Nella rassegna stampa di oggi:
1) Caterina (3) : c’è un mistero… - Antonio Socci
2) I giornali manipolano la sentenza del TAR sul fine vita - Il Movimento per la Vita chiede una rettifica al Corriere della Sera - di Antonio Gaspari
3) Scienza & Vita - Comunicato n° 37 del 18 Settembre 2009 - TAR LAZIO: PRONUNCIA A FAVORE DELL'ABBANDONO DEI SOSTEGNI VITALI
4) Eluana, Porta Pia, la gnosi e l’Europa - di Angela Pellicciari - Un noto professore di bioetica pubblica un libro con prefazione di Beppino Englaro. E paragona il caso Eluana alla breccia di Porta Pia. Sullo sfondo, ben visibile, l’antica eresia gnostica. Che odia la vita. - [Da «il Timone», n. 85, luglio/agosto 2009]
5) Vita prenatale e setaccio genetico - Ma c'è qualcuno che si domanda cosa davvero vogliono le donne? - di Carlo Bellieni - L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009
6) TAR LAZIO/ Il protagonista: sul fine vita disinformazione e opinioni non necessarie, ma è tanto rumore per nulla - INT. Filippo Vari sabato 19 settembre 2009 – Il sussidiario.net
7) Dionigi e la via dell’invisibile - DI F RANCESCO T OMATIS - Dionigi Areopagita - TUTTE LE OPERE - Bompiani. Pagine 832. Euro 26,50
Caterina (3) : c’è un mistero… - Antonio Socci
Cari amici, fratelli miei,
i prossimi giorni per Caterina saranno quelli cruciali: la verifica neurologica ci darà qualche risposta che potrebbe essere terribile sull’esito del coma. Per questo vi prego in ginocchio di intensificare il vostro aiuto di preghiera…
Intanto voglio confidarvi una cosa. Stamani sono andato alla S.S. Annunziata. Forse qualcuno di voi sa perché… Nel settembre 2004, quando ho accompagnato a Firenze Caterina diciannovenne a fare l’esame di ammissione ad Architettura, accadde…. Beh, trascrivo qui sotto l’articolo che scrissi sul “Foglio” su quel giorno per me struggente …
.. ieri è accaduto un evento insignificante per voi, ma non per me. Mia figlia primogenita fu una bambina riccioluta, oggi diciannovenne è una scura bellezza da profetessa biblica, una voce superba quando – al pianoforte – canta “Bring me to life” degli Evanescence o, a due voci con sua sorella, “Nothing else matters” dei Metallica. Ieri mattina l’ho accompagnata a Firenze dove inizia l’università e dove quindi vivrà.
E mentre correvamo sul crinale delle colline di San Donato, la dolce valle di San Gimignano ai nostri piedi, pensavo: “ma quando e come e perché sei cresciuta così? Eri piccola ieri e stamani ti sei alzata e sei una principessa.
E’ un imbroglio! Non mi hai dato il tempo neanche di trattenerti, di fermare il tempo come un Faust innamorato e incatenarti alla tua adolescenza. Neanche mi sono accorto che diventavi grande, bestia che sono”.
Ecco, ho pensato: l’ho già persa. Sì, tornerà a casa (anche spesso, spero), ma ha la sua vita, soprattutto ha il suo destino e non sono io, non è casa mia. Dice mia moglie: “che pizza che sei! Mica è morto nessuno. E poi Firenze è dietro l’angolo”.
Non è vero, non è questione di chilometri: la vita se ne va. Ogni giorno tutto se ne va. Anche se non ce lo diciamo: “Ma chi ci ha rigirati così/ che qualsia quel che facciamo/ è sempre come fossimo nell’atto di partire? Come/ colui che sull’ultimo colle che gli prospetta per una volta ancora/ tutta la sua valle, si volta, si ferma, indugia,/ così viviamo per dir sempre addio” (Rilke).
C’est la vie. E, nella malinconia, lo struggimento dei quarantenni, quello che Péguy definiva “il loro segreto”: desiderare la felicità dei figli e sperare che l’impossibile per loro avvenga. Così arrivo a Firenze: i viali, via Capponi, di colpo una quantità di ricordi che si affastellano fra quelle strade. Le avventure e le facce dei tanti amici dei miei 20 anni che tutte assieme stanno sotto il nome “Comunione e liberazione”.
Ad aspettare Caterina ci sono altre facce giovani che accolgono le matricole organizzando per loro dei preziosi precorsi per i test di ammissione. Altre facce, ma la stessa storia, lo stesso timbro umano, la stessa cordialità, lo stesso nome e la stessa avventura. Quando chiedo a mia figlia se è persuasa, lei mi risponde con una disarmante felicità.
Io che sto fuori dall’ “organizzazione” e tiro sassi alle finestre credo che siano la meglio gioventù.
Giro l’angolo e mi trovo in piazza della Santissima Annunziata. Vado ad “affidare” mia figlia e il suo destino alla Regina del cielo: che la tenga lei sotto il suo mantello. Mi accorgo solo allora che quei ragazzi sono la sua risposta, sono come il concretissimo lembo del mantello di Maria, il suo abbraccio materno che raggiunge mia figlia. La sua tenerezza.
Poi mi colpisce una coincidenza. Esco dalla SS Annunziata e mi trovo davanti l’immensa cupola del Brunelleschi che – secondo Irving Lavin – rappresenta il grembo di Maria gravido di Dio: “nel ventre tuo si raccese l’Amore…”. Poi mi volto ancora e trovo San Marco, il convento domenicano dove è vissuto La Pira che faceva uno strano sillogismo: “Firenze è il centro del mondo, San Marco è il cuore di Firenze e il cuore di san Marco è l’Annunciazione del Beato Angelico. Dunque l’Annunciazione è il cuore del mondo”.
Insomma dovunque la gloriosa bellezza di Firenze mi parla di Colui che sta per arrivare e di Colei che lo porta in grembo. Non di un passato …gli amici di mia figlia sono sedotti da Qualcuno che è già tra loro come “il più bello tra i figli dell’uomo”. Vuoi vedere la faccia di un cristiano?
Sta in un altro verso di Rilke: “Così sempre distratto d’attesa,/ come se tutto t’annunciasse un’amata”.
Mentre ci penso, lunedì mattina, mi arriva un sms di padre Tiboni, missionario (ciellino) in Uganda, che dice: “oggi è san Giovanni Battista. Come lui il nostro unico lavoro è testimoniare la presenza di Cristo”. Coincidenza. San Giovanni è il protettore di Firenze: riconobbe Colui che stava arrivando fin dal seno di sua madre. Gli bastò sentire la voce di Maria che lo portava in sé. Era Lui “il mondo nuovo che sta iniziando” (Agostino). E Giovanni se ne accorse.
Vi sembra una piccola cosa quella che ho visto ieri, in poche facce di giovani fiorentini? Beh, tutto cominciò a Nazaret, un borgo sperduto, in un povero tugurio abitato da una sconosciuta fanciulla…
Questo scrivevo in quel settembre 2004… Ora capite perché stamani sono andato alla S.S. Annunziata e in lacrime le ho chiesto di ridarmi la nostra principessa guarita… L’avevo affidata alle Sue mani di Madre, al Suo mantello…
So che Lei non abbandona mai i suoi figli, ma so che in questo momento, per qualche misterioso motivo, devo implorare con tutte le mie forze e con tutti i miei amici il Suo soccorso…
Un ultimo dettaglio. La Chiesa della S.S. Annunziata è quella dove ogni anno Caterina, con il coro degli universitari di Comunione e Liberazione, faceva il concerto di canti per le tende di Natale dell’Avsi. Sono venuta a sentirla anche lo scorso Natale. Lei andava pazza per il canto e per il coro e ci teneva tantissimo che andassi a sentirla. Ha una voce bellissima.
Anno scorso ha cantato da solista, durante la Via Crucis di Cl la laude “Voi ch’amate lo Criatore”, che è il pianto di Maria sul Figlio morto… Ha cmmosso tutti per la sua intensità. Io ho implorato la Vergine Santa di far risuonare ancora a lungo il canto di Caterina che dà voce al suo pianto di Madre…
Infine ricordavo in particolare un canto che Cate interpretava da solista all’ultimo concerto. E’ un canto bellissimo, spagnolo, che cantato da lei incantava tutti… Io non conoscevo la sua traduzione. Oggi, con mia moglie, per caso l’abbiamo letta e siamo scoppiati in lacrime. Eccola:
“Riu riu chiu, canta l’allodola: Dio protesse dal lupo la nostra agnellina; il lupo rabbioso la volle sbranare, ma Dio onnipotente la seppe difendere….”
Ho come la sensazione che quel lupo rabbioso (che è il Nemico di Dio) avesse un conto aperto con me e mi abbia voluto annientare colpendo Caterina, il mio stesso cuore. Signore Gesù, tu che sei buono e puoi tutto, ti imploro, difendila tu la mia fanciulla, manda Tua Madre a guarirla, pronuncia ancora una volta per la mia Caterina, il tuo “Talita Kum”, “agnellino, alzati!”…
Antonio Socci
I giornali manipolano la sentenza del TAR sul fine vita - Il Movimento per la Vita chiede una rettifica al Corriere della Sera - di Antonio Gaspari
ROMA, venerdì, 18 settembre 2009 (ZENIT.org).- Questo venerdì gran parte dei mezzi di comunicazione ha scritto articoli e trasmesso servizi sostenendo che il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio avrebbe bocciato con la sentenza n.8650/09 l'imposizione di alimentazione e idratazione, riconoscendo la necessità di rispettare la volontà del cittadino anche in stato vegetativo persistente.
In questo modo la sentenza del TAR sarebbe un tentativo di respingere il disegno di legge firmato dal senatore Raffaele Calabrò, già votato al Senato e in discussione alla Camera dei Deputati.
La valutazione espressa dai mass media, tuttavia, non è vera. La sentenza non boccia alcunché, e l'opposizione al ddl Calabrò è l'opinione di un magistrato e non della sentenza.
A questo proposito, il sottosegretario di Stato al Lavoro, alla Salute e alle Politiche Sociali, Eugenia Roccella, ha scritto in una nota che sulla sentenza del TAR del Lazio "c'è stato da parte dei mezzi di comunicazione un clamoroso e totale fraintendimento".
"Una vittoria, cioè il respingimento del ricorso, è stata trasformata da stampa e televisioni, tranne pochissime eccezioni, in una sconfitta", ha osservato la Roccella.
