Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: GESÙ HA SETE DELLA FEDE DI TUTTI NOI - All'Angelus per la III domenica di Quaresima in piazza San Pietro
2) Sidney, neonato morto viene riportato in vita dalle coccole della madre - News, cronaca, figli, gravidanza - 30 agosto 2010, da http://donna.fanpage.it
3) L’ETICA DELL’ABORTO: QUANDO L'ESSERE UMANO NON È UNA PERSONA - Christopher Kaczor affronta la questione da una prospettiva filosofica di padre John Flynn, LC
4) La questione del gender 1 - L'uguaglianza come eliminazione delle differenze - Autore: Laguri, Innocenza Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 26 marzo 2011
5) PERCHÉ LA LEGGE È NECESSARIA - Senza Dat, via libera all’eutanasia di ASSUNTINA MORRESI, Avvenire, 27 marzo 2011
6) «Una degna sepoltura anche per i bambini non nati» l’appello - Il giurista Eusebi: la norma è ancora poco chiara, se il bebè è stato abortito dopo la 20esima settimana si può DA ROMA MIMMO MUOLO – Avvenire, 27 marzo 2011
7) Avvenire.it, 25 marzo 2011 – FILM - Il collegio lager dei ragazzi cloni - Alessandra De Luca
BENEDETTO XVI: GESÙ HA SETE DELLA FEDE DI TUTTI NOI - All'Angelus per la III domenica di Quaresima in piazza San Pietro
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 20 marzo 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo le parole che il Papa ha pronunciato questa domenica a mezzogiorno affacciandosi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare la preghiera mariana dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini convenuti per l'occasione in piazza San Pietro.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Questa III Domenica di Quaresima è caratterizzata dal celebre dialogo di Gesù con la donna Samaritana, raccontato dall’evangelista Giovanni. La donna si recava tutti i giorni ad attingere acqua ad un antico pozzo, risalente al patriarca Giacobbe, e quel giorno vi trovò Gesù, seduto, "affaticato per il viaggio" (Gv 4,6). Sant’Agostino commenta: "Non per nulla Gesù si stanca … La forza di Cristo ti ha creato, la debolezza di Cristo ti ha ricreato … Con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza è venuto a cercarci" (In Ioh. Ev., 15, 2). La stanchezza di Gesù, segno della sua vera umanità, può essere vista come un preludio della passione, con la quale Egli ha portato a compimento l’opera della nostra redenzione. In particolare, nell’incontro con la Samaritana al pozzo, emerge il tema della "sete" di Cristo, che culmina nel grido sulla croce: "Ho sete" (Gv 19,28). Certamente questa sete, come la stanchezza, ha una base fisica. Ma Gesù, come dice ancora Agostino, "aveva sete della fede di quella donna" (In Ioh. Ev. 15, 11), come della fede di tutti noi. Dio Padre lo ha mandato a saziare la nostra sete di vita eterna, donandoci il suo amore, ma per farci questo dono Gesù chiede la nostra fede. L’onnipotenza dell’Amore rispetta sempre la libertà dell’uomo; bussa al suo cuore e attende con pazienza la sua risposta.
Nell’incontro con la Samaritana risalta in primo piano il simbolo dell’acqua, che allude chiaramente al sacramento del Battesimo, sorgente di vita nuova per la fede nella Grazia di Dio. Questo Vangelo, infatti, - come ho ricordato nella Catechesi del Mercoledì delle Ceneri - fa parte dell’antico itinerario di preparazione dei catecumeni all’iniziazione cristiana, che avveniva nella grande Veglia della notte di Pasqua. "Chi berrà dell’acqua che io gli darò – dice Gesù – non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,14). Quest’acqua rappresenta lo Spirito Santo, il "dono" per eccellenza che Gesù è venuto a portare da parte di Dio Padre. Chi rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo, cioè nel Battesimo, entra in una relazione reale con Dio, una relazione filiale, e può adorarLo "in spirito e verità" (Gv 4,23.24), come rivela ancora Gesù alla donna Samaritana. Grazie all’incontro con Gesù Cristo e al dono dello Spirito Santo, la fede dell’uomo giunge al suo compimento, come risposta alla pienezza della rivelazione di Dio.
Ognuno di noi può immedesimarsi con la donna Samaritana: Gesù ci aspetta, specialmente in questo tempo di Quaresima, per parlare al nostro, al mio cuore. Fermiamoci un momento in silenzio, nella nostra stanza, o in una chiesa, o in un luogo appartato. Ascoltiamo la sua voce che ci dice: "Se tu conoscessi il dono di Dio…". Ci aiuti la Vergine Maria a non mancare a questo appuntamento, da cui dipende la nostra vera felicità.
