Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: “NESSUNO È PADRONE DELLA PROPRIA VITA” - Alla preghiera dell'Angelus in occasione della Giornata per la Vita
2) MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI PER LA QUARESIMA 2010 - “La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo” - CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 4 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2010, sul tema: "La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo" (Rm 3, 21-22).
3) PAZIENTI IN STATO VEGETATIVO RIESCONO A "comunicare" - Fonte: AGI - Agenzia Giornalistica Italia - 4 febbraio 2010
4) ABORTO: LA SCONFITTA DELL’EUROPA - Commento al Messaggio per la Giornata per la Vita 2010 - di Carlo Casini*
5) PROGETTO GEMMA: UN BENE PER MAMME, BAMBINI E ADOTTANTI - Il racconto della responsabile, Erika Vitale - di Antonio Gaspari
6) Burrasche vaticane. L'accademia per la vita si gioca la testa - Il suo presidente monsignor Fisichella non ha più la fiducia di una parte dei membri. Tutto per un suo articolo su "L'Osservatore Romano" approvato dalla segreteria di Stato. La requisitoria dell'accademico Michel Schooyans contro la falsa "compassione" che giustifica tutto - di Sandro Magister
7) Lahore, avvocati musulmani: “bruceremo vivo” chi difende la 12enne cristiana uccisa - di Fareed Khan
8) NUOVA SCOPERTA SULLO STATO VEGETATIVO - Profondamente disabili ma persone vive - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, il 7 febbraio 2010
BENEDETTO XVI: “NESSUNO È PADRONE DELLA PROPRIA VITA” - Alla preghiera dell'Angelus in occasione della Giornata per la Vita
ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Nessuno è padrone della propria vita” e “tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla, dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale”. Lo ha detto questa domenica Benedetto XVI ricordando la Giornata odierna per la Vita.
“Mi associo volentieri ai Vescovi italiani – ha detto il Papa al termine dell'Angelus e al loro messaggio sul tema: 'La forza della vita, una sfida nella povertà'”.
“Nell’attuale periodo di difficoltà economica – ha spiegato – diventano ancora più drammatici quei meccanismi che, producendo povertà e creando forti disuguaglianze sociali, feriscono e offendono la vita, colpendo soprattutto i più deboli e indifesi”.
“Tale situazione, pertanto, impegna a promuovere uno sviluppo umano integrale per superare l’indigenza e il bisogno, e soprattutto ricorda che il fine dell’uomo non è il benessere, ma Dio stesso e che l’esistenza umana va difesa e favorita in ogni suo stadio”.
Questa Giornata – ha ricordato il Pontefice - si prolunga nella Diocesi di Roma nella “Settimana della vita e della famiglia”.
“Auguro – ha poi aggiunto – la buona riuscita di questa iniziativa ed incoraggio l’attività dei consultòri, delle associazioni e dei movimenti, come pure dei docenti universitari, impegnati a sostegno della vita e della famiglia”.
Prima di recitare la preghiera mariana dell’Angelus insieme ai fedeli radunatisi in piazza San Pietro, il Papa ha preso spunto dalla liturgia del giorno per soffermarsi a riflettere su come “l’incontro autentico con Dio porti l’uomo a riconoscere la propria povertà e inadeguatezza, il proprio limite e il proprio peccato”.
A questo proposito ha parlato della chiamata divina di Isaia, della pesca miracolosa che vede come testimone Simon Pietro e della coscienza di Paolo “di essere stato un persecutore della Chiesa” e quindi di essere “indegno di essere chiamato apostolo”.
“Nonostante questa fragilità – ha spiegato il Papa –, il Signore, ricco di misericordia e di perdono, trasforma la vita dell’uomo e lo chiama a seguirlo”.
Di qui l'invito del Papa a “non concentrarsi sui propri limiti, ma a tenere lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire i cuore, e continuare, con gioia, a lasciare tutto per Lui”.
“‘L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore’, e rende degli uomini poveri e deboli, ma che hanno fede in Lui, intrepidi apostoli e annunciatori della salvezza”, ha continuato.
Il Pontefice ha poi ricordato l'Anno sacerdotale in corso ed ha invitato “tutti i sacerdoti a ravvivare la loro generosa disponibilità a rispondere ogni giorno alla chiamata del Signore con la stessa umiltà e fede di Isaia, di Pietro e di Paolo”.
Nei saluti finali Benedetto XVI ha ricordato ai fedeli che l’11 febbraio, memoria della beata Vergine di Lourdes, nella Giornata mondiale del malato, celebrerà al mattino la Santa Messa con gli ammalati nella Basilica di San Pietro.
MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI PER LA QUARESIMA 2010 - “La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo” - CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 4 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2010, sul tema: "La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo" (Rm 3, 21-22).
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Cari fratelli e sorelle,
ogni anno, in occasione della Quaresima, la Chiesa ci invita a una sincera revisione della nostra vita alla luce degli insegnamenti evangelici. Quest’anno vorrei proporvi alcune riflessioni sul vasto tema della giustizia, partendo dall’affermazione paolina: La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo (cfr Rm 3,21-22).
Giustizia: “dare cuique suum”
Mi soffermo in primo luogo sul significato del termine “giustizia”, che nel linguaggio comune implica “dare a ciascuno il suo - dare cuique suum”, secondo la nota espressione di Ulpiano, giurista romano del III secolo. In realtà, però, tale classica definizione non precisa in che cosa consista quel “suo” da assicurare a ciascuno. Ciò di cui l’uomo ha più bisogno non può essergli garantito per legge. Per godere di un’esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente: potremmo dire che l’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza. Sono certamente utili e necessari i beni materiali – del resto Gesù stesso si è preoccupato di guarire i malati, di sfamare le folle che lo seguivano e di certo condanna l’indifferenza che anche oggi costringe centinaia di milioni di essere umani alla morte per mancanza di cibo, di acqua e di medicine -, ma la giustizia “distributiva” non rende all’essere umano tutto il “suo” che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha infatti bisogno di Dio. Nota sant’Agostino: se “la giustizia è la virtù che distribuisce a ciascuno il suo... non è giustizia dell’uomo quella che sottrae l’uomo al vero Dio” (De civitate Dei, XIX, 21).
Da dove viene l’ingiustizia?
L’evangelista Marco riporta le seguenti parole di Gesù, che si inseriscono nel dibattito di allora circa ciò che è puro e ciò che è impuro: “Non c'è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro... Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male” (Mc 7,14-15.20-21). Al di là della questione immediata relativa al cibo, possiamo scorgere nella reazione dei farisei una tentazione permanente dell’uomo: quella di individuare l’origine del male in una causa esteriore. Molte delle moderne ideologie hanno, a ben vedere, questo presupposto: poiché l’ingiustizia viene “da fuori”, affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono l’attuazione. Questo modo di pensare - ammonisce Gesù - è ingenuo e miope. L’ingiustizia, frutto del male, non ha radici esclusivamente esterne; ha origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male. Lo riconosce amaramente il Salmista: “Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre” (Sal 51,7). Sì, l’uomo è reso fragile da una spinta profonda, che lo mortifica nella capacità di entrare in comunione con l’altro. Aperto per natura al libero flusso della condivisione, avverte dentro di sé una strana forza di gravità che lo porta a ripiegarsi su se stesso, ad affermarsi sopra e contro gli altri: è l’egoismo, conseguenza della colpa originale. Adamo ed Eva, sedotti dalla menzogna di Satana, afferrando il misterioso frutto contro il comando divino, hanno sostituito alla logica del confidare nell’Amore quella del sospetto e della competizione; alla logica del ricevere, dell’attendere fiducioso dall’Altro, quella ansiosa dell’afferrare e del fare da sé (cfr Gen 3,1-6), sperimentando come risultato un senso di inquietudine e di incertezza. Come può l’uomo liberarsi da questa spinta egoistica e aprirsi all’amore?
Giustizia e Sedaqah
Nel cuore della saggezza di Israele troviamo un legame profondo tra fede nel Dio che “solleva dalla polvere il debole” (Sal 113,7) e giustizia verso il prossimo. La parola stessa con cui in ebraico si indica la virtù della giustizia, sedaqah, ben lo esprime. Sedaqah infatti significa, da una parte, accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall’altra, equità nei confronti del prossimo (cfr Es 20,12-17), in modo speciale del povero, del forestiero, dell’orfano e della vedova (cfr Dt 10,18-19). Ma i due significati sono legati, perché il dare al povero, per l’israelita, non è altro che il contraccambio dovuto a Dio, che ha avuto pietà della miseria del suo popolo. Non a caso il dono delle tavole della Legge a Mosè, sul monte Sinai, avviene dopo il passaggio del Mar Rosso. L’ascolto della Legge, cioè, presuppone la fede nel Dio che per primo ha ‘ascoltato il lamento’ del suo popolo ed è “sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto” (cfr Es 3,8). Dio è attento al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato: chiede giustizia verso il povero (cfr Sir 4,4-5.8-9), il forestiero (cfr Es 22,20), lo schiavo (cfr Dt 15,12-18). Per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l’origine stessa dell’ingiustizia. Occorre, in altre parole, un “esodo” più profondo di quello che Dio ha operato con Mosè, una liberazione del cuore, che la sola parola della Legge è impotente a realizzare. C’è dunque per l’uomo speranza di giustizia?
Cristo, giustizia di Dio
L’annuncio cristiano risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, come afferma l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: “Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio... per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. E’ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue” (3,21-25).
Quale è dunque la giustizia di Cristo? E’ anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. Il fatto che l’“espiazione” avvenga nel “sangue” di Gesù significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta a Dio (cfr Gal 3,13-14). Ma ciò solleva subito un’obiezione: quale giustizia vi è là dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? Ciascuno non viene così a ricevere il contrario del “suo”? In realtà, qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana. Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante. Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia.
Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare.
Proprio forte di questa esperienza, il cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è vivificata dall’amore.
Cari fratelli e sorelle, la Quaresima culmina nel Triduo Pasquale, nel quale anche quest’anno celebreremo la giustizia divina, che è pienezza di carità, di dono, di salvezza. Che questo tempo penitenziale sia per ogni cristiano tempo di autentica conversione e d’intensa conoscenza del mistero di Cristo, venuto a compiere ogni giustizia. Con tali sentimenti, imparto di cuore a tutti l’Apostolica Benedizione.