Secondo il sottosegretario di Stato, "la sentenza parla chiaramente: il tribunale amministrativo ha dichiarato il ricorso inammissibile ammettendo di non avere la competenza per esprimersi sull'argomento".
Per la Roccella, "il fatto che all'interno di una sentenza in cui il giudice si dichiara non competente a decidere lo stesso giudice esprima le proprie opinioni su idratazione e alimentazione non ha alcun effetto giuridico, né su altri tribunali né sull'iter parlamentare del disegno di legge sul testamento biologico".
Di fronte ad un tale tentativo di manipolare l'informazione, il presidente del Movimento per la Vita Carlo Casini ha scritto una lettera al direttore del Corriere della Sera, Francesco De Bortoli, in cui esprime sorpresa e chiede di rettificare l'informazione in questione.
"Con sorpresa - scrive il presidente del MpV - abbiamo aperto oggi il Corriere trovandovi fin dalla prima pagina una serie di gravi travisamenti della realtà a proposito della decisione del TAR Lazio sul provvedimento Sacconi in materia di idratazione e alimentazione di persona in stato vegetativo persistente".
Si legge, tanto per fare degli esempi, che "Il TAR boccia l'alimentazione forzata ai pazienti in stato vegetativo" o che "Il TAR boccia la direttiva Sacconi sul caso Englaro".
"La verità, come lei ben saprà, è l'esatto contrario - sottolinea Casini -: il TAR del Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso del Movimento di difesa dei cittadini che chiedeva la cancellazione del provvedimento del Ministro Sacconi e senza dichiarare in alcun modo nel dispositivo che 'a nessuna persona cosciente o in stato di incoscienza possono essere imposte alimentazione e idratazione artificiali'".
"Il TAR - continua il presidente del MpV - si è limitato a dichiarare di non poter decidere sulla questione perché riguarda l'esistenza o l'inesistenza di un diritto, questione su cui esso non ha alcuna competenza".
In merito alle opinioni del giudice che ha redatto la sentenza, Casini precisa che "è vero che la redattrice della motivazione della decisione ha fatto intendere che - secondo lei - esiste il diritto a rifiutare idratazione e alimentazione anche da parte incoscienti" , ma "questo, se fa temere un uso politico dell'attività giurisdizionale (perché una sentenza dovrebbe maturare soltanto sui presupposti della loro decisione finale), non influisce sulla sostanza della decisione del Tribunale e di conseguenza non dovrebbe condizionare chi dovrebbe tenere ben distinte le notizie dalle opinioni".
Il presidente del MpV sostiene che "in un periodo in cui molto si discute su diritti e doveri dell'informazione risulta veramente insopportabile un uso giornalistico delle notizie mirato - com'è di tutta evidenza - ad influire sull'opinione pubblica ed in particolare sul legislatore impegnato ad esaminare la delicatissima materia".
In merito agli esiti del procedimento, il Movimento per la Vita, che era intervenuto nella procedura per sostenere l'inammissibilità del ricorso, si ritiene "ovviamente più che soddisfatto del risultato ottenuto. Ma non può non criticare il modo, quanto meno superficiale, che molti giornali - Corriere in testa - hanno usato per riportare la notizia".
"In questo senso - conclude Casini nella lettera inviata al direttore del Corriere della Sera -, anche ai sensi della legge sulla stampa, le chiedo di rettificare l'informazione data ai suoi lettori".
Scienza & Vita - Comunicato n° 37 del 18 Settembre 2009 - TAR LAZIO: PRONUNCIA A FAVORE DELL'ABBANDONO DEI SOSTEGNI VITALI
L’Associazione Scienza & Vita prende atto con disappunto della sentenza emessa dal Tar Lazio, in relazione all’asserito diritto di rifiutare alimentazione e idratazione artificiali.
Sebbene il Tar Lazio abbia ritenuto inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, in quanto trattasi di diritti soggettivi, afferma comunque principi che, tra l’altro, introducono l’abbandono di “cura”, ovvero di quelle forme come alimentazione e idratazione che sono da considerare sostegno vitale e non terapie. Si disattenderebbe, altrimenti, il fondamento della relazione medico-paziente che si basa sul dovere di “cura”, ovvero della presa in carico di ogni persona ancor più nelle gravi disabilità o in stati terminali, senza per questo ricorrere ad accanimenti o abbandoni eutanasici.
Si introduce una cultura per il diritto a morire - avallato da volontà ricostruite - a fronte del favor vitae di rango costituzionale. Si contraddicono la Costituzione Italiana che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”; il Codice deontologico dei medici che afferma “il dovere del medico nella tutela della vita e della salute fisica e psichica”; la Convenzione dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità che richiama il dovere da parte degli Stati di “prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità”.
Si richiede pertanto un’assunzione di responsabilità che impedisca il piano scivoloso di una cultura eutanasica dissimulata da una falsificante interpretazione del principio di autonomia.
TAR LAZIO/ Il protagonista: sul fine vita disinformazione e opinioni non necessarie, ma è tanto rumore per nulla - INT. Filippo Vari sabato 19 settembre 2009 – Il sussidiario.net
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha adottato una decisione sul fine vita che ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica. Il Tar si è pronunciato sul ricorso proposto da un’associazione che chiedeva di annullare l’atto con il quale il Ministro Sacconi, nel dicembre 2008, aveva inteso a garantire l’alimentazione e l’idratazione delle persone in stato vegetativo persistente.
In merito al pronunciamento del Tar abbiamo intervistato Filippo Vari, Professore associato di Diritto costituzionale nell’Università Europea di Roma. Vari, insieme al Prof. Aldo Loiodice, ha difeso il Movimento per la vita, che si è costituito nel giudizio dinanzi al Tar per chiedere il rigetto del ricorso.
Professore, la decisione è stata accolta con entusiasmo dai coloro che sono favorevoli a interrompere l’alimentazione e l’idratazione delle persone in stato vegetativo. Cosa ne pensa?
In questi giorni si è offerto un grossolano esempio di disinformazione. Il Tar, infatti, diversamente da quanto affermato da alcune agenzie, quotidiani e telegiornali, ha respinto il ricorso presentato contro l’atto di indirizzo, declinando la propria giurisdizione.
Appare, dunque, incredibile la trasformazione di una sentenza negativa in una di accoglimento!
Ma la sentenza del Tar non è segnata da alcuni passaggi in cui si afferma che costituisce un diritto quello del rifiuto del sondino?
Sì, la sentenza del Tar contiene alcune considerazioni in merito alla portata dell’art. 32 della Costituzione e alla possibilità dei pazienti di rifiutare le cure.
E’ evidente, tuttavia, che si tratta opinioni non necessarie ai fini della decisione, la cui importanza è oltretutto attenuata dal richiamo da parte dello stesso giudice alla recente entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Come è noto, quest’ultima, all’art. 25, prescrive agli Stati firmatari di impedire “il rifiuto discriminatorio di […] prestazione […] di cibo e liquidi in ragione della disabilità”.
Dunque, non è vero, come invece sostengono alcuni, che si tratta di una sentenza destinata a segnare la discussione in Parlamento sul fine vita, nel senso di precludere l’approvazione di una norma per impedire che l’alimentazione e l’idratazione possano essere sospese?
Si tratta di una sentenza la cui portata non è idonea a influire negativamente sul dibattito in corso sul fine vita. Anzi, secondo la sentenza, spetta al giudice ordinario, e non a quello amministrativo, decidere se il diritto alla salute dei pazienti è leso dall’atto di indirizzo del Ministro, che impone l’alimentazione e l’idratazione dei pazienti in stato vegetativo persistente. In questo modo, però, ci saranno decisioni prese caso per caso da magistrati con sensibilità e impostazioni diverse, in un ambito segnato da precedenti tra loro antitetici. In questa situazione diventa ancora più urgente approvare una norma di legge per impedire che l’alimentazione e l’idratazione possano essere sospese.
Eluana, Porta Pia, la gnosi e l’Europa - di Angela Pellicciari - Un noto professore di bioetica pubblica un libro con prefazione di Beppino Englaro. E paragona il caso Eluana alla breccia di Porta Pia. Sullo sfondo, ben visibile, l’antica eresia gnostica. Che odia la vita. - [Da «il Timone», n. 85, luglio/agosto 2009]
«Più che di per sé (di persone ne muoiono tante, anche in situazioni ben peggiori), il caso Eluana è importante per il suo significato simbolico. Da questo punto di vista è l’analogo del caso creatosi con ha breccia di Porta Pia attraverso cui il 20 settembre 1870 i bersaglieri entrarono nella Roma papalina»: così scrive il professore di bioetica Maurizio Mori in un libro pubblicato di recente con la prefazione di Beppino Englaro.
Cosa c’entra Eluana col Risorgimento? C’entra. E molto. Come nel 1861 trionfano quanti pensano che gli italiani, per essere civili, debbano smettere di essere cattolici, così ora, auspica Mori, è stata aperta una breccia che provocherà il cambiamento della «idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria [...] per affermarne una nuova da costruire».
Nel Risorgimento trionfa il pensiero liberal-massonico nemico della Rivelazione e del Magistero, come oggi, così afferma il direttore dell’Avvenire Dino Boffo intervistato il 4 marzo sul Foglio da Nicoletta Tihiacos, vince papà Englaro sostenuto nella sua battaglia da «una cupola di indole massonica, che ha messo in campo una solidarietà formidabile, cementata in modo trasversale, capace di superare qualsiasi appartenenza politica, di categoria, di professione».
Cosa accomuna il Risorgimento al caso Englaro? La volontà gnostica di cambiare la realtà (la massoneria è una forma di gnosi). Si definiscono gnostici coloro che ritengono di incarnare l’avanguardia morale ed intellettuale dell’umanità. Gnostico, alla lettera, è colui che conosce, colui che sa. Gli gnostici sono convinti che loro spetti il compito di illuminare gli ignoranti (cioè quasi tutti) sulla direzione di marcia della storia. Certi di essere i migliori, hanno la convinzione che il loro sia un pensiero scientifico, capace di indicare con sicurezza in quale direzione l’umanità debba procedere per marciare spedita verso il progresso. Nemico del limite, che nega per principio, convinto di essene in grado di definire che cosa è bene e che cosa è male, il pensiero gnostico è all’origine delle immani catastrofi che hanno caratterizzato l’epoca moderna. Si va dalla Rivoluzione Francese, che vuole fare nuove tutte le cose ricorrendo al terrore, alla carneficina che Napoleone esporta in tutta Europa. La gnosi non si ferma mai. Non ammette i propri errori. Non ammette che la negazione del limite e della legge naturale portino inevitabilmente con sé la distruzione di tutto ciò che è umano.
