Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: pregate perché tanti scelgano di seguire Cristo - Discorso al Regina Coeli nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni
2) Da Rimini, l'invito a rinnovare lo slancio evangelizzatore - Si conclude il raduno nazionale del Rinnovamento nello Spirito
3) Paolo Brosio, storia di una conversione - Intervista al noto giornalista e uomo di spettacolo - di Alessandra Nucci
4) Pillola del giorno dopo: dignità del medico, tutela del paziente - di Renzo Puccetti*
5) Ricette per morire - L’eutanasia guadagna terreno - di Padre John Flynn, LC
6) Radio Vaticana 29/04/2009 15.40.22 – I vescovi del Cile: il Paese non può rinunciare ai valori fondamentali
7) L’Europa in cui credere - Mario Mauro - lunedì 4 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Benedetto XVI: pregate perché tanti scelgano di seguire Cristo - Discorso al Regina Coeli nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole che Benedetto XVI ha rivolto questa domenica ai fedeli e ai pellegrini in occasione della recita della preghiera mariana del Regina Coeli.
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Cari fratelli e sorelle!
Si è da poco conclusa, nella Basilica di San Pietro, la Celebrazione eucaristica durante la quale ho consacrato diciannove nuovi Sacerdoti della Diocesi di Roma. Ancora una volta ho scelto questa domenica, la IV di Pasqua, per tale felice evento, perché essa è caratterizzata dal Vangelo del Buon Pastore (cfr Gv 10,1-18) e perciò offre un contesto particolarmente adatto. Per lo stesso motivo si celebra oggi la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Nel mio annuale messaggio per questa circostanza, ho invitato a riflettere sul tema: La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana. Infatti, la fiducia nel Signore, che continuamente chiama tutti alla santità e alcuni in particolare a una speciale consacrazione, si esprime proprio nella preghiera. Sia personalmente che in comunità, dobbiamo pregare molto per le vocazioni, perché la grandezza e la bellezza dell’amore di Dio attiri tanti a seguire Cristo sulla via del sacerdozio e in quella della vita consacrata. Occorre anche pregare perché ci siano altrettanti sposi santi, capaci di indicare ai figli, soprattutto con l’esempio, gli orizzonti alti a cui tendere con la loro libertà. I santi e le sante, che la Chiesa propone alla venerazione di tutti i fedeli, stanno a testimoniare il frutto maturo di questo intreccio tra la chiamata divina e la risposta umana. Affidiamo alla loro celeste intercessione la nostra preghiera per le vocazioni.
C’è un’altra intenzione per la quale oggi vi invito a pregare: il viaggio in Terra Santa che compirò, a Dio piacendo, dal prossimo venerdì 8 maggio al venerdì 15. Sulle orme dei miei venerati predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, mi farò pellegrino ai principali luoghi santi della nostra fede. Con la mia visita mi propongo di confermare e di incoraggiare i cristiani di Terra Santa, che devono affrontare quotidianamente non poche difficoltà. Quale Successore dell’apostolo Pietro, farò loro sentire la vicinanza e il sostegno di tutto il corpo della Chiesa. Inoltre, mi farò pellegrino di pace, nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti. Testimonierò l’impegno della Chiesa Cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere ad una pace stabile e duratura nella giustizia e nel rispetto reciproco. Infine, questo viaggio non potrà non avere una notevole importanza ecumenica e inter-religiosa. Gerusalemme è, da questo punto di vista, la città-simbolo per eccellenza: là Cristo è morto per riunire tutti i figli di Dio dispersi (cfr Gv 11,52).
Rivolgendoci ora alla Vergine Maria, la invochiamo quale Madre del Buon Pastore, affinché vegli sui nuovi Presbiteri della Diocesi di Roma, e perché in tutto il mondo fioriscano numerose e sante vocazioni di speciale consacrazione al Regno di Dio.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In italiano ha detto:]
Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, in particolare il folto gruppo della Diocesi di Novara, guidato dal Vescovo Mons. Renato Corti. Saluto i fedeli provenienti da Pordenone e Vittorio Veneto, Montegrotto Terme, Rovigo, San Donà di Piave, San Benedetto del Tronto, Barzanò, Calderara di Reno e Modena, Monturano, Caltanissetta; e la Fraternità di Misericordia di Carmignano. Saluto gli animatori di gruppi giovanili di Basilea, i giovani dell’Azione Cattolica di Milano, quelli di Besana Brianza, Casatenovo, Trento e Altavilla Vicentina, gli Scout di Verona, i ragazzi di Milano-Precotto, Cuneo, Brignano Gera d’Adda, Cinisello Balsamo e del Decanato di Trezzo; gli adolescenti di Nembro, i cresimandi di Lumezzane e quelli di Tione. Ricordo inoltre due iniziative: il Convegno Missionario Giovanile, delle Pontificie Opere Missionarie, e la Giornata per i bambini vittime della violenza, dell’associazione "Meter".
A tutti auguro una buona domenica e un mese di Maggio in spirituale compagnia di Maria Santissima.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Da Rimini, l'invito a rinnovare lo slancio evangelizzatore - Si conclude il raduno nazionale del Rinnovamento nello Spirito
ROMA, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- Si sono chiusi questa domenica i lavori a Rimini della 32. ma Convocazione nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), caratterizzata da intensi momenti di preghiera, interventi e testimonianze.
Davanti ai quasi 20 mila partecipanti alle giornate riminesi sul tema “Andate e proclamate al popolo tutte queste parole di vita” il Presidente del Rns, Salvatore Martinez, nella sua relazione finale, ha rinnovato l'invito a intensificare gli sforzi per l'evangelizzazione.
“Siamo pronti a rendere il nostro servizio a Dio - ha detto Martinez - siamo un popolo che ha trovato nuovo vigore nell’annuncio del Vangelo, in un mondo che necessita di un vero rinnovamento spirituale. Chiediamo allo Spirito che questo ‘andate e proclamate’ si faccia cultura, si faccia storia”.
“Abbiamo il dovere di rinnovarci sempre – ha proseguito – . La Chiesa è in movimento, il Rinnovamento è un movimento e tutti noi siamo il movimento dello Spirito della storia. Dobbiamo essere a ‘favore di vento’, perché chi va contro il soffio vitale dello Spirito è insensato”.
“Andate e proclamate – ha detto –. Annunciare tutta la verità, predicando Cristo, non solo una parte di Cristo, e a tutti, con un linguaggio pieno di speranza, affinché la nostra vita sia la grammatica della Parola di Dio”.
A conclusione, Martinez ha quindi indicato i tre atteggiamenti con cui il mandato all’evangelizzazione deve essere vissuto: anzitutto, “aumentare la preghiera, perché è pregando che si riceve lo Spirito”; poi “essere umili, non cercare vanagloria” e infine “amare di più e lasciare che l’Amore di Dio circoli in noi”.
Paolo Brosio, storia di una conversione - Intervista al noto giornalista e uomo di spettacolo - di Alessandra Nucci
ROMA, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- Dalla convocazione nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), che si è svolta a Rimini dal 30 aprile al 3 maggio, sono passate spesso anche molte celebrità, volti noti nei campi più disparati, per condividere la particolare esperienza di fede che viene vissuta da una così grande assemblea, unita nella preghiera comunitaria carismatica.
Quest’anno sul palco di Rimini ha portato la sua testimonianza di fede il noto giornalista e personaggio televisivo Paolo Brosio, per chiedere semplicemente alle migliaia di convocati il gesto di pregare insieme un’Ave Maria.
ZENIT lo ha intervistato.
Sul palco non ha raccontato la sua conversione, non tutti la conoscono….
Brosio: Io ringrazio Dio di avermi dato tre croci. Prima la morte di mio padre, dopo 60 giorni di agonia. Poi la devastazione del mio locale, bruciato per cattiveria tre anni fa. A quel punto ero già in ginocchio; ma poi è arrivata la prova più grande, quando la donna della mia vita mi ha lasciato.
Adesso dico: santo il dolore patito per mia moglie. Se non ci fossi passato non sarei mai cambiato. Ne ho combinate di tutti i colori per sfuggire a quel dolore e sono finito in un vicolo cieco: droga, alcool, donne. Una spirale senza ritorno. Pensavo al mio amico Marco Pantani, pensavo di finire come lui. Invece una notte ho trovato improvvisamente la fede, nel tempo di dire un’Ave Maria, 34 secondi. Ci ho attaccato il padre Nostro, e da lì sono partito.
Adesso ha un’aria sanissima e serena.
Brosio: C’è gente che si rovina il patrimonio, la vita. Se non hai la fede vai fuori di testa, il pendolino del dolore ti sconquassa. Ma mi ha salvato quella Signora: Maria. Lei poi ti presenta suo figlio, Gesù. Adesso se mi dicesse di buttarmi dalla finestra lo farei. Ho distribuito un milione di euro in 4 anni, e ho fondato “Le olimpiadi del cuore”. Adesso “spacco tutto” e non mi stanco più.
E’ per questo che ha voluto che recitassimo un’Ave Maria?
Brosio: Non sono molto esperto di cose della Chiesa. Ma questa preghiera la ricordavo da quando ero piccolo, ed è stata la chiave della mia trasformazione.
Pensa, da convertito, di evangelizzare il suo ambiente, il mondo dei media e delle celebrità?
Brosio: Non è che penso di poter fare tanto. Mi limito a raccontare quello che mi è successo. Se parlassi di “miracolo” si potrebbe pensare che mi sono montato la testa. Ma cambiare radicalmente modo di pensare, da un momento all’altro, e fare cose che non si sarebbe mai pensato di fare prima nella vita, è stupefacente.
