Nella rassegna stampa di oggi:
1) MEDITAZIONE DI BENEDETTO XVI SUL SIGNIFICATO DEL TEMPO QUARESIMALE - In occasione dell'Udienza generale del Mercoledì
2) Quaresima 2010. Le ceneri di papa Benedetto - Il suo cruccio è lo spegnersi della fede. Il suo programma è condurre gli uomini a Dio. Il suo strumento preferito è l'insegnamento. Ma la curia vaticana lo aiuta poco. E talvolta lo danneggia - di Sandro Magister
3) L’etica? Sta nel cuore non nella legge - di Tommaso Scandroglio – Avvenire, 18 febbraio 2010
4) EllaOne, ora serve una legge per l’obiezione - di Ilaria Nava – Avvenire, 18 febbraio 2010
5) Se la scienza guarda dall’altra parte – di Tommaso Gomez – Avvenire, 18 febbraio 2010
MEDITAZIONE DI BENEDETTO XVI SUL SIGNIFICATO DEL TEMPO QUARESIMALE - In occasione dell'Udienza generale del Mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 17 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale nell'aula Paolo VI, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha tenuto una meditazione sul significato del tempo quaresimale e in particolare su questo Mercoledì delle Ceneri.
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Cari fratelli e sorelle!
iniziamo oggi, Mercoledì delle Ceneri, il cammino quaresimale: un cammino che si snoda per quaranta giorni e che ci porta alla gioia della Pasqua del Signore. In questo itinerario spirituale non siamo soli, perché la Chiesa ci accompagna e ci sostiene sin dall’inizio con la Parola di Dio, che racchiude un programma di vita spirituale e di impegno penitenziale, e con la grazia dei Sacramenti.
Sono le parole dell’apostolo Paolo ad offrirci una precisa consegna: "Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio…Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" (2Cor 6,1-2). In verità, nella visione cristiana della vita ogni momento deve dirsi favorevole e ogni giorno deve dirsi giorno di salvezza, ma la liturgia della Chiesa riferisce queste parole in un modo del tutto particolare al tempo della Quaresima. E che i quaranta giorni in preparazione della Pasqua siano tempo favorevole e di grazia lo possiamo capire proprio nell’appello che l’austero rito dell’imposizione delle ceneri ci rivolge e che si esprime, nella liturgia, con due formule: "Convertitevi e credete al vangelo!", "Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai".
Il primo richiamo è alla conversione, parola da prendersi nella sua straordinaria serietà, cogliendo la sorprendente novità che essa sprigiona. L’appello alla conversione, infatti, mette a nudo e denuncia la facile superficialità che caratterizza molto spesso il nostro vivere. Convertirsi significa cambiare direzione nel cammino della vita: non, però, con un piccolo aggiustamento, ma con una vera e propria inversione di marcia. Conversione è andare controcorrente, dove la "corrente" è lo stile di vita superficiale, incoerente ed illusorio, che spesso ci trascina, ci domina e ci rende schiavi del male o comunque prigionieri della mediocrità morale. Con la conversione, invece, si punta alla misura alta della vita cristiana, ci si affida al Vangelo vivente e personale, che è Cristo Gesù. E’ la sua persona la meta finale e il senso profondo della conversione, è lui la via sulla quale tutti sono chiamati a camminare nella vita, lasciandosi illuminare dalla sua luce e sostenere dalla sua forza che muove i nostri passi. In tal modo la conversione manifesta il suo volto più splendido e affascinante: non è una semplice decisione morale, che rettifica la nostra condotta di vita, ma è una scelta di fede, che ci coinvolge interamente nella comunione intima con la persona viva e concreta di Gesù. Convertirsi e credere al Vangelo non sono due cose diverse o in qualche modo soltanto accostate tra loro, ma esprimono la medesima realtà. La conversione è il "sì" totale di chi consegna la propria esistenza al Vangelo, rispondendo liberamente a Cristo che per primo si offre all’uomo come via, verità e vita, come colui che solo lo libera e lo salva. Proprio questo è il senso delle prime parole con cui, secondo l’evangelista Marco, Gesù apre la predicazione del "Vangelo di Dio": "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo" (Mc 1,15).
