venerdì 18 settembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) La preghiera del Papa per i militari italiani uccisi a Kabul - ROMA, giovedì, 17 settembre 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha assicurato la sua vicinanza nella preghiera alle vittime, alle famiglie e a tutte le persone coinvolte nell'attentato verificatosi questo giovedì a Kabul, in Afghanistan, che ha colpito una pattuglia di militari italiani, uccidendone 6 e ferendone in maniera grave altri tre.
2) Hina e le altre ragazze uccise in nome della sharia
3) Qualche notizia su Caterina, 17 settembre 2009 – Lettera di Antonio Socci
4) Nel Vangelo la salvezza per ogni uomo - La conversione di tutte le genti - di Inos Biffi (L'Osservatore Romano - 18 settembre 2009)
5) 18/9/2009 (7:28) - I MAGISTRATI DEL LAZIO HANNO ACCOLTO IL RICORSO DEI CONSUMATORI CONTRO SACCONI - Il Tar: l'alimentazione non può essere forzata - Fine vita, l'altolà del Tar del Lazio: non si può imporre l'alimentazione - E tra i poli riesplode la polemica sul testamento biologico - GIACOMO GALEAZZI – ROMA – LaStampa.it
6) La comunione va in cattedra - A Como una scuola professionale d’eccellenza all’insegna della sussidiarietà Nella scia di Cometa, un gruppo di famiglie che condividono la vita - DAL NOSTRO INVIATO A C OMO - FRANCESCO RICCARDI – Avvenire, 18 settembre 2009
7) «Vietato discriminare i disabili» - DA MILANO ENRICO NEGROTTI E la Convenzione sui diritti dei di­sabili – Avvenire, 18 settembre 2009


La preghiera del Papa per i militari italiani uccisi a Kabul - ROMA, giovedì, 17 settembre 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha assicurato la sua vicinanza nella preghiera alle vittime, alle famiglie e a tutte le persone coinvolte nell'attentato verificatosi questo giovedì a Kabul, in Afghanistan, che ha colpito una pattuglia di militari italiani, uccidendone 6 e ferendone in maniera grave altri tre.

Lo ha riferito il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.

I soldati italiani erano a bordo di due blindati Lince, quando sono stati attaccati da un attentatore suicida alla guida di un veicolo imbottito di esplosivo. L'attacco è stato sferrato nel centro di Kabul alle 12.10 ora locale (le 9.40 in Italia).

Nell'attentato sono morti anche quindici civili afghani mentre altri sessanta sono rimasti feriti.

Il convoglio militare stava trasportando dall'aeroporto di Kabul al quartier generale di Isaf alcuni militari che erano tornati da una licenza: due di questi sarebbero tra le vittime.

I militari coinvolti appartengono tutti al 186° reggimento della Folgore di stanza a Kabul.

Nell'apprendere la notizia, il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha espresso “grande vicinanza” e "grande dolore” per quanto avvenuto assicurando “una preghiera per le loro anime”.


Con l'attentato di oggi sale a 20 il numero di militari italiani morti in Afghanistan dall'inizio della missione italiana nel 2004.


Hina e le altre ragazze uccise in nome della sharia
Avevano appena iniziato a vivere, i familiari le hanno uccise. Hina Saleem venne sgozzata e sepolta nell’orto di casa, presso Brescia. Con la testa rivolta verso la Mecca e il corpo avvolto in un sudario. Hina aveva rifiutato un matrimonio forzato voluto dal padre. L’altroieri, a Pordenone, Sanaa Dafani è stata accoltellata a morte dal padre in un bosco, mentre era in compagnia del fidanzato, un italiano. Una relazione bandita dai suoi genitori di origini marocchine. Non si sa nemmeno quanti siano esattamente i delitti d’onore in Europa. In gergo islamico si chiama “Jarimat al Sharaf”. Spesso queste esecuzioni religiose vengono derubricate sotto la voce “violenza domestica”.



