Nella rassegna stampa di oggi:
La risposta alla tragedia della Shoah - Intervento del Rabbino Israel Meir Lau
Lettera vaticana sull'insegnamento della religione nella scuola - Della Congregazione per l'Educazione Cattolica
EDUCAZIONE SESSUALE A 5 ANNI, LA NUOVA FRONTIERA DELL'ONU - di Alessandra Nucci
Un incontro a Milano su libertà, religioni e politica - La laicità per l'uomo e non l'uomo per la laicità (L'Osservatore Romano - 9 settembre 2009)
La risposta alla tragedia della Shoah - Intervento del Rabbino Israel Meir Lau
CRACOVIA, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato questo martedì da Israel Meir Lau, ex Rabbino Capo askenazita di Israele e sopravvissuto del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, in occasione del Meeting Internazionale "Religioni e Culture in Dialogo" svoltosi a Cracovia (Polonia).
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Nel settembre del ’93 questa settimana 16 anni fa ebbi una lunga conversazione con il Papa Giovanni Paolo II a Castelgandolfo in Italia. All’inizio del nostro lungo incontro mi disse: "Mi ricordo di suo nonno, nella città di Cracovia, dove sono stato vescovo, durante la guerra mondiale.Ricordo suo nonno il Rabbino Frankel che andava verso la sinagoga per lo Shabbath il sabato, circondato da moltissimi bambini".
Gli chiesi: "Quanti nipoti ha?".
Lui rispose: "47".
Ed il Papa mi chiese allora: "Quanti sono sopravvissuti all’Olocausto?".
Io risposi: "Solo cinque".
42, compreso mio fratello, che aveva 13 anni, e tutti i miei cugini, erano morti durante l’Olocausto. Il Papa alzò gli occhi al cielo e disse: "Ho visitato già un centinaio di stati. Ovunque io vada lo ripeto sempre con forza. Noi, tutta l’umanità’ abbiamo l’obbligo e l’impegno di garantire un futuro ed una continuità ai nostri fratelli maggiori, gli Ebrei".
Noi oggi siamo qui riuniti grazie all’invito della Comunità di Sant’Egidio, che ci ha condotti a visitare insieme il più grande cimitero dell’umanità’, della storia dell’umanità’, nel luogo dove c’era la fabbrica della morte.
Potete vedere la foto di Mengele, con un dito decideva se a destra o a sinistra, la vita o la morte.
Ecco, era la fabbrica della morte.
E il mondo era diviso in 3 parti.
Una parte dove stavano gli assassini, i Nazisti e la resistenza. Dall’altra parte con le vittime. La terza parte era costituita dal mondo che restò in silenzio. E non disse una parola.
Ecco perché oggi siamo qui.
Per promettere a noi stessi, ai nostri figli ed alle generazioni future, come avete detto prima, NEVER AGAIN, mai più.
Noi non dimenticheremo mai, non possiamo dimenticare, e faremo ogni sforzo affinché un tale orrore non si ripeta. In nessuna parte del mondo, contro nessuna nazione al mondo.
Secondo i rapporti dell’ONU che io cito e ripeto in continuazione ogni giorno, di fame e solo di fame, non di malattie, non di incidenti automobilistici, non di Aids o di cancro, ma solo a causa della fame, 18.000 bambini muoiono ogni giorno. Da quando siamo arrivati ad Auschwitz oggi mille bambini, neonati, bambini innocenti sono già morti di fame, principalmente in Asia ed in Africa. Ma non si vede nemmeno sulle prime pagine dei giornali, o nei titoli dei telegiornali. Su nessun canale. 18.000 bambini al giorno!
Sant’Egidio si prende cura della salute dei poveri, dei bisognosi, delle vittime del passato e per evitare vittime innocenti nel futuro.
Vedete qui oggi quante religioni sono rappresentate. Io faccio appello anche ai cugini del mondo islamico. Se possiamo camminare qui oggi spala a spalla e deporre i fiori, non possiamo anche sederci insieme ed avere un buon dialogo per risolvere tutti i conflitti e tutti i problemi e parlarci, l’uno con l’altro, come amici, come cugini, come vicini? Sì possiamo.
Io avevo un amico, un sopravvissuto ad Auschwitz, un famoso scrittore che scrisse diversi libri sulla sua terribile esperienza.
Mi diceva sempre: "Non scrivo mai con l’inchiostro, ma con il mio sangue".
Venne chiamato come testimone al processo di Adolf Eichman. Dopo pochi minuti dall’inizio della sua testimonianza svenne e cadde a terra. Non poteva sopportare di testimoniare.
Prima vide Eichman e disse: "Io vengo da un paese in cui i bambini non sono mai nati e i fiori non crescevano più. Era un pianeta diverso, un pianeta chiamato Auschwitz. Vedo le loro facce". Disse e poi svenne.
Che la memoria del mio amico sia benedetta. Ciò non avvenne in un altro pianeta. Era il nostro pianeta. Sentivano la musica, leggevano libri, studiavano filosofia, morale, etica ed erano eletti in un modo molto democratico. Ma loro lo fecero. L’omicidio di 50 milioni di persone, compresi 6 milioni di Ebrei. Nessuno li aveva minacciati o messi in pericolo.
Noi non avevamo armi. Non avevamo un paese, né uno Stato. Né missili, né razzi. Non avevamo una pistola in mano. Su questo pianeta!
Dobbiamo essere sicuri che su questo pianeta non riappaia più un orrore simile.
Finirò il mio discorso così come ho iniziato, con la memoria di Giovanni Paolo II.
Mi chiese: "Rabbino Capo, lei ha dei figli?".
Risposi di sì.
"Vivono in Israele?", mi chiese.
"Sì, tutti, anche i miei nipoti vivono tutti in Israele".
Ed egli mi disse: "Questa era la promessa di cui parlavo sul futuro e la continuità degli Ebrei".
Quando nel ’95 mi trovavo nel campo di Buchenwald nella città di Weimar in Germania, dove venni liberato quando avevo 8 anni, sul muro della finestra della stanza delle torture vidi una parola "necumene", in Yiddish fai la vendetta. Era l’ultima parola di un uomo torturato in quella stanza, una vittima di Buchenwald. Vendetta. Quale vendetta possiamo fare noi? Sono un credente, credo nel Signore onnipotente, non solo perché sono un rabbino o un ebreo. Ma perché sono un essere umano. Io credo sia accaduto dal Cielo.
Due o tre ore fa qui a Cracovia, ero arrivato stanotte per partecipare all’incontro, ho ricevuto una telefonata da mia nipote. "Nonno, mezz'ora fa ti ho dato alla luce un altro nipote". E' nato oggi alle 7 in Israele. Questa è la mia vendetta. Questa è la mia riposta. Questa è la mia soluzione. Vivi e lascia vivere. Vivete insieme, in amicizia, in amore ed in pace. Grazie.
Lettera vaticana sull'insegnamento della religione nella scuola - Della Congregazione per l'Educazione Cattolica
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la lettera circolare sull'insegnamento della religione nella scuola inviata dalla Congregazione vaticana per l'Educazione Cattolica ai Presidenti delle Conferenze episcopali e datata 5 maggio 2009.
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Eminenza/Eccellenza Reverendissima,
la natura e il ruolo dell’insegnamento della religione nella scuola è divenuto oggetto di dibattito e in alcuni casi di nuove regolamentazioni civili, che tendono a sostituirlo con un insegnamento del fatto religioso di natura multiconfessionale o di etica e cultura religiosa, anche in contrasto con le scelte e l’indirizzo educativo che i genitori e la Chiesa intendono dare alla formazione delle nuove generazioni.
Pertanto, con la presente Lettera Circolare, indirizzata ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, questa Congregazione per l’Educazione Cattolica, ritiene necessario richiamare alcuni principi, che sono approfonditi nell’insegnamento della Chiesa, a chiarificazione e norma circa il ruolo della scuola nella formazione cattolica delle nuove generazioni; la natura e l’identità della scuola cattolica; l’insegnamento della religione nella scuola; la libertà di scelta della scuola e dell’insegnamento religioso confessionale.