[DOPO L’ANGELUS]
Di fronte alle notizie, sempre più drammatiche, che provengono dalla Libia, cresce la mia trepidazione per l’incolumità e la sicurezza della popolazione civile e la mia apprensione per gli sviluppi della situazione, attualmente segnata dall’uso delle armi. Nei momenti di maggiore tensione si fa più urgente l’esigenza di ricorrere ad ogni mezzo di cui dispone l’azione diplomatica e di sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione fra tutte le Parti coinvolte, nella ricerca di soluzioni pacifiche e durature.
In questa prospettiva, mentre elevo al Signore la mia preghiera per un ritorno alla concordia in Libia e nell’intera Regione nordafricana, rivolgo un accorato appello agli organismi internazionali e a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l’immediato avvio di un dialogo, che sospenda l’uso delle armi.
Il mio pensiero si indirizza, infine, alle Autorità ed ai cittadini del Medio Oriente, dove nei giorni scorsi si sono verificati diversi episodi di violenza, perché anche là sia privilegiata la via del dialogo e della riconciliazione nella ricerca di una convivenza giusta e fraterna.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Infine, saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana, in particolare il Cardinale Elio Sgreccia e i partecipanti al convegno sul tema: "Bambini non nati: l’onore e la pietà", che ha richiamato al sacro rispetto per i nascituri abortiti. Saluto le famiglie del Movimento dell’Amore Familiare e quanti questa notte, nella chiesa di San Gregorio VII, hanno vegliato pregando per la drammatica situazione in Libia. Saluto i fedeli venuti dalla diocesi di Pozzuoli, i ragazzi del Decanato di Rho e quelli di Castel Ritaldi, come pure il gruppo della Scuola Primaria di Lierna e gli ex-alunni della Scuola delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù in Milano. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]
Sidney, neonato morto viene riportato in vita dalle coccole della madre - News, cronaca, figli, gravidanza - 30 agosto 2010, da http://donna.fanpage.it
Per dovere di cronaca, se cronaca può essere definita, riportiamo lo straordinario caso di un neonato australiano morto e riportato in vita dai baci e dalle carezze della madre. Molte sono le vicende che la scienza non può e non vuole spiegare, alcune delle quali sollevano un giustificato scetticismo, che si può superare soltanto se si cambia punto di vista, ad esempio guardando alla speranza che queste stesse vicende sono capaci di trasmettere.
Sidney, Australia: Kate Ogg ha da poco partorito una coppia di gemelli, Emily e Jamie, nati prematuramente alla 27esima settimana . La sorellina è riuscita a sopravvivere, mentre il fratellino viene dichiarato morto dai medici, che per venti intensi minuti hanno fatto il possibile per rianimarlo. Nonostante la tragica ufficialità della notizia, mamma Kate ha stretto al suo petto il figlio, libero dal lenzuolino che lo copriva. Due ore di carezze, baci, coccole e all’improvviso il miracolo: Jamie, dopo un sussulto, ha iniziato a respirare regolarmente sul seno della madre, sorprendendo i medici che non potevano credere ai loro occhi.
Questo il racconto della madre durante la trasmissione Today Tonight, citata poi dal Daily Mail: “Il medico mi chiese, dopo il parto, se avevamo già dato un nome a nostro figlio. Io gli dissi che si chiamava Jamie, e lui tornò da me con il bimbo in braccio dicendomi: ‘Abbiamo perso Jamie, non ce l’ha fatta. Mi dispiace’. E’ stata la peggior sensazione che abbia mai provato, presi Jamie in braccio, lo strinsi a me. Le sue braccia e le sue gambe penzolavano dal suo corpo, non si muoveva. Io e David abbiamo iniziato a parlargli, gli abbiamo detto il suo nome e che aveva una sorella, gli abbiamo deto ciò che avremmo voluto che facesse nella sua vita. Dopo un po’, ha iniziato a muoversi, a respirare ancora. Ho pensato ‘Mio Dio, cosa succede?’, e dopo pochi secondi ha riaperto gli occhi. E’ stato un miracolo. Siamo i genitori più fortunati del mondo”.
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L’ETICA DELL’ABORTO: QUANDO L'ESSERE UMANO NON È UNA PERSONA - Christopher Kaczor affronta la questione da una prospettiva filosofica di padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 27 marzo 2011 (ZENIT.org).- I fautori del diritto all’aborto spesso accusano gli avversari di voler imporre le loro credenze religiose agli altri. La religione effettivamente fornisce argomentazioni forti al dibattito, ma questo va ben al di là dei soli aspetti di fede, come dimostra un recente libro.
Christopher Kaczor, nel suo libro “The Ethics of Abortion: Women's Rights, Human Life and the Question of Justice” (ed. Routledge), dà una prospettiva filosofica alla questione dell’aborto e spiega perché non è eticamente giustificabile.