Nella moderna Istanbul, che preme per entrare in Europa, si conta un delitto d’onore a settimana. A Gaza dall’inizio dell’anno dieci donne sono state uccise in nome della sharia (una palestinese è stata sepolta viva dal padre). Accade anche in mezzo a noi, a Milano, a Parigi, a Berlino, a Londra. Il settimanale tedesco Der Spiegel scrive che almeno cinquanta donne musulmane in Germania sono state vittime di un delitto d’onore. A Londra almeno dodici ogni anno. A queste vanno aggiunte le “vergini suicide”, le ragazze che si tolgono la vita per sfuggire a un matrimonio forzato. A Derya, 17 anni, la sentenza di morte è arrivata via sms: “Hai infangato il nostro nome, ora o ti uccidi o ti ammazziamo noi”. In Europa risultano “scomparse” migliaia di ragazze musulmane, spesso cittadine europee. Ne spariscono decine al mese, tutte allo stesso modo: partono per un viaggio all’estero e sui banchi di scuola o sul posto di lavoro non tornano più. Downing Street stima che ogni anno avvengono tremila matrimoni forzati. In Francia 60mila adolescenti sono minacciate dai matrimoni forzati.

Un recente rapporto compilato dal Consiglio d’Europa e redatto dal parlamentare inglese John Austin avverte che “l’uccisione di donne da parte dei membri della famiglia per proteggere il loro ‘onore’ è più esteso in Europa di quanto si pensi”. Sono tante le “colpe” delle vittime dei delitti d’onore: il rifiuto di indossare il velo islamico, l’inclinazione a vestire all’occidentale, a frequentare amici cristiani (fino a convertirsi a un’altra fede) o avere amici non musulmani, la volontà di studiare o leggere libri “impuri”, di cercare il divorzio, di essere troppo “indipendente” o moderna. In Inghilterra Rukhsana Naz è stata uccisa perché aveva rifiutato un matrimonio combinato. In Svezia Fadime Sahindal è stata uccisa a colpi di pistola perché si era avvicinata alla cultura occidentale. All’inglese Heshu Yones hanno tagliato la gola perché aveva un fidanzato cristiano. “Troppo occidentale”, avevano detto della francese Sohane Benziane. E’ stata torturata e bruciata viva. Stessa fine per l’olandese Maja Bradaric, perché flirtava con un ragazzo su Internet. Una ventina di coltellate hanno spezzato la vita di Sahjda Bibi, anche lei aveva rifiutato un matrimonio forzato. In Germania Hatin Surucu è stata giustiziata con un colpo alla nuca perché si rifiutava di indossare il velo. Un’altra tedesca, Morsal Obeidi, di appena sedici anni, è stata uccisa perché “voleva essere troppo libera”.

Lo scorso luglio, nel cuore di Londra, c’è stato uno dei più feroci delitti d’onore. Alle due del mattino un gruppo di musulmani trascina per strada un ragazzo di origine asiatica proveniente dalla Danimarca. Lo pugnalano due volte alla schiena, lo colpiscono alla testa con dei mattoni, gli versano acido solforico sul corpo e in gola. La sua “colpa” era stata quella di frequentare una coetanea britannica di origini pachistane e di religione musulmana. La polizia ha evitato per miracolo che la ragazza subisse la stessa sorte. La stessa polizia che ogni anno tratta la “scomparsa” e la morte, in circostanze simili, di un centinaio di ragazze di religione islamica. Due anni fa, sempre a Londra, Mohammed Riaz, di origini pachistane, bruciò vive la moglie e le sue quattro figlie dopo averle chiuse in casa. Riaz trovava ripugnante il fatto che la figlia volesse diplomarsi o potesse rifiutare il matrimonio combinato. Ciò che lo spinse ad appiccare l’incendio, scrive il Telegraph, fu soprattutto il fatto che le donne avevano servito alcolici durante una festa per il figlio, malato di cancro terminale. E’ in questo mondo di sottomissione e fanatismo domestico, segnato spesso dall’escissione del clitoride, che germina l’odio islamista. Singolare che le vite di queste ragazze ci interessino quando è già troppo tardi.

di Giulio Meotti, Il Foglio, 16 settembre 2009


Qualche notizia su Caterina, 17 settembre 2009 – Lettera di Antonio Socci
Amici carissimi,

mi arrivano centinaia di mail ogni giorno a cui, come potrete capire, faccio fatica a rispondere, travolti come siamo dalla vicenda della nostra dolce Principessa. Posso aprire la posta solo raramente e a notte fonda.