Il "convertitevi e credete al vangelo" non sta solo all’inizio della vita cristiana, ma ne accompagna tutti i passi, permane rinnovandosi e si diffonde ramificandosi in tutte le sue espressioni. Ogni giorno è momento favorevole e di grazia, perché ogni giorno ci sollecita a consegnarci a Gesù, ad avere fiducia in Lui, a rimanere in Lui, a condividerne lo stile di vita, a imparare da Lui l’amore vero, a seguirlo nel compimento quotidiano della volontà del Padre, l’unica grande legge di vita. Ogni giorno, anche quando non mancano le difficoltà e le fatiche, le stanchezze e le cadute, anche quando siamo tentati di abbandonare la strada della sequela di Cristo e di chiuderci in noi stessi, nel nostro egoismo, senza renderci conto della necessità che abbiamo di aprirci all’amore di Dio in Cristo, per vivere la stessa logica di giustizia e di amore. Nel recente Messaggio per la Quaresima ho voluto ricordare che "Occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del "mio", per darmi gratuitamente il "suo". Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Grazie all’amore di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia "più grande", che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare" (L'Oss. Rom. 5 febbraio 2010, p. 8).
Il momento favorevole e di grazia della Quaresima ci mostra il proprio significato spirituale anche attraverso l’antica formula: Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai, che il sacerdote pronuncia quando impone sul nostro capo un po’ di cenere. Veniamo così rimandati agli inizi della storia umana, quando il Signore disse ad Adamo dopo la colpa delle origini: "Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!" (Gen 3,19). Qui, la parola di Dio ci richiama alla nostra fragilità, anzi alla nostra morte, che ne è la forma estrema. Di fronte all’innata paura della fine, e ancor più nel contesto di una cultura che in tanti modi tende a censurare la realtà e l’esperienza umana del morire, la liturgia quaresimale, da un lato, ci ricorda la morte invitandoci al realismo e alla saggezza, ma, dall’altro lato, ci spinge soprattutto a cogliere e a vivere la novità inattesa che la fede cristiana sprigiona nella realtà della stessa morte.
L’uomo è polvere e in polvere ritornerà, ma è polvere preziosa agli occhi di Dio, perché Dio ha creato l’uomo destinandolo all’immortalità. Così la formula liturgica "Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai" trova la pienezza del suo significato in riferimento al nuovo Adamo, Cristo. Anche il Signore Gesù ha liberamente voluto condividere con ogni uomo la sorte della fragilità, in particolare attraverso la sua morte in croce; ma proprio questa morte, colma del suo amore per il Padre e per l’umanità, è stata la via per la gloriosa risurrezione, attraverso la quale Cristo è diventato sorgente di una grazia donata a quanti credono in Lui e vengono resi partecipi della stessa vita divina. Questa vita che non avrà fine è già in atto nella fase terrena della nostra esistenza, ma sarà portata a compimento dopo "la risurrezione della carne". Il piccolo gesto dell’imposizione delle ceneri ci svela la singolare ricchezza del suo significato: è un invito a percorrere il tempo quaresimale come un’immersione più consapevole e più intensa nel mistero pasquale di Cristo, nella sua morte e risurrezione, mediante la partecipazione all’Eucaristia e alla vita di carità, che dall’Eucaristia nasce e nella quale trova il suo compimento. Con l’imposizione delle ceneri noi rinnoviamo il nostro impegno di seguire Gesù, di lasciarci trasformare dal suo mistero pasquale, per vincere il male e fare il bene, per far morire il nostro "uomo vecchio" legato al peccato e far nascere l’"uomo nuovo" trasformato dalla grazia di Dio.
Cari amici! Mentre ci apprestiamo ad intraprendere l’austero cammino quaresimale, vogliamo invocare con particolare fiducia la protezione e l’aiuto della Vergine Maria. Sia Lei, la prima credente in Cristo, ad accompagnarci in questi quaranta giorni di intensa preghiera e di sincera penitenza, per arrivare a celebrare, purificati e completamente rinnovati nella mente e nello spirito, il grande mistero della Pasqua del suo Figlio.
Buona Quaresima a tutti!
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Monterotondo, esortandoli e testimoniare generosamente il Vangelo, sull’esempio del loro patrono sant’Antonio abate. Saluto i rappresentanti dell’Unione Cattolica Insegnanti Medi, di Leporano e quelli della Federazione Italiana Hockey. A ciascuno assicuro il mio ricordo nella preghiera, all'inizio di questo tempo quaresimale.