Uno dei punti chiave affrontati da Kaczor riguarda i confini del concetto di persona. Alcuni fautori dell’aborto sostengono che è possibile distinguere gli esseri umani dalle persone. In questo senso, Mary Anne Warren sostiene che per potersi dire persona, l’essere umano deve soddisfare una serie di criteri.
A suo avviso le persone sono tali in quanto hanno coscienza degli oggetti e degli eventi, e la capacità di sentire dolore. Le persone hanno anche la capacità razionale e la capacità di auto-motivarsi a determinate attività, oltre alla capacità di comunicare.
Replicando a tali argomentazioni, Kaczor sottolinea che, se si usassero questi criteri, sarebbe difficile sostenere l’illegittimità dell’infanticidio, poiché il neonato non li soddisfa tanto quanto non li soddisfa un feto non nato.
Peraltro, non cessiamo certo di essere persone quando stiamo dormendo o sotto sedazione per intervento chirurgico, anche se in quei momenti non siamo coscienti o in movimento. Inoltre, neanche coloro che sono affetti da demenza o che sono disabili soddisferebbero i criteri di Warren per la definizione di persona.
Localizzazione
Un altro approccio usato per giustificare l’aborto è quello fondato sulla localizzazione all’interno o all’esterno dell’utero. Ma secondo Kaczor, l’essere persona va ben oltre la questione della localizzazione. Tra l’altro, se dovessimo adottare questo approccio, ne seguirebbe che in caso di fecondazione in vitro, il nuovo essere avrebbe lo status di persona, che perderebbe nel momento dell’impianto nell’utero, per poi riacquistarlo nuovamente alla nascita.
D’altra parte vi sono casi di chirurgia fetale in cui talvolta il feto è estratto dall’utero. Se dovessimo determinare la qualità di persona dalla sua esistenza al di fuori del grembo, allora dovremmo dire in questi casi che il feto nel grembo non è persona, che diventa persona quando è posto fuori dall’utero e che poi perde nuovamente lo status di persona quando vi è reinserito, per riacquistarla infine alla nascita.
Escludendo quindi la localizzazione come criterio per la definizione di persona, Kaczor considera poi se la qualità di persona possa essere acquisita in qualche momento tra il concepimento e la nascita. L’elemento della vitalità, ovvero se il feto in utero è potenzialmente capace di vivere fuori dal grembo materno, è stato considerato dalla Corte suprema degli Stati Uniti, nella nota sentenza Roe contro Wade, come uno degli elementi per determinare se i feti umani siano meritevoli di tutela giuridica, osserva l’autore.
Ma anche questa posizione presenta dei problemi, secondo Kaczor. Per esempio, i gemelli congiunti talvolta dipendono l’uno dall’altro per vivere e tuttavia sono entrambi considerati persone.
Il criterio della vitalità pone anche un altro problema, perché nei Paesi benestanti, con servizi sanitari evoluti, i feti diventano vitali prima di quelli dei Paesi poveri. E i feti di sesso femminile diventano vitali prima dei feti maschi. Ma le differenze di sesso e di benessere dovrebbero avere ripercussioni sullo status di persona?
Un altro approccio è quello di considerare l’acquisizione della capacità di soffrire dolore o di sentire piacere come criterio per attribuire il diritto alla vita, prosegue Kaczor. Ma anche questo non è sufficiente, secondo l’autore, poiché esclude tutti coloro che si trovano sotto anestesia o in coma. Inoltre, aggiunge, alcuni animali hanno questa capacità, eppure noi non riteniamo che abbiano un diritto soggettivo alla vita.
Una possibile riserva, per questa argomentazione, porterebbe a dire che non tutti hanno la capacità di sentire piacere o dolore e che quindi solo coloro che hanno una maggiore sensibilità e una capacità più sviluppata di perseguire interessi sono da considerare persone, spiega Kaczor.
Ma il problema, in questo caso, è che le persone differiscono molto in termini di sensibilità al dolore o al piacere ed è quindi difficile concludere che ciò possa costituire una base per compiere una radicale differenziazione concernente la qualità di persona o la titolarità di diritti.
Gradualismo
La risposta degli abortisti alle predette critiche è tratta dalla visione gradualistica, secondo Kaczor, in base alla quale, il diritto alla vita si rafforza gradualmente con l’avanzare della gravidanza e quanto più il feto diventa simile alle persone come noi, tanto più diventa suscettibile di protezione.
Ciò nonostante, secondo Kaczor esiste una differenza tra il diritto alla vita e gli altri diritti. Vi sono restrizioni di età per il diritto di voto, per guidare, per essere eletti ai pubblici uffici. Questo perché tali diritti implicano la capacità di svolgere le responsabilità che comportano.
Ma il diritto alla vita non contiene implicitamente alcuna responsabilità corrispondente e quindi può essere goduto a prescindere da qualsiasi requisito di età o di abilità mentale.