Quindi mi scuso con tutti coloro a cui non potrò rispondere e soprattutto ringrazio dal profondo del cuore per le tantissime preghiere che un popolo intero, in Italia e nel mondo , nei posti più lontani, in queste ore sta alzando al Cielo. E’ un popolo bellissimo e davvero commovente.

Ne abbiamo immenso bisogno perché in queste ore Caterina è stabile, sul piano fisico generale, ma in una situazione drammatica e delicatissima dal punto di vista neurologico.

Dobbiamo pregare ardentemente perché riesca a svegliarsi e possa tornare fra noi senza avere gravi danni cerebrali. Vi imploro ancora di pregare con noi per questo, convinto che si debba fare come si ha insegnato la Madonna a Cana, lei che per prima “vinse” la volontà di suo Figlio, “forzandolo” a soccorrere quella povera gente.

A Rue du Bac, rispondendo a santa Caterina Labouré su alcuni anelli alle sue mani che non emettevano raggi spiegò: sono le tante grazie che mio Figlio è pronto a concedervi, ma che voi non chiedete. In un’altra apparizione ha ripetuto: “il Cuore di mio Figlio si lascia commuovere”.

Vi assicuro che lo spettacolo di fede e amore che mi stanno dando in queste ore gli amici di Caterina, sempre in preghiera lì da lei, e tantissimi di voi, contutte le vostre testimonianze, con l’amore che avete per mia figlia anche senza averla mai incotrata, commuove perfino me che sono cattivo, dunque è sicuro che commuoverà Gesù che è la Bontà.

Del resto lui stesso ci ha insegnato a chiedere insistentemente, senza stancarci mai, senza mai perdere la fiducia perché – dice in un passo del Vangelo, parlando della “donna importuna” – se non altro per la sua insistenza verrà accontentata. E dice anche che “Il regno dei Cieli appartiene ai violenti” che ne saccheggiano i tesori: ecco noi vogliamo farGli questa dolce violenza con le nostre lacrime e le nostre preghiere, accompagnati da tutti i santi che abbiamo avuto anche la grazia di avere come amici sulla terra.

Poi, un giorno, quando potrò, racconterò quante persone che si dicono atee o agnostiche, per tenerezza verso Caterina, in queste ore, hanno ricominciato a pregare. Ma siamo anzitutto noi, io, Alessandra, i nostri amici che in queste ore ci stiamo convertendo. Ed è una conversione veramente definitiva E per questo ancor più insistentemente chiediamo al Signore la consolazione della guarigione di Caterina.

Amici cari, vi imploro di continuare con noi in queste implorazione continua che ci sta già cambiando e ci fa capire – perché è il Signore che ci illumina così – quanto dipendiamo totalmente dalla Sua Grazia. Totalmente.