Che reazioni ha suscitato con la sua testimonianza?
Brosio: Diciamo che mi ha aiutato a raggiungere degli scopi concreti, che hanno a che fare con l’aiuto al prossimo: mettere a disposizione le mie molte conoscenze della radio e della tv. Mi piacerebbe essere un miliardario per poter dire “do 80 milioni a chi ne ha bisogno, e me ne restano 20”. Ma anche chi non ha molto denaro può dare del suo. Lo facevo anche quando non ero credente, adesso che ho Gesù con me, corro.
Qualche esempio?
Brosio: Ho organizzato dei “voli spirituali”, pellegrinaggi in aereo, cui partecipa chi ha tanto denaro e può pagare 1000 quello che costa 500. Con tre o quattro di questi voli ogni anno, agli orfani di suor Cornelia gli faccio tutto. Conoscere chi soffre per noi è una grazia infinita.
Pillola del giorno dopo: dignità del medico, tutela del paziente - di Renzo Puccetti*
ROMA, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- Un anno fa scrivevo per ZENIT un intervento dal titolo eloquente “Pillola del giorno dopo: nessuna efficacia nel ridurre gli aborti” (1) e ancora, proprio un anno fa descrivevo la strategia di aggressività perseguita per intimidire i medici e ridurne la funzione a quella di un Juke-box (2).
Dopo un anno ci troviamo nuovamente a dovere discutere l’ennesimo sfacciato attacco alla dignità della professione medica. Alcuni giorni fa, attraverso un comunicato ufficiale, il dr. Roberto Malucelli, che, leggo dal curriculum on line, non essere medico, ma un laureato in scienze politiche ad indirizzo economico (3), in qualità di direttore dell’azienda sanitaria unica regionale delle Marche, ha invitato ai direttori delle zone territoriali e ai dirigenti medici di presidio della regione una nota nella quale si sostiene l’obbligatorietà della prescrizione della pillola del giorno dopo quando richiesta dalla donna (prot. 8317, 8 aprile 2009).
Si sostiene l’impossibilità per il medico di appellarsi sia all’articolo 9 della legge 194, quello sull’obiezione di coscienza, che alla clausola di coscienza prevista dal codice deontologico. Le argomentazioni a sostegno di tale posizione sono trite e ritrite e francamente, si farebbe volentieri a meno di tornarvi sopra. Secondo il dirigente amministrativo l’obiezione di coscienza non sarebbe invocabile ai sensi della legge 194 perché “la prescrizione e la regolamentazione del farmaco è sottratta alla regolamentazione dettata dalla legge richiamata che assume a riferimento una condizione fisiologica della donna di stabile aspettativa di maternità”. L’analisi del panorama legislativo presentata dal funzionario è stranamente orba e dimentica l’articolo 16 della legge 40 che, riprendendo parola per parola l’articolo 9 della legge 194 che regolamenta l’esercizio del diritto di obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto, lo estende alle procedure di fecondazione artificiale. L’elemento a comune della legge sull’aborto e sulla fecondazione assistita è uno solo: il concepito; nel primo caso sopprimibile, nel secondo caso manipolabile.
È evidente che la ratio di questi articoli non può che essere la difesa del diritto riconosciuto ad ogni persona esercente un’attività sanitaria a non mettere in atto procedure ritenute lesive della dignità e della integrità del concepito. Dunque sarebbe oltremodo paradossale riconoscere al medico il diritto a porre obiezione di coscienza perché egli non intende nuocere al concepito quando questi si trova nell’utero della madre, o nella provetta e non riconoscere lo stesso diritto quando il concepito può essere presente nella tuba della donna.
Si comprende bene quindi che la questione non è nell’accertamento dello stato di gravidanza, ma nella presenza, certa o eventuale, di un essere umano vivente allo stato embrionale. Non casualmente, ma per la sussistenza di una evidente questione morale, di tale problema si è occupato il comitato nazionale per la bioetica (CNB), giungendo ad un parere unanimemente favorevole alla possibilità di sollevare obiezione di coscienza (4). A proposito del CNB se ne sminuisce la portata ricordando giustamente la mera funzione consultiva dell’organismo; nessuno invoca la decisione del comitato come fonte normativa, ma se un tale organo, istituzionalmente creato per esaminare i problemi bioetici, si è occupato della questione, non si può pretendere di sbrigare tutto ricorrendo a sofismi semantici e violentando le definizioni mediche per un fine ideologico.
Secondo il documento della regione Marche il medico non potrebbe neppure invocare la clausola di coscienza prevista dall’articolo 22 del codice deontologico. Si sostiene che nella semplice richiesta del farmaco in questione si configurerebbe la presenza di quei requisiti di urgenza e pericolo per la salute della donna che secondo lo stesso articolo del codice imporrebbe al medico il superamento del proprio convincimento etico. Che un funzionario, ripetiamo non medico, abbia prodotto un documento ufficiale per sostenere tale tesi, trasmettendolo come criterio per il comportamento dei responsabili delle strutture di cura, ritengo sia oltremodo grave. L’unico organismo deputato alla valutazione del comportamento deontologico di ogni medico iscritto al rispettivo ordine provinciale è il proprio ordine di appartenenza.
L’articolo 68 del codice deontologico prevede che qualora un medico, dipendente o convenzionato, ravvisi un “contrasto tra le norme deontologiche e quelle proprie dell'ente, pubblico o privato, per cui presta la propria attività professionale, deve chiedere l'intervento dell'Ordine, onde siano salvaguardati i diritti propri e dei cittadini”. Il medico non ha come possibilità, ma come dovere quello di invocare l’intervento del proprio ordine professionale. Lo stesso obbligo è posto a carico di qualsiasi medico, così come previsto nell’articolo 4 del codice.
Alcune dichiarazioni riportate sugli organi di stampa del presidente dell’ordine dei medici di Ancona sembrano solo un primo passo in quella che è sicuramente una necessaria azione a difesa del diritto dei pazienti ad essere assistiti da medici indipendenti nel proprio giudizio ed operato, non costretti a comportamenti clinici di cui non siano intimamente convinti per timore di sanzioni disciplinari. Sarebbe interessante verificare se comportamenti come quello dell’amministratore non possano delineare ipotesi di illecito.
Fin qui la forma della questione, ma la sostanza non mostra aspetti meno inquietanti. L’articolo 3 del codice deontologico indica al medico quale primo dovere la “tutela della vita” dell’uomo. Non vi sono ambiguità, non si parla di persona, ma di “uomo”. Sebbene nello stesso articolo si faccia riferimento al dovere di difesa della salute intesa nelle sue accezioni più ampie, è evidente che un farmaco che per ammissione stessa dell’azienda produttrice ha quale possibile meccanismo d’azione l’impedimento dell’annidamento dell’embrione, pone un conflitto tra tutela della vita umana e della salute della donna, quand’anche si voglia giungere ad accettare che la diagnosi di un tale pericolo sia in questa singolarissima ed irripetibile circostanza affidato all’insindacabile giudizio della sola donna.
Anche ammettendo che la sola richiesta del farmaco rappresenti condizione sufficiente per configurare un pericolo per la salute della richiedente, non si comprende come il codice deontologico potrebbe prevedere all’articolo 43 la clausola di coscienza per i casi di aborto (dove la presenza di un serio o grave pericolo per la salute della donna è unico criterio per l’accesso all’aborto), ma non per la prescrizione di un farmaco antinidatorio. L’articolo 13 del codice medico afferma chiaramente che “la prescrizione di un accertamento diagnostico e/o di una terapia impegna la diretta responsabilità professionale ed etica del medico” e più avanti: “In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo”.
In calce alla ricetta non vi è la firma della paziente, del compagno, del responsabile del distretto, del direttore dell’azienda, ma il medico appone la sua propria firma e con questo atto suggella la propria adesione scientifica ed etica alla prescrizione. Il medico non può né deve apporre al propria firma se manca anche uno solo dei due elementi. Secondo l’articolo 22 del codice il medico può rifiutare la propria opera per ragioni di coscienza o di convincimento clinico “a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita”. Il codice non parla quindi di pericolo, ma di nocumento che deve avere quale caratteristica la gravità e l’immediatezza, tutte caratteristiche che sono trasferibili alla richiesta di pillola del giorno dopo solamente ricorrendo ad una fantasia davvero invidiabile, ma ci sembra poco condivisa. Non il pericolo, ma neppure la stessa presenza di una gravidanza indesiderata è menzionata tra i codici internazionali di malattia (vd. ICD 10).
Come si potrebbe inoltre definire di “grave ed immediato pericolo” una condizione che nei pronto soccorso di tutta la nazione è inclusa nei codici bianchi, cioè nelle prestazioni a più bassa priorità d’intervento? Sono forse i medici italiani tutti impazziti da non sapere riconoscere un’emergenza? In materia di contraccezione il medico, secondo quanto previsto dall’articolo 42 del codice deontologico, è tenuto a fornire ogni “corretta informazione”, non la prescrizione. Non sorprende quindi, anche sulla base di queste considerazioni, che il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici (FNOMCeO) abbia riconosciuto in un documento diramato a tutti gli ordini provinciali la possibilità da parte dei medici, a fronte di una richiesta della pillola del giorno dopo, di sollevare clausola di coscienza seguendo le modalità previste nelle leggi 194 e 40.