Saluto con affetto, in modo speciale, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Cari giovani, vi esorto a vivere la Quaresima con un autentico spirito penitenziale, come un ritorno al Padre, che tutti attende a braccia aperte. Cari malati, vi incoraggio ad offrire le vostre sofferenze insieme con Cristo per la conversione di quanti ancora si trovano lontano da Dio; ed auguro a voi, cari sposi novelli, di costruire con coraggio e generosità la vostra famiglia sulla salda roccia dell'amore divino.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
Quaresima 2010. Le ceneri di papa Benedetto - Il suo cruccio è lo spegnersi della fede. Il suo programma è condurre gli uomini a Dio. Il suo strumento preferito è l'insegnamento. Ma la curia vaticana lo aiuta poco. E talvolta lo danneggia - di Sandro Magister
ROMA, 17 febbraio 2010 – Oggi, mercoledì delle ceneri, ha inizio la Quaresima secondo il rito romano. E il vescovo di Roma vi entra, come ogni anno, con le ceneri sul capo, con una processione penitenziale e con una messa celebrata nell'antica basilica di Santa Sabina all'Aventino.
La Quaresima è oggi molto sbiadita nella mentalità diffusa dell'Occidente, dove fa più notizia il Ramadan musulmano. Ma a Benedetto XVI, visibilmente, preme ridare senso e vigore a questo tempo di preparazione alla Pasqua.
Quest'anno, oltre che con il messaggio ai fedeli riprodotto più sotto, con l'omelia del mercoledì delle ceneri e con l'udienza generale dello stesso giorno, papa Joseph Ratzinger apre la Quaresima anche con una doppia "lectio divina". La prima l'ha tenuta pochi giorni fa ai seminaristi di Roma, la seconda la terrà domani ai preti della diocesi.
La "lectio divina" è una riflessione sul senso delle Sacre Scritture fatta scegliendo un passo biblico e commentandolo. Papa Benedetto usa dettarla a braccio, con lo stile degli antichi Padri delle Chiesa e dei grandi maestri teologi del Medioevo, ma sempre con lo sguardo attento alla cultura di oggi.
Venerdì scorso, 12 febbraio, commentando ai seminaristi di Roma un passo del capitolo 15 del Vangelo di Giovanni, il papa ha riferito di una lettera scrittagli da un professore dell'università di Ratisbona, che contestava la visione cristiana di Dio.
Benedetto XVI ha detto d'aver ravvisato nelle obiezioni di questo professore "l’eterna tentazione del dualismo, cioè che forse non c’è solo un principio buono, ma anche un principio cattivo, un principio del male, e che il Dio buono è solo una parte della realtà".
Ed ha aggiunto:
"Anche nella teologia, compresa quella cattolica, si diffonde attualmente questa tesi: Dio non sarebbe onnipotente. In questo modo si cerca un’apologia di Dio, che così non sarebbe responsabile del male che troviamo ampiamente nel mondo. Ma che povera apologia! Un Dio non onnipotente! Il male non sta nelle sue mani! E come potremmo affidarci a questo Dio? Come potremmo essere sicuri nel suo amore se questo amore finisce dove comincia il potere del male?".
È impressionante la similitudine tra queste parole del papa e ciò che ha detto Robert Spaemann, un filosofo tedesco da lui molto stimato, al convegno internazionale su Dio promosso a Roma lo scorso dicembre dalla conferenza episcopale italiana:
"Chi crede in Dio, crede che la potenza assoluta e il bene assoluto abbiano lo stesso riferimento: la santità di Dio. Gli gnostici dei primi secoli cristiani negavano questa identità. Essi attribuivano i due predicati a due divinità, una potenza cattiva, il 'deus universi', dio e creatore di questo mondo, e un dio che è luce, che appare da lontano nell’oscurità di questo mondo. [...] È importante sottolineare questo oggi, dove addirittura i sacerdoti, anziché invocare su di noi la benedizione del Dio onnipotente, parlano soltanto di 'Dio buono'. Il discorso sulla bontà di Dio, su Dio che è amore, smarrisce il suo punto sconvolgente, se passa sotto silenzio chi è colui di cui si dice che Egli è amore, se cioè passa sotto silenzio che Egli è la potenza che guida la nostra esistenza e il mondo. [...] Se il bene non appartenesse all’essere, l’essere non sarebbe tutto, non sarebbe cioè la totalità. [...] Ma vale anche il contrario: se il bene fosse impotenza, allora non sarebbe il bene tout court. Poiché l’impotenza del bene non è bene. La fede nella potenza del bene è ciò che ci consente di abbandonarci attivamente alla realtà, senza dover temere che in un mondo assurdo anche ogni buona intenzione sia giudicata come una assurdità".