Dopo il disastro dell’Illuminismo, invece di tornare a Dio si passa ad una nuova forma di idolatria e ci si rifugia nell’intimità del Romanticismo. Tempo qualche decennio e si torna a progettare alla grande lo Stato, definito “etico”: è la volta del Liberalismo. Tanto per fare un esempio, è in nome della scienza che Cavour decreta la morte per legge degli Ordini religiosi. Il progresso incarnato dal liberalismo, spacciato per scientifico, costa agli italiani, ridotti in miseria, un’emigrazione di massa. Nel Novecento arriva l’epoca del totalitarismo, propagandato ancora una volta in nome della scienza. Comunismo e nazismo sono due visioni del mondo che ritengono di essere scientifiche: l’uno crede nel socialismo, definito scientifico, di matrice marxista, l’altro nella scientifica dottrina della razza.
Ridotto il mondo in rovine, la gnosi vira ancora una volta passando dall’idolatria dello Stato a quella dei desideri individuali. E cosi, in nome della scienza, si è arrivati a negare l’evidenza: l’umanità non sarebbe più biologicamente divisa in due sessi, ma culturalmente caratterizzata da cinque generi fra cui i bambini devono imparare ad orientarsi per scegliere quello ad essi più congeniale. E così il Parlamento europeo è stato capace di condannare la Santa Sede ben trenta volte: per violazione dei diritti umani. Quei diritti che gli gnostici ritengono di essere gli unici a conoscere e definire. E così il Preambolo della Carla Europea dei Diritti specifica che compito dell’Unione è: «rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici».
Diritti intesi a partire dagli “sviluppi scientifici e tecnologici”! Diritti relativizzati, cangianti da epoca ad epoca, da ideologia ad ideologia, che garantiscono solo quelli che li vanno codificando, beninteso in nome della tecnoscienza. I diritti umani, al contrario, ricorda Papa Ratzinger all’ONU nell’aprile del 2008, «sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo […] rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti».
Tornando ad Eluana e al libro di Mori: questi si ripromette di far trionfare una nuova concezione della vita e della morte. Il bioeticista pensa che sia ora di farla finita con la concezione sacrale della vita umana: «Come Porta Pia è importante non tanto come azione militare quanto come atto simbolico che ha posto fine al potere temporale dei papi e alla concezione sacrale del potere politico, così il caso Eluana apre una breccia che pone fine al potere (medico e religioso) sui corpi delle persone e (soprattutto) alla concezione sacrale della vita umana». Parole forti. Parole che si comprendono forse meglio tenendo presente un altro luogo comune della gnosi: la convinzione che la materia, che i corpi, che la creazione, siano il prodotto di un dio malvagio. L’idea che prima ci si libera del corpo meglio è.
Se si tiene presente il desiderio titanico con tanta lucidità espresso da Mori, se di tiene presente che si vuole affermare una nuova concezione dell’umanità (vale la pena di ripeterlo: si tratta di «cambiare l’idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria»), si possono anche cogliere gli elementi comuni che unificano tanta parte delle convinzioni maturate negli ultimi decenni. E cioè: la liberalizzazione della droga, la pretesa che il vero problema sia la sovrappopolazione, la convinzione espressa con sempre maggiore frequenza che l’unico animale distruttivo sia l’uomo, la santificazione dei preservativi, l’affermazione dell’aborto come diritto, la promozione della sessualità per definizione slegata dalla capacità riproduttiva. Come interpretare diversamente la notizia riportata dal Corriere della Sera del 16 gennaio 2008 di un «invito informale, qualche sera fa, all’università di Hong Kong, per una cena a buffet, a un patto: che gli studenti fossero tutti gay o lesbiche. Ospite della serata una banca d’affari, il colosso americano Lehman Brothers». Come mai una banca d’affari (l’unica fallita!) promuove l’omosessualità? Come mai invece di pensare a far soldi i manager della Lehman pensano a come indirizzare i comportamenti sessuali degli studenti? Bisogna ammettere che la cultura moderna è impregnata di gnosi. Gnostica è anche la bordata finale: la diretta, aperta, sponsorizzazione della morte. La propaganda per la “buona morte”, la “dolce morte”. Anche questa scientificamente, asetticamente, procurata. Chiunque abbia assistito ad un’agonia, di uomini come di animali, sa che la morte non è né dolce né buona. La vita combatte con tutte le sue forze contro la morte. Perché la morte è l’unica realtà che Dio non ha creato: «la morte è entrata nel mondo per invidia di Satana», scrive la Sapienza. Gesù Cristo si è incarnato per vincere la morte. La morte può, sì, essere vissuta insieme a Cristo santamente, ma è sempre il dramma supremo della vita umana. Il mito della dolce morte è il punto di arrivo della ribellione a Dio “amante della vita”.
La popolazione italiana, nonostante tutto, resiste alla gnosi. Roma tiene saldamente in mano la fiaccola della libertà nella verità. Il Papa rivendica la forza del logos, della ragione dell’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio. L’attacco gnostico a Roma e agli italiani sferrato nell’Ottocento dal pensiero liberale ha prodotto ingiustizie colossali ed il dramma dell’emigrazione. Oggi la breccia di Porta Pia rischia, per noi, di essere l’Europa. In nome dell’uguaglianza e della qualità della vita rischiamo di vederci imporre leggi contro la vita ed il diritto naturale.
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Vita prenatale e setaccio genetico - Ma c'è qualcuno che si domanda cosa davvero vogliono le donne? - di Carlo Bellieni - L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009
Due paradossi gravano nella nostra società sul mondo della conoscenza della vita prenatale. Da una parte, avanza la scoperta della profonda umanità del nascituro, dall'altra c'è un forte impulso a stendervi sopra una cortina di pesante e imbarazzato silenzio, tanto che sui media quasi non se ne parla, per non sembrare anti-abortisti. Ma oggi molti segnali dicono che questo silenzio ha le ore contate: vediamone alcuni.
Una donna nello Stato del Vermont ha chiesto, pochi giorni or sono, che i suoi due "feti" morti per un incidente d'auto venissero riconosciuti legalmente come bambini, perché chi ha causato l'incidente se ne assumesse le reali responsabilità. A chi nega il valore umano della vita prenatale questa richiesta di una semplice mamma non piacerà. Così come non piacerà leggere che nel South Dakota la giudice Karen Schreier ha imposto che a chi vuole abortire venga spiegato che l'aborto è la fine di una vita; e non piacerà che in Germania per gli aborti tardivi i medici, dal maggio 2009, siano obbligati a spiegarne le conseguenze psicologiche, illustrare cosa vuol dire la vita con un bimbo disabile e offrire delle alternative. Ma non piacerà nemmeno che nella laica Francia, da un anno circa, la legge permetta alle donne che perdono un bambino non ancora nato non solo di poterne avere il corpicino e seppellirlo, ma anche di dargli un nome e iscriverlo all'anagrafe, indipendentemente dall'età gestazionale del piccolo. Insomma si coglie nell'aria un vento di riconoscimento del valore e dell'essenza della vita prenatale.
Il secondo paradosso è che alla conoscenza dell'umanità prenatale fa da contraltare la contemporanea ricerca ansiosa di nuovi sistemi per passare al setaccio genetico tutti, ma proprio tutti, i bambini non ancora nati e di nuovi sistemi rapidi per interrompere le gravidanze. Si cerca di avere notizie genetiche sul nascituro sempre più precocemente - ora anche sul suo sesso direttamente dal sangue della madre - e si richiedono sistemi per abortire in modi sempre più rapidi, come se l'evidenza scientifica e umana di un aborto si facesse sentire di meno se si fa in modo più spiccio.
Ma esiste un'evidenza scientifica inesorabile che nasce da studi fatti da ricercatori in ogni parte del mondo e che mostra la piena umanità del nascituro. Recentemente il "Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition" (marzo 2009) riportava un'analisi della letteratura scientifica in cui si mostrava chiaramente come addirittura i nostri gusti alimentari si formino prima della nascita a seconda di quello che la mamma mangia e arriva attraverso il liquido amniotico al bambino, facendoglielo assaporare per lungo tempo prima della nascita. Anche l'istituto National Geographic ha realizzato un bellissimo video (In the Womb) con forti immagini nella cosiddetta tecnica "a 4 dimensioni" sullo sviluppo del bimbo prenatale, recensito con calore dal "New York Times" e disponibile, in parte, sul web. La medicina prolifera di congressi dal titolo "Il feto come paziente" - l'ultimo si è svolto nel marzo scorso a Sydney - e si moltiplicano libri, riviste e fondazioni dedicati alla medicina prenatale. Basti, ad esempio, ricordare che la rivista pediatrica "Early Human Development" ha come sottotitolo "Rivista internazionale sulla continuità della vita fetale e postnatale", e il "British Medical Journal" edita una rivista pediatrica che ha una "Fetal and Neonatal Edition".
Negare l'umanità di chi non è ancora nato porta anche delle conseguenze che riguardano i bambini ormai nati e in piena crescita dopo la nascita, come la difficoltà nell'attaccamento prenatale. Il rapporto psicologico e affettivo tra mamma e bambino inizia ben prima della nascita; ogni mamma sa che può addirittura dialogare col proprio bambino non ancora nato.
La psicologa parigina Catherine Dolto ha scritto un breve saggio sulla possibilità di sfruttare questo contatto, detto aptonomia, nella quale si può coinvolgere anche il padre nel dialogo complice ed affettivo fra la madre e il "feto".
Sappiamo anche che il livello di attaccamento affettivo prenatale predice il livello di attaccamento tra mamma e bambino dopo la nascita (Anver Siddiqui, in Early Human Development, Amsterdam, Elsevier, 2000).
Esiste anche il problema della scarsa protezione fetale. "Anche se il feto non è una persona giuridica, ha lo stesso il diritto di essere non fumatore". Sono le parole di Michel Delcroix, docente di ostetricia a Lille riportate da "Le Figaro" del 21 gennaio scorso e la dicono lunga. Fumo, alcol e stupefacenti in gravidanza mettendo a gravissimo rischio la salute del "feto", rischiano di rovinare la vita di chi nasce.
Ma si fa abbastanza per mettere in guardia le donne? Si fa abbastanza per garantire loro un ambiente ecologicamente sano in gravidanza, mentre sostanze come pesticidi, solventi, metalli pesanti le circondano e ne mettono a rischio la fecondità e la prole? Sarebbe davvero facile far passare questi messaggi se si partisse dall'evidenza che in loro abita un bambino di cui sono la prima dimora, e che la mamma e la società devono garantire al piccolo ospite il massimo comfort.