I. Il ruolo della scuola nella formazione cattolica delle nuove generazioni
1. L’educazione si presenta oggi come un compito complesso, sfidata da rapidi mutamenti sociali, economici e culturali. La sua missione specifica rimane la formazione integrale della persona umana. Ai fanciulli e ai giovani va garantita la possibilità di sviluppare armonicamente le proprie doti fisiche, morali, intellettuali e spirituali; ed essi vanno anche aiutati a perfezionare il senso di responsabilità, ad imparare il retto uso della libertà, e a partecipare attivamente alla vita sociale (cfr c. 795 Codice di Diritto Canonico [CIC]; c. 629 Codice dei Canoni delle Chiese Orientali [CCEO]). Un insegnamento che disconoscesse o emarginasse la dimensione morale e religiosa della persona costituirebbe un ostacolo per un’educazione completa, perché "i fanciulli e i giovani hanno il diritto di essere aiutati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia a conoscere e ad amare Dio più perfettamente". Perciò, il Concilio Vaticano II ha chiesto e raccomandato "a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione di preoccuparsi perché mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto" (Dichiarazione Gravissimum educationis [GE ],1).
2. Una tale educazione richiede il contributo di molti soggetti educativi. I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, sono i primi e principali educatori (cfr GE 3; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio [FC], 22 novembre 1981, 36; c. 793 CIC; c. 627 CCEO). Per tale ragione, spetta ai genitori cattolici, curare l’educazione cristiana dei loro figli (c. 226 CIC; c. 627 CCEO). In questo compito primario i genitori hanno bisogno dell’aiuto sussidiario della società civile e d’altre istituzioni, infatti: "la famiglia è la prima, ma non l’unica ed esclusiva comunità educante" (FC 40; cfr GE 3).
3. "Tra tutti gli strumenti educativi, un’importanza particolare riveste la scuola" (GE 5), che è "di precipuo aiuto ai genitori nell’adempiere la loro funzione educativa" (c. 796 §1 CIC), particolarmente per favorire la trasmissione della cultura e l’educazione al vivere insieme. In questi ambiti, in conformità anche alla legislazione internazionale e ai diritti dell’uomo, "deve essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un’educazione conforme alla loro fede religiosa" (FC 40). I genitori cattolici "affidino i figli a quelle scuole nelle quali si provvede all’educazione cattolica" (c. 798 CIC) e, quando ciò non è possibile, devono supplirne la mancanza (cfr ibidem).
4. Il Concilio Vaticano II ricorda "il grave dovere, che incombe sui genitori, di tutto predisporre o anche di esigere", perché i loro figli possano ricevere un’educazione morale e religiosa "e in armonia con la formazione profana progrediscano in quella cristiana. Perciò la Chiesa loda quelle autorità e società civili che, tenendo conto del pluralismo esistente nella società moderna e garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le famiglie perché l’educazione dei loro figli possa aver luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle stesse famiglie" (GE 7).
In sintesi:
- L’educazione si presenta oggi come compito complesso, vasto ed urgente. La complessità odierna rischia di far perdere l’essenziale, cioè la formazione della persona umana nella sua integralità, in particolare per quanto riguarda la dimensione religiosa e spirituale.
- L’opera educativa pur compiuta da più soggetti ha nei genitori i primi responsabili dell’educazione.
- Tale responsabilità si esercita anche nel diritto di scegliere la scuola che garantisca una educazione conforme ai propri principi religiosi e morali.
II. Natura e identità della scuola cattolica: diritto ad un’educazione cattolica per le famiglie e per gli alunni. Sussidiarietà e collaborazione educativa
5. Nell’educazione e nella formazione un ruolo particolare riveste la scuola cattolica. Nel servizio educativo scolastico si sono distinte e continuano a dedicarsi lodevolmente molte comunità e congregazioni religiose, ma tutta la comunità cristiana e, in particolare, l’Ordinario diocesano hanno la responsabilità di "disporre ogni cosa, perché tutti i fedeli possano fruire dell’educazione cattolica" (c. 794 §2 CIC) e, più precisamente, per avere "scuole nelle quali venga trasmessa un’educazione impregnata di spirito cristiano" (c. 802 CIC; cfr c. 635 CCEO).
6. Una scuola cattolica si caratterizza dal vincolo istituzionale che mantiene con la gerarchia della Chiesa, la quale garantisce che l’insegnamento e l’educazione siano fondati sui principi della fede cattolica e impartiti da maestri di dottrina retta e vita onesta (cfr c. 803 CIC; cc. 632 e 639 CCEO). In questi centri educativi, aperti a tutti coloro i quali ne condividano e rispettino il progetto educativo, deve essere raggiunto un ambiente scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, che favorisca uno sviluppo armonico della personalità di ciascuno. In quest’ambiente viene coordinato l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, di modo che la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dal Vangelo (cfr GE 8; c. 634 §1 CCEO).
7. In questo modo, è assicurato il diritto delle famiglie e degli alunni ad un’educazione autenticamente cattolica e, allo stesso tempo, si attuano gli altri fini culturali e di formazione umana e accademica dei giovani, che sono propri di qualsiasi scuola (cfr c. 634 §3 CCEO; c. 806 §2 CIC).
8. Pur sapendo quanto ciò oggi sia problematico è auspicabile che, per la formazione della persona, esista una grande sintonia educativa fra scuola e famiglia, così da evitare tensioni o fratture nel progetto educativo. È quindi necessario che esista una stretta e attiva collaborazione fra genitori, insegnanti e dirigenti delle scuole, ed è opportuno incoraggiare gli strumenti di partecipazione dei genitori nella vita scolastica: associazioni, riunioni, ecc. (cfr. c. 796 §2 CIC; c. 639 CCEO).
9. La libertà dei genitori, delle associazioni e istituzioni intermedie e della stessa gerarchia della Chiesa di promuovere scuole d’identità cattolica costituiscono un esercizio del principio di sussidiarietà. Questo principio esclude "ogni forma di monopolio scolastico, che contraddice ai diritti naturali della persona umana e anche allo sviluppo e alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini, nonché a quel pluralismo, quale oggi esiste in moltissime società" (GE 6).
In sintesi:
- La scuola cattolica è vero e proprio soggetto ecclesiale in ragione della sua azione scolastica, in cui si fondano in armonia la fede, la cultura e la vita.
- Essa è aperta a tutti coloro che ne vogliano condividere il progetto educativo ispirato dai principi cristiani.
- La scuola cattolica è espressione della comunità ecclesiale e la sua cattolicità è garantita dalle competenti autorità (Ordinario del luogo).
- Assicura la libertà di scelta dei genitori cattolici ed è espressione di pluralismo scolastico.
- Il principio di sussidiarietà regola la collaborazione tra la famiglia e le varie istituzioni deputate all’educazione.
III. L’insegnamento della religione nella scuola
a) Natura e finalità
10. L’insegnamento della religione nella scuola costituisce un’esigenza della concezione antropologica aperta alla dimensione trascendente dell’essere umano: è un aspetto del diritto all’educazione (cfr c. 799 CIC). Senza questa materia, gli alunni sarebbero privati di un elemento essenziale per la loro formazione e per il loro sviluppo personale, che li aiuta a raggiungere un’armonia vitale fra fede e cultura. La formazione morale e l’educazione religiosa favoriscono anche lo sviluppo della responsabilità personale e sociale e le altre virtù civiche, e costituiscono dunque un rilevante contributo al bene comune della società.
11. In questo settore, in una società pluralista, il diritto alla libertà religiosa esige sia l’assicurazione della presenza dell’insegnamento della religione nella scuola, sia la garanzia che tale insegnamento sia conforme alle convinzioni dei genitori. Il Concilio Vaticano II ricorda: "[Ai genitori] spetta pure il diritto di determinare la forma di educazione religiosa da impartirsi ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa (...). I diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori o se viene imposta un’unica forma di educazione dalla quale sia completamente esclusa la formazione religiosa" (Dichiarazione Dignitatis humanae [DH] 5; cfr c. 799 CIC; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 24 novembre 1983, art. 5, c-d). Questa affermazione trova riscontro nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 26) e in molte altre dichiarazioni e convenzioni della comunità internazionale.