Riteniamo che per il rispetto dovuto alle istituzioni i medici abbiano il dovere di segnalare ai responsabili organizzativi dei servizi il proprio intento a non aderire a simili richieste (6). È con un tale spirito che l’Associazione Scienza & Vita di Pisa e Livorno ha elaborato un modello di dichiarazione di obiezione di coscienza scaricabile dal sito stesso dell’associazione (7) ed inoltrabile ai direttori generali delle aziende sanitarie territoriali, o ai direttori sanitari del presidio ospedaliero in cui il medico esercita la professione e al presidente dell’ordine dei medici di appartenenza, per conoscenza.. I casi di Pisa, Roma, Ancona e gli altri che sono stati segnalati, gli inviti alla denuncia dei sanitari che si siano avvalsi della clausola di coscienza provenienti da alcune organizzazioni, ritengo rendano maturi i tempi per un intervento chiarificatore e di assunzione di responsabilità da parte dell’esecutivo.
Gli amici relativisti da cui così spesso riceviamo dotte lezioni di pluralismo etico non possono negare l’altrui diritto a conformarsi a schemi etici difformi se non negando il loro stesso paradigma. Credo che un intervento rispettoso della dignità personale potrebbe ispirarsi alla legge della non certo confessionale Nuova Zelanda che, all’articolo 46, recita: “Indipendentemente da qualsiasi cosa in ogni altro decreto, o norma di legge, o condizioni di qualsiasi codice o contratto (di impiego o altro), nessun medico, infermiere, o altra persona sarà sottoposto ad alcun obbligo:
(a) Di effettuare o assistere nella pratica di un aborto o qualsiasi intervento fatto o da farsi allo scopo di rendere il paziente sterile.
(b) inserire, o assistere nell’inserimento, o fornire, o somministrare, o assistere nella somministrazione di qualsiasi contraccettivo, o nell’offrire, o dare alcuna informazione relativa alla contraccezione.
(c) se egli obietta per motivi di coscienza”.
La stessa legge stabilisce il diritto al risarcimento dei danni patiti per la persona che subisca la violazione dell’esercizio all’obiezione di coscienza. Che diritto sarebbe infatti quel diritto che non fosse protetto dalla legge?
Uno stato che voglia farsi garante della salute non può fare a meno di potere contare su medici indipendenti. La questione della libertà di coscienza di fronte alla richiesta della pillola del giorno dopo non è quindi un affare di difesa di privilegi corporativi, ma è qualcosa che dovrebbe stare a cuore a tutti. È un punto sensibile attorno al quale si misura la capacità dei medici di tutelare quella dignità che hanno ricevuto da chi li ha preceduti.
Quando nel corso della storia i medici hanno abdicato alla verità e alla loro indipendenza facendosi strumento di un potere estraneo alla loro missione di tutela della vita umana, allora essi si sono trasformati in qualcos’altro, ponendo le premesse per il sopruso, il delitto e la loro stessa ignominia.
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*Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno
Riferimenti:
1. R. Puccetti. http://www.zenit.org/article-14404?l=italian
2. A. Gaspari. http://www.zenit.org/article-14035?l=italian
3. Marche in Salute. http://www.asur.marche.it/viewdoc.asp?CO_ID=7039
4. CNB. http://www.governo.it/bioetica/testi/contraccezione_emergenza.pdf
5. A. Bianco. http://www.omceo.ta.it/admin/gestione_bollettini/bollettini/Newsletter%20n%C2%B01.pdf
6. Di Pietro ML, Dallapiccola B, Buccelli C, Fiori A, Romano L, Vergani P, Puccetti R, Bellieni C. http://www.cgems.it/getImage.aspx?tmpID=1775&tipo=fileAllegato
7. Scienza & Vita Pisa e Livorno. (http://www.scienzaevita.info/public/site/downloads.asp?id=99).
Per approfondire:
Renzo Puccetti, “L’uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU 486” Società Editrice Fiorentina, 2008.http://www.sefeditrice.it/asp/libro.asp?Lib=zio12
Ricette per morire - L’eutanasia guadagna terreno - di Padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- I fautori dell’eutanasia continuano a fare campagna in favore della sua legalizzazione in molti Paesi, ottenendo anche qualche successo.
In Gran Bretagna, il dr. Philip Nitschke, da lungo tempo attivo sostenitore dell’eutanasia, ha iniziato a promuovere un kit fai-da-te per il suicidio. Questa sua ultima iniziativa ha suscitato diffuse critiche nel Regno Unito, secondo un articolo pubblicato sul quotidiano Australian del 20 aprile.
In seguito alle polemiche, la Oxford Union ha ritirato il suo invito al dr. Nitschke per un dibattito previsto per il 14 maggio.
In Australia, Paese natale di Nitschke, è illegale commercializzare un prodotto simile, contenente un potente farmaco, il Nembutal. Per questo motivo ha scelto la Gran Bretagna per promuoverne il lancio. In Australia è stato anche censurato il suo libro pubblicato nel 2005 dal titolo “The Peaceful Pill Handbook”.
Non è la prima volta che Nitschke suscita proteste nel Regno Unito, come ha spiegato il quotidiano Observer del 29 marzo. Lo scorso anno, la sua organizzazione “Exit International” ha gestito una serie di laboratori in cui si spiegava alle persone come suicidarsi. Uno di questi era stato chiuso dopo le obiezioni sollevate dal Comune di Bournemouth.
Anche la clinica svizzera Dignitas, che offre servizi di suicidio assistito, è tornata sulle prime pagine. Questa struttura, che ha attirato grande attenzione, accoglie clienti provenienti da tutto il mondo, intenzionati a porre fine alla propria esistenza.
Secondo un servizio apparso sul quotidiano londinese Times del 3 aprile, il fondatore di Dignitas, Ludwig Minelli, ha in programma di aiutare una donna sana a morire insieme al marito malato terminale. La coppia canadese ha infatti intenzione di tenere fede al loro patto suicida di morire insieme.
Secondo l’articolo, Minelli descrive il suicidio come una “meravigliosa opportunità” da non limitare solo ai malati o ai disabili. Il Times ha anche riportato i dati raccolti dalla Clinica universitaria di Zurigo, secondo cui più di un quinto delle persone che sono morte alla Dignitas non erano malati terminali.
Diritto alla privacy
La situazione non è migliore negli Stati Uniti. Alla fine dello scorso anno, un giudice dello Stato del Montana ha stabilito che una legge locale che vieta il suicidio assistito contrasta con la Costituzione di quello Stato.
Secondo un articolo pubblicato nell’edizione del Weekly Standard del 29 dicembre, il giudice Dorothy McCarter ha sostenuto che il divieto viola il diritto costituzionale alla privacy. Inoltre lo stesso giudice ha richiamato la norma costituzionale a sostegno della dignità umana per affermare che i malati terminali hanno il diritto a morire con dignità. La sua decisione è tuttavia oggetto di ricorso in appello.
Le forze in favore dell’eutanasia hanno invece vinto una battaglia nello Stato di Washington, il novembre scorso, con l’approvazione di un referendum in favore della legalizzazione del suicidio assistito. Con questo voto, il Washington è diventato il secondo Stato, dopo l’Oregon, ad avere legalizzato il suicidio.
Secondo un articolo pubblicato il 5 novembre sul Seattle Times, la proposta è stata elaborata sulla falsariga della legge dell’Oregon. Essa prevede che i malati terminali, residenti nello Stato di Washington, che siano capaci di intendere e volere, e a cui sono stati diagnosticati meno di sei mesi di vita, possano richiedere e autosomministrarsi farmaci con effetti letali, dietro prescrizione del medico.
I promotori dell’eutanasia sono riusciti a raccogliere ben 4,9 milioni di dollari (3,8 milioni di euro), mentre i contrari solo 1,9 milioni di dollari (1,5 milioni di euro), secondo il Seattle Times.
Problemi nell’Oregon
Seguendo il cammino dell’Oregon, anche nello Stato di Washington potrebbero emergere sorprese sgradevoli per i residenti. Lo scorso anno vi sono state notizie di alcuni malati terminali nell’Oregon a cui le autorità hanno negato le cure per le loro malattie e a cui è invece stato offerto il suicidio assistito.
Un servizio di Fox News, del 28 luglio, ha riferito di un malato di tumore alla prostata, Randy Stoup, a cui è stata negata la copertura sanitaria per le cure chemioterapiche, da parte dello Stato locale. La Lane Individual Practice Association, che gestisce il servizio sanitario, dopo avergli negato le cure, gli ha offerto la copertura per i costi del suicidio assistito.
Secondo il servizio, anche altri malati terminali dell’Oregon hanno ricevuto simili risposte.
Successivamente, un articolo pubblicato l’8 ottobre dall’agenzia di stampa HealthDay ha fornito dettagli su uno studio svolto su 46 persone che avevano richiesto assistenza al suicidio nell’Oregon nel 2007.
I ricercatori della Oregon Health and Sciences University hanno scoperto che nessuna delle 46 persone era stata valutata dal punto di vista psicologico o psichiatrico, al fine di riscontrare eventuali problemi di depressione o simili che possano averle indotte a voler porre fine alla propria vita.
Sono stati controllati anche i dati di altri 58 pazienti che avevano chiesto assistenza al suicidio nel 2008. Risulta che 15 di questi rientrano nei criteri di definizione della depressione, mentre altri 13 in quelli dell’ansia. Alla fine dello studio, tre di coloro che hanno effettivamente ricevuto assistenza al suicidio, rientravano nei criteri della depressione.
I ricercatori hanno concluso che il modo in cui le prestazioni di assistenza al suicidio vengono fornite nell’Oregon “potrebbe non tutelare adeguatamente tutti i pazienti con patologie mentali”.
Istruzioni per l’uso
Notizie più preoccupanti riguardano la recente scoperta che Nitschke non è il solo a distribuire manuali per chi vuole suicidarsi. Negli stati Uniti, il Final Exit Network dispone di un documento contenente istruzioni dettagliate per coloro che assistono le persone che intendono suicidarsi, secondo quanto riferito da Associated Press il 22 aprile.
