizzato che opera all’interno dei palazzi del potere per influenzare decisione politiche o economiche, allora in Italia il concetto di lobby gay non ha senso. Associazioni anche importanti come Arcigay o Arcilesbiche sono più simili a movimenti sociali che a vere forme organizzate come ad esempio la lobby degli industriali... Però è indubbio che ci sono singole persone di orientamento omosessuale molto influenti nelle arti, nella politica, nello spettacolo. La moda e la televisione, ad esempio, sono settori dove l’omosessualità è una caratteristica meno discriminante che in altri campi e dove è più facile fare coming out. E ciò modifica la percezione dell’opinione pubblica che confonde la minor discriminazione all’ingresso con il fare lobbying...».
Moda e televisione: proprio i due regni dove il luogo comune del potere gay si rafforza negandolo. Quando poco prima dell’estate il direttore di Vogue Italia Franca Sozzani, intervistata da Klaus Davi, liquidò la lobby omosessuale nel mondo della moda come un «mito», tutti – ricordandosi l’indiscrezione di quel dirigente di Dolce&Gabbana secondo il quale «noi assumiamo solo gay» – hanno inteso esattamente il contrario. Così come non c’è addetto ai lavori del mondo editorial-giornalistico che non ricordi – due anni fa – la processione di star della politica e della cultura che sfilò al teatro Manzoni di Milano quando Alfonso Signorini presentò in pompa magna il suo libro sulla Callas. Un parterre che neppure Eco, o Cacciari, o Baricco, o Camilleri – anche tutti insieme – potrebbero mai sognare.
Intanto, anche da noi, sull’onda mediatica del successo di film e serial tv politicamente molto corretti e culturalmente molto queer, c’è chi sta pensando di fondare un partito «altro». All’ultimo Gay Pride, a Genova lo scorso giugno, il presidente di Arcigay Aurelio Mancuso ha ribadito la necessità per i gay di «entrare in politica». Sfilando in piazza per andare ben oltre il semplice concetto di lobby.
Luigi Mascheroni - IL FOGLIO 7 settembre 2009
UE/ La minaccia di Irlanda e Germania - Mario Mauro lunedì 14 settembre 2009 – Ilsussidiario.net
Il primo ministro Brian Cowen ha annunciato che il 2 ottobre si terrà il secondo referendum irlandese sul Trattato di Lisbona. Se dovesse avere un risultato positivo, per l’entrata in vigore del Trattato nei Paesi dell’Unione europea mancheranno solamente la firma del Presidente polacco, che aspetta il risultato irlandese, e quella dell’euroscettico Presidente della Repubblica Ceca, dove peraltro il Trattato è già stato approvato dal parlamento.
Per incoraggiare la popolazione irlandese al voto referendario e per sollecitare una risposta positiva all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il governo irlandese ha pubblicato un Libro bianco che spiega i cambiamenti che il Trattato apporterà al funzionamento dell’UE e illustra le garanzie giuridicamente vincolanti e le assicurazioni ottenute dall’Irlanda in seguito alla bocciature del primo referendum.
Infatti dopo il "semaforo arancione" dato dalla Corte Costituzionale Tedesca all’adozione del Trattato, che potrà entrare in vigore solo a determinate condizioni, anche l’Irlanda ha ottenuto un compromesso in tale direzione.
Al vertice di Bruxelles di giugno i leader dell’UE hanno concesso all’Irlanda alcune garanzie giuridiche in materia di tassazione, neutralità militare e aborto, confermando la sovranità nazionale dell’Irlanda in questi settori. Questa decisione se da un lato spiana la strada al secondo referendum irlandese sul trattato di Lisbona, che si terrà in autunno, dall’altro rinforza il timore di creare differenti livelli di sovranità dell’Europa all’interno degli Stati membri.
In Germania infatti, come ricordato poco sopra, la Corte Costituzionale ha confermato la compatibilità del trattato di Lisbona con la Costituzione. Ha però dichiarato che prima di concludere la procedura di ratifica occorre modificare la parallela legge tedesca sul diritto di partecipazione del Parlamento nazionale alle politiche comunitarie.