C'è anche un aspetto che chiamerei il "lutto defraudato". La perdita di un bambino prima della nascita è un trauma per la madre e per il padre. Ma troppo spesso chi lo subisce non viene aiutato a elaborare il lutto, condizione forte per aiutare la salute psichica della persona. Evidentemente non si può elaborare un lutto per la morte di "qualcuno che non esiste". E questo genera traumi che talora richiedono cure particolari.
Infine, si arriva, nell'epoca della ultraspecializzazione in medicina, al paradosso che il medico della mamma deve sobbarcarsi anche della diagnosi e cura del bambino in utero, il quale solo alla nascita avrà diritto ad un proprio pediatra.
Dunque non si tratta di un problema sentito solo da chi è contrario all'aborto, ma è una questione che riguarda la salute pubblica. Anche perché di recente la rivista "Lancet" (Si deve offrire alle donne un'assistenza psicologica post-aborto, 23 agosto 2008) ha mostrato che far nascere un bambino da una gravidanza indesiderata non genera problemi psicologici maggiori che abortirlo; dunque crolla anche il mito dell'aborto come presunta salvaguardia della salute mentale.
La scienza, insomma, mostra l'umanità della vita fetale, mentre dall'altra parte la nostra società ricerca ansiosamente sempre più raffinati strumenti chirurgici o chimici per farla scomparire. È un paradosso della mentalità occidentale che offre risposte standard senza l'elasticità di ascoltare bene le richieste e talora senza fare i conti con i dati di fatto.
Ma c'è qualcuno che si domanda cosa davvero vogliono le donne? Vogliono forse sempre più strumenti per abortire o piuttosto - e tante donne lo reclamano - sempre più risorse - economiche, culturali, sociali - per abbracciare il figlio, per riconoscere la compagnia del piccolo bimbo che portano dentro di sé? Le tragiche parole della mamma del Vermont a cui sono morti i due figli-feti, sono significative e non necessitano commenti: "Per me sono bambini: hanno capelli, occhi, naso, labbra perfettamente formate. Hanno dita, unghie. Non so come lo Stato del Vermont possa dire che non sono bambini".
(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)
Dionigi e la via dell’invisibile - DI F RANCESCO T OMATIS - Dionigi Areopagita - TUTTE LE OPERE - Bompiani. Pagine 832. Euro 26,50
Esce una raccolta con tutte le opere di un autore anonimo del V-VI secolo che nei suoi scritti usò lo pseudonimo di Areopagita come il giudice ateniese convertito alla fede cristiana dopo aver ascoltato i discorsi di Paolo di Tarso Un corpus di testi profondi che unisce la spiritualità ellenica alla verità del Cristianesimo. E propone una mistica aperta, come cammino dell’anima verso Dio, che si rivela quanto mai attuale nel dialogo con le teologie asiatiche
M algrado i dubbi sollevati da umanisti come Lorenzo Valla e Erasmo da Rotterdam, occorrerà attendere il XIX secolo perché i filologi si convincano dell’impossibilità d’attribuire al Dionigi di cui narrano gli Atti degli Apostoli (XVII 16-34), giudice ateniese convertito alla fede cristiana da San Paolo in seguito al suo discorso nell’Areopago, lo straordinario corpus di scritti in lingua greca che va sotto il suo nome. Dopo una traduzione siriaca e gli scoli di Giovanni di Scitopoli (530), i commentari di Massimo il Confessore ( VII secolo) ne diffusero la conoscenza fra i teologi bizantini, da Giovanni Damasceno a Gregorio Palamas. Nel IX secolo, con Giovanni Scoto Eriugena, le opere di Dionigi Areopagita iniziarono a esser largamente studiate in Occidente. Seguirono i maestri vittorini, scolastici come Roberto Grossatesta, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Bonaventura da Bagnoregio, la mistica speculativa da Guglielmo di Saint-Thierry, Meister Eckhart e Johannes Tauler a Jean Gerson e Juan de la Cruz, per giungere sino a Nicola Cusano, Marsilio Ficino, Schelling. La stessa Divina Commedia di Dante Alighieri ne è fortemente debitrice. Non mancano teologi contemporanei che vi si siano ispirati: Edith Stein, Vladimir Lossky, Hans Urs von Balthasar, Bruno Forte e Joseph Ratzinger. Benedetto XVI ha dedicato il proprio discorso dell’udienza generale del 14 maggio 2008 interamente a Dionigi Areopagita, sottolineando che il suo pensiero teologico come ha saputo valorizzare il neoplatonismo di Proclo in ottica cristiana, attraverso la comprensione che parlare di Dio è sempre un cantare le lodi di Dio assieme a tutte le sue creature (e ciò ben compresero Francesco d’Assisi e il suo discepolo Bonaventura da Bagnoregio), unendo quindi spiritualità ellenica e verità cristiana, così può essere attualissimo oggigiorno nel dialogo fra cristianesimo e teologie mistiche asiatiche, poiché la sua mistica intesa come cammino dell’anima verso Dio, luce inaccessibile, può unire ogni credente che umilmente sappia di poter dire Dio solo in negativo, non certo fissandolo idolatricamente, sino all’accoglimento per grazia del suo gratuito farsi dono (infatti la via a Dio infine è Dio stesso), come in Gesù Cristo s’è rivelato. Benché sia stato collocato fra il V e il VI secolo, quindi successivamente a Proclo (412-485), di cui risulta un preciso influsso, s’ignora la personalità storica a cui attribuire il corpus
dionisiano, composto, oltre che da dieci Lettere
indirizzate a ipotetici personaggi dell’età apostolica, da quattro importantissimi trattati:
Gerarchia celeste, Gerarchia ecclesiastica, Nomi divini, Teologia mistica . Ciascuno di essi ha avuto un’incisività su ampi ambiti della teologia e non solo, tanto da risultare essenziali per la comprensione di iconologia, storia dell’arte, liturgia, mistica e letteratura dei secoli successivi. Un evento sia per gli specialisti sia per un più ampio pubblico è dunque l’edizione italiana, nella collana Il pensiero occidentale Bompiani, di Tutte le opere di Dionigi Areopagita, con testo originale a fronte e apparati critici, curata da Piero Scazzoso, Enzo Bellini e Ilaria Ramelli, accompagnata da illuminanti saggi di Giovanni Reale e Carlo Mario Mazzucchi. Se l’attribuzione di tali opere a Dionigi Areopagita, discepolo diretto di san Paolo, ha contribuito decisivamente alla diffusione e attenta lettura, tuttavia rimane una loro unicissima importanza anche in seguito alla postdatazione.
In esse abbiamo infatti una straordinaria fusione di teologia biblica e filosofia greca neoplatonica, di metodo conoscitivo e teurgico, sapienziale e esperienziale, teologico e mistico per avvicinarsi a Dio, sino all’unificazione. Ciò malgrado una scarsa presenza delle questioni dogmatiche dei primi concili cristiani, forse al fine di tenersi lontano dalle accese dispute ecclesiali, mirando più direttamente alla verità che non alla confutazione di differenti tesi. Una duplice operazione in uno effettua lo pseudo Dionigi Areopagita: ellenizzazione del cristianesimo e cristianizzazione del neoplatonismo. Nella
Gerarchia celeste e nella Gerarchia ecclesiastica
troviamo una sistematizzazione dell’angelologia e della liturgia cristiana, assieme a una vera e propria teologia simbolica. A terne superiori angeliche, composte in gerarchie di Serafini, Cherubini e Troni, Dominazioni, Virtù e Potestà, Principati, Arcangeli e Angeli, corrispondono quelle inferiori di sacramenti, iniziatori e iniziati, che ordinano discensivamente i gradi ecclesiastici in battesimo, eucaristia e consacrazione del sacro unguento, vescovi, presbiteri e diaconi, monaci, popolo santo e purificati (grado suppletivo la sepoltura).
Attraverso simboli sensibili e intellegibili è possibile l’avvicinamento dell’uomo a Dio. Teurgia e teologia, operazione divina per mezzo dei simboli sacramentali della liturgia e rivelazione divina attraverso le sacre scritture, permettono all’uomo di elevarsi a Dio, sino al punto in cui solo la grazia divina può soccorrere: perché Dio sta al di là di ogni conoscere e fare umani, oltre persino le purissime intelligenze angeliche. Sono le argomentazioni degli altri due trattati, Nomi divini e Teologia mistica , con la celebre distinzione delle vie teologiche in affermativa e negativa, catafatica e apofatica. I nomi di Dio dicono finitamente, umanamente, simbolicamente anche ciò che propriamente non è possibile attribuire a Dio: superiore, precedente, più grande di qualsiasi seppur positiva qualificazione se ne possa dare. Eppure essi servono a guidarci verso la sua purissima e invisibile luce onnipotente e eterna. Dio è Bene, Bellezza, Luce, Essere, Vita, Sapienza, Potenza, Pace, Eternità, Perfezione, Causa, Uno... Amore: nomi riconducibili sia a espressioni bibliche, sia alla raffinata teologia proposta da grandi filosofi greci: Platone, Plotino, Proclo. Tuttavia tali nomi di Dio servono soltanto a condurre la nostra intelligenza verso l’assimilazione a Dio, di fatto né dicibile né intellegibile, l’unificazione dell’uomo con il quale non può avvenire che per suo dono, per grazia, generosa partecipazione. Dio stesso ama di un amore estatico, secondo Dionigi, che lo fa uscire fuori di sé, pur non mutando né esaurendo se stesso, per andare incontro alle creature. L’amore trinitario che è Dio, dunque, non può essere attinto se non percorrendo, assieme alla via teologica positiva dell’ascesa a lui attraverso i suoi più eccelsi nomi, sempre e solo simbolici, anche la via teologica negativa, che abbandoni le finitezze, sensibili e persino intellegibili, elimini ogni attributo di Dio, trascendendo tutto in un’estasi verso Dio che è piena ignoranza da un punto di vista umanamente conoscitivo. Nella caligine divina, tenebrosa per eccesso di lucore, l’ascesi mistica dell’uomo si compie in un estremo, estatico scioglimento da tutto. Colà, per grazia divina, l’ignoranza umana può esser trasformata in conoscenza di colui che eccede ogni conoscenza: Dio uno e trino, eterna fonte amorevole di ogni creatura e nome al di là di tutti i nomi, il quale attraverso la filantropia di Gesù Cristo permette di comprendere ciascun simbolo e nome, enigma e parabola che ne descriva la presenza nel tempo del mondo creaturale.
