Nella rassegna stampa di oggi:
1) E i media s'inventarono il bambino OGM di Carlo Bellieni, 21-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
2) ESTERI - LIBIA/ 1. Vittadini: le vere ragioni di una guerra sbagliata di Giorgio Vittadini - martedì 22 marzo 2011 – il sussidiario.net
3) CRONACA - CROCIFISSO/ L'esperto Usa: così l'Europa si salva dal laicismo francese di John Witte - lunedì 21 marzo 2011 – il sussidiario.net
4) Avvenire.it, 22 marzo 2011 - La tentazione dell'aborto, poi un aiuto imprevisto - Quel desiderio di bene che salva la vita e unisce l'Italia di Maurizio Patriciello
5) Avvenire.it, 22 marzo 2011 - CHOC CATALANO - Spagna, nella clinica dell'orrore aborti segreti pagati dal Comune di Michela Coricelli
6) I giochi non sono fatti (Les jeux ne sont pas faits). In via di conclusione in Francia la consultazione per la revisione delle legge sulla bioetica. 14-03-2011 - di Chiara Mantovani, da http://vanthuanobservatory.org
E i media s'inventarono il bambino OGM di Carlo Bellieni, 21-03-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
E’ apparso sulla stampa come un prodigioso intervento di ingegneria genetica; invece è più terrestremente un caso di selezione ed eliminazione dei piccoli embrioni “a rischio”. Ma si tratta davvero del “primo bambino che non potrà mai ammalarsi di cancro” (!) o del caso in cui è stato “tolto all’embrione il gene responsabile del cancro ereditario”, come riportano certi giornali? In realtà si tratta di un bambino/embrione che non ha il gene che lo predispone al tumore al seno e per questo è stato preferito per impiantarlo in utero agli altri più sfortunati che, con quella predisposizione, sono stati “accantonati”.
Esseri umani, questo è il punto, che erano a rischio di sviluppare delle malattie – nemmeno malati!, ma solo a rischio - e per questo sono stati considerati “indesiderabili”. Come i clandestini che si affacciano alle frontiere di un Paese ricco, così sono stati bloccati alla frontiera della nascita, privati del diritto di cittadinanza.
Senza curare nessuno, dato che il rischio di cancro non è stato curato, ma semplicemente sono stati messi in frigo perché portatori del fattore di rischio. Nessuna ingegneria genetica, dunque; nessuna terapia. Solo semplice selezione.
Oltretutto, come leggiamo nel sito www.lastampa.it, “questo non significa che il neonato abbia il 100% delle probabilità di non sviluppare il tumore, ma l’eliminazione le riduce sensibilmente, tra il 50 e l’80%.”. E dobbiamo notare anche che “il cancro alla mammella, infatti, è considerato una malattia complessa, che interessa anche altri geni e su cui i fattori ambientali hanno il loro peso”, dunque si rischia di rassicurare, e far abbassare la guardia contro una malattia che si scatena anche per errati stili di vita (vedi fumo di sigaretta).
Ma non sarebbe più corretto fare una prevenzione forte e basilare dei tumori, piuttosto che eliminare i piccolissimi portatori che forse (!) svilupperanno la malattia da adulti?
La legge italiana e di molti altri Paesi non permette questa selezione genetica, ma sarebbe bene che i giornali la spiegassero nei dettagli, per non creare false aspettative, e non confondere quello che è selezione con quello che è terapia.
Europa Donna, associazione che si batte per i diritti delle donne nella lotta al tumore al seno, chiede altro, che non eliminare le portatrici allo stato embrionale: arrivare a 30 “Breast Unit” certificate in Italia entro il 2016, cioè centri specializzati nella lotta a 360 gradi al cancro del seno – dalla diagnosi precoce, alla terapia, alla riabilitazione – distribuiti capillarmente lungo lo Stivale, in modo da garantire la disponibilità di una struttura ad hoc ogni 2 milioni di abitanti.
“Così come stabilisce la stessa Ue – spiega in un incontro a Milano Rosanna D’Antona, presidente del movimento di opinione lanciato nel 1993 dall’oncologo Umberto Veronesi – le donne devono poter fare affidamento su centri in grado di gestire tutte le fasi della malattia, senza essere costrette a rivolgersi a unità generiche dove corrono il rischio di ricevere trattamenti non adeguati, oppure a migrare in regioni più avanzate dal punto di vista dell’offerta sanitaria”. Questa battaglia va supportata, e aiutata in tutte le forme: le donne devono essere libere da questo rischio, e Stato ed ospedali devono facilitare l’azione di chi chiede garanzie in questo senso. Insomma: diagnosi precoce gratuita, seria e per tutte, segno di civiltà e buona scienza. La diagnosi pre-impianto per eliminare gli embrioni malati, lasciamola da parte, please.