Infatti la Legge fondamentale (Grund Gesetz), in seguito alla riforma costituzionale del 1992, ha previsto esplicitamente all’art. 23, I c. la partecipazione della Repubblica federale tedesca “allo sviluppo dell’Unione europea” nel rispetto “dei principi di democrazia, dello Stato di diritto, sociale e federativo e del principio di sussidiarietà” e di “una tutela dei diritti fondamentali essenzialmente paragonabile a quella della (…) Legge fondamentale”.
In sostanza la Corte di Karlsrhue ha rilevato che i meccanismi decisionali dell’Unione, nonostante questa in alcuni settori agisca come un’entità statale federale, sono essenzialmente ispirati al modello proprio delle organizzazioni internazionali, fondato sul principio dell’uguaglianza fra gli Stati, insomma l’Europa non è federalista, ma è un’Europa delle nazioni. Insomma è l'affermazione della centralità del Parlamento tedesco, non solo del Bundestag, ma anche del Bundesrat, come organismi nei quali si esprime appieno la democrazia.
Questo deve farci riflettere non solo sulla permanenza di un forte deficit di legittimità delle Istituzioni comunitarie, ma anche sul valore riconosciuto al Parlamento europeo, che paradossalmente vedrebbe i suoi poteri rafforzati proprio dal Trattato di Lisbona. Non si giustifica il voler riconoscere a tutti i costi maggiori poteri di partecipazione alle assemblea nazionali, considerando fra l’altro che proprio i parlamentari europei tedeschi rappresentano in assoluto il gruppo più numeroso all’interno dell’assemblea di Bruxelles e vengono eletti, secondo l’Europawahlgesetz, in modo generale, diretto, uguale, libero e segreto, così come sancito anche nella Legge fondamentale, per le elezioni dei membri del Bundestag.
La sentenza della Corte Costituzionale tedesca metteva in evidenza proprio il timore che venissero lese la sovranità e la competenza del Bundestag; per cui nello specifico non solo l’interesse nazionale, ma i poteri di ogni singolo Land devono essere salvaguardati e tutelati contro lo “sconfinamento” delle competenze europee.
Questo deve farci riflettere perché potrebbe, o avrebbe potuto portare non solo a una richiesta di maggior tutela delle sovranità nazionale e dei parlamenti, ma si potrebbe arrivare a pensare che anche le singole regioni di uno stato, soprattutto in quei paesi dove abbiano funzioni proprie e potere legislativo (si pensi alla stessa Italia, alla Spagna, per non dire al Regno Unito) potrebbero avanzare pretese simili. Allora più che parlare di Europa a due velocità si arriverebbe a un’Europa a più velocità che rischierebbe solo il testacoda.
Libera Chiesa in libero Stato. Secondo Ruini - Prima con un libro e poi con un grande convegno a Roma nientemeno che su Dio, il cardinale rilancia il "progetto culturale" della Chiesa italiana. Che coincide con la "priorità" che Benedetto XVI ha assegnato al suo pontificato - di Sandro Magister
ROMA, 14 settembre 2009 – La tempesta che nei giorni scorsi ha investito il giornale della conferenza episcopale italiana, "Avvenire", ha riacceso la discussione sui rapporti tra la Chiesa e il potere politico.
Negli stessi giorni, una lettera circolare della congregazione vaticana per l'educazione cattolica ai vescovi di tutto il mondo sull'insegnamento della religione cattolica nelle scuole ha riproposto una questione su cui la protesta laica è più ricorrente.
Il rapporto tra religione e politica è una classica questione di "confini", come dice anche il titolo di un dialogo, divenuto un libro, tra il pensatore laico Ernesto Galli della Loggia e il cardinale Camillo Ruini.
Presentando il libro a Milano, a Palazzo Marino, lo scorso 9 settembre, Ruini ha trovato occasione per dire in sintesi come lui vede il ruolo pubblico della religione nelle moderne democrazie e i punti d'accordo e di disaccordo tra la Chiesa e la visione laica.
Il suo intervento, riprodotto integralmente più sotto, è tanto più interessante in quanto va ai "fondamentali" della controversia sulla laicità.
È una controversia che implica inevitabilmente la domanda suprema su Dio. Perché "con Dio o senza Dio cambia tutto", ha detto il cardinale, che proprio alla questione di Dio ha dedicato un grande convegno che si terrà a Roma dal 10 al 12 dicembre, promosso dalla conferenza episcopale italiana e in particolare dal suo comitato per il "progetto culturale", di cui lo stesso Ruini è presidente.