Un altro problema insito nel gradualismo è che lo sviluppo umano non si conclude affatto con la nascita. Se lo status morale fosse legato allo sviluppo psicologico, allora l’uccisione di un quattordicenne richiederebbe maggiore giustificazione dell’omicidio di un bimbo di sei anni.
La debolezza di tali argomenti, secondo Kaczor, ci porta a concludere che non esistono differenze eticamente rilevanti tra gli esseri umani nei loro vari stadi di sviluppo, tali da considerare alcuni come non-persone. Di conseguenza, la dignità e il valore della persona umana non inizia dopo la nascita, né in qualche momento durante la gestazione. Pertanto, tutti gli esseri umani sono anche persone umane.
La storia ci fornisce molti esempi della necessità di rispettare tutti gli esseri umani come persone dotate di dignità. Nessuno oggi, almeno in Occidente, secondo Kaczor, difenderebbe la schiavitù, la misoginia o l’antisemitismo. Siamo veramente legittimati a trattare alcuni esseri umani come inferiori alle persone, o saremo anche noi giudicati dalla storia come un ulteriore episodio della lunga serie di sfruttamenti dei deboli da parte dei più forti?
Concepimento
Ciò solleva la questione se gli esseri umani inizino la loro esistenza al momento del concepimento. Questa non è principalmente una questione morale, ma è una questione scientifica, secondo Kaczor.
Al riguardo, l’autore cita una serie di testi scientifici e medici, in cui si afferma che con il concepimento inizia una nuova vita umana e che con la creazione di un essere composto di 46 cromosomi avviene un cambiamento fondamentale.
Dopo il concepimento nessun agente esterno è responsabile dei cambiamenti che trasformano il neoconcepito organismo in qualcosa di diverso. È invece lo stesso embrione che si sviluppa per raggiungere i suoi successivi stadi di crescita.
“Parlando per analogia, l’embrione umano quindi non è un mero progetto dettagliato della casa che sarà costruita, ma è già una minuscola casa che costruisce se stessa per diventare più grande e più complessa, attraverso un’auto-sviluppo verso la maturità”, chiarisce Kaczor.
Gli altri capitoli del libro prendono poi in considerazione una serie di argomenti utilizzati dagli abortisti, che l’autore esamina, uno dopo l’altro, sottolineandone gli elementi di debolezza.
Per esempio è stato sostenuto che, poiché nei primi stadi di vita è possibile che si sviluppino dei gemelli, l’embrione non può essere considerato un essere umano individuale. Kaczor replica a questa argomentazione sostenendo che anche se un essere può essere diviso in due esseri, questo non significa che non sia mai stato un essere individuale.
Del resto, ha aggiunto, la maggior parte delle piante può dare vita ad altre piante, ma questo non significa che le prime non possano essere piante individuali e distinte dalle altre.
Il libro prende in esame anche le ipotesi più pesanti, come la gravidanza a seguito di stupro o incesto. In questi casi, la qualità di persona del feto – insiste Kaczor – non dipende dal modo in cui questo è stato concepito. “Sei quello che sei a prescindere dalle circostanze del tuo concepimento e della tua nascita”, sostiene.
Il lavoro profondamente ragionato di Kazcor contiene molte altre attente considerazioni, che lo rendono una valida fonte per tutti coloro che si battono per la tutela della vita umana.
Il messaggio del Papa per l'inaugurazione del Cortile dei Gentili - Spazi di dialogo e di fraternità tra credenti e non credenti - (©L'Osservatore Romano 27 marzo 2011)
Si è conclusa venerdì sera, 25 marzo, a Parigi, la due giorni sul tema Illuminismo, religione, ragione comune, che ha inaugurato il Cortile dei Gentili, la struttura permanente d'incontro e di dialogo fra credenti e non credenti voluta dal Pontificio Consiglio della Cultura. La serata, svoltasi sul sagrato della cattedrale di Notre-Dame de Paris, è stata dedicata ai giovani. Nel corso dell'avvenimento dal titolo Sul sagrato dello Sconosciuto, che prevedeva momenti di musica, spettacolo, testimonianze, suoni e luci - e che si è tenuto in contemporanea alla veglia di preghiera animata dalla Comunità di Taizé all'interno della cattedrale - è stato trasmesso sui maxi-schermi il messaggio di Benedetto XVI che pubblichiamo di seguito.
Questa la traduzione del messaggio indirizzato ai giovani.
Cari giovani, cari amici!
