giovedì 14 maggio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 14/05/2009 9.44.00 – Messa a Nazareth. Il saluto di mons. Chacour: continuiamo a proclamare la Buona Notizia nonostante le grandi difficoltà e il dolore per l'esodo di tanti cristiani
2) Il Papa riconosce l'aspirazione legittima dei palestinesi a uno Stato sovrano e invita le parti a superare violenza e terrorismo - Oltre il muro della paura e della sfiducia - L'ideale abbraccio alla popolazione di Gaza per la quale Benedetto XVI chiede la ricostruzione e la fine dell'embargo – L’Osservatore Romano, 14 maggio 2009
3) “La famiglia nella missione della Chiesa” - Lectio magistralis di Kiko Argüello
4) Dopo 92 anni, Fatima continua a suscitare conversioni e preghiere - Vari santuari del mondo hanno ricordato la prima apparizione - di Carmen Elena Villa
5) La visita al Caritas baby hospital di Betlemme - I bambini innocenti meritano un posto sicuro dai conflitti – L’Osservatore Romano, 14 maggio 2009
6) Da Gerusalemme a Betlemme. Dove "toccare" i fondamenti della fede - Benedetto XVI esorta i cristiani a non abbandonare la Terra Santa. "Lì c'è posto per tutti", dice. Per due popoli e per due Stati in pace tra loro. E per le tre religioni di Abramo, unite nel servizio della famiglia umana - di Sandro Magister
7) Il Marciapiedaio del 13 Maggio - Giovanni Paolo II si salva miracolosamente da un attentato - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 13 maggio 2009
8) TERRA SANTA/ Pizzaballa: non ci interessa solo la pace, ma la memoria dell’incarnazione - INT. Pierbattista Pizzaballa - giovedì 14 maggio 2009 – ilsussidiario.net
9) TERRA SANTA/ Il racconto di Suor Donatella: l’abbraccio del Papa ai nostri “bambin Gesù” - Redazione - giovedì 14 maggio 2009 – ilsussidiario.net
10) DIARIO DA JERUSALEM/ Oggi ho imparato dal Papa e da mio figlio che alla ragione serve il perdono - Redazione - giovedì 14 maggio 2009 – ilsussidiario.net
11) IMMIGRAZIONE/ Andare. Ma dove? - Roberto Fontolan - giovedì 14 maggio 2009 – ilsussidiario.net
12) DIARIO DA L'AQUILA/ A Onna la storia di Elisa e Anna Rita, maestre di speranza - Redazione - giovedì 14 maggio 2009 – ilsussidiario.net
13) BISOGNA SEGUIRE IL VARCO APERTO DALLE ULTIME MOTIVAZIONI DELLA CONSULTA - L’eugenetica introdotta pian piano senza che il Paese se ne accorga - EUGENIA ROCCELLA – Avvenire, 14 maggio 2009
14) VIENE LANCIATO OGGI UN TELESCOPIO SPAZIALE IN PARTE ITALIANO - La foto dell’universo neonato. - Questo ci regalerà l’audace Planck - MARINA CORRADI – Avvenire, 14 maggio 2009
15) Spagna: per le adolescenti aborto e pillole in libertà - Il governo spagnolo potrebbe approvare già oggi il disegno di legge che depenalizza l’aborto, rendendolo libero entro le 14 settimane di gravidanza a tutte le donne e le ragazze dai 16 anni in su, senza che per le minorenni sia necessaria né l’autorizzazione né la semplice informazione dei genitori. La notizia è stata data ieri dal quotidiano El Pais. Il disegno di legge dovrà poi essere approvato dal Parlamento. – Avvenire, 14 maggio 2009


14/05/2009 9.44.00 – Messa a Nazareth. Il saluto di mons. Chacour: continuiamo a proclamare la Buona Notizia nonostante le grandi difficoltà e il dolore per l'esodo di tanti cristiani
Nello splendido scenario del Monte del Precipizio a Nazareth, che si apre ad anfiteatro sulle colline della Galilea, il Papa presiede la Messa per la conclusione dell’Anno della Famiglia indetto dalla Chiesa cattolica in Terra Santa. 40 mila i fedeli presenti. Al termine del rito la benedizione delle Prime pietre del Centro internazionale della Famiglia, del Parco memoriale Giovanni Paolo II e della University of Pope Benedict XVI. All’inizio della Messa l’ordinario greco-melkita per la Galilea Elias Chacour ha rivolto al Papa l’indirizzo di saluto. Ne diamo un’ampia sintesi:

Santità,
A nome mio e a nome delle Chiese Cattoliche nella Terra Santa e a nome di tutti i presenti, porgo un saluto caloroso dicendo: “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore”. Cristo e risorto! Lui è veramente risorto. Questo è il nostro auguro pasquale a Sua Santità, proclamato dalle nostre Chiese antiche.

Questo Cristo risorto dai morti è il Figlio di questo nostro Paese, figlio di Nazareth, di questa Nazareth che saluta Sua Santità con gioia e amore filiale. Infatti, qui a Nazareth il Verbo si è fatto carne per venire ad abitare tra noi.

Santità, la Chiesa della Galilea custodisce sempre l’alleanza della Resurrezione, proclamando continuamente la Buona Notizia nonostante le grandi difficoltà e i pericoli che minacciano la sua presenza in Terra Santa. L'esodo dei cristiani ci angoscia con dolore e ci mostra una prospettiva poco incoraggiante. Santità, abbiamo bisogno delle sue preghiere e del suo sostegno morale e spirituale. Gli sfollati di ”Bourom e Ikreth”, qui presenti, aspettano con speranza un sostegno per poter ritornare ai loro villaggi e vivere nelle loro case così come fanno gli altri cittadini di questo Paese.

Noi abbiamo un grande amore per San Pietro di cui Lei, per la grazia di Dio, è il degno Successore. Ringraziamo Dio per la comunione profonda con la Santa Sede. In tutta umiltà vogliamo annunciare la nostra fede davanti al mondo intero: Tu sei la pietra e su questa pietra Gesù ha costruito la sua Chiesa, e le porte degli inferi, molte nei nostri giorni, non prevarranno.