ESTERI - LIBIA/ 1. Vittadini: le vere ragioni di una guerra sbagliata di Giorgio Vittadini - martedì 22 marzo 2011 – il sussidiario.net
Oltre alla sofferenza di un popolo sotto la minaccia di mitra, raid aerei, bombardamenti, in queste ore colpisce l’ipocrisia dei governi occidentali, coperta da un diritto internazionale che appare ormai ambiguo. L’operazione militare in Libia è la logica espressione di una politica neocoloniale che ormai domina le dinamiche internazionali dell’Occidente. Il pretesto è sempre l’intervento umanitario o la difesa della pace messa a repentaglio. Si cominciò con la Serbia negli anni 90. Con la giustificazione di interventi umanitari Belgrado e la Serbia furono bombardati in modo indiscriminato portando alla caduta di Milosevic.
Arrestato e processato per crimini contro l’umanità all’Aja mise in scacco la pm Carla del Ponte dimostrando, alla luce proprio dei principi internazionali, che le ragioni addotte per l’intervento contro il suo governo non avevano basi giuridiche. A questo punto, morì misteriosamente in carcere. Quello di Milosevic non era certo un governo esemplare per rispetto dei diritti del suo popolo, ma era stato eletto democraticamente e non era certo peggiore di altri regimi (come ad esempio quello cinese) verso cui Paesi come la Francia, si sono inchinati. Si passò poi a Saddam Hussein e alle due guerre dei Bush: la prima per l’invasione del Kuwait, la seconda per il presunto possesso di armi atomiche. Si dimostrò poi che Saddam non possedeva alcuna arma di distruzione di massa. Solo Giovanni Paolo II e pochi altri, di fatto, erano contrari alla guerra.
Molti intellettuali nostrani inneggiavano all’interventismo protestante di Condoleeza Rice che avrebbe finalmente messo a posto il Medio Oriente, contro l’invito alla pace di Giovanni Paolo II. L’esito degli interventi militari, in entrambi i casi, è sotto gli occhi di tutti: nella ex Jugoslavia non ha portato alcuna stabilità e, anzi, la situazione potrebbe riesplodere da un momento all’altro, a causa della creazione di Stati senza tradizione all’indipendenza, mentre i cristiani vengono espulsi dalla nuova Bosnia a prevalenza musulmana; in Medioriente, il rilancio di un terrorismo senza tregua in Iraq, le stragi di civili, la persecuzione dei cristiani in molti Paesi musulmani, lo spazio involontariamente concesso al regime sanguinario iraniano, l’aiuto indiretto ad Al Qaeda…
Non paghi di tutto questo, si ricomincia con Gheddafi: si è invocato un intervento per emergenza umanitaria per poi verificare in questi giorni che Francia e Gran Bretagna, con l’acquiescenza del pensiero debole Obama-Clinton e di altri, stanno conducendo, non un’operazione umanitaria, ma una vera e propria guerra per rovesciare il regime a spese della popolazione libica. Sia ben chiaro, Gheddafi, come Milosevic e Saddam, è un dittatore, ma lo sono anche le leadership di Cina, Iran, Cuba, Venezuela, Corea del Nord o la giunta militare birmana. Dovremmo fare una guerra umanitaria contro ognuno di questi Paesi, vale a dire una guerra mondiale? E chi pensa all’alternativa per evitare ciò che è successo in Iraq dopo la guerra, l’espandersi di Al qaeda e la minaccia dalla guerra civile, o i 130.000 morti sgozzati dai fondamentalisti in Algeria?
La verità è che è ripartita la politica neocoloniale, per il petrolio, per il prestigio internazionale, per il controllo del Nord Africa e del Medioriente, per la vittoria di elezioni interne di leader europei o di leader pacifisti (!) quale Obama. E questo mostra una volta di più la debolezza dell’Unione Europea, che copre l’azione di Stati che, risvegliatisi da un benefico torpore durato 60 anni, tornano a una politica coloniale. Per questo, di fronte all’intervento armato della coalizione, non si può che pensare che l’unica alternativa a questa ipocrisia grondante sangue è la linea della Santa Sede. Uno sguardo a ogni uomo, che spinge al dialogo, sempre preferibile all’intervento armato, che considera la politica internazionale un arte del compromesso, tesa a valutare tutti i fattori in gioco: qual è l’alternativa a un regime? Instaurare un sistema politico basato su elezioni multi partitiche che precondizioni chiede? E’ possibile imporre la democrazia con la violenza?