Il convegno non sarà strettamente “di Chiesa”. Spazierà dalla filosofia alla teologia, dall’arte alla musica, dalla letteratura alla scienza. E gli oratori saranno di assoluto rilievo internazionale nei rispettivi campi: siano essi cattolici o no, credenti od agnostici, da Robert Spaemann ad Aharon Appelfeld, da Roger Scruton a Rémi Brague, da Martin Nowak a Peter van Inwagen.
Non sarà neppure una sfilata di opinioni giustapposte, tanto meno una sorta di “cattedra dei non credenti” del tipo di quelle promosse anni fa dal cardinale Carlo Maria Martini. Il disegno è mirato. Punta deciso a mettere a fuoco quella “priorità” che per Benedetto XVI “sta al di sopra di tutte”, in un tempo “in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento”.
La priorità cioè – come ha scritto papa Joseph Ratzinger nella sua lettera ai vescovi del 10 marzo 2009 – “di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.
Per la conferenza episcopale italiana un convegno di tale portata è una prima assoluta. Il "progetto culturale" di cui Ruini è stato ideatore trova in esso una delle sue esplicazioni maggiori. Perché tale progetto non è altro che "uno sforzo per trasformare il messaggio della Chiesa in cultura popolare", come ha detto il rettore dell'Università Cattolica di Milano, Lorenzo Ornaghi, nel commentare il libro di Ruini e Galli della Loggia. Uno sforzo che ha avuto e ha nel quotidiano "Avvenire" una delle sue tribune più importanti.
Ma lasciamo la parola al cardinale.
Una laicità positiva per il futuro - di Camillo Ruini
Quello della laicità è un grande tema, del quale si discute da anni con un interesse che sembra inesauribile. È difficile, pertanto, proporre in merito "idee innovative", come è auspicato per questo incontro.
In rapporto all’emergere di qualcosa di nuovo vorrei segnalare anzitutto il rischio insito nella parola "laicità", non per se stessa ma perché, nel dibattito culturale e politico italiano, essa risente facilmente della parentela con il termine francese "laicité", portatore, storicamente, di un significato assai preciso e, a mio avviso, abbastanza angusto, rispetto alle problematiche attuali oltre che alla rilevanza dell’altro filone, che per intenderci chiameremo "nord-americano".
Affinché una "nuova" laicità sia elaborata concettualmente, e soprattutto possa prendere piede nella realtà, la matrice americana mi sembra assai più utile di quella francese, ma soprattutto occorre misurarsi seriamente con il rilievo assunto dalla presenza delle diverse religioni sulla scena pubblica, oltre che con le questioni poste sia dalla trasformazione dei costumi e modi di vivere sia dagli sviluppi scientifici e tecnologici, in particolare nell’ambito delle biotecnologie.
Mi preme inoltre inserire una considerazione della quale di solito non si parla, ma che mi sembra indispensabile per impostare correttamente, o se vogliamo con onestà intellettuale, tutto il discorso sulla laicità e sul ruolo pubblico delle religioni.
Questa considerazione è contenuta nel sottotitolo del convegno internazionale su Dio, promosso per il prossimo dicembre [a Roma] dal comitato per il progetto culturale [della conferenza episcopale italiana]: "Con Lui o senza di Lui cambia tutto".
Robert Spaemann, nel 2001, ha illustrato in maniera molto sintetica ma altrettanto magistrale il significato di questa affermazione, precisando che la risposta all’interrogativo: fa differenza che Dio esista o non esista? cambia profondamente a seconda che si tratti dei credenti o dei non credenti, sia atei sia agnostici.
I credenti autentici rispondono che la differenza non solo esiste ma è grande e radicale – anzi, è la prima e la più grande –, riguardo sia al modo di concepire la realtà sia all’orientamento da dare alla nostra vita: per loro infatti Dio è l’origine, il senso e il fine dell’uomo e dell’universo.
I non credenti invece possono differenziarsi nelle loro risposte, a seconda che ritengano la fede in Dio negativa, positiva o irrilevante per la vita dell’uomo e della società, ma propriamente parlando si riferiscono soltanto alla nostra fede in Dio, non alla realtà stessa di Dio, dato che secondo loro Dio non esiste, o comunque non possiamo sapere niente di lui, nemmeno se egli esista.