12. La marginalizzazione dell’insegnamento della religione nella scuola equivale, almeno in pratica, ad assumere una posizione ideologica che può indurre all’errore o produrre un danno agli alunni. Inoltre, si potrebbe anche creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso se l’insegnamento della religione fosse limitato ad un’esposizione delle diverse religioni, in un modo comparativo e "neutro". A questo riguardo, Giovanni Paolo II spiegava: "La questione dell’educazione cattolica comprende (...) l’insegnamento religioso nell’ambito più generale della scuola, sia essa cattolica oppure statale. A tale insegnamento hanno diritto le famiglie dei credenti, le quali debbono avere la garanzia che la scuola pubblica – proprio perché aperta a tutti – non solo non ponga in pericolo la fede dei loro figli, ma anzi completi, con adeguato insegnamento religioso, la loro formazione integrale. Questo principio va inquadrato nel concetto della libertà religiosa e dello Stato veramente democratico che, in quanto tale, cioè nel rispetto della sua più profonda e vera natura, si pone al servizio dei cittadini, di tutti i cittadini, nel rispetto dei loro diritti e delle loro convinzioni religiose" (Discorso ai Cardinali e ai collaboratori della Curia Romana, 28 giugno1984).
13. Con questi presupposti, si comprende che l’insegnamento della religione cattolica ha una sua specificità riguardo alle altre materie scolastiche. In effetti, come spiega il Concilio Vaticano II: "il potere civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla; ma dobbiamo affermare che esce dai limiti della sua competenza se presumesse di dirigere o di impedire gli atti religiosi" (DH 3). Per questi motivi spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola, che garantisce, di fronte ai genitori e agli stessi alunni l’autenticità dell’insegnamento che si trasmette come cattolico.
14. La Chiesa riconosce questo compito come suo ratione materiae e lo rivendica come di propria competenza, indipendentemente della natura della scuola (statale o non statale, cattolica o non cattolica) in cui è impartita. Perciò: "all’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola (...); spetta alla Conferenza Episcopale emanare norme generali su questo campo d’azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su di esso" (c. 804 §1 CIC; cfr, inoltre, c. 636 CCEO).
b) L’insegnamento della religione nella scuola cattolica
15. L’insegnamento della religione nelle scuole cattoliche identifica il loro progetto educativo, infatti, "il carattere proprio e la ragione profonda della scuola cattolica, per cui appunto i genitori cattolici dovrebbero preferirla, consistono precisamente nella qualità dell’insegnamento religioso integrato nell’educazione degli alunni" (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Catechesi tradendae, 16 ottobre 1979, 69).
16. Anche nelle scuole cattoliche, va rispettata, come altrove, la libertà religiosa degli alunni non cattolici e dei loro genitori. Questo non impedisce, com’è chiaro, il diritto-dovere della Chiesa "di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede a voce e per iscritto", tenendo conto che "nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze ci si deve sempre astenere da ogni genere d’azione che sembri una coercizione o una sollecitazione disonesta o scorretta" (DH 4).
c) Insegnamento della religione cattolica sotto il profilo culturale e rapporto con la catechesi
17. L’insegnamento scolastico della religione s’inquadra nella missione evangelizzatrice della Chiesa. È differente e complementare alla catechesi in parrocchia e ad altre attività, quale l’educazione cristiana familiare o le iniziative di formazione permanente dei fedeli. Oltre al diverso ambito in cui ognuna è impartita, sono differenti le finalità che si prefiggono: la catechesi si propone di promuovere l’adesione personale a Cristo e la maturazione della vita cristiana nei suoi diversi aspetti (cfr Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi [DGC], 15 agosto1997, nn. 80-87); l’insegnamento scolastico della religione trasmette agli alunni le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana. Inoltre, il Papa Benedetto XVI, parlando agli insegnanti di religione, ha indicato l’esigenza "di allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza della loro intrinseca unità che le tiene insieme. La dimensione religiosa, infatti, è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita". A tal fine concorre l’insegnamento della religione cattolica, con il quale "la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto e a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro" (Discorso agli insegnanti di religione cattolica, 25 aprile 2009).
18. La specificità di quest’insegnamento non fa venir meno la sua natura propria di disciplina scolastica; al contrario, il mantenimento di quello status è una condizione d’efficacia: "è necessario, perciò, che l’insegnamento religioso scolastico appaia come disciplina scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline. Deve presentare il messaggio e l’evento cristiano con la stessa serietà e profondità con cui le altre discipline presentano i loro saperi. Accanto a queste, tuttavia, esso non si colloca come cosa accessoria, ma in un necessario dialogo interdisciplinare" (DGC 73).
In sintesi:
- La libertà religiosa è il fondamento e la garanzia della presenza dell’insegnamento della religione nello spazio pubblico scolastico.
- Una concezione antropologica aperta alla dimensione trascendentale ne è la condizione culturale.
- Nella scuola cattolica l’insegnamento della religione è caratteristica irrinunciabile del progetto educativo.
- L’insegnamento della religione è differente e complementare alla catechesi, in quanto è insegnamento scolastico che non richiede l’adesione di fede, ma trasmette le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana. Inoltre, esso arricchisce la Chiesa e l’umanità di laboratori di cultura e umanità.
IV. Libertà educativa, libertà religiosa ed educazione cattolica
19. In conclusione, il diritto all’educazione e la libertà religiosa dei genitori e degli alunni si esercitano concretamente attraverso:
a) la libertà di scelta della scuola. "I genitori, avendo il dovere e il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza". (GE 6; cfr DH 5; c. 797 CIC; c. 627 §3 CCEO).
b) La libertà di ricevere, nei centri scolastici, un insegnamento religioso confessionale che integri la propria tradizione religiosa nella formazione culturale e accademica propria della scuola. "I fedeli facciano di tutto perché nella società civile le leggi, che ordinano la formazione dei giovani, contemplino nelle scuole stesse anche la loro educazione religiosa e morale, secondo la coscienza dei genitori" (c. 799 CIC; cfr GE 7, DH 5). Infatti, all’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola (cfr c. 804 §1 CIC; c. 636 CCEO).
20. La Chiesa è consapevole che in molti luoghi, adesso come in epoche passate, la libertà religiosa non è pienamente effettiva, nelle leggi e nella pratica (cfr DH 13). In queste condizioni, la Chiesa fa il possibile per offrire ai fedeli la formazione di cui hanno bisogno (cfr GE 7; c. 798 CIC; c. 637 CCEO). Nello stesso tempo, d’accordo con la propria missione (cfr Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 76), non smette di denunciare l’ingiustizia che si compie quando gli alunni cattolici e le loro famiglie vengono privati dei propri diritti educativi ed è ferita la loro libertà religiosa, ed esorta tutti i fedeli ad impegnarsi perché quei diritti siano effettivi (cfr c. 799 CIC).
Questa Congregazione per l’Educazione Cattolica è certa che i principi sopra richiamati possono contribuire a trovare una sempre più ampia consonanza tra il compito educativo, che è parte integrante della missione della Chiesa, e l’aspirazione delle Nazioni a sviluppare una società giusta e rispettosa della dignità di ogni uomo.
Da parte sua la Chiesa, esercitando la diakonia della verità in mezzo all’umanità, offre ad ogni generazione la rivelazione di Dio dalla quale si può imparare la verità ultima sulla vita e sul fine della storia. Questo compito non è facile in un mondo secolarizzato, abitato dalla frammentazione della conoscenza e dalla confusione morale, coinvolge tutta la comunità cristiana e costituisce una sfida per gli educatori. Ci sostiene, comunque, la certezza -come afferma Benedetto XVI- che " i nobili scopi […] dell’educazione, fondati sull’unità della verità e sul servizio alla persona e alla comunità, diventano uno speciale potente strumento di speranza" (Discorso agli educatori cattolici, 17 aprile 2008).
Mentre preghiamo l’Eminenza/Eccellenza Vostra di voler portare a conoscenza di quanti sono interessati al servizio e alla missione educativa della Chiesa i contenuti della presente Lettera Circolare, La ringraziamo della cortese attenzione ed in comunione di preghiere a Maria, Madre e Maestra degli educatori, ci valiamo volentieri della circostanza per porgere i sensi della nostra considerazione, confermandoci
dell’Eminenza/Eccellenza Vostra Reverendissima
dev.mi nel Signore
Zenon Card. GROCHOLEWSKI, Prefetto
+Jean-Louis BRUGUÈS, O.P., Segretario
EDUCAZIONE SESSUALE A 5 ANNI, LA NUOVA FRONTIERA DELL'ONU - di Alessandra Nucci
Nella stessa settimana in cui l'UNFPA, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, davanti alle molte critiche ha tolto il proprio patrocinio da una guida all'educazione sessuale molto spinta, la stessa organizzazione ha promosso una conferenza a Berlino, in collaborazione con il governo tedesco, per istruire 400 attivisti sul come fare pressione su diversi paesi affinché finanzino e forniscano programmi sessuali dello stesso tipo, oltre all'aborto.
