domenica 13 marzo 2011

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    SIAMO 'QUASI' NIENTE MA NON NIENTE - PIÙ COSCIENTI DEL MISTERO di DAVIDE RONDONI, Avvenire, 13 marzo 2011
2)    AL SERVIZIO DELL'ADORAZIONE EUCARISTICA PERPETUA di don Giovanni Lo Sapio*
3)    12/03/2011 - CINA – VATICANO - Isolato dalla polizia un villaggio dell’Hebei per la morte di un vescovo sotterraneo
4)    12/03/2011 – PAKISTAN - La polizia cerca di sminuire l'assassinio di Shahbaz Batthi. Timori per Asia Bibi di Jibran Khan
5)    12/03/2011 – MALAYSIA - Cristiani protestano: il governo blocca 30mila Bibbie in lingua malay
6)    12/03/2011 – ETIOPIA - Etiopia: radicali musulmani bruciano dodici chiese protestanti. Un morto, decine di feriti
7)    Nelle tre encicliche trinitarie di Giovanni Paolo II - L'Evento che spiega l'uomo all'uomo di ANGELO SCOLA (©L'Osservatore Romano 13 marzo 2011)
8)    Con "Il rito" di Mikael Håfström - ritorna sul grande schermo la figura dell'esorcista - Ci si creda o no il diavolo esiste di GAETANO VALLINI (©L'Osservatore Romano 13 marzo 2011)
9)    Ignazio di Loyola da soldato a cavaliere (per il Regno) - E zoppicando partì alla ventura di ALAIN BESANÇON  (©L'Osservatore Romano 13 marzo 2011)

SIAMO 'QUASI' NIENTE MA NON NIENTE - PIÙ COSCIENTI DEL MISTERO di DAVIDE RONDONI, Avvenire, 13 marzo 2011

Come formiche. Laboriose, geniali. Ma formiche. Tutta la tua vita di uomo o di donna – amori, dolori, ricordi, fatiche – spazzata via in un istante. Il terremoto e il maremoto giapponese ci riportano con il febbrile succedersi di immagini e di titoli sempre più inquietanti una verità di cui da sempre l’uomo parla. Lo diceva il poeta dei Salmi, l’antico greco come il latino. Il no­stro Leopardi, il nordico Ibsen: di fronte al­la potenza della natura siamo quasi niente. La potenza che si dispiega a volte in spet­tacoli vertiginosi di bellezza. O altre volte in rasoiate tremende di morte. E allora di fron­te a questa verità da profeti e da breaking­news, che grida e mormora in libri antichi e nei nostri video accesi, si possono pren­dere vari atteggiamenti. Perché tutti, sì, sia­mo come formiche, esseri quasi confusi con il nulla, come diceva Leopardi. Ma questa verità che riguarda tutti può essere affron­tata in vari modi personali.

In questi giorni spesso anche forzando si sono lodate la 'freddezza dignitosa', la compostezza del popolo giapponese. Si è visto il deposito di una millenaria sapienza che vive i colpi del destino come un fato da accettare compattandosi in una forza col­lettiva, superando il destino di dolore indi­viduale e trovando risorse per rimettersi in moto come nazione. Una dignitosa accet­tazione dell’essere fragili e minimi, pur se ideatori di alcune prodigiose macchine che hanno resistito alla distruzione. Un opero­so fatalismo, una dignitosa sconfitta.

Ti basta questo? chiede a ognuno di noi il terremoto. Oppure c’è chi solo dispera. Chi cambia canale, cerca evasione dall’impo­nente evidenza di precarietà. Chi dispe­rando del tutto spera solo nella fortuna. Spe­ra di scamparla, in un modo o nell’altro. E divide il mondo in fortunati e no. La dea for­tuna (lo vediamo da quanta pubblicità è de­dicata a lotterie) gode ottima reputazione tra di noi. Ma, appunto, è il regno di una specie di disperazione: ci si affida al caso, ci si augura che la malasorte colpisca qualche chilometro più in là. Oppure c’è chi di fron­te e dentro a questo evento naturale (e u­mano) trova una provocazione a vivere più coscientemente il senso del limite. L’uomo religioso da sempre chiama queste cose: un segno.

Tendiamo a dimenticare. Troppi pensieri di banale sufficienza, di autodeterminazione albergano nelle nostre menti. Fino a che la luce dura della tragedia non ci ricorda: sei quasi nulla. Noi cristiani ce lo siamo senti­ti ripetere nel Mercoledì delle ceneri. L’uo­mo religioso riflette sul limite della condi­zione umana. Non conosce la sorpresa i­pocrita ed egoista di chi si scandalizza o di­sperando si affida a una dea cieca. Tutti di­ciamo anche 'ti amo da morire', oppure 'sei bella da morire' perché in ogni espe­rienza umana – di dolore come di gioia – si tocca il nostro essere limitati. E sempre dob­biamo aprirci appunto a una misura più grande per comprendere il mistero dell’a­more. Del dolore. Del reale vivere. Leopar­di diceva che il segno più netto della nostra grandezza è questo senso di piccolezza, d’essere un 'quasi niente' che però ab­braccia il mistero infinito del reale, essen­done cosciente e ponendo domande: che fai tu luna in ciel ? Siamo 'quasi' niente, e quin­di no, non siamo pari a niente. Ogni uomo, pur disperso come in un soffio dagli ele­menti è differente (anche ora, nell’ora del­la morte) dal niente. La sventura giappo­nese o ci lascia più coscienti del mistero o ci sarà inutile. O lascia più attenti a cerca­re quale sia il volto di questo mistero, o sarà qualcosa da cui voltare il capo. Da cui spe­rare di proteggere noi e i nostri piccoli co­me fa una cagna, impaurita, incosciente.