Si potrebbe proseguire, ma già questo imporrebbe a tutti i Paesi occidentali una politica diversa per il bene dei popoli…
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CRONACA - CROCIFISSO/ L'esperto Usa: così l'Europa si salva dal laicismo francese di John Witte - lunedì 21 marzo 2011 – il sussidiario.net
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha confermato la linea di condotta italiana sulla esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche. Nella vertenza Lautsi contro Italia, la madre atea di due ragazzini che frequentano la scuola pubblica ha contestato questa politica, in vigore dal 1924. Dopo aver perso davanti ai tribunali italiani, si è appellata alla Corte europea dei diritti dell'uomo sostenendo che la presenza del crocifisso nelle scuole pubbliche violava i suoi diritti e quelli dei suoi figli alla libertà religiosa e a un insegnamento laico garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Il 3 novembre 2009, una sezione della Corte, con il voto unanime dei sette giudici che la costituivano, ha dato ragione alla signora Lautsi. Il 18 marzo 2011, la Grande Camera ha rovesciato il verdetto in favore dell’Italia, con 15 voti a 2.
La Corte ha stabilito con chiarezza che il crocifisso è un simbolo religioso, che l’ateismo è un credo religioso protetto e che le scuole pubbliche devono essere neutrali. La Corte ha ritenuto, però, che una “esposizione passiva” del crocefisso in un’aula di scuola pubblica senza indottrinamento religioso non è violazione della libertà religiosa, soprattutto se ogni fede religiosa viene accolta nelle scuole e se a tutti gli studenti viene permesso di portare i propri simboli religiosi.
La Corte ha anche ritenuto che la scelta dell’Italia di esporre solo il crocefisso non costituisce una violazione della neutralità religiosa, ma un ammissibile riflesso della sua maggioritaria cultura cattolica. Dato che i vari Stati europei sono ampiamente divisi sul se e dove esporre i vari simboli religiosi, la Corte ha concluso che deve essere consentito all’Italia un “margine di apprezzamento” nel decidere le modalità di conservazione nelle scuole delle proprie tradizioni cristiane.
Il caso Lautsi ha riecheggiato molti degli argomenti utilizzati negli ultimi tre decenni dalla Corte Suprema degli Stati Uniti per mantenere, secondo la tradizione, presepi, croci e Decaloghi nelle strutture pubbliche americane. Pur restando in una non totale convergenza nel trattare le rispettive cause sui simboli religiosi, le Alte Corti americana e europea hanno ora sei insegnamenti in comune.
Primo: la tradizione conta. Nei tribunali americani, i simboli religiosi tradizionali tendono a ottenere migliori risultati rispetto a quelli nuovi. La prolungata e consueta presenza nella vita pubblica di un simbolo religioso lo rende non solo più accettabile ma indispensabile per definire chi siamo come popolo. Nel caso Lautsi, il giudice Bonello ha affermato con forza questo argomento nella sua relazione: “Un tribunale dei diritti dell'uomo non può permettersi di soffrire di Alzheimer storico e non ha nessun diritto di disattendere la continuità culturale di una nazione che si è sviluppata nel tempo, né di ignorare ciò che, lungo i secoli, ha plasmato e definito il profilo di un popolo”.
Secondo: i simboli religiosi hanno spesso un valore culturale civile. I tribunali americani hanno a lungo riconosciuto che il Decalogo non è solo un comandamento religioso, ma anche un codice morale comune, che la croce non è solo un simbolo cristiano, ma anche una commovente commemorazione del sacrificio militare. Quando esposto in modo appropriato e passivo, il significato di un simbolo può essere lasciato alla decisione di chi lo guarda, una sorta di libero mercato dell’ermeneutica. La decisione nel caso Lautsi ricorda questa logica. Pur affermando l’origine religiosa del crocifisso, la Corte ha accettato la tesi dell’Italia che “il crocifisso rappresenta anche i principi e i valori” di libertà, uguaglianza e fraternità che “costituiscono i fondamenti della democrazia” e dei diritti umani in Occidente.
Terzo: i valori locali meritano rispetto. In America, la dottrina del federalismo richiede che i tribunali federali si rimettano alle pratiche e politiche dei singoli stati, a meno che si riscontrino chiare violazioni dei diritti costituzionali federali sul libero esercizio della religione. La Corte Suprema ha utilizzato questa dottrina per confermare l’esposizione passiva di croci e Decaloghi nei parlamenti degli stati. Nel caso Lautsi la Corte ha utilizzato, più o meno allo stesso modo, la dottrina europea del “margine di apprezzamento”. In assenza di un consenso europeo sui simboli pubblici della religione e non rilevando l’imposizione di pratiche religiose o di indottrinamento, la Corte ha lasciato all’Italia di decidere in che modo contemperare il simbolismo religioso della sua maggioranza cattolica con la libertà religiosa e i diritti sull’educazione delle sue minoranze atee.