La presidente di Concerned Women for America, Wendy Wright, e la Direttrice dei rapporti con i governi di C-FAM Samantha Singson, si trovano in questo momento alla conferenza sui "diritti sessuali e riproduttivi" sponsorizzata dall'UNFPA e dal governo tedesco.
Le sessioni mirano ad addestrare attivisti che agitino le acque per ottenere più lauti finanziamenti da paesi e fondazioni, facendo pressioni sui governi perché forniscano l'educazione sessuale e l'aborto, e addestrando i giovani a reclamare il diritto all'aborto e i diritti sessuali. Ai partecipanti vengono distribuiti materiali intitolati "Assicurare l'accesso delle donne all'aborto sicuro" e "Ho bisogno di un aborto".
Thoroya Obaid, Direttrice di UNFPA, alla conferenza ha detto: "A differenza di noi dell'ONU, che siamo considerati i responsabili dei meccanismi intergovernativi, avete più libertà e spazio voi, come ONG, per portare avanti questa agenda."
Il New York Times ha riferito oggi di una guida all'educazione sessuale dell'UNESCO che raccomanda di insegnare ai bambini di 5-8 anni tutto sulla masturbazione, ai bambini di 9-12 anni tutto sull'aborto e gli orgasmi e, arrivati a 15 anni, tutto su "come fare per promuovere il diritto e l'accesso all'aborto sicuro". E' stata CNSNews.com a dare la notizia che l'UNESCO, insieme all'UNFPA, ha pubblicato in giugno queste "Linee guida internazionali sull'educazione sessuale". Davanti alle reazioni dei cittadini, l'UNFPA ha dichiarato al New York Times che avrebbe tolto il suo patrocinio dalla pubblicazione.
La struttura di queste linee guida è suddivisa secondo l'"età-appropriata" ed è identica alle linee guida dell'associazione SIECUS (Sexuality Information and Education Council) degli USA.
Alla fine della Conferenza di Berlino comunque uscirà un documento che dirà alle diverse nazioni di:
• Fornire l'aborto attraverso i sistemi sanitari statali.
• Garantire "i diritti sessuali e riproduttivi in quanto diritti umani."
• Eliminare le restrizioni per l'accesso dei giovani alla "intera gamma di informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva" in base all'età e derivanti dall'autorità dei genitori.
• Aumentare i finanziamenti alle organizzazioni non-governative attiviste.
Samantha Singson ha dichiarato: "Nella settimana stessa in cui l'UNFPA ha fatto retromarcia sul manuale di educazione sessuale, esso ha addestrato gli attivisti perché esigano l'"educazione sessuale inclusiva" e l'accesso all'aborto per tutti le giovani". E Wendy Wright ha aggiunto: "L'UNFPA dice alla gente di 'creare la necessità' di salute riproduttiva. Adesso assistiamo all'UNFPA che crea la necessità di aborti. trattamenti HIV/AIDS e altre cure sanitarie, insegnando perfino ai bambini di cinque anni a essere sessualmente attivi".
Un incontro a Milano su libertà, religioni e politica - La laicità per l'uomo e non l'uomo per la laicità (L'Osservatore Romano - 9 settembre 2009)
Per iniziativa dell'Associazione Sant'Anselmo, della Fondazione Ambrosiana Paolo VI e del Progetto culturale dell'arcidiocesi lombarda, mercoledì 9 settembre si svolge a Milano l'incontro "Per una nuova laicità" in margine al libro Confini (Milano, Mondadori, 2009, pagine 204, euro 18) di Ernesto Galli della Loggia e del cardinale Camillo Ruini. Insieme agli autori, intervengono il sindaco di Milano Letizia Moratti, il vescovo ausiliare della città Franco Giulio Brambilla, vicario per la cultura, Paolo Mieli, Lorenzo Ornaghi, Giovanni Filoramo e il direttore del nostro giornale.
di Andrea Gianni
Il tema della laicità evoca istintivamente un'istanza superiore, lo Stato, rispetto a una sottoposta, la religione. Non solo dalla mentalità comune ma anche da buona parte degli studiosi, la laicità è concepita con lo Stato al centro. In questa prospettiva - che, per esempio, animava l'intera impostazione della commissione governativa francese del 2004- si rischia di perdere di vista il soggetto destinatario.
Si tratta di uno dei versanti del secolo dell'ideologia che ha enfatizzato lo Stato ponendolo al centro del tutto.
In un periodo di forti mutamenti come quello attuale, appare impellente la necessità di alzare lo sguardo dagli schemi consolidati, di "guardare più in alto dello Stato, che è una parte e non la totalità" (Benedetto XVI, Elogio della coscienza, Siena, Cantagalli, 2009).
L'incontro di Milano si svolge con l'ambizione di avviare una riflessione sullo schema tradizionale della laicità, perché, come afferma il cardinale Ruini, "le religioni non possono disinteressarsi delle fondamentali questioni etiche, anche a livello pubblico" e "la rilevanza pubblica è iscritta nel codice delle religioni, compreso il cristianesimo".
Tra gli aspetti su cui riflettere, c'è la diffusa opinione per cui la laicità non è solo una prerogativa dello Stato, delle istituzioni, delle leggi, e così via, ma anche della società, cioè della convivenza civile, che non dovrebbe lasciar spazio alle convinzioni religiose. La massima espressione organica di tale mentalità è quell'idea della "religione civile" secondo cui l'intera società deve essere guidata dal principio etsi deus non daretur. Esattamente l'opposto, è appena il caso di ricordarlo, dell'invito del Pontefice a condurre la vita sociale etsi deus daretur.
Ciò basta per rendersi conto che c'è in gioco una partita sulle basi culturali del principio di laicità se si vuole che faccia da regolatore di una convivenza civile pacifica, soddisfacente e improntata alla libertà più ampia possibile tra diverse culture. Un principio che non è mai stato neutrale come insegnano le diverse esperienze dell'Albania e della Cina o della Francia e degli Stati Uniti.
All'origine dell'invito del Papa c'è una forte attenzione antropologica, secondo cui, come dimostrato dagli studi di antropologia religiosa di Julien Ries, il senso religioso è strettamente radicato nella cultura di cui l'uomo è portatore fin dai primordi. In quest'ottica la laicità non si può ridurre esclusivamente a un regolamento di competenze tra religione e Stato ma richiede uno sguardo più alto. Richiede di spostare il centro dallo Stato all'uomo, di pensare una laicità con al centro l'uomo; con parafrasi dal Vangelo - che, è bene ricordarlo, formula per la prima volta nella storia il principio di laicità - si potrebbe dire che non è l'uomo per la laicità, ma la laicità è per l'uomo; dove il "per", la disposizione attiva, non è secondario.
Una pista in questo senso è stata indicata anche sul terreno del diritto dalla pronuncia della Corte costituzionale italiana quando (1989) aveva affermato che la laicità è "non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale".
Altro motivo di riflessione è il cambiamento dei parametri su cui si è costruita la nozione della laicità occidentale: oggi i modelli di riferimento non sono più solo la religione cattolica o quella riformata con le loro istituzioni e i loro ordinamenti; in campo ci sono anche le altre tradizioni religiose del Mediterraneo e dell'Oriente, portatrici di culture sociali e giuridiche molto diverse proprio sul piano della laicità.
Sarebbe ben difficile formulare la laicità del futuro senza un'adeguata attenzione a queste novità e senza il ricorso alle discipline che le studiano.
Infine, non può sfuggire che l'area del bio-diritto, la regolamentazione di materie di alto rilievo etico, su cui si reclama costantemente la laicità del diritto e dello Stato, fa emergere la questione ben più radicale dell'origine del diritto, di quali siano i soggetti che hanno titolo di partecipare alla formazione di esso. Sul punto, Benedetto XVI - che anche nella Caritas in veritate torna sul tema dello spazio pubblico della religione - fa una proposta inequivocabile quando afferma che lo Stato deve poggiare anche su un "patrimonio di verità intorno al bene da cui non può prescindere" e che deve disporsi "ad accogliere da fuori di sé".