AL SERVIZIO DELL'ADORAZIONE EUCARISTICA PERPETUA di don Giovanni Lo Sapio*

ROMA, venerdì, 11 marzo 2011 (ZENIT.org).- Il Coordinamento Nazionale per l’Adorazione Eucaristica Perpetua nasce dal desiderio di servire le diverse realtà presenti in Italia e che rappresentano quella “primavera eucaristica”, che il Papa Benedetto XVI vede nella Chiesa. Il movimento eucaristico negli ultimi 20 anni ha subito un colpo d’acceleratore grazie ai tanti doni che lo Spirito Santo ha seminato ovunque. Sempre più forte si percepisce una domanda di spiritualità che sazi la fame di Dio presente nel cuore di ogni uomo, sempre più forte è il grido dell’uomo che cerca autenticità e forza per la propria vita in questo tempo di crisi e disorientamento.
Tante domande, una sola risposta: Gesù Eucarestia! In questo contesto matura l’esigenza di “mettersi insieme”, non è più il tempo di navigatori solitari, solo insieme possiamo fare qualcosa di bello per Dio e per gli altri. In diverse parrocchie italiane lo Spirito ha suscitato il dono dell’adorazione eucaristica perpetua, lo Spirito che opera per il bene di tutti ha spinto le comunità a “mettersi insieme”, per essere lievito e testimonianza che solo davanti a Gesù Eucarestia tutto ritorna al proprio posto. L’adorazione eucaristica perpetua è un progetto per rinnovare le parrocchie, nasce dalla parrocchia per la parrocchia, per riportare la pastorale all’Essenziale, per ricentrare tutto partendo da Gesù Cristo.
Un progetto per combattere quel terribile male che è l’individualismo tra presbiteri, tra parrocchie, tra associazioni, tra movimenti. Rimettere l’Eucarestia al centro dei progetti pastorali, perché è Lui che fa la pastorale. Spesso siamo concentrati troppo su noi stessi, siamo preoccupati dei nostri progetti pastorali, della nostra vita all’interno delle parrocchie, dimenticando che siamo per il mondo. Rimettere l’Eucarestia al centro vuol dire recuperare la coscienza missionaria, come afferma Benedetto XVI: “Solo una vita autenticamente eucaristica è una vita missionaria”. (Alla Comunità dell’Emanuel 03/02/2011); dunque aprirci al mondo, aprire la porte delle nostre chiese. Queste spinte hanno fatto scaturire il bisogno di un Coordinamento Nazionale tra le diverse parrocchie e comunità che hanno avuto la grazia di imbattersi nell’adorazione eucaristica perpetua, un bisogno che nasce dal desiderio di dare risposta ai continui inviti del magistero che a più riprese, con forza, ha chiesto che: “Nel limite del possibile, soprattutto nei centri più popolosi, converrà individuare chiese da riservare appositamente all’adorazione perpetua” (Sacramentum Caritatis n°67).
Ancora Giovanni Paolo II chiedeva ai Pastori: “Di incoraggiare il culto eucaristico, particolarmente le esposizioni del Santissimo Sacramento” (Ecclesia de Eucarestia n°25), e ancora affermava: “spero che questa forma di adorazione perpetua, con esposizione permanente del Santissimo Sacramento continui in futuro. Spero che l’istituzione dell’adorazione eucaristica perpetua si manifesti in tutte le parrocchie e comunità cristiane del mondo”(al 45° Congresso Eucaristico Internazionale di Siviglia, 1993). Dai tantissimi incoraggiamenti del magistero ci siamo sentiti interpellati e spinti a portare avanti il nostro impegno perché la “chiesa vive dell’Eucarestia”. Dunque il Coordinamento Nazionale vuole essere un piccolo strumento al servizio della chiesa in Italia per dare il proprio contributo nel promuovere il Movimento Eucaristico. In Italia l’adorazione eucaristica perpetua è presente in circa 50 parrocchie con oltre 15 mila adoratori, che hanno scelto di vivere la propria vita offrendo un’ora a settimana alla presenza di Gesù Eucarestia in adorazione. Come associazione, aderiamo alla Federazione Mondiale delle Opere Eucaristiche della Chiesa, riconosciuta e approvata dal Pontificio consiglio per i laici il 22 gennaio 2009, la quale è sorta con lo scopo di: A) Incoraggiare, stimolare e propagare il culto del Santissimo Sacramento, sia per mezzo dell’Adorazione Notturna, che per mezzo di qualsiasi altra forma, in accordo con la gerarchia ecclesiastica. B) Collaborare con i suoi membri alla formazione di nuove associazioni di fedeli con lo stesso obiettivo e fini. C) Utilizzare tutti i mezzi di comunicazione di massa, per diffondere il culto Eucaristico. (Art 6 dello Statuto).
Obiettivo del coordinamento è costruire una rete tra tutte le realtà eucaristiche italiane, puntando a far nascere in ogni diocesi (o almeno in ogni regione) un incaricato per l’adorazione eucaristica perpetua, così come chiesto nella Nota esplicativa del documento dell’8 dicembre 2007 della Congregazione per il clero sull’Adorazione Eucaristica per la santificazione del Clero. Negli ultimi cinque anni abbiamo visto raddoppiarsi il numero delle chiese di adorazione eucaristica perpetua, abbiamo visitato varie Diocesi e Vescovi, incontrato il Clero e promosso decine di settimane eucaristiche. Abbiamo celebrato due Convegni Nazionali: a Roma e Pompei, pubblicato gli atti e siamo impegnati nella preparazione del III Convegno Nazionale che faremo a Loreto e daremo il nostro contributo al 25° Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona. Curiamo i contatti attraverso il sito: www.adorazioneperpetua.it attraverso il quale cerchiamo di: “fare famiglia” e divulgare la spiritualità eucaristica. Abbiamo soprattutto cercato di rafforzare i vincoli di comunione tra tutti gli adoratori, condividendo esperienze e promuovendo il grande dono dell’adorazione eucaristica perpetua. Il coordinamento nazionale non è un altro organismo, non è un altro movimento, non sostituisce alcuna realtà eucaristica, non vuole appropriarsi di altre identità, non vuole fagocitare o annullare altre esperienze. Il coordinamento vuole solo essere uno strumento al servizio della comunione del movimento eucaristico, essere “sovrabbondanza d’amore” per aiutare le comunità cristiane a diventare autentiche scuole di preghiera e casa di comunione, per rispondere alle sfide del nostro tempo e testimoniare la gioia che l’adorazione eucaristica perpetua è “un’avventura senza ritorno” proiettata verso il Cielo.
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*Don Giovanni Lo Sapio, Coordinatore Nazionale dell'Adorazione Eucaristica Perpetua.