Dall'attenzione fortissima data a tale questione è sempre più evidente che Benedetto XVI ha davvero assunto come "priorità" del suo pontificato quella "di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio" (così nella sua lettera ai vescovi del 10 marzo 2009). Priorità da lui recentemente ribadita nel proposito di "aprire un cortile dei gentili" per tutti i cercatori di Dio.
In Ratzinger è cioè sempre più manifesta la volontà di concentrare la sua missione di papa nella predicazione orale e scritta. Una predicazione di grande vigore dottrinale, mirata a consolidare i fondamenti della dottrina e a "confermare" nella fede una Chiesa ampiamente tentata da visioni spiritualizzate e riduttive sia di Dio che di Gesù e dei dogmi cristiani.
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In questa impresa audace, stupisce però che a papa Ratzinger non sia dato un sostegno adeguato, da parte della sua curia.
Il comunicato della segreteria di Stato del 9 febbraio scorso è l'ultimo segno di questo dislivello tra il magistero del papa e l'operato della macchina vaticana.
Chiamare in causa il papa e farsi scudo di lui per smentire un passaggio di carte dal Vaticano a un giornale, l'utilizzo di un gendarme pontificio come postino e la paternità curiale di un articolo con firma fittizia, sullo sfondo di una vicenda che comunque resta intatta nei suoi tratti sostanziali di conflitto tra la segreteria di Stato e la conferenza episcopale italiana – conflitto al quale il papa era ed è superiore e da nessuno accusato – è parso a molti come un atto fuori misura. Non solo slegato, ma in contrasto stridente con la qualità e i contenuti del magistero di papa Benedetto, a dispetto dell'approvazione formale da lui data alla pubblicazione del comunicato e della fiducia da lui rinnovata ai suoi collaboratori.
Di tale vicenda www.chiesa ha dato conto pochi giorni fa.
L’etica? Sta nel cuore non nella legge - di Tommaso Scandroglio – Avvenire, 18 febbraio 2010
Rivolgendosi sabato scorso all’assemblea generale dell’Accademia Pontificia per la Vita, il Santo Padre è stato chiaro: lo Stato non può essere fonte dell’etica. Dove allora rintracciare la sorgente della morale? Nell’uomo, nel cuore dell’uomo. Ognuno di noi tende per natura a certi beni: la vita, la salute, la proprietà, la conoscenza, etc. Noi abbiamo bisogno di tutto ciò, in noi c’è una sete naturale di bene che deve essere appagata soddisfacendo queste esigenze.
Ecco perché, per esempio, ogni uomo può rivendicare il bene della vita come diritto, cioè come pretesa che nessuno lo possa uccidere. La natura umana è quindi fonte dei diritti fondamentali: tutti noi veniamo ad esistenza con in dote un paniere ricchissimo di questi diritti naturali. Lo Stato deve perciò riconoscere tali diritti, non assegnarli, proprio perché queste esigenze fondamentali precedono lo Stato, sono anteriori ad esso. Se la dignità della persona umana fungesse da bussola, da stella polare per chi governa, si eviterebbe di incappare nelle maglie di uno 'Stato etico'. Cioè da una parte, come alludeva il Papa, si scongiurerebbe il pericolo di uno Stato che impone una propria
Ecco perché lo Stato non può essere la fonte della morale, ma occorre rifarsi alla legge naturale. Altrimenti tutto è permesso, qualsiasi delitto ai danni dell’uomo può diventare lecito
visione 'etica' in contrasto con il bene oggettivo dell’uomo. Facile esempio in tal senso è il nazionalsocialismo, dove a suon di deportazioni si comandava il precetto che non tutti gli uomini sono uguali. Ma lo 'Stato etico', nel senso deteriore del termine, è anche quello che rende legittime, senza obbligare nessuno, alcune condotte contrarie alla legge naturale. Pensiamo alla legge 194 che ha introdotto l’aborto procurato nel nostro Paese, classico esempio di legge ingiusta. 'Stato etico ' infine è anche quello che dovrebbe vietare e quindi sanzionare certi comportamenti contrari alla dignità dell’uomo, ma che non lo fa. Attualmente il nostro ordinamento giuridico punisce con il carcere l’eutanasia, intesa sia come omicidio del consenziente che come aiuto al suicidio. Una legge, la quale sancisse in modo soft che ognuno può fare della propria vita quello che gli pare e depenalizzasse l’eutanasia, sarebbe una legge gravemente contraria alla legge morale naturale perché in contrasto con quella norma scolpita a lettere di fuoco nel nostro intimo che comanda: 'Non ucciderti!'. Questo ci porta a dire che compito dello Stato non è assegnare, con spirito liberalista, una serie infinita di salvacondotti a chi ne facesse richiesta, tanti quanti sono i desideri dell’uomo. Vuole abortire, morire, divorziare? Prego si accomodi, l’accontentiamo subito con una bella legge, una bella licenza per fare ciò che più l’aggrada. Non è questo il suo compito, ma è comprendere come è fatto l’uomo, scoprire quale è il suo bene oggettivo e di conseguenza impegnarsi per garantirlo e tutelarlo anche attraverso comandi e divieti.