Ringraziamo Sua Santità per la benedizione della Prima pietra del Centro Mondiale per la famiglia cristiana nella città della Santa Famiglia, Nazareth. Si tratta della Prima pietra della prima istituzione accademica araba cristiana in Terra Santa così come in Galilea e in Israele. Siamo lieti per aver permesso di dare il suo nome a quest’Università, che si chiama appunto “Università Papa Benedetto XVI”. Ringraziamo il Consiglio israeliano per l’Insegnamento superiore per il suo riconoscimento di questa istituzione accademica. Continuiamo ad aspettare sempre più sostegno dalle autorità israeliane, come cittadini di questo Paese: siamo convinti che rispetteranno i nostri diritti. Le nostre istituzioni educative, le nostre scuole sono la nostra prima priorità perché questo è lo strumento per diffondere il messaggio di Cristo, per diffondere lo spirito di riconciliazione. Le nostre scuole lottano per la sopravvivenza, fanno grandi sacrifici, ma andiamo avanti: le nostre scuole sono di altissimo livello.

La ringraziamo per la sua presenza tra noi. Così Lei rinnova la presenza del grande Figlio di Nazareth. Dio benedica questa sua presenza. Continui ad essere nostro padre, padre dei discepoli di Cristo nella terra di Cristo. Stiamo camminando sulle sue orme. Vogliamo giustizia e rettitudine per godere della pace e della sicurezza per tutti.


Il Papa riconosce l'aspirazione legittima dei palestinesi a uno Stato sovrano e invita le parti a superare violenza e terrorismo - Oltre il muro della paura e della sfiducia - L'ideale abbraccio alla popolazione di Gaza per la quale Benedetto XVI chiede la ricostruzione e la fine dell'embargo – L’Osservatore Romano, 14 maggio 2009
Superare il muro della paura e della sfiducia per spezzare la spirale di violenza, di vendetta, di distruzione che intrappola da anni israeliani e palestinesi. Da Betlemme, dove ha trascorso l'intera giornata di mercoledì 13 maggio, il Papa lancia un nuovo appello alle parti in conflitto e domanda iniziative coraggiose, forti e creative per cercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati. In un mondo in cui le frontiere si aprono sempre di più - osserva con amarezza visitando nel pomeriggio il campo profughi di Aida, il più numeroso dei tre esistenti nell'area di Betlemme - è tragico constatare che ancora oggi vengono innalzati muri. Poco distante dal palco dove parla si erge il muro che attraversa i territori e che - sottolinea il Pontefice - incombe sui rifugiati come simbolo della dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere i negoziati israelo-palestinesi. Benedetto XVI denuncia le condizioni precarie e difficili in cui vivono i profughi, manifestando solidarietà soprattutto a coloro che hanno perso casa e persone care durante il recente conflitto di Gaza. Per loro e per tutti i palestinesi chiede una pace giusta e duratura, nel rispetto delle esigenze legittime delle popolazioni, che hanno diritto di vivere in pace e con dignità secondo le norme del diritto internazionale. Essenziale a questo fine, secondo il Papa, è il sostegno della comunità internazionale. Ma gli sforzi diplomatici sono destinati a fallire - assicura - se non sono accompagnati dalla disponibilità delle parti in conflitto a rompere il ciclo delle aggressioni e ad andare oltre le recriminazioni reciproche, per lavorare insieme in un'atmosfera di fiducia. Occorre soprattutto tener conto degli interessi e delle preoccupazioni degli altri: se ciascuno insiste per ottenere concessioni preliminari dalla controparte - avverte Benedetto XVI - il risultato sarà solo lo stallo delle trattative. Occorre, in definitiva, scegliere la strada del dialogo "onesto e perseverante", mettendo da parte "qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frapponga sulla via della riconciliazione". Il Pontefice lo aveva già raccomandato al suo arrivo in mattinata a Betlemme. "La Santa Sede - aveva confermato rivolgendosi al presidente Abu Mazen - appoggia il diritto del suo popolo a una sovrana patria palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti". E aveva ribadito che "una coesistenza giusta e pacifica fra i popoli del Medio Oriente può essere realizzata solamente con uno spirito di cooperazione e mutuo rispetto, in cui i diritti e la dignità di tutti siano riconosciuti e rispettati". Ai cristiani presenti alla messa celebrata successivamente nella piazza della Mangiatoia, il Papa aveva rinnovato l'invito a essere "un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell'edificare una cultura di pace che superi l'attuale stallo della paura, dell'aggressione e della frustrazione". "Non abbiate paura" aveva esortato, ricordando che la riconciliazione esige "il coraggio di abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione infruttuose e sterili" per fondarsi "sulla giustizia e sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti".
(©L'Osservatore Romano - 14 maggio 2009)