12/03/2011 - CINA – VATICANO - Isolato dalla polizia un villaggio dell’Hebei per la morte di un vescovo sotterraneo

Mons. Andrea Hao Jinli, vescovo di Xiwanzi, è morto il 9 marzo scorso. Non si conosce la data dei funerali e la polizia frena la partecipazione dei fedeli alle esequie. Mons. Hou ha passato 10 anni in prigione e 10 anni in un lager.


Pechino (AsiaNews/Eda) – Il villaggio di Gonghui (Hebei) è stato isolato dalla polizia per non permettere assembramenti di fedeli cattolici che desiderano offrire l’estremo saluto alla salma di un vescovo clandestino.
Mons. Andrea Hao Jinli, vescovo non ufficiale di Xiwanzi è morto il 9 marzo scorso all’età di 95 anni. La diocesi di Xiwanzi (Hebei) è una diocesi della Chiesa sotterranea, con 15 mila fedeli, a circa 260 km a nord di Pechino, quasi al confine con la Mongolia Interna.

La diocesi è rimasta senza pastore, dopo la morte del vescovo coadiutore avvenuta oltre un anno fa. Mons. Leo Yao Liang, il vescovo coadiutore è morto il 30 dicembre 2009 in ospedale, circa un anno dopo aver subito quasi 3 anni di detenzione. Aveva 86 anni. Per i suoi funerali, la pubblica sicurezza era stata schierata per frenare la partecipazione di fedeli. Ciò non ha impedito però a oltre 5 mila fedeli di prendere parte ai suoi funerali (07/01/2010 Migliaia di cattolici sfidano neve, freddo e polizia ai funerali di mons. Yao Liang).

Per mons. Hao Jinli sta avvenendo la stessa cosa. Dal giorno della morte, tutte le strade che portano al villaggio sono state chiuse e non si conosce ancora la data delle esequie.

“Mons. Hao è morto il Mercoledì delle Ceneri – ha dichiarato un fedele – . Egli è stato unito a Gesù Cristo per tutta la vita, nelle prove che egli ha vissuto ed è con Lui che risusciterà”.
Il vescovo era molto amato dalla sua comunità ed ha educato molti sacerdoti della Chiesa sotterranea. Ha passato almeno 20 anni in prigione per la sua fede e decenni sotto un soffocante controllo, sempre rifiutandosi di aderire all’Associazione patriottica, che mira a costruire una Chiesa indipendente dal papa.

Mons. Hao era nato nel 1916 da una famiglia cattolica; altri due suoi fratelli sono divenuti sacerdoti. Ordinato prete nel 1943, è stato condannato a 10 anni di prigione nel 1958. All’uscita della prigione, è stato inviato in un lager a Gonghui per essere “rieducato attraverso il lavoro”. Liberato nel 1981, ha cominciato un’attività parrocchiale.

Nell’84 è stato ordinato vescovo sotterraneo della diocesi di Chongli-Xiwanzi, succedendo a mons. Melchior Zhang Kexing. A causa della sua malattia, nel 2002, il p. Leo Yao Liang è stato ordinato vescovo coadiutore, ma è morto nel 2009.

La situazione della diocesi di Xiwanzi è divenuta più complicata quando negli anni ’80 il governo cinesi ha unito le due diocesi di Xiwanzi e di Xuanhua per formare la nuova diocesi di Zhangjiakou, tuttora non riconosciuta dal Vaticano e senza vescovo.

In questi anni la diocesi di Xiwanzi ha tentato di continuare il suo impegno missionario, ma ha anche subito arresti di sacerdoti e fedeli e sequestri di chiese.