Vi abbraccio uno ad uno

Antonio Socci


Nel Vangelo la salvezza per ogni uomo - La conversione di tutte le genti - di Inos Biffi (L'Osservatore Romano - 18 settembre 2009)
Che la Chiesa non solo preghi, ma dedichi ogni suo impegno perché tutti gli uomini si convertano a Cristo, fa parte della sua essenziale missione. Gesù risorto, prima della sua ascensione al cielo, ha affidato a essa il preciso mandato: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo": così in Matteo (28, 18-20); e in Marco (16, 15): "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura".
Ci sono circostanze e tempi in cui nella stessa Chiesa in qualche misura si annebbiano alcuni passi della Scrittura, e questo può avvenire, e avviene, anche in epoche in cui se ne proclama enfaticamente tutta l'importanza. Ebbene, questo è uno dei passi che sembrano, se non rimossi, piuttosto dimenticati o sottaciuti.
Un discepolato cristiano, o una evangelizzazione in ogni luogo, di "tutti i popoli" e di tutte le creature - senza che ne sia esclusa alcuna - fa quindi parte dell'intenzione di Cristo, e infatti da subito la Chiesa si è sentita radicalmente missionaria. Essere in missione permanente e universale è proprio della sua natura: se questo venisse meno, non sarebbe più la Chiesa di Gesù Cristo.
Ma forse occorre chiarire che annunziare il Vangelo significa proclamare che soltanto in esso, e nella sua accoglienza, è possibile la salvezza. Le parole di Gesù sono perentorie: "Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato" (Marco, 16, 16).
Pensare diversamente significherebbe rendere superfluo Gesù Cristo o annoverarlo tra altri "salvatori": né basterebbe, tra questi stessi, riconoscergli un primato. Egli è assolutamente l'unico. Secondo le parole di Pietro: "In nessun altro c'è salvezza: non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati" (Atti degli Apostoli, 4, 12): anche questo è un passo biblico che non appare oggi molto citato.
In ogni caso, secondo la fede cristiana, non ci sono, né mai ci poterono essere, religioni aventi in sé una grazia salvifica, a prescindere da Gesù Cristo.
Affermare che chi in buona fede, con retta e trasparente coscienza, aderisce a una religione si può salvare, non significa affatto attribuire a quella religione come tale una capacità salvifica. Significa, invece, riconoscere che la volontà di salvezza universale, tutta raccolta in Cristo, predestinato dall'eternità come Salvatore assoluto e universale, opera nell'esistenza di quanti compiono il bene proposto da tale retta e trasparente coscienza. È la conseguenza del primato di Gesù, che sa diffondere la grazia della Croce, senza condizionamento di tempo, dal momento che Gesù è il Signore del tempo. Si direbbe che, da questo profilo, ogni religione giunga sempre in ritardo rispetto appunto alla "precedenza" di Gesù Cristo, nel quale ogni uomo, "prima della creazione del mondo", è stato scelto a essere figlio di Dio (Lettera agli Efesini, 1, 2-3).
Quanto di vero, di santo, ci sia in ogni religione è oggettivamente, di là dalla coscienza che se ne possa avere, un'impronta o un desiderio di Cristo.
Ne consegue quanto sia fuorviante ritenere che, per il rispetto dovuto a tutte le religioni, si debba evitare di annunziare il Vangelo come la sola via di salvezza, ed eludere la predicazione di Gesù Cristo come l'unico Salvatore, e semmai solo contribuire a che ciascuno rimanga nella piena e coerente fedeltà al suo "credo".
Certo le religioni vanno rispettate, in particolare va scrupolosamente rispettata la coscienza di quanti vi appartengono: nessuno può essere costretto, nell'una o nell'altra forma, a credere al Vangelo; Dio stesso è custode dell'interiore libertà religiosa. Ma questo non comporta l'equiparazione delle religioni al Vangelo, o l'annebbiarsi di Gesù come l'unico Salvatore per sempre e per tutti, o l'estenuarsi dell'urgente missione evangelizzatrice della Chiesa. Per questa strada, come già accennavo, Gesù Cristo viene completamente dissolto.