Dopo 92 anni, Fatima continua a suscitare conversioni e preghiere - Vari santuari del mondo hanno ricordato la prima apparizione - di Carmen Elena Villa
ROMA, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Non solo a Fatima, ma in vari santuari dedicati a questa invocazione in tutto il mondo migliaia di fedeli sono giunti in atteggiamento di preghiera e pellegrinaggio in questo 13 maggio in cui la Chiesa ricorda la prima apparizione della Madonna ai tre pastorelli portoghesi.
E' avvenuto anche nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, a Roma, situata a pochi metri dalla Basilica di San Pietro e che, su richiesta di Papa Giovanni Paolo II, è dedicata alla devozione alla Divina Misericordia e alla Madonna di Fatima in ricordo del 13 maggio 1981, giorno in cui subì l'attentato.
L'apparizione della Madonna nel 1917 ai tre pastorelli della Cova da Iria è "affascinante", ma allo stesso tempo "fa tremare", ha spiegato padre Giuseppe Bart, rettore della chiesa di Santo Spirito.
In essa, questo mercoledì mattina, centinaia di fedeli di tutto il mondo hanno partecipato a una giornata di preghiera in occasione della Madonna di Fatima, iniziata alle nove del mattino con l'adorazione del Santissimo Sacramento e terminata con un'Eucaristia a mezzogiorno.
Per ore i fedeli hanno recitato i misteri del Rosario e le litanie. Si avvicinavano all'immagine della Madonna per intonare il canto "Il 13 maggio" o accendere una candela.
Padre Giuseppe ha ricordato a ZENIT che a Fatima Maria ha detto che "prega perché tutti i suoi figli siano salvati" e che apparendo ai tre pastorelli, Francisco, Jacinta e Lúcia, "ha dato la sua predilezione a quelli che sono innocenti, puri di cuore, che sono semplici, che vedranno Dio".
Il sacerdote, che proprio il 13 maggio festeggia il suo compleanno, ha avvertito ad ogni modo che questa figura fa tremare perché "Maria ci avverte del pericolo del peccato, che il peccato ci chiude le porte verso il paradiso".
"Lei si presenta con il suo messaggio, ci chiede abbandonare la via del peccato e abbracciare la strada della santità".
L'eco della Madonna di Fatima nei fedeli
Alcuni fedeli avevano deciso tempo fa di dedicare questo giorno alla preghiera alla Madonna di Fatima, altri invece erano lì di passaggio e hanno deciso di entrare a pregare per qualche minuto. Tutti riconoscevano l'importanza di Maria come migliore intercessore presso Dio.
"Vengo spesso qui, prego la Divina Misericordia e visito la Madonna di Fatima", ha detto a ZENIT il sacerdote colombiano Carlos Sierra, della comunità dei Missionari della Consolata.
"La mia comunità ha un santuario molto importante in un quartiere chiamato Fatima nella città di Manizales. E' un'invocazione molto unita alla vita della comunità", ha aggiunto.
Il romano Fabrizio Procu, che era nell'ospedale Santo Spirito, a pochi metri dalla chiesa (uno dei più antichi del mondo), ha detto: "Ho visto che c'era segno di festa e sono entrato per vedere che festa era".
"La Vergine di Fatima è molto grande per me insieme alla Madonna di Lourdes. E un segno che ha rivoluzionato un po' il Portogallo con tutti i problemi che sono stati creati fra le autorità e le apparizioni della Madonna", ha detto.
Per Annunziata, 83 anni, che ha partecipato a tutta la giornata di preghiera, la figura materna di questa invocazione è l'aspetto più commovente: "L'ho pregata con tanto fervore, mi sembrava di vederla davanti. Ho pregato tanto per tutto il mondo. Ho letto tante volte la storia dei pastorelli", ha confessato.
Il potere della preghiera è stato il motivo che ha portato Emilia e sua figlia Linda a far visita alla Madonna nel giorno della sua festa: "Sono venuta per chiedere preghiere perché ha detto ai pastorelli: pregate che finisca la guerra, perché se non pregate ne verrà un'altra peggiore. Questo è stato nel 1917. Il messaggio della Madonna è sempre di preghiera", ha detto Emilia.
"La preghiera del Rosario segna le tappe più importanti della vita di Gesù. Con la preghiera possiamo ottenere i miracoli di ogni genere. La preghiera di lode ha una potenza speciale che ci libera da tante pressioni", ha sottolineato Linda.
Padre Giuseppe si è anche lasciato andare alle confidenze: "Ho sempre voluto, come sacerdote, avere la sua intercessione per il mio ministero sacerdotale, ed è per questo che non solo la invochiamo ogni giorno, ma ogni tanto andiamo in pellegrinaggio in Portogallo. Io compio il pellegrinaggio ogni anno in questo luogo di grazia e misericordia".


“La famiglia nella missione della Chiesa” - Lectio magistralis di Kiko Argüello
ROMA, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la Lectio magistralis pronunciata questo mercoledì da Kiko Argüello nel ricevere il dottorato honoris causa dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia.