12/03/2011 – PAKISTAN - La polizia cerca di sminuire l'assassinio di Shahbaz Batthi. Timori per Asia Bibi di Jibran Khan

Sconcertanti dichiarazioni dell’ispettore generale di polizia, secondo cui alla radice dell’assassinio potrebbe esserci “un’inimicizia personale”. Molto critico il vescovo di Islamabad: “La polizia di Islamabad sta cercando di trovare un capro espiatorio per salvarsi, e nascondere la sua incapacità”. Asia Bibi sconvolta, teme per la sua vita.


Islamabad (AsiaNews) – Quello che potrebbe essere un tentativo di copertura dell’assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze pakistano, ha trovato voce nelle dichiarazioni dell’ispettore generale di polizia Wajid Ali Durrani. L’ispettore in una conferenza stampa ha dichiarato che il ministro cattolico, minacciato più volte dai radicali islamici per la sua posizione sulla legge della blasfemia, potrebbe essere stato ucciso a causa di “un’inimicizia personale”. “Stiamo esaminando i dettagli della situazione, dal momento che aveva cattive relazioni con alcuni gruppi locali” ha detto l’ispettore, aggiungendo che un rapporto più dettagliato verrà emesso presto.

Il vescovo di Rawalpindi-Islamabad, mons. Rufin Anthony ha negato credibilità alla dichiarazione, dicendo che “dietro c’è l’incapacità della polizia di Islamabad ad arrestare i colpevoli. Stanno cercando di spostare la questione in un’altra direzione. La polizia di Islamabad sta cercando di trovare un capro espiatorio per salvarsi, e nascondere la sua incapacità. E’ chiaro che Shahbaz Bhatti era sotto minaccia degli estremisti. E’ stato martirizzato per aver parlato per una modifica della legge sulla blasfemia”.

Il vescovo ha poi aggiunto: “In precedenza il ministro degli Interni Rehman Malik ha cercato di salvarsi dicendo che non era responsabilità del suo ministero provvedere un’auto blindata; il gabinetto dei ministri ha invece affermato che avevano dato istruzione al ministero degli Interni di dare a Bhatti un veicolo a prova di proiettile. Questo fatto tragico ha unito i cristiani in tutto il Pakistan. Il gioco dello scarico di responsabilità, o il tentativo di deviare la questione non avrà effetti sulla nostra lotta. Non lasceremo che il sangue di questo martire vada sprecato”.

Asia Bibi, la donna cristiana accusata ingiustamente di blasfemia, e il cui caso ha suscitato le polemiche in Pakistan che hanno portato all’uccisione di Salman Taseer, governatore del Punjab, (04/01/2011 Assassinato il governatore del Punjab. Aveva chiesto la grazia per Asia Bibi) e di Bhatti, è in uno stato di choc, dopo l’assassinio del ministro. Teme per la sua vita. Secondo la “Masihi Foundation” Asia Bibi “digiuna e prega. E’ stata colpita duramente dalla notizia dell’uccisione, e teme di poter essere uccisa fra le mura della prigione. Stiamo facendo tutto il possibile per assicurare a sua sicurezza”.


12/03/2011 – MALAYSIA - Cristiani protestano: il governo blocca 30mila Bibbie in lingua malay

La Federazione dei cristiani della Malaysia in un comunicato esprime la disillusione, l’ira e lo sconforto dei cristiani: “Sembrerebbe che le autorità stiano portando avanti un programma continuo, surrettizio e sistematico contro i cristiani in Malaysia, negando loro l’accesso alla Bibbia in lingua malay”. Il blocco legato alle polemiche sul termine “Allah” per definire Dio.

 Kuala Lumpur (AsiaNews/Agenzie) – La maggiore organizzazione cristiana in Malaysia, un Paese a maggioranza musulmana, ha dichiarato di “essere stufa” del rifiuto del governo di permettere la distribuzione di alcune decine di migliaia di Bibbie. Sostiene che si tratta di un affronto alla libertà religiosa. E’ una protesta piuttosto rara, ed è portata avanti dalla Federazione cristiana della Malaysia. E’ anche un segnale della crescente impazienza, fra le minoranze religiose, per la disputa, ormai vecchia di anni, sulla proibizione da parte del governo di usare la parola “Allah” come traduzione del termine “Dio” nella Bibbia e nei testi religiosi cristiani in lingua malay.
Il presidente della Federazione, il vescovo Ng Moon Hing ha dichiarato che le autorità stanno bloccando 30mila copie della Bibbia in Malay in un porto dell’isola del Borneo. Questo è l’ultimo tentativo da parte di cristiani di importare Bibbie, in particolare dall’Indonesia; i precedenti sono faliiti. Non ci sono problemi invece per i testi in inglese.

La Federazione ha emesso un comunicato, in cui dice che “i cristiani sono grandemente disillusi, stufi e irritati” per il continuo blocco delle Bibbie. “Sembrerebbe che le autorità stiano  portando avanti un programma continuo, surrettizio e sistematico contro i cristiani in Malaysia, negando loro l’accesso alla Bibbia in lingua malay”.

Il ministero dell’Interno non ha reagito. Il governo in occasioni simili in passato ha ammesso che c’era una proibizione, ma ha sostenuto che la colpa era dell’importatore che non aveva adempiuto ad alcune formalità. In realtà il problema nasce dalla posizione del governo, secondo cui l’uso del termine “Allah” in testi non musulmani potrebbe confondere i musulmani, e addirittura condurli alla conversione al cristianesimo. Quasi due terzi dei 28 milioni di cittadini sono musulmani malay, mentre il 25% sono cinesi e l’8% sono indiani. Le minoranze etniche sono in grande maggioranza cristiani, buddisti e induisti.