Dal Vaticano, 30 ottobre 2009
BENEDICTUS PP. XVI
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
PAZIENTI IN STATO VEGETATIVO RIESCONO A "comunicare" - Fonte: AGI - Agenzia Giornalistica Italia - 4 febbraio 2010
(AGI/REUTERS/AFP) - Londra, 4 feb. - Un uomo considerato in stato vegetativo da cinque anni e' riuscito a comunicare e a rispondere "si" e "no" usando unicamente la sua mente. La straordinaria novita' arriva da un gruppo di scienziati britannici e belgi, il cui studio -pubblicato sul New England Journal of Medecine- potrebbe modificare -dicono- il modo in cui vengono considerati e curati i pazienti in coma. Nel 2003 un giovane, oggi 29enne, sopravvisse a un incidente stradale riportando gravi danni cerebrali. Il giovane non puo' muoversi ne' parlare, per cui e' considerato in stato vegetativo. Ma poiche' i medici avevano accertato segni di coscienza, hanno deciso di applicare uno scanner di ultima generazione al suo cervello mentre gli rivolgevano domande-base del tipo: "Tuo padre si chiama Thomas?". I risultati hanno mostrato che, nel suo cervello, si attivavano le stesse aree cerebrali che si mettono in moto in una persona sana. "Siamo rimasti attoniti quando abbiamo visto il risultato dello scanner e che era in grado rispondere correttamente alle domande semplicemente cambiamento i suoi pensieri, che noi successivamente decodificavamo", ha spiegato Adrian Owen, professore di neurologia all'universita' di Cambridge e che ha guidato il team di scienziati. In tre anni, sono stati presi in esame 23 pazienti considerati in coma; e la nuova tecnica ha individuato segni di cooscienza in quattro di loro. "Siamo stati in grado di chiedere a pazienti che erano coscienti, ma non riuscivano a parlare o muoversi, se sentivano dolore", ha spiegato la neuropsicologa Audrey Vanhaudenhuyse, "in modo che i medici potessero immediatamente somministrare loro antidolorifici". I ricercatori tengono a far notare che non tutti i pazienti in stato vegetativo hanno un'attivita' cerebrale, ma adesso contano di continuare le ricerche e di condurre altri test proprio sui pazienti che non hanno reazioni. (AGI) –
ABORTO: LA SCONFITTA DELL’EUROPA - Commento al Messaggio per la Giornata per la Vita 2010 - di Carlo Casini*
ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Il titolo è bellissimo: “La forza della vita, una sfida nella povertà”. Mi ha fatto subito venire in mente mia madre e mio padre. Lui manovale delle ferrovie, morto il primo luglio 1938 in un infortunio sul lavoro; lei, come allora si diceva, atta a casa.
Nove figli, di cui otto viventi al momento in cui mia madre rimaneva vedova: la più grande 17 anni, la più piccola un anno e mezzo. Io avevo tre anni. Nessuno lavorava. Nessuna ricchezza se non la fede in Dio, che nella mia casa si chiamava “Provvidenza”, e l’amicizia della comunità degli uomini, in primo luogo quella cristiana.
Pensando alle giornate di mia madre (nella guerra, nella malattia, nel dolore) iniziate sempre con la Santa Messa all’alba (perché allora si celebrava anche alle cinque del mattino) ho subito pensato: “E’ proprio vero: la forza della vita!”.
Supero quel tanto di pudore imposto dal carattere personale e familiare di questa memoria non solo per rendere omaggio ai miei genitori. Mi aiuta in questo Madre Teresa di Calcutta che spesso iniziava i suoi discorsi per celebrare la vita rivolgendo un ringraziamento a tutti i genitori delle persone presenti.
In realtà credo di evocare una esperienza molto comune. L’esperienza di una straordinaria forza della vita capace di superare le difficoltà più gravi, tra le quali quelle economiche che non sempre sono le più pesanti. L’esperienza di una forza invincibile Se nella mente e nel cuore la vita diviene la Vita (con la maiuscola).
Mi pare bello e giusto richiamare questa esperienza – certamente anche quella di molti lettori – in un tempo e in un luogo tanto ricchi di beni, quanto incontentabili e tristi. Parlo dell’Occidente, dove gli uomini vengono spesso chiamati “consumatori” quando si analizzano le crisi economiche e si progetta il progresso.
Non voglio ignorare certo la povertà vera e talora disperata, nemica della vita, ma prima voglio capire bene il senso della sfida tra la vita e la povertà. Perciò corro col pensiero in luoghi del mondo dove l’indigenza è generale, dove si mangia una volta al giorno e i vestiti durano una vita. Ci sono tanti bambini. Molti più che da noi. E’ saggezza la nostra preoccupazione per il secondo o terzo figlio ed è stoltezza il generare senza calcolo tra le malattie e la fame?
Un tempo i demografi rispondevano concordemente di sì e paragonavano la bomba atomica alla “bomba demografica”, causa – dicevano – di sottosviluppo, di morte, di disastri ecologici. Ma oggi, almeno per l’Occidente, tutti hanno cambiato opinione: “l’inverno demografico” mette a rischio l’esistenza stessa dei popoli, prepara il fallimento degli Stati, frena l’innovazione. Un milione e trecentomila bambini distrutti legalmente prima di nascere ogni anno con l’aborto nell’Unione europea non sono solo un problema morale.
Anche accantonando per un momento il ruolo dei diritti umani nella costruzione della società; anche limitando lo sguardo alla dimensione economico-sociale il problema appare chiaramente grave e politico. Giovanni Paolo II non ha esitato a chiamare l’aborto legale e di massa “la sconfitta dell’Europa”.
Invece in un futuro non lontano i popoli del così detto Terzo Mondo irromperanno impetuosamente sulla scena mondiale. E’ la forza della vita nella povertà. Non si tratta, certo, di giustificare l’ingiustizia degli attuali rapporti tra paesi ricchi e paesi poveri, né di rinunciare all’idea di una procreazione cosciente e responsabile. Si tratta, invece, di scoprire un collegamento tra i figli e la speranza. Sebbene in modo spesso irriflesso, proprio i poveri più dei ricchi collocano il loro sogno in un mondo futuro, che magari essi non vedranno. In ogni caso oggettivamente la vita va avanti.
C’è poi l’esperienza dei nostri Cav. La causa economica della propensione all’aborto è indicata spesso. Il nostro rapporto “Trenta anni a servizio della vita” del 2008 documenta che le madri che nel corso degli anni si sono rivolte ai nostri centri hanno lamentato la difficoltà economica in una percentuale variante tra il 20% e il 44%. Ma le operatrici e gli operatori dei Cav testimoniano anche l’irriducibile coraggio di donne disposte persino a rischiare la vita pur di far nascere il loro bambino.
Testimoniano la giovinezza ritrovata – con la sua capacità di sorriso e di fiducia – quando il figlio è accolto nonostante tutto e tutti dopo le prime esitazioni e disperazioni. Testimoniano che solo la presenza del figlio nella mente e nel cuore della madre fa scattare la molla del coraggio e che, d’altra parte, molto spesso la vita del figlio rigenera la vita stessa della madre e, talvolta, dei suoi stessi familiari.
Testimoniano che “le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà” e che l’“insieme” che crea la solidarietà è determinato soprattutto dalla contemplazione della vita che la madre povera (nei molti sensi in cui si può essere ‘poveri’) porta in sé.
Ultimamente, insomma, è la forza della vita che salva la vita. La “necessità” di abortire – questa la nostra esperienza – non è tanto determinata dalla povertà materiale, quanto dall’annebbiamento del valore della vita. Noi proviamo dolore quando il nostro insistere nel proclamare la dignità piena della vita anche appena concepita viene accusata di astrattezza.
Altri – ci dicono – sono i problemi concreti della gente. Date casa, lavoro, sicurezza e vedrete che la vita sarà più rispettata. Eppoi la vita è di tutti – non solo del concepito. Perché non vi impegnate per tutta la vita, anche di coloro che sono già nati? Che cosa fate concretamente per i figli che avete fatto nascere, quando essi divengono ragazzi? Rispondiamo come la Pira. Accusato di essere un visionario, replicava: io sono anche un ragioniere, so fare i calcoli, sono un costruttore della città.
Così noi rispondiamo: certo, la vita è tutta la vita, ci sono problemi enormi generali. Cerchiamo di fare ciò che possiamo anche in termini concreti per tradurre in azione l’annuncio: lo testimoniano le case di accoglienza e gli oltre centomila bambini nati anche per il sostegno operoso dei Cav. Ma per risolvere i problemi generali e di tutti è necessaria la mobilitazione della intera società. Ci vuole un edificio nuovo. Noi mettiamo la prima pietra. Ecco: la prima pietra di un generale rinnovamento civile e morale.
Diceva Madre Teresa: “se accettiamo che una madre possa sopprimere il proprio figlio, che cosa ci resta?”. Cioè: “se non diciamo nulla, se non facciamo nulla per aiutare i più piccoli e deboli (sono i concepiti, ma anche molto spesso le loro madri schiacciate dalla solitudine se non addirittura dalla pressione dell’ambiente) come faremo ad avere l’energia e la forza necessaria per cambiare il mondo?”.
Davvero la questione della vita è diventata oggi la questione sociale. Ci conforta in questo senso l’insegnamento di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ci rallegra che movimenti avvezzi per la loro origine e la loro storia a difendere i lavoratori pongano oggi a tema la vita come questione sociale. La forza della vita. La prima pietra della questione sociale.
La diffusa decadenza spirituale è sotto gli occhi di tutti. Soprattutto nel campo familiare. Dalle colonne dei giornali i “saggi” irridono una Chiesa che continua a predicare una morale, che – così dicono – nessuno ascolta più. L’aria è impregnata da un pansessualismo pornografico ideologico che è causa non secondaria di tanto rifiuto di responsabilità verso la vita umana.
Sorge spontanea la domanda: se è giusto non distruggere il modello di famiglia cosiddetto “tradizionale”, da dove ricominceremo? Come, liberati dai tabù di un tempo, recupereremo la bellezza e la gioia del matrimonio, dell’amore fedele, della castità? Accanto ad una povertà materiale c’è una indigenza spirituale.
Molti pensano che occorra agire sulle cose per avere una qualche speranza di ascolto dei valori. Naturalmente c’è del vero in questo; ma c’è un intreccio più complesso che dobbiamo scoprire. Dobbiamo continuamente chiedere una nuova politica della famiglia, ma dobbiamo essere accorti: parlare, ad esempio, di casa per i giovani che intendono sposarsi o di lotta contro la disoccupazione, etc. non deve essere uno strumento di censura per non sentire il grido dei bambini eliminati in massa a causa di una cultura della scissione che separa il sesso dalla generazione, il sesso dalla famiglia, la famiglia dal matrimonio.