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Il Papa Giovanni XXIII, nella Costituzione Apostolica “Humanae salutis” (1961) con cui indice il Concilio, esordisce dicendo: “La Chiesa oggi assiste ad una crisi in atto della società. Mentre l’umanità è alla svolta di un’era nuova, compiti di una gravità e ampiezza immensa attendono la Chiesa, come nelle epoche più tragiche della sua storia. Si tratta infatti di mettere a contatto con le energie vivificatrici e perenni dell’Evangelo il mondo moderno” (n. 2).
Lo Spirito Santo, che anima e guida la Chiesa, suscita il Concilio Vaticano II per rispondere alla “crisi in atto” di cui parla il Papa: il ripristino della Parola di Dio (Dei Verbum), la riforma della Liturgia (Sacrosanctum Concilium), una nuova ecclesiologia, la Chiesa come corpo e come sacramento di salvezza (Lumen Gentium), e questo in funzione della sua missione (Gaudium et Spes) di evangelizzazione e di salvezza dell’uomo contemporaneo.
Tra i numerosissimi doni che lo Spirito Santo ha suscitato per mettere in pratica il rinnovamento voluto dal Concilio c’è anche il Cammino Neocatecumenale[1] che lo Statuto, approvato dalla Santa Sede in forma definitiva, l’11 Maggio 2008, definisce: “Un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e per i tempi odierni” (Art. 1 § 1), che viene offerto “al servizio del Vescovo come una delle modalità di attuazione diocesana dell’iniziazione cristiana e dell’educazione permanente della fede” (Art 1 § 2).
Lo Statuto, soprattutto nel capitolo II (Articoli 5-21) presenta gli elementi fondamentali del Neocatecumenato, le catechesi iniziali, il tripode (Parola-Liturgia-Comunità) su cui si basa e le sue fasi, tappe e passaggi.
L’iniziazione cristiana è una risposta provvidenziale che il Signore ha suscitato per rispondere alla scristianizzazione in atto. Lo aveva intuito molto bene il Papa Giovanni Paolo II.
Nel primo incontro che Egli ebbe con noi a Castel Gandolfo, il 5 settembre 1979 – eravamo presenti Carmen, il padre Mario ed io – dopo la messa il papa ci disse che durante la celebrazione aveva visto davanti a sé: ateismo – battesimo – catecumenato.
Lì per lì non capii bene cosa volesse dire, anzi, mi sembrava sbagliato anteporre battesimo a catecumenato. Il catecumenato nella tradizione della Chiesa è per coloro che si preparano a ricevere il battesimo.
La chiave ce la dà forse ciò che il Papa disse in una parrocchia di Roma, parlando alle Comunità Neocatecumenali: “Io vedo così la genesi del Neocatecumenato…, uno, non so se Kiko o altri, si è interrogato da dove veniva la forza della Chiesa primitiva e da dove viene la debolezza della chiesa di oggi, molto più numerosa? Ed io credo che abbia trovato la risposta nel catecumenato, in questo Cammino”.
Dicendo il Papa che ha visto davanti a sé: ateismo – battesimo – catecumenato, che cosa ci ha voluto dire?
Penso che dopo l’esperienza dell’ateismo fatta in Polonia, il Papa, la cui filosofia ha le sue radici nella fenomenologia di Husserl, ha voluto dire che per rispondere alla forza dell’ateismo moderno e alla secolarizzazione i cristiani battezzati hanno bisogno di un catecumenato come aveva la chiesa primitiva, un catecumenato post-battesimale.
Durante vari secoli la chiesa primitiva ha avuto un catecumenato serio, dove i catecumeni dovevano mostrare che avevano fede, perché incominciavano a fare opere di vita, opere che mostravano che in loro attuava Cristo risorto. Il battesimo era la gestazione ad una nuova creazione, dove la sintesi dell’annunzio del kerigma, la buona notizia, il cambiamento di vita morale e la liturgia era tutt’uno.
La Chiesa di oggi ha bisogno di questa formazione seria. Infatti, il punto per noi è uno solo: che si dia l’uomo nuovo, l’uomo celeste, in un itinerario serio di formazione cristiana; quell’uomo che, come dice San Paolo, porta nel suo corpo il morire di Gesù, perché si veda nel suo corpo che Cristo è vivo, in modo che quando il cristiano muore “il mondo riceve la vita”.
Questa iniziazione cristiana, che il Cammino Neocatecumenale ripropone nei suoi tratti fondamentali, ricostruisce la comunità cristiana, ispirandosi alla Sacra Famiglia di Nazaret. Nello Statuto lo si dice espressamente: “Modello della comunità neocatecumenale è la Sacra Famiglia di Nazaret, luogo storico dove il Verbo di Dio, fatto Uomo, si fa adulto crescendo ‘in sapienza, età e grazia’, stando sottomesso a Giuseppe e Maria[2]. Nella comunità i neocatecumeni divengono adulti nella fede, crescendo in umiltà, semplicità e lode, sottomessi alla Chiesa (Art. 7 § 2).
Chiesa, comunità cristiana, Famiglia di Nazaret, famiglia umana: il passaggio è chiaro. Ce lo ha detto il Papa Giovanni Paolo II in un memorabile discorso, fattoci a braccio nella festa della Sacra Famiglia, il 30 dicembre 1988, a Porto S. Giorgio, dove venne per inviare le prime 72 famiglie in missione:
“Se si deve parlare di un rinnovamento, di una rigenerazione della società umana, anzi della Chiesa come società degli uomini, si deve cominciare da questo punto, da questa missione. Chiesa Santa di Dio, tu non puoi fare la tua missione, non puoi compiere la tua missione nel mondo, se non attraverso la famiglia e la sua missione”[3].
Il Cammino Neocatecumenale ha potuto operare ciò che ha fatto sino ad ora – famiglie ricostruite, numerosi figli, vocazioni alla vita contemplativa e al sacerdozio… – solo attraverso quest’opera di ricostruzione della famiglia. Vorrei qui accennare brevemente a come si fa questo nel Cammino, educando le famiglie alla preghiera e alla trasmissione della fede ai figli: sono i genitori infatti, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, che “hanno ricevuto la responsabilità e il privilegio di evangelizzare i loro figli” (n. 2225).
Dopo che Dio si è manifestato al suo popolo sul monte Sinai, come l’unico Dio esistente, e gli ha comandato di amarlo “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”, aggiunge immediatamente: “E questo lo ripeterai ai tuoi figli quando sarai in casa tua e quando sarai in viaggio, quando ti corichi e ti alzi”… “E quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme, gli dirai: “Eravamo schiavi di faraone in Egitto e il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore ha realizzato davanti ai nostri occhi grandi segni e prodigi contro Faraone e contro la sua casa e ci ha fatto uscire di là per condurci nella terra che aveva promesso sotto giuramento ai nostri padri” (cf Dt 6,4ss).
Questo testo, che è stato così importante per il popolo ebraico durante i secoli e che ha mantenuto la famiglia ebrea unita, fa comprendere l’importanza che ha per i genitori il fatto di trasmettere la fede ai figli e fa anche capire che questo comando divino è dato ai genitori e non può essere delegato a nessun’altro. Sono loro che debbono raccontare ai figli l’amore che Dio ha avuto per loro.
Per i primi cristiani trasmettere la fede ai figli, attraverso le Sacre scritture, che si adempiono in Cristo Gesù, è stata la missione primordiale. Troviamo testimonianza di ciò nella 2a Lettera di Paolo a Timoteo: “Persevera in quello che hai imparato e creduto, sapendo da chi l’hai appreso (dalla madre Eunice) e che fin dall’infanzia conosci le sacre Scritture” (2 Tim 3,14-15). E questa tradizione si è mantenuta, in forme diverse, lungo i secoli, nelle famiglie cristiane. Ne danno testimonianza numerosi fanciulli e giovani martiri.
Il Cammino neocatecumenale, in quanto iniziazione cristiana nelle diocesi e nelle parrocchie, insegna oggi alle coppie anche a trasmettere la fede ai figli, soprattutto in una celebrazione familiare, in una liturgia domestica.
La famiglia cristiana, diciamo loro, ha tre altari: il primo, la mensa della santa eucaristia, dove Cristo offre il sacrificio della sua vita per la nostra salvezza; il secondo, il talamo nuziale, dove si attua il sacramento del matrimonio e si dà la vita ai nuovi figli di Dio, talamo nuziale da tenere in grande onore e gloria; il terzo altare è la mensa della famiglia, dove essa mangia unita, benedicendo il Signore per tutti i suoi doni. Attorno a questa stessa tavola si fa la celebrazione domestica, nella quale si passa la fede ai figli.
Dopo oltre trent'anni di cammino, uno dei frutti che più consolano è vedere le famiglie ricostruite diventare vera "chiesa domestica". Queste famiglie, aperte alla vita, e quindi di solito numerose, assolvono il compito primario della famiglia cristiana di trasmettere la fede ai propri figli.
Oltre alla preghiera del mattino e della sera, alla preghiera prima dei pasti e oltre alla partecipazione, insieme con i genitori, all’eucaristia nella propria comunità, la trasmissione della fede ai figli avviene fondamentalmente, come abbiamo detto prima, in una celebrazione domestica, che abitualmente viene fatta nel giorno del Signore.
In questa celebrazione i genitori pregano i salmi delle lodi con i figli, leggono le Sacre Scritture e domandano loro: "Cosa dice a te, per la tua vita, questa parola?" E' impressionante vedere come i figli applicano la parola di Dio alla propria storia concreta. Alla fine il padre e la madre dicono una parola di commento, partendo dalla propria esperienza, e invitano i figli a pregare per il Papa, per la Chiesa, per quelli che soffrono, ecc. Poi si prega il Padre nostro e si danno la pace; e la celebrazione si conclude con la benedizione dei genitori su ciascuno dei figli.
La Marialis cultus, di Papa Paolo VI, al n. 53 afferma: “Conformemente alle direttive conciliari, i Principi e Norme per la Liturgia delle Ore giustamente annoverano il nucleo familiare tra i gruppi a cui si addice la celebrazione in comune dell’Ufficio divino: ‘Conviene (…) che la famiglia, come santuario domestico della Chiesa, non soltanto elevi a Dio la preghiera in comune, ma reciti anche, secondo le circostanze, alcune parti della Liturgia delle Ore, per inserirsi così più intimamente nella Chiesa’ (n. 27). Nulla deve essere lasciato intentato perché questa chiara e pratica indicazione, trovi nelle famiglie cristiane crescente e gioiosa applicazione”.
E al n. 54 prosegue: “Dopo la celebrazione della Liturgia delle Ore – culmine a cui può giungere la preghiera domestica –, non v’è dubbio che la Corona della Beata Vergine Maria sia da ritenere come una delle più eccellenti ed efficaci preghiere in comune, che la famiglia cristiana è invitata a recitare”.
Risultato di questa importante attenzione dei genitori ai propri figli è che quasi tutti sono nella Chiesa. E’ per questo che tanti giovani sono nelle comunità neocatecumenali. Da queste famiglie stanno sorgendo migliaia di vocazioni per i seminari e per i monasteri.
Noi siamo lieti che il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II si impegni così tanto nella ricerca sulla famiglia e che possa, in questo modo specifico, aiutare i genitori a trasmettere la propria fede ai figli. È una missione importante che va sostenuta ed incoraggiata.
Come abbiamo accennato, oggi è di vitale importanza per la famiglia cristiana una celebrazione familiare, una liturgia domestica, dove possano incontrarsi, almeno una volta alla settimana, le due generazioni – figli e genitori – e dove possano pregare e dialogare mettendo la parola e il Signore Gesù risorto al centro.
La nostra società sta destrutturando la famiglia: nei tempi (ritmi di lavoro e orari scolastici), nei componenti (coppie di fatto, divorzio, ecc.), nei modi di vivere, ma soprattutto attraverso una cultura che ci attornia contraria ai valori del Vangelo.
Noi siamo convinti che la vera battaglia che la Chiesa è chiamata a sostenere nel terzo millennio, la vera sfida che deve assumere, e dove si gioca il futuro, è la famiglia.
Il Papa Giovanni Paolo II, nell’Omelia di Porto S. Giorgio del 30 dicembre 1988 che ricordavo sopra, ce ne ha affidato il pressante incarico. Con tanta forza ci ha detto:
“Dovete, con tutte le vostre preghiere, con la vostra testimonianza, con la vostra forza, dovete aiutare la famiglia, dovete proteggerla contro ogni distruzione. Se non c'è un'altra dimensione in cui l'uomo possa esprimersi come persona, come vita, come amore, si deve di re anche che non esiste altro luogo, altro ambiente in cui l'uomo possa essere più distrutto. Oggi si fanno molte cose per normalizzare queste distruzioni, per legalizzare queste distruzioni; distruzioni profonde, ferite profonde dell'umanità. Si fa tanto per sistemare, per legalizzare. In questo senso si dice ‘proteggere’. Ma non si può proteggere veramente la famiglia senza entrare nelle radici, nelle realtà profonde, nella sua intima natura; e questa sua natura intima è la comunione delle persone ad immagine e somiglianza della comunione divina. Famiglia in missione, Trinità in missione”[4].
Siamo perciò contenti di poter collaborare con questo Istituto così amato dal Servo di Dio Giovanni Paolo II, apportando l’esperienza di tante famiglie, di ogni condizione sociale e cultura. Dobbiamo essere accanto alle famiglie, sempre, sostenere la preghiera in famiglia (la celebrazione familiare cui sopra accennavo) ed aiutare i genitori a trasmettere la fede ai figli.
Anche se molte famiglie non hanno il sostegno di una formazione cristiana comunitaria qual è il Cammino neocatecumenale, siamo convinti che questo lavoro comune sarà per tante famiglie un piccolo seme che si sparge e che con la grazia dello Spirito Santo un giorno potrà diventare un grande albero, un albero bello, pieno di frutti: tanti adulti che non dimenticheranno mai quella celebrazione della propria famiglia, dove hanno visto i genitori amare e pregare Dio con vera convinzione.