Del resto, il Verbo di Dio si fece uomo non perché gli uomini continuassero nelle loro religioni e nei loro culti, ma, al contrario, perché credessero al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. E, neppure, il Verbo si è fatto uomo per mettersi a "dialogare" con gli uomini, e trovare un punto comune di intesa con loro. Egli si è in esclusiva proclamato "Via, verità e vita" (Giovanni, 14, 6), dichiarando per tutti indistintamente la necessità della conversione a lui. Ad altro non intese la sua predicazione, la sua morte e la sua risurrezione.
La passione del cuore di Cristo era che i figli di Abramo accogliessero lui come Messia, come l'"Inviato" (cfr. Giovanni, 9, 7); e, infatti, proclama: "Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia" (Giovanni, 8, 56), insieme affermando: "Proprio le Scritture danno testimonianza di me" (Ibidem, 5, 39).
Di fatto il cristianesimo si istituisce proprio per la fede degli ebrei credenti in Cristo, come lo furono sua madre, Maria, Giuseppe, Zaccaria, Elisabetta, Giovanni il Battezzatore, Simeone e Anna, gli apostoli e tutta la "Chiesa di Dio" (Lettera ai Galati, 1, 13) degli inizi, che vide in Gesù il compimento o il fine della Legge (Lettera ai Romani, 10, 4).
Troppo facilmente si dimentica - ma gli Atti degli Apostoli lo attestano chiaramente - che questa "Chiesa di Dio" nasce dalla fede degli ebrei credenti in Cristo, e che non si limitano solo a Paolo: se essi - compresa "una grande moltitudine di sacerdoti [che] aderiva alla fede" (Atti degli Apostoli, 6, 7) - non avessero accolto Gesù come il Messia, il cristianesimo si sarebbe spento fin dal principio.
Ed è la ragione per la quale il rapporto tra il cristianesimo e l'ebraismo è incomparabile rispetto al rapporto con le altre religioni. Il Dio dei cristiani - l'unico Dio, rispetto al quale ogni altra divinità è soltanto un idolo, che non può salvare - è esattamente il Dio della Genesi, che "in principio creò il cielo e la terra" (Genesi, 1, 1) e che in Gesù è stato rivelato come Padre, Figlio e Spirito Santo.
Ed è il Dio che la Chiesa annunzia a tutti gli uomini, dichiarando Gesù, il Figlio suo Unigenito, unico Salvatore di tutti. In questa proclamazione la Chiesa prosegue la stessa missione di Gesù e quindi l'intenzione profonda della Rivelazione iniziata con la Genesi. Essa ha la viva consapevolezza che, se ammettesse altri salvatori accanto a Gesù, porrebbe la propria confidenza negli idoli; e che, se rifiutasse la piena rivelazione del Dio che ha creato cielo e terra nella Trinità manifestatasi in Gesù di Nazaret, rigetterebbe lo stesso Dio creatore.
Risaltano così l'origine, la causa e il contenuto della missionarietà della Chiesa, la quale è chiamata a rispondere solo a Gesù Cristo, e a condividere con lui l'opera dell'evangelizzazione.
Con questo non si rigetta il "dialogo" con le religioni, che ci fu nel cristianesimo fin dagli inizi, e che appare ovvio e in certo senso preliminare. In ogni caso, comunque si intenda il "dialogo" - abitualmente molto chiacchierato e poco precisato - questo non potrà mai minimamente incrinare la persuasione della Chiesa che solo nel Vangelo c'è, identicamente per tutti, la salvezza; che il mandato ricevuto da Cristo è quello di proclamarlo come necessario e imprescindibile per ogni uomo; né potrà mai mettere in dubbio che la stessa Chiesa dovrà porre in ogni tempo il proprio totale impegno per rendere tutti - e rigorosamente tutti - gli uomini discepoli del Signore.
Del resto, fu così dal principio della vita della Chiesa. Fossero allora prevalsi un dialogico Vangelo "debole"; o la preoccupazione dei cristiani per l'edificazione dei templi pagani con le sue divinità; o la ricerca del minimo che unisce, senza il chiaro risalto della "differenza" cristiana, non avremmo avuto la testimonianza dei martiri: il dialogo non comporta il rischio del martirio, che, pure, è sempre un dramma.
Insieme, però, non avremmo più né la fede cristiana né la Chiesa, che fatalmente si stempera e scompare quando in essa si estenuino il vigore missionario, l'ansia dell'evangelizzazione, la sicurezza che c'è "un solo Dio" - il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - di fronte al quale c'è spazio unicamente per gli idoli, e "un solo Signore" e Salvatore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, che la stessa Chiesa è chiamata a predicare in tutto il mondo, accompagnando la predicazione con l'orazione perché tutti si convertano.
(©L'Osservatore Romano - 18 settembre 2009)