Anzi è proprio questo grido che deve dare più grande consistenza agli sforzi per risolvere i problemi della casa, del lavoro, etc. Del resto non è vero che tra i poveri di cose materiali la indigenza spirituale, sia più diffusa che tra i ricchi, specie in materia di morale familiare. Molti pensano che non valga la pena parlare troppo del valore della vita se prima non si ricostruisce una cultura della famiglia.
E se fosse vero l’inverso? Che, cioè, proprio a partire dalla contemplazione del bambino non ancora nato, realtà irresistibile sol che non si rivolga altrove lo sguardo, è possibile penetrare un po’ nel significato misterioso della sessualità, dell’amore e della famiglia e trovare così la forza di una coerenza di mente e di azione?
La più grande povertà è quella di chi crede che il non senso sia il senso dell’universo, della storia, della propria vita personale. Se la pietra tombale è l’esito della vita, allora non vale la pena programmare il futuro rinunciando a qualcosa del presente. Lo stordimento del possesso di cose e del piacere che ne può conseguire è lo scopo prammatico del vivere nell’immediato e nel progetto di futuro.
Questa povertà è vinta non soltanto dalla luce abbagliante della Rivelazione ma anche in chi ritiene di non avere il dono della fede, dalla percezione di essere all’interno di un mistero grandioso e stupefacente nel quale c’è ampio spazio per una risposta di senso positivo almeno sperato, intuito, postulato, scommesso. Nel nostro tempo questa speranza viene formalmente ripetuta tutte le volte che nelle carte dei diritti umani, nelle Costituzioni e nelle leggi proclamiamo la uguale dignità di ogni essere umano, che è come dire che il vivere di ogni uomo è un valore supremo nell’ordine del creato.
Sotto questo riguardo la contemplazione dell’uomo nella sua povertà più totale, come quando è appena concepito (o sta per morire) può essere la prima pietra di un cammino spirituale, al termine del quale c’è il Padre a attendere con le braccia aperte.
“L’uomo è la via della Chiesa”: è stata la parola d’ordine di Giovanni Paolo II. Il mistero della vita facilmente constatabile guardando negli occhi un bimbo, od anche una semplice ecografia di un embrione, ci fa intuire l’intelligenza e la bellezza di una potenza creatrice e ordinatrice. La forza della vita, anche nella povertà, parla di Dio.
Che cosa è la povertà? E’ privazione del necessario. Cosa è più necessario della vita? Niente. Ancora Madre Teresa di Calcutta diceva che il bambino non nato, minacciato di essere abortito, è il più povero tra i poveri. L’uomo comincia la sua esistenza nella nudità più assoluta. Non possiede nulla se non la sua qualità di essere umano. E’il totalmente dipendente. La sua unica possibilità è l’accoglienza e l’amore della mamma.
Abbiamo già citato la cifra conosciuta dei poveri eliminati legalmente ogni anno: 1.300.000 nei 27 paesi dell’Unione Europea; 130.000 in Italia; dicono 40.000.000 nel mondo. Possiamo parlare di povertà e non pensare a loro? C’è una vecchia questione che ci tormenta: come far pensare a loro? Come affrontare la sfida? Tirando pugni nello stomaco oppure risvegliando coscienze, stupori, riconoscimenti, amori e coraggi assopiti?
Il movimento per la vita ha sempre scelto la seconda linea. Ci sono i momenti in cui il linguaggio deve essere duro, ma, di regola, preferiamo mostrare la meraviglia della vita umana piuttosto che l’orrore dell’aborto. Ce lo suggeriscono le lacrime di tante giovani donne. Anche nel dibattito culturale e politico vale il proverbio che persuade di più un cucchiaio di miele che un fiasco di aceto: il silenzio, la censura, l’irrisione e persino la violenza verbale di tanti possono essere interpretati come il riflesso della inquietudine di chi, in definitiva, si riconosce nella logica dei diritti umani e nel fondo del suo cuore sa che l’argomento della vita è irresistibile. Se la sfida è accettata la forza della vita vince.
Ma, in nessun caso, proprio per questo, la scelta di un linguaggio maieutico di accompagnamento più che di scontro può dimenticare che il bambino è sempre bambino anche prima di nascere, uno di noi, un figlio, una persona. Per questo 32 anni fa fu istituita la Giornata della vita. Nel corso dell’anno tante altre giornate ecclesiali impegnano i credenti e i non credenti in un servizio di vario genere in favore delle più diverse categorie di “poveri”. La prima domenica di febbraio ha il compito specifico di ricordarci lui: il più piccolo e il più povero.
Tanti anni sono passati, ma la Chiesa non si rassegna alla assuefazione. Proprio per questo si scrisse allora, subito dopo l’approvazione della ingiusta legge 194, che la giornata avrebbe dovuti dimostrare che “la Chiesa non si rassegna e non si rassegnerà mai”, affinché nonostante la legge, a difendere la vita resti, almeno, il baluardo della coscienza. E prenda vigore, ogni anno di più, quella solidarietà concreta verso le madri in difficoltà, che testimoniando con i fatti l’amore alla vita, penetri nelle coscienze assopite e vi risvegli la forza della vita.
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*Carlo Casini è Presidente del Movimento per la Vita italiano.
PROGETTO GEMMA: UN BENE PER MAMME, BAMBINI E ADOTTANTI - Il racconto della responsabile, Erika Vitale - di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Dal 1994, grazie all’iniziativa di alcuni volontari del Movimento per la Vita e dei Centri di Aiuto alla Vita è nato il Progetto Gemma. Si tratta di un servizio per l'adozione prenatale a distanza di madri in difficoltà, tentate di non accogliere il proprio bambino.
Una mamma in attesa nasconde sempre nel suo grembo una gemma (un bambino) che non andrà perduta se qualcuno fornirà l'aiuto necessario. Attraverso questo servizio e con un contributo minimo mensile di 160 euro, si può adottare per 18 mesi una mamma e aiutare così il suo bambino a nascere.
Intervistata da ZENIT la responsabile del progetto Gemma, Erika Vitale ha raccontato che in 15 anni di vita, sono stati salvati 16mila tra bambini e bambine. Dal 1994 il progetto Gemma è sempre cresciuto, ad eccezione di questo ultimo anno segnato dalla crisi economica che ha fatto alzare il numero delle richieste e diminuire le offerte.
Il progetto prevede l’adozione a distanza di una mamma in gravidanza entro il terzo mese, e garantisce un contributo per 18 mesi fino al compimento di un anno di età del bambino. Erika precisa che si tratta di un atto di vera carità dove la caratteristica è l'“amore gratuito”. Gli adottanti infatti conosceranno solo la data di nascita ed il nome del bambino o bambina che avranno aiutato.
Secondo la responsabile del progetto è un'azione estremamente educativa soprattutto per i giovani.
I donatori sono persone che appartengono a tutti gli strati sociali, dai più ricchi a quelli più poveri. “Pensi – ci ha detto Erika – che anche le mamme che hanno usufruito del Progetto Gemma e che ora sono nelle condizioni di lavorare, sono diventate donatrici”.
Ci sono delle mamme che a qualche punto della gravidanza, quando hanno deciso di portare a termine la gravidanza, risolvono i problemi iniziali che li stava spingendo ad abortire e così passano ad altre il loro aiuto.
Erika ha raccontato di un famiglia di un Centro di Aiuto alla Vita (CAV) che stava in montagna quando hanno visto una giovane ragazza ripiegata su se stessa e disperata che piangeva. Si sono fermati per assisterla, e questa ha raccontato che a causa del fatto che era incinta, i genitori l’avevano cacciata di casa.
I due l’hanno ospitata per un pò di giorni a casa di una volontaria del CAV dopodichè l’hanno portata in una casa protetta tra quelle a disposizione del CAV.
Questo atto di solidarietà e condivisione, ha toccato l’orgoglio dei genitori della ragazza, i quali hanno pensato: “ma come, noi l’abbiamo cacciata e degli estranei l’aiutano?”. Così l’hanno ripresa in casa, è nato il bambino, e quando la volontaria dei CAV è andata a trovarla ha visto la nonna del bambino che ricamava i bavaglini e il nonno che cullava in braccio il bambino per farlo addormentare.
Questo è un segno che dimostra che i CAV lavorano bene e che se si inizia un processo virtuoso di bene questo si diffonde.
“Il Progetto Gemma – ha sottolineato Erika – è il punto di incontro di un bisogno che ci arriva tramite i CAV i quali segnalano mamme che per difficoltà economiche vorrebbero abortire, così dall’altra parte gli attivisti del progetto Gemma raccolgono le offerte delle persone e molto spesso troviamo la soluzione per aiutarle”.
La grande maggioranza degli aiuti arriva dalle persone, ma ci sono state occasioni di avere l’appoggio di 15 differenti Comuni, i quali hanno riconosciuto il valore sociale dei progetti Gemma. Forse nel 2010 ci saranno altri due comuni che aiuteranno il Progetto Gemma.
Si tratta di Comuni preoccupati dalle dimensioni del crollo demografico, ed anche dalle implicazioni negative dal punto di vista sanitario e sociale delle depressioni post aborto.
“In questo senso – ha rilevato Erika – il Progetto Gemma potrebbe essere una opportunità per una politica sociale pubblica che difenda la vita e la famiglia”.
“La buona notizia del 2009 che si è appena concluso – ha continuato - è che nonostante la crisi, il terremoto in Abruzzo, e tante altre brutte storie, grazie al Progetto Gemma nasceranno altri 1000 tra bambini e bambine”.
Queste nascite che “dal punto di vista sociale rappresentano un valore impagabile”, sono un contributo notevole anche allo sviluppo ed al progresso dell’Italia, perchè solo facendo un calcolo di minima, daranno vita ad almeno 50 classi scolastiche, con relativi insegnanti, bidelli, medici ecc.
“Così il bene si diffonde, non solo per le mamme aiutate ma anche per gli adottanti siano essi singole persone o gruppi”, ha commentato Erika.
A questo proposito la responsabile del Progetto Gemma ha raccontato di un gruppo di bambini che frequentava la lezione di catechismo, e che hanno raccolto 5 euro al mese ciascuno per sostenere un Progetto Gemma.
I bambini e le loro famiglie erano ben felici di contribuire alla vita di un fratellino o sorellina e alla loro mamma. Hanno contribuito a salvare almeno due vite che rischiavano di essere spezzate.
Questo mostra che ci sono benefici per le mamme bisognose ma anche per i donatori che così colgono l’occasione per compiere una buona azione e si educano a praticare l’amore gratuito.
Sempre a questo proposito Erika ha raccontato la storia di un liceo che l’anno scorso a Natale ha organizzato un banco, vendendo oggetti e abiti usati, piccoli oggetti di artigianato, palloni e attrezzature sportive. In questo modo i ragazzi sono riusciti a raccogliere denaro per finanziare tre Progetti Gemma.