Quarto: la libertà religiosa non esige la secolarizzazione della società. La Corte Suprema degli Stati Uniti è diventata famosa per la sua immagine di “un alto e inespugnabile muro di separazione tra Chiesa e Stato”, che ha lasciato la religione assolutamente fuori dalla vita politica e dalle istituzioni pubbliche. Tuttavia, in realtà la Corte ha abbandonato molto questa stretta separazione e ora consente sia ai partiti non religiosi che a quelli religiosi di dar luogo a pacifiche attività pubbliche, anche nelle scuole. La Corte europea dei diritti dell'uomo è diventata allo stesso modo famosa per promuovere una laicità di stile francese nelle scuole e nella vita pubblica, condannando il velo musulmano e altri simboli religiosi in quanto contrari al “messaggio di tolleranza, rispetto degli altri, di uguaglianza e non discriminazione che una società democratica deve conservare”. Il caso Lautsi suggerisce una nuova linea di condotta che rispetta i diritti di gruppi sia religiosi che laici a esprimere le loro opinioni e al contempo consente ai governi di tener conto delle opinioni religiose della maggioranza dei suoi cittadini.
Quinto: la libertà religiosa non autorizza una minoranza a porre un veto per contrastare le posizioni della maggioranza. Fino a poco tempo fa, i tribunali americani permettevano ai contribuenti di appellarsi contro ogni legge che contenesse riferimenti a materie religiose, anche se non toccati personalmente da queste disposizioni. In questo modo, i laici avevano un potere di veto su leggi e politiche riguardanti la religione, non importa quanto radicate o condivise dalla maggioranza. La Corte Suprema ha ora reso più severe le proprie regole, spingendo le parti a porre le loro richieste di riforma delle leggi all’interno dei parlamenti e a cercare esenzioni personali dalle politiche che violassero il loro credo. Anche il caso Lautsi è simile, in quanto si afferma che se il crocifisso può essere offensivo per la signora Lautsi, esso rappresenta i valori culturali nutriti da milioni di altri cittadini, che sono a loro volta offesi dalle sue opinioni. L’offesa personale non può essere la base per una censura. La libertà religiosa e di espressione esigono che nella vita pubblica si possano sentire tutte le opinioni.
Infine: le cause sul simbolismo religioso sono un affare serio. È facile assumere un atteggiamento cinico in queste cause, trattandole come “molto rumore per nulla” o come costose fissazioni di guastafeste culturali o questioni di pubblico interesse da cavalcare. Questa posizione sottovaluta il lusso enorme di cui possiamo godere in Occidente, dove ci possiamo permettere di combattere le nostre battaglie attorno ai simboli religiosi nei tribunali o accademicamente, invece che nelle strade o sui campi di battaglia.
Come in Occidente nei secoli scorsi, in molte parti del mondo ancora oggi le dispute sui simboli religiosi possono sfociare nella violenza, fino alla vera e propria guerra. In queste cause è in gioco molto più che due pezzi di legno inchiodati insieme. Esse rappresentano luoghi essenziali per lavorare sulle nostre profonde differenze culturali e scegliere in modo pacifico quali tradizioni e pratiche devono continuare e quali devono invece cambiare.
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Avvenire.it, 22 marzo 2011 - La tentazione dell'aborto, poi un aiuto imprevisto - Quel desiderio di bene che salva la vita e unisce l'Italia di Maurizio Patriciello
C’è sempre da scegliere se fare il bene in segreto o mettere in pratica il consiglio di don Bosco: «Fa’ il bene e fallo sapere». Fallo sapere non perché te ne possa vantare – sarebbe meschino – ma per coinvolgere anche chi ti ascolta. E chi ti legge. Scegliamo la seconda opzione per raccontare, nei giorni in cui festeggiamo il 150° compleanno dell’Italia unita, una storia triste ma a lieto fine.
Siamo un popolo solo. Il tricolore è la nostra bandiera. Parliamo la stessa lingua, anche se con inflessioni che tradiscono le varie provenienze. Certo, l’Italia è lunga e qualche differenza c’è tra gli isolani delle Eolie, i toscani e gli abitanti delle valli del Trentino. Le differenze che più balzano agli occhi sono però quelle economiche. La crisi che si è abbattuta severa in questi anni ha trascinato tantissime giovani famiglie del nostro Sud alla disoccupazione che spesso sfocia nella disperazione nera. Disperazione che costringe a volte a scelte tristissime di cui non si è convinti. Come quella di rifiutare un figlio prima della nascita solo perché non lo si potrà mantenere.