Nel dicembre 2009 un tribunale ha deciso che i cristiani hanno il diritto costituzione di usare il termien “Allah”. Il governo si è appellato contro il verdetto, ma l’udienza non è stata ancora fissata. La decisione del tribunale nel gennaio 2010 ha causato tensioni momentanee, e l’ira degli estremisti musulmani. Undici chiese erano state attaccate. La Chiesa cattolica ha ristampato un dizionario latino-malese vecchio di 400 anni per dimostrare l’antico uso del termine “Allah” in senso cristiano nel Paese. (22/01/2011 Dizionario malese-latino vecchio di 400 anni: una prova nel processo sul termine Allah)


12/03/2011 – ETIOPIA - Etiopia: radicali musulmani bruciano dodici chiese protestanti. Un morto, decine di feriti

I disordini sono esplosi in seguito all’accusa, probabilmente falsa, di dissacrazione del Corano. Le forze di polizia non sono riuscite a impedire la distruzione dei luoghi di culto. Il governo obbligato a mandare l’esercito. Responsabile il gruppo radicale Kwarej, che vuole creare uno stato islamico in quella zona, a maggioranza musulmana.

Addis Abeba (AsiaNews/Agenzie) – Negli ultimi giorni estremisti musulmani avrebbero scatenato attacchi violenti contro cristiani evangelici nella zona di Asendabo, nel cuore del Paese. Dodici chiese protestanti, due case di predicatori evangelici e le abitazioni e le proprietà di cristiani della zona sarebbero state distrutte. I leader cristiani hanno chiesto protezione alle forze di polizia; ma a quanto sembra le aggressioni e gli incendi sono proseguiti anche dopo che agenti della polizia federale sono giunti nella città.
I musulmani avrebbero cominciato i loro attacchi il 2 marzo, dopo aver accusato di cristiani di aver dissacrato il Corano. Una folla di musulmani, gridando “Allahu akbar” (Dio è il più grande) ha attaccato tre chiese evangeliche incendiandole. Quando la polizia federale è giunta, i disordini sono continuati, e gli agenti, sopraffatti dal numero, non sono riusciti a evitare che altri luoghi di culto seguissero la stessa sorte.

Con il passare dei giorni le violenze non sono diminuite. Secondo fonti evangeliche, un cristiano avrebbe perso la vita, parecchi altri sarebbero feriti, e oltre a decine di abitazioni e luoghi preghiera sarebbero state bruciate una scuola, un orfanatrofio e gli uffici di una chiesa. Circa tremila cristiani sarebbero sfollati a causa dell’ondata di violenza.

Un leader cristiano locale ha dichiarato a International Christian Concern che gli attacchi sono stati organizzati dai membri di Kwarej, un gruppo islamico radicale che avrebbe per obiettivo la nascita di uno stato musulmano nel Paese, a maggioranza copta. I responsabili degli attacchi proverrebbero da diverse regioni del Paese, comprese quelle vicine alla Somalia. “E’ molto triste che un gruppo islamico radicale cerchi di destabilizzare la convivenza fra cristiani e musulmani. Chiediamo a tutti i responsabili di aiutarci, che le autorità prevengano il ripetersi di simili attacchi in futuro” ha dichiarato il responsabile di una chiesa locale.

Il governo etiopico avrebbe mandato l’esercito nella zona, perché la polizia non era in grado di gestire la situazione. Sembra che siano stati compiuti parecchi arresti di presunti responsabili musulmani nella regione, una delle poche a zone a maggioranza islamica.


Nelle tre encicliche trinitarie di Giovanni Paolo II - L'Evento che spiega l'uomo all'uomo di ANGELO SCOLA (©L'Osservatore Romano 13 marzo 2011)

Pubblichiamo un estratto della relazione - dal titolo L'insegnamento di Karol Wojty?a. Giovanni Paolo II e l'uomo postmoderno - pronunciata dal cardinale patriarca di Venezia al convegno organizzato sabato 12 marzo, nel capoluogo lagunare, dall'Istituto superiore di scienze religiose "San Lorenzo Giustiniani", inserito nello Studium Generale Marcianum.