Sulla base di queste storie Erika ha spiegato che “l’aborto divide, la mamma dal concepito, la donna dall’uomo, mentre ogni Progetto Gemma, ogni bambino o bambina salvati, unisce non solo le famiglie di coloro che ricevono ma anche di quelli che danno”.
“Possiamo dire che – ha concluso – ogni bambino o bambina che nasce riaccende la luce dove sembrava che il buio avesse vinto”.
Burrasche vaticane. L'accademia per la vita si gioca la testa - Il suo presidente monsignor Fisichella non ha più la fiducia di una parte dei membri. Tutto per un suo articolo su "L'Osservatore Romano" approvato dalla segreteria di Stato. La requisitoria dell'accademico Michel Schooyans contro la falsa "compassione" che giustifica tutto - di Sandro Magister
ROMA, 8 febbraio 2010 – Tra pochi giorni, dall'11 al 13 febbraio, si riunirà in Vaticano la pontificia accademia per la vita, il cui presidente è l'arcivescovo Salvatore Fisichella (nella foto).
La riunione si preannuncia burrascosa. Alcuni membri dell'accademia contestano che Fisichella sia il presidente giusto. Tra essi spicca monsignor Michel Schooyans, belga, professore emerito dell'Università Cattolica di Lovanio, stimato specialista in antropologia, in filosofia politica, in bioetica. È membro di tre accademie pontificie: quella delle scienze sociali, quella di san Tommaso d'Aquino e – appunto – quella per la vita. Papa Joseph Ratzinger lo conosce e lo apprezza. Nel 1997, da cardinale prefetto della congregazione per la dottrina della fede, scrisse la prefazione a un suo libro: "L'Évangile face au désordre mondial".
In vista della riunione, Schooyans ha scritto una dura requisitoria contro la "trappola" nella quale anche Fisichella sarebbe caduto: l'uso ingannevole del concetto di "compassione".
La requisitoria è riprodotta integralmente più sotto. In essa il nome di Fisichella non c'è. Ci sono però precisi riferimenti a un suo articolo su "L'Osservatore Romano" in materia di aborto, che quando uscì provocò un autentico sconquasso e alla fine obbligò la congregazione vaticana per la dottrina della fede a emettere una "Chiarificazione".
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Quell'articolo di Fisichella uscì il 15 marzo 2009. E riguardava il caso di una giovanissima bambina-madre brasiliana, fatta abortire, a Recife, dei due gemelli che portava in grembo.
Nei giorni precedenti, la vicenda di questa bambina aveva infiammato virulente polemiche, non solo in Brasile, ma anche in altri paesi e soprattutto in Francia.
I giornali francesi si erano scagliati contro il "fanatismo" e la "durezza di cuore" della Chiesa, in particolare dell'arcivescovo di Olinda e Recife, José Cardoso Sobrinho, che aveva condannato il duplice aborto. E si schieravano compatti in difesa della bambina e di coloro che l'avevano "salvata" facendola abortire.
Le accuse alla Chiesa priva di "compassione" erano molto aspre e colpivano lo stesso papa Benedetto XVI, appena reduce dagli attacchi furiosi provocati contro di lui dal caso Williamson di poche settimane prima.
Lucetta Scaraffia, commentatrice di punta de "L'Osservatore Romano", era in quei giorni a Parigi e mise in allarme il direttore del giornale vaticano, Giovanni Maria Vian.
Questi, d'accordo col suo editore, il segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, affidò a monsignor Fisichella l'incarico di scrivere un articolo che acquietasse quegli attacchi alla Chiesa e al papa.
Fisichella lo scrisse. Bertone lo esaminò e approvò parola per parola, senza farlo controllare preventivamente dalla congregazione per la dottrina della fede, come in Vaticano si fa, di regola, per le prese di posizione che toccano la dottrina.
Nel pomeriggio del 14 marzo l'articolo uscì sulla prima pagina de "L'Osservatore Romano", con la data del giorno successivo.
In esso, Fisichella scriveva che il caso della bambina brasiliana "ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l'arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l'hanno aiutata a interrompere la gravidanza". Quando invece, "prima di pensare alla scomunica", la bambina "doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata" con quella "umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri". Ma "così non è stato".
E proseguiva:
"A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie, la vita [della bambina] era in serio pericolo per la gravidanza in atto. Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale. Scelte come questa [...] si ripetono quotidianamente [...] e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell'atto di dovere decidere cosa sia meglio fare".
Nel finale dell'articolo Fisichella si rivolgeva direttamente alla bambina: "Stiamo dalla tua parte. [...] Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere".
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L'articolo sollevò immediate reazioni di segno opposto: da un lato le proteste dei difensori della vita di ogni concepito, senza eccezioni, dall'altro il plauso dei sostenitori della libertà d'aborto.
L'arcidiocesi di Olinda e Recife, ritenutasi sconfessata pubblicamente e ingiustamente dal Vaticano, reagì con una nota pubblicata sul suo sito il giorno successivo, nella quale accusava Fisichella di mostrarsi disinformato sui fatti e di mettere in forse la stessa dottrina della Chiesa sull'aborto.
L'arcivescovo Cardoso Sobrinho chiese alle autorità vaticane di pubblicare su "L'Osservatore Romano" questa sua nota. Ma non ebbe risposta.
A Cardoso Sobrinho espressero la loro solidarietà una gran quantità di vescovi del Brasile e di tutto il mondo. Ma intanto – perdurando il silenzio del Vaticano – su numerosi giornali di varie nazioni prese piede la tesi che la Chiesa avesse approvato l'aborto "terapeutico": tesi alla quale parve dar sostegno anche una dichiarazione del 21 marzo del portavoce vaticano padre Federico Lombardi, mentre il papa era in viaggio in Africa.
Il 4 aprile "L'Osservatore Romano" tornò fuggevolmente sull'argomento, ma senza dare alcuna soddisfazione ai critici dell'articolo di Fisichella. Anzi, fece l'opposto. In una nota di cronaca, il giornale vaticano citò una dichiarazione di una famosa giornalista laica, Lucia Annunziata, già presidente della televisione italiana di Stato, che riconosceva alla Chiesa "una trasparenza mai vista" e motivava così il suo complimento:
"Mi riferisco all'intervento di monsignor Fisichella sulla vicenda della bambina brasiliana, pubblicato da 'L'Osservatore Romano'".
Per un buon numero di membri della pontificia accademia per la vita, la misura era colma. Quello stesso 4 aprile, 27 di loro, su un totale di 46, firmarono una lettera al loro presidente Fisichella, chiedendogli di rettificare le "errate" posizioni da lui espresse nell'articolo.
Il 21 aprile Fisichella rispose loro per iscritto, respingendo la richiesta.
Ai primi di maggio, 21 dei firmatari della precedente lettera si rivolsero allora al cardinale William Levada, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, chiedendo alla congregazione un pronunciamento chiarificatore della dottrina della Chiesa in materia di aborto.
La lettera fu consegnata il 4 maggio e la congregazione per la dottrina della fede la girò al cardinale Bertone, poiché – fu spiegato agli scriventi – "l’articolo di Fisichella era stato scritto su richiesta del cardinale segretario di Stato e approvato soltanto da lui".
Ma non ricevendo da Bertone nessuna assicurazione di chiarimento, alcuni membri della pontificia accademia per la vita decisero di rivolgersi direttamente al papa.
Christine de Marcellus Vollmer, venezuelana che vive negli Stati Uniti, presidente della Alliance for Family e della Latin American Alliance for Family, e altri quattro membri dell'accademia incontrarono per qualche minuto Benedetto XVI dopo l'udienza generale di un mercoledì. L'udienza era stata loro accordata grazie ai buoni uffici del cardinale Renato Martino.
I cinque accademici consegnarono a Benedetto XVI un nutrito dossier, con un gran numero di articoli di stampa che recitavano in coro che, grazie all'articolo di Fisichella, la Chiesa aveva definitivamente aperto le porte all'aborto "terapeutico".
Papa Joseph Ratzinger si mostrò stupito e amareggiato. Mormorò: "Si deve fare qualcosa... Si farà qualcosa".
L'8 giugno, Benedetto XVI discusse la cosa con il cardinale Bertone e ordinò di pubblicare una dichiarazione che riconfermasse come immutata la dottrina della Chiesa sull'aborto.
Nel frattempo, l'arcidiocesi di Olinda e Recife recapitò in Vaticano un memorandum con il resoconto dettagliato di ciò che la Chiesa del luogo aveva fatto e continuava a fare per aiutare la bambina e i suoi familiari, così come aveva protetto fino all'ultimo anche i due figli che aveva portato in grembo.
Il memorandum terminava chiedendo giustizia per l'arcivescovo Cardoso Sobrinho, in assenza della quale sarebbe scattata una denuncia canonica contro Fisichella.
Ma altre settimane passarono e in Vaticano non si muoveva foglia. Christine de Marcellus Vollmer e altri accademici si risolsero allora a un gesto di pressione estrema. Minacciarono di dimettersi collettivamente dalla pontificia accademia per la vita. Giorno dopo giorno le adesioni andavano aumentando. Erano arrivate a 17 quando finalmente, nel pomeriggio del 10 luglio, su "L'Osservatore Romano" uscì l'attesa "Chiarificazione" della congregazione per la dottrina della fede circa l'articolo di Fisichella.
La nota, resa pubblica senza alcun risalto, non diceva che l'articolo di Fisichella era sbagliato, ma solo che era stato oggetto di "manipolazione e strumentalizzazione". Un espediente retorico che ha consentito sia a Fisichella che a Bertone – entrambi membri della congregazione per la dottrina della fede – di uscire dalla vicenda col minimo del danno.
Ma il brutto non è passato, per l'arcivescovo presidente della pontificia accademia per la vita. Nei prossimi giorni si ritroverà di fronte gli accademici che ne hanno chiesta la testa. E la richiederanno.
La requisitoria, eccola.
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LE TRAPPOLE DELLA COMPASSIONE - di Michel Schooyans - Un termine ambiguo
Quando si parla di compassione, si pensa immediatamente alla sofferenza altrui, alla situazione tragica nella quale un altro si trova. Si tratta di comprendere, di "simpatizzare" con lui, di condividere la sua angoscia e di portarla assieme a lui. Questa situazione di infelicità bisogna certo cercare di alleviarla, di portarvi rimedio in tutta la misura del possibile. La parola compassione connota inoltre l'idea di condivisione psicologia e affettiva della sofferenza, specialmente quando questa sfugge ai controlli medici e di altro tipo. Quando andiamo a visitare un malato di cancro in fase terminale, con la nostra presenza, con una parola, con un gesto di tenerezza, esprimiamo come possiamo la parte che ci assumiamo della sua sofferenza e cerchiamo di ridargli conforto.