Il riconoscimento di questa profonda diversità di approccio tra credenti e non credenti sgombra il terreno dagli equivoci delle false uniformità, ma non implica affatto una impossibilità di convergere su obiettivi concreti e importanti: anzi, nelle attuali circostanze storiche, importantissimi. Evidenzierò in seguito alcuni di questi.
***
Ritornando alla questione della laicità, distinguerei tra gli aspetti sui quali oggi esiste un consenso sostanziale, anche se spesso mascherato da polemiche piuttosto strumentali, e i punti sui quali invece il contrasto è profondo, anzi, tende forse ad acuirsi.
Seguendo da una parte la voce "Laicismo", redatta da Giovanni Fornero nella terza edizione del "Dizionario di filosofia" dell’Abbagnano, e dall’altra i documenti "Gaudium et spes" e "Dignitatis humanae" del Concilio Vaticano II, possiamo individuare gli aspetti su cui c’è consenso anzitutto nel principio dell’autonomia delle attività umane, cioè nell’esigenza che esse si svolgano secondo regole proprie, non imposte loro dall’esterno. Dietro questo consenso rimane anche qui la diversità tra credenti e non credenti: i primi ritengono infatti che questa autonomia abbia in Dio creatore la propria origine e la propria ultima condizione di legittimità ("Gaudium et spes" 36).
Un secondo elemento di consenso è costituito, contrariamente a molte apparenze, dall’affermazione della libertà religiosa, come diritto inalienabile di ogni persona e, almeno secondo la Chiesa cattolica, di ogni comunità.
Decisiva è stata, al riguardo, la svolta operata dal Vaticano II con la dichiarazione "Dignitatis humanae", rispetto alle posizioni precedenti della Chiesa in materia. Una differenza nei confronti di opinioni diffuse nel mondo laico riguarda il fondamento ultimo di tale libertà, che il Concilio intende in modo da escludere un approccio relativistico incompatibile con la rivendicazione di verità del cristianesimo. Aggiungo che la "Dignitatis humanae" (n. 7) afferma nettamente che la libertà dell’uomo nella società va riconosciuta nella maniera più ampia possibile, limitandola soltanto se e in quanto ciò sia necessario.
Sulla base dei due principi condivisi dell’autonomia delle attività umane e della libertà, in particolare della libertà religiosa, un ampio consenso sussiste inoltre – di nuovo, contrariamente alle apparenze – sulle norme o i criteri di fondo che devono regolare i rapporti tra lo Stato e le comunità religiose, compresi quelli tra lo Stato e la Chiesa in Italia.
Si tratta in concreto della loro distinzione e autonomia reciproca, oltre che dell’apertura pluralistica degli ordinamenti dello Stato democratico e liberale alle posizioni più diverse – comprese quelle di matrice religiosa e anche confessionale –, che di per sé hanno tutte, davanti allo Stato, uguali diritti e uguale dignità.
Le motivazioni e le dimensioni di questa apertura sono però assai diverse, a seconda dei punti di vista degli interlocutori, come vedremo tra breve.
L’ostacolo che si frapponeva in Italia, e che ancora in qualche modo sopravvive in vari altri paesi, anche europei, cioè la "religione di Stato" o il carattere confessionale dello Stato, è stato superato istituzionalmente con l’accordo del 1984 di revisione del Concordato, che, nel protocollo addizionale, in relazione all’art. 1, recita: "Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato nei Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano".
Alla base della revisione del Concordato stanno, come è noto, da una parte la Costituzione della Repubblica e dall’altra il Concilio Vaticano II con il riconoscimento della libertà religiosa.
L’obiezione che la sussistenza stessa del Concordato rappresenti un privilegio, contrario al principio dell’apertura pluralista e paritaria dello Stato alle diverse confessioni religiose e posizioni culturali, dopo l’accordo di revisione non sembra insuperabile: le relazioni concrete tra uno Stato e le diverse confessioni religiose presenti nel corpo sociale non possono infatti non tener conto della situazione storica e dei modi nei quali, all’interno di essa, lo Stato può riconoscere un carattere pubblico, e non soltanto privato, alle varie confessioni, con gli effetti concreti che conseguono da un tale riconoscimento.