(©L'Osservatore Romano - 9 settembre 2009)
La risposta alla tragedia della Shoah - Intervento del Rabbino Israel Meir Lau
Lettera vaticana sull'insegnamento della religione nella scuola - Della Congregazione per l'Educazione Cattolica
EDUCAZIONE SESSUALE A 5 ANNI, LA NUOVA FRONTIERA DELL'ONU - di Alessandra Nucci
Un incontro a Milano su libertà, religioni e politica - La laicità per l'uomo e non l'uomo per la laicità (L'Osservatore Romano - 9 settembre 2009)
La risposta alla tragedia della Shoah - Intervento del Rabbino Israel Meir Lau
CRACOVIA, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato questo martedì da Israel Meir Lau, ex Rabbino Capo askenazita di Israele e sopravvissuto del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, in occasione del Meeting Internazionale "Religioni e Culture in Dialogo" svoltosi a Cracovia (Polonia).
* * *
Nel settembre del ’93 questa settimana 16 anni fa ebbi una lunga conversazione con il Papa Giovanni Paolo II a Castelgandolfo in Italia. All’inizio del nostro lungo incontro mi disse: "Mi ricordo di suo nonno, nella città di Cracovia, dove sono stato vescovo, durante la guerra mondiale.Ricordo suo nonno il Rabbino Frankel che andava verso la sinagoga per lo Shabbath il sabato, circondato da moltissimi bambini".
Gli chiesi: "Quanti nipoti ha?".
Lui rispose: "47".
Ed il Papa mi chiese allora: "Quanti sono sopravvissuti all’Olocausto?".
Io risposi: "Solo cinque".
42, compreso mio fratello, che aveva 13 anni, e tutti i miei cugini, erano morti durante l’Olocausto. Il Papa alzò gli occhi al cielo e disse: "Ho visitato già un centinaio di stati. Ovunque io vada lo ripeto sempre con forza. Noi, tutta l’umanità’ abbiamo l’obbligo e l’impegno di garantire un futuro ed una continuità ai nostri fratelli maggiori, gli Ebrei".
Noi oggi siamo qui riuniti grazie all’invito della Comunità di Sant’Egidio, che ci ha condotti a visitare insieme il più grande cimitero dell’umanità’, della storia dell’umanità’, nel luogo dove c’era la fabbrica della morte.
Potete vedere la foto di Mengele, con un dito decideva se a destra o a sinistra, la vita o la morte.
Ecco, era la fabbrica della morte.
E il mondo era diviso in 3 parti.
Una parte dove stavano gli assassini, i Nazisti e la resistenza. Dall’altra parte con le vittime. La terza parte era costituita dal mondo che restò in silenzio. E non disse una parola.
Ecco perché oggi siamo qui.
Per promettere a noi stessi, ai nostri figli ed alle generazioni future, come avete detto prima, NEVER AGAIN, mai più.
Noi non dimenticheremo mai, non possiamo dimenticare, e faremo ogni sforzo affinché un tale orrore non si ripeta. In nessuna parte del mondo, contro nessuna nazione al mondo.
Secondo i rapporti dell’ONU che io cito e ripeto in continuazione ogni giorno, di fame e solo di fame, non di malattie, non di incidenti automobilistici, non di Aids o di cancro, ma solo a causa della fame, 18.000 bambini muoiono ogni giorno. Da quando siamo arrivati ad Auschwitz oggi mille bambini, neonati, bambini innocenti sono già morti di fame, principalmente in Asia ed in Africa. Ma non si vede nemmeno sulle prime pagine dei giornali, o nei titoli dei telegiornali. Su nessun canale. 18.000 bambini al giorno!
Sant’Egidio si prende cura della salute dei poveri, dei bisognosi, delle vittime del passato e per evitare vittime innocenti nel futuro.
Vedete qui oggi quante religioni sono rappresentate. Io faccio appello anche ai cugini del mondo islamico. Se possiamo camminare qui oggi spala a spalla e deporre i fiori, non possiamo anche sederci insieme ed avere un buon dialogo per risolvere tutti i conflitti e tutti i problemi e parlarci, l’uno con l’altro, come amici, come cugini, come vicini? Sì possiamo.
Io avevo un amico, un sopravvissuto ad Auschwitz, un famoso scrittore che scrisse diversi libri sulla sua terribile esperienza.
Mi diceva sempre: "Non scrivo mai con l’inchiostro, ma con il mio sangue".
Venne chiamato come testimone al processo di Adolf Eichman. Dopo pochi minuti dall’inizio della sua testimonianza svenne e cadde a terra. Non poteva sopportare di testimoniare.
Prima vide Eichman e disse: "Io vengo da un paese in cui i bambini non sono mai nati e i fiori non crescevano più. Era un pianeta diverso, un pianeta chiamato Auschwitz. Vedo le loro facce". Disse e poi svenne.
Che la memoria del mio amico sia benedetta. Ciò non avvenne in un altro pianeta. Era il nostro pianeta. Sentivano la musica, leggevano libri, studiavano filosofia, morale, etica ed erano eletti in un modo molto democratico. Ma loro lo fecero. L’omicidio di 50 milioni di persone, compresi 6 milioni di Ebrei. Nessuno li aveva minacciati o messi in pericolo.
Noi non avevamo armi. Non avevamo un paese, né uno Stato. Né missili, né razzi. Non avevamo una pistola in mano. Su questo pianeta!
Dobbiamo essere sicuri che su questo pianeta non riappaia più un orrore simile.
Finirò il mio discorso così come ho iniziato, con la memoria di Giovanni Paolo II.
Mi chiese: "Rabbino Capo, lei ha dei figli?".
Risposi di sì.
"Vivono in Israele?", mi chiese.
"Sì, tutti, anche i miei nipoti vivono tutti in Israele".
Ed egli mi disse: "Questa era la promessa di cui parlavo sul futuro e la continuità degli Ebrei".
Quando nel ’95 mi trovavo nel campo di Buchenwald nella città di Weimar in Germania, dove venni liberato quando avevo 8 anni, sul muro della finestra della stanza delle torture vidi una parola "necumene", in Yiddish fai la vendetta. Era l’ultima parola di un uomo torturato in quella stanza, una vittima di Buchenwald. Vendetta. Quale vendetta possiamo fare noi? Sono un credente, credo nel Signore onnipotente, non solo perché sono un rabbino o un ebreo. Ma perché sono un essere umano. Io credo sia accaduto dal Cielo.
Due o tre ore fa qui a Cracovia, ero arrivato stanotte per partecipare all’incontro, ho ricevuto una telefonata da mia nipote. "Nonno, mezz'ora fa ti ho dato alla luce un altro nipote". E' nato oggi alle 7 in Israele. Questa è la mia vendetta. Questa è la mia riposta. Questa è la mia soluzione. Vivi e lascia vivere. Vivete insieme, in amicizia, in amore ed in pace. Grazie.
Lettera vaticana sull'insegnamento della religione nella scuola - Della Congregazione per l'Educazione Cattolica
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la lettera circolare sull'insegnamento della religione nella scuola inviata dalla Congregazione vaticana per l'Educazione Cattolica ai Presidenti delle Conferenze episcopali e datata 5 maggio 2009.
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Eminenza/Eccellenza Reverendissima,
la natura e il ruolo dell’insegnamento della religione nella scuola è divenuto oggetto di dibattito e in alcuni casi di nuove regolamentazioni civili, che tendono a sostituirlo con un insegnamento del fatto religioso di natura multiconfessionale o di etica e cultura religiosa, anche in contrasto con le scelte e l’indirizzo educativo che i genitori e la Chiesa intendono dare alla formazione delle nuove generazioni.
Pertanto, con la presente Lettera Circolare, indirizzata ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, questa Congregazione per l’Educazione Cattolica, ritiene necessario richiamare alcuni principi, che sono approfonditi nell’insegnamento della Chiesa, a chiarificazione e norma circa il ruolo della scuola nella formazione cattolica delle nuove generazioni; la natura e l’identità della scuola cattolica; l’insegnamento della religione nella scuola; la libertà di scelta della scuola e dell’insegnamento religioso confessionale.