Laterano, 13 maggio 2009


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1) Ad affermarlo sono due testi autorevoli: “Catecumenato post-battesimale per l’approfondimento della vista cristiana”, in Notitiae, 95-96, iulio-augusto 1974, p. 229-230: “Omnes reformationes in Ecclesia novos gignerunt inceptus novasque promoverunt instituta, quae optata reformatinis ad rem deduxerunt. Ita evenit post Concilium Tridentinum; nec aliter nunc fieri poterat. Instauratio liturgica profunde incidit in vitam Ecclesiae… Praeclarum exemplar huius renovationis invenitur in ‘Communitatibus Neochatecumenalibus…’”. Anche Giovanni Paolo II, ricevendo gli Iniziatori del Cammino e i catechisti itineranti a Castel Gandolfo il 21 settembre 2002, a tre mesi dalla prima approvazione dello Statuto del Cammino, ebbe a dire: “In una società secolarizzata come la nostra, dove dilaga l’indifferenza religiosa e molte persone vivono come se Dio non ci fosse, sono in tanti ad aver bisogno di una nuova scoperta dei sacramenti dell’iniziazione cristiana; specialmente di quello del Battesimo. Il Cammino è senz’altro una delle risposte provvidenziali a questa urgente necessità…” (Discorso agli iniziatori del Cammino, ai catechisti itineranti e ai presbiteri, n. 2, in Neocatechumenale Iter – Statuta, 121-122).
2) Cfr. Lc 2,52.
3) Il testo del Santo Padre diceva ancora: “La missione divina del Verbo è quella di parlare, di dare testimonianza del Padre. È la famiglia che parla per prima, che rivela per prima questo mistero, che per prima dà testimonianza di Dio, del Padre Amore davanti alle nuove generazioni. La sua parola è più efficace.
Così ogni famiglia umana, ogni famiglia cristiana, si trova in missione. Questa è la missione della Verità. La famiglia non può vivere senza Verità, anzi essa è il luogo in cui esiste una sensibilità estrema per la Verità. Se manca la Verità nella relazione, nella comunione delle persone: marito, moglie, padri, madri, figli, se manca la Verità si rompe la comunione, si distrugge la missione. Voi tutti sapete bene come questa comunione della famiglia sia veramente sottile, delicata, facilmente vulnerabile. E così si rispecchia nella famiglia, insieme con la missione del Verbo, del Figlio, anche la missione dello Spirito Santo che è Amore. La famiglia è in missione, e questa missione è fondamentale per ogni popolo, per l'umanità intera; è la missione dell'Amore e della Vita, è la testimonianza dell'Amore e della Vita.
Carissimi, io sono venuto qui molto volentieri. Ho accolto molto volentieri il vostro invito nella festa della Sacra Famiglia per pregare insieme con voi per la cosa più fondamentale e più importante nella missione della Chiesa: per il rinnovamento spirituale della famiglia, delle famiglie umane e cristiane in ogni popolo, in ogni nazione, specialmente forse nel nostro mondo occidentale, più avanzato, più marcato dai segni e dai benefici del progresso ma anche dalle mancanze di questo progresso unilaterale. Se si deve parlare di un rinnovamento, di una rigenerazione della società umana, anzi della Chiesa come società degli uomini, si deve cominciare da questo punto, da questa missione. Chiesa Santa di Dio, tu non puoi fare la tua missione, non puoi compiere la tua missione nel mondo, se non attraverso la famiglia e la sua missione.
Questa è la finalità principale per cui io ho accolto il vostro invito a stare insieme e pregare insieme in questo ambiente composto soprattutto dalle famiglie, dagli sposi, dai bambini, anzi da famiglie itineranti. È una bella cosa. Vediamo che anche la Famiglia di Nazareth è una famiglia itinerante. E lo è stata subito, sin dai primi giorni di vita del Divino Fanciullo, del Verbo Incarnato. Essa doveva diventare famiglia itinerante, sì, itinerante ed anche rifugiata” (L’Osservatore Romano, 31 dicembre 1988).
4) L’Osservatore Romano, 31 dicembre 1988.