Simone è un laico amante della vita. Si trova nei pressi di un ospedale dove si praticano gli aborti quando incontra una giovanissima coppia. Intuisce. Capisce. Interviene. Non è invadente. O, se lo è stato si è trattato di una invadenza… umanitaria, di cui il mondo gli dovrà essere grato. Invadenza della carità che non bada agli ostacoli. Chi ama lo sa bene. Questi giovani – Francesco e Luisa – gli aprono il cuore. Hanno deciso di eliminare il terzo figlio controvoglia, con l’animo che sanguina. Non avrebbero mai voluto farlo, ma sono poveri. Poveri, disoccupati e con due bambini piccoli. Simone li incoraggia, promette di non lasciarli soli e li mette in contatto con me.
Prendiamo appuntamento per la sera in chiesa. Un’ora dopo qualcuno telefona sul cellulare addebitandomi la chiamata. È Francesco: «Veramente prenderete a cuore la nostra situazione? – chiede –. Noi non abbiamo nemmeno la possibilità di comprare i pannolini all’ultimo nato. Davvero ci aiuterete?». Lo rassicuro. Capisco dal tono della voce che hanno già cambiato idea e umore. Hanno ripreso a sperare. Dio mio, quanto poco basta per ridare speranza a chi la va perdendo! Erano stati spinti dalla necessità a varcare la soglia di quell’ospedale. L’avevano fatto con angoscia, senza convinzione alcuna.
Nel nostro Sud sono tantissimi i disoccupati che vivono in uno stato di prostrazione e di umiliazione indicibili. Non è che guadagnano poco, la verità è che non riescono a guadagnare niente. Sara, invece, è una pediatra lombarda conosciuta attraverso Avvenire. La sento poche ore dopo aver parlato con Francesco e, felice, le racconto il fatto. Lei ascolta commossa. Poi invia un messaggio che trascrivo per donarvi gioia: «La storia che mi hai raccontato mi tocca. A fine ambulatorio farò bonifico per loro. L’aiuto è anche condivisione tra italiani. Credo nell’Italia unita…».
Anch’io credo nell’Italia unita. Unita dalla simpatia, dalla condivisione, dalla solidarietà. Credo che gli italiani siano più buoni di quanto si possa immaginare, e quando si lasciano toccare il cuore tirano fuori il meglio della loro italianità. Questa storia racconta la disperazione di tanti meridionali affossati dal dramma della disoccupazione e la bellezza della solidarietà umana e cristiana che non conosce ostacoli. Ma vuole ribadire ancora una volta che, come ha detto il Papa, «l’aborto non è mai la soluzione di un problema».
Sia questa vita nascente benedizione per tutti gli italiani nei giorni di festa per l’Italia unita.
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Avvenire.it, 22 marzo 2011 - CHOC CATALANO - Spagna, nella clinica dell'orrore aborti segreti pagati dal Comune di Michela Coricelli
Era quasi alla 22esima settimana. Voleva abortire, ma aveva già superato il limite massimo previsto dalla legge spagnola in quel momento. Eppure, il municipio di Barcellona le pagò l’interruzione volontaria di gravidanza in una delle due cliniche di Carlos Morin: un ginecologo di origini peruviane, diventato tristemente noto e incredibilmente ricco con il business degli aborti in Catalogna.
Un nuovo particolare di quest’agghiacciante storia è stato svelato dal quotidiano La Razon: la testimonianza di una donna – raccolta nel corso del processo contro Morin – è venuta a galla solo ora, un mese dopo la definizione del capo d’imputazione contro Morin, accusato con i suoi collaboratori di almeno «115 aborti illegali». Quando si presentò al Comune di Barcellona, la donna aveva una figlia sotto la tutela dei servizi sociali per l’infanzia. Gli addetti comunali - quando disse che voleva interrompere la gravidanza- le diedero un assegno per una delle cliniche di Morin: all’istituto, due settimane dopo, versò altri 200 euro.
Non è l’unica testimonianza pubblicata dalla Razon: nel municipio catalano di Tarrasa una ragazza incinta si rivolse ai servizi pubblici di “Pianificazione Familiare”. Lì «la tranquillizzarono – racconta – e le diedero i nomi di due cliniche per abortire». Non solo. Per interrompere la gravidanza le diedero un bonus con cui esigere uno sconto sull’intervento. Il giorno l’aborto versò 255 euro ad una delle cliniche di Morin.
Oltre tre anni fa l’“impero” di questo medico senza scrupoli finì al centro di un’indagine da parte degli inquirenti spagnoli. L’investigazione riguardava possibili illegalità commesse da diverse cliniche private specializzate in interruzioni della gravidanza, a Barcellona e Madrid.
Fra i vari casi emersi nel 2007, la vicenda di Morin è la più conosciuta. Alcuni racconti – feti spazzati via con tecniche troppo crude e violente anche solo per essere descritte – hanno fatto rabbrividere la stampa spagnola e internazionale.
