mercoledì 27 maggio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Analisi del mistero: chi era l’uomo della Sindone? - Emanuela Marinelli spiega perchè quell’uomo non poteva che essere Gesù - di Antonio Gaspari
2) “Il rifiuto della vita nascente è spesso frutto della solitudine” - Monsignor Fisichella interviene al decennale del CAV di Roma - di Luca Marcolivio
3) Obama laureato a Notre Dame. Ma i vescovi gli rifanno l'esame - La conferenza episcopale degli Stati Uniti vuole che nel combattere l'aborto il presidente passi dalle promesse ai fatti. Tra i cattolici molti non si fidano e accusano anche il Vaticano di cedimento. Hanno ragione? Un'analisi controcorrente del teologo Robert Imbelli - di Sandro Magister
4) Di fronte alle apparenti antinomie dell'evoluzione – Darwinismo e biologismo esasperato - di Fiorenzo Facchini – L’Osservatore Romano, 27 maggio 2009
5) I lavori dell'assemblea generale della Conferenza episcopale italiana - La questione educativa responsabilità di tutti – L’Osservatore Romano, 27 maggio 2009
6) Riflessioni sulla «Dignitas personae» - Dietro la ricerca sulle staminali embrionali c'è solo una guerra di brevetti - La riprogrammazione delle cellule adulte è molto promettente eppure si insiste su tecniche superate - di Angelo L. Vescovi Ospedale Niguarda e Università Bicocca (Milano)Banca cellule staminali cerebrali (Terni) – L’Osservatore Romano, 27 maggio 2009
7) USA/ Attacco alla famiglia tradizionale - Lorenzo Albacete - mercoledì 27 maggio 2009 – L’Osservatore Romano, 27 maggio 2009
8) APPELLO/ Mauro: difendiamo le cooperative dall’Ue - Mario Mauro - mercoledì 27 maggio 2009 – ilsussidiario.net
9) CHIESA/ Lavoro e dignità della persona: a quale responsabilità politica richiama la Cei? - Renato Farina - mercoledì 27 maggio 2009 – ilsussidiario.net
10) IL SENSO DI UNA PROPOSTA - LA «PROSSIMITÀ» DELLA CHIESA ALL’UOMO REALE - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 27 maggio 2009


Analisi del mistero: chi era l’uomo della Sindone? - Emanuela Marinelli spiega perchè quell’uomo non poteva che essere Gesù - di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 26 maggio 2009 (ZENIT.org).- C’è un lenzuolo ingiallito dal tempo che da secoli interroga gli umani. Per alcuni è il telo in cui fu avvolto Gesù subito dopo la morte in Croce, per altri un falso utilizzato per alimentare la devozione cristiana.
Il telo ha avvolto un cadavere martoriato, riportandone vistose macchie di sangue e l’immagine di un corpo, frontale e dorsale, impressa in modo tuttora misterioso.
Un’immagine che è sbiadita ed eterea, ma straordinariamente ricca di dettagli impressionanti che permettono di ripercorrere, come in una Via Crucis, le ultime ore di quel defunto a cui si attribuisce un’identità sconvolgente: Gesù di Nazaret.
Su quel telo conosciuto come “la Sindone” sono state fatte Inchieste, indagini, studi, analisi, discussioni. Per secoli è stato venerato come la più preziosa reliquia della Cristianità.
Poi nel 1988 il colpo di scena. Un'analisi conosciuta come prova del carbonio 14 sostiene che l’origine di quel telo risale al Medioevo, cioè in epoca successiva alla data della crocifissione di Gesù.
Gli esperti si dividono, per alcuni la prova non è stata rigorosa, per altri l’esame non è valido. Altri ancora ribadiscono che la Sindone non ha avvolto il corpo di Gesù.
Per cercare di fare il punto sulle conoscenze e sulle diverse argomentazioni a favore e contro la Sindone, la professoressa Emanuela Marinelli, docente di Scienze Naturali e Geologiche, autorevole membro del Centro Romano di Sindonologia, organizzatrice del Congresso Mondiale Sindone 2000, autrice di numerosi libri, relatrice in centinaia di incontri sul tema, promotrice della rivista “Collegamento pro Sindone” e del sito www.sindone.info, ha appena pubblicato il volume: “La Sindone. Analisi di un mistero” (Sugarco Edizioni, 267 pagine, 19,50 Euro).
ZENIT l’ha intervistata.
Quanti e quali i misteri racchiusi in un pezzo di stoffa ingiallito dal tempo?
Marinelli: Da anni gli studiosi si interrogano sulla Sindone, conservata a Torino da più di quattro secoli. La sua storia rigorosamente documentata parte dalla metà del XIV secolo e i ricercatori indagano sul percorso del suo arrivo in Europa. Però il mistero più affascinante rimane l’origine dell’immagine umana che si scorge sull’antico telo. Questa impronta si osserva ancora meglio nel negativo fotografico. Il lenzuolo ha certamente avvolto un cadavere; ma questo corpo, come ha potuto proiettare la sua sembianza sulla stoffa? L’immagine consiste in una disidratazione e ossidazione del lino, che non può essere stata provocata dal semplice contatto del lenzuolo con il cadavere.
Sono tantissimi i libri sulla Sindone. Quali sono le novità in questo suo ultimo studio?
Marinelli: Oltre tutti i motivi per dubitare del risultato dell’analisi radiocarbonica, che collocava l’origine della Sindone nel Medioevo, il volume presenta i recenti studi di un gruppo di scienziati dell’ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente) di Frascati (Roma). Presso questo istituto di ricerca, alcune stoffe di lino sono state irradiate con un laser ad eccimeri, un apparecchio che emette una radiazione ultravioletta ad alta intensità. I risultati, confrontati con l’immagine sindonica, mostrano interessanti analogie e confermano la possibilità che l’immagine sia stata provocata da una radiazione ultravioletta direzionale.
Sono decenni che lei studia la Sindone, che idea se ne è fatta? E’ veramente il lenzuolo che ha avvolto Gesù dopo la crocifissione?
Marinelli: Non ci sono dubbi, questo lenzuolo non può aver avvolto un altro cadavere. E l’immagine deve essersi formata al momento della Risurrezione, con un lampo di luce sprigionatosi dal corpo glorioso.
Quali sono le prove e gli argomenti più solidi che attesterebbero che è proprio questo il lino che ha avvolto il corpo di Cristo?
Marinelli: C'è una perfetta coincidenza tra le narrazioni dei quattro Vangeli sulla Passione di Cristo e quanto si osserva sulla Sindone: la flagellazione come pena a sé stante, troppo abbondante per essere il preludio della crocifissione (120 colpi invece degli ordinari 21); la coronazione di spine, fatto del tutto insolito; il trasporto del patibulum, il palo orizzontale della croce; la sospensione alla croce con i chiodi invece delle più comuni corde; l'assenza di crurifragio, la frattura delle gambe inflitta per accelerare la morte; la ferita al costato inferta dopo la morte, con fuoruscita di sangue e siero; il mancato lavaggio del corpo (per la morte violenta e una sepoltura affrettata); l'avvolgimento del cadavere in un lenzuolo pregiato e la deposizione in una tomba propria invece della fine in una fossa comune; il breve tempo di permanenza nel lenzuolo.
Se la Sindone è veramente quello che lei e tantissimi altri sostengono, qual è il senso di questa reliquia? Forse il Signore vuole dare una risposta alla nostra incredulità?
Marinelli: Certamente fa effetto pensare che la rivelazione fotografica della Sindone avvenne proprio sul finire dell’800, il periodo in cui il positivismo si caratterizzava per la fiducia nel progresso scientifico e per il tentativo di applicare il metodo scientifico a tutte le sfere della conoscenza e della vita umana. Quando la fede in Gesù Cristo sembrava qualcosa di sorpassato agli occhi dei sapienti, proprio la scienza fotografica rivelò la sua immagine come una misteriosa presenza sulla Sindone. Quando poi, nella seconda metà del XX secolo, si diffonde il computer, è proprio questo mezzo moderno a svelare la
tridimensionalità dell’immagine sindonica. Ancora una volta Cristo emerge maestoso da quel lino. I devoti di San Tommaso Apostolo attraverso la Sindone possono ancora oggi mettere il dito nelle piaghe del Signore ed avere un segno, che in realtà è come il segno di Giona (Matteo 12,39-40)
Quali sono gli argomenti e perché alcune persone cercano di dimostrare che la Sindone sia un falso storico?
Marinelli: La Sindone inquieta chi vuole escludere Cristo dalla propria vita. L’unico argomento che viene sempre riproposto per negare l’autenticità di questa reliquia è la prova radiocarbonica. Ma attorno a quel test è accaduto di tutto ed è giusto sapere i retroscena di quell’esame per rendersi conto dell’infondatezza dei suoi risultati. Ho dedicato più di metà del libro a quella vicenda, fino agli ultimi sviluppi, con le ammissioni di Christopher Bronk Ramsey, attuale direttore di uno dei tre laboratori che vent’anni fa datarono la Sindone: “Tra le misurazioni del radiocarbonio e le altre prove che abbiamo sulla Sindone sembra esserci un conflitto, su come interpretare queste prove. E per questo ritengo che chiunque abbia lavorato in questo settore, scienziati esperti di radiocarbonio ed altri esperti, debbano dare uno sguardo critico alle prove che hanno prodotto per riuscire a tracciare una storia coerente che si adatti e ci dica la storia vera di questo intrigante pezzo di stoffa”. Dunque le ricerche devono continuare, ma con uno spirito limpido e scevro da pregiudizi.