So che vi siete riuniti numerosi sul sagrato di Notre-Dame de Paris, su invito del Cardinale André Vingt-Trois, Arcivescovo di Parigi, e del Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Vi saluto tutti, senza dimenticare i fratelli e gli amici della Comunità di Taizé. Sono grato al Pontificio Consiglio per aver ripreso e sviluppato il mio invito ad aprire, nella Chiesa, dei "Cortili dei gentili", immagine che richiama quello spazio aperto sulla vasta spianata vicino al Tempio di Gerusalemme, che permetteva a tutti coloro che non condividevano la fede di Israele di avvicinarsi al Tempio e di interrogarsi sulla religione. In quel luogo, essi potevano incontrare degli scribi, parlare della fede ed anche pregare il Dio ignoto. E se, all'epoca, il Cortile era allo stesso tempo un luogo di esclusione, poiché i "Gentili" non avevano il diritto di entrare nello spazio sacro, Cristo Gesù è venuto per "abbattere il muro di separazione che divideva" ebrei e gentili, "per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l'inimicizia. Egli è venuto ad annunziare pace..." (Ef 2, 14-17), come ci dice san Paolo.
Nel cuore della "Città dei Lumi", davanti a questo magnifico capolavoro della cultura religiosa francese, Notre-Dame di Paris, un grande spazio si apre per dare nuovo impulso all'incontro rispettoso ed amichevole tra persone di convinzioni diverse. Giovani, credenti e non credenti presenti questa sera, voi volete stare insieme, questa sera come nella vita di tutti i giorni, per incontrarvi e dialogare a partire dai grandi interrogativi dell'esistenza umana. Al giorno d'oggi, molti riconoscono di non appartenere ad alcuna religione, ma desiderano un mondo nuovo e più libero, più giusto e più solidale, più pacifico e più felice. Nel rivolgermi a voi, prendo in considerazione tutto ciò che avete da dirvi: voi non credenti, volete interpellare i credenti, esigendo da loro, in particolare, la testimonianza di una vita che sia coerente con ciò che essi professano e rifiutando qualsiasi deviazione della religione che la renda disumana. Voi credenti, volete dire ai vostri amici che questo tesoro racchiuso in voi merita una condivisione, un interrogativo, una riflessione. La questione di Dio non è un pericolo per la società, essa non mette in pericolo la vita umana! La questione di Dio non deve essere assente dai grandi interrogativi del nostro tempo.
Cari amici, siete chiamati a costruire dei ponti tra voi. Sappiate cogliere l'opportunità che vi si presenta per trovare, nel profondo delle vostre coscienze, in una riflessione solida e ragionata, le vie di un dialogo precursore e profondo. Avete tanto da dirvi gli uni agli altri. Non chiudete la vostra coscienza di fronte alle sfide e ai problemi che avete davanti.
Credo profondamente che l'incontro tra la realtà della fede e quella della ragione permetta all'uomo di trovare se stesso. Ma troppo spesso la ragione si piega alla pressione degli interessi e all'attrattiva dell'utilità, costretta a riconoscere quest'ultima come criterio ultimo. La ricerca della verità non è facile. E se ciascuno è chiamato a decidersi, con coraggio, a favore della verità, è perché non esistono scorciatoie verso la felicità e la bellezza di una vita compiuta. Gesù lo dice nel Vangelo: "La verità vi renderà liberi". Spetta a voi, cari giovani, far sì che, nel vostro Paese e in Europa, credenti e non credenti ritrovino la via del dialogo. Le religioni non possono aver paura di una laicità giusta, di una laicità aperta che permette a ciascuno di vivere ciò che crede, secondo la propria coscienza. Se si tratta di costruire un mondo di libertà, di uguaglianza e di fraternità, credenti e non credenti devono sentirsi liberi di essere tali, eguali nei loro diritti a vivere la propria vita personale e comunitaria restando fedeli alla proprie convinzioni, e devono essere fratelli tra loro.
Una delle ragion d'essere di questo Cortile dei Gentili è quella di operare a favore di questa fraternità al di là delle convinzioni, ma senza negarne le differenze. E, ancor più profondamente, riconoscendo che solo Dio, in Cristo, ci libera interiormente e ci dona la possibilità di incontrarci davvero come fratelli. Il primo degli atteggiamenti da assumere o delle azioni che potete compiere insieme è rispettare, aiutare ed amare ogni essere umano, poiché esso è una creatura di Dio e in un certo modo la strada che conduce a Lui. Portando avanti ciò che vivete questa sera, contribuite ad abbattere le barriere della paura dell'altro, dello straniero, di colui che non vi assomiglia, paura che spesso nasce dall'ignoranza reciproca, dallo scetticismo o dall'indifferenza. Siate attenti a rafforzare i legami con tutti i giovani senza distinzioni, vale a dire non dimenticando coloro che vivono in povertà o in solitudine, coloro che soffrono per la disoccupazione, che attraversano la malattia o che si sentono ai margini della società.