La visita al Caritas baby hospital di Betlemme - I bambini innocenti meritano un posto sicuro dai conflitti – L’Osservatore Romano, 14 maggio 2009
Cari Amici,
vi saluto affettuosamente nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, "che è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio ed intercede per noi" (cfr. Rm 8, 34). Possa la vostra fede nella sua Risurrezione e nella sua promessa di nuova vita mediante il Battesimo riempire i vostri cuori di gioia in questo tempo pasquale! Sono grato per il caloroso benvenuto rivoltomi a vostro nome da Padre Michael Scheiger, Presidente dell'Associazione di Kinderhilfe, Mr. Ernesto Langensand, il quale sta completando il suo periodo di Amministratore Capo della Caritas Baby Hospital, e Madre Erika Nobs, Superiora di questa locale comunità delle Suore Elisabettine Francescane di Padova. Saluto anche cordialmente l'Arcivescovo Robert Zollitsch ed il Vescovo Kurt Koch, che rappresentano rispettivamente le Conferenze Episcopali tedesca e svizzera, che hanno fatto avanzare la missione del Caritas Baby Hospital mediante la loro generosa assistenza finanziaria. Dio mi ha benedetto con questa opportunità di esprimere agli amministratori, medici, infermiere e personale del Caritas Baby Hospital il mio apprezzamento per l'inestimabile servizio che hanno offerto - e continuano ad offrire - ai bambini della regione di Betlemme e di tutta la Palestina da più di cinquant'anni. Padre Ernst Schnydrig fondò questa struttura nella convinzione che i bambini innocenti meritano un posto sicuro da tutto ciò che può far loro del male in tempi e luoghi di conflitto. Grazie alla dedizione del Children's Relief Bethlehem, questa istituzione è rimasta un'oasi quieta per i più vulnerabili, e ha brillato come un faro di speranza circa la possibilità che l'amore ha di prevalere sull'odio e la pace sulla violenza. Ai giovani pazienti ed ai membri delle loro famiglie che traggono beneficio dalla vostra assistenza, desidero semplicemente dire: "Il Papa è con voi"! Oggi egli è con voi in persona, ma ogni giorno egli accompagna spiritualmente ciascuno di voi nei suoi pensieri e nelle sue preghiere, chiedendo all'Onnipotente di vegliare su di voi con la sua premurosa attenzione. Padre Schnydrig descrisse questo luogo come "uno dei più piccoli ponti costruiti per la pace". Ora, essendo cresciuto da quattordici brande ad ottanta letti, e curandosi delle necessità di migliaia di bambini ogni anno, questo non è più un ponte piccolo! Esso accoglie insieme persone di origini, lingue e religioni diverse, nel nome del Regno di Dio, il Regno della Pace (cfr. Rm 14, 17). Di cuore vi incoraggio a perseverare nella vostra missione di manifestare amore per tutti gli ammalati, i poveri e i deboli. In questa Festa di Nostra Signora di Fatima, gradirei concludere invocando l'intercessione di Maria mentre imparto la Benedizione Apostolica ai bambini e a tutti voi. Preghiamo: Maria, Salute dell'Infermo, Rifugio dei Peccatori, Madre del Redentore: noi ci uniamo alle molte generazioni che ti hanno chiamata "Benedetta". Ascolta i tuoi figli mentre invochiamo il tuo nome. Tu hai promesso ai tre bambini di Fatima: "Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà". Che così avvenga! Che l'amore trionfi sull'odio, la solidarietà sulla divisione e la pace su ogni forma di violenza! Possa l'amore che hai portato a tuo Figlio insegnarci ad amare Dio con tutto il nostro cuore, con tutte le forze e con tutta l'anima. Che l'Onnipotente ci mostri la sua misericordia, ci fortifichi con il suo potere, e ci ricolmi di ogni bene (cfr. Lc 1, 46-56). Noi chiediamo al tuo Figlio Gesù di benedire questi bambini e tutti i bambini che soffrono in tutto il mondo. Possano ricevere la salute del corpo, la forza della mente e la pace dell'anima. Ma soprattutto, che sappiano che sono amati con un amore che non conosce confini né limiti: l'amore di Cristo che supera ogni comprensione (cfr. Ef 3, 19). Amen.
(©L'Osservatore Romano - 14 maggio 2009)


Da Gerusalemme a Betlemme. Dove "toccare" i fondamenti della fede - Benedetto XVI esorta i cristiani a non abbandonare la Terra Santa. "Lì c'è posto per tutti", dice. Per due popoli e per due Stati in pace tra loro. E per le tre religioni di Abramo, unite nel servizio della famiglia umana - di Sandro Magister

ROMA, 14 maggio 2009 – Benedetto XVI ha trascorso l'intera giornata di mercoledì nei Territori palestinesi: a Betlemme e nel campo profughi di Aida.

E questa è stata, inevitabilmente, la giornata più "politica" del suo viaggio. Il papa si è incontrato a più riprese con il presidente Abu Mazen, ha tenuto dei discorsi a lui e alla popolazione palestinese, ha camminato in luoghi segnati dal conflitto. Ad Aida l'alto muro che divide Israele dai Territori era visibilissimo, incombente.

Benedetto XVI non si è sottratto alle aspettative. Ha invocato un superamento del conflitto all'insegna dei due popoli e due Stati. Ha reclamato sicurezza per Israele. Ha detto ai palestinesi di rifiutare il terrorismo. Ha auspicato l'abbattimento del muro.