Ora, nelle notizie che riguardano dei casi di aborti, di eutanasia, di suicidio assistito, è frequente che si invochi la compassione per "giustificare" l'atto che è stato compiuto o che sta per esserlo. Se, prima della sua nascita, un bambino è dichiarato portatore di una malformazione grave, si farò valere che se si lascia proseguire la gravidanza il bambino avrà una vita che non vale di essere vissuta; si raccomanderà dunque di abortirlo per compassione, per pietà. Si condivide, si dice, la pena che gli causa il suo stato, ma il modo migliore per aiutarlo, si dice, effettivamente possibile, è di mettere fine alla sua vita. Il bambino sarà ucciso per compassione.
Di più, si dice che nessuno ha il diritto di imporre a una donna di aspettare un bambino che sarà – si dice – per lei, per il padre, per la famiglia, un "fardello" insopportabile. Si invocherà qui la compassione nei riguardi dei genitori. Inoltre, si aggiunge che non si può imporre alla società il peso di esistenze il cui mantenimento è costoso ma inutile; l'handicappato alla nascita non apporta nulla alla società. Si ammetterà dunque l'aborto per compassione nei riguardi della società, che, "con suo dispiacere", deve rassegnarsi a sopprimere uno dei suoi membri. Si arriverà talvolta fino a vedere in questo atto un gesto di giustizia sociale, di "purificazione etnica", di eugenismo.
La compassione potrà anche indirizzarsi ai medici che praticano l'aborto. Praticare un aborto è per essi – si dice – una "decisione difficile da prendere£ e un atto che essi non eseguono che per obbedire alla loro coscienza. Bisogna quindi compatire con i medici che, per esempio "per il bene" del bambino o di sua madre, prendono "con coraggio" la decisione di procedere all'aborto. Lungi dal biasimarli, bisognerà sostenerli psicologicamente e moralmente, proteggerli con un dispositivo legale appropriato.
Questi pochi esempi permettono di percepire differenti aspetti di ciò che si raggruppa oggi sotto una sola parola ambigua: la compassione. C'è anzitutto la compassione nel senso abituale di simpatia, di commiserazione. Tuttavia, nei diversi esempi citati, si osserva che la compassione è invocata e si esercita in maniera molto differente a seconda che essa faccia una vittima, il bambino non nato, oppure serva a confortare la madre, a legittimare delle leggi o a garantire l'intervento dei medici.
La compassione oggi
Possiamo discernere la vera e la falsa compassione nei fatti o nelle prese di posizione osservabili nel mondo di oggi. Così appariranno i disastri che la falsa compassione giunge ad esercitare tanto a livello delle persone che a livello delle società umane. Passiamo dunque in rassegna alcuni esempi.
1) Nel 1962, la corte di assise di Liegi (Belgio) è stata portata a giudicare una madre che, "per compassione", aveva ucciso il suo bambino. Durante la gravidanza, quasta madre aveva assunto del Softenon, conosciuto oggi sotto il nome di Talidomide. Il bambino era nato portatore di malformazioni gravi. La madre decise di mettere fine alla vita di suo figlio; e in effetti così fece. Al termine di un processo molto pubblicizzato, la donna fu assolta. Uscì libera dal tribunale, tra gli applausi del pubblico.
2) Gli animali beneficiano sempre più della "compassione" degli uomini. In un film "documentario" di Al Gore, "Una verità che sconvolge", consacrata al riscaldamento climatico, si vede un cartone animato che mostra un orso polare sfinito mentre cerca disperatamente un appoggio per salvare la sua vita. Il messaggio è chiaro: se la calotta polare si riscalda e scioglie, la causa deve essere cercata nel numero eccessivo di uomini che inquinano la terra (1). Occorre dunque contenere la crescita demografica dell'umanità, di cui si assicura che è la causa della degradazione dell'ambiente circostante. Inoltre, la "compassione" verso gli animali, la protezione della fauna, della flora e delle specie in via di estinzione richiede il rispetto di quote fissanti il numero, vale a dire la "qualità" degli uomini autorizzati a riprodursi. In una della sue varianti, questa posizione raccomanda agli uomini di avere "compassione" per Gaia, la Madre Terra, che – si sostiene – si degrada a motivo dell'azione devastatrice dell'uomo. L'uomo deve essere sacrificato all'ambiente (2).
3) Nel corso degli ultimi anni sono comparsi diversi casi di pedofilia che hanno fatto molto rumore. Negli Stati Uniti, in Messico, in Irlanda e in altri paesi, membri del basso o dell'alto clero sono stati implicati in parecchi procedimenti giudiziari. Nella maggior parte di questi casi, si è rimproverato alle autorità ecclesiastiche di aver cercato di tenerli nascosti. Per tutto il tempo che hanno potuto, queste autorità hanno fatto finta che nulla, o poco, fosse accaduto. Il motivo più spesso invocato è quello della "compassione" per gli autori degli atti di pedofilia. Si invoca la compassione per i poveri sacerdoti, che soffrono già tanto per le loro pulsioni, e che i loro superiori non possono affliggere pubblicamente né tanto meno esporre alla condanna infamante da parte delle istanze giudiziarie competenti. Se bisogna proteggere chi pratica gli aborti, perché non proteggere i pedofili?
Questo atteggiamento ricorda il caso di Recife (Brasile), che ha invaso le cronache nel marzo-aprile del 2009 (3). Nei due casi. i casi di pedofilia e quello di Recife, piuttosto che manifestare compassione per le piccole vittime innocenti, si invoca la "compassione" per quelli che hanno fatto a loro un torto immenso, i medici a Recife, i sacerdoti altrove.
4) Il 16 novembre 2009 la stampa annunciava un'iniziativa di Ségolène Royal. Sempre molto pubblicizzata, la presidente della regione Poitou-Charente (Francia) annunciava la distribuzione di "pacchetti contraccettivi" (4). Questi kit contraccettivi contengono tra l'altro dei preservativi e degli "assegni contraccezione". L'obiettivo di Ségolène Royal è di "andare in soccorso del disagio degli alunni", di ridurre il disagio sociale rappresentato dalle "gravidanze precoci". Dopo aver incitato al consumo sessuale con la fornitura di preservativi nel kit contraccettivo, Ségolène Royal ricorda l'esistenza di una "circolare in vista della contraccezione di domani". Qui di nuovo, degli adolescenti e dei bambini non nati rischiano di pagare il prezzo della pseudo-compassione.
5) Si assiste oggi a una messa in questione radicale del matrimonio e della famiglia. Dei cristiani domandano alla Chiesa di autorizzare il divorzio o di permettere il "secondo matrimonio" dei divorziati. Alcuni vanno più in là poiché chiedono che la Chiesa riconosca le unioni omosessuali, con o senza l'adozion e di bambini. Queste rivendicazioni si fanno tutto nel nome della "compassione". La Chiesa avrebbe torto a mostrarsi intransigente su queste questioni; essa sarebbe senza pietà per gli sposi ingiustamente abbandonati dal coniuge e per i figli delle coppie divorziate. Essa ignorerebbe la tendenza omosessuale inscritta nella costituzione di alcuni uomini o di alcune donne. Qui ancora si fa appello alla "compassione".Ma quale compassione?
Interrogato sulla questione del matrimonio e del divorzio, Gesù riafferma con forza il disegno di Dio dalle origini: il matrimonio voluto da Dio è monogamico, fedele, indissolubile (5). Gesù ripristina il matrimonio così com'era secondo il cuore di Dio nel momento della creazione (6). Egli non fa alcuna concessione concernente il matrimonio così come Dio l'ha voluto. Gli apostoli si stupiscono di questo rigore di Gesù (7). Come alcuni fanno oggi, essi attendevano da Gesù una compassione al ribasso, una tolleranza qualsiasi, riguardo alla legge, riguardo alla volontà chiaramente enunciata dal creatore fin dalle origini. La giustificazione, la santificazione appaiono qui come un ritorno all'inizio, una ri-creazione che passa per la conversione del cuore. Ciò che Gesù mette in luce è l'uguale dignità dell'uomo e della donna. L'uomo non può rivendicare un "diritto" qualsiasi a ripudiare sua moglie. Ciò che rivela Gesù è la forza di Dio all'opera nel matrimonio. È Dio che unisce. La compassione non può esprimersi nel rigetto della forza divina sempre all'opera nel matrimonio. Viceversa, la compassione di Dio si esprime nel perdono che Gesù a quelli e a quelle che hanno commesso l'adulterio, si sono prostituiti o hanno praticato l'omosessualità (8). La compassione di Gesù non è in alcun modo una approvazione del peccato; è un invito ad accogliere il perdono e a ritornare sul retto cammino. La compassione di Gesù è la misericordia (9).
6) Binding (1841-1920), giurista, et Hoche (1865-1943), medico, hanno pubblicato nel 1920 un'opera pochissimo conosciuta e che tuttavia è stata una della più influenti del XX secolo. Gli autori spiegano che occorre "liberalizzare la distruzione di una vita che non merita di essere vissuta" (10). È il titolo di quest'opera, in cui si trova formulato e giustificato il programma di eutanasia che sarà messo in pratica qualche anno più tardi da Hitler. Come d'abitudine, l'argomentazione dà l'impressione di essere impregnata di compassione. Vi sono, si assicura, categorie di individui la cui vita non merita la protezione pelale. La loro vita è senza valore. L'eutanasia risparmierà loro di vivere una vita che nnon è degna di essere vissuta. A questi individui bisogna dare l'eutanasia nel loro stesso interesse. Ma bisogna dare loro l'eutanasia anche nell'interesse della società: questi esseri sono non solo senza valore, ma sono anche un fardello per tutto coloro che sono utili alla società. La "compassione" nei riguardi della società deve essere invocata al pari della "compassione" nei riguardi di questi esseri che devono essere liberati dalla loro totale mancanza di valore e di utilità. Ora, dietro queste considerazioni apparentemente capaci di intenerire si nascondono delle considerazioni pseudo-scientifiche con forti connotati eugenici e razzisti. La compassione è qui manipolata a vantaggio di un programma politico che è la negazione stessa stessa della compassione.