Thomas Hobbes, filosofo inglese vissuto a cavallo tra ’500 e ’600, asseriva invece che è l’autorità e non la verità a fare la legge. In parole povere è lo Stato a decidere cosa è bene e cosa è male per il cittadino. Non esiste una verità morale già presente nell’uomo a cui il governante deve riferirsi per bene operare, ma – come afferma la Relazione al Titolo preliminare del Codice Napoleonico – è la legge che crea le realtà. E così può accadere che per dettato legislativo un embrione non è un essere umano e un malato terminale non è più persona.
Allora parafrasando Dostojevski potremmo concludere che se non c’è la legge naturale tutto è permesso.
EllaOne, ora serve una legge per l’obiezione - di Ilaria Nava – Avvenire, 18 febbraio 2010
La pillola dei cinque giorni dopo è destinata a entrare in commercio anche in Italia dopo il via libera dell’Agenzia europea del farmaco e della Commissione Ue Ma i farmacisti reclamano un intervento legislativo sulla possibilità di non vendere un tale medicinale abortivo. Un vuoto che il Parlamento è chiamato a colmare
Non è ancora arrivata nelle farmacie italiane EllaOne, la pillola dei cinque giorni dopo, da assumere entro 120 ore dal rapporto sessuale, ma lo sarà presto. La procedura di autorizzazione e immissione in commercio a livello europeo scelta da Hra Pharma è quella centralizzata, che consiste nella presentazione all’Emea, l’agenzia europea del farmaco, di una richiesta valida per tutti i Paesi dell’Unione. Un iter che si è concluso positivamente due mesi fa, con il rilascio dell’autorizzazione da parte della Commissione europea dopo il via libera dell’Emea. Questa procedura implica, quindi, che tutti gli Stati dell’Ue debbano necessariamente immettere il nuovo prodotto sul mercato e anche recepire la classificazione farmaceutica compiuta a livello centralizzato.
Nessuna autorizzazione o ratifica, quindi, sembra spetti all’Agenzia italiana del farmaco, dal momento che EllaOne arriverà in direttamente in farmacia non appena l’azienda produttrice lo deciderà.
A proposito di quest’ultimo aspetto, si sa che EllaOne è stata registrata dall’Emea come «contraccettivo femminile d’emergenza» e non come abortivo e l’Italia dovrà quindi adeguarsi a tale classificazione.
farmaco. Di qui la necessità che il Parlamento approvi una normativa che da un lato consenta al farmacista di appellarsi alla propria coscienza individuale, come previsto dal Codice deontologico della categoria, dall’altro garantisca al cittadino la reperibilità di ogni tipo di farmaco la cui distribuzione sia autorizzata dallo Stato».
Ora la Fofi dovrà fare i conti con questo nuovo prodotto e anche dalla Federazione fanno sapere che la questione verrà affrontata, nel rispetto di tutti, quando EllaOne sarà effettivamente disponibile sui banchi delle farmacie italiane.
«Il fatto che la donna ha 5 giorni di tempo per assumere EllaOne – afferma Piero Uroda, presidente dell’Unione cattolica farmacisti italiani – dovrebbe facilitare il farmacista nella possibilità di obiettare, perché viene meno il requisito dell’urgenza e si dovrebbe riuscire a bilanciare meglio l’interesse della donna a ottenere la pillola con quello del farmacista che si rifiuta di vendere un prodotto abortivo. In ogni caso il farmacista è tutelato dalla legge 194, che consente l’obiezione agli esercenti le professioni sanitarie. La tutela riguarda chi è chiamato a praticare l’aborto e non importa se esso viene fatto in ospedale o in farmacia». Uroda sta pagando in prima persona questa scelta, che rende un intervento legislativo ancora più necessario, dal momento che è in corso un processo a suo carico per essersi rifiutato di vendere la pillola del giorno dopo: «C’è anche un altro collega di Roma che è stato denunciato, ma la cosa curiosa è che entrambe le denunce sono partite dalla stessa associazione radicale 'Vita di donna'». Sarà un caso?