Cari giovani, non è solo la vostra esperienza di vita che potete condividere, ma anche il vostro modo di avvicinarvi alla preghiera. Credenti e non credenti, presenti su questo sagrato dell'Ignoto, siete invitati ad entrare anche all'interno dello spazio sacro, a varcare il magnifico portale di Notre-Dame e ad entrare nella cattedrale per un momento di preghiera. Per alcuni di voi, questa preghiera sarà una preghiera ad un Dio conosciuto nella fede, ma per gli altri essa potrà essere anche una preghiera al Dio Ignoto. Cari giovani non credenti, unendovi a coloro che stanno pregando all'interno di Notre-Dame, in questo giorno dell'Annunciazione del Signore, aprite i vostri cuori ai testi sacri, lasciatevi interpellare dalla bellezza dei canti e, se lo volete davvero, lasciate che i sentimenti racchiusi in voi si elevino verso il Dio Ignoto.
Sono lieto di aver potuto rivolgermi a voi questa sera per questo momento inaugurale del Cortile dei Gentili. Spero che vorrete rispondere ad altri appuntamenti che ho fissato, in particolare alla Giornata Mondiale della Gioventù, quest'estate, a Madrid. Il Dio che i credenti imparano a conoscere vi invita a scoprirLo e vivere di Lui sempre più. Non abbiate paura! Sulla strada che percorrete insieme verso un mondo nuovo, siate cercatori dell'Assoluto e cercatori di Dio, anche voi per i quali Dio è il Dio Ignoto.
E che Colui che ama tutti e ciascuno di voi vi benedica e vi protegga. Egli conta su di voi per prendersi cura degli altri e dell'avvenire, e voi potete contare su di Lui!
Dal Vaticano, 25 marzo 2011
La questione del gender 1 - L'uguaglianza come eliminazione delle differenze - Autore: Laguri, Innocenza Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 26 marzo 2011
La questione del gender (cioè della sessualità come scelta storica e non come dato naturale) propone una complessità di problemi che fanno luce sulla mentalità contemporanea e sollecitano un giudizio. Nel loro insieme i problemi sono stati giustamente definiti come sfida epocale.
Indichiamo qui, sinteticamente, spunti di giudizio su alcune delle grosse questioni implicate, scelti da testi che man mano segnaliamo
La divinizzazione di una certa concezione di uguaglianza e di libertà all’origine del femminismo e del gender
Iniziamo sintetizzando le osservazione di Lucetta Scaraffia contenute in un articolo apparso di recente su L'Osservatore Romano e proponiamo via via integrazioni e approfondimenti tolti da altri contributi.
Alla crisi delle grandi ideologie politiche novecentesche, dice la Scaraffia, si è sostituita una sorta di divinizzazione dei diritti umani, in primis quelli dell’uguaglianza e della libertà di scelta. La realizzazione di questi diritti è vista oggi come realizzazione della felicità. In questa idolatria del diritto all’uguaglianza e alla libertà di scelta sono situati il femminismo e l’idea di gender. La Scaraffia cita una frase di Simone de Beauvoir che è all’origine del movimento femminista: "Donne non si nasce ma si diventa". Dunque il femminismo ha concepito l’uguaglianza come negazione totale di ogni differenza, a partire dalla negazione della differenza sessuale in nome di una totale libertà di scelta. Libertà di scelta talmente totale da cancellare quello che da sempre è stato un dato ineludibile, appunto la differenza sessuale. Questo modo di intendere l’uguaglianza come eliminazione delle differenze è stato accelerato dalla separazione tra sesso e riproduzione, il che ha equiparato la donna al maschio, liberandola dal “rischio maternità”. Da qui una catena di conseguenze: la separazione tra procreazione e sessualità ha a sua volta aperto la strada ad un’altra separazione, quella tra matrimonio e sessualità; si possono cogliere in ciò le condizioni per l’affermarsi del diritto al matrimonio e al figlio, anche da parte di coppie omosessuali o di single, tutto sulla base della negazione della identità sessuale naturale.
PERCHÉ LA LEGGE È NECESSARIA - Senza Dat, via libera all’eutanasia di ASSUNTINA MORRESI, Avvenire, 27 marzo 2011
S ono tanti i cattolici a chiedere l’approvazione della legge sulle Dat, le dichiarazioni anticipate di trattamento, in discussione alla Camera nei prossimi giorni. Lo dicono anche le ventitré firme, in rappresentanza di altrettante associazioni, raccolte dal Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione presieduto da Mimmo Delle Foglie, di cui si può leggere nelle pagine interne.
I firmatari ritengono che solo una legge possa impedire che l’eutanasia, introdotta surrettiziamente nel nostro paese con la sentenza Englaro, diventi un percorso accettabile e accettato. Eppure c’è ancora chi dichiara di temere il contrario, e cioè che sia proprio l’eventuale legge ad aprire una breccia all’eutanasia, perché dà valore giuridico alle volontà pregresse del cittadino: alle Dat, appunto.
Questa argomentazione poteva valere prima della morte di Eluana: ora è drammaticamente superata dagli eventi.