Il manuale è stato sequestrato dalla polizia di Phoenix che sta indagando su Final Exit Network in relazione alla morte di una donna.
Anche la polizia della Georgia, dove ha sede l’organizzazione, sta indagando sui collegamenti con alcuni decessi.
A febbraio, la polizia ha svolto indagini e perquisizioni in nove Stati, con imputazioni contro quattro membri dell’organizzazione, tra cui il presidente Thomas E. Goodwin.
Associated Press ha riferito il 3 marzo che, secondo le autorità della Georgia, il Network potrebbe aver aiutato circa 200 persone a morire. Iscriversi all’organizzazione costa 50 dollari e a ciascun membro è assegnata una guida che li aiuti a suicidarsi.
Non senso
Alle pressioni dirette alla legalizzazione del suicidio assistito si sono contrapposte altrettante critiche. L’espressione “diritto alla morte” è stata definita come una “elegante assurdità” da Dominic Lawson in un articolo d’opinione apparso il 14 dicembre sul Sunday Times.
Non stiamo parlando di un diritto alla morte – ha chiarito – ma di un diritto ad essere uccisi quando si vuole. Questo implica che altri debbano uccidere e che, per questo motivo, la maggioranza dei medici non ne vuole avere a che fare, secondo Lawson.
Questo rifiuto ha avuto recentemente conferma dai dati emersi da un sondaggio svolto da Clive Seale del Centre for Health Sciences, della Queen Mary University di Londra. Secondo Seale, solo un terzo dei medici è favorevole al suicidio assistito, ha riferito il quotidiano Guardian del 24 marzo.
Quasi 4.000 medici hanno risposto ad un questionario distribuito da Seale e le risposte sono risultate simili a quelle ottenute da un sondaggio svolto nel 2004 sullo stesso argomento.
Wesley Smith, direttore associato della Task Force internazionale sull’eutanasia e il suicidio assistito, ha avvertito – in un suo articolo pubblicato sul quotidiano Telegraph del 21 febbraio – che il diritto a morire può trasformarsi in un dovere a morire. Wesley, dagli Stati Uniti, era venuto in Inghilterra per partecipare ad un incontro anti-eutanasia organizzato presso la Camera dei deputati.
“Tutta la società mediante le sue istituzioni sanitarie e civili è chiamata a rispettare la vita e la dignità del malato grave e del morente”, ha affermato Benedetto XVI in un discorso rivolto ai partecipanti al congresso svoltosi il 25 febbraio 2008 in Vaticano sul tema delle cure al morente.
Il Papa ha invocato una maggiore attenzione alle necessità delle persone in stato terminale e alle loro famiglie. Il rispetto della vita deve prendere la forma di una solidarietà concreta, ha aggiunto. Un compito certamente più esigente della semplice eliminazione fisica dei malati, che tuttavia si pone nel pieno rispetto della dignità umana.
Radio Vaticana 29/04/2009 15.40.22 – I vescovi del Cile: il Paese non può rinunciare ai valori fondamentali
A conclusione della loro 97.ma Assemblea plenaria, che si è svolta la settimana scorsa, i vescovi cileni hanno pubblicato il documento finale in cui rilevano che il Paese non può rinunciare a valori fondamentali come la centralità della famiglia fondata sul matrimonio, la dignità di ogni vita umana, la solidarietà con i più poveri, il diritto- dovere dei genitori a educare i propri figli e, infine, la libertà religiosa”. “Cristo è venuto al mondo come Signore della vita per annunciare e inaugurare il Regno della vita e dunque- si legge nel documento - i vescovi desiderano “accompagnare i figli e le figlie del Cile nelle loro speranza e gioie, ma anche nelle loro afflizioni e dolori”. Ribadendo il magistero della Chiesa sulla sacralità ed intangibilità della vita, i presuli lamentano che nella campagna elettorale sia stato introdotto quello che è stato “falsamente chiamato aborto terapeutico” e dunque invitano i cristiani a sapere discernere e a non dimenticare il loro dovere di difendere la vita in quanto dono inestimabile di Dio. Per quanto riguarda la crisi sociale, economica e finanziaria, si ricorda la necessità di affrontarla con “una visione cristiana” e perciò tenendo presente l’importanza della “solidarietà non solo con i poveri, ma anche con i ceti medi” ugualmente colpiti della situazione. D’altra parte, lanciano un appello allo Stato la cui “responsabilità sociale” può fare molto, così come “gli imprenditori e i lavoratori”: tutti possono impegnarsi per evitare “la perdita dei posti di lavoro”. Con riferimento alle elezioni presidenziali e politiche in programma per i prossimi mesi, l’Episcopato sottolinea l’importanza di un incontro nuovo con l’anima del Cile, cioè con i suoi valori più profondi. Perciò i vescovi invitano i cristiani impegnati in politica ad essere capaci di coltivare il dialogo e nello stesso tempo di offrire una testimonianza di fede. I vescovi ricordano inoltre che durante i lavori della loro Plenaria hanno riflettuto a lungo sulla questione ambientale e “sul contributo che possono dare i cristiani” e annunciano un prossimo documento specifico e più elaborato sulla materia che si ritiene dovrebbe essere una fondamentale priorità della nazione. Infine, i vescovi cileni fanno sapere di aver scambiato idee e proposte sulla situazione delle popolazioni indigene soffermandosi soprattutto sul problema “dell’identità e cultura” di questi popoli e sulle difficoltà che trovano “nell’ambito di problemi come la terra e i loro diritti”. Per i presuli occorre proteggere questi popoli “nella cornice di un dialogo sincero e rifiutando la violenza”. (A cura di Luis Badilla)
L’Europa in cui credere - Mario Mauro - lunedì 4 maggio 2009 – ilsussidiario.net
È stata una settimana importante dove a Varsavia si sono conclusi i lavori del Congresso del Partito Popolare europeo. Una tavola rotonda in cui si sono voluti confermare i valori a cui si richiama il maggiore partito europeo e tutte le formazioni politiche che vi aderiscono.
Fra questi vi è il PdL. Anche in occasione del primo congresso, svolto a Roma nel marzo scorso e dove è stato manifestato chiaramente lo spirito di coesione del centrodestra italiano, i maggiori esponenti del PPE Joseph Daul e Wilfred Marteens hanno sottolineato i punti di contatto tra le due forze politiche. Il PdL, data la sua tradizione, non poteva non ispirarsi agli stessi valori della più grande casa popolare d’Europa.
Ci sono degli obiettivi reali che il PPE sente di dover perseguire per la prossima legislatura 2009-2014 e che a Varsavia sono stati pubblicamente dichiarati. Tra questi non può mancare la salvaguardia dei valori familiari - soprattutto per rispondere alla sfida dell’evoluzione demografica e al calo della natalità - e la difesa della libertà d’istruzione, che costituiscono i pilastri fondamentali della nostra azione politica che mira a rafforzare le famiglie, la solidarietà tra le generazioni e la trasmissioni dei valori e della cultura.
Sul piano dell’economia mondiale, anche se l’Europa è scossa dalla crisi, il PPE non rinuncia a fornire soluzioni concrete e mirate. Stilare un bilancio consolidato delle finanze pubbliche, completare un mercato unico nel settore dell’energia e dei trasporti, portare avanti la lotta contro la burocrazia sono le risposte che vogliamo dare.
Intensificare la lotta contro il terrorismo, sviluppare una politica comune per l’immigrazione sono le strategie per rendere i nostri paesi più sicuri, favorendo così un vero progetto comune fatto di inclusione e di dialogo. Nella politica di coesione e di sviluppo del modello sociale europeo, vogliamo anche estendere la politica della sussidiarietà, che essendo espressione di una concezione globale dell'uomo e della società, rappresenterebbe l’unica vera svolta alle attuali difficoltà economiche.
Anche il Popolo della Libertà ha messo nero su bianco all’interno della Carta dei Valori, manifesto programmatico che rappresenta la nostra base fondativa. All’interno di molti passaggi di questo documento vengono enunciate le idee in cui si riconosce la maggioranza degli italiani: la difesa della libertà religiosa, la dignità della persona, la libertà, la responsabilità, la giustizia, l’irriducibilità della vita, la solidarietà e la sussidiarietà. Questi sono gli ideali comuni alle grandi democrazie occidentali, fondate sul pluralismo democratico, sullo Stato di diritto, sulla tolleranza, sulla proprietà privata, sull’economia sociale di mercato.
I lavori del Congresso di Varsavia, quindi, hanno dato definitivamente il via alla campagna elettorale per le elezioni europee del prossimo 6-7 giugno. È stata allo stesso tempo l’occasione per ribadire ancora una volta che la nostra azione politica potrà fare molto per esportare il modello di pace e sviluppo che in questi anni abbiamo sempre perseguito.
La presenza al Congresso del premier Silvio Berlusconi e la presentazione delle liste del PdL sono state la dimostrazione della volontà italiana a contare davvero in Europa. E non potrebbe essere diversamente. L’Italia è tra i paesi fondatori e storicamente ha sempre confidato in quell’idea di Europa che tre grandi uomini politici del passato - Adenauer, De Gasperi e Schumann - hanno con coraggio portato avanti, perché legati da una profonda amicizia cristiana.
Ci attendono due giornate decisive per esprimere la nostra idea di Europa: l’Europa che ci sta a cuore. Un’Europa aperta al dialogo ma attenta alle tradizioni, che al potere delle banche preferisce la creatività della persona. Un’Europa in cui l’Italia crede e in cui ora può contare davvero.