La proposta di Dio formulata da Giovanni Paolo II, soprattutto nelle tre encicliche trinitarie, risponde al desiderio di Dio dell'uomo postmoderno. Un desiderio insopprimibile anche quando viene sepolto sotto le macerie dell'odierno clima nichilistico. La via maestra scelta dal Papa polacco è quella della contemporaneità di Gesù Cristo.
Sin dall'inizio del suo pontificato, Giovanni Paolo II ha formulato con forza una decisiva lettura del concilio Vaticano II basata sull'icastica affermazione: "Redentore dell'uomo, Cristo è il centro del cosmo e della storia" (Redemptor hominis, 1). Con questa enciclica egli propone programmaticamente tale prospettiva per permettere una comprensione esatta del nucleo costitutivo dell'esperienza cristiana, intesa come pienezza dell'esperienza comune, integrale ed elementare dell'uomo.
L'affermazione iniziale è ulteriormente approfondita dai paragrafi 6-9, che sostengono non solo il primato di Cristo redentore ma il primato di Cristo tout court. Cristo è il Capo per mezzo del quale esistono tutte le cose. In Lui, l'uomo è pensato, voluto e creato e non solo redento. Il Papa riprende a questo punto il passo di Gaudium et spes, 22 che ha ispirato tutta la sua vita di uomo e di sacerdote, affermando che gli uomini "proprio nel Figlio primogenito sono stati, fin dall'eternità, predestinati a divenire figli di Dio e chiamati alla grazia, chiamati all'amore". E tale rivelazione dell'amore e della misericordia "ha nella storia dell'uomo una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo". Giovanni Paolo II ci guida così nel passaggio da Gesù al Padre attraverso la strada che Cristo stesso ci ha mostrato per rivelarci la Trinità: da Gesù al Padre nello Spirito.
Questo tema viene ulteriormente indagato nella seconda enciclica del trittico trinitario: Dives in misericordia, che, approfondendo il cristocentrismo, scardina la falsa contrapposizione fra teocentrismo e antropocentrismo proposta da "varie correnti del pensiero umano" (1). Ciò è possibile perché Gesù, la misericordia incarnata, rivelando Dio nell'impenetrabile mistero del Suo essere, ne mostra anche chiaramente l'amore per l'uomo. È nell'orizzonte del Logos-Amore, come non cessa anche oggi di affermare Benedetto XVI, che il desiderio di Dio incontra un'adeguata risposta. In questo Dio infatti, la ragione, la fede e la vera religione scoprono il loro nesso profondo e fecondo. Il manifestarsi della misericordia del Padre in Cristo spiega il senso esatto del mistero della creazione, consentendo anche di lumeggiare il mistero dell'elezione di ogni uomo in Gesù Cristo.
Il percorso che dall'evento Gesù Cristo conduce alla vita intima della Trinità si completa nella terza enciclica trinitaria di Giovanni Paolo II, la Dominum et vivificantem, in cui è descritto il dialogo vitale che lo Spirito consente tra la Trinità e l'uomo. Questa enciclica mostra la portata estrema della pretesa di Gesù Cristo, descritto come immagine perfetta del Padre e quindi come la figura dell'uomo, perché questi, a sua volta, è creato a immagine di Dio. Per la grazia dello Spirito, l'uomo scopre "in se stesso l'appartenenza a Cristo" e attraverso questa appartenenza comprende meglio il senso della sua dignità.
In che modo allora la centralità storica e cosmica di Cristo alfa e omega può ancora incontrare l'interesse dell'uomo odierno? Cosa offre Cristo alla sua ragione iper-esigente e alla sua libertà spesso insoddisfatta? Gli offre una risposta esauriente all'enigma da cui è costituito senza annullarne la libertà dal momento che Cristo non pre-decide il dramma del singolo. Secondo la riflessione teologica sulla singolarità di Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato, rivelandosi a un tempo non solo come redentore universale ma anche come capo della creazione, si attesta come l'Evento che spiega l'uomo all'uomo. In tale Evento la libertà infinita del Deus Trinitas si piega, attraverso il Logos-Amore, sulla libertà finita dell'uomo, liberandola.
L'affermazione di Cristo, nostro contemporaneo, come attestazione della possibilità di nominare Dio oggi, presuppone una lettura della sua Persona in quanto Persona salvifica, come emerge dal trittico trinitario di Giovanni Paolo II. Una lettura siffatta permette di rendere conto dell'interesse per la sua venuta nel mondo.
Nella persona storica di Gesù Cristo si trovano veramente unificate e proiettate, nell'escatologia del mondo nuovo/cieli nuovi, tutte le dimensioni antropologiche. Emerge così anche l'interesse per l'uomo nuovo senza il quale l'interesse per Cristo è nominale e, nello stesso tempo, si evidenzia l'interesse per Cristo senza il quale l'interesse per l'uomo resta ultimamente vuoto. La questione dell'interesse per, che riprende il tema della con-venientia di Tommaso, è pedagogicamente assai attuale e quindi decisiva per la nuova evangelizzazione.


Con "Il rito" di Mikael Håfström - ritorna sul grande schermo la figura dell'esorcista - Ci si creda o no il diavolo esiste di GAETANO VALLINI (©L'Osservatore Romano 13 marzo 2011)