7) Nel caso di Recife (11), abbiamo potuto osservare un caso flagrante di compassione menzognera. In sintesi, occorreva dar prova di compassione nei riguardi dei medici che avevano praticato un doppio aborto diretto. Bisognava tenere nascosta questa vicenda come se ne tengono nascoste altre (12). Ora, la letteratura medica riporta delle situazioni simili a quella vissuta da "Carmen", la bambina di Recife, ma in cui la vera compassione si è espressa nei riguardi delle giovanissime madri e dei loro figli. La stampa medica dava già conto, nel 1959, dell'esistenza di una trentina di casi conosciuti di gravidanze molto precoci, spesso prima dei 12 anni di età. Il caso più noto è quello di una giovane peruviana, Lina Medina, nata nel 1933, che ebbe le sue prime regole all'età di 8 mesi (sic). All'età di 5 anni e 8 mesi (sic) ella diede alla luce un bambino, Geraldo, che, nel 1954, aveva 15 anni mentre la sua mamma ne aveva 20. I medici avevano diagnosticato, nella madre, una pubertà precoce costituzionale, non patologica.
Ciò che va rimarcato, nella storia di Lina Medina, è precisamente che sono stati i medici a constatare che la gravidanza della bambina non aveva niente di patologico. L'eventualità di un aborto non fu mai presa in considerazione. I medici hanno al contrario dato prova di compassione vera nei riguardi della madre e del suo bambino. Notiamo che questa madre vive tuttora nella periferia di Lima, in Perù. Fino ad oggi, ella non ha mai rivelato il nome del padre di suo figlio. Questo era nato per parto cesareo ed è morto nel 1979 all'età di 40 anni (13).
L'articolo pubblicato da "La Presse Médicale", nella sua edizione del 13 maggio 1939, precisa che il parto, con taglio cesareo, fu operato dal dottor Geraldo Lozada. Il breve articolo del 13 maggio sottolinea che
"La piccola Lina è circondata da cure minuziose. Un comitato di donne si è costituito per assicurare per il presente e per l'avvenire le cure e le condizioni materiali della vita della piccola mamma e del suo futuro bebè".
L'articolo del 31 maggio 1939, anch'esso del dottor Escobel, si richiama anch'esso alla compassione:
"Si spera che lo Stato e il Focolare della Madre proteggano questa sfortunata bambina, che ha creato in tutti i cuori un moto di simpatia e di pietà, tanto più che il suo piccolo è nato il giorno stesso in cui la nazione peruviana celebrava la Festa della Mamma".
8) A motivo della sua gravità, anche l'Aids è una malattia che invita alla compassione. Degli organismi pubblici e privati si sono specializzati nella prevenzione e/o nel trattamento di questa malattia. Dei centri di accoglienza e di cura sono stati fondati per accogliere, curare e accompagnare fino alla fikne le persone colpite da questo male. Delle congregazioni religiose, specializzate nelle cure sanitarie, hanno adattato i loro programmi alle situazioni nuove create dalla diffusione di questa pandemia. L'esempio della beata Madre Teresa di Calcutta ha fatto scuola. Ma non tutti sono ispirati dalla compassione esemplare di Madre Teresa.
Nel marzo del 2009, sull'aereo che lo portava in Africa, papa Benedetto XVI è stato attaccato da dei giornalisti perché aveva osato dichiarare che il preservativo non era veramente la soluzione del problema. Sempre pronta ad arricchire la collezione della "storie belge", la camera dei rappresentanti [di Bruxelles], ivi compresi diversi mandatari "cristiani", ha condannato le dichiarazioni "irresponsabili" e "inaccettabili" del papa. È mancato poco che gli onorevoli deputati convocassero una riunione d'urgenza del consiglio di sicurezza dell'ONU! Grazie a Dio, il senato belga non ha seguito la camera dei rappresentanti nel suo delirio anticristiano.
Ma questa stessa camera avrebbe comunque potuto rivendicare la cauzione di qualche eminente ecclesiastico. Tra essi, dei cardinali molto presenti sui media, i cui nomi sono ben noti, hanno curiosamente raccomandato l'uso del preservativo presentando questo come un male minore, il male più grande da evitare essendo il pericolo di contagio mortale in caso di non ricorso a questa precauzione. Il motivo invocato è dunque la compassione.
L'argomentazione di sviluppa abitualmente come segue: essendo la pulsione sessuale irresistibile e incontrollabile, l'uso del preservativo è il solo mezzo efficace per evitare l'Aids. Basta poco perché certi "moralisti" arrivino fino a invocare il quinto comandamento di Dio, "Tu non ucciderai", per presentare l'uso del preservativo come un obbligo morale! Altri moralisti o pastori sviluppano una variante di questa argomentazione: insegnano a peccare senza rischio.
Nel caso dell'Aids, la compassione è dunque invocata a due titoli differenti. Certo, la compassione si rivolge anzitutto ai malati colpiti da questa terribile malattia. Come per tutti quelli che soffrono malattie molto gravi, bisogna badare a che le loro sofferenze siano alleviate, a che essi ricevano le cure igieniche di cui hanno bisogno; occorre dire a loro delle parole di tenerezza: dire a loro la tenerezza degli uomini, ma anche la tenerezza di Dio. Ma nel caso di cui ci stiamo occupando, la compassione è anche invocata in modo menzognero: Il preservativo si impone – si insinua – a motivo dell'incontrollabilità della passione degli uomini, della loro assenza di libertà rispetto alle pulsioni che li assalgono.
Non è nostra intenzione riprendere qui le discussioni sull'Aids, le sue cause, il sjuo trattamento, ecc. Due constatazioni dovrebbero tuttavia far riflettere gli zelatori della falsa compassione. Ricordiamo anzitutto che basta consultare le riviste dei consumatori per apprendere che i preservativi non sono sicuri al 100 per cento. Se non lo sono al 100 peer cento per la contraccezione, perché lo sarebbero per impedire la trasmissione dell'Aids?
Ma c'è un altro aspetto del problema, largamente misconosciuto da molti eminenti pastori-teologi. È quello che gli economisti chiamano effetto rimbalzo. L'immagine della palla che rimbalza è in effetti suggestiva: al termine di una prima parabola, essa tocca il suolo, ma per ripartire subito verso l'alto e più lontano. Due esempi familiari faranno comprendere di che cosa si tratta. L'arrivo delle lampadine economiche è stato salutato con entusiasmo: una lampadina economica di 11 watt fa altrettanta luce di una lampadina classica di 60 watt. Si potrebbe esclamare: "Che risparmio!". In realtà, si osserva che a motivo del basso consumo di queste lampadine le gente tende a illuminare di più le proprie case moltiplicando le lampadine e aumentando le ore di illuminazione. Le lampadine economiche compensano così i risparmi che esse avrebbero dovuto comportare; esse possono anzi produrre un aumento del consumo di energia.
Altro esempio: alcune automobili, prima dotate di un motore vorace, sono oggi dotate di motori particolarmente sobri. Anche qui, la gente dice: "Che risparmio!". Ma poiché l'auto consuma, poniamo, 5 litri di benzina invece degli 8 litri dell'auto precedente, la gente scoprirà che viaggiare è diventato meno caro e viaggeranno più di quanto facevano con la loro vecchia macchina. Si viaggia di più con una macchina che consuma di meno. Ne risulta che il risparmio ottenuto con il motore di nuova generazione è compensato da un aumento del numero dei chilometri percorsi e spesso dall'aumento della velocità alla quale si aveva l'abitudine di guidare.
Un terzo esempio di rimbalzo è segnalato da Jacques Suaudeau (14). Da quando le cinture di sicurezza sono diventate obbligatorie in Inghilterra, si è constatato con sorpresa che il numero di incidenti e di vittime è aumentato. Uno studio attento ha rilevato che gli automobilisti credevano di trovare una maggiore sicurezza allacciando le cinture. Ma essi affrontavano anche più rischi, correvano più velocemente di prima. Il beneficio che si attendeva dall'uso delle cinture è stato compensato da un'accresciuta assunzione di rischi.
Il fenomeno del rimbalzo si osserva anche nell'utilizzo del preservativo e nell'incidenza di questo utilizzo sulla diffusione della malattia. Gli eminenti moralisti dovranno tener conto di questo fenomeno. La grancassa mediatica che incita a ricorrere al preservativo per limitare la diffusione dell'Aids ha un effetto perverso: il preservativo dà un falso senso di sicurezza. Ricorrendovi, chi lo utilizza tende a compensare il rischio diminuito dal preservativo moltiplicando i rapporti rischiosi più di quanto lo facesse abitualmente, cambiando i partner, variando i rapporti e avendo le prime relazioni sessuali sempre più presto.
Notiamo che è ciò che ha spiegato il dottor Edward C. Green il 19 marzo 2009, dopo il linciaggio mediatico di cui il papa è stato oggetto in occasione del suo viaggio in Africa:
"I nostri migliori studi [...] mettono in evidenza un'associazione costante tra una maggiore disponibilità e un maggiore uso del condom e un tasso più elevato (non più basso) di contagio dell'Aids. Ciò può essere dovuto in parte a un fenomeno conosciuto come compensazione del rischio, che significa che quando si utilizza una 'tecnologia' che riduce il rischio, come i condom, si perde spesso il beneficio (la riduzione del rischio) 'compensando' o affrontando rischi più grandi di quelli che si affrontavano senza la tecnologia chje riduce il rischio" (15).
Ecco ancora, a proposito dell'Aids, un esemlio rimarchevole di "compassione" menzognera e violenta. Menzognera poiché poggiata su asserzioni delle quali una persona appena un poco informata può rilevare la falsità. Violenta, poiché nel nome di premesse false si spinge obiettivamente a prendere il rischio di morire e di dare la morte.
9) Si può dare la comunione a dei parlamentari che si dichiarano pubblicamente a favore dell'aborto? A questa domanda, alcuni pastori hanno dato praticamente o teoricamente una risposta affermativa. Bisognerebbe, si dice, avere compassione per questi parlamentari, dilaniati interiormente. Come cristiani, essi dicono, sono certo contrari all'aborto; ma nel dibattito in parlamento votano per la sua legalizzazione. Questi rappresentanti, si dicde, vivono un dramma di coscienza e non bisognerebbe respingerli se si presentano per ricevere la santa comunione. Delle situazioni analoghe si presentano, ad esempio, per dei medici che notoriamente praticano degli aborti, per dei magistrati, dei responsabili politici, ecc. Tutti avrebbero bisogno di conforto spirituale e dovrebbero poter avvicinarsi alla Santa Mensa.