I. Il ruolo della scuola nella formazione cattolica delle nuove generazioni
1. L’educazione si presenta oggi come un compito complesso, sfidata da rapidi mutamenti sociali, economici e culturali. La sua missione specifica rimane la formazione integrale della persona umana. Ai fanciulli e ai giovani va garantita la possibilità di sviluppare armonicamente le proprie doti fisiche, morali, intellettuali e spirituali; ed essi vanno anche aiutati a perfezionare il senso di responsabilità, ad imparare il retto uso della libertà, e a partecipare attivamente alla vita sociale (cfr c. 795 Codice di Diritto Canonico [CIC]; c. 629 Codice dei Canoni delle Chiese Orientali [CCEO]). Un insegnamento che disconoscesse o emarginasse la dimensione morale e religiosa della persona costituirebbe un ostacolo per un’educazione completa, perché "i fanciulli e i giovani hanno il diritto di essere aiutati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia a conoscere e ad amare Dio più perfettamente". Perciò, il Concilio Vaticano II ha chiesto e raccomandato "a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione di preoccuparsi perché mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto" (Dichiarazione Gravissimum educationis [GE ],1).
2. Una tale educazione richiede il contributo di molti soggetti educativi. I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, sono i primi e principali educatori (cfr GE 3; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio [FC], 22 novembre 1981, 36; c. 793 CIC; c. 627 CCEO). Per tale ragione, spetta ai genitori cattolici, curare l’educazione cristiana dei loro figli (c. 226 CIC; c. 627 CCEO). In questo compito primario i genitori hanno bisogno dell’aiuto sussidiario della società civile e d’altre istituzioni, infatti: "la famiglia è la prima, ma non l’unica ed esclusiva comunità educante" (FC 40; cfr GE 3).
3. "Tra tutti gli strumenti educativi, un’importanza particolare riveste la scuola" (GE 5), che è "di precipuo aiuto ai genitori nell’adempiere la loro funzione educativa" (c. 796 §1 CIC), particolarmente per favorire la trasmissione della cultura e l’educazione al vivere insieme. In questi ambiti, in conformità anche alla legislazione internazionale e ai diritti dell’uomo, "deve essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un’educazione conforme alla loro fede religiosa" (FC 40). I genitori cattolici "affidino i figli a quelle scuole nelle quali si provvede all’educazione cattolica" (c. 798 CIC) e, quando ciò non è possibile, devono supplirne la mancanza (cfr ibidem).
4. Il Concilio Vaticano II ricorda "il grave dovere, che incombe sui genitori, di tutto predisporre o anche di esigere", perché i loro figli possano ricevere un’educazione morale e religiosa "e in armonia con la formazione profana progrediscano in quella cristiana. Perciò la Chiesa loda quelle autorità e società civili che, tenendo conto del pluralismo esistente nella società moderna e garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le famiglie perché l’educazione dei loro figli possa aver luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle stesse famiglie" (GE 7).
In sintesi:
- L’educazione si presenta oggi come compito complesso, vasto ed urgente. La complessità odierna rischia di far perdere l’essenziale, cioè la formazione della persona umana nella sua integralità, in particolare per quanto riguarda la dimensione religiosa e spirituale.
- L’opera educativa pur compiuta da più soggetti ha nei genitori i primi responsabili dell’educazione.
- Tale responsabilità si esercita anche nel diritto di scegliere la scuola che garantisca una educazione conforme ai propri principi religiosi e morali.
II. Natura e identità della scuola cattolica: diritto ad un’educazione cattolica per le famiglie e per gli alunni. Sussidiarietà e collaborazione educativa
5. Nell’educazione e nella formazione un ruolo particolare riveste la scuola cattolica. Nel servizio educativo scolastico si sono distinte e continuano a dedicarsi lodevolmente molte comunità e congregazioni religiose, ma tutta la comunità cristiana e, in particolare, l’Ordinario diocesano hanno la responsabilità di "disporre ogni cosa, perché tutti i fedeli possano fruire dell’educazione cattolica" (c. 794 §2 CIC) e, più precisamente, per avere "scuole nelle quali venga trasmessa un’educazione impregnata di spirito cristiano" (c. 802 CIC; cfr c. 635 CCEO).
6. Una scuola cattolica si caratterizza dal vincolo istituzionale che mantiene con la gerarchia della Chiesa, la quale garantisce che l’insegnamento e l’educazione siano fondati sui principi della fede cattolica e impartiti da maestri di dottrina retta e vita onesta (cfr c. 803 CIC; cc. 632 e 639 CCEO). In questi centri educativi, aperti a tutti coloro i quali ne condividano e rispettino il progetto educativo, deve essere raggiunto un ambiente scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, che favorisca uno sviluppo armonico della personalità di ciascuno. In quest’ambiente viene coordinato l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, di modo che la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dal Vangelo (cfr GE 8; c. 634 §1 CCEO).
7. In questo modo, è assicurato il diritto delle famiglie e degli alunni ad un’educazione autenticamente cattolica e, allo stesso tempo, si attuano gli altri fini culturali e di formazione umana e accademica dei giovani, che sono propri di qualsiasi scuola (cfr c. 634 §3 CCEO; c. 806 §2 CIC).
8. Pur sapendo quanto ciò oggi sia problematico è auspicabile che, per la formazione della persona, esista una grande sintonia educativa fra scuola e famiglia, così da evitare tensioni o fratture nel progetto educativo. È quindi necessario che esista una stretta e attiva collaborazione fra genitori, insegnanti e dirigenti delle scuole, ed è opportuno incoraggiare gli strumenti di partecipazione dei genitori nella vita scolastica: associazioni, riunioni, ecc. (cfr. c. 796 §2 CIC; c. 639 CCEO).
9. La libertà dei genitori, delle associazioni e istituzioni intermedie e della stessa gerarchia della Chiesa di promuovere scuole d’identità cattolica costituiscono un esercizio del principio di sussidiarietà. Questo principio esclude "ogni forma di monopolio scolastico, che contraddice ai diritti naturali della persona umana e anche allo sviluppo e alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini, nonché a quel pluralismo, quale oggi esiste in moltissime società" (GE 6).
In sintesi:
- La scuola cattolica è vero e proprio soggetto ecclesiale in ragione della sua azione scolastica, in cui si fondano in armonia la fede, la cultura e la vita.
- Essa è aperta a tutti coloro che ne vogliano condividere il progetto educativo ispirato dai principi cristiani.
- La scuola cattolica è espressione della comunità ecclesiale e la sua cattolicità è garantita dalle competenti autorità (Ordinario del luogo).
- Assicura la libertà di scelta dei genitori cattolici ed è espressione di pluralismo scolastico.
- Il principio di sussidiarietà regola la collaborazione tra la famiglia e le varie istituzioni deputate all’educazione.
III. L’insegnamento della religione nella scuola
a) Natura e finalità
10. L’insegnamento della religione nella scuola costituisce un’esigenza della concezione antropologica aperta alla dimensione trascendente dell’essere umano: è un aspetto del diritto all’educazione (cfr c. 799 CIC). Senza questa materia, gli alunni sarebbero privati di un elemento essenziale per la loro formazione e per il loro sviluppo personale, che li aiuta a raggiungere un’armonia vitale fra fede e cultura. La formazione morale e l’educazione religiosa favoriscono anche lo sviluppo della responsabilità personale e sociale e le altre virtù civiche, e costituiscono dunque un rilevante contributo al bene comune della società.
11. In questo settore, in una società pluralista, il diritto alla libertà religiosa esige sia l’assicurazione della presenza dell’insegnamento della religione nella scuola, sia la garanzia che tale insegnamento sia conforme alle convinzioni dei genitori. Il Concilio Vaticano II ricorda: "[Ai genitori] spetta pure il diritto di determinare la forma di educazione religiosa da impartirsi ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa (...). I diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori o se viene imposta un’unica forma di educazione dalla quale sia completamente esclusa la formazione religiosa" (Dichiarazione Dignitatis humanae [DH] 5; cfr c. 799 CIC; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 24 novembre 1983, art. 5, c-d). Questa affermazione trova riscontro nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 26) e in molte altre dichiarazioni e convenzioni della comunità internazionale.