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Venendo ora agli aspetti della laicità su cui esistono divergenze profonde, ossia ai problemi oggi realmente aperti, essi si concentrano principalmente, nei paesi di democrazia liberale ai quali limito il mio discorso, sul ruolo pubblico che le religioni possono o non possono esercitare e sulle condizioni alle quali possono eventualmente esercitarlo.
La gamma delle opinioni e posizioni al riguardo è ampia e variegata, ma sembra possibile individuare due orientamenti, e direi due sensibilità, di fondo.
Uno di essi tende a ridurre il ruolo pubblico delle religioni, talvolta fin quasi a sopprimerlo, e viene motivato sottolineando, da una parte, il carattere personale, spirituale e intimo, piuttosto che sociale e istituzionale, della religiosità autentica; privilegiando, d’altra parte, nella vita di una nazione, la sfera propriamente politica rispetto a quella del sociale.
L’altro orientamento tende invece a favorire, o comunque ad accogliere senza riserve mentali, il ruolo pubblico delle religioni, ritenendo anche le dimensioni sociali e istituzionali essenziali per le religioni e insistendo sull’autonomia e la rilevanza irriducibile della sfera del sociale.
Va detto qui chiaramente che queste diversità di orientamenti si pongono oggi in maniera trasversale rispetto alla distinzione, consueta in Italia, tra cattolici e laici, come anche tra credenti e non credenti. Tra i cattolici si trovano infatti non pochi sostenitori di una religiosità concentrata sul suo aspetto spirituale, che sono facilmente critici del ruolo pubblico delle religioni e in particolare del cattolicesimo, mentre tra i laici, specialmente dopo l’emergere delle nuove e grandi questioni etiche e antropologiche, e dopo la rinnovata presenza delle religioni non cristiane sulla scena mondiale, sono numerosi quelli che riconoscono volentieri un tale ruolo, e non di rado lo auspicano.
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Su questa problematica tenterò ora di esporre sinteticamente il mio punto di vista.
I fenomeni religiosi, in concreto tutte le religioni, compreso evidentemente il cristianesimo, hanno di per sé non minori titoli che ogni altra realtà o fenomeno sociale ad influire sulla scena pubblica, ivi compresa la dimensione propriamente politica. Ciò naturalmente nel rispetto delle regole della democrazia e dello Stato di diritto o, per usare una terminologia oggi in voga, delle procedure attraverso le quali si formano e si esprimono le decisioni politiche.
Non vi è quindi ragione per porre alle religioni speciali condizioni per esercitare un ruolo pubblico: ad esempio condizioni riguardanti la razionalità del loro argomentare. La decisione se un modo di argomentare sia razionale, o forse più precisamente plausibile e convincente, in un sistema democratico è affidata infatti, in ultima analisi, soltanto alla valutazione che ne dà la generalità dei cittadini nelle sedi appropriate, anzitutto quelle elettorali.
Vorrei indicare infine i motivi per i quali il ruolo pubblico delle religioni – in particolare del cristianesimo – è importante e può rendere un servizio positivo alla vita della società. In altri termini, vorrei indicare le ragioni pratiche di quella laicità "sana" o "positiva" di cui ha parlato a più riprese Benedetto XVI, aperta cioè alle fondamentali istanze etiche e al senso religioso che portiamo dentro di noi.
Una motivazione assai rilevante è stata indicata da E.-W. Böckenförde già molti anni fa, nel suo classico saggio su "La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione": lo Stato liberale secolarizzato vive infatti di presupposti che esso stesso non può garantire e tra questi, come già sosteneva Hegel, sembrano svolgere un ruolo peculiare gli impulsi e i vincoli morali di cui la religione è la sorgente.
Molto recentemente Rémi Brague, in un intervento su "Fede e democrazia" pubblicato sulla rivista "Aspenia" nel 2008, ha proposto un aggiornamento interessante, e a mio parere nella sostanza condivisibile, della tesi di Böckenförde.
In primo luogo ha esteso questa tesi dallo Stato all’uomo di oggi, che in larga misura ha smesso di credere nel proprio valore, a causa di quella tendenza a ridurre l’uomo stesso a un fenomeno della natura e di quel totale relativismo che sono alla base delle attuali interpretazioni della laicità contrarie all’apertura sollecitata da Benedetto XVI. È l’uomo, dunque, e non solo lo Stato, ad aver bisogno oggi – ma, a mio avviso, sostanzialmente sempre – di un sostegno che non è in grado di garantirsi da se stesso.