Quando arrivò in Spagna, anni fa, era un povero medico immigrato: proveniva da un umile quartiere popolare di Lima. Ma ben presto Morin si trasformò in un imprenditore del settore degli aborti. Un’industria che rende molto, a quanto pare. La villa di Morin nella lussuosa zona di Sant Cugat del Vallés – con tanto di piscina – avrebbe un valore stimato di oltre 4 miliardi di euro. Il medico ha anche una Ferrari.
Le organizzazioni pro-life calcolano che il business degli aborti in Spagna abbia ricavi annuali di circa 50 milioni di euro, senza contare gli interventi pagati in nero, senza alcuna traccia fiscale.
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I giochi non sono fatti (Les jeux ne sont pas faits). In via di conclusione in Francia la consultazione per la revisione delle legge sulla bioetica. 14-03-2011 - di Chiara Mantovani, da http://vanthuanobservatory.org
Nel 2009 sono iniziati in Francia gli “stati generali” della bioetica, una larga consultazione popolare per sondare che cosa ne pensava il francese medio in merito ai grandi temi bioetici della procreatica artificiale.
I francesi restano affezionati evidentemente almeno al linguaggio della Rivoluzione Francese, ma se nei tempi passati le conseguenze furono quelle note, non è detto che il risultato debba ripetersi.
Sebbene sia ampiamente discutibile la ragionevolezza di affidare decisioni sostanziali - come quelle sulla opportunità ed eticità o meno di tecniche mediche riguardanti la procreazione o la ricerca sugli embrioni - alla consultazione generale, i nostri tempi hanno ormai accettato che la verità sia messa ai voti. Non solo in Francia, ma anche in Inghilterra, in Spagna, negli USA come in Australia e in Giappone, si stanno facendo delle “prove tecniche” di consultazione popolare su temi sensibili. In Germania, “cittadini giudici” o “Planungszellen” sono chiamati ad esprimere dei pareri, dopo un periodo di formazione. La Danimarca fa da apripista con le “conferenze di consenso”. Sembra la nuova moda per risolvere i conflitti etici: discutiamo fino allo sfinimento, in modo sistematico e non parcellare, con esperti e persone comuni che con una infarinatura di competenze possano sentirsi autorevoli nel “secondo me”, per giungere non alla ricerca della verità (non ne ho trovato traccia nelle dichiarazioni entusiaste di questa modalità) ma alla ricerca del “consenso”, quel “siamo tutti d’accordo”, teso ad evitare poi lamentele. Il campo di applicazione di queste novità è l’ambito bioetico: non mi risulta che analoghe iniziative siano state previste, ad esempio, per decidere gli stipendi dei parlamentari o l’entità del prelievo fiscale. Significativa è la citazione tratta dal sito personale dell’on. Jean Leonetti (http://www.jean-leonetti.fr/ , visitato il 6 marzo 2011): «Il dibattito pubblico dovrebbe organizzarsi in modo permanente, e non occasionale, per evitare i contraccolpi mediatici, generatori di tensione e di banalizzazione. Il dibattito pubblico deve avvenire attraverso cittadini rappresentativi dell’insieme del popolo, che, con la mediazione delle conferenze di consenso possa esprimere pareri illuminati, meditati e convergenti, anche se non consensuali. È necessario tempo per assimilare i pareri contraddittori, soppesare vantaggi e inconvenienti delle diverse posizioni, accettare il dubbio collettivo e anche quella parte di incertezza nella decisione finale».
Con piglio tipicamente girondino, dunque, la prima fase si è svolta con riunioni e colloqui organizzati in tutta la Francia per ascoltare il punto di vista dei cittadini. L’iniziativa è stata solo il primo passo per giungere alla revisione della legge che nel 2005 ha di fatto regolamentato la PMA e i suoi corollari, la versione francese della nostra legge 40/05, anche se i due impianti legislativi non possono dirsi sovrapponibili. La revisione è prevista con scadenza quinquennale dalla stessa legge, consapevole che in cinque anni molti presupposti scientifici possono cambiare. La seconda fase è iniziata a novembre del 2010, con le audizioni da parte di una apposita commissione presieduta dal socialista Alain Claeys (di professione insegnante, in Parlamento è membro della Commissione delle Finanze) e con relatore Jean Leonetti. Di professione cardiologo, Leonetti è membro del Partito Radicale del Valois, ha presieduto i lavori parlamentari che hanno condotto nell’aprile 2005 alla “Legge relativa ai diritti dei malati e alla fine della vita” e di cui è stato relatore in Parlamento, legge che prevede il testamento biologico e la figura del fiduciario.