1) Benedetto XVI: pregate perché tanti scelgano di seguire Cristo - Discorso al Regina Coeli nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni
2) Da Rimini, l'invito a rinnovare lo slancio evangelizzatore - Si conclude il raduno nazionale del Rinnovamento nello Spirito
3) Paolo Brosio, storia di una conversione - Intervista al noto giornalista e uomo di spettacolo - di Alessandra Nucci
4) Pillola del giorno dopo: dignità del medico, tutela del paziente - di Renzo Puccetti*
5) Ricette per morire - L’eutanasia guadagna terreno - di Padre John Flynn, LC
6) Radio Vaticana 29/04/2009 15.40.22 – I vescovi del Cile: il Paese non può rinunciare ai valori fondamentali
7) L’Europa in cui credere - Mario Mauro - lunedì 4 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Benedetto XVI: pregate perché tanti scelgano di seguire Cristo - Discorso al Regina Coeli nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole che Benedetto XVI ha rivolto questa domenica ai fedeli e ai pellegrini in occasione della recita della preghiera mariana del Regina Coeli.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Si è da poco conclusa, nella Basilica di San Pietro, la Celebrazione eucaristica durante la quale ho consacrato diciannove nuovi Sacerdoti della Diocesi di Roma. Ancora una volta ho scelto questa domenica, la IV di Pasqua, per tale felice evento, perché essa è caratterizzata dal Vangelo del Buon Pastore (cfr Gv 10,1-18) e perciò offre un contesto particolarmente adatto. Per lo stesso motivo si celebra oggi la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Nel mio annuale messaggio per questa circostanza, ho invitato a riflettere sul tema: La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana. Infatti, la fiducia nel Signore, che continuamente chiama tutti alla santità e alcuni in particolare a una speciale consacrazione, si esprime proprio nella preghiera. Sia personalmente che in comunità, dobbiamo pregare molto per le vocazioni, perché la grandezza e la bellezza dell’amore di Dio attiri tanti a seguire Cristo sulla via del sacerdozio e in quella della vita consacrata. Occorre anche pregare perché ci siano altrettanti sposi santi, capaci di indicare ai figli, soprattutto con l’esempio, gli orizzonti alti a cui tendere con la loro libertà. I santi e le sante, che la Chiesa propone alla venerazione di tutti i fedeli, stanno a testimoniare il frutto maturo di questo intreccio tra la chiamata divina e la risposta umana. Affidiamo alla loro celeste intercessione la nostra preghiera per le vocazioni.
C’è un’altra intenzione per la quale oggi vi invito a pregare: il viaggio in Terra Santa che compirò, a Dio piacendo, dal prossimo venerdì 8 maggio al venerdì 15. Sulle orme dei miei venerati predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, mi farò pellegrino ai principali luoghi santi della nostra fede. Con la mia visita mi propongo di confermare e di incoraggiare i cristiani di Terra Santa, che devono affrontare quotidianamente non poche difficoltà. Quale Successore dell’apostolo Pietro, farò loro sentire la vicinanza e il sostegno di tutto il corpo della Chiesa. Inoltre, mi farò pellegrino di pace, nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti. Testimonierò l’impegno della Chiesa Cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere ad una pace stabile e duratura nella giustizia e nel rispetto reciproco. Infine, questo viaggio non potrà non avere una notevole importanza ecumenica e inter-religiosa. Gerusalemme è, da questo punto di vista, la città-simbolo per eccellenza: là Cristo è morto per riunire tutti i figli di Dio dispersi (cfr Gv 11,52).
Rivolgendoci ora alla Vergine Maria, la invochiamo quale Madre del Buon Pastore, affinché vegli sui nuovi Presbiteri della Diocesi di Roma, e perché in tutto il mondo fioriscano numerose e sante vocazioni di speciale consacrazione al Regno di Dio.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In italiano ha detto:]
Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, in particolare il folto gruppo della Diocesi di Novara, guidato dal Vescovo Mons. Renato Corti. Saluto i fedeli provenienti da Pordenone e Vittorio Veneto, Montegrotto Terme, Rovigo, San Donà di Piave, San Benedetto del Tronto, Barzanò, Calderara di Reno e Modena, Monturano, Caltanissetta; e la Fraternità di Misericordia di Carmignano. Saluto gli animatori di gruppi giovanili di Basilea, i giovani dell’Azione Cattolica di Milano, quelli di Besana Brianza, Casatenovo, Trento e Altavilla Vicentina, gli Scout di Verona, i ragazzi di Milano-Precotto, Cuneo, Brignano Gera d’Adda, Cinisello Balsamo e del Decanato di Trezzo; gli adolescenti di Nembro, i cresimandi di Lumezzane e quelli di Tione. Ricordo inoltre due iniziative: il Convegno Missionario Giovanile, delle Pontificie Opere Missionarie, e la Giornata per i bambini vittime della violenza, dell’associazione "Meter".
A tutti auguro una buona domenica e un mese di Maggio in spirituale compagnia di Maria Santissima.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Da Rimini, l'invito a rinnovare lo slancio evangelizzatore - Si conclude il raduno nazionale del Rinnovamento nello Spirito
ROMA, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- Si sono chiusi questa domenica i lavori a Rimini della 32. ma Convocazione nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), caratterizzata da intensi momenti di preghiera, interventi e testimonianze.
Davanti ai quasi 20 mila partecipanti alle giornate riminesi sul tema “Andate e proclamate al popolo tutte queste parole di vita” il Presidente del Rns, Salvatore Martinez, nella sua relazione finale, ha rinnovato l'invito a intensificare gli sforzi per l'evangelizzazione.
“Siamo pronti a rendere il nostro servizio a Dio - ha detto Martinez - siamo un popolo che ha trovato nuovo vigore nell’annuncio del Vangelo, in un mondo che necessita di un vero rinnovamento spirituale. Chiediamo allo Spirito che questo ‘andate e proclamate’ si faccia cultura, si faccia storia”.
“Abbiamo il dovere di rinnovarci sempre – ha proseguito – . La Chiesa è in movimento, il Rinnovamento è un movimento e tutti noi siamo il movimento dello Spirito della storia. Dobbiamo essere a ‘favore di vento’, perché chi va contro il soffio vitale dello Spirito è insensato”.
“Andate e proclamate – ha detto –. Annunciare tutta la verità, predicando Cristo, non solo una parte di Cristo, e a tutti, con un linguaggio pieno di speranza, affinché la nostra vita sia la grammatica della Parola di Dio”.
A conclusione, Martinez ha quindi indicato i tre atteggiamenti con cui il mandato all’evangelizzazione deve essere vissuto: anzitutto, “aumentare la preghiera, perché è pregando che si riceve lo Spirito”; poi “essere umili, non cercare vanagloria” e infine “amare di più e lasciare che l’Amore di Dio circoli in noi”.
Paolo Brosio, storia di una conversione - Intervista al noto giornalista e uomo di spettacolo - di Alessandra Nucci
ROMA, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- Dalla convocazione nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), che si è svolta a Rimini dal 30 aprile al 3 maggio, sono passate spesso anche molte celebrità, volti noti nei campi più disparati, per condividere la particolare esperienza di fede che viene vissuta da una così grande assemblea, unita nella preghiera comunitaria carismatica.
Quest’anno sul palco di Rimini ha portato la sua testimonianza di fede il noto giornalista e personaggio televisivo Paolo Brosio, per chiedere semplicemente alle migliaia di convocati il gesto di pregare insieme un’Ave Maria.
ZENIT lo ha intervistato.
Sul palco non ha raccontato la sua conversione, non tutti la conoscono….
Brosio: Io ringrazio Dio di avermi dato tre croci. Prima la morte di mio padre, dopo 60 giorni di agonia. Poi la devastazione del mio locale, bruciato per cattiveria tre anni fa. A quel punto ero già in ginocchio; ma poi è arrivata la prova più grande, quando la donna della mia vita mi ha lasciato.
Adesso dico: santo il dolore patito per mia moglie. Se non ci fossi passato non sarei mai cambiato. Ne ho combinate di tutti i colori per sfuggire a quel dolore e sono finito in un vicolo cieco: droga, alcool, donne. Una spirale senza ritorno. Pensavo al mio amico Marco Pantani, pensavo di finire come lui. Invece una notte ho trovato improvvisamente la fede, nel tempo di dire un’Ave Maria, 34 secondi. Ci ho attaccato il padre Nostro, e da lì sono partito.
Adesso ha un’aria sanissima e serena.
Brosio: C’è gente che si rovina il patrimonio, la vita. Se non hai la fede vai fuori di testa, il pendolino del dolore ti sconquassa. Ma mi ha salvato quella Signora: Maria. Lei poi ti presenta suo figlio, Gesù. Adesso se mi dicesse di buttarmi dalla finestra lo farei. Ho distribuito un milione di euro in 4 anni, e ho fondato “Le olimpiadi del cuore”. Adesso “spacco tutto” e non mi stanco più.
E’ per questo che ha voluto che recitassimo un’Ave Maria?
Brosio: Non sono molto esperto di cose della Chiesa. Ma questa preghiera la ricordavo da quando ero piccolo, ed è stata la chiave della mia trasformazione.
Pensa, da convertito, di evangelizzare il suo ambiente, il mondo dei media e delle celebrità?
Brosio: Non è che penso di poter fare tanto. Mi limito a raccontare quello che mi è successo. Se parlassi di “miracolo” si potrebbe pensare che mi sono montato la testa. Ma cambiare radicalmente modo di pensare, da un momento all’altro, e fare cose che non si sarebbe mai pensato di fare prima nella vita, è stupefacente.