Alcune prese di posizione recenti mostrano che la Chiesa non può approvare questa pseudo-compassione. Citiamone due:
a. Nel novembre del 2009 Juan Antonio Martínez Camino, gesuita, vescovo ausiliare di Madrid e segretario generale della conferenza episcopale spagnola, ricorda che approvando e votando una legge favorevole all'aborto i battezzati si mettono oggettivamente in stato di peccato mortale (16). Coloro che promuovono tali leggi peccano pubblicamente e non possono essere ammessi alla Santa Mensa. Per essere sicuro di essere ben capito, il vescovo ausiliare di Madrid aggiunte che chi afferma che è lecito togliere la vita a un essere umano innocente cade nell'eresia e incorre nella scomunica "latae sententiae" (17).
Il 27 novembre del 2009 l'assemblea plenaria della conferenza episcopale spagnola pubblicava una dichiarazione secondo cui i politici che votano una proposta di legge che liberalizzi l'aborto in Spagna si pongono essi stessi in "uno stato di peccato oggettivo, e se questa situazione si prolunga non possono essere ammessi alla santa comuniione" (18).
b. Domenica 22 novembre 2009 (19) Patrick Kennedy, membro democratico della camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, annuncia che il vescovo di Providence, Thomas J. Tobin, l'ha pregato di astenersi dal ricevere la santa comunione e ha invitato i preti della sua diocesi a non dargliela. Bisogna ricordare che qualche tempo prima di questo divieto, il congressista Patrick Kennedy aveva dichiarato pubblicamente la sua opposizione all'insegnamento della Chiesa sul rispetto della vita.
10) Le trappole della compassione che abbiamo passato in rassegna hanno fatto l'oggetto di parecchie dichiarazioni della più alta importanza da parte di Sua Eccellenza Mons. Raymond L. Burke, prefetto del supremo tribunale della segnatura apostolica e arcivescovo emerito di Saint Louis MO, negli USA. Ci limiteremo a presentare tre di questi documenti.
a. Venerdì 3 maggio 2009 l'arcivescovo Burke pronunciava il discorso principale dell'incontro "Digiuno e Preghiera" che riunisce dei cattolici per pregare per la nazione americana. Questo discorso ha per titolo "Gli insegnamento della Chiesa cattolica" (20). Il prefetto vi analizza le pratiche ostili alla vita, al matrimonio e alla famiglia.
Denunciando la falsa compassione nell'azione dei poteri pubblici, l'arcivescovo sottolinea che gli attacchi contro la vita, il matrimonio e la famiglia minano i fondamenti sui quali sono costruite la nazione americana e le nazioni attaccate a questi stessi fondamenti. Richiama i cattolici – siano essi medici, politici, uomini d'affari, ecc. – a rispettare la legge naturale e la legge divina, che sono nel cuore dell'insegnamento della Chiesa. L'arcivescovo invita alla preghiera, al digiuno, alla confessione, alla santa comunione perché il Signore illumini i leader. Un'attenzione speciale deve essere riservata, nelle università e negli istituti di educazione cattolica, ai giovani. Questi devono essere preparati a riconoscere che là dove Dio è rigettato, la secolarizzazione e il relativismo aprono la porta a leggi e programmi politici immorali. Al contrario, bisogna spingere i legislatori e gli elettori a correggere le leggi gravemente ingiuste.
Infine, "che un dottorato honoris causa sia stato conferito dall'università di Notre Dame a un presidente che promuove aggressivamente un'agenda anti-vita e anti-famiglia è fonte del più grande scandalo".
b. Il 18 settembre 2009 ,'arcivescovo Burke prendeva la parola al XIV banchetto annuale di partenariato organizzato da "Inside Catholic" (21). Questo discorso è stato pubblicato sotto forma di articolo in "Crisis Magazine", nella data del 26 settembre 2009. Ha per titolo "Riflessioni sulla battaglia per promuovere la cultura della vita".
L'arcivescovo di offre qui un discorso di una forza eccezionale. Ecco, citate liberamente, alcune idee forza di questo discorso:
"È impossibile essere cattolici praticanti se, nella propria condotta, qualcuno sostiene il diritto all'aborto o il diritto al matrimonio di persone dello stesso sesso. Dobbiamo riconoscere lo scandalo dato da cristiani che omettono di far rispettare la legge mortale naturale nella vita pubblica. Questa omissione ingenera la confusione e induce in errore tutti i cittadini. Con le nostre azioni e le nostre omissioni possiamo condurre degli uomini e delle donne a compiere il male e a peccare, così come a nuocere gravemente ai fratelli, alle sorelle, alla nazione. Nostro Signore è stato inequivoco nel condannare coloro che, con le loro azioni, provocheranno un vero scandalo, cioè precipiteranno gli altri nella confusione o li condurranno a peccare (22). È per questo che la disciplina della Chiesa vieta di dare la santa comunione e di celebrare i funerali religiosi a coloro che persistono, dopo essere stati ammoniti, nel violare gravemente la legge divina (23). Certo, la Chiesa affida ogni anima alla misericordia di Dio [...], ma questo non la dispensa dal proclamare la verità della legge divina. Quando qualcuno ha pubblicamente aderito e coopera a degli atti colpevoli, [...] anche il suo pentimento da tali azioni deve essere pubblico".
Chiamando le cose col loro nome, l'arcivescovo Burke non esita ad andare al fondo del problema:
"Si vede all'opera la mano del Padre della Menzogna nel poco di attenzione portata alla situazione di scandalo, o nel fatto che sono ridicolizzati o persino censurati coloro che subiscono gli effetti dello scandalo".
c. Il 29 settembre 2009 l'arcivescovo Burke interveniva per prendefre la difesa dei militanti pro-life che protestavano contro lo scandalo dei funerali grandiosi e molto pubblicizzati celebrati per il senatore Ted Kennedy (24). Questo senatorte "cattolico" si era spesso distinto per le sue posizioni inaccettabili in materia di rispetto della vita e della famiglia. Alcuni cattolici, presi da compassione per il senatore, se l'erano presa vivamente con i militanti pro-vita e pro-famiglia, accusandoli tra l'altro di rompere l'unità della Chiesa. La messa a punto dell'arcivescovo non doveva farsi attendere:
"Una delle ironie della situazione presente è che uno che prova scandalo di fronte ad azioni pubbliche gravemente colpevoli di un altro cattolico è accusato di mancare di carità e di causare una divisione nell'unità della Chiesa.
"In una società il cui pensiero è governato dalla 'tirannia del relativismo' e nella quale il politicamente corretto e il rispetto umano sono gli ultimi criteri di ciò che si deve fare e di ciò che si deve evitare, l'idea di indurre qualcuno in un errore morale ha poco senso. [...] Ciò che causa meraviglia in una tale società è il fatto che vi sono di quelli che omettono di osservare il politicamente corretto e che, per ciò stesso, sembrano perturbare la sedicente pace della società. Tuttavia, mentire od omettere di dire la verità non è mai un segno di carità".
Una domanda ineludibile
La pseudo-compassione, spesso invocata a favore di autori di atti in sé cattivi, come l'aborto, conduce dunque allo scandalo; invita gli altri a peccare gravemente. Lo scandalo è la prima cosa da evitare (25). La pseudo-compassione conduce anche all'eresia, alla divisione nella Chiesa, poiché incita i fedeli a staccarsi da un punto non negoziabile della dottrina della Chiesa: il dovere di rispettare la vita innocente. La pseudo-compassione potrebbe condurre a una situazione nella quale la dottrina della Chiesa e la morale naturale risulterebbero da una procedura consensuale e si formulerebbero in compromessi.
Alcuni, ingannati dalla pseudo-compassione nei riguardi di coloro che peccano pubblicamente contro la vita, ritengono che la Chiesa è, su queste questioni, troppo severa. La Chiesa, in effetti, si esprime con chiarezza: "Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti [...] e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto" (26). Ora, se si tiene presente il carattere menzognero e violento della pseudo-compassione, si ci si accorgerà subito che questa severità non è che apparente, che è essa stessa un'alta espressione della carità. Essa è un appello urgente al cambiamento di vita. Il rifiuto di dare la comunione per le ragioni che abbiamo richiamato non è che l'espressione dell'amore della Chiesa per i più deboli e l'invito al pentimento rivolto a coloro che rischiano di restare incatenati ai loro peccati e di incatenare gli altri.
Rimane una domanda delicata ma ineludibile. Poiché, nelle condizioni ricordate, la santa comunione deve essere rifiutata a un laico, il codice di diritto canonico prevede delle misure di sospensione, per il doppio motivo dello scandalo e dell'eresia, per i chierici che manifestano pubblicamente la loro pseudo-compassione per chi compie aborti?
Louvain-la-Neuve, gennaio 2010
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(1) "Le Monde" del 19 novembre 2009 titolava vistosamente in prima pagina: "Il peso della natalità minaccerebbe il clima". Il seguito di questo articolo dovuto a Grégoire Allix appariva a p. 4 sotto il titolo: "Limitare le nascite, un rimedio al pericolo climatico? La Nazioni Unite fanno appello alla presa in considerazione della questione demografica al vertice di Copenaghen".
(2) Cf. a questo proposito il nostro libro "La face cachée de l’ONU", pp. 61-70. Questo capitolo è intitolato: "La Carta della terra e l'imperativo ecologico". Vedi ciò che scrive san Paolo su questo tema, in Romani 8, 18-22.
(3) Il caso riguarda una bambina di 9 anni, "Carmen", stuprata dal suo patrigno e trovatasi incinta di due gemelli. Malgrado gli appelli alla compassione lanciati da Dom José Cardoso Sobrinho (all'epoca arcivescovo di Recife) a da suoi collaboratori, la bambina è stata sottoposta a un doppio aborto, tra l'altro sotto la pressione di movimenti femministi radicali. Curiosamente, Dom Cardoso è stato sconfessato da un dignitario ecclesiastico romano, che ha tentato di far valere che coloro che volevano proteggere i gemelli avevano mancato di "compassione" per i medici che avevano praticato l'aborto, i quali "avevano dovuto prendere una decisione difficile".
(4) Vedi a questo proposito "La Libre Belgique" del 14 novembre 2009 e "Le Monde" del 16 novembre 2009.
(5) Cf. Matteo 19, 1-9; Marco 10, 1-12; Luca 16, 18.
(6) Cf. in particolare Genesi. 1, 28; 2, 18-24; cf. Giovanni 1, 1.
(7) Cf. Matteo 19, 10.
(8) Cf. Genesi 19, 1-29; Romani 1.
(9) Cf. Luca 7, 36-50, o la scena che svolge a casa di un fariseo; 15, 3-32; 19, 1-10; 23, 40-43.