La commissione ministeriale francese ha ascoltato i convocati sui temi dell’agenda di biomedicina, la ricerca sull’embrione, l’eliminazione dell’anonimato della donazione di gameti, la gravidanza surrogata e la diagnosi prenatale. Il 25 e il 26 gennaio sono avvenute la discussione e le operazioni di voto dei membri (70) della commissione sugli emendamenti presentati; dall’8 all’11 febbraio discussione e voto in seduta pubblica e infine il 15 febbraio il voto solenne dei deputati, in prima lettura, del progetto. L’iter proseguirà in Commissione di affari sociali senza la costituzione di una analoga commissione preparatrice come avvenuto alla Camera, cosa che era stata richiesta da alcuni senatori ma che è stata respinta per non ritardare l’approvazione e il varo dell’aggiornamento della legge sulla bioetica.
La scaletta dei lavori prevede un voto in seduta plenaria al Senato per l’inizio di aprile, un voto in seconda lettura del Parlamento e quello in seconda lettura del Senato. Ogni tappa offrirà l’occasione per ulteriori proposte di emendamenti. Se ci saranno voti differenziati tra Parlamento e Senato, si riunirà una commissione mista di 7 membri che dovrà adottare un testo condiviso, il tutto entro la fine di luglio.
Associazioni pro-life francesi hanno stilato un bilancio della revisione, affermando che è possibile scorgere luci e ombre, in termine di rispetto per la vita ma anche di prospettive politiche. Ha piacevolmente sorpreso la qualità del dibattito, l’intelligenza nel confronto delle idee e soprattutto la sempre maggiore presa di coscienza delle sfide in gioco per il rispetto per la vita e l’impegno a farsene carico, ancora insufficienti a garantirne un rispetto assoluto e dunque perfettibili, ma decisivi per il futuro. Altrimenti non si potrebbero spiegare i trentacinque parlamentari che hanno firmato insieme un manifesto comune (apparso su Le Figaro dell’8 febbraio) che getta l'allarme sui rischi della industrializzazione della procreazione, né il coraggio avuto nell'affrontare fino a tarda notte i dati sulle false promesse della ricerca sugli embrioni e i rischi di eliminazione dei più deboli contenuti nelle disposizioni di diagnosi pre-impiantatoria e prenatale. È questo fronte unito che in Francia i difensori della vita salutano come qualcosa di unico e storico, incoraggiante per il futuro.
Che cosa non è stato ottenuto? Con realismo bisogna annotare un gran numero di malfunzionamenti nella legge attuale: resta invariata la possibilità di ricerca sull'embrione, la diagnosi prenatale (DPN) non avrà l’obbligo di avere come unica finalità la cura del feto, il numero di ovociti fecondati non sarà limitato a tre.
Nella legge precedente la ricerca sull’embrione era concessa in pratica, anche se negata di nome, attraverso il
principio del divieto con deroghe, che il vice presidente dell'Assemblée, Marc Le Fur (UMP), ha definito "un anestetico per cattolici" (Agence France-Presse, 10 febbraio). L'Agenzia di Biomedicina (ABM) ha infatti la facoltà di autorizzare "a titolo derogatorio" progetti di ricerca e lo ha ampiamente fatto accettando, dal 2004, finora 58 protocolli su 64, dei quali 47 con cellule staminali embrionali umane e 11 con embrioni (La Croix, 4 febbraio).
Il meccanismo è stato criticato fra l'altro da Jacques Testart, "padre" nel 1982 del primo bambino in provetta francese. Secondo il biologo, l'ABM è "un organismo favorevole pressoché a qualsiasi pratica e poco incline a ogni restrizione. In modo progressivo, il Parlamento si sta tirando fuori un po' vigliaccamente, delegando a quest’Agenzia l’interpretazione della nuova legge". Così ha dichiarato in un'intervista ad Avvenire (8 febbraio).
Già nel novembre scorso, il cardinale arcivescovo di Parigi e presidente della CEF, S.Em. André Vingt-Trois, aveva sottolineato "una certa incoerenza". "Il governo manifesta la coscienza chiara che con la ricerca sull'embrione il rispetto per la dignità umana è in gioco. Allo stesso tempo, sembra mettere in piedi un sistema nel quale la distruzione di embrioni non è più un'eccezione", aveva detto a La Vie (30 novembre 2010).
Ma è stato preso in considerazione un certo numero di rivendicazioni essenziali che con la loro sola esistenza offrono qualche motivo per sperare: un emendamento sulle liste di finanziamento e la promozione di ricerche mediche per il trattamento della trisomia 21 e nello spazio di un anno il Governo dovrà pubblicare un rapporto in merito; un emendamento sull'informazione rivolta alle donne incinte sugli aiuti possibili e lo stato delle ricerche. Questo è anche un progresso prezioso per le coppie: bisogna aver vissuto personalmente la Diagnostica Pre Natale (DPN) per rendersi conto dell'importanza di questo emendamento dal punto di vista del rispetto per la vita e la sua portata simbolica.