Se la scienza guarda dall’altra parte – di Tommaso Gomez – Avvenire, 18 febbraio 2010
«La Porta Pia del vitali smo ippo cratico ». Il presidente della Con sulta di bioetica Mauri zio Mori definì così il ca so Eluana. Ma l’esperienza di Porta Pia può dare un po’ le vertigini a chi si attar di a meditarla con mistico furore. Capitò già ad alcuni ultras anti-papali e reduci della famosa Breccia, che a Roma, nella notte tra il 12 e il 13 luglio 1881, mentre la salma di Pio IX veniva trasportata con un corteo funebre dal Vaticano alla basi lica di San Lorenzo Fuori le Mura, si sca gliarono contro il feretro del pontefice al grido di «Buttiamo a Tevere la carogna!». Fu l’intervento un po’ manesco, per forza di cose, dei fedeli a portare alla ragione il gruppuscolo di esaltati, tra cui alcuni no tori massoni romani. E a ribadire l’adagio popolare: scherza con i fanti, ma lascia stare i santi. Noi, oltre a rispettare i santi, vorremmo anche invitare i fanti a rima nere sul piano – da loro tanto invocato – della discussione laica ed attuale. Sull’U nità di sabato scorso, il Mori di Porta Pia non ha infatti trovato di meglio che ri chiamare il caso Galileo per commentare le parole del direttore di Avvenire in ricor do della vicenda di Eluana, un anno do po: «Un tempo i cattolici aristotelici dicevano chiaramente che la scienza era una diavoleria, oggi i cattolici vitalisti preferi scono farle un omaggio formale, per poi usare la retorica per riproporre la sana semplicità del vitalismo prescientifico...».
Volendo a malincuore rimanere sull’e sempio di Galileo – che solo chi non lo conosce seriamente può continua re a citarlo in siffatto modo – si può far notare che il cannocchiale in cui qualcu no oggi non ha voglia di mettere il naso, o l’occhio, si chiama fMRI, o risonanza magnetica funzionale. Quella tecnica gra zie a cui sia a Liegi che a Cambridge si è dimostrato come dietro alla parola «ve getativo » si possa celare una coscienza vi va e come, alla fin fine, sappiamo ben po co di cosa realmente significhi «vegetati vo ». Tutto ciò non è «materialismo radi cale » come scrive il Mori, finendo lui nei «paralogismi» che irride. Secondo Adrian Owen, il primo a scoprire in una ragazza in stato vegetativo segni evidenti di co scienza, «quello che il mio team a Cam bridge e quello che Laureys a Liegi stan no facendo è scienza nel senso proprio del termine, e la scienza, si sa, ha bisogno di tempo per essere assimilata dalla pra tica clinica». Oltre che per vincere l’ideo logia dei neo-aristotelici di turno.
Volo pindarico e tuffo doppio carpiato con avvitamento anche per Ritanna Ar meni sul Riformista di ieri. Che si prende a cuore meritoriamente il tema della scar sa natalità italica, ma lo fa sulla scorta del pamphlet francese La donna e la madre di Elisabeth Badinter, che imputa il basso tasso di nascite all’affermarsi del mito del la «madre perfetta», colei che «quando sce glie di fare un figlio lo mette al primo po sto, per lui sacrifica lavoro e carriera, ri nuncia alla vita di coppia, dimentica se
stessa».
Le responsabilità? Per Ritanna, che chiosa, sono della «cultura cattolica», che «unita a quella ecologica (che di fende la naturalità dell’istinto materno) e a quella del femminismo della diffe renza mantiene forte il mito della ma ternità ». Non la rivoluzione sessuale che ha scisso sesso e procreazione, non lo sconvolgimento della stabilità della cop pia, non il modello di realizzazione fem minile appiattito su canoni maschili, non l’assenza di politiche sociali a sostegno della maternità (assenza per altro rico nosciuta dall’Armeni), non la mentalità pro-aborto dominante da 30 anni. No, la colpa è soprattutto della cultura cattoli ca. Paralogismi.