“Il rifiuto della vita nascente è spesso frutto della solitudine” - Monsignor Fisichella interviene al decennale del CAV di Roma - di Luca Marcolivio
ROMA, martedì, 26 maggio 2009 (ZENIT.org).- La vita dal concepimento alla morte naturale va difesa “con testardaggine” e “senza compromessi”. Questo il monito lanciato da monsignor Rino Fisichella in occasione dei dieci anni dalla fondazione del Centro Aiuto alla Vita (CAV) di Roma.
Il presidente della Pontificia Accademia per la Vita ha presieduto ieri sera la messa per l’anniversario, nella parrocchia dello Santo Spirito – da sempre in stretto coordinamento con il CAV - alla presenza dei coordinatori e dei volontari del centro e dei bambini nati grazie al loro contributo, accompagnati dalle loro mamme.
“Oggi non siamo qui semplicemente per ricordare il decennale del vostro Centro, bensì per celebrarlo, ovvero per rendere grazie al Signore di aver reso possibile quest’opera: da Lui tutto nasce e da Lui tutto proviene”, ha affermato Fisichella all’inizio dell’omelia.
Il presule ha quindi spiegato la peculiarità del valore della vita nella fede cristiana: “Anche i pagani consideravano Dio come il padre e il creatore dell’uomo. Con l’incarnazione di Cristo, tuttavia, Egli ha assunto la vita umana stessa in tutte le sue contraddizioni: per questo motivo noi crediamo nella sacralità della vita, la quale non è affatto un concetto astratto, essendo essa, al contrario, qualcosa di assolutamente tangibile, visibile e udibile”.
Congratulandosi con i volontari del CAV e augurando loro un rinnovato e sempre maggiore impegno, monsignor Fisichella si è soffermato sulle ragioni che, al giorno d’oggi, inducono tante persone al rifiuto della vita nascente.
“Alla base del dramma di chi interrompe una vita agli inizi c’è sempre una solitudine che può assumere mille volti: la solitudine di chi non si sente preparato a divenire genitore; la solitudine di chi si sente giudicato; la solitudine di chi vive in un contesto sociale che non aiuta chi è in difficoltà”, ha osservato il presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
“Solo vincendo tale solitudine, si diventa consapevoli del valore della vita come qualcosa che ci trascende. La donna che percepisce dentro di sé il formarsi di una nuova esistenza, comprende che quella vita nascente supera infinitamente chi la porta in grembo”, ha aggiunto il presule.
“L’incapacità di superare la solitudine può, al contrario, indurre a compiere atti in netto contrasto con la natura umana, la quale è fatta per generare vita, non per dare la morte”, ha osservato Fisichella indicando, implicitamente ogni atto abortivo come un’azione contro la natura stessa.
Altra contraddizione sottolineata dal presidente della Pontificia Accademia della Vita è legata alla scienza e alla tecnica che sovente, lungi dal trovare una soluzione alle malattie, “pretendono di entrare con finalità distruttive in una cellula fecondata solo per corrispondere i desideri di altre persone”.
Accanto ai paradossi di carattere scientifico e filosofico, Fisichella ha individuato un paradosso di natura morale: “Difendere la vita dal concepimento è un atto coerente con la difesa del principio di uguaglianza tra gli uomini. L’embrione non è né pietra, né animale ma uomo e con l’essere umano adulto condivide la medesima dignità”.
Non esiste, pertanto, alcun principio in base al quale si possa “discriminare una vita al suo inizio”, né in forza della bellezza, né dell’intelligenza, né della prestanza fisica, né dello status sociale o della salute. “Nessuna bestemmia è peggiore – ha proseguito Fisichella – di quella di una società che pretenda di difendere l’esistenza personale, salvo poi distruggerla per corrispondere a dei desideri”.
Nella difesa dei diritti umani la Chiesa è sempre stata in prima linea, sebbene ciò l’abbia isolata come istituzione: “Ciò successe cinque secoli fa, quando i missionari difendevano la dignità degli indios e si schieravano contro la schiavitù, mettendosi contro i colonialisti che avevano tutto l’interesse allo sfruttamento della manodopera”.
Sulla stessa lunghezza d’onda ritroviamo, nei secoli successivi, pontefici come Leone XIII che, nella Rerum Novarum, difendeva i diritti e la dignità dei lavoratori e Paolo VI che, nella Humanae Vitae, parlò di “paternità e maternità responsabili”. “Un’enciclica profetica – ha detto Fisichella con riferimento a papa Montini – le cui parole sono significative alla luce del vostro impegno a favore della vita e contro le discriminazioni”.
“In tante occasioni, dunque, la Chiesa è rimasta sola nelle sue battaglie. Il tempo e la tenacia dei suoi uomini, però, le hanno sempre dato ragione. Allo stesso modo auspico che i frutti del vostro lavoro decennale possano suscitare in credenti e non credenti, l’amore per il valore della vita”, ha poi concluso il presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
Monsignor Rino Fisichella ha ricevuto poi il premio “Roma è vita”, del quale sono stati insigniti anche il giornalista e scrittore, convertito dall’islam, Magdi Cristiano Allam, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il quotidiano Avvenire e la cofondatrice e presidente emerito del Centro Aiuto alla Vita di Roma, Miranda Lucchini.
In occasione del decennale dalla fondazione il CAV di Roma ha ricevuto la benedizione apostolica da parte di Sua Santità Benedetto XVI.


Obama laureato a Notre Dame. Ma i vescovi gli rifanno l'esame - La conferenza episcopale degli Stati Uniti vuole che nel combattere l'aborto il presidente passi dalle promesse ai fatti. Tra i cattolici molti non si fidano e accusano anche il Vaticano di cedimento. Hanno ragione? Un'analisi controcorrente del teologo Robert Imbelli - di Sandro Magister
ROMA, 26 maggio 2009 – La laurea "honoris causa" data la scorsa settimana al presidente Barack Obama dall'università cattolica di Notre Dame, a South Bend nell'Indiana, ha prodotto un nuovo soprassalto di proteste.

Ma ha offerto anche motivi di riflessione e di azione più pacate.

I più drastici nel protestare sono stati i capofila del pensiero cattolico neoconservatore: Michael Novak, George Weigel, Deal Hudson.

La loro protesta si è appuntata soprattutto contro il Vaticano e "L'Osservatore Romano", accusati di eccessiva indulgenza per Obama a dispetto delle sue posizioni bioetiche contrarie alla dottrina della Chiesa.

Deal Hudson, dal sito "Insidecatholic.com" di cui è fondatore, ha chiesto la testa di Giovanni Maria Vian, direttore del quotidiano della Santa Sede, e ha sollecitato i suoi lettori a reclamarne la destituzione scrivendo al segretario di stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone.

George Weigel, su "National Review Online", ha detto che "L'Osservatore Romano" non esprime automaticamente in ogni sua riga le posizioni della Santa Sede ma ha comunque mostrato, da come si è mosso nella vicenda, la presenza in Vaticano di una forte corrente pro Obama, oltre che una "triste ignoranza della recente storia americana" e dell'attacco portato dal nuovo presidente alla dottrina della Chiesa in materia di vita.

Michael Novak, in un commento sul quotidiano italiano "Liberal", ha anche lui accusato "L'Osservatore Romano" di non capire la realtà americana, col risultato che "si è messo al fianco degli abortisti e contro la minoranza emarginata dei fedeli cattolici praticanti". I papi che hanno definito l'aborto un "male intrinseco" è come se avessero parlato invano: "Abbiamo chiesto del pane a Roma, e 'L'Osservatore Romano' ci ha dato pietre".

Né Hudson, né Weigel, né Novak hanno mostrato di credere nel dialogo offerto da Obama – nel suo discorso del 17 maggio all'università di Notre Dame – ai difensori della vita nascente. A loro giudizio il neopresidente resta fermo sulle sue posizioni abortiste. Ai "pro life" e solo a loro chiede di scendere a compromessi. Così che, alla fine, ciò che lui chiama dialogo "è soltanto una richiesta di resa incondizionata".

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Anche qualche vescovo – tra gli oltre settanta che avevano criticato prima del 17 maggio la decisione dell'università cattolica di Notre Dame di premiare il presidente "abortista" – ha reagito negativamente all'offerta di dialogo lanciata da Obama nel suo discorso alla cerimonia di premiazione.

La dirigenza della conferenza episcopale degli Stati Uniti ha invece mostrato di cogliere nel discorso di Obama degli elementi positivi, pur mantenendo forti riserve su talune decisioni già prese dal presidente.

In una nota ufficiale emessa il 22 maggio, il presidente della conferenza, il cardinale Francis E. George, arcivescovo di Chicago, ha ringraziato il presidente per le cose da lui dette circa il diritto all'obiezione di coscienza da parte degli operatori sanitari contrari all'aborto. Ha aggiunto che nessuno deve essere costretto a finanziare gli aborti con i dollari delle proprie tasse. Gli ha chiesto di tradurre in pratica quanto promesso ed ha assicurato la volontà della conferenza episcopale di "lavorare con l'amministrazione e i legislatori" per ridurre il più possibile gli aborti.

Lo stesso giorno, il segretario generale della conferenza episcopale, monsignor David Malloy è invece tornato a criticare il decreto esecutivo con cui il 9 marzo Obama ha cancellato il divieto di distruggere gli embrioni a fini di ricerca: una decisione in cui "sia la scienza sia l'etica sono state ignorate".

"L'Osservatore Romano", nella sua edizione del 24 maggio, ha dato rilievo a entrambe le prese di posizione, sotto questo titolo lanciato anche in prima pagina: "I vescovi degli Stati Uniti su ricerca e obiezione di coscienza. I limiti inderogabili del dialogo sui temi etici con la Casa Bianca e il Congresso".

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La nota del 22 maggio del cardinale George fa quindi sorgere questa naturale domanda: che cosa ha detto di preciso Obama nel suo discorso a Notre Dame, per indurre il presidente dei vescovi degli Stati Uniti a dargli fiducia, sia pur con cautela ed entro limiti "inderogabili"?

In effetti, nel fuoco delle polemiche il discorso di Obama è stato poco letto e analizzato. Eppure qualcosa di significativo deve esservi stato detto se, in Italia, un commentatore al di sopra dei sospetti come Giuliano Ferrara – il più "ratzingeriano" dei difensori laici della vita nascente – l'ha pubblicato per intero sul quotidiano "il Foglio" da lui diretto e vi ha ravvisato un terreno comune sul quale agire assieme, "pro life" e "pro choice", per ridurre il numero di donne che cercano di abortire.