In secondo luogo la religione non è soltanto, e nemmeno primariamente, fonte di impulsi e vincoli etici. Oggi, prima che di assicurare dei limiti e degli argini, si tratta di trovare delle ragioni di vita. Proprio questa è, fin dall’inizio, la funzione, o meglio la missione più propria del cristianesimo: esso infatti ci dice anzitutto non "come" vivere, ma "perché" vivere, perché scegliere la vita, perché gioirne e perché trasmetterla.
Il libro "Confini" è, come precisa il suo sottotitolo, un esercizio di "dialogo sul cristianesimo e il mondo contemporaneo", che cerca di approfondire nelle sue motivazioni e di rivestire di concretezza quella laicità non ostile al cristianesimo, anzi alimentata in buona misura da esso, nella quale il professor Galli della Loggia ed io, pur con tutti i nostri diversi punti di vista, individuiamo concordemente un presidio essenziale dell’ispirazione umanistica della nostra civiltà.
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Il libro:
Ernesto Galli della Loggia, Camillo Ruini, "Confini. Dialogo sul cristianesimo e il mondo contemporaneo", Mondadori, Milano, 2009.
Il professor Galli della Loggia è tornato su uno dei temi discussi nel libro in un editoriale sul "Corriere della Sera" del 30 agosto 2009:
> Quelle distanze con la Chiesa
In questo editoriale, Galli della Loggia ha prospettato un superamento del Concordato tra l'Italia e la Santa Sede, all'insegna di una Chiesa spoglia di poteri. E questo, assieme ad altri elementi arditamente collegati, ha indotto un commentatore cattolico come Antonio Socci (su "Libero" dell'11 settembre 2009) a vedere all'opera un disegno più vasto, ecclesiale e politico, di contestazione della linea impersonata per anni dal cardinale Ruini, un disegno con addentellati anche in Vaticano:
> "C'est Fini! Galli della Loggia, Mieli e la Chiesa
Indipendentemente dalla ricostruzione di Socci, un dato certo è che alcuni circoli cattolici, assecondati da prelati, mostrano un febbrile interesse a che prenda vita in Italia una nuova formazione politica di centro, nella quale i cattolici e la Chiesa possano trovarsi "di casa". Questo interesse appare acuito dopo la tempesta che ha investito "Avvenire", con le dimissioni del suo direttore Dino Boffo. Uno dei più attivi nel manifestare tale interesse è Andrea Riccardi, fondatore e leader della Comunità di Sant'Egidio. Riccardi ha esposto la sua aspettativa di una svolta sia politica che ecclesiale – postberlusconiana e postruiniana – il 12 settembre dalla tribuna di un congresso dell'UDC a Chianciano, nel quale erano prima di lui intervenuti Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini e Francesco Rutelli.
La mattina dello stesso 12 settembre, Riccardi aveva anticipato il suo intervento a Chianciano in questo articolo sul "Corriere della Sera":
> I cattolici e l'esigenza di una visione per superare i fuochi d'artificio
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La lettera vaticana sull'insegnamento della religione nella scuola, citata in apertura di questo servizio:
> Lettera circolare sull'insegnamento della religione nella scuola, 5 maggio 2009
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I servizi di www.chiesa sul caso "Avvenire", concentrati sui suoi risvolti ecclesiali:
> La Chiesa, Obama e Berlusconi. La confusione al potere (31.8.2009)
> Dino Boffo lascia "Avvenire". "Per gli interessi della mia Chiesa" (3.9.2009)
> "Avvenire" ha due lettori tra loro discordi: i vescovi e il Vaticano (10.9.2009)
E l'analisi complessiva del caso, anche sul versante politico, da parte del professor Pietro De Marco:
> "La questione non finisce qui". Sul caso Boffo e sul suo successore
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Un precedente servizio di www.chiesa sulla questione della laicità, con interventi dei cardinali Camillo Ruini e Angelo Scola, e dei professori Ernesto Galli della Loggia e Pietro De Marco:
> Laicità in pericolo. Due cardinali accorrono in sua difesa (23.2.2009)
E una lettura "americana" delle stesse questioni, in un libro dell'arcivescovo Charles J. Chaput:
Come far politica da cattolici. Il promemoria di Denver (13.8.2008)