La sentenza della Cassazione su Eluana, infatti, ha stabilito che se una persona non può esprimere il proprio consenso ai trattamenti sanitari, è possibile ricostruirne la volontà ex post: sono sufficienti testimonianze di terzi, o anche la conoscenza dei suoi 'stili di vita'. Eluana è morta disidratata senza averlo mai chiesto perché alcuni giudici hanno desunto la sua volontà dalle testimonianze dei genitori e di qualche amico.
Niente consenso informato, niente colloqui con specialisti: è bastata qualche conversazione a tavola con i suoi. Dopo la sua morte, migliaia di cosiddetti 'biotestamenti' sono stati depositati in vario modo, presso comuni e notai, o registrati in Internet. Non si tratta quasi mai di consensi informati sottoscritti davanti a un medico, ma di espressioni di volontà le più varie, in genere a evidente carattere eutanasico. Non sono frutto di spontanee iniziative individuali: sono stati sollecitati, e spesso raccolti, con un preciso progetto politico, cioè per farli valere davanti a un tribunale, in particolare se la legge sulle Dat non arrivasse in porto.
Cosa accadrebbe, in questo caso? Un’anarchia totale, della quale i primi a fare le spese – malati a parte – sarebbero i medici: in mancanza di norme precise, sarebbero sempre esposti alle eventuali contestazioni di familiari o di colleghi. In caso di disaccordo, si potrebbe solo ricorrere ai tribunali, ciascuno dei quali deciderebbe in autonomia, ed inevitabilmente qualcuno seguirebbe la giurisprudenza segnata dal caso Englaro. Le indicazioni di tipo eutanasico (come la sospensione di acqua e cibo) potrebbero essere applicate senza conseguenze. Nessuna azione disciplinare, infatti, è stata intrapresa dagli ordini professionali nei confronti dei medici che hanno portato alla morte Eluana. Ricordiamo inoltre che non solo le azioni del governo (come l’atto di indirizzo o i rapporti dei Nas e degli ispettori ministeriali) non hanno ottenuto alcun risultato, ma anche i tanti esposti arrivati a Udine, o la denuncia per omicidio volontario nei confronti di chi ha eseguito il protocollo di morte.
Dopo un po’ si chiederebbe una legge per fare ordine, ma a quel punto avremmo solo la regolamentazione di prassi consolidate, com’è avvenuto in altri paesi, e tornare indietro non sarebbe più possibile. Approvare le Dat, adesso, serve per evitare tutto questo.
Chi invece pensa che fare la legge sia inutile, perché «i giudici la smonteranno», dovrebbe allora chiedere una pesante riforma del sistema giudiziario, oppure, per assurdo, rassegnarsi a chiudere il parlamento, e affidarsi al governo dei tribunali. Noi invece crediamo nelle regole della democrazia, e che si debba legiferare nei luoghi deputati: ma sappiamo anche che una legge, oltre a farla, bisogna difenderla giorno per giorno, nell’applicazione quotidiana e attraverso battaglie culturali.
«Una degna sepoltura anche per i bambini non nati» l’appello - Il giurista Eusebi: la norma è ancora poco chiara, se il bebè è stato abortito dopo la 20esima settimana si può DA ROMA MIMMO MUOLO – Avvenire, 27 marzo 2011
I bambini abortiti hanno diritto a una degna sepoltura. E impegnarsi in quest’opera di pietà è anche un modo per riaffermare la loro dignità di persone. Senza toni apocalittici o polemici, ma come estremo atto d’amore nei confronti di coloro che hanno subito la più terribile delle violenze. Lo chiedono le associazioni promotrici del convegno che si conclude oggi presso il Pontificio Ateneo 'Regina Apostolorum' e che si intitola 'I bambini non nati - L’onore e la pietà'. Si tratta delle Associazioni 'Difendere la vita con Maria' e 'Donum Vitae' e della Fondazione 'Ut vita habeant', che hanno scelto di trattare il delicato argomento sia da un punto di vista giuridico, sia nei suoi inevitabili risvolti teologici e pastorali.
Giuridicamente parlando, infatti, non sempre le regole sono chiare. Come ricorda Luciano Eusebi, ordinario di diritto penale all’Università Cattolica di Piacenza, se il feto abortito ha superato l’età gestazionale di 20 settimane, si deve procede alla sepoltura. Così dispone il regolamento di polizia mortuaria. Il problema si pone, invece, per i feti di età gestazionale inferiore alle 20 settimane. Specie quando non vi sia una richiesta da parte dei genitori. Se questa richiesta, infatti, c’è, si procede come nel primo caso. Ma quando manca? Il rischio è che il feto possa essere “trattato” come gli organi e le parti anatomiche non riconoscibili, che vengono smaltiti in impianti per rifiuti pericolosi. Eusebi su questo punto è categorico: «Il piccolo feto abortito – argomenta il giurista –, anche quando si distacchi in fase molto precoce e in modo non integro dal corpo non costituisce, infatti, una mera parte anatomica, un organo o un tessuto del concepito, bensì il corpo del medesimo nella sua sostanziale interezza. Ne deriva – conclude Eusebi – che il trattamento di questi resti umani, anche quando non vi sia una specifica richiesta di sepoltura da parte dei genitori, deve essere assimilato alle parti anatomiche riconoscibili (ad esempio una gamba amputata), per le quali è previsto che la struttura sanitaria proceda alla sepoltura ». Di qui il consiglio del docente: «Una cooperazione tra strutture sanitarie e organismi del volontariato no profit per la sepoltura dei feti». Una proposta che viene raccolta e rilanciata dalle associazioni che hanno promosso il convegno.