"Tutto qui?" domanda deluso il seminarista Michael Kovak al termine del primo esorcismo al quale assiste. "Che cosa credevi di vedere: teste che ruotano e zuppa di piselli?" risponde l'anziano padre Lucas, dal quale è stato inviato per imparare, ma soprattutto per vincere il suo scetticismo e, ancora di più, per ritrovare la fede. Una battuta che cerca di sottrarre il film Il rito dall'ingombrante, ma ineludibile, paragone con L'esorcista, il capolavoro di William Friedkin (1973) al quale, tuttavia, rende l'omaggio di sottili citazioni. Nella pellicola diretta da Mikael Håfström non mancano del resto scene inquietanti, con i posseduti dal demonio che sputano enormi chiodi, assumono pose innaturali e si deformano ruggendo frasi in lingue e voci diverse. Certo, quarant'anni dopo, non fanno più lo stesso terrificante effetto sul pubblico. Ma è il prezzo che si deve pagare al genere horror di cui il filone demoniaco è un sottogruppo molto frequentato, anche se raramente con risultati interessanti.
Hollywood ogni tanto sente il bisogno di cimentarsi in storie in cui contrapporre direttamente il bene e il male, nel titanico e apocalittico scontro tra divino e demoniaco. Spesso però, cinematograficamente parlando, l'interpretazione dei fatti è molto libera, si punta sull'orrore, sempre in eccesso visto che al botteghino paga, lasciando così in secondo piano l'oggettività di una realtà - la possessione - già di suo agghiacciante. Allora, facendo la tara di ciò che è palesemente irreale, e che comunque qui resta meno esasperato che altrove, nonché di alcuni immancabili stereotipi e di altrettanto perdonabili incongruenze, Il rito riesce a mantenere una sufficiente credibilità. Se non altro nella psicologia dei personaggi, con i loro tanti dubbi e le loro certezze. E qualche concessione alla modernità. Come quando nel bel mezzo di un esorcismo, a padre Lucas squilla il telefonino. E il prete addirittura risponde.
Ispirato alle esperienze di un sacerdote americano, padre Gary Thomas - la cui storia è stata raccontata dal giornalista Matt Baglio nel libro Il rito. Storia vera di un esorcista di oggi (Sperling & Kupfer) - il film segue le vicende del seminarista Michael Kovak (Colin O'Donoghue), inviato dai superiori a Roma per studiare l'esorcismo nonostante i suoi dubbi su questo rituale e, perfino, sulla sua stessa fede. Figlio di un impresario di pompe funebri (Rutger Hauer), il giovane non vede altra alternativa all'intraprendere lo stesso mestiere del padre se non quella di entrare in seminario nonostante non senta la vocazione. Con l'apparentemente impenetrabile corazza dello scetticismo, anche a Roma Michael non esita a sfidare l'insegnante invitandolo a rivolgersi alla psichiatria, anziché alla pratica dell'esorcismo, per trattare quanti si ritengono posseduti.
Persino quando è mandato come apprendista da padre Lucas (Anthony Hopkins) - un anziano esorcista dai metodi non proprio ortodossi e da un carattere brusco, al limite dell'ambiguo - e assiste ai primi riti il seminarista resta scettico. Salvo ricredersi quando gli indemoniati che incontra cominciano a raccontargli episodi di cui lui solo è a conoscenza. Guidato dall'esperto sacerdote, Michael (nome decisamente evocativo) inizia la sua personale discesa agli inferi che lo porterà a confrontarsi con una forza malefica tanto potente da travolgere lo stesso prete (Hopkins torna a incarnare il male dopo Il silenzio degli innocenti). Ogni certezza crolla e l'unica possibilità che resta è iniziare ad avere fede. D'altra parte padre Lucas aveva detto subito: "Scegliere di non credere nel diavolo non ti proteggerà da lui".
E forse sta proprio in questa frase il senso della storia: proporre la presenza del maligno contrapponendole la forza della fede. Il diavolo esiste, che ci si creda o meno, e opera subdolamente per avere il sopravvento.
Una realtà che alla Chiesa certo non sfugge. Gesù scacciava i demoni, insegnando agli apostoli a fare lo stesso nel suo nome, nella certezza che il male non avrà l'ultima parola (non praevalebunt). Semmai tale realtà sembra sfuggire a una società sempre più secolarizzata per la quale il peccato non esiste e parlare di diavolo e demoni vuol dire superstizione e oscurantismo, un ritorno al medioevo insomma. E così assume valore il dubbio di padre Lucas: "La cosa interessante degli scettici è che sono sempre in cerca di prove. La domanda è: se le trovassero, cosa cambierebbe sulla terra?".
Pur con tutti i cliché del genere, il film di Håfström è certo lontano dall'intensità narrativa ed emotiva del modello finora insuperato di Friedkin, ma è onesto e rispettoso. La Chiesa non viene rappresentata da figure che tuonano anatemi o dispensano dogmatiche certezze, presentate invariabilmente come antipatiche e irritanti, dunque insopportabili. E la stessa figura di sacerdote è delineata con tratti positivi. Anzi, proprio negli Stati Uniti Il rito è stato visto quasi come una sorta di spot a favore del sacerdozio. Nulla di nuovo, però: all'epoca anche L'esorcista fu accolto con un certo interesse dagli ambienti cattolici.
Alla fine il dubbioso e scettico seminarista Michael sceglie scientemente di essere prete. Il male non ha prevalso. La sua vicenda testimonia il potere della fede. L'ultima scena lo vede entrare nel confessionale. Rimettere i peccati è la sua nuova prima linea, la linea di fuoco della quotidiana, silenziosa lotta contro il maligno che abita il mondo.


Ignazio di Loyola da soldato a cavaliere (per il Regno) - E zoppicando partì alla ventura di ALAIN BESANÇON  (©L'Osservatore Romano 13 marzo 2011)