12. La marginalizzazione dell’insegnamento della religione nella scuola equivale, almeno in pratica, ad assumere una posizione ideologica che può indurre all’errore o produrre un danno agli alunni. Inoltre, si potrebbe anche creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso se l’insegnamento della religione fosse limitato ad un’esposizione delle diverse religioni, in un modo comparativo e "neutro". A questo riguardo, Giovanni Paolo II spiegava: "La questione dell’educazione cattolica comprende (...) l’insegnamento religioso nell’ambito più generale della scuola, sia essa cattolica oppure statale. A tale insegnamento hanno diritto le famiglie dei credenti, le quali debbono avere la garanzia che la scuola pubblica – proprio perché aperta a tutti – non solo non ponga in pericolo la fede dei loro figli, ma anzi completi, con adeguato insegnamento religioso, la loro formazione integrale. Questo principio va inquadrato nel concetto della libertà religiosa e dello Stato veramente democratico che, in quanto tale, cioè nel rispetto della sua più profonda e vera natura, si pone al servizio dei cittadini, di tutti i cittadini, nel rispetto dei loro diritti e delle loro convinzioni religiose" (Discorso ai Cardinali e ai collaboratori della Curia Romana, 28 giugno1984).
13. Con questi presupposti, si comprende che l’insegnamento della religione cattolica ha una sua specificità riguardo alle altre materie scolastiche. In effetti, come spiega il Concilio Vaticano II: "il potere civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla; ma dobbiamo affermare che esce dai limiti della sua competenza se presumesse di dirigere o di impedire gli atti religiosi" (DH 3). Per questi motivi spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola, che garantisce, di fronte ai genitori e agli stessi alunni l’autenticità dell’insegnamento che si trasmette come cattolico.
14. La Chiesa riconosce questo compito come suo ratione materiae e lo rivendica come di propria competenza, indipendentemente della natura della scuola (statale o non statale, cattolica o non cattolica) in cui è impartita. Perciò: "all’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola (...); spetta alla Conferenza Episcopale emanare norme generali su questo campo d’azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su di esso" (c. 804 §1 CIC; cfr, inoltre, c. 636 CCEO).
b) L’insegnamento della religione nella scuola cattolica
15. L’insegnamento della religione nelle scuole cattoliche identifica il loro progetto educativo, infatti, "il carattere proprio e la ragione profonda della scuola cattolica, per cui appunto i genitori cattolici dovrebbero preferirla, consistono precisamente nella qualità dell’insegnamento religioso integrato nell’educazione degli alunni" (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Catechesi tradendae, 16 ottobre 1979, 69).
16. Anche nelle scuole cattoliche, va rispettata, come altrove, la libertà religiosa degli alunni non cattolici e dei loro genitori. Questo non impedisce, com’è chiaro, il diritto-dovere della Chiesa "di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede a voce e per iscritto", tenendo conto che "nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze ci si deve sempre astenere da ogni genere d’azione che sembri una coercizione o una sollecitazione disonesta o scorretta" (DH 4).
c) Insegnamento della religione cattolica sotto il profilo culturale e rapporto con la catechesi
17. L’insegnamento scolastico della religione s’inquadra nella missione evangelizzatrice della Chiesa. È differente e complementare alla catechesi in parrocchia e ad altre attività, quale l’educazione cristiana familiare o le iniziative di formazione permanente dei fedeli. Oltre al diverso ambito in cui ognuna è impartita, sono differenti le finalità che si prefiggono: la catechesi si propone di promuovere l’adesione personale a Cristo e la maturazione della vita cristiana nei suoi diversi aspetti (cfr Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi [DGC], 15 agosto1997, nn. 80-87); l’insegnamento scolastico della religione trasmette agli alunni le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana. Inoltre, il Papa Benedetto XVI, parlando agli insegnanti di religione, ha indicato l’esigenza "di allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza della loro intrinseca unità che le tiene insieme. La dimensione religiosa, infatti, è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita". A tal fine concorre l’insegnamento della religione cattolica, con il quale "la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto e a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro" (Discorso agli insegnanti di religione cattolica, 25 aprile 2009).
18. La specificità di quest’insegnamento non fa venir meno la sua natura propria di disciplina scolastica; al contrario, il mantenimento di quello status è una condizione d’efficacia: "è necessario, perciò, che l’insegnamento religioso scolastico appaia come disciplina scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline. Deve presentare il messaggio e l’evento cristiano con la stessa serietà e profondità con cui le altre discipline presentano i loro saperi. Accanto a queste, tuttavia, esso non si colloca come cosa accessoria, ma in un necessario dialogo interdisciplinare" (DGC 73).
In sintesi:
- La libertà religiosa è il fondamento e la garanzia della presenza dell’insegnamento della religione nello spazio pubblico scolastico.
- Una concezione antropologica aperta alla dimensione trascendentale ne è la condizione culturale.
- Nella scuola cattolica l’insegnamento della religione è caratteristica irrinunciabile del progetto educativo.
- L’insegnamento della religione è differente e complementare alla catechesi, in quanto è insegnamento scolastico che non richiede l’adesione di fede, ma trasmette le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana. Inoltre, esso arricchisce la Chiesa e l’umanità di laboratori di cultura e umanità.
IV. Libertà educativa, libertà religiosa ed educazione cattolica
19. In conclusione, il diritto all’educazione e la libertà religiosa dei genitori e degli alunni si esercitano concretamente attraverso:
a) la libertà di scelta della scuola. "I genitori, avendo il dovere e il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza". (GE 6; cfr DH 5; c. 797 CIC; c. 627 §3 CCEO).
b) La libertà di ricevere, nei centri scolastici, un insegnamento religioso confessionale che integri la propria tradizione religiosa nella formazione culturale e accademica propria della scuola. "I fedeli facciano di tutto perché nella società civile le leggi, che ordinano la formazione dei giovani, contemplino nelle scuole stesse anche la loro educazione religiosa e morale, secondo la coscienza dei genitori" (c. 799 CIC; cfr GE 7, DH 5). Infatti, all’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola (cfr c. 804 §1 CIC; c. 636 CCEO).
20. La Chiesa è consapevole che in molti luoghi, adesso come in epoche passate, la libertà religiosa non è pienamente effettiva, nelle leggi e nella pratica (cfr DH 13). In queste condizioni, la Chiesa fa il possibile per offrire ai fedeli la formazione di cui hanno bisogno (cfr GE 7; c. 798 CIC; c. 637 CCEO). Nello stesso tempo, d’accordo con la propria missione (cfr Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 76), non smette di denunciare l’ingiustizia che si compie quando gli alunni cattolici e le loro famiglie vengono privati dei propri diritti educativi ed è ferita la loro libertà religiosa, ed esorta tutti i fedeli ad impegnarsi perché quei diritti siano effettivi (cfr c. 799 CIC).
Questa Congregazione per l’Educazione Cattolica è certa che i principi sopra richiamati possono contribuire a trovare una sempre più ampia consonanza tra il compito educativo, che è parte integrante della missione della Chiesa, e l’aspirazione delle Nazioni a sviluppare una società giusta e rispettosa della dignità di ogni uomo.
Da parte sua la Chiesa, esercitando la diakonia della verità in mezzo all’umanità, offre ad ogni generazione la rivelazione di Dio dalla quale si può imparare la verità ultima sulla vita e sul fine della storia. Questo compito non è facile in un mondo secolarizzato, abitato dalla frammentazione della conoscenza e dalla confusione morale, coinvolge tutta la comunità cristiana e costituisce una sfida per gli educatori. Ci sostiene, comunque, la certezza -come afferma Benedetto XVI- che " i nobili scopi […] dell’educazione, fondati sull’unità della verità e sul servizio alla persona e alla comunità, diventano uno speciale potente strumento di speranza" (Discorso agli educatori cattolici, 17 aprile 2008).
Mentre preghiamo l’Eminenza/Eccellenza Vostra di voler portare a conoscenza di quanti sono interessati al servizio e alla missione educativa della Chiesa i contenuti della presente Lettera Circolare, La ringraziamo della cortese attenzione ed in comunione di preghiere a Maria, Madre e Maestra degli educatori, ci valiamo volentieri della circostanza per porgere i sensi della nostra considerazione, confermandoci
dell’Eminenza/Eccellenza Vostra Reverendissima
dev.mi nel Signore
Zenon Card. GROCHOLEWSKI, Prefetto
+Jean-Louis BRUGUÈS, O.P., Segretario
EDUCAZIONE SESSUALE A 5 ANNI, LA NUOVA FRONTIERA DELL'ONU - di Alessandra Nucci
Nella stessa settimana in cui l'UNFPA, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, davanti alle molte critiche ha tolto il proprio patrocinio da una guida all'educazione sessuale molto spinta, la stessa organizzazione ha promosso una conferenza a Berlino, in collaborazione con il governo tedesco, per istruire 400 attivisti sul come fare pressione su diversi paesi affinché finanzino e forniscano programmi sessuali dello stesso tipo, oltre all'aborto.