1) Caterina (3) : c’è un mistero… - Antonio Socci
2) I giornali manipolano la sentenza del TAR sul fine vita - Il Movimento per la Vita chiede una rettifica al Corriere della Sera - di Antonio Gaspari
3) Scienza & Vita - Comunicato n° 37 del 18 Settembre 2009 - TAR LAZIO: PRONUNCIA A FAVORE DELL'ABBANDONO DEI SOSTEGNI VITALI
4) Eluana, Porta Pia, la gnosi e l’Europa - di Angela Pellicciari - Un noto professore di bioetica pubblica un libro con prefazione di Beppino Englaro. E paragona il caso Eluana alla breccia di Porta Pia. Sullo sfondo, ben visibile, l’antica eresia gnostica. Che odia la vita. - [Da «il Timone», n. 85, luglio/agosto 2009]
5) Vita prenatale e setaccio genetico - Ma c'è qualcuno che si domanda cosa davvero vogliono le donne? - di Carlo Bellieni - L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009
6) TAR LAZIO/ Il protagonista: sul fine vita disinformazione e opinioni non necessarie, ma è tanto rumore per nulla - INT. Filippo Vari sabato 19 settembre 2009 – Il sussidiario.net
7) Dionigi e la via dell’invisibile - DI F RANCESCO T OMATIS - Dionigi Areopagita - TUTTE LE OPERE - Bompiani. Pagine 832. Euro 26,50
Caterina (3) : c’è un mistero… - Antonio Socci
Cari amici, fratelli miei,
i prossimi giorni per Caterina saranno quelli cruciali: la verifica neurologica ci darà qualche risposta che potrebbe essere terribile sull’esito del coma. Per questo vi prego in ginocchio di intensificare il vostro aiuto di preghiera…
Intanto voglio confidarvi una cosa. Stamani sono andato alla S.S. Annunziata. Forse qualcuno di voi sa perché… Nel settembre 2004, quando ho accompagnato a Firenze Caterina diciannovenne a fare l’esame di ammissione ad Architettura, accadde…. Beh, trascrivo qui sotto l’articolo che scrissi sul “Foglio” su quel giorno per me struggente …
.. ieri è accaduto un evento insignificante per voi, ma non per me. Mia figlia primogenita fu una bambina riccioluta, oggi diciannovenne è una scura bellezza da profetessa biblica, una voce superba quando – al pianoforte – canta “Bring me to life” degli Evanescence o, a due voci con sua sorella, “Nothing else matters” dei Metallica. Ieri mattina l’ho accompagnata a Firenze dove inizia l’università e dove quindi vivrà.
E mentre correvamo sul crinale delle colline di San Donato, la dolce valle di San Gimignano ai nostri piedi, pensavo: “ma quando e come e perché sei cresciuta così? Eri piccola ieri e stamani ti sei alzata e sei una principessa.
E’ un imbroglio! Non mi hai dato il tempo neanche di trattenerti, di fermare il tempo come un Faust innamorato e incatenarti alla tua adolescenza. Neanche mi sono accorto che diventavi grande, bestia che sono”.
Ecco, ho pensato: l’ho già persa. Sì, tornerà a casa (anche spesso, spero), ma ha la sua vita, soprattutto ha il suo destino e non sono io, non è casa mia. Dice mia moglie: “che pizza che sei! Mica è morto nessuno. E poi Firenze è dietro l’angolo”.
Non è vero, non è questione di chilometri: la vita se ne va. Ogni giorno tutto se ne va. Anche se non ce lo diciamo: “Ma chi ci ha rigirati così/ che qualsia quel che facciamo/ è sempre come fossimo nell’atto di partire? Come/ colui che sull’ultimo colle che gli prospetta per una volta ancora/ tutta la sua valle, si volta, si ferma, indugia,/ così viviamo per dir sempre addio” (Rilke).
C’est la vie. E, nella malinconia, lo struggimento dei quarantenni, quello che Péguy definiva “il loro segreto”: desiderare la felicità dei figli e sperare che l’impossibile per loro avvenga. Così arrivo a Firenze: i viali, via Capponi, di colpo una quantità di ricordi che si affastellano fra quelle strade. Le avventure e le facce dei tanti amici dei miei 20 anni che tutte assieme stanno sotto il nome “Comunione e liberazione”.
Ad aspettare Caterina ci sono altre facce giovani che accolgono le matricole organizzando per loro dei preziosi precorsi per i test di ammissione. Altre facce, ma la stessa storia, lo stesso timbro umano, la stessa cordialità, lo stesso nome e la stessa avventura. Quando chiedo a mia figlia se è persuasa, lei mi risponde con una disarmante felicità.
Io che sto fuori dall’ “organizzazione” e tiro sassi alle finestre credo che siano la meglio gioventù.
Giro l’angolo e mi trovo in piazza della Santissima Annunziata. Vado ad “affidare” mia figlia e il suo destino alla Regina del cielo: che la tenga lei sotto il suo mantello. Mi accorgo solo allora che quei ragazzi sono la sua risposta, sono come il concretissimo lembo del mantello di Maria, il suo abbraccio materno che raggiunge mia figlia. La sua tenerezza.
Poi mi colpisce una coincidenza. Esco dalla SS Annunziata e mi trovo davanti l’immensa cupola del Brunelleschi che – secondo Irving Lavin – rappresenta il grembo di Maria gravido di Dio: “nel ventre tuo si raccese l’Amore…”. Poi mi volto ancora e trovo San Marco, il convento domenicano dove è vissuto La Pira che faceva uno strano sillogismo: “Firenze è il centro del mondo, San Marco è il cuore di Firenze e il cuore di san Marco è l’Annunciazione del Beato Angelico. Dunque l’Annunciazione è il cuore del mondo”.
Insomma dovunque la gloriosa bellezza di Firenze mi parla di Colui che sta per arrivare e di Colei che lo porta in grembo. Non di un passato …gli amici di mia figlia sono sedotti da Qualcuno che è già tra loro come “il più bello tra i figli dell’uomo”. Vuoi vedere la faccia di un cristiano?
Sta in un altro verso di Rilke: “Così sempre distratto d’attesa,/ come se tutto t’annunciasse un’amata”.
Mentre ci penso, lunedì mattina, mi arriva un sms di padre Tiboni, missionario (ciellino) in Uganda, che dice: “oggi è san Giovanni Battista. Come lui il nostro unico lavoro è testimoniare la presenza di Cristo”. Coincidenza. San Giovanni è il protettore di Firenze: riconobbe Colui che stava arrivando fin dal seno di sua madre. Gli bastò sentire la voce di Maria che lo portava in sé. Era Lui “il mondo nuovo che sta iniziando” (Agostino). E Giovanni se ne accorse.
Vi sembra una piccola cosa quella che ho visto ieri, in poche facce di giovani fiorentini? Beh, tutto cominciò a Nazaret, un borgo sperduto, in un povero tugurio abitato da una sconosciuta fanciulla…
Questo scrivevo in quel settembre 2004… Ora capite perché stamani sono andato alla S.S. Annunziata e in lacrime le ho chiesto di ridarmi la nostra principessa guarita… L’avevo affidata alle Sue mani di Madre, al Suo mantello…
So che Lei non abbandona mai i suoi figli, ma so che in questo momento, per qualche misterioso motivo, devo implorare con tutte le mie forze e con tutti i miei amici il Suo soccorso…
Un ultimo dettaglio. La Chiesa della S.S. Annunziata è quella dove ogni anno Caterina, con il coro degli universitari di Comunione e Liberazione, faceva il concerto di canti per le tende di Natale dell’Avsi. Sono venuta a sentirla anche lo scorso Natale. Lei andava pazza per il canto e per il coro e ci teneva tantissimo che andassi a sentirla. Ha una voce bellissima.
Anno scorso ha cantato da solista, durante la Via Crucis di Cl la laude “Voi ch’amate lo Criatore”, che è il pianto di Maria sul Figlio morto… Ha cmmosso tutti per la sua intensità. Io ho implorato la Vergine Santa di far risuonare ancora a lungo il canto di Caterina che dà voce al suo pianto di Madre…
Infine ricordavo in particolare un canto che Cate interpretava da solista all’ultimo concerto. E’ un canto bellissimo, spagnolo, che cantato da lei incantava tutti… Io non conoscevo la sua traduzione. Oggi, con mia moglie, per caso l’abbiamo letta e siamo scoppiati in lacrime. Eccola:
“Riu riu chiu, canta l’allodola: Dio protesse dal lupo la nostra agnellina; il lupo rabbioso la volle sbranare, ma Dio onnipotente la seppe difendere….”
Ho come la sensazione che quel lupo rabbioso (che è il Nemico di Dio) avesse un conto aperto con me e mi abbia voluto annientare colpendo Caterina, il mio stesso cuore. Signore Gesù, tu che sei buono e puoi tutto, ti imploro, difendila tu la mia fanciulla, manda Tua Madre a guarirla, pronuncia ancora una volta per la mia Caterina, il tuo “Talita Kum”, “agnellino, alzati!”…
Antonio Socci
I giornali manipolano la sentenza del TAR sul fine vita - Il Movimento per la Vita chiede una rettifica al Corriere della Sera - di Antonio Gaspari
ROMA, venerdì, 18 settembre 2009 (ZENIT.org).- Questo venerdì gran parte dei mezzi di comunicazione ha scritto articoli e trasmesso servizi sostenendo che il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio avrebbe bocciato con la sentenza n.8650/09 l'imposizione di alimentazione e idratazione, riconoscendo la necessità di rispettare la volontà del cittadino anche in stato vegetativo persistente.
In questo modo la sentenza del TAR sarebbe un tentativo di respingere il disegno di legge firmato dal senatore Raffaele Calabrò, già votato al Senato e in discussione alla Camera dei Deputati.
La valutazione espressa dai mass media, tuttavia, non è vera. La sentenza non boccia alcunché, e l'opposizione al ddl Calabrò è l'opinione di un magistrato e non della sentenza.
A questo proposito, il sottosegretario di Stato al Lavoro, alla Salute e alle Politiche Sociali, Eugenia Roccella, ha scritto in una nota che sulla sentenza del TAR del Lazio "c'è stato da parte dei mezzi di comunicazione un clamoroso e totale fraintendimento".
"Una vittoria, cioè il respingimento del ricorso, è stata trasformata da stampa e televisioni, tranne pochissime eccezioni, in una sconfitta", ha osservato la Roccella.