18/9/2009 (7:28) - I MAGISTRATI DEL LAZIO HANNO ACCOLTO IL RICORSO DEI CONSUMATORI CONTRO SACCONI - Il Tar: l'alimentazione non può essere forzata - Fine vita, l'altolà del Tar del Lazio: non si può imporre l'alimentazione - E tra i poli riesplode la polemica sul testamento biologico - GIACOMO GALEAZZI – ROMA – LaStampa.it
«Non si può imporre l’alimentazione: è decisiva la volontà del paziente». Mentre alla Camera è in discussione il biotestamento, piomba come un macigno la sentenza del Tar del Lazio: «Alimentazione e idratazione forzata non possono essere imposte a nessuno né cosciente né incosciente, e anche in caso di stato vegetativo un cittadino può esprimere “ex post” la propria volontà di interrompere terapie giudicate inutili, comprese alimentazione e idratazione».

Il Tar, accogliendo un ricorso del Movimento difesa dei cittadini all’ordinanza Sacconi emanata nei giorni del caso Eluana, boccia di fatto il ddl Calabrò, cioè la legge già approvata alla Camera e al vaglio del Senato, dove si precisa invece che alimentazione e idratazione artificiali sono atti imprescindibili che il malato in stato vegetativo non può rifiutare tramite una dichiarazione anticipata di trattamento. «I pazienti in stato vegetativo permanente che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare- stabilisce la sentenza- non devono in ogni caso essere discriminati rispetto agli altri pazienti». Inoltre, il paziente «vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi».

In pratica, il testamento biologico deve essere semplicemente uno strumento per rendere più facilmente conoscibile la volontà del paziente che in quel momento non può esprimersi e non uno strumento per limitare l’espressione di quella volontà. Quindi, il rischio è che la legge approvata al Senato risulti incostituzionale e che venga portata davanti alla Suprema Corte se fosse varata così com’è ora.

Immediata è esplosa la polemica politica con la sottosegretaria alla Salute Eugenia Roccella che ha parlato di «sentenza ideologica» e il ministro Maurizio che vede urgente la necessità di approvare una norma che sancisca «l’inalienabile diritto all’alimentazione e all’idratazione». La Roccella sostiene anche che «con questa sentenza il Tar riconosce semplicemente di non avere le competenze per esprimersi sulla validità dell’atto d’indirizzo emanato dal ministro Sacconi, eppure non rinuncia a esprimere pareri e a imporre una linea interpretativa ideologica a cui alcuni magistrati ci hanno ormai abituato».

Ancora più duro il vicecapogruppo del Pdl al Senato Gaetano Quagliariello: «La si può pensare in modi diversi sul testamento biologico. Ma sancire che la volontà di una persona possa essere ricostruita ex post, magari con una sentenza della magistratura, è un’affermazione che incarna in sé il virus del totalitarismo». E il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano aggiunge: «La sentenza del Tar Lazio è l’ennesima conferma, della necessità di norme chiare sul fine vita. Solo quando il Parlamento avrà fatto sentire la sua parola termineranno i provvedimenti giudiziari espressione di una cultura di morte».

Di tutt’altro avviso la responsabile delle Pari opportunità del Pd Vittoria Franco: «La sentenza conferma quanto sostenuto dalla Cassazione, che a proposito del caso Englaro stabiliva che la libertà della persona rispetto alle terapie è una libertà assoluta». E Ignazio Marino aggiunge: «La sentenza del Tar del Lazio chiarisce molte ambiguità che si erano create in occasione della drammatica vicenda di Eluana Englaro. Il Tar infatti afferma che non è possibile imporre l’alimentazione e l’idratazione artificiale ad un paziente, nemmeno nel caso si trovi in stato vegetativo permanente».

Ed esulta Marco Cappato segretario dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica: «La sentenza dimostra che il giochino degli azzeccagarbugli sulla distinzione tra alimentazione e idratazione è solo imporre una violenza sul corpo degli altri. Ognuno sceglie per se stesso, è un principio fondamentale. E questa sentenza significa che già oggi il testamento biologico si può fare». A favore della sentenza si esprime anche il segretario nazionale della Cgil medici, Massimo Cozza: «Confermata l’impossibilità di imporre in modo forzato l’alimentazione e l’idratazione. Questo è in sintonia con il codice deontologico e le evidenze scientifiche».