Che reazioni ha suscitato con la sua testimonianza?
Brosio: Diciamo che mi ha aiutato a raggiungere degli scopi concreti, che hanno a che fare con l’aiuto al prossimo: mettere a disposizione le mie molte conoscenze della radio e della tv. Mi piacerebbe essere un miliardario per poter dire “do 80 milioni a chi ne ha bisogno, e me ne restano 20”. Ma anche chi non ha molto denaro può dare del suo. Lo facevo anche quando non ero credente, adesso che ho Gesù con me, corro.
Qualche esempio?
Brosio: Ho organizzato dei “voli spirituali”, pellegrinaggi in aereo, cui partecipa chi ha tanto denaro e può pagare 1000 quello che costa 500. Con tre o quattro di questi voli ogni anno, agli orfani di suor Cornelia gli faccio tutto. Conoscere chi soffre per noi è una grazia infinita.
Pillola del giorno dopo: dignità del medico, tutela del paziente - di Renzo Puccetti*
ROMA, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- Un anno fa scrivevo per ZENIT un intervento dal titolo eloquente “Pillola del giorno dopo: nessuna efficacia nel ridurre gli aborti” (1) e ancora, proprio un anno fa descrivevo la strategia di aggressività perseguita per intimidire i medici e ridurne la funzione a quella di un Juke-box (2).
Dopo un anno ci troviamo nuovamente a dovere discutere l’ennesimo sfacciato attacco alla dignità della professione medica. Alcuni giorni fa, attraverso un comunicato ufficiale, il dr. Roberto Malucelli, che, leggo dal curriculum on line, non essere medico, ma un laureato in scienze politiche ad indirizzo economico (3), in qualità di direttore dell’azienda sanitaria unica regionale delle Marche, ha invitato ai direttori delle zone territoriali e ai dirigenti medici di presidio della regione una nota nella quale si sostiene l’obbligatorietà della prescrizione della pillola del giorno dopo quando richiesta dalla donna (prot. 8317, 8 aprile 2009).
Si sostiene l’impossibilità per il medico di appellarsi sia all’articolo 9 della legge 194, quello sull’obiezione di coscienza, che alla clausola di coscienza prevista dal codice deontologico. Le argomentazioni a sostegno di tale posizione sono trite e ritrite e francamente, si farebbe volentieri a meno di tornarvi sopra. Secondo il dirigente amministrativo l’obiezione di coscienza non sarebbe invocabile ai sensi della legge 194 perché “la prescrizione e la regolamentazione del farmaco è sottratta alla regolamentazione dettata dalla legge richiamata che assume a riferimento una condizione fisiologica della donna di stabile aspettativa di maternità”. L’analisi del panorama legislativo presentata dal funzionario è stranamente orba e dimentica l’articolo 16 della legge 40 che, riprendendo parola per parola l’articolo 9 della legge 194 che regolamenta l’esercizio del diritto di obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto, lo estende alle procedure di fecondazione artificiale. L’elemento a comune della legge sull’aborto e sulla fecondazione assistita è uno solo: il concepito; nel primo caso sopprimibile, nel secondo caso manipolabile.
È evidente che la ratio di questi articoli non può che essere la difesa del diritto riconosciuto ad ogni persona esercente un’attività sanitaria a non mettere in atto procedure ritenute lesive della dignità e della integrità del concepito. Dunque sarebbe oltremodo paradossale riconoscere al medico il diritto a porre obiezione di coscienza perché egli non intende nuocere al concepito quando questi si trova nell’utero della madre, o nella provetta e non riconoscere lo stesso diritto quando il concepito può essere presente nella tuba della donna.
Si comprende bene quindi che la questione non è nell’accertamento dello stato di gravidanza, ma nella presenza, certa o eventuale, di un essere umano vivente allo stato embrionale. Non casualmente, ma per la sussistenza di una evidente questione morale, di tale problema si è occupato il comitato nazionale per la bioetica (CNB), giungendo ad un parere unanimemente favorevole alla possibilità di sollevare obiezione di coscienza (4). A proposito del CNB se ne sminuisce la portata ricordando giustamente la mera funzione consultiva dell’organismo; nessuno invoca la decisione del comitato come fonte normativa, ma se un tale organo, istituzionalmente creato per esaminare i problemi bioetici, si è occupato della questione, non si può pretendere di sbrigare tutto ricorrendo a sofismi semantici e violentando le definizioni mediche per un fine ideologico.
Secondo il documento della regione Marche il medico non potrebbe neppure invocare la clausola di coscienza prevista dall’articolo 22 del codice deontologico. Si sostiene che nella semplice richiesta del farmaco in questione si configurerebbe la presenza di quei requisiti di urgenza e pericolo per la salute della donna che secondo lo stesso articolo del codice imporrebbe al medico il superamento del proprio convincimento etico. Che un funzionario, ripetiamo non medico, abbia prodotto un documento ufficiale per sostenere tale tesi, trasmettendolo come criterio per il comportamento dei responsabili delle strutture di cura, ritengo sia oltremodo grave. L’unico organismo deputato alla valutazione del comportamento deontologico di ogni medico iscritto al rispettivo ordine provinciale è il proprio ordine di appartenenza.
L’articolo 68 del codice deontologico prevede che qualora un medico, dipendente o convenzionato, ravvisi un “contrasto tra le norme deontologiche e quelle proprie dell'ente, pubblico o privato, per cui presta la propria attività professionale, deve chiedere l'intervento dell'Ordine, onde siano salvaguardati i diritti propri e dei cittadini”. Il medico non ha come possibilità, ma come dovere quello di invocare l’intervento del proprio ordine professionale. Lo stesso obbligo è posto a carico di qualsiasi medico, così come previsto nell’articolo 4 del codice.
Alcune dichiarazioni riportate sugli organi di stampa del presidente dell’ordine dei medici di Ancona sembrano solo un primo passo in quella che è sicuramente una necessaria azione a difesa del diritto dei pazienti ad essere assistiti da medici indipendenti nel proprio giudizio ed operato, non costretti a comportamenti clinici di cui non siano intimamente convinti per timore di sanzioni disciplinari. Sarebbe interessante verificare se comportamenti come quello dell’amministratore non possano delineare ipotesi di illecito.
Fin qui la forma della questione, ma la sostanza non mostra aspetti meno inquietanti. L’articolo 3 del codice deontologico indica al medico quale primo dovere la “tutela della vita” dell’uomo. Non vi sono ambiguità, non si parla di persona, ma di “uomo”. Sebbene nello stesso articolo si faccia riferimento al dovere di difesa della salute intesa nelle sue accezioni più ampie, è evidente che un farmaco che per ammissione stessa dell’azienda produttrice ha quale possibile meccanismo d’azione l’impedimento dell’annidamento dell’embrione, pone un conflitto tra tutela della vita umana e della salute della donna, quand’anche si voglia giungere ad accettare che la diagnosi di un tale pericolo sia in questa singolarissima ed irripetibile circostanza affidato all’insindacabile giudizio della sola donna.
Anche ammettendo che la sola richiesta del farmaco rappresenti condizione sufficiente per configurare un pericolo per la salute della richiedente, non si comprende come il codice deontologico potrebbe prevedere all’articolo 43 la clausola di coscienza per i casi di aborto (dove la presenza di un serio o grave pericolo per la salute della donna è unico criterio per l’accesso all’aborto), ma non per la prescrizione di un farmaco antinidatorio. L’articolo 13 del codice medico afferma chiaramente che “la prescrizione di un accertamento diagnostico e/o di una terapia impegna la diretta responsabilità professionale ed etica del medico” e più avanti: “In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo”.
In calce alla ricetta non vi è la firma della paziente, del compagno, del responsabile del distretto, del direttore dell’azienda, ma il medico appone la sua propria firma e con questo atto suggella la propria adesione scientifica ed etica alla prescrizione. Il medico non può né deve apporre al propria firma se manca anche uno solo dei due elementi. Secondo l’articolo 22 del codice il medico può rifiutare la propria opera per ragioni di coscienza o di convincimento clinico “a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita”. Il codice non parla quindi di pericolo, ma di nocumento che deve avere quale caratteristica la gravità e l’immediatezza, tutte caratteristiche che sono trasferibili alla richiesta di pillola del giorno dopo solamente ricorrendo ad una fantasia davvero invidiabile, ma ci sembra poco condivisa. Non il pericolo, ma neppure la stessa presenza di una gravidanza indesiderata è menzionata tra i codici internazionali di malattia (vd. ICD 10).
Come si potrebbe inoltre definire di “grave ed immediato pericolo” una condizione che nei pronto soccorso di tutta la nazione è inclusa nei codici bianchi, cioè nelle prestazioni a più bassa priorità d’intervento? Sono forse i medici italiani tutti impazziti da non sapere riconoscere un’emergenza? In materia di contraccezione il medico, secondo quanto previsto dall’articolo 42 del codice deontologico, è tenuto a fornire ogni “corretta informazione”, non la prescrizione. Non sorprende quindi, anche sulla base di queste considerazioni, che il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici (FNOMCeO) abbia riconosciuto in un documento diramato a tutti gli ordini provinciali la possibilità da parte dei medici, a fronte di una richiesta della pillola del giorno dopo, di sollevare clausola di coscienza seguendo le modalità previste nelle leggi 194 e 40.