In deroga al primo comma, in merito alle ricerche sull'embrione il testo sancisce che i protocolli ricevano il via libera solo "quando risulta impossibile, in base allo stato delle conoscenze scientifiche, condurre una ricerca simile senza ricorrere a cellule staminali embrionali o a embrioni" (Art. 23, 2). Inoltre, l'ABM (l'Agenzia di Biomedicina) dovrà presentare ogni anno un bilancio comparativo, mettendo a confronto i risultati ottenuti dalla ricerca sulle cellule embrionali con quelli della ricerca sulle cellule adulte.
Un particolare di non poco conto è anche l'obiezione di coscienza prevista per i ricercatori in caso di ricerca sugli embrioni umani: sebbene l’obiezione di coscienza sia un dispositivo doveroso, nella disistima generale di questo diritto anche questa ammissione è un riconoscimento della delicatezza etica di questa ricerca. E saranno incoraggiate le ricerche etiche come quelle sul sangue del cordone ombelicale.
Il testo adottato ha mantenuto la necessità di ragioni mediche di infertilità per consentire l'accesso alla fecondazione artificiale, negando di fatto l'idea di un diritto al figlio, vietando la maternità surrogata e l’accesso alle coppie omosessuali ; resta il via libera a tutte le coppie di sesso diverso anche unite dai PACS o di unione libera. Il passaggio non è certamente condivisibile per i cattolici, andando a costituire di fatto una equiparazione tra matrimonio e libere convivenze.
Nonostante gli appelli del ministro Bertrand, la nuova legge permetterà il trasferimento di embrioni dopo il decesso del padre, se la madre ne chiede l’impianto entro i 18 mesi successivi alla morte e a condizione che ci sia una precedente dichiarazione favorevole del padre. Qualcuno però sottolinea che questa disposizione ha anche in mente di consentire la nascita di embrioni che fossero ancora congelati al momento della morte del padre, offrendo loro l’unica possibilità di vivere e nascere; la legge esclude, infatti, l’inseminazione con spermatozoi di uomini già deceduti.
La Francia ha un triste primato: la patria dello scopritore della sindrome di Down, quel meraviglioso medico che individuò la trisomia del cromosoma 21, il prof. Jerome Lejeune, elimina con l’aborto, ogni anno, il 96% dei suoi figli affetti dall’anomalia genetica. E se la deriva eugenetica è preoccupante (non è stata annullata la fattibilità della ricerca del bebè-medicina, nonostante la legge precedente l’avesse ammessa solo per cinque anni, e giusto il giorno dell’inizio del dibattito in aula fosse uscita con grande evidenza mediatica la notizia di un bimbo concepito e fatto nascere per fare da donatore al fratello ammalato), è anche vero che è stata indicata la necessità di un impegno maggiore per la ricerca di terapie per la trisomia 21. L’incoraggiamento arriva anche da un bel manifesto: un bimbo Down occhieggia dicendo ai lettori: “ Il 96% di noi è eliminato a causa del depistaggio massiccio della trisomia 21. In parlamento alcuni sono sbalorditi che il 4% di noi ancora sopravviva. Ci sono delle logiche che uccidono. Signore e signori parlamentari fate applicare l’articolo 16-4 del Codice civile: “è vietata ogni pratica eugenetica tendente ad organizzare la selezione delle persone”.
La civiltà dell’Europa e della Francia avrebbe molto da guadagnare nel dar retta a quel bambino.
Siti di riferimento:
http://www.etatsgenerauxdelabioethique.fr/uploads/rapport_final.pdf
http://www.anfe.eu/images/newsletters/newsletter4.pdf
http://www.libertepolitique.com/les-dossiers-fsp/13-les-dossiers/6470-bioethique-la-revision-de-la-loi-de-2004
http://www.libertepolitique.com/respect-de-la-vie/6594-bioethique-premiere-manche
http://www.libertepolitique.com/respect-de-la-vie/6593-vote-du-projet-de-loi-bioethique-les-raisons-desperer
http://www.assemblee-nationale.fr/13/dossiers/bioethique.asp
http://www.assemblee-nationale.fr/13/ta-commission/r3111-a0.asp
http://www.libertepolitique.com/respect-de-la-vie/6566-bebe-medicament-une-etape-de-plus-dans-la-derive-eugeniste
http://www.libertepolitique.com/respect-de-la-vie/6552-recherche-sur-lembryon-rien-nest-joue
http://www.jean-leonetti.fr/