(10) In collaborazione con Klaudia Schank, abbiamo tradotto e presentato questo libro: "Euthanasie: Le dossier Binding et Hoche. Traduction de l'allemand, présentation et analyse de 'Libéraliser la destruction d'une vie qui ne vaut pas d'être vécue'. Texte intégral de l'ouvrage publié en 1922 à Leipzig", Paris, Éd. Le Sarment-Fayard, 2002, 138 pp. ISBN: 2-866-79329-3.
(11) Cf. sopra, n. 3.
(12) Vedi sopra, al n. 3, i casi di pedofilia.
(13) Vedi su questo tema "La plus jeune mère du monde", breve articolo in "La Presse médicale", Paris, 13 mai 1939, p. 744; vedi anche la lettera del dottor Edmundo Escobel (Lima), "La plus jeune mère du monde", in "La Presse médicale", Paris, 31 mai 1939, p. 875. Questo caso è anche riferito nel lavoro di Rodolfo Pasqualini, "Endocrinología", Buenos Aires, Editions El Ateneo, 1959. Vedi specialmente le pp. 684-686. Pasqualini cita l'articolo di Escobel a p. 686.
(14) Vedi Jacques Suaudeau, articolo "Sexualité sans risques", pp. 905-926 del "Lexique des termes ambigus et controversés" del consiglio pontificale per la famiglia, del 2005.
(15) Edward C. Green è direttore dell'AIDS Prevention Project allo Harvard Center for Population and Development Studies. Il testo citato si trova in http://www.lifesitenews.com/ del 19 marzo 2009, dove si trovano anche altre informazioni.
(16) Fonte: http://www.elmundo.es/, dispaccio del 12 novembre 2009. Vedi anche http://www.sectorcatolico.com/, dispaccio del 30 dicembre 2009.
(17) Cf. Codice di diritto canonico, 751; 1364, § 1; 1398.
(18) Cf. http://www.lifesitenews.com/, 27 novembre 2009. La posizione esente da ambiguità riaffermata dalla conferenza episcopale spagnola tramite il suo segretario generale Mons. Martínez Camino è stata di nuovo riaffermata da Isidoro Catela Marcos, direttore dell'ufficio informazioni della CEE. Vedi il sito ACI Prensa: http://www.aciprensa.com/, dispaccio del 4 gennaio 2010, che a sua volta rinvia a http://www.conferenciaepiscopal.es
(19) Vedi nel sito di "The Providence Journal": http://www.projo.com/ del 23 novembre 2009, l’articolo di John Mulligan, "Kennedy: Barred from Communion".
(20) Il testo completo si trova in http://www.lifesitenews.com/ dell'8 maggio 2009.
(21) Il testo è stato pubblicato dal sito internet http://insidecatholic.com con la data del 26 settembre 2009.
(22) Cf. Luca 17, 1-2.
(23) Codice di diritto canonico, 915; 1184, § 1, 3°.
(24) Cf. l’articolo di John-Henry Westen, "A Vatican Archbishop: Kennedy Funeral Critics Not Hurting Unity but Helping Church", su LifeSiteNews.com, 29 septembre 2009. Les citazioni sono tratte da questo articolo.
(25) Luca 17, 1 s.
(26) Cf. Canone 915.
“BRUCEREMO VIVO”
chi rappresenterà in tribunale
la famiglia di Shazia Bashir
Nessun legale intende assumere la difesa di Shazia Bashir, la giovane dodicenne cristiana morta in seguito alle violenze – anche sessuali – inflitte dal suo datore di lavoro, un ricco e potente avvocato musulmano di Lahore. La potente associazione degli avvocati di Latore (Lahore Bar Association), schierata a difesa dell’assassino, lancia minacce di morte e impedisce l’accesso all’aula di tribunale. Intanto vengono diffuse voci calunniose sulla ragazzina, secondo le quali l’adolescente sarebbe stata una povera malata di mente e che la famiglia di Shazia ora vuole approfittare della sua morte per fare soldi…
Lahore, avvocati musulmani: “bruceremo vivo” chi difende la 12enne cristiana uccisa - di Fareed Khan
Islamabad (AsiaNews) – A causa delle minacce lanciate dalla potente Lahore Bar Association – organizzazione che riunisce i legali della città – nessun avvocato cristiano o musulmano è pronto ad assumere le parti della difesa nell’omicidio della 12enne Shazia Bashir. È quanto denunciato ieri da un’associazione cristiana pakistana che si occupa di assistenza legale.
La ragazza, di fede cristiana, è morta il 23 gennaio scorso in seguito alle violenze – anche sessuali – inflitte dal suo datore di lavoro, un ricco e potente avvocato musulmano di Lahore. Il presunto assassino, Chaudhry Mohammad Naeem, è un ex-presidente della Lahore High Court Bar Association. La giovane, di soli 12 anni, negli ultimi sei mesi aveva lavorato come domestica nell’abitazione di Naeem.
Il Centre for Legal Aid Assistance And Settlement (Claas) denuncia l’impossibilità di accedere all’aula del tribunale dove si sono svolte le udienze a carico dell’imputato, perché un gruppo di avvocati musulmani (nella foto) ne ha “impedito l’ingresso”. L’associazione che si batte – a titolo gratuito – per la difesa dei diritti dei più poveri ed emarginati ha subito le minacce di migliaia di legali – amici dell’assassino – che promettono di “bruciare vivo chiunque voglia rappresentare la vittima in tribunale”.
M. Joseph Francis, direttore di Claas, chiede a membri della società civile, leader politici e religiosi di ribellarsi e assumere in prima persona l’iniziativa per “condannare questa nuova forma di terrorismo” ad opera di avvocati che “dovrebbero garantire la giustizia”. Il quotidiano pakistano The News riferisce che il 4 febbraio scorso la polizia ha condotto l’imputato davanti ai giudici fra “rigide misure di sicurezza”. E, come di consueto, gli agenti hanno impedito ai giornalisti e ai parenti della vittima di entrare in aula per “motivi di sicurezza”.
I familiari di Shazia Bashir non hanno potuto accedere al tribunale non una, ma tre volte; un fatto anomalo, per quanto concerne il sistema giudiziario pakistano. Gli ufficiali di polizia spiegano che “non sarebbe possibile” impedire scontri e violenze, nel caso in cui “i parenti di Shazia e i rappresentanti delle minoranze entrassero in aula”.
Nel frattempo Ashgar Ali, titolare dell’inchiesta, ha chiesto la comparizione dell’imputato davanti ai giudici e un prolungamento dei termini di custodia cautelare per altri sei giorni. Il magistrato aggiunge che non è ancora stata recuperata l’arma usata per il delitto e l’accusato potrebbe fornire i nomi dei complici, che hanno partecipato alle torture e all’omicidio della 12enne cristiana. Il tribunale, tuttavia, ha accolto in parte la richiesta, disponendo solo quattro giorni di carcere.
AsiaNews 06/02/2010 12:12
NUOVA SCOPERTA SULLO STATO VEGETATIVO - Profondamente disabili ma persone vive - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, il 7 febbraio 2010
L a possibilità di comunicare con persone in stato vegetativo, accertata con nuove tecniche di indagine come la risonanza magnetica funzionale, è senza dubbio una svolta negli studi di settore, tanto importante da determinare la scelta editoriale della rivista scientifica su cui il più recente studio è stato pubblicato: il New England Journal of Medicine ha infatti messo gratuitamente a disposizione nel suo sito Internet l’intero articolo, consentendone la diffusione completa e immediata in tutto il mondo.
Malgrado questo, i luoghi comuni sono duri a morire. E pure fra quanti in questi giorni hanno scritto e parlato del caso del giovane belga in stato vegetativo che ha risposto a tono con la propria attività cerebrale a domande precise dei medici, c’è chi ancora si ostina a ripetere che le persone in queste condizioni sono – appunto – nient’altro che vegetali: «Hanno dato voce a una pianta», esordiva uno degli articoli dedicati al tema dal Sole 24 Ore, pure ben documentato.
Ma parlare di queste persone come di «vegetali», oltre che offensivo nei confronti loro e delle rispettive famiglie, è totalmente inappropriato. L’espressione 'stato vegetativo' sta semplicemente a significare che nei pazienti continua a funzionare il sistema neurovegetativo, quello cioè che consente la respirazione, l’attività cardiaca e la circolazione.
Dal primo, storico lavoro di Adrian Owen, pubblicato nel 2006 su Science , si sono succedute nella letteratura scientifica evidenze di attività cerebrale di persone in stato vegetativo: a dimostrazione, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che siamo di fronte non a un limbo di non-morte/non-vita ma a una drammatica condizione della quale sappiamo assai poco, che riguarda persone profondamente disabili, e vive.
In realtà ce lo dicono da anni gli addetti ai lavori, come anche i familiari: difficilmente i canali di comunicazione con i pazienti sono totalmente venuti meno. L’espressione del viso cambia, si indovinano malessere o serenità, e qualche sorriso non si spiega solamente con contrazioni involontarie. Anche le risposte sono diverse a seconda che gli stimoli siano impersonali e di tipo meccanico, oppure siano prodotti all’interno di una relazione, possibilmente con una persona cara o comunque non estranea. Per capirci, un conto è far ascoltare una voce registrata, tutt’altro è sentirne vicina una conosciuta, di qualcuno che magari mentre parla ti accarezza. E questo ha tanto più valore se si sta a casa propria anziché in ospedale.
Che le persone in stato vegetativo non abbiano coscienza di sé, d’altra parte, è cosa impossibile da stabilire con certezza visto che non esiste la possibilità di misurare la coscienza, come invece possiamo fare, ad esempio, per altri parametri fisiologici, indicatori o meno di qualche stato patologico (dal colesterolo alla temperatura corporea). È proprio di questi giorni la notizia di uno studio dell’Università di Milano, in collaborazione con quella del Wisconsin, che ha come scopo trovare un modo per misurare oggettivamente il livello di coscienza in pazienti con gravi lesioni cerebrali, cercando di sviluppare un 'marcatore' quantificabile. Una ricerca importante per un obiettivo ambizioso, perseguibile solamente quando si è convinti che siamo al cospetto di persone indubbiamente vive anche se con possibilità e modalità a noi ancora sconosciute di interagire con il mondo esterno.
Per un singolare gioco del destino, lo studio con le nuove evidenze sugli stati vegetativi è stato pubblicato in prossimità del primo anniversario della morte di Eluana Englaro. Senza la sua drammatica vicenda sicuramente non ci sarebbe stata tanta attenzione verso un’analisi così specialistica anche da parte dei non addetti ai lavori. Fra le righe degli articoli che descrivono in questi giorni risultati così importanti si indovina una domanda, non esplicitata: chissà cosa sarebbe successo se fra le persone esaminate dai ricercatori ci fosse stata anche lei.