Un obiettivo di papa Joseph Ratzinger, in questo viaggio, era di conquistare il consenso dei cattolici arabi, fortemente ostili ad Israele. In Giordania ci è riuscito. A ovest del Giordano l'impresa era più difficile. Ma le tappe di Betlemme e di Aida hanno giovato. Il papa è stato molto sobrio nel richiamare le ragioni di Israele e molto esplicito e partecipe, invece, nel tratteggiare le ragioni dei palestinesi e soprattutto la loro sofferenza.

Sarebbe però riduttivo e fuorviante interpretare in chiave solo politica il messaggio complessivo che Benedetto XVI ha voluto rivolgere ai cristiani di Terra Santa.

A giudizio del papa la Chiesa sarà influente – anche sul terreno politico – se saprà fare altro: se aiuterà anzitutto a "rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo".

Benedetto XVI mira primariamente a convertire a Dio i cuori e le menti. L'ha detto e l'ha scritto più volte.

Ed è rimasto fedelissimo a questa sua "priorità" anche in un viaggio pur così carico di valenza politica come questo in Terra Santa.

Per capirlo, basta ripercorrere i gesti e le parole con cui egli ritma il viaggio.

Qui di seguito è riportata una piccola antologia delle parole da lui dette mercoledì 13 maggio a Betlemme e Aida, e il giorno precedente a Gerusalemme.

I passaggi più direttamente politici sono riportati per primi. Ma in essi già si coglie che lo sguardo di Benedetto XVI va oltre.

E questo "oltre" egli l'ha esplicitato soprattutto nelle omelie delle messe celebrate il 12 maggio a Gerusalemme nella Valle di Giosafat e il 13 maggio a Betlemme nella Piazza della Mangiatoia, presenti migliaia di fedeli, alcuni dei quali accorsi fin da Gaza.

Ai cristiani ha detto di non abbandonare la Terra Santa, come hanno fatto soprattutto negli ultimi anni. Ma perché restare? La risposta del papa è sorprendente, assolutamente da leggere. Rimanda al "vedere" e al "toccare" dei primi discepoli di Gesù. Al fondamento sensibile della fede.

Altri lampi della visione che Ratzinger vuole trasmettere sono i passaggi dedicati a Gerusalemme e a Betlemme: alla potenza simbolica, profetica, teologica di queste città sante.

E infine è tutto da leggere il discorso tenuto da Benedetto XVI ai capi musulmani la mattina del 12 maggio a Gerusalemme, dopo aver visitato – prima volta assoluta per un papa – la Cupola della Roccia, sul luogo del sacrificio di Abramo e dell'ascesa di Maometto al cielo.

Una magnifica sintesi di come questo papa vede il servizio che ebraismo, cristianesimo ed islam possono dare all'unità della famiglia umana.

Ecco dunque l'antologia, in cinque capitoli:

1. IL PAPA "POLITICO". DAI DISCORSI NEI TERRITORI
A Betlemme, la mattina di mercoledì 13 maggio:


Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del suo popolo ad una sovrana patria palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti. [...]

È mia ardente speranza che i gravi problemi riguardanti la sicurezza in Israele e nei Territori palestinesi vengano presto decisamente alleggeriti così da permettere una maggiore libertà di movimento, con speciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi.

I palestinesi, così come ogni altra persona, hanno un naturale diritto a sposarsi, a formarsi una famiglia e avere accesso al lavoro, all’educazione e all’assistenza sanitaria. Prego anche perché, con l’assistenza della comunità internazionale, il lavoro di ricostruzione possa procedere rapidamente dovunque case, scuole od ospedali siano stati danneggiati o distrutti, specialmente durante il recente conflitto in Gaza. Questo è essenziale affinché il popolo di questa terra possa vivere in condizioni che favoriscano pace durevole e benessere. [...]

Rivolgo questo appello ai tanti giovani presenti oggi nei Territori palestinesi: non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo.


Al campo profughi di Aida, nel pomeriggio di mercoledì 13 maggio:

Cari amici, la mia visita al campo profughi di Aida questo pomeriggio mi offre la gradita opportunità di esprimere la mia solidarietà a tutti i palestinesi senza casa, che bramano di poter tornare ai luoghi natii, o di vivere permanentemente in una patria propria. [...]

So che molte vostre famiglie sono divise – a causa di imprigionamento di membri della famiglia o di restrizioni alla libertà di movimento – e che molti tra voi hanno sperimentato perdite nel corso delle ostilità. Il mio cuore si unisce a quello di coloro che, per tale ragione, soffrono. Siate certi che tutti i profughi palestinesi nel mondo, specie quelli che hanno perso casa e persone care durante il recente conflitto di Gaza, sono costantemente ricordati nelle mie preghiere. [...]

Quanto le persone di questo campo, di questi Territori e dell’intera regione anelano alla pace! In questi giorni tale desiderio assume una particolare intensità mentre ricordate gli eventi del maggio del 1948 e gli anni di un conflitto tuttora irrisolto, che seguirono a quegli eventi. Voi ora vivete in condizioni precarie e difficili, con limitate opportunità di occupazione. È comprensibile che vi sentiate spesso frustrati. Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue.

Tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale, anela a che la pace metta fine alle perenni ostilità. Incombente su di noi, mentre siamo qui riuniti questo pomeriggio, è la dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra israeliani e palestinesi: il muro. In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri. Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!

Da entrambe le parti del muro è necessario grande coraggio per superare la paura e la sfiducia, se si vuole contrastare il bisogno di vendetta per perdite o ferimenti. Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati. E tuttavia la storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni, prendendo sul serio gli interessi e le preoccupazioni degli altri e cercando decisamente di costruire un’atmosfera di fiducia. Deve esserci una determinazione ad intraprendere iniziative forti e creative per la riconciliazione: se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro, il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative.

L’aiuto umanitario, come quello che viene offerto in questo campo, ha un ruolo essenziale da svolgere, ma la soluzione a lungo termine ad un conflitto come questo non può essere che politica. Nessuno s’attende che i popoli palestinese e israeliano vi arrivino da soli. È vitale il sostegno della comunità internazionale. Rinnovo perciò il mio appello a tutte le parti coinvolte perché esercitino la propria influenza in favore di una soluzione giusta e duratura, nel rispetto delle legittime esigenze di tutte le parti e riconoscendo il loro diritto di vivere in pace e con dignità, secondo il diritto internazionale.