Ancor meno letto e analizzato è stato un altro importante discorso del 17 maggio a Notre Dame: quello del giudice John T. Noonan, insignito nel 1984 del massimo titolo d'onore di questa università cattolica, la medaglia "Laetare".

Ebbene, la nota che segue colma proprio questo vuoto. Analizza entrambi i discorsi, di Obama e di Noonan. Ne evidenzia gli elementi di conflitto ma soprattutto di speranza. Con osservazioni acute e controcorrente.

L'autore, Robert Imbelli, sacerdote della diocesi di New York, insegna teologia al Boston College.

Ma è anche notista per "L'Osservatore Romano". Lo scorso 28 gennaio vi pubblicò un commento al discorso d'insediamento del nuovo presidente, dal titolo: "Obama, Lincoln e gli angeli", che così terminava:

"Questa resta la speranza e la preghiera dell'America. Noi preghiamo anche affinché non vengano trascurati gli angeli dei bambini concepiti, ma ancora non nati. Preghiamo affinché i vincoli d'affetto della nazione raggiungano anche loro. Affinché non vengano esclusi dal patto di cittadinanza".

In precedenza, il 12 agosto 2008, sempre su "L'Osservatore Romano" Imbelli aveva recensito con favore il libro "Render Unto Caesar" dell'arcivescovo di Denver, Charles J. Chaput, che è oggi uno dei critici più severi della presidenza Obama.

Un commentatore equanime, quindi. Il quale scrive...



Conflitto e speranza all'università di Notre Dame - di Robert Imbelli
La cerimonia di quest'anno per il conferimento delle lauree all'università di Notre Dame nell'Indiana è stata tra le più controverse nell'illustre storia di questa prestigiosa università cattolica. Il motivo è stato l'invito al nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a tenere un discorso ai laureati e a ricevere una laurea "honoris causa" in diritto. A provocare un'esplosione di critiche è stato, in particolare, il conferimento di un titolo d'onore a un presidente le cui politiche sostengono il diritto all'aborto e promuovono la ricerca sulle cellule staminali embrionali.

Con un pubblico rimprovero che non ha precedenti, più di settanta vescovi degli Stati Uniti hanno severamente criticato la Notre Dame per aver violato le indicazioni della conferenza episcopale circa il conferimento di titoli d'onore a chi si oppone all'insegnamento cattolico su punti fondamentali. Il vescovo della diocesi in cui sorge la Notre Dame ha boicottato la cerimonia in segno di protesta. Inoltre, Mary Ann Glendon, ex ambasciatore presso la Santa Sede e docente di diritto alla Harvard University, che era stata designata a ricevere la medaglia "Laetare", il più alto riconoscimento della Notre Dame, ha rifiutato il premio a motivo della disobbedienza della Notre Dame alla direttiva dei vescovi.

La polemica è esplosa settimane prima della cerimonia e questo ha fatto sì che ricevesse una vasta copertura nei media sia laici che religiosi. La discussione è poi proseguita sempre molto animata su siti cattolici, giornali e riviste. Io offro qui alcune riflessioni suscitate sia dal discorso del presidente, sia dal discorso per la medaglia "Laetare" pronunciato dal magistrato John Noonan, giudice della corte d'appello degli Stati Uniti, già professore di diritto a Notre Dame, e apprezzato autore di numerosi saggi sullo sviluppo della dottrina morale cattolica.

Come ci si poteva aspettare, il presidente Obama ha pronunciato un discorso ricco di retorica ed efficace. Ha combinato toccanti riferimenti alla propria storia personale con un'appassionata difesa dello spirito civico e del dialogo, specialmente quando dei cittadini sposano differenti credo e posizioni. Ha visto in questo un prerequisito per uno scambio costruttivo in una democrazia e per stabilire un "terreno comune". Ha messo in guardia dalla tentazione di demonizzare coloro con cui si è in disaccordo.

Obama ha detto che, quando era un giovane operatore sociale a Chicago, era stato ispirato dallo scomparso cardinale Joseph Bernardin, che ha definito "uomo gentile, buono e saggio". Ha anche ricordato quanto era rimasto impressionato dalle Chiese cristiane che nell'area di Chicago lavoravano a servizio di bisognosi, poveri ed emarginati. Fu la loro testimonianza che lo portò a diventare membro di Chiesa in una delle parrocchie protestanti.

Anche coloro che hanno criticato l'invito della Notre Dame al presidente e il suo discorso riconoscono che egli ha offerto dei gesti in direzione delle preoccupazioni dei suoi critici. Ha parlato di uno sforzo comune per ridurre il numero degli aborti, per promuovere l'adozione dei neonati e per proteggere l'obiezione di coscienza di medici e infermieri contrari all'aborto. Questi sarebbero passi significativi, se attuati.

Ma i critici insistono sul fatto che l'appello del presidente al dialogo, pur strategicamente accorto, serve a camuffare questioni di considerevole sostanza. Per essi il suo appello alla civile discussione maschera un inflessibile sostegno al diritto di aborto, che colpisce il diritto alla vita delle più vulnerabili delle creature di Dio. E, chiaramente, l'esortazione a proseguire il dialogo può essere un facile espediente, quando in definitiva il potere di decidere e di mettere in esecuzione risiede esclusivamente nelle mani di colui che lancia l'appello: il solo che detiene il grandioso potere della presidenza.

Dove, allora, in questo apparente stallo, si affaccia la speranza? Vorrei richiamare l'attenzione su tre elementi del discorso del presidente, che finora sono stati poco commentati. Anzitutto, egli non ha detto soltanto che, grazie alla testimonianza di cristiani socialmente impegnati, è divenuto membro di una Chiesa. Ha detto una cosa più degna di nota: che grazie alla loro testimonianza "egli è stato portato a Cristo". Andare a Cristo, naturalmente, comporta conseguenze morali. Non solo: oltre che alla moralità muove a un nuovo ordine di rapporti e a una continua conversione.

Secondo: è nella luce di questo andare a Cristo che il presidente Obama ha potuto parlare, in modo quasi agostiniano, di "peccato originale"? Io non ricordo di aver udito uscire il concetto di peccato originale dalla bocca di un precedente presidente americano: certo non con la forza e la convinzione che Obama ha mostrato. Egli ha parlato di "nostro egoismo, nostra alterigia, nostra ostinazione, nostra pretesa di possedere, nostre insicurezze, nostri ego". Queste cose ci affliggono tutti, oscurano il nostro intelletto e diminuiscono il nostro amore.

Infine, il presidente Obama si è richiamato alla "legge che tiene insieme popoli di tutte le fedi e di nessuna fede... Essa è di certo la regola d'oro: l'appello a trattare l'altro come noi vogliamo essere trattati, l'appello all'amore. L'appello a servire". Anche se non ha usato il termine, è ciò che dice la tradizione cattolica quando parla della legge naturale scritta nei cuori degli uomini dal loro Creatore.

Quindi, se a un primo livello il presidente è parso concentrarsi primariamente su un dialogo rispettoso e su "parole ben disposte", a un livello più profondo è sembrato essere in cerca di principi unificanti che possano essere anche dissimili dalle sue posizioni prefissate. In effetti questi principi, se ricevessero piena libertà d'azione, potrebbero anche portare il presidente – non senza costi personali – a riconsiderare alcune delle pratiche che attualmente sostiene.

In un generoso tributo d'omaggio, il presidente Obama ha definito la Notre Dame "un faro che si eleva distinto, illuminando con la sapienza della tradizione cattolica". Un buon rappresentante di questa sapienza cattolica è il giudice John Noonan, che ha tenuto il discorso "Laetare" al posto dell'ambasciatore Glendon. Dispiace che il suo equilibrato discorso non abbia ricevuto quasi nessuna menzione nelle cronache dei media, ossessionati dalle celebrità e dalle polemiche. Ma le sue osservazioni, concise e rispettose eppure acute, meritano un'attenzione ravvicinata. La sua è stata una voce misurata e gentile, come un sussurro di coscienza.

Il giudice Noonan ha fatto riferimento allo sviluppo della sensibilità morale umana, che ha portato il mondo civilizzato a denunciare il genocidio, la tortura, la schiavitù come ingiustificabili mali morali. Egli tuttavia ha messo in chiaro che questa nettezza morale è discesa da secoli di conflitti, di esperienze, di sofferte intuizioni e "dalla luce irradiata dal Vangelo". E ha insistito sul fatto che, sebbene la "coscienza" sia sempre da rispettare e mai da reprimere, non ogni coscienza è ugualmente informata moralmente e nel giusto.

Significativamente, Noonan ha scelto un esempio impressionante per illustrare la sua tesi: la disputa tra il presidente Abraham Lincoln e l'ex schiavo Frederick Douglass. Furono la chiarezza morale e le convinzioni di Douglass che aiutarono a guidare la visione morale di Lincoln al punto dal quale uscì il "Proclama di emancipazione", che diede la libertà agli schiavi negli Stati secessionisti. L'implicazione, portata avanti sottilmente ma inequivocabilmente, è che anche il presidente Obama, come Lincoln da lui così venerato, può arrivare a una maggiore chiarezza riguardo la pressante questione morale dell'aborto.

Un'ulteriore dimensione del discorso del giudice Noonan, sfuggita anche a chi aveva preso la briga di andare ad ascoltarlo, è stato il tacito richiamo a John Henry Newman. In un passaggio che fa eco a Newman sia nella sostanza che nel fraseggio, Noonan ha detto: "Con la coscienza noi comprendiamo ciò che Dio chiede da noi... Questa guida misteriosa, impalpabile, imprescrittibile, indistruttibile e indispensabile governa la nostra vita morale". Sia per Newman che per Noonan la coscienza è non un impulso atavico, non una spinta emotiva, non una creatura dell'uomo, ma la voce di Dio. È una coscienza così concepita che, nelle parole folgoranti di Newman, è "il vicario aborigeno di Cristo". Come Newman scrisse nella sua celebre lettera al duca di Norfolk: "La coscienza ha dei diritti poiché ha dei doveri; ma in quest'epoca, per una larga porzione di gente, il diritto e la libertà di coscienza sono proprio ciò che dispensa dalla coscienza, ignora il Legislatore e Giudice, fa essere indipendenti dalle obbligazioni non viste".