Come definire questo libro straordinario? Una biografia, un'agiografia, una meditazione spirituale? È tutto ciò allo stesso tempo, ma è la meditazione a sostenere l'intero racconto.
In Inigo, portrait di François Sureau (Paris, Gallimard, 2010, 154 pagine) la biografia si riduce a due anni della vita di sant'Ignazio, dalla battaglia di Pamplona alla partenza da Manresa, ossia dal 1521 al 1523. Ignazio (Inigo), cadetto di una rispettabile famiglia dei Paesi Baschi, poco ricca, poco illustre, si è messo al servizio della corona di Spagna, con il titolo di paggio del viceré di Navarra. Ha condotto la vita di un cortigiano. Abbastanza dissipata, ma né più né meno di quanto si confaceva alle usanze del suo stato. Sarà in seguito che si renderà conto di quanto si è allontanato da Dio.
In quella corte si è distinto per la pertinenza dei giudizi e l'intelligenza dei consigli che ci si aspettava da lui. Si trova nella fortezza di Pamplona quando questa viene attaccata dall'esercito del re di Francia, molto più potente. Inigo, contro ogni buon senso, consiglia di resistere e convince il governatore a farlo. È accettare una battaglia eroicamente persa.
François Sureau, che conosce la vita e l'onore militari, lo descrive in modo splendido. Si diletta nel mostrarci il mondo dei soldati, il Tercio (l'invincibile fanteria di Castiglia), i mercenari, i lanzichenecchi, i cavalieri. Poi racconta con precisione professionale le operazioni di assedio, l'artiglieria che abbatte le mura, l'apertura di una breccia, l'assalto respinto, poi vittorioso. Il racconto è bellissimo. Mi ricorda le pagine classiche della letteratura militare francese, il Mérimée di L'enlèvement de la redoute, l'Hugo del Cimetière d'Eylau.
Ignazio, che è alla sua prima esperienza di battaglia, mostra di avere la stoffa di un grande capitano. Una palla di cannone gli rompe una gamba, frattura aperta per la quale, a quanto pare, Ignazio deve morire. Non muore, ma deve rinunciare alla vita militare e alla vita di corte. Riportato con grande sforzo nel suo castello natale, si rende conto che la sua tibia si sta rinsaldando male. Ordina a dei medici incompetenti di rompergli nuovamente la gamba. È un massacro, ma non si lascia sfuggire neanche un lamento. Rischia nuovamente di morire.
Costretto a letto, ripercorre la sua vita. Gli danno dei libri, dei romanzi cavallereschi, Amadigi di Gaula l'entusiasma, come in seguito lo inebrierà Don Chisciotte, ma anche la Legenda Aurea e la Vita di Cristo di Ludolphe le Chartreux.
Il suo esame di coscienza ha inizio, doloroso, pieno dello spettacolo dei suoi peccati passati e delle sue mancanze presenti. S'innamora di Gesù Cristo. Si congeda dal viceré e parte, zoppicando, alla ventura, perché non sa che cosa vuole, o piuttosto perché non sa che cosa Dio vuole da lui.
Da questo momento la biografia si trasforma in agiografia. François Sureau si conforma al canone della vita dei santi. Solo Dio sa quanti libri hanno raccontato la nascita d'Ignazio alla vita di santità. Il cammino è stato per lui eccezionalmente erto. Si spoglia dei suoi vestiti da cavaliere, del suo atteggiamento da cortigiano, si mette l'abito del pellegrino, presto assume l'aspetto di un vagabondo straccione e irsuto, ma non sa ancora dove andare.
Trova aiuto spirituale nell'abbazia di Montserrat, presso un monaco francese dotato di grande tatto, ma continua a cercare la sua strada. A Manresa si sfinisce con digiuni, penitenze, schiacciato dai suoi errori, tormentato dagli scrupoli. È accolto in ospedale dove gli vengono affidati i compiti più umili. Supplica Dio di illuminarlo.
Ma Dio tace. Tace al punto che Ignazio non può più pregare, non può più credere, non può più addirittura pensare né parlare. Come tanti santi, è piombato in una tenebra così spessa da essere al limite della disperazione. È tentato di abbandonare tutto, di tornare sconfitto a Loyola. E poi un bel giorno viene liberato. Diviene allora sant'Ignazio, sempre soldato, grande capitano, ma in vista del Regno. Diviene il Generale dell'Ordine che, secondo le sue minuziose istruzioni, ricostruirà la Chiesa cattolica, e le cui lettere, dieci mesi dopo essere state spedite, vengono lette in Giappone da Francesco Saverio in ginocchio.
Visti dall'esterno, l'apertura d'Ignazio e gli inizi della Compagnia ricordano un romanzo cavalleresco. Eppure François Sureau ha cancellato tutto ciò che poteva dare un tono pittoresco o un carattere barocco a questa avventura. Preferisce l'Ignazio grigio, sobrio fino all'estremo, gentile senza orpelli, che muore nella sua cella. Il suo fine non è di raccontare ancora una volta la vita di questo santo, ma di scoprire l'interiorità invisibile di un'anima che, prima di trovare la pace, ha attraversato, senza darlo a vedere, molte prove e tormenti. È di seguire per quanto possibile un itinerario spirituale segreto.
François Sureau ha messo il suo talento di scrittore ai piedi del maestro, come se cercasse di santificare il proprio atto letterario. Ciò ricorda Chateaubriand che pretendeva di aver scritto la Vita di Rancé come una penitenza imposta dal suo direttore. Ma Sureau, che non pretende nulla di simile, è più rigoroso, più onesto, più puro. Il suo stile teso, semplice, è allo stesso tempo aperto e segreto, sapendo che sarà veramente chiaro solo per i lettori decisi a seguire i suoi passi.
Di fatto l'intero libro è un "esercizio" conforme agli esercizi di sant'Ignazio. Se ne esce edificati, se si accetta di esserlo. Questo tipo di opera è rara ovunque, in Francia più che altrove. Lascia lo spirito soddisfatto e il cuore gioioso.