Secondo il sottosegretario di Stato, "la sentenza parla chiaramente: il tribunale amministrativo ha dichiarato il ricorso inammissibile ammettendo di non avere la competenza per esprimersi sull'argomento".
Per la Roccella, "il fatto che all'interno di una sentenza in cui il giudice si dichiara non competente a decidere lo stesso giudice esprima le proprie opinioni su idratazione e alimentazione non ha alcun effetto giuridico, né su altri tribunali né sull'iter parlamentare del disegno di legge sul testamento biologico".
Di fronte ad un tale tentativo di manipolare l'informazione, il presidente del Movimento per la Vita Carlo Casini ha scritto una lettera al direttore del Corriere della Sera, Francesco De Bortoli, in cui esprime sorpresa e chiede di rettificare l'informazione in questione.
"Con sorpresa - scrive il presidente del MpV - abbiamo aperto oggi il Corriere trovandovi fin dalla prima pagina una serie di gravi travisamenti della realtà a proposito della decisione del TAR Lazio sul provvedimento Sacconi in materia di idratazione e alimentazione di persona in stato vegetativo persistente".
Si legge, tanto per fare degli esempi, che "Il TAR boccia l'alimentazione forzata ai pazienti in stato vegetativo" o che "Il TAR boccia la direttiva Sacconi sul caso Englaro".
"La verità, come lei ben saprà, è l'esatto contrario - sottolinea Casini -: il TAR del Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso del Movimento di difesa dei cittadini che chiedeva la cancellazione del provvedimento del Ministro Sacconi e senza dichiarare in alcun modo nel dispositivo che 'a nessuna persona cosciente o in stato di incoscienza possono essere imposte alimentazione e idratazione artificiali'".
"Il TAR - continua il presidente del MpV - si è limitato a dichiarare di non poter decidere sulla questione perché riguarda l'esistenza o l'inesistenza di un diritto, questione su cui esso non ha alcuna competenza".
In merito alle opinioni del giudice che ha redatto la sentenza, Casini precisa che "è vero che la redattrice della motivazione della decisione ha fatto intendere che - secondo lei - esiste il diritto a rifiutare idratazione e alimentazione anche da parte incoscienti" , ma "questo, se fa temere un uso politico dell'attività giurisdizionale (perché una sentenza dovrebbe maturare soltanto sui presupposti della loro decisione finale), non influisce sulla sostanza della decisione del Tribunale e di conseguenza non dovrebbe condizionare chi dovrebbe tenere ben distinte le notizie dalle opinioni".
Il presidente del MpV sostiene che "in un periodo in cui molto si discute su diritti e doveri dell'informazione risulta veramente insopportabile un uso giornalistico delle notizie mirato - com'è di tutta evidenza - ad influire sull'opinione pubblica ed in particolare sul legislatore impegnato ad esaminare la delicatissima materia".
In merito agli esiti del procedimento, il Movimento per la Vita, che era intervenuto nella procedura per sostenere l'inammissibilità del ricorso, si ritiene "ovviamente più che soddisfatto del risultato ottenuto. Ma non può non criticare il modo, quanto meno superficiale, che molti giornali - Corriere in testa - hanno usato per riportare la notizia".
"In questo senso - conclude Casini nella lettera inviata al direttore del Corriere della Sera -, anche ai sensi della legge sulla stampa, le chiedo di rettificare l'informazione data ai suoi lettori".
Scienza & Vita - Comunicato n° 37 del 18 Settembre 2009 - TAR LAZIO: PRONUNCIA A FAVORE DELL'ABBANDONO DEI SOSTEGNI VITALI
L’Associazione Scienza & Vita prende atto con disappunto della sentenza emessa dal Tar Lazio, in relazione all’asserito diritto di rifiutare alimentazione e idratazione artificiali.
Sebbene il Tar Lazio abbia ritenuto inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, in quanto trattasi di diritti soggettivi, afferma comunque principi che, tra l’altro, introducono l’abbandono di “cura”, ovvero di quelle forme come alimentazione e idratazione che sono da considerare sostegno vitale e non terapie. Si disattenderebbe, altrimenti, il fondamento della relazione medico-paziente che si basa sul dovere di “cura”, ovvero della presa in carico di ogni persona ancor più nelle gravi disabilità o in stati terminali, senza per questo ricorrere ad accanimenti o abbandoni eutanasici.
Si introduce una cultura per il diritto a morire - avallato da volontà ricostruite - a fronte del favor vitae di rango costituzionale. Si contraddicono la Costituzione Italiana che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”; il Codice deontologico dei medici che afferma “il dovere del medico nella tutela della vita e della salute fisica e psichica”; la Convenzione dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità che richiama il dovere da parte degli Stati di “prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità”.
Si richiede pertanto un’assunzione di responsabilità che impedisca il piano scivoloso di una cultura eutanasica dissimulata da una falsificante interpretazione del principio di autonomia.
TAR LAZIO/ Il protagonista: sul fine vita disinformazione e opinioni non necessarie, ma è tanto rumore per nulla - INT. Filippo Vari sabato 19 settembre 2009 – Il sussidiario.net
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha adottato una decisione sul fine vita che ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica. Il Tar si è pronunciato sul ricorso proposto da un’associazione che chiedeva di annullare l’atto con il quale il Ministro Sacconi, nel dicembre 2008, aveva inteso a garantire l’alimentazione e l’idratazione delle persone in stato vegetativo persistente.
In merito al pronunciamento del Tar abbiamo intervistato Filippo Vari, Professore associato di Diritto costituzionale nell’Università Europea di Roma. Vari, insieme al Prof. Aldo Loiodice, ha difeso il Movimento per la vita, che si è costituito nel giudizio dinanzi al Tar per chiedere il rigetto del ricorso.
Professore, la decisione è stata accolta con entusiasmo dai coloro che sono favorevoli a interrompere l’alimentazione e l’idratazione delle persone in stato vegetativo. Cosa ne pensa?
In questi giorni si è offerto un grossolano esempio di disinformazione. Il Tar, infatti, diversamente da quanto affermato da alcune agenzie, quotidiani e telegiornali, ha respinto il ricorso presentato contro l’atto di indirizzo, declinando la propria giurisdizione.
Appare, dunque, incredibile la trasformazione di una sentenza negativa in una di accoglimento!
Ma la sentenza del Tar non è segnata da alcuni passaggi in cui si afferma che costituisce un diritto quello del rifiuto del sondino?
Sì, la sentenza del Tar contiene alcune considerazioni in merito alla portata dell’art. 32 della Costituzione e alla possibilità dei pazienti di rifiutare le cure.
E’ evidente, tuttavia, che si tratta opinioni non necessarie ai fini della decisione, la cui importanza è oltretutto attenuata dal richiamo da parte dello stesso giudice alla recente entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Come è noto, quest’ultima, all’art. 25, prescrive agli Stati firmatari di impedire “il rifiuto discriminatorio di […] prestazione […] di cibo e liquidi in ragione della disabilità”.
Dunque, non è vero, come invece sostengono alcuni, che si tratta di una sentenza destinata a segnare la discussione in Parlamento sul fine vita, nel senso di precludere l’approvazione di una norma per impedire che l’alimentazione e l’idratazione possano essere sospese?
Si tratta di una sentenza la cui portata non è idonea a influire negativamente sul dibattito in corso sul fine vita. Anzi, secondo la sentenza, spetta al giudice ordinario, e non a quello amministrativo, decidere se il diritto alla salute dei pazienti è leso dall’atto di indirizzo del Ministro, che impone l’alimentazione e l’idratazione dei pazienti in stato vegetativo persistente. In questo modo, però, ci saranno decisioni prese caso per caso da magistrati con sensibilità e impostazioni diverse, in un ambito segnato da precedenti tra loro antitetici. In questa situazione diventa ancora più urgente approvare una norma di legge per impedire che l’alimentazione e l’idratazione possano essere sospese.
Eluana, Porta Pia, la gnosi e l’Europa - di Angela Pellicciari - Un noto professore di bioetica pubblica un libro con prefazione di Beppino Englaro. E paragona il caso Eluana alla breccia di Porta Pia. Sullo sfondo, ben visibile, l’antica eresia gnostica. Che odia la vita. - [Da «il Timone», n. 85, luglio/agosto 2009]
«Più che di per sé (di persone ne muoiono tante, anche in situazioni ben peggiori), il caso Eluana è importante per il suo significato simbolico. Da questo punto di vista è l’analogo del caso creatosi con ha breccia di Porta Pia attraverso cui il 20 settembre 1870 i bersaglieri entrarono nella Roma papalina»: così scrive il professore di bioetica Maurizio Mori in un libro pubblicato di recente con la prefazione di Beppino Englaro.
Cosa c’entra Eluana col Risorgimento? C’entra. E molto. Come nel 1861 trionfano quanti pensano che gli italiani, per essere civili, debbano smettere di essere cattolici, così ora, auspica Mori, è stata aperta una breccia che provocherà il cambiamento della «idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria [...] per affermarne una nuova da costruire».
Nel Risorgimento trionfa il pensiero liberal-massonico nemico della Rivelazione e del Magistero, come oggi, così afferma il direttore dell’Avvenire Dino Boffo intervistato il 4 marzo sul Foglio da Nicoletta Tihiacos, vince papà Englaro sostenuto nella sua battaglia da «una cupola di indole massonica, che ha messo in campo una solidarietà formidabile, cementata in modo trasversale, capace di superare qualsiasi appartenenza politica, di categoria, di professione».
Cosa accomuna il Risorgimento al caso Englaro? La volontà gnostica di cambiare la realtà (la massoneria è una forma di gnosi). Si definiscono gnostici coloro che ritengono di incarnare l’avanguardia morale ed intellettuale dell’umanità. Gnostico, alla lettera, è colui che conosce, colui che sa. Gli gnostici sono convinti che loro spetti il compito di illuminare gli ignoranti (cioè quasi tutti) sulla direzione di marcia della storia. Certi di essere i migliori, hanno la convinzione che il loro sia un pensiero scientifico, capace di indicare con sicurezza in quale direzione l’umanità debba procedere per marciare spedita verso il progresso. Nemico del limite, che nega per principio, convinto di essene in grado di definire che cosa è bene e che cosa è male, il pensiero gnostico è all’origine delle immani catastrofi che hanno caratterizzato l’epoca moderna. Si va dalla Rivoluzione Francese, che vuole fare nuove tutte le cose ricorrendo al terrore, alla carneficina che Napoleone esporta in tutta Europa. La gnosi non si ferma mai. Non ammette i propri errori. Non ammette che la negazione del limite e della legge naturale portino inevitabilmente con sé la distruzione di tutto ciò che è umano.