La questione in gioco nello scontro concernente l'aborto, negli Stati Uniti e altrove, è su quale nozione di coscienza prevarrà: la coscienza come volontà di Dio o come volontà propria? La speranza che sostiene coloro che sono formati nella tradizione della sapienza cattolica è la speranza scritta nella stessa medaglia "Laetare", che il giudice Noonan ha citato a conclusione del suo discorso: "Magna est Veritas et praevalebit", grande è la Verità e prevarrà.

Ma c'è un'ulteriore speranza, quasi impercettibilmente intrecciata nel tessuto delle toghe accademiche dalla Notre Dame, compresa quella indossata dal presidente Obama nel ricevere la sua laurea onoraria. Tre parole latine: Vita, Dulcedo, Spes. Esse vengono, naturalmente, da quell'antica preghiera alla Madonna che è la "Salve Regina". Maria è vita, dolcezza e speranza. E tutte queste tre realtà sono incarnate nel frutto del suo ventre e del ventre di ogni madre: "benedictum fructum ventris". Possa la Madre di Dio, Sede della Sapienza, guidare e ispirare la sua università così che la Verità del Vangelo possa, davvero, prevalere".


Di fronte alle apparenti antinomie dell'evoluzione – Darwinismo e biologismo esasperato - di Fiorenzo Facchini – L’Osservatore Romano, 27 maggio 2009
L'evoluzione della vita è un insieme di eventi di ordine scientifico, un fatto di cui prendere atto. È difficile contestare che siano avvenute per processi naturali delle trasformazioni che hanno portato in alcune direzioni a forme di vita via via più complesse, anche se tali processi non sono generalizzabili e ancora non sono ben definiti in tutte le modalità e cause. Su ciò il dibattito scientifico è aperto. Avviene però che le discussioni vadano molto al di là dell'aspetto scientifico, perché finiscono per coinvolgere l'ambito filosofico e teologico. Ed è qui che il dibattito si fa più vivo e può interessare un pubblico più vasto. Le discussioni si possono ricondurre essenzialmente a tre possibili antinomie o contrasti: evoluzione o creazione? casualità o finalismo nella natura? animalità più elevata o anima spirituale nell'uomo? Sono questioni importanti, perché non riguardano solo il passato, ma il presente. È in gioco la concezione della natura, il rapporto con la sfera trascendente. Alcuni studiosi vogliono estendere la teoria darwiniana della evoluzione a una visione della realtà che renderebbe superfluo qualunque riferimento a cause trascendenti. La spiegazione suggerita da Darwin sulla formazione delle specie esclude singoli atti creativi (come causa efficiente esterna) ed elimina anche la causa finale, perché le variazioni in natura sono spontanee e si affermano per la selezione naturale. Ma allora tutto quanto esiste non potrebbe essersi formato senza bisogno di creazione? E le regolarità della natura non potrebbero essere riferite a pura casualità? Una natura che si è autoformata, come sostengono alcuni darwinisti. È questa una estensione arbitraria, segno di una opzione di fondo che va oltre la scienza. In realtà Darwin non era giunto al punto di negare la creazione e nella pagina finale della seconda edizione e in quelle successive di The Origin of Species nomina il Creatore. Sembrerebbe che Darwin volesse lasciare aperto il tema della creazione. Assai meno disponibili molti suoi seguaci. Secondo Orlando Franceschelli e Telmo Pievani il darwinismo ha emancipato la natura da Dio e da ogni possibile finalismo. Di Dio non c'è più bisogno. Se poi si guarda all'uomo, anch'esso formatosi come le altre specie del mondo animale, la sua somiglianza con loro nelle emozioni e nelle qualità mentali è tale da far pensare a una differenza soltanto di grado e non di qualità fra l'animale e l'uomo. Così afferma chiaramente Darwin in The Descient of Man (1871). Su questa linea si inserisce un modo di vedere il comportamento culturale dell'uomo nelle sue diverse manifestazioni. La differenza sta nelle diverse capacità cognitive che consentono comportamenti diversi. Ma è questione di gradazioni, non di qualità. In queste vedute si va ben oltre la teoria evolutiva. Siamo di fronte a una concezione filosofica totalizzante che si presenta come naturalismo. È una visione della realtà che risolve le tre apparenti antinomie della evoluzione eliminando il secondo termine di ciascuna: Dio, il finalismo, l'anima. Sulla conciliabilità di evoluzione e creazione molto è stato scritto, e anche sul fatto che il finalismo o l'idea di un progetto nella creazione non esclude il carattere contingente di molti fenomeni naturali, attraverso i quali può esprimersi la creazione. Vorrei riprendere in questa sede il tema dell'uomo, a cui viene rivolta oggi una particolare attenzione. Quello che mi colpisce non è tanto la comunanza di gran parte del genoma umano con quello dello scimpanzé, né l'evoluzione delle caratteristiche fisiche dell'uomo, quanto la visione riduttiva di molti darwinisti circa il comportamento culturale. L'uomo deve essere uguale agli animali, dunque anche il suo comportamento va interpretato nello stesso modo. Si vanno così a cercare i geni responsabili delle qualità morali, si indaga sulle relazioni tra l'attività neuronale e il comportamento, compresa l'autodeterminazione e il senso religioso. Tutto deve avere una determinazione genetica o biologica. La selezione naturale opererebbe sui caratteri morali allo stesso modo che sui caratteri fisici. Se l'uomo si è affermato nella evoluzione, è perché tutto ha un significato adattativo, anche il senso morale e religioso. Siamo di fronte a un presupposto più che a una dimostrazione. In un recente saggio di Orlando Franceschelli su Darwin e l'anima, si insiste sulla coevoluzione della componente etico-culturale e del senso morale mediante la selezione naturale. Ad essi deve essere riconosciuto un significato adattativo in senso darwiniano. Ma a ben riflettere viene supposto quello che deve essere dimostrato. Si parla di selezione naturale darwiniana per la formazione di sistemi di credenze per i vantaggi che essi possono offrire al gruppo. Secondo Niebauer il grado di lateralizzazione dell'encefalo (per la manualità) sarebbe in relazione con la propensione a credere al creazionismo! Si va a finire nella fantascienza. Non tutto quello che l'uomo realizza con la cultura e ha successo deve avere una determinazione biologica e assumere un significato adattativo in senso darwiniano. I possibili vantaggi non sono necessariamente legati a processi di selezione naturale. L'evoluzione culturale non segue lo schema darwiniano. L'adattamento culturale si aggiunge a quello biologico, ma non si identifica con esso. Il comportamento morale risponde a valori connessi con la condizione umana e offre vantaggi sul piano sociale, ma resta libero e le motivazioni non seguono le leggi della biologia. Si pensi all'altruismo in forma cosciente e gratuita. Si ha l'impressione di trovarsi dinanzi a un biologismo esasperato, privo di base scientifica, che ricorda per qualche aspetto l'impostazione di Cesare Lombroso (di cui si celebra in questo anno il centenario della morte) nella sua pretesa di collegare a certe caratteristiche fisiche i comportamenti criminosi. Alcuni, come Telmo Pievani, propongono un naturalismo liberalizzato o pluralista, sempre escludendo però principi o piani ontologici che trascendono la natura. Dal naturalismo si traggono risposte sui grandi temi dell'esistenza e possono derivare molte conseguenze sul piano sociale. Ma l'esclusione della dimensione spirituale dell'uomo e della sfera trascendente, attenua l'oggettivo valore dell'uomo esponendolo a più facili rischi e abusi. La dignità e i diritti della persona vengono a dipendere dal consenso dei più. Certamente la dimostrazione dello spirito nell'uomo non si basa sulle metodologie delle scienze naturali. Ma neppure la sua esclusione sarebbe sostenibile con le stesse metodologie. Molti ritengono che l'uomo non sia soltanto un corpo, ma sia arricchito dall'anima spirituale, una convinzione che si basa sul ragionamento ed è confermata dalla fede. Ciò significa una speciale e diretta relazione di dipendenza dal Creatore per i primi uomini come per ogni essere umano, un trascendimento o salto ontologico, per usare la nota espressione di Giovanni Paolo II. Questa affermazione non rappresenta una intrusione della teologia nel campo della scienza, come a volte viene impropriamente rilevato da alcuni, ma è richiesta dalla riflessione filosofica, prima che dalla fede.
(©L'Osservatore Romano - 27 maggio 2009)


I lavori dell'assemblea generale della Conferenza episcopale italiana - La questione educativa responsabilità di tutti – L’Osservatore Romano, 27 maggio 2009
Il compito educativo coinvolge tutti, educatori ed educandi. Fra i primi, gli adulti hanno un ruolo specifico. Il richiamo alla responsabilità di questi ultimi "non può essere sottovalutato, evaso", ma nemmeno "strumentalizzato a livello di cronaca quotidiana". Tuttavia, "non si può essere incuranti degli effetti che certi atteggiamenti producono, e ciò vale a seconda della visibilità di ciascuno". È quanto ha affermato il segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), il vescovo Mariano Crociata, il quale questa mattina, nel corso di una conferenza stampa, ha illustrato la prima fase dei lavori dell'assemblea generale. La questione educativa è il tema principe dei lavori. Monsignor Crociata ha spiegato tuttavia che tutti i temi introdotti nella prolusione pronunciata dal presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, sono stati affrontati e in qualche caso già approfonditi. Fra gli interventi il segretario generale della Cei ha citato quello del vescovo di Como, Diego Coletti, il quale ha messo in evidenza l'urgenza della questione educativa e ha fissato alcuni punti fondamentali sui quali i gruppi di lavoro si confronteranno fino a giovedì, quando ci sarà un ulteriore dibattito e la votazione che deciderà se fare della questione educativa il punto centrale degli orientamenti pastorali per il prossimo decennio. Monsignor Coletti si è soffermato in particolare sul fine dell'educazione cristiana, che è quello di formare l'uomo capace di orientare la propria vita in piena coscienza, responsabilità e libertà. Quella libertà - ha spiegato monsignor Crociata - che è "lo spazio e l'effetto maturo di un'autentica educazione". Sotto questa luce diventa chiaro il rapporto necessario fra libertà e verità. La verità sull'uomo che, per un cristiano, deve necessariamente accompagnarsi all'esercizio della carità, della prossimità nei confronti dei più bisognosi. "Luogo naturale" di una educazione così concepita - ha ricordato nel suo intervento il vescovo Coletti - è la liturgia, spazio dove tutti gli aspetti dell'espressione umana ed ecclesiale sono raccolti nell'ascolto della parola di Dio. Come si accennava, diversi interventi, nella prima fase dei lavori, hanno riguardato i punti toccati nella prolusione dal cardinale Bagnasco. Fra questi, i temi del lavoro e dell'immigrazione. Ribadendo "l'esigenza imprescindibile del rispetto per i diritti fondamentali di ogni persona umana" monsignor Crociata ha detto: "Il nostro sguardo sulla società nasce sempre da una premura di tipo pastorale. Siamo un soggetto pastorale che se vede delle necessità le segnala, e al contempo si mette in gioco", attraverso un contributo diretto che va sempre interpretato come un segno, una testimonianza. Partendo da questa premessa, monsignor Crociata ha specificato che alcune interpretazioni date alla prolusione del cardinale Bagnasco non riflettono le intenzioni originarie: "Noi - ha spiegato il segretario generale della Cei - non vogliamo dire che il Governo non ha fatto niente, perché non è vero, perché sarebbe una menzogna. Il Governo ha fatto quello che ha ritenuto di dover fare. Noi richiamiamo l'attenzione sui bisogni che ancora persistono. È un incoraggiamento a fare sempre di più, in un momento come questo, difficile per tutti". Il tema dell'immigrazione si collega facilmente a un altro dei punti toccati nella prolusione dal cardinale Bagnasco: quello di un'Europa che sappia tornare a essere un "ideale luminoso", anche attraverso la capacità di esprimere valori comuni e di agire come un corpo solidale, nell'aiuto reciproco fra gli Stati membri anche nell'affrontare situazioni d'emergenza. Monsignor Crociata, infine, ha reso noto che i vescovi hanno rinunciato alla cena offerta come di consueto dalla nunziatura presso la Repubblica italiana per devolvere il denaro così risparmiato alle famiglie terremotate dell'Abruzzo.
(©L'Osservatore Romano - 27 maggio 2009)


Riflessioni sulla «Dignitas personae» - Dietro la ricerca sulle staminali embrionali c'è solo una guerra di brevetti - La riprogrammazione delle cellule adulte è molto promettente eppure si insiste su tecniche superate - di Angelo L. Vescovi Ospedale Niguarda e Università Bicocca (Milano)Banca cellule staminali cerebrali (Terni) – L’Osservatore Romano, 27 maggio 2009
La decisione del marzo scorso, presa dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, di finanziare con fondi federali la ricerca su cellule staminali generate attraverso la distruzione di embrioni umani (staminali embrionali) riaccende le polemiche riguardo a una tematica caratterizzata da complesse implicazioni bioetiche. La situazione è resa ancora più spinosa dalla natura e dal contenuto delle dichiarazioni rese a supporto di tale decisione, che avranno un impatto enorme sul tema della difesa della vita umana nell'ambito della ricerca sulle cellule staminali. La tesi che tale decisione si rende necessaria per difendere il diritto dei malati ad accedere a possibili, future terapie è una forzatura logica. In tale approccio, il diritto del malato è usato come leva per giustificare provvedimenti che, considerati i recenti sviluppi nel settore, non sarebbero motivabili su base scientifica. Inoltre, la concomitante sollecitazione a guardare ai fatti e a non agire in conformità a considerazioni ideologiche sbalordisce nel momento in cui, analizzando i fatti oggettivi, scopriamo che essi portano a conclusioni diametralmente opposte - e cioè che non vi è alcun bisogno di distruggere embrioni umani per perseguire tutte le vie possibili per la ricerca di cure per molte terribili malattie attraverso le cellule staminali. Ideologico appare, piuttosto, un approccio in cui non si vuole riconoscere come la situazione nella ricerca sulle cellule staminali sia cambiata a tal punto che la grande maggioranza dei gruppi, che storicamente hanno lavorato su embrioni umani, si sta spostando verso l'uso di nuove e migliori tecniche, le quali permettono la produzione di cellule analoghe alle embrionali staminali senza generare embrioni e sono, quindi, scevre da problematiche etiche. Per comprendere meglio come l'idea dell'assoluta necessità di utilizzare embrioni umani per generare cellule embrionali sia ormai insostenibile, è necessario comprendere di che cosa parliamo quando discutiamo di queste cellule, quale sia lo stato dell'arte nel settore e quali le reali prospettive del loro utilizzo in vari ambiti, quello terapeutico in primis. La scoperta dell'esistenza di queste cellule particolari rappresenta un cambiamento storico in ambito biomedico. L'identificazione di un raro tipo di cellula, essenzialmente immortale, la cui funzione consiste nel generare, mantenere integri e funzionanti e, eventualmente, riparare i tessuti del nostro organismo, ha cambiato radicalmente la prospettiva sulle possibili terapie per moltissime malattie letali e incurabili. Inoltre, l'uso delle staminali negli studi sull'invecchiamento apre scenari impensabili circa il miglioramento della qualità della vita e sulla longevità della nostra specie. Infine, vi sono le applicazioni delle cellule staminali nell'ambito degli studi di tossicologia e sui farmaci, con significativi risvolti finanziari. A questo punto, nasce spontanea la domanda di come sia possibile che, attorno a una microscopica entità biologica, ruotino incalcolabili interessi di carattere medico e scientifico, ma anche umani e di natura economica. La risposta è chiara nel momento in cui si comprende che le cellule staminali fungono da efficientissimo ufficio di manutenzione del nostro organismo. Questo avviene poiché tutti i nostri organi possono essere paragonati a un puzzle, in cui le singole tessere (le cellule mature) si logorano con l'uso o in seguito a un danno procurato da agenti patogeni, traumi, emorragie, difetti genetici. Le cellule staminali somatiche, note come adulte, provvedono, in condizioni fisiologiche, alla sostituzione delle cellule mature logorate, concorrendo a frenare l'invecchiamento; inoltre, svolgono una funzione salvavita, andando a riparare e ricostruendo gli organi, anche dopo danni relativamente gravi. Inevitabilmente, vi sono condizioni in cui questa funzione non è sufficiente, con il conseguente instaurarsi di processi degenerativi, anche cronici e progressivi, che portano a malattie gravissime e letali, quali le distrofie o la sclerosi laterale amiotrofica (Sla), solo per citarne alcune. Ed è proprio in queste situazioni patologiche estreme che devono entrare in gioco le nuove scienze biomediche, cercando di riparare tali danni tramite interventi finalizzati alla ricostruzione dei tessuti. Tale ricostruzione implica la sostituzione delle cellule malate o morte mediante trapianto di analoghe cellule sane. In questi interventi, è necessario avere accesso a un enorme numero di cellule umane sane e di tipo specifico, possibilmente compatibili col paziente dal punto di vista immunologico. Analogamente, lo stesso tipo di necessità si manifesta quando s'intendano intraprendere studi farmacologici e biotecnologici su larga scala, per scoprire nuovi farmaci e molecole terapeutiche o per studi sulla tossicità di sostanze potenzialmente pericolose per la salute umana. La soluzione al problema della disponibilità di cellule umane su vasta scala è stata identificata nella coltivazione e moltiplicazione in laboratorio delle cellule staminali umane, sia di quelle somatiche, di cui sopra, che di quelle embrionali. Queste ultime compaiono esclusivamente durante i primi giorni di vita embrionale e costruiscono, durante lo sviluppo, l'intero nostro organismo, dando origine a oltre duecento tipi di cellule diverse, per un numero totale di circa un milione di miliardi. Anni di studi, ma anche la semplice logica, hanno portato a concludere che, dal punto di vista strettamente tecnico, non è possibile decidere a priori quale dei due tipi di cellule staminali, somatiche o embrionali, possa rappresentare la scelta migliore e più proficua. In altre parole, sarebbe auspicabile poter utilizzare entrambi i tipi cellulari poiché, date le loro diverse caratteristiche, è molto probabile che un tipo di cellula funzioni meglio in alcune situazioni e viceversa. Solo a titolo di esempio: le staminali somatiche non sono dotate di un'intrinseca capacità di generare tumori e sono già specializzate a produrre le cellule del tessuto in cui risiedono, ma in alcuni casi sono molto difficili da moltiplicare in grande numero. Viceversa, le embrionali si moltiplicano rapidamente, ma sono intrinsecamente carcinogeniche e difficili da istruire a produrre specificamente il tipo di cellula che s'intende utilizzare. Ovviamente, la ricerca procede spedita e, in entrambi i casi, vanno emergendo nuove, promettenti soluzioni. Le grandi diatribe, i grandi temi etici, le controversie e le polemiche sulle cellule staminali non nascono, però, da considerazioni di natura tecnica o scientifica, ma ruotano intorno a un problema centrale ben più scottante, vale a dire l'origine delle cellule staminali e il modo in cui esse vengono derivate e le relative implicazioni etiche. Le staminali somatiche sono generalmente isolate dal paziente stesso o da un donatore compatibile, moltiplicate o manipolate in vitro e poi trapiantate. Grazie a quest'approccio, che ovviamente non pone problemi di tipo etico, sono stati sviluppati oltre sessanta tipi di terapie per patologie del sangue, della cornea e per trapianti di epidermide, solo a titolo di esempio. Vi sono poi, sempre in quest'ambito, sperimentazioni cliniche particolari, quali quelle che riguardano le malattie neurodegenerative, come Parkinson, Sla e morbo (infantile) di Tay-Sachs, nelle quali sono in corso, o in fase di avvio, dei trials clinici in cui cellule staminali cerebrali moltiplicate in vitro vengono trapiantate nel cervello lesionato con finalità terapeutiche. Sebbene questa non sia sempre la scelta d'elezione, le cellule staminali cerebrali, spesso di origine fetale, possono essere estratte da aborti spontanei, eliminando anche in questo caso eventuali problemi etici. Per quanto riguarda le cellule staminali embrionali, il problema etico è un po' più complesso. Innanzitutto, va chiarito che non si tratta di cellule totipotenti, come spesso erroneamente ci viene spiegato, poiché non sono in grado, da sole, di generare un embrione. In realtà, esse sono pluripotenti, cioè in grado di produrre tutti i tipi di cellule del nostro corpo, a eccezione degli annessi embrionali necessari alla vita in utero. La distinzione appare sottile, ma ha un impatto enorme sulle questioni etiche che investono il settore. Infatti, non esiste un problema etico collegato intrinsecamente alla natura e alla identità biologica delle cellule embrionali staminali. In altre parole, uno staminale embrionale non è un embrione, ma parte dello stesso. Il problema concerne il modo in cui queste cellule vengono isolate. Essendo esse presenti solo temporaneamente durante lo sviluppo in utero e a uno stadio molto precoce, non vi è attualmente modo di isolarle dall'embrione, se non producendo quest'ultimo in laboratorio per poi estrarne le staminali, in un processo che porta alla morte dell'embrione stesso. Non è questa la sede per una discussione esaustiva sull'argomento, ma vale la pena ricordare che qualunque tentativo di definire un oggettivo confine tra vita e non-vita umana all'interno dell'intervallo tra concepimento e morte dell'essere umano è fallito. La distruzione dell'embrione rappresenta la distruzione di una vita umana a tutti gli effetti. Si comprende, quindi, come una tecnica che, per generare cellule staminali, si basa sulla distruzione di embrioni umani, ponga interrogativi etici scottanti e di enorme portata. Negli anni, numerose tesi e argomentazioni sono state proposte nel tentativo di travalicare questo problema etico, senza successo. Dalla banalizzazione della natura dell'embrione, ridotto in modo surrettizio a un "grumo di cellule" - prescindendo dalle evidenze scientifiche a supporto del fatto che esso rappresenta uno dei vari stadi della vita umana che si dipanano in un continuum senza interruzioni - al fatto che non vi fossero strade alternative all'uso delle embrionali staminali. Il caso di quest'ultima ipotesi è emblematico, in quanto le tesi a supporto riguardano, sempre e quasi esclusivamente, l'argomento delle malattie neurodegenerative. Si sostiene, inopinatamente, che lo sviluppo delle terapie in quest'ambito sia possibile esclusivamente attraverso l'uso degli embrioni umani. Posso garantire che tale messaggio fuorviante ha attecchito a vari livelli e che rimarrà a lungo come piaga insanabile, generata da un modo di fare informazione distorto e capzioso. Una situazione sconcertante, poiché nel tentativo di travalicare l'insormontabile dilemma proposto dal sacrificio di una vita umana nel nome di un più o meno vago interesse dei malati, si ignorano i fatti. Il settore delle malattie neurodegenerative è quello in cui già si annoverano sperimentazioni cliniche ufficiali e altre sono in fase di avvio, grazie all'esistenza delle staminali cerebrali, a prescindere dall'uso degli embrioni. Senza poi dimenticare i metodi che non si basano sul trapianto di cellule, ma sulla attivazione delle staminali endogene grazie a delle stimolazioni specifiche. La verità è che la tesi della necessità di utilizzare embrioni umani per produrre cellule staminali embrionali ai fini terapeutici, giustificabile in funzione della supposta assenza di strategie alternative, appariva estremamente debole già da molti anni. Questo anche in considerazione dei ripetuti fallimenti della clonazione umana, la quale avrebbe dovuto essere utilizzata per produrre staminali scevre da problemi di rigetto. Anche prescindendo da tale situazione, tutti hanno sempre concordato sul fatto che poteva esistere una soluzione radicale e definitiva a questi problemi. Tale soluzione si sarebbe presentata nel momento in cui fossero state messe a punto delle tecniche per ottenere cellule analoghe alle staminali embrionali evitando, allo stesso tempo, il danneggiamento e la morte dell'embrione. Ciò ha spinto la ricerca verso lo sviluppo di metodi eticamente accettabili per produrre cellule con le caratteristiche di staminali embrionali e il successo è andato oltre ogni rosea previsione. Nel giugno del 2006, S. Yamanaka e K. Takahashi dimostravano come fosse possibile riprogrammare cellule dell'epidermide adulta, fino a fare loro riacquisire caratteristiche sovrapponibili a quelle delle cellule embrionali, ma senza produrre embrioni. In un lasso di tempo incredibilmente breve si è ottenuta conferma della scoperta iniziale, vi sono stati miglioramenti dell'efficienza e sicurezza della tecnica, si sono riprodotti i risultati con cellule umane e con strumenti di riprogrammazione sempre più sicuri, fino alla pubblicazione dei lavori più recenti - l'ultimo sulla rivista "Science" poco tempo fa a firma di J. Thompson, padre delle embrionali staminali umane - che dimostrano come da cellule adulte umane sia possibile produrre cellule analoghe alle embrionali staminali, senza che rimangano al loro interno residui di geni pericolosi. Riassumendo, oggi si è finalmente in grado di perseguire tutti i possibili approcci per sviluppare le più innovative terapie cellulari senza scontrarsi con insormontabili problemi etici o morali. L'uso delle cellule staminali somatiche, quello della mobilizzazione delle cellule staminali del tessuto in cui risiedono, l'esistenza di cellule riprogrammate con caratteristiche embrionali, prodotte senza generare embrioni, rendono perseguibile qualunque percorso terapeutico sperimentale, senza dovere distruggere embrioni umani. Inoltre, la via della riprogrammazione di cellule adulte ha avuto successo laddove l'uso degli embrioni e la clonazione umana hanno fallito. Infatti, in questo modo, è possibile riprogrammare e trapiantare le cellule nello stesso paziente, da cui sono state prelevate, evitando i rischi di rigetto. Se si dovesse pensare di fare la stessa cosa utilizzando la clonazione umana, sarebbe necessario clonare un embrione per estrarne poi le cellule. Questo metodo ha un'efficienza talmente bassa da richiedere l'uso di centinaia di oociti umani per ogni clonazione. La tecnica, infatti, ha finora fallito e degli esperimenti di clonazione coreana già sappiamo. Va ricordato che gli oociti per la clonazione devono essere prelevati da donatrici sane sottoposte a stimolazioni ormonali pericolose - un recente articolo sull'"American Journal of Epidemiology" sottolinea l'aumentato rischio di tumore al colon e di melanoma in donne sottoposte a tale tipo di stimolazione. Non mi posso soffermare sul problema etico relativo alla visione di una donna utilizzata come sorgente di cellule uovo e assoggettata a pratiche comunque rischiose, ma un invito alla riflessione è d'obbligo per tutti, soprattutto perché le alternative ora esistono. Da quanto discusso finora, emergono due concetti fondamentali. Con le dovute proporzioni, la scoperta delle staminali e il loro uso nei vari ambiti discussi rappresentano una pietra miliare nella ricerca biomedica, di portata analoga alla scoperta dei principi della relatività nell'ambito delle scienze fisiche. La scienza ha risposto in modo chiaro e inequivocabile a dilemmi etici profondi e laceranti connessi a questo argomento, mettendoci in una situazione ottimale, in cui non vi è necessità di ricorrere alla distruzione di embrioni umani per generare cellule con finalità terapeutiche. Ma se questi sono i fatti e se i ricercatori possono, quindi, procedere lungo tutte le vie, senza ulteriori scontri e in piena armonia, perché si continua a discutere e a fronteggiarsi sul tema degli embrioni? Che i fatti appena discussi siano ben più che concreti ce lo conferma il "New York Times", che certo non è un giornale di stampo conservatore e nemmeno schierato contro il neoeletto presidente americano. In un articolo del 9 marzo 2009 si legge: "In termini pratici, i ricercatori finanziati con fondi federali non troveranno facilità nello studiare un tipo di cellule (derivate da embrioni) che, sebbene ancora importanti, sono in qualche modo state oscurate dalle nuove tecniche (di riprogrammazione)". Allora perché proprio ora la decisione americana che liberalizza l'uso di fondi pubblici per la ricerca su cellule di derivazione embrionale umana? La risposta è che esistono anche altri fatti, importanti ma sottaciuti, di cui molti non sono nemmeno a conoscenza e sui quali raramente ci si sofferma. Questi sono inestricabilmente legati a situazioni di carattere storico, strategico ed economico che inducono atteggiamenti di esasperato pragmatismo, non sempre dichiarati. Cerco di spiegare, in sintesi. La produzione di cellule di tipo embrionale mediante riprogrammazione di cellule adulte, scoperta recentemente, non solo è superiore a quella che prevede l'uso degli embrioni umani, ma si fonda su tecniche nuovissime, le quali non ricadono sotto l'egida di quei brevetti che, attualmente, sfruttano l'uso di staminali derivate da embrioni. Molti Paesi sono però leader storici solo in quest'ultimo settore. Numerosi laboratori, miliardi di dollari d'investimenti, un'intera filiera brevettuale e tecnico-scientifica e intere carriere si basano proprio sull'uso di embrioni. In una situazione di questo genere, sarebbe ingenuo pensare che tutto questo possa essere abbandonato per abbracciare tecniche di origine diversa, solo perché sono più efficienti ed eticamente accettabili. Ci sono troppi interessi perché l'uso degli embrioni umani possa essere abbandonato senza alcuna reazione. Riesco ad afferrare tali motivazioni. Quello che trovo discutibile è il presentarle come la risposta del "giusto" che tenta di contrapporsi a supposti atteggiamenti moralistici o di origine religiosa e, come tali, irrazionali e immotivati. Questi ultimi atteggiamenti sono poi marchiati come antiscientifici e contro l'interesse dei malati, e si invitano i supposti oscurantisti a guardare ai fatti. Questa posizione è indifendibile e distorta, poiché i fatti sono quelli discussi sopra e non possono esser smentiti. Nulla più frena la ricerca e lo sviluppo di possibili terapie. L'uso degli embrioni umani non è, in alcun modo, un'inderogabile necessità. Semmai, il problema è antitetico. Infatti, non vi è nulla d'illuministico nel proporre metodi - quali quelli che prevedono la distruzione di embrioni umani - che sollevano enormi problemi etici, anche in chi non è credente e cristiano. Si è ancor meno illuminati, se lo si fa ignorando che esistono alternative eticamente accettabili. Mi permetto, inoltre, di osservare che non è in alcun modo ammissibile tacciare di moralismo religioso e comportamento ideologico chi rileva l'esistenza di tali alternative e sottolinea il fatto che esse siano persino più efficienti della clonazione umana e molto più promettenti, soprattutto per i malati. Quella che è stata proposta per supportare la decisione di usare embrioni umani è un'insostenibile inversione dei ruoli. Devo rispettosamente osservare che l'ideologia appartiene a chi rifiuta di considerare tutti gli aspetti di un problema e non viceversa. Faccio il ricercatore da quasi trent'anni e ho fiducia nel fatto che, nella ricerca, la verità alla fine trionfi. In questa vicenda, la ricerca ha già fornito soluzioni al problema etico sugli embrioni che, meno di un lustro or sono, sembravano impossibili. La scienza, per sua natura, favorisce inevitabilmente la selezione e lo sviluppo delle sue branche più efficienti, nel rispetto più totale della vita umana. Non ho dubbi sul fatto che le tecniche che impiegano le cellule staminali per il bene dell'uomo, in modo eticamente ineccepibile, rappresenteranno il futuro di questa disciplina. Resto, quindi, sereno e ottimista. Mi si conceda una chiosa finale. Serenità e ottimismo sono stati d'animo preziosi, ma vanno nutriti. La riprogrammazione cellulare e le altre vie etiche alla terapia cellulare rappresentano tecniche potentissime e il futuro di intere nuove branche della medicina e delle biotecnologie. In tal senso, esse offrono delle opportunità enormi per lo sviluppo e il rilancio del sistema di ricerca, tecnologico e industriale. Ma non è solo con i grandi proclami e dibattiti che tutto questo si può ottenere. Occorre lo stanziamento d'ingenti risorse. Ci vogliono investimenti significativi nel settore, soprattutto sui giovani ricercatori, nonché la creazione di un sistema che sia meritocratico e competitivo a tutti gli effetti. Servono fatti e iniziative concrete e l'aiuto di tutti, nessuno escluso.
(©L'Osservatore Romano - 27 maggio 2009)


USA/ Attacco alla famiglia tradizionale - Lorenzo Albacete - mercoledì 27 maggio 2009 – L’Osservatore Romano, 27 maggio 2009
La settimana scorsa è sembrato che il matrimonio omosessuale fosse ormai riconosciuto da tutti gli stati del New England, dato che anche il parlamento del New Hampshire aveva approvato una legge in proposito, che doveva solo essere firmata dal governatore per entrare in vigore.
Tuttavia, il governatore John Lynch, un Democratico, ha dichiarato che avrebbe firmato solo nel caso che la legge avesse incluso delle clausole a protezione di Chiese e istituzioni contrarie al matrimonio omosessuale per motivi religiosi. La Camera dei Deputati statale ha però rifiutato, e così il New Hampshire non si è unito agli altri stati del New England, almeno per il momento.
Recentemente il New York Times, in un interessante articolo di Peter Steinfels, il redattore per la religione, ha illustrato come il tema della protezione dei diritti religiosi stia diventando una componente decisiva del dibattito sul riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
L’opposizione a questo riconoscimento si sta sempre più indebolendo nel paese e molte istituzioni religiose si stanno concentrando più sull’aspetto della protezione, piuttosto che sulla resistenza a ciò che appare sempre più inevitabile. In realtà, il problema della protezione va oltre le istituzioni strettamente religiose. Diversi giuristi sostengono che la protezione dall’essere perseguiti dovrebbe essere estesa anche ai singoli (per esempio, i fotografi) e alle piccole imprese che forniscono servizi per i matrimoni e che rifiutassero di prendere parte a matrimoni omosessuali.
Questo della protezione legale è un punto importante anche nell’attesa approvazione di leggi simili nello stato di New York, nel Distretto di Columbia, Rhode Island e, infine, anche in California. Il Connecticut e il Vermont hanno già approvato leggi che includono la protezione della “libertà di coscienza” di chi si oppone per motivi religiosi. Tra gli studiosi che sostengono la necessità di esplicite clausole protettive vi sono gli oppositori del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma anche alcuni che lo approvano. Tuttavia, altri studiosi escludono queste preoccupazioni e la maggioranza degli esperti in questioni giuridiche sostiene che la protezione a questi diritti è già assicurata dal Primo Emendamento alla Costituzione.
Molti degli stati che hanno leggi contro discriminazioni in base all’orientamento sessuale prevedono clausole protettive nel caso dei matrimoni omosessuali, mentre altri non le contemplano. Alcuni esperti mettono in guardia questi stati per il possibile estendersi di ricorsi legali, difficili e costosi, mentre altri obiettano che non vi sono ragioni per aspettarsi vaste battaglie legali tra obiettori di coscienza e coppie omosessuali.
Qualche leader dei movimenti omosessuali sta decidendo di abbandonare la strada del riconoscimento dei matrimoni omosessuali stato per stato per cercare di ottenere una decisione sull’argomento a livello federale. L’attuale controllo dei Democratici sul Congresso e i cambiamenti che si attendono tra i membri della Corte Suprema offrono, a loro parere, una opportunità da non perdere. Il presidente Obama ha dichiarato di essere personalmente contrario ai matrimoni omosex, ma di essere determinato a promuovere “uguali diritti” per tutti i cittadini americani.
La Chiesa cattolica segue la discussione con molta attenzione. Qualche conflitto preoccupante si è già verificato, come la decisione delle organizzazioni cattoliche nella Arcidiocesi di Boston di sospendere i servizi relativi alle adozioni di fronte all’ordine dello stato di dare bambini in adozione a coppie omosessuali. Sarà significativo vedere cosa succederà nello stato di New York, un’altra zona nella quale l’influenza della Chiesa cattolica è stata, almeno finora, forte.


APPELLO/ Mauro: difendiamo le cooperative dall’Ue - Mario Mauro - mercoledì 27 maggio 2009 – ilsussidiario.net
In un contesto economico messo a dura prova della crisi dei mercati ci sono delle realtà che sono esempi positivi per tutti, perché anche di fronte alle difficoltà esprimono l’operosità di chi vuole venire fuori dal guado. Queste realtà sono le cooperative, che con la loro vivace azione sono l’esempio di come l’uomo grazie alla sua creatività e allo spirito d’iniziativa che gli è proprio riesca, creando delle reti virtuose, ad alzare la testa e non piegare le ginocchia anche quando tutto sembra andare storto.
Le cooperative, essendo associazioni autonome di persone che si uniscono volontariamente attraverso la creazione di imprese a proprietà comune, si fondano sui valori importanti quali l'auto-responsabilità, la democrazia, l'eguaglianza, l'equità, la solidarietà ma soprattutto la sussidiarietà. Il perseguimento di valori etici come l’onestà, la trasparenza, la responsabilità sociale e l'altruismo è sicuramente una delle ricette per affrontare l’attuale situazione finanziaria, perché prevede una prospettiva veramente rivoluzionaria: la persona al centro dell’attività, in qualsiasi ambito siamo chiamati a promuoverla.
Se da una parte l'Unione europea, nell’attuale situazione di crisi dell’economia e dei mercati, ha cercato di facilitare questo percorso, tenendo conto delle specificità di ogni singola situazione attraverso lo sviluppo nei confronti delle cooperative dotandole di strumenti giuridici adeguati e permettendo così la creazione di nuove realtà di persone fisiche o giuridiche su scala europea, con l’obiettivo di assicurare i diritti d'informazione, di consultazione e di partecipazione dei lavoratori in una società capace di allargarsi e diventare una cooperativa europea, dall’altra, attraverso azioni a dir poco miopi, ha mostrano tutt’altro atteggiamento differente.
Con proposte d’intervento che mirano ad attuare una forte pressione fiscale sulle cooperative, con l’aumento dell’aliquota fiscale sui rendimenti del prestito sociale, con gli attacchi che stigmatizzano i privilegi contro il settore cooperativo si intravede un velato tentativo di mettere sotto scacco questo sistema. Si accusano le cooperative di godere di benefici, mentre esse pagano tutti i contributi previdenziali come l’Irap, l’Iva e tutte le altre imposte, al pari di qualunque altra impresa, ad eccezione solo di una parte di imposte relative al capitale destinato a riserva indivisibile che rappresenta la parte destinata a costituire quel capitale intergenerazionale a cui i soci rinunciano per sempre per dare continuità e radicamento territoriale alla propria cooperativa.
Non si spiega, quindi l’azione, del Commissario Kroes che, pur riconoscendo l’importanza e il contributo che le cooperative portano all’economia e allo sviluppo della società, si è espressa a favore dell’applicazione di imposte aggiuntive basate esclusivamente sulla dimensione dell’impresa cooperativa e non sulla sua autentica aderenza ai principi base della cooperazione. La Kroes, commissaria responsabile della concorrenza, ha aperto infatti una procedura contro l’Italia per i presunti benefici fiscali che godrebbero le banche di credito cooperativo e ha accusato la deducibilità degli utili a riserva.
Le attuali procedure che minacciamo l’esistenza del sistema cooperativo sono una spada di Damocle che pende sulla nostra economia, perché, in questo momento così difficile, sono garanzia per lo sviluppo del nostro sistema produttivo. Il fatto che siano ancora aperte procedure contro l’Italia dimostra che c’è una precisa volontà di spazzare via queste realtà che, invece, hanno il merito di sostenere e aiutare la piccola e media impresa e molte realtà presenti nel nostro Paese.
Pare strano che l’Europa che da sempre non si è mai opposta e spesso ha taciuto sugli aiuti dati alle banche ora voglia essere così severa con le Banche di Credito Cooperativo, contro le quali si è deciso di sferrare un vero e proprio attacco. Nessun privilegio nei loro confronti, perché, come rivelano i numeri, le BCC servono all’Italia nella misura in cui sfiorano il 4% della raccolta e l’8% degli impieghi del sistema creditizio. Hanno una forza che altri soggetti non possiedono: sono legate alle realtà produttive territoriali e portano sostegno alla micro e piccola impresa.


CHIESA/ Lavoro e dignità della persona: a quale responsabilità politica richiama la Cei? - Renato Farina - mercoledì 27 maggio 2009 – ilsussidiario.net
La Conferenza episcopale italiana, attraverso la prolusione del suo presidente, il cardinal Angelo Bagnasco, ha sollevato il velo sul dolore di tanti in Italia e sulla sua crisi economica che è anch’essa in fondo morale. La disoccupazione è la piaga più seria. Il fatto orribile è la riduzione dei lavoratori in sovrannumero e dunque licenziati a merce fuori corso, a “zavorra”. Zavorra i lavoratori che pagano gli errori di altri! Una conseguenza orribile e ingiusta, per cui la crisi, dopo essere stata provocata dalle speculazioni finanziarie e da chi non ha guardato il lavoro degli uomini come una priorità, ma come una faccenda in fondo fastidiosa, ora continua a regnare salvando la propria pelle e il proprio patrimonio e imponendo ancora una volta le gerarchie dei propri interessi. Dannando cioè gli uomini-lavoratori.
Questo non si fa. Questo va contro l’esperienza e l’insegnamento cristiano. Occorre soccorrere chi è in difficoltà, attivare senza sosta rimedi che nell’emergenza consentano alle famiglie senza lavoro e senza risorse di vivere decorosamente. Il governo ha il dovere di impegnarsi per questo. Il presidente dei vescovi ha affermato che è «improponibile una concezione meramente mercantile del lavoro umano» e ha chiesto attenzione in modo particolare ai precari, lavoratori per i quali «gli ammortizzatori sociali sono davvero modesti».
Quindi, la tuteladella vita, in ogni momento: «Non c’è contraddizione tra mettersi il grembiule per servire le situazioni più esposte alla povertà e rivolgere ai Responsabili della democrazia un rispettoso invito affinché in materia di fine vita non si autorizzi la privazione dell’acqua e del nutrimento vitale a chi è in stato vegetativo. È una questione di coerenza».
Il cardinale Bagnasco si sofferma con queste parole sulla politica immigratoria del governo: «Se la sovrapposizione con la campagna elettorale non ha sempre assicurato l’obiettività necessaria ad un utile confronto, non può sfuggire il criterio fondamentale con cui valutare questi episodi, al di là delle contingenze legate allo spirito polemico o alla stagione politica. Ossia il valore incomprimibile di ogni vita umana, la sua dignità, i suoi diritti inalienabili». Al diritto a vivere dignitosamente nel proprio Paese, esiste anche il diritto ad emigrare, e la risposta non può essere solo «di ordine pubblico» e nemmeno di un «malinteso multiculturalismo». Agli attraversamenti del Mediterraneo, «le nostre autorità hanno risposto con la controversa prassi dei respingimenti, già sperimentata in altre stagioni come pure in altri Paesi».
Come si osserverà ho riportato i passaggi decisivi, senza edulcorare.
Non posso prescindere da ciò che sono, dal compito che ho: ed è di essere deputato del Popolo della Libertà, mentre desidero essere cattolico infante e obbediente.
La mia reazione al momento è stata quella di difendere innanzitutto me stesso e la mia parte politica, prevedendo le strumentalizzazioni che ne sarebbero state fatte dalle varie parti politiche. Naturale. Forse scontato. Ma la vera questione è di mettersi in sintonia con il cuore del presidente dei vescovi, che sulla questione del lavoro ha ripreso le parole del Papa a Cassino domenica scorsa.
Si tratta allora di partire dal punto forte: il valore della persona. E allora il riferimento per me è constatare come noi politici più che mai dobbiamo lavorare in sintonia con l’esperienza di chi nella società costruisce cose buone nel campo dell’economia e del lavoro, ascoltare le loro richieste alla politica, far sì che il governo sia il più possibile adeguato a questo slancio di bene comune.
Oggi vuol dire mettere al primo posto la persona e il suo lavoro per il bene della famiglia. Premere sulle banche perché tolgano il laccio dal collo della piccola e media impresa. Sburocratizzare le amministrazioni pubbliche. Dare fiato e risorse alla parità scolastica da cui può venire un’educazione che consolidi un tipo d’uomo per cui al primo posto ci sia la realizzazione della propria vera umanità.
Guai a usare le parole dei vescovi pro o contro la propria lista politica. Giudicheranno i cittadini. Cero è importante la chiarificazione fornita dal segretario della Cei, monsignor Mariano Crociata: «Non siamo un soggetto politico che deve dare patenti o riconoscimenti a nessuno: siamo un soggetto pastorale, che se coglie un problema o una difficoltà la segnala cercando di mettersi in gioco. Non dicendo soltanto cosa si dovrebbe fare, ma sforzandoci di fare la nostra parte, con gli strumenti e le risorse che abbiamo, perché la nostra coerenza non venga mai meno». «La perdita del lavoro» è il caso più serio oggi: «Una realtà che è dinanzi ai nostri occhi, ma nei confronti della quale – non vogliamo dire che il governo non ha fatto niente: sarebbe una menzogna o una strumentalizzazione scorretta». Ha proseguito: «il nostro compito è vedere la realtà sociale ed invitare, richiamare l’ esigenza che i bisogni ancora presenti, e non trascurabili, della popolazione siano posti all’attenzione pubblica». Tutto questo è materia di una responsabilità grave. Cui non si risponde con una tecnica, anzitutto, ma con l’adesione piena al luogo dove più questi bisogni dell’uomo sono condivisi con passione…


IL SENSO DI UNA PROPOSTA - LA «PROSSIMITÀ» DELLA CHIESA ALL’UOMO REALE - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 27 maggio 2009
Accade con Gesù. Con i Santi. E con la Chiesa. Accade che gli uomini li sentano vicini. Li sentano prossimi. Co­me nei racconti dei Vangeli si vede che le persone consideravano Gesù uno che era vicino, uno che non stava solo riti­rato in preghiera o chissà dove, rapito nei suoi colloqui misteriosi con il Padre. Accadeva con Gesù. Sapevano dove tro­varlo. Era prossimo a gente di ogni tipo. Ai poveri, ai bambini, a chi era ricco ma senza gusto per la vita, a chi non sape­va farsi amare, a chi avrebbe voluto ti­rare la prima pietra, a chi non si alzava più dal letto. A chi aveva la peste. A chi non ci vedeva più. Era prossimo a chi vo­leva discutere su Dio. A chi aveva fame. Faceva diventar matti gli intellettuali del suo tempo, gli scribi, e gli ipocriti, i fa­risei. Che lo volevano 'bloccare', met­tere in una casella, assegnargli un cam­po d’azione consono al loro pensiero su Dio e sugli uomini.
Diventavano matti, dicevano che sì, lo stimavano, ma presero a odiarlo perché Lui era sentito vicino dagli uomini. Per­ché si faceva prossimo a tutti. E dopo di Lui, anche i santi sono stati e saranno prossimi alla gente. Tanti tipi di santi, per ogni tipo di situazione. Molto spes­so pagando con il sangue il fatto d’esser prossimi all’uomo contro i progetti di chi ha il potere. Leggendo le parole del cardinale Bagnasco all’assemblea dell’e­piscopato, viene davanti agli occhi la grande prossimità della Chiesa agli uo­mini di sempre, e in ogni condizione. Accadeva a Gesù, accade ai Santi, e alla Chiesa. Ma la Chiesa, dicono da un la­to strani intellettuali, dovrebbe occu­parsi di questa cosa e non di un’altra. No, rispondono altri intellettuali da un’altra parte, dovrebbe occuparsi del­l’altra e non di questa. Ma la Chiesa non fa distinzioni. Si occupa dell’uomo co­me è. Perché si occupa, per così dire, della risposta al desiderio di felicità, cioè di bene e di autentico, che c’è nella vita di tutti, fortunata o sfortunata che sia. Perciò si fa prossima alla famiglia in dif­ficoltà per la crisi come al grande im­prenditore. Perciò continua, lungo due­mila anni, la grande prossimità che Ge­sù ebbe con gente di ogni tipo e in ogni situazione. Lo fa in Italia nelle condi­zioni in cui vivono gli italiani. Nel dram­ma della crisi e della disoccupazione, nelle domande circa le evoluzioni della ricerca scientifica e nello smarrimento di fronte a una grande questione edu­cativa che mangia in petto il Paese.
Gli intellettuali - gli scribi di oggi - vor­rebbero che la Chiesa stesse entro cer­ti confini. Si scandalizzano se trovano la Chiesa prossima all’esperienza di uo­mini diversi in campi diversi della vita. Accadeva con Gesù, e accade anche og­gi. Così quando la vita di moltissimi nel nostro Paese è segnata da fatti duri o da gioie, costoro sanno che la Chiesa c’è, è vicina. Con i volti familiari di gente di fede. Di gente che è lì, sta vicina, dà u­na mano a capire, a guardare la verità e a far qualcosa di buono, sia che si trat­ti di una casa terremotata o di un ter­remoto esistenziale per decidere se il bambino va fatto nascere o no. E’ una prossimità all’uomo che non significa assistenza sociale (anche se innumere­voli sono le opere); che non significa nemmeno ricerca del consenso (non è il mestiere della Chiesa). Significa che la Chiesa ha da offrire una cosa all’uo­mo di sempre. L’incontro con Gesù. A quanti è capitato di riaprire una do­manda sulla propria fede per essersi ac­corti - per esperienza personale - che, alla fin fine, la Chiesa, cioè la gente cri­stiana, è prossima alle persone come nessuno in Italia.
La via della Chiesa italiana non è una via che passa o a destra o a sinistra, a est o a ovest dei problemi o sulla testa delle persone: è la via che porta in prossimità dell’uomo reale, alle sue croci e alle sue feste. Accadeva a Ge­sù, è scritto chiaro nei Vangeli. E da al­lora accade al proseguimento miste­rioso del Suo corpo, a quel che noi chiamiamo Chiesa.