Riteniamo che per il rispetto dovuto alle istituzioni i medici abbiano il dovere di segnalare ai responsabili organizzativi dei servizi il proprio intento a non aderire a simili richieste (6). È con un tale spirito che l’Associazione Scienza & Vita di Pisa e Livorno ha elaborato un modello di dichiarazione di obiezione di coscienza scaricabile dal sito stesso dell’associazione (7) ed inoltrabile ai direttori generali delle aziende sanitarie territoriali, o ai direttori sanitari del presidio ospedaliero in cui il medico esercita la professione e al presidente dell’ordine dei medici di appartenenza, per conoscenza.. I casi di Pisa, Roma, Ancona e gli altri che sono stati segnalati, gli inviti alla denuncia dei sanitari che si siano avvalsi della clausola di coscienza provenienti da alcune organizzazioni, ritengo rendano maturi i tempi per un intervento chiarificatore e di assunzione di responsabilità da parte dell’esecutivo.
Gli amici relativisti da cui così spesso riceviamo dotte lezioni di pluralismo etico non possono negare l’altrui diritto a conformarsi a schemi etici difformi se non negando il loro stesso paradigma. Credo che un intervento rispettoso della dignità personale potrebbe ispirarsi alla legge della non certo confessionale Nuova Zelanda che, all’articolo 46, recita: “Indipendentemente da qualsiasi cosa in ogni altro decreto, o norma di legge, o condizioni di qualsiasi codice o contratto (di impiego o altro), nessun medico, infermiere, o altra persona sarà sottoposto ad alcun obbligo:
(a) Di effettuare o assistere nella pratica di un aborto o qualsiasi intervento fatto o da farsi allo scopo di rendere il paziente sterile.
(b) inserire, o assistere nell’inserimento, o fornire, o somministrare, o assistere nella somministrazione di qualsiasi contraccettivo, o nell’offrire, o dare alcuna informazione relativa alla contraccezione.
(c) se egli obietta per motivi di coscienza”.
La stessa legge stabilisce il diritto al risarcimento dei danni patiti per la persona che subisca la violazione dell’esercizio all’obiezione di coscienza. Che diritto sarebbe infatti quel diritto che non fosse protetto dalla legge?
Uno stato che voglia farsi garante della salute non può fare a meno di potere contare su medici indipendenti. La questione della libertà di coscienza di fronte alla richiesta della pillola del giorno dopo non è quindi un affare di difesa di privilegi corporativi, ma è qualcosa che dovrebbe stare a cuore a tutti. È un punto sensibile attorno al quale si misura la capacità dei medici di tutelare quella dignità che hanno ricevuto da chi li ha preceduti.
Quando nel corso della storia i medici hanno abdicato alla verità e alla loro indipendenza facendosi strumento di un potere estraneo alla loro missione di tutela della vita umana, allora essi si sono trasformati in qualcos’altro, ponendo le premesse per il sopruso, il delitto e la loro stessa ignominia.
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*Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno
Riferimenti:
1. R. Puccetti. http://www.zenit.org/article-14404?l=italian
2. A. Gaspari. http://www.zenit.org/article-14035?l=italian
3. Marche in Salute. http://www.asur.marche.it/viewdoc.asp?CO_ID=7039
4. CNB. http://www.governo.it/bioetica/testi/contraccezione_emergenza.pdf
5. A. Bianco. http://www.omceo.ta.it/admin/gestione_bollettini/bollettini/Newsletter%20n%C2%B01.pdf
6. Di Pietro ML, Dallapiccola B, Buccelli C, Fiori A, Romano L, Vergani P, Puccetti R, Bellieni C. http://www.cgems.it/getImage.aspx?tmpID=1775&tipo=fileAllegato
7. Scienza & Vita Pisa e Livorno. (http://www.scienzaevita.info/public/site/downloads.asp?id=99).
Per approfondire:
Renzo Puccetti, “L’uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU 486” Società Editrice Fiorentina, 2008.http://www.sefeditrice.it/asp/libro.asp?Lib=zio12
Ricette per morire - L’eutanasia guadagna terreno - di Padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- I fautori dell’eutanasia continuano a fare campagna in favore della sua legalizzazione in molti Paesi, ottenendo anche qualche successo.
In Gran Bretagna, il dr. Philip Nitschke, da lungo tempo attivo sostenitore dell’eutanasia, ha iniziato a promuovere un kit fai-da-te per il suicidio. Questa sua ultima iniziativa ha suscitato diffuse critiche nel Regno Unito, secondo un articolo pubblicato sul quotidiano Australian del 20 aprile.
In seguito alle polemiche, la Oxford Union ha ritirato il suo invito al dr. Nitschke per un dibattito previsto per il 14 maggio.
In Australia, Paese natale di Nitschke, è illegale commercializzare un prodotto simile, contenente un potente farmaco, il Nembutal. Per questo motivo ha scelto la Gran Bretagna per promuoverne il lancio. In Australia è stato anche censurato il suo libro pubblicato nel 2005 dal titolo “The Peaceful Pill Handbook”.
Non è la prima volta che Nitschke suscita proteste nel Regno Unito, come ha spiegato il quotidiano Observer del 29 marzo. Lo scorso anno, la sua organizzazione “Exit International” ha gestito una serie di laboratori in cui si spiegava alle persone come suicidarsi. Uno di questi era stato chiuso dopo le obiezioni sollevate dal Comune di Bournemouth.
Anche la clinica svizzera Dignitas, che offre servizi di suicidio assistito, è tornata sulle prime pagine. Questa struttura, che ha attirato grande attenzione, accoglie clienti provenienti da tutto il mondo, intenzionati a porre fine alla propria esistenza.
Secondo un servizio apparso sul quotidiano londinese Times del 3 aprile, il fondatore di Dignitas, Ludwig Minelli, ha in programma di aiutare una donna sana a morire insieme al marito malato terminale. La coppia canadese ha infatti intenzione di tenere fede al loro patto suicida di morire insieme.
Secondo l’articolo, Minelli descrive il suicidio come una “meravigliosa opportunità” da non limitare solo ai malati o ai disabili. Il Times ha anche riportato i dati raccolti dalla Clinica universitaria di Zurigo, secondo cui più di un quinto delle persone che sono morte alla Dignitas non erano malati terminali.
Diritto alla privacy
La situazione non è migliore negli Stati Uniti. Alla fine dello scorso anno, un giudice dello Stato del Montana ha stabilito che una legge locale che vieta il suicidio assistito contrasta con la Costituzione di quello Stato.
Secondo un articolo pubblicato nell’edizione del Weekly Standard del 29 dicembre, il giudice Dorothy McCarter ha sostenuto che il divieto viola il diritto costituzionale alla privacy. Inoltre lo stesso giudice ha richiamato la norma costituzionale a sostegno della dignità umana per affermare che i malati terminali hanno il diritto a morire con dignità. La sua decisione è tuttavia oggetto di ricorso in appello.
Le forze in favore dell’eutanasia hanno invece vinto una battaglia nello Stato di Washington, il novembre scorso, con l’approvazione di un referendum in favore della legalizzazione del suicidio assistito. Con questo voto, il Washington è diventato il secondo Stato, dopo l’Oregon, ad avere legalizzato il suicidio.
Secondo un articolo pubblicato il 5 novembre sul Seattle Times, la proposta è stata elaborata sulla falsariga della legge dell’Oregon. Essa prevede che i malati terminali, residenti nello Stato di Washington, che siano capaci di intendere e volere, e a cui sono stati diagnosticati meno di sei mesi di vita, possano richiedere e autosomministrarsi farmaci con effetti letali, dietro prescrizione del medico.
I promotori dell’eutanasia sono riusciti a raccogliere ben 4,9 milioni di dollari (3,8 milioni di euro), mentre i contrari solo 1,9 milioni di dollari (1,5 milioni di euro), secondo il Seattle Times.
Problemi nell’Oregon
Seguendo il cammino dell’Oregon, anche nello Stato di Washington potrebbero emergere sorprese sgradevoli per i residenti. Lo scorso anno vi sono state notizie di alcuni malati terminali nell’Oregon a cui le autorità hanno negato le cure per le loro malattie e a cui è invece stato offerto il suicidio assistito.
Un servizio di Fox News, del 28 luglio, ha riferito di un malato di tumore alla prostata, Randy Stoup, a cui è stata negata la copertura sanitaria per le cure chemioterapiche, da parte dello Stato locale. La Lane Individual Practice Association, che gestisce il servizio sanitario, dopo avergli negato le cure, gli ha offerto la copertura per i costi del suicidio assistito.
Secondo il servizio, anche altri malati terminali dell’Oregon hanno ricevuto simili risposte.
Successivamente, un articolo pubblicato l’8 ottobre dall’agenzia di stampa HealthDay ha fornito dettagli su uno studio svolto su 46 persone che avevano richiesto assistenza al suicidio nell’Oregon nel 2007.
I ricercatori della Oregon Health and Sciences University hanno scoperto che nessuna delle 46 persone era stata valutata dal punto di vista psicologico o psichiatrico, al fine di riscontrare eventuali problemi di depressione o simili che possano averle indotte a voler porre fine alla propria vita.
Sono stati controllati anche i dati di altri 58 pazienti che avevano chiesto assistenza al suicidio nel 2008. Risulta che 15 di questi rientrano nei criteri di definizione della depressione, mentre altri 13 in quelli dell’ansia. Alla fine dello studio, tre di coloro che hanno effettivamente ricevuto assistenza al suicidio, rientravano nei criteri della depressione.
I ricercatori hanno concluso che il modo in cui le prestazioni di assistenza al suicidio vengono fornite nell’Oregon “potrebbe non tutelare adeguatamente tutti i pazienti con patologie mentali”.
Istruzioni per l’uso
Notizie più preoccupanti riguardano la recente scoperta che Nitschke non è il solo a distribuire manuali per chi vuole suicidarsi. Negli stati Uniti, il Final Exit Network dispone di un documento contenente istruzioni dettagliate per coloro che assistono le persone che intendono suicidarsi, secondo quanto riferito da Associated Press il 22 aprile.