La comunione va in cattedra - A Como una scuola professionale d’eccellenza all’insegna della sussidiarietà Nella scia di Cometa, un gruppo di famiglie che condividono la vita - DAL NOSTRO INVIATO A C OMO - FRANCESCO RICCARDI – Avvenire, 18 settembre 2009
Provate a immaginare una scuola che co­mincia a educare già dai muri, decorati con frasi che restituiscono senso alle parole. U­na scuola dove i banchi, di legno e alluminio rici­clato sono pezzi di design, come le porte in carta pressata con gli oblò in vetro. Corridoi nei quali gli armadietti in legno e vernice metallizzata so­no lì a raccontare un’appartenenza, gli arredi dei bagni sono degni di un grand hotel e hanno spec­chi incorniciati come quadri. Una scuola dove al­l’ingresso c’è una reception, proprio come negli alberghi, a testimoniare di un’accoglienza. Pro­vate insomma a immaginare una scuola d’eccel­lenza e poi riempitela non di rampolli dell’élite, ma di ragazzi come tanti, di quelli che si trovano nelle scuole normali. Anzi, di quelli che più spes­so
non si trovano a scuola, perché l’hanno ab­bandonata, hanno dovuto essere allontanati da contesti negativi o più semplicemente non ci so­no potuti andare nel loro Paese d’origine. Ecco, a­desso che avete immaginato questa scuola idea­le, andatela a vedere a Como, dove verrà inaugu­rata ufficialmente domani mattina.
È la scuola « Oliver Twist » , incastonata nella co­munità familiare Cometa, nata dall’iniziativa – ma loro direbbero dall’ « incontro » – tra Cometa ap­punto
(vediere articolo a fianco) e la Fondazione di partecipazione Oliver Twist, creata dal gruppo finanziario Kairos. «La fondazione – spiega la di­rettrice generale Anna Venturino – ha finanziato l’opera per oltre il 40%, ma soprattutto si è coin­volta fin dall’inizio nella progettazione, nella rac­colta fondi, nella formazione della squadra dei collaboratori, fino a sviluppare una partnership
tra Cometa e Ark ( Absolute return for kids), orga­nizzazione che in Inghilterra gestisce per conto del governo scuole pubbliche particolarmente problematiche». Alla realizzazione concreta han­no poi partecipato altri soggetti come la Fonda­zione Cariplo, la Fondazione De Agostini, la Re­gione Lombardia, la Provincia di Como e nume­rosissime realtà locali dell’industria e dell’artigia­nato, sviluppando al meglio l’idea di sussidiarietà. Perché l’originalità del progetto sta anzitutto nel proporre un ambito educativo a tutto tondo, che parte dalla famiglia e arriva al lavoro, passando attraverso l’accoglienza e l’istruzione. Un percor­so nel quale ogni soggetto coinvolto è chiamato a svolgere il proprio compito educativo. L’altra spe­cificità sta nel tessere legami con il territorio e con le persone, mettendo insieme ragazzi desiderosi di imparare un mestiere e artigiani pronti a tra­smettere il saper fare; nel collegare la domanda delle aziende della zona con una formazione pro­fessionale d’eccellenza, promuovendo una reale alternanza tra scuola e lavoro.
«Sono tre gli indirizzi principali della scuola. An­zitutto i corsi triennali per i ragazzi dai 14 ai 17 an­ni per formare operatori dell’area tessile, del le­gno- arredo e lavoratori dell’area ristorazione – spiega Alessandro Mele, direttore generale di Co­meta –. Poi c’è quello che chiamiamo Liceo del la­voro, rivolto in particolare a quei ragazzi che ri­schiano di abbandonare o hanno già abbando­nato il percorso scolastico tradizionale. Per cia­scuno studiamo un progetto formativo persona­le, lo accompagniamo, lo rimotiviamo, cerchia­mo di fargli scoprire la bellezza di conoscere co­se nuove, di imparare un mestiere » . Tutti i per­corsi, infatti, prevedono periodi di stage e un nu­mero significativo di ore di formazione diretta- mente in azienda.
È l’esperienza che ha fatto scoprire a Salvatore, oggi 19 anni, «un Salvatore che neanche io cono­scevo, diverso da quello che a 14 anni si era per­so, poi era stato in comunità, ma non sapeva fare niente. Dopo tre anni di scuola – racconta – lavo­ro da più d’un anno come addetto alla campio­natura dei telai alla Rubelli di Como e posso pen­sare a un futuro mio, a creare una famiglia». Lo stesso orgoglio e la medesima riconoscenza che traspaiono dalle parole di Mahmoud, ragazzo mu­sulmano approdato a Lampedusa dopo la traver­sata in un barcone, passato a vivere da solo a Mi­lano, senza alcuna prospettiva, e infine arrivato a Cometa. «La prima cosa che mi ha colpito è che mangiavamo tutti insieme e che le persone s’in­teressavano a me, a chi ero, a come ero arrivato lì, volevano sapere cosa mi sarebbe piaciuto fare – racconta –. Qui ho imparato l’italiano, ho studia­to, ho fatto l’esame di terza media e ho preso an­che 'Buono'! La mia vita è cambiata. Adesso sto imparando il mestiere di restauratore: è difficile, ma che soddisfazione quando ti arriva una cosa bella e tu la fai diventare ancora più bella». E quanto proprio la bellezza delle cose dica del­l’amore con cui ci si rivolge alle persone, lo testi­monia lo stupore d’un ragazzino: «Una roba così la fanno solo per i figli di papà. E invece voi l’ave­te fatta per noi», ha detto l’altroieri quando è en­trato nella nuova struttura per il primo giorno di lezioni. Guardava i banchi, la lavagna elettronica
touch screen , le sale coi mobili disegnati da Era­smo Figini, stilista- arredatore fondatore di Co­meta assieme al fratello Innocente. «Per educare bisogna lasciarsi educare, ridare e ridarsi la ra­gione d’ogni cosa», spiega Erasmo, mentre pas­siamo fra aule con i computer ancora imballati e i corridoi illuminati con lampade che mutano d’intensità a seconda della luce esterna. Di fian­co all’ufficio della presidenza campeggia una scrit­ta sul muro: «È solo la comunione che tiene de­sto lo scopo delle decisioni». Il segreto dell’eccel­lenza probabilmente sta qui – nell’idea di una scuola che sia anzitutto luogo di comunione – o meglio in «Una comunione che fa scuola», come recita il titolo (provvisorio) del libro che il teolo­go spagnolo Josè Miguel Garcia sta scrivendo sul­l’esperienza di Cometa.