Dopo il disastro dell’Illuminismo, invece di tornare a Dio si passa ad una nuova forma di idolatria e ci si rifugia nell’intimità del Romanticismo. Tempo qualche decennio e si torna a progettare alla grande lo Stato, definito “etico”: è la volta del Liberalismo. Tanto per fare un esempio, è in nome della scienza che Cavour decreta la morte per legge degli Ordini religiosi. Il progresso incarnato dal liberalismo, spacciato per scientifico, costa agli italiani, ridotti in miseria, un’emigrazione di massa. Nel Novecento arriva l’epoca del totalitarismo, propagandato ancora una volta in nome della scienza. Comunismo e nazismo sono due visioni del mondo che ritengono di essere scientifiche: l’uno crede nel socialismo, definito scientifico, di matrice marxista, l’altro nella scientifica dottrina della razza.
Ridotto il mondo in rovine, la gnosi vira ancora una volta passando dall’idolatria dello Stato a quella dei desideri individuali. E cosi, in nome della scienza, si è arrivati a negare l’evidenza: l’umanità non sarebbe più biologicamente divisa in due sessi, ma culturalmente caratterizzata da cinque generi fra cui i bambini devono imparare ad orientarsi per scegliere quello ad essi più congeniale. E così il Parlamento europeo è stato capace di condannare la Santa Sede ben trenta volte: per violazione dei diritti umani. Quei diritti che gli gnostici ritengono di essere gli unici a conoscere e definire. E così il Preambolo della Carla Europea dei Diritti specifica che compito dell’Unione è: «rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici».
Diritti intesi a partire dagli “sviluppi scientifici e tecnologici”! Diritti relativizzati, cangianti da epoca ad epoca, da ideologia ad ideologia, che garantiscono solo quelli che li vanno codificando, beninteso in nome della tecnoscienza. I diritti umani, al contrario, ricorda Papa Ratzinger all’ONU nell’aprile del 2008, «sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo […] rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti».
Tornando ad Eluana e al libro di Mori: questi si ripromette di far trionfare una nuova concezione della vita e della morte. Il bioeticista pensa che sia ora di farla finita con la concezione sacrale della vita umana: «Come Porta Pia è importante non tanto come azione militare quanto come atto simbolico che ha posto fine al potere temporale dei papi e alla concezione sacrale del potere politico, così il caso Eluana apre una breccia che pone fine al potere (medico e religioso) sui corpi delle persone e (soprattutto) alla concezione sacrale della vita umana». Parole forti. Parole che si comprendono forse meglio tenendo presente un altro luogo comune della gnosi: la convinzione che la materia, che i corpi, che la creazione, siano il prodotto di un dio malvagio. L’idea che prima ci si libera del corpo meglio è.
Se si tiene presente il desiderio titanico con tanta lucidità espresso da Mori, se di tiene presente che si vuole affermare una nuova concezione dell’umanità (vale la pena di ripeterlo: si tratta di «cambiare l’idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria»), si possono anche cogliere gli elementi comuni che unificano tanta parte delle convinzioni maturate negli ultimi decenni. E cioè: la liberalizzazione della droga, la pretesa che il vero problema sia la sovrappopolazione, la convinzione espressa con sempre maggiore frequenza che l’unico animale distruttivo sia l’uomo, la santificazione dei preservativi, l’affermazione dell’aborto come diritto, la promozione della sessualità per definizione slegata dalla capacità riproduttiva. Come interpretare diversamente la notizia riportata dal Corriere della Sera del 16 gennaio 2008 di un «invito informale, qualche sera fa, all’università di Hong Kong, per una cena a buffet, a un patto: che gli studenti fossero tutti gay o lesbiche. Ospite della serata una banca d’affari, il colosso americano Lehman Brothers». Come mai una banca d’affari (l’unica fallita!) promuove l’omosessualità? Come mai invece di pensare a far soldi i manager della Lehman pensano a come indirizzare i comportamenti sessuali degli studenti? Bisogna ammettere che la cultura moderna è impregnata di gnosi. Gnostica è anche la bordata finale: la diretta, aperta, sponsorizzazione della morte. La propaganda per la “buona morte”, la “dolce morte”. Anche questa scientificamente, asetticamente, procurata. Chiunque abbia assistito ad un’agonia, di uomini come di animali, sa che la morte non è né dolce né buona. La vita combatte con tutte le sue forze contro la morte. Perché la morte è l’unica realtà che Dio non ha creato: «la morte è entrata nel mondo per invidia di Satana», scrive la Sapienza. Gesù Cristo si è incarnato per vincere la morte. La morte può, sì, essere vissuta insieme a Cristo santamente, ma è sempre il dramma supremo della vita umana. Il mito della dolce morte è il punto di arrivo della ribellione a Dio “amante della vita”.
La popolazione italiana, nonostante tutto, resiste alla gnosi. Roma tiene saldamente in mano la fiaccola della libertà nella verità. Il Papa rivendica la forza del logos, della ragione dell’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio. L’attacco gnostico a Roma e agli italiani sferrato nell’Ottocento dal pensiero liberale ha prodotto ingiustizie colossali ed il dramma dell’emigrazione. Oggi la breccia di Porta Pia rischia, per noi, di essere l’Europa. In nome dell’uguaglianza e della qualità della vita rischiamo di vederci imporre leggi contro la vita ed il diritto naturale.
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Vita prenatale e setaccio genetico - Ma c'è qualcuno che si domanda cosa davvero vogliono le donne? - di Carlo Bellieni - L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009
Due paradossi gravano nella nostra società sul mondo della conoscenza della vita prenatale. Da una parte, avanza la scoperta della profonda umanità del nascituro, dall'altra c'è un forte impulso a stendervi sopra una cortina di pesante e imbarazzato silenzio, tanto che sui media quasi non se ne parla, per non sembrare anti-abortisti. Ma oggi molti segnali dicono che questo silenzio ha le ore contate: vediamone alcuni.
Una donna nello Stato del Vermont ha chiesto, pochi giorni or sono, che i suoi due "feti" morti per un incidente d'auto venissero riconosciuti legalmente come bambini, perché chi ha causato l'incidente se ne assumesse le reali responsabilità. A chi nega il valore umano della vita prenatale questa richiesta di una semplice mamma non piacerà. Così come non piacerà leggere che nel South Dakota la giudice Karen Schreier ha imposto che a chi vuole abortire venga spiegato che l'aborto è la fine di una vita; e non piacerà che in Germania per gli aborti tardivi i medici, dal maggio 2009, siano obbligati a spiegarne le conseguenze psicologiche, illustrare cosa vuol dire la vita con un bimbo disabile e offrire delle alternative. Ma non piacerà nemmeno che nella laica Francia, da un anno circa, la legge permetta alle donne che perdono un bambino non ancora nato non solo di poterne avere il corpicino e seppellirlo, ma anche di dargli un nome e iscriverlo all'anagrafe, indipendentemente dall'età gestazionale del piccolo. Insomma si coglie nell'aria un vento di riconoscimento del valore e dell'essenza della vita prenatale.
Il secondo paradosso è che alla conoscenza dell'umanità prenatale fa da contraltare la contemporanea ricerca ansiosa di nuovi sistemi per passare al setaccio genetico tutti, ma proprio tutti, i bambini non ancora nati e di nuovi sistemi rapidi per interrompere le gravidanze. Si cerca di avere notizie genetiche sul nascituro sempre più precocemente - ora anche sul suo sesso direttamente dal sangue della madre - e si richiedono sistemi per abortire in modi sempre più rapidi, come se l'evidenza scientifica e umana di un aborto si facesse sentire di meno se si fa in modo più spiccio.
Ma esiste un'evidenza scientifica inesorabile che nasce da studi fatti da ricercatori in ogni parte del mondo e che mostra la piena umanità del nascituro. Recentemente il "Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition" (marzo 2009) riportava un'analisi della letteratura scientifica in cui si mostrava chiaramente come addirittura i nostri gusti alimentari si formino prima della nascita a seconda di quello che la mamma mangia e arriva attraverso il liquido amniotico al bambino, facendoglielo assaporare per lungo tempo prima della nascita. Anche l'istituto National Geographic ha realizzato un bellissimo video (In the Womb) con forti immagini nella cosiddetta tecnica "a 4 dimensioni" sullo sviluppo del bimbo prenatale, recensito con calore dal "New York Times" e disponibile, in parte, sul web. La medicina prolifera di congressi dal titolo "Il feto come paziente" - l'ultimo si è svolto nel marzo scorso a Sydney - e si moltiplicano libri, riviste e fondazioni dedicati alla medicina prenatale. Basti, ad esempio, ricordare che la rivista pediatrica "Early Human Development" ha come sottotitolo "Rivista internazionale sulla continuità della vita fetale e postnatale", e il "British Medical Journal" edita una rivista pediatrica che ha una "Fetal and Neonatal Edition".
Negare l'umanità di chi non è ancora nato porta anche delle conseguenze che riguardano i bambini ormai nati e in piena crescita dopo la nascita, come la difficoltà nell'attaccamento prenatale. Il rapporto psicologico e affettivo tra mamma e bambino inizia ben prima della nascita; ogni mamma sa che può addirittura dialogare col proprio bambino non ancora nato.
La psicologa parigina Catherine Dolto ha scritto un breve saggio sulla possibilità di sfruttare questo contatto, detto aptonomia, nella quale si può coinvolgere anche il padre nel dialogo complice ed affettivo fra la madre e il "feto".
Sappiamo anche che il livello di attaccamento affettivo prenatale predice il livello di attaccamento tra mamma e bambino dopo la nascita (Anver Siddiqui, in Early Human Development, Amsterdam, Elsevier, 2000).
Esiste anche il problema della scarsa protezione fetale. "Anche se il feto non è una persona giuridica, ha lo stesso il diritto di essere non fumatore". Sono le parole di Michel Delcroix, docente di ostetricia a Lille riportate da "Le Figaro" del 21 gennaio scorso e la dicono lunga. Fumo, alcol e stupefacenti in gravidanza mettendo a gravissimo rischio la salute del "feto", rischiano di rovinare la vita di chi nasce.
Ma si fa abbastanza per mettere in guardia le donne? Si fa abbastanza per garantire loro un ambiente ecologicamente sano in gravidanza, mentre sostanze come pesticidi, solventi, metalli pesanti le circondano e ne mettono a rischio la fecondità e la prole? Sarebbe davvero facile far passare questi messaggi se si partisse dall'evidenza che in loro abita un bambino di cui sono la prima dimora, e che la mamma e la società devono garantire al piccolo ospite il massimo comfort.