Allo stesso tempo, tuttavia, gli sforzi diplomatici potranno avere successo soltanto se gli stessi palestinesi e israeliani saranno disposti a rompere con il ciclo delle aggressioni.


A Betlemme, la sera di mercoledì 13 maggio:

Signor Presidente, cari amici, [...] con angoscia ho visto la situazione dei rifugiati che, come la Santa Famiglia, hanno dovuto abbandonare le loro case. Ed ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie, circondare il vicino campo e nascondere molta parte di Betlemme. Anche se i muri possono essere facilmente costruiti, noi tutti sappiamo che non durano per sempre. Essi possono essere abbattuti. Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo.

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2. CRISTIANI NELLA TERRA SANTA. PERCHÉ RESTARE
Dall'omelia della messa nella Valle di Giosafat, martedì 12 maggio:


Cari fratelli e sorelle, [...] vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà – che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa città e questa terra – della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti. Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città.

Desidero oggi ripetere quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede.

Cari amici, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, san Pietro e san Giovanni corrono alla tomba vuota, e Giovanni, ci è stato detto, “vide e credette” (Giovanni 20, 8), Qui in Terra Santa, con gli occhi della fede, voi insieme con i pellegrini di ogni parte del mondo che affollano le chiese e i santuari, siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal dono del suo Santo Spirito. Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità di “toccare” le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio.

La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a “vedere e credere” nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia, ad “ascoltare” con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione apostolica e a “toccare” le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane.

Nella Chiesa del Santo Sepolcro, i pellegrini di ogni secolo hanno venerato la pietra che la tradizione ci dice che stava all’ingresso della tomba la mattina della risurrezione di Cristo. Torniamo spesso a questa tomba vuota. Riaffermiamo lì la nostra fede sulla vittoria della vita, e preghiamo affinché ogni “pietra pesante” posta alla porta dei nostri cuori, a bloccare la nostra completa resa alla fede, alla speranza e all’amore per il Signore, possa essere tolta via dalla forza della luce e della vita che da quel primo mattino di Pasqua risplendono da Gerusalemme su tutto il mondo.


Dall'omelia della messa nella Piazza della Mangiatoia, mercoledì 13 maggio:

Cari fratelli e sorelle, [...] “non abbiate paura!”. Questo è il messaggio che il successore di San Pietro desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo. Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire. Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione. Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica.

Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane. La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura “spirituale”, capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune. Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!

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3. IL MISTERO DI GERUSALEMME
Dall'omelia della messa nella Valle di Giosafat, martedì 12 maggio:


Cari fratelli e sorelle, [...] l’esortazione di Paolo di “cercare le cose di lassù” (Colossesi 3, 1) deve continuamente risuonare nei nostri cuori. Le sue parole ci indicano il compimento della visione di fede in quella celeste Gerusalemme dove, in conformità con le antiche profezie, Dio asciugherà le lacrime da ogni occhio e preparerà un banchetto di salvezza per tutti i popoli (cfr. Isaia 25, 6-8; Apocalisse 21, 2-4). Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia. [...]

Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo. Ebrei, musulmani e cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale. Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una "città della pace" per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, “una voce che parla di pace” (cfr. Salmo 85, 8)!

Gerusalemme in realtà è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua, le cui mura sono un simbolo della cura provvidente di Dio per l’intera famiglia umana. Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi ebrei, cristiani o musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati.

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4. IL MISTERO DI BETLEMME
Dall'omelia della messa nella Piazza della Mangiatoia, mercoledì 13 maggio:

Cari fratelli e sorelle, [...] il Signore degli eserciti, “le cui origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti” (Michea 5, 2), volle inaugurare il suo regno nascendo in questa piccola città, entrando nel nostro mondo nel silenzio e nell’umiltà in una grotta, e giacendo, come bimbo bisognoso di tutto, in una mangiatoia. Qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizione, le pietre continuano a gridare questa “buona novella”, il messaggio di redenzione che questa città, al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo.

Qui infatti, in un modo che sorpassa tutte le speranze e aspettative umane, Dio si è mostrato fedele alle sue promesse. Nella nascita del suo Figlio, Egli ha rivelato la venuta di un regno d’amore: un amore divino che si china per portare guarigione e per innalzarci; un amore che si rivela nell’umiliazione e nella debolezza della croce, eppure trionfa nella gloriosa risurrezione a nuova vita.

Cristo ha portato un regno che non è di questo mondo, eppure è un regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà. Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamati ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte.

E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire!

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5. EBREI, CRISTIANI E MUSULMANI PER L'UNITÀ DELLA FAMIGLIA UMANA
Dal discorso dopo la visita della Cupola della Roccia, a Gerusalemme, martedì 12 maggio:

La Cupola della Roccia conduce i nostri cuori e le nostre menti a riflettere sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo. Qui le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune. Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto. Ciascuna riconosce Abramo come proprio antenato, un uomo di fede al quale Dio ha concesso una speciale benedizione. Ciascuna ha raccolto schiere di seguaci nel corso dei secoli ed ha ispirato un ricco patrimonio spirituale, intellettuale e culturale. [...]

Poiché gli insegnamenti delle tradizioni religiose riguardano ultimamente la realtà di Dio, il significato della vita ed il destino comune dell’umanità – vale a dire, tutto ciò che è per noi molto sacro e caro – può esserci la tentazione di impegnarsi in tale dialogo con riluttanza o ambiguità circa le sue possibilità di successo. Possiamo tuttavia cominciare col credere che l’Unico Dio è l’infinita sorgente della giustizia e della misericordia, perché in Lui entrambe esistono in perfetta unità. Coloro che confessano il suo nome hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrinsecamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana.

Per questa ragione, è scontato che coloro che adorano l’Unico Dio manifestino essi stessi di essere fondati su ed incamminati verso l’unità dell’intera famiglia umana. In altre parole, la fedeltà all’Unico Dio, il Creatore, l’Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l’uno all’altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune. Marcati con l’indelebile immagine del divino, essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana.

Questo pone una grave responsabilità su di noi. Coloro che onorano l’Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni. I cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro e a servirlo nella carità. L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto. Questa è la ragione perché operiamo instancabilmente per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta.

Cari amici, sono venuto a Gerusalemme in un pellegrinaggio di fede. Ringrazio Dio per questa occasione che mi è data di incontrarmi con voi come vescovo di Roma e successore dell’apostolo Pietro, ma anche come figlio di Abramo, nel quale “tutte le famiglie della terra si diranno benedette” (Genesi 12, 3; cfr. Romani 4, 16-17). Vi assicuro che è ardente desiderio