La presidente di Concerned Women for America, Wendy Wright, e la Direttrice dei rapporti con i governi di C-FAM Samantha Singson, si trovano in questo momento alla conferenza sui "diritti sessuali e riproduttivi" sponsorizzata dall'UNFPA e dal governo tedesco.
Le sessioni mirano ad addestrare attivisti che agitino le acque per ottenere più lauti finanziamenti da paesi e fondazioni, facendo pressioni sui governi perché forniscano l'educazione sessuale e l'aborto, e addestrando i giovani a reclamare il diritto all'aborto e i diritti sessuali. Ai partecipanti vengono distribuiti materiali intitolati "Assicurare l'accesso delle donne all'aborto sicuro" e "Ho bisogno di un aborto".
Thoroya Obaid, Direttrice di UNFPA, alla conferenza ha detto: "A differenza di noi dell'ONU, che siamo considerati i responsabili dei meccanismi intergovernativi, avete più libertà e spazio voi, come ONG, per portare avanti questa agenda."
Il New York Times ha riferito oggi di una guida all'educazione sessuale dell'UNESCO che raccomanda di insegnare ai bambini di 5-8 anni tutto sulla masturbazione, ai bambini di 9-12 anni tutto sull'aborto e gli orgasmi e, arrivati a 15 anni, tutto su "come fare per promuovere il diritto e l'accesso all'aborto sicuro". E' stata CNSNews.com a dare la notizia che l'UNESCO, insieme all'UNFPA, ha pubblicato in giugno queste "Linee guida internazionali sull'educazione sessuale". Davanti alle reazioni dei cittadini, l'UNFPA ha dichiarato al New York Times che avrebbe tolto il suo patrocinio dalla pubblicazione.
La struttura di queste linee guida è suddivisa secondo l'"età-appropriata" ed è identica alle linee guida dell'associazione SIECUS (Sexuality Information and Education Council) degli USA.
Alla fine della Conferenza di Berlino comunque uscirà un documento che dirà alle diverse nazioni di:
• Fornire l'aborto attraverso i sistemi sanitari statali.
• Garantire "i diritti sessuali e riproduttivi in quanto diritti umani."
• Eliminare le restrizioni per l'accesso dei giovani alla "intera gamma di informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva" in base all'età e derivanti dall'autorità dei genitori.
• Aumentare i finanziamenti alle organizzazioni non-governative attiviste.
Samantha Singson ha dichiarato: "Nella settimana stessa in cui l'UNFPA ha fatto retromarcia sul manuale di educazione sessuale, esso ha addestrato gli attivisti perché esigano l'"educazione sessuale inclusiva" e l'accesso all'aborto per tutti le giovani". E Wendy Wright ha aggiunto: "L'UNFPA dice alla gente di 'creare la necessità' di salute riproduttiva. Adesso assistiamo all'UNFPA che crea la necessità di aborti. trattamenti HIV/AIDS e altre cure sanitarie, insegnando perfino ai bambini di cinque anni a essere sessualmente attivi".
Un incontro a Milano su libertà, religioni e politica - La laicità per l'uomo e non l'uomo per la laicità (L'Osservatore Romano - 9 settembre 2009)
Per iniziativa dell'Associazione Sant'Anselmo, della Fondazione Ambrosiana Paolo VI e del Progetto culturale dell'arcidiocesi lombarda, mercoledì 9 settembre si svolge a Milano l'incontro "Per una nuova laicità" in margine al libro Confini (Milano, Mondadori, 2009, pagine 204, euro 18) di Ernesto Galli della Loggia e del cardinale Camillo Ruini. Insieme agli autori, intervengono il sindaco di Milano Letizia Moratti, il vescovo ausiliare della città Franco Giulio Brambilla, vicario per la cultura, Paolo Mieli, Lorenzo Ornaghi, Giovanni Filoramo e il direttore del nostro giornale.
di Andrea Gianni
Il tema della laicità evoca istintivamente un'istanza superiore, lo Stato, rispetto a una sottoposta, la religione. Non solo dalla mentalità comune ma anche da buona parte degli studiosi, la laicità è concepita con lo Stato al centro. In questa prospettiva - che, per esempio, animava l'intera impostazione della commissione governativa francese del 2004- si rischia di perdere di vista il soggetto destinatario.
Si tratta di uno dei versanti del secolo dell'ideologia che ha enfatizzato lo Stato ponendolo al centro del tutto.
In un periodo di forti mutamenti come quello attuale, appare impellente la necessità di alzare lo sguardo dagli schemi consolidati, di "guardare più in alto dello Stato, che è una parte e non la totalità" (Benedetto XVI, Elogio della coscienza, Siena, Cantagalli, 2009).
L'incontro di Milano si svolge con l'ambizione di avviare una riflessione sullo schema tradizionale della laicità, perché, come afferma il cardinale Ruini, "le religioni non possono disinteressarsi delle fondamentali questioni etiche, anche a livello pubblico" e "la rilevanza pubblica è iscritta nel codice delle religioni, compreso il cristianesimo".
Tra gli aspetti su cui riflettere, c'è la diffusa opinione per cui la laicità non è solo una prerogativa dello Stato, delle istituzioni, delle leggi, e così via, ma anche della società, cioè della convivenza civile, che non dovrebbe lasciar spazio alle convinzioni religiose. La massima espressione organica di tale mentalità è quell'idea della "religione civile" secondo cui l'intera società deve essere guidata dal principio etsi deus non daretur. Esattamente l'opposto, è appena il caso di ricordarlo, dell'invito del Pontefice a condurre la vita sociale etsi deus daretur.
Ciò basta per rendersi conto che c'è in gioco una partita sulle basi culturali del principio di laicità se si vuole che faccia da regolatore di una convivenza civile pacifica, soddisfacente e improntata alla libertà più ampia possibile tra diverse culture. Un principio che non è mai stato neutrale come insegnano le diverse esperienze dell'Albania e della Cina o della Francia e degli Stati Uniti.
All'origine dell'invito del Papa c'è una forte attenzione antropologica, secondo cui, come dimostrato dagli studi di antropologia religiosa di Julien Ries, il senso religioso è strettamente radicato nella cultura di cui l'uomo è portatore fin dai primordi. In quest'ottica la laicità non si può ridurre esclusivamente a un regolamento di competenze tra religione e Stato ma richiede uno sguardo più alto. Richiede di spostare il centro dallo Stato all'uomo, di pensare una laicità con al centro l'uomo; con parafrasi dal Vangelo - che, è bene ricordarlo, formula per la prima volta nella storia il principio di laicità - si potrebbe dire che non è l'uomo per la laicità, ma la laicità è per l'uomo; dove il "per", la disposizione attiva, non è secondario.
Una pista in questo senso è stata indicata anche sul terreno del diritto dalla pronuncia della Corte costituzionale italiana quando (1989) aveva affermato che la laicità è "non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale".
Altro motivo di riflessione è il cambiamento dei parametri su cui si è costruita la nozione della laicità occidentale: oggi i modelli di riferimento non sono più solo la religione cattolica o quella riformata con le loro istituzioni e i loro ordinamenti; in campo ci sono anche le altre tradizioni religiose del Mediterraneo e dell'Oriente, portatrici di culture sociali e giuridiche molto diverse proprio sul piano della laicità.
Sarebbe ben difficile formulare la laicità del futuro senza un'adeguata attenzione a queste novità e senza il ricorso alle discipline che le studiano.
Infine, non può sfuggire che l'area del bio-diritto, la regolamentazione di materie di alto rilievo etico, su cui si reclama costantemente la laicità del diritto e dello Stato, fa emergere la questione ben più radicale dell'origine del diritto, di quali siano i soggetti che hanno titolo di partecipare alla formazione di esso. Sul punto, Benedetto XVI - che anche nella Caritas in veritate torna sul tema dello spazio pubblico della religione - fa una proposta inequivocabile quando afferma che lo Stato deve poggiare anche su un "patrimonio di verità intorno al bene da cui non può prescindere" e che deve disporsi "ad accogliere da fuori di sé".
(©L'Osservatore Romano - 9 settembre 2009)