«Il tutto, però – spiega il coordinatore del simposio, don Gianmario Lanfranchini – deve essere fatto tuttavia senza toni polemici, quanto piuttosto al fine di testimoniare che questi bambini non nati sono persone». La lezione da tenere presente è quella di Giovanni Paolo II, di cui ha parlato monsignor Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute. Amore incondizionato per la vita, ma grande misericordia verso chi ha abortito e si è pentito. Atteggiamenti da coltivare con una adeguata pastorale per la vita, come ha chiesto il cardinale Elio Sgreccia, intervenuto insieme a numerosi politici e studiosi come Carlo Casini, Maria Luisa Di Pietro e Giuseppe Noia.
Avvenire.it, 25 marzo 2011 – FILM - Il collegio lager dei ragazzi cloni - Alessandra De Luca
All’inizio quei ragazzini allevati in un prestigioso e idilliaco college inglese, costretti a una strana, misteriosa sottomissione, costantemente sotto controllo medico, sembrano solo gli studenti decisamente speciali di una scuola destinata a rampolli di famiglie ricche, nobili e particolarmente esigenti in fatto di educazione. Solo che loro genitori non ne hanno. E neppure un cognome. Rinchiusi tra quelle mura, oltre le quali ci sarebbe morte sicura (questa è la voce che circola tra loro), Tommy (Andrew Garfield), Ruth (Keira Knightley) e Kathy (Carey Mulligan) imparano insieme a tutti gli altri le regole del mondo senza mai abbandonare il loro recinto di protezione.
Un giorno però entra in classe Miss Lucy e tutto cambia. Quei bambini che cominciano a scoprire i primi palpiti del cuore e a sognare le dolcezze della vita futura scoprono in cosa consiste il loro essere "speciali". Non diventeranno mai vecchi e probabilmente non raggiungeranno neppure la mezza età. Clonati da altri esseri umani, sono destinati ad essere preziose banche di organi vitali per coloro che, desiderosi di vivere a lungo e senza malattie, si sottopongono a operazioni di trapianto. I più fortunati raggiungeranno la quarta donazione prima di «completare il ciclo», ma altri potrebbero morire dopo la prima.
Questo agghiacciante scenario è al centro del film di Mark Romanek, Non lasciarmi, tratto dall’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro (l’autore di Quel che resta del giorno) e ambientato tra gli anni Settanta e Novanta, in un «passato fantascientifico» dove l’aspettativa di vita è salita a 100 anni grazie ai progressi della medicina e della bioingegneria. Ma la nuova «conquista» del genere umano ha dei costi altissimi. Fedele al romanzo, asciugato tuttavia di molte conversazioni e divagazioni, il film restituisce l’inquietante fascino di un ambiente rarefatto intriso di inquietanti misteri.
Ma, soprattutto, domina il dolore straziante delle giovani vittime sacrificali che, una volta scoperta la verità, sono combattute tra la rassegnata accettazione del proprio triste destino e il desiderio di sottrarsi, in nome dell’amore che comincia a sbocciare tra loro, a quella spaventosa vivisezione. Pare infatti che agli innamorati siano concessi tre-quattro anni di proroga prima dell’espianto di esordio, ma non è così, nonostante la galleria d’arte che raccoglie i loro lavori sia tesa a dimostrare che anche quelle repliche hanno un’anima.
Insieme ai protagonisti, il pubblico, investito da una malinconia crescente, scopre a poco a poco l’inferno nel quale piomberanno quei ragazzi, seguendoli persino nei corridoi degli ospedali dove si trascinano pallidi e doloranti, con le prime cicatrici a segnare i loro corpi da macello. Glaciale nel tracciare il ritratto dei giovani cloni, il regista firma un melodramma anomalo e asciutto, lasciando allo spettatore tutto il tempo per immergersi con commozione nell’orrore di un mondo che appare meno lontano di quello che sembra. E nel finale la riflessione filosofica (mai spirituale però) sul destino dell’uomo e il senso della vita si estende a una dimensione più ampia e universale: di fronte alla certezza della morte non sono forse uguali tutti gli esseri umani che, giunti alla fine del proprio percorso terreno, sono assaliti dall’angoscia di non aver avuto abbastanza tempo?