C'è anche un aspetto che chiamerei il "lutto defraudato". La perdita di un bambino prima della nascita è un trauma per la madre e per il padre. Ma troppo spesso chi lo subisce non viene aiutato a elaborare il lutto, condizione forte per aiutare la salute psichica della persona. Evidentemente non si può elaborare un lutto per la morte di "qualcuno che non esiste". E questo genera traumi che talora richiedono cure particolari.
Infine, si arriva, nell'epoca della ultraspecializzazione in medicina, al paradosso che il medico della mamma deve sobbarcarsi anche della diagnosi e cura del bambino in utero, il quale solo alla nascita avrà diritto ad un proprio pediatra.
Dunque non si tratta di un problema sentito solo da chi è contrario all'aborto, ma è una questione che riguarda la salute pubblica. Anche perché di recente la rivista "Lancet" (Si deve offrire alle donne un'assistenza psicologica post-aborto, 23 agosto 2008) ha mostrato che far nascere un bambino da una gravidanza indesiderata non genera problemi psicologici maggiori che abortirlo; dunque crolla anche il mito dell'aborto come presunta salvaguardia della salute mentale.
La scienza, insomma, mostra l'umanità della vita fetale, mentre dall'altra parte la nostra società ricerca ansiosamente sempre più raffinati strumenti chirurgici o chimici per farla scomparire. È un paradosso della mentalità occidentale che offre risposte standard senza l'elasticità di ascoltare bene le richieste e talora senza fare i conti con i dati di fatto.
Ma c'è qualcuno che si domanda cosa davvero vogliono le donne? Vogliono forse sempre più strumenti per abortire o piuttosto - e tante donne lo reclamano - sempre più risorse - economiche, culturali, sociali - per abbracciare il figlio, per riconoscere la compagnia del piccolo bimbo che portano dentro di sé? Le tragiche parole della mamma del Vermont a cui sono morti i due figli-feti, sono significative e non necessitano commenti: "Per me sono bambini: hanno capelli, occhi, naso, labbra perfettamente formate. Hanno dita, unghie. Non so come lo Stato del Vermont possa dire che non sono bambini".
(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)
Dionigi e la via dell’invisibile - DI F RANCESCO T OMATIS - Dionigi Areopagita - TUTTE LE OPERE - Bompiani. Pagine 832. Euro 26,50
Esce una raccolta con tutte le opere di un autore anonimo del V-VI secolo che nei suoi scritti usò lo pseudonimo di Areopagita come il giudice ateniese convertito alla fede cristiana dopo aver ascoltato i discorsi di Paolo di Tarso Un corpus di testi profondi che unisce la spiritualità ellenica alla verità del Cristianesimo. E propone una mistica aperta, come cammino dell’anima verso Dio, che si rivela quanto mai attuale nel dialogo con le teologie asiatiche
M algrado i dubbi sollevati da umanisti come Lorenzo Valla e Erasmo da Rotterdam, occorrerà attendere il XIX secolo perché i filologi si convincano dell’impossibilità d’attribuire al Dionigi di cui narrano gli Atti degli Apostoli (XVII 16-34), giudice ateniese convertito alla fede cristiana da San Paolo in seguito al suo discorso nell’Areopago, lo straordinario corpus di scritti in lingua greca che va sotto il suo nome. Dopo una traduzione siriaca e gli scoli di Giovanni di Scitopoli (530), i commentari di Massimo il Confessore ( VII secolo) ne diffusero la conoscenza fra i teologi bizantini, da Giovanni Damasceno a Gregorio Palamas. Nel IX secolo, con Giovanni Scoto Eriugena, le opere di Dionigi Areopagita iniziarono a esser largamente studiate in Occidente. Seguirono i maestri vittorini, scolastici come Roberto Grossatesta, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Bonaventura da Bagnoregio, la mistica speculativa da Guglielmo di Saint-Thierry, Meister Eckhart e Johannes Tauler a Jean Gerson e Juan de la Cruz, per giungere sino a Nicola Cusano, Marsilio Ficino, Schelling. La stessa Divina Commedia di Dante Alighieri ne è fortemente debitrice. Non mancano teologi contemporanei che vi si siano ispirati: Edith Stein, Vladimir Lossky, Hans Urs von Balthasar, Bruno Forte e Joseph Ratzinger. Benedetto XVI ha dedicato il proprio discorso dell’udienza generale del 14 maggio 2008 interamente a Dionigi Areopagita, sottolineando che il suo pensiero teologico come ha saputo valorizzare il neoplatonismo di Proclo in ottica cristiana, attraverso la comprensione che parlare di Dio è sempre un cantare le lodi di Dio assieme a tutte le sue creature (e ciò ben compresero Francesco d’Assisi e il suo discepolo Bonaventura da Bagnoregio), unendo quindi spiritualità ellenica e verità cristiana, così può essere attualissimo oggigiorno nel dialogo fra cristianesimo e teologie mistiche asiatiche, poiché la sua mistica intesa come cammino dell’anima verso Dio, luce inaccessibile, può unire ogni credente che umilmente sappia di poter dire Dio solo in negativo, non certo fissandolo idolatricamente, sino all’accoglimento per grazia del suo gratuito farsi dono (infatti la via a Dio infine è Dio stesso), come in Gesù Cristo s’è rivelato. Benché sia stato collocato fra il V e il VI secolo, quindi successivamente a Proclo (412-485), di cui risulta un preciso influsso, s’ignora la personalità storica a cui attribuire il corpus
dionisiano, composto, oltre che da dieci Lettere
indirizzate a ipotetici personaggi dell’età apostolica, da quattro importantissimi trattati:
Gerarchia celeste, Gerarchia ecclesiastica, Nomi divini, Teologia mistica . Ciascuno di essi ha avuto un’incisività su ampi ambiti della teologia e non solo, tanto da risultare essenziali per la comprensione di iconologia, storia dell’arte, liturgia, mistica e letteratura dei secoli successivi. Un evento sia per gli specialisti sia per un più ampio pubblico è dunque l’edizione italiana, nella collana Il pensiero occidentale Bompiani, di Tutte le opere di Dionigi Areopagita, con testo originale a fronte e apparati critici, curata da Piero Scazzoso, Enzo Bellini e Ilaria Ramelli, accompagnata da illuminanti saggi di Giovanni Reale e Carlo Mario Mazzucchi. Se l’attribuzione di tali opere a Dionigi Areopagita, discepolo diretto di san Paolo, ha contribuito decisivamente alla diffusione e attenta lettura, tuttavia rimane una loro unicissima importanza anche in seguito alla postdatazione.
In esse abbiamo infatti una straordinaria fusione di teologia biblica e filosofia greca neoplatonica, di metodo conoscitivo e teurgico, sapienziale e esperienziale, teologico e mistico per avvicinarsi a Dio, sino all’unificazione. Ciò malgrado una scarsa presenza delle questioni dogmatiche dei primi concili cristiani, forse al fine di tenersi lontano dalle accese dispute ecclesiali, mirando più direttamente alla verità che non alla confutazione di differenti tesi. Una duplice operazione in uno effettua lo pseudo Dionigi Areopagita: ellenizzazione del cristianesimo e cristianizzazione del neoplatonismo. Nella
Gerarchia celeste e nella Gerarchia ecclesiastica
troviamo una sistematizzazione dell’angelologia e della liturgia cristiana, assieme a una vera e propria teologia simbolica. A terne superiori angeliche, composte in gerarchie di Serafini, Cherubini e Troni, Dominazioni, Virtù e Potestà, Principati, Arcangeli e Angeli, corrispondono quelle inferiori di sacramenti, iniziatori e iniziati, che ordinano discensivamente i gradi ecclesiastici in battesimo, eucaristia e consacrazione del sacro unguento, vescovi, presbiteri e diaconi, monaci, popolo santo e purificati (grado suppletivo la sepoltura).
Attraverso simboli sensibili e intellegibili è possibile l’avvicinamento dell’uomo a Dio. Teurgia e teologia, operazione divina per mezzo dei simboli sacramentali della liturgia e rivelazione divina attraverso le sacre scritture, permettono all’uomo di elevarsi a Dio, sino al punto in cui solo la grazia divina può soccorrere: perché Dio sta al di là di ogni conoscere e fare umani, oltre persino le purissime intelligenze angeliche. Sono le argomentazioni degli altri due trattati, Nomi divini e Teologia mistica , con la celebre distinzione delle vie teologiche in affermativa e negativa, catafatica e apofatica. I nomi di Dio dicono finitamente, umanamente, simbolicamente anche ciò che propriamente non è possibile attribuire a Dio: superiore, precedente, più grande di qualsiasi seppur positiva qualificazione se ne possa dare. Eppure essi servono a guidarci verso la sua purissima e invisibile luce onnipotente e eterna. Dio è Bene, Bellezza, Luce, Essere, Vita, Sapienza, Potenza, Pace, Eternità, Perfezione, Causa, Uno... Amore: nomi riconducibili sia a espressioni bibliche, sia alla raffinata teologia proposta da grandi filosofi greci: Platone, Plotino, Proclo. Tuttavia tali nomi di Dio servono soltanto a condurre la nostra intelligenza verso l’assimilazione a Dio, di fatto né dicibile né intellegibile, l’unificazione dell’uomo con il quale non può avvenire che per suo dono, per grazia, generosa partecipazione. Dio stesso ama di un amore estatico, secondo Dionigi, che lo fa uscire fuori di sé, pur non mutando né esaurendo se stesso, per andare incontro alle creature. L’amore trinitario che è Dio, dunque, non può essere attinto se non percorrendo, assieme alla via teologica positiva dell’ascesa a lui attraverso i suoi più eccelsi nomi, sempre e solo simbolici, anche la via teologica negativa, che abbandoni le finitezze, sensibili e persino intellegibili, elimini ogni attributo di Dio, trascendendo tutto in un’estasi verso Dio che è piena ignoranza da un punto di vista umanamente conoscitivo. Nella caligine divina, tenebrosa per eccesso di lucore, l’ascesi mistica dell’uomo si compie in un estremo, estatico scioglimento da tutto. Colà, per grazia divina, l’ignoranza umana può esser trasformata in conoscenza di colui che eccede ogni conoscenza: Dio uno e trino, eterna fonte amorevole di ogni creatura e nome al di là di tutti i nomi, il quale attraverso la filantropia di Gesù Cristo permette di comprendere ciascun simbolo e nome, enigma e parabola che ne descriva la presenza nel tempo del mondo creaturale.