«Vietato discriminare i disabili» - DA MILANO ENRICO NEGROTTI E la Convenzione sui diritti dei di­sabili – Avvenire, 18 settembre 2009
Il professor Aldo Loiodice: l’articolo 32 della Costituzione riconosce libertà di scelta per le terapie, non per trattamenti che sono conservativi della vita
«Credo che vada ricorda­to che il ricorso contro l’atto di indirizzo del ministro Sacconi è stato respinto. E oltre al difetto di giurisdizione, il Tar riconosce che è entrata in vigore la Convenzione Onu sulle persone di­sabili che vieta di discriminarle sul­la base dell’alimentazione » . Aldo Loiodice, docente di Diritto costi­tuzionale all’Università Europea di Roma, che ha sostenuto – insieme con Filippo Vari – le ragioni del Mo­vimento per la vita, aggiunge: «La libertà di scelta garantita dalla Co­stituzione riguarda le terapie, non trattamenti che non lo sono».
Cosa ha deciso il Tar del Lazio?
Ha respinto il ricorso dichiarando­lo inammissibile per difetto di giu­risdizione. Tuttavia entra nel meri­to della questione e sottolinea «il di­ritto a rifiutare i trattamenti sanita­ri », ma trattandosi di diritti sogget­tivi non è competente il giudice am­ministrativo, bensì quello civile di fronte a un caso concreto.
In che senso allora sarebbe «boc­ciato » l’atto di indirizzo?
Viene ribadito che, secondo l’arti­colo 32 della Costituzione, ognuno è libero di accettare o respingere le terapie. E, senza parlare di idrata­zione e alimentazione, la sentenza parla della necessità di non discri­minare i pazienti in stato vegetati­vo nella possibilità di evitare «de­terminate cure mediche». Tuttavia la libertà di scelta non è per tratta­menti che non sono terapie, ma conservativi della vita. Che è un di­ritto inviolabile protetto dall’arti­colo 2 della Costituzione.
non conta?
Sì, la sentenza alla fine deve rico­noscere che esiste l’articolo 25 del­la Convenzione di New York che sta­bilisce che nessun disabile può su­bire «il rifiuto discriminatorio di as­sistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e li­quidi in ragione della disabilità». Si tratta di una Convenzione interna­zionale che è entrata in vigore an­che in Italia nel marzo di quest’an­no.
Perché il Tar non ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione?
Si tratta credo di una sentenza sof­ferta, segno che è frutto di un ap­profondimento a più voci.
Che cosa succederebbe in una cau­sa davanti a un giudice civile con­tro l’atto di indirizzo?
In un eventuale ulteriore processo davanti a un giudice civile la sen­tenza del Tar non fa giurispruden­za, perché è stata emessa dal giudi­ce amministrativo ed è una senten­za di processo e non di contenuto.