Il manuale è stato sequestrato dalla polizia di Phoenix che sta indagando su Final Exit Network in relazione alla morte di una donna.
Anche la polizia della Georgia, dove ha sede l’organizzazione, sta indagando sui collegamenti con alcuni decessi.
A febbraio, la polizia ha svolto indagini e perquisizioni in nove Stati, con imputazioni contro quattro membri dell’organizzazione, tra cui il presidente Thomas E. Goodwin.
Associated Press ha riferito il 3 marzo che, secondo le autorità della Georgia, il Network potrebbe aver aiutato circa 200 persone a morire. Iscriversi all’organizzazione costa 50 dollari e a ciascun membro è assegnata una guida che li aiuti a suicidarsi.
Non senso
Alle pressioni dirette alla legalizzazione del suicidio assistito si sono contrapposte altrettante critiche. L’espressione “diritto alla morte” è stata definita come una “elegante assurdità” da Dominic Lawson in un articolo d’opinione apparso il 14 dicembre sul Sunday Times.
Non stiamo parlando di un diritto alla morte – ha chiarito – ma di un diritto ad essere uccisi quando si vuole. Questo implica che altri debbano uccidere e che, per questo motivo, la maggioranza dei medici non ne vuole avere a che fare, secondo Lawson.
Questo rifiuto ha avuto recentemente conferma dai dati emersi da un sondaggio svolto da Clive Seale del Centre for Health Sciences, della Queen Mary University di Londra. Secondo Seale, solo un terzo dei medici è favorevole al suicidio assistito, ha riferito il quotidiano Guardian del 24 marzo.
Quasi 4.000 medici hanno risposto ad un questionario distribuito da Seale e le risposte sono risultate simili a quelle ottenute da un sondaggio svolto nel 2004 sullo stesso argomento.
Wesley Smith, direttore associato della Task Force internazionale sull’eutanasia e il suicidio assistito, ha avvertito – in un suo articolo pubblicato sul quotidiano Telegraph del 21 febbraio – che il diritto a morire può trasformarsi in un dovere a morire. Wesley, dagli Stati Uniti, era venuto in Inghilterra per partecipare ad un incontro anti-eutanasia organizzato presso la Camera dei deputati.
“Tutta la società mediante le sue istituzioni sanitarie e civili è chiamata a rispettare la vita e la dignità del malato grave e del morente”, ha affermato Benedetto XVI in un discorso rivolto ai partecipanti al congresso svoltosi il 25 febbraio 2008 in Vaticano sul tema delle cure al morente.
Il Papa ha invocato una maggiore attenzione alle necessità delle persone in stato terminale e alle loro famiglie. Il rispetto della vita deve prendere la forma di una solidarietà concreta, ha aggiunto. Un compito certamente più esigente della semplice eliminazione fisica dei malati, che tuttavia si pone nel pieno rispetto della dignità umana.
Radio Vaticana 29/04/2009 15.40.22 – I vescovi del Cile: il Paese non può rinunciare ai valori fondamentali
A conclusione della loro 97.ma Assemblea plenaria, che si è svolta la settimana scorsa, i vescovi cileni hanno pubblicato il documento finale in cui rilevano che il Paese non può rinunciare a valori fondamentali come la centralità della famiglia fondata sul matrimonio, la dignità di ogni vita umana, la solidarietà con i più poveri, il diritto- dovere dei genitori a educare i propri figli e, infine, la libertà religiosa”. “Cristo è venuto al mondo come Signore della vita per annunciare e inaugurare il Regno della vita e dunque- si legge nel documento - i vescovi desiderano “accompagnare i figli e le figlie del Cile nelle loro speranza e gioie, ma anche nelle loro afflizioni e dolori”. Ribadendo il magistero della Chiesa sulla sacralità ed intangibilità della vita, i presuli lamentano che nella campagna elettorale sia stato introdotto quello che è stato “falsamente chiamato aborto terapeutico” e dunque invitano i cristiani a sapere discernere e a non dimenticare il loro dovere di difendere la vita in quanto dono inestimabile di Dio. Per quanto riguarda la crisi sociale, economica e finanziaria, si ricorda la necessità di affrontarla con “una visione cristiana” e perciò tenendo presente l’importanza della “solidarietà non solo con i poveri, ma anche con i ceti medi” ugualmente colpiti della situazione. D’altra parte, lanciano un appello allo Stato la cui “responsabilità sociale” può fare molto, così come “gli imprenditori e i lavoratori”: tutti possono impegnarsi per evitare “la perdita dei posti di lavoro”. Con riferimento alle elezioni presidenziali e politiche in programma per i prossimi mesi, l’Episcopato sottolinea l’importanza di un incontro nuovo con l’anima del Cile, cioè con i suoi valori più profondi. Perciò i vescovi invitano i cristiani impegnati in politica ad essere capaci di coltivare il dialogo e nello stesso tempo di offrire una testimonianza di fede. I vescovi ricordano inoltre che durante i lavori della loro Plenaria hanno riflettuto a lungo sulla questione ambientale e “sul contributo che possono dare i cristiani” e annunciano un prossimo documento specifico e più elaborato sulla materia che si ritiene dovrebbe essere una fondamentale priorità della nazione. Infine, i vescovi cileni fanno sapere di aver scambiato idee e proposte sulla situazione delle popolazioni indigene soffermandosi soprattutto sul problema “dell’identità e cultura” di questi popoli e sulle difficoltà che trovano “nell’ambito di problemi come la terra e i loro diritti”. Per i presuli occorre proteggere questi popoli “nella cornice di un dialogo sincero e rifiutando la violenza”. (A cura di Luis Badilla)
L’Europa in cui credere - Mario Mauro - lunedì 4 maggio 2009 – ilsussidiario.net
È stata una settimana importante dove a Varsavia si sono conclusi i lavori del Congresso del Partito Popolare europeo. Una tavola rotonda in cui si sono voluti confermare i valori a cui si richiama il maggiore partito europeo e tutte le formazioni politiche che vi aderiscono.
Fra questi vi è il PdL. Anche in occasione del primo congresso, svolto a Roma nel marzo scorso e dove è stato manifestato chiaramente lo spirito di coesione del centrodestra italiano, i maggiori esponenti del PPE Joseph Daul e Wilfred Marteens hanno sottolineato i punti di contatto tra le due forze politiche. Il PdL, data la sua tradizione, non poteva non ispirarsi agli stessi valori della più grande casa popolare d’Europa.
Ci sono degli obiettivi reali che il PPE sente di dover perseguire per la prossima legislatura 2009-2014 e che a Varsavia sono stati pubblicamente dichiarati. Tra questi non può mancare la salvaguardia dei valori familiari - soprattutto per rispondere alla sfida dell’evoluzione demografica e al calo della natalità - e la difesa della libertà d’istruzione, che costituiscono i pilastri fondamentali della nostra azione politica che mira a rafforzare le famiglie, la solidarietà tra le generazioni e la trasmissioni dei valori e della cultura.
Sul piano dell’economia mondiale, anche se l’Europa è scossa dalla crisi, il PPE non rinuncia a fornire soluzioni concrete e mirate. Stilare un bilancio consolidato delle finanze pubbliche, completare un mercato unico nel settore dell’energia e dei trasporti, portare avanti la lotta contro la burocrazia sono le risposte che vogliamo dare.
Intensificare la lotta contro il terrorismo, sviluppare una politica comune per l’immigrazione sono le strategie per rendere i nostri paesi più sicuri, favorendo così un vero progetto comune fatto di inclusione e di dialogo. Nella politica di coesione e di sviluppo del modello sociale europeo, vogliamo anche estendere la politica della sussidiarietà, che essendo espressione di una concezione globale dell'uomo e della società, rappresenterebbe l’unica vera svolta alle attuali difficoltà economiche.
Anche il Popolo della Libertà ha messo nero su bianco all’interno della Carta dei Valori, manifesto programmatico che rappresenta la nostra base fondativa. All’interno di molti passaggi di questo documento vengono enunciate le idee in cui si riconosce la maggioranza degli italiani: la difesa della libertà religiosa, la dignità della persona, la libertà, la responsabilità, la giustizia, l’irriducibilità della vita, la solidarietà e la sussidiarietà. Questi sono gli ideali comuni alle grandi democrazie occidentali, fondate sul pluralismo democratico, sullo Stato di diritto, sulla tolleranza, sulla proprietà privata, sull’economia sociale di mercato.
I lavori del Congresso di Varsavia, quindi, hanno dato definitivamente il via alla campagna elettorale per le elezioni europee del prossimo 6-7 giugno. È stata allo stesso tempo l’occasione per ribadire ancora una volta che la nostra azione politica potrà fare molto per esportare il modello di pace e sviluppo che in questi anni abbiamo sempre perseguito.
La presenza al Congresso del premier Silvio Berlusconi e la presentazione delle liste del PdL sono state la dimostrazione della volontà italiana a contare davvero in Europa. E non potrebbe essere diversamente. L’Italia è tra i paesi fondatori e storicamente ha sempre confidato in quell’idea di Europa che tre grandi uomini politici del passato - Adenauer, De Gasperi e Schumann - hanno con coraggio portato avanti, perché legati da una profonda amicizia cristiana.
Ci attendono due giornate decisive per esprimere la nostra idea di Europa: l’Europa che ci sta a cuore. Un’Europa aperta al dialogo ma attenta alle tradizioni, che al potere delle banche preferisce la creatività della persona. Un’Europa in cui l’Italia crede e in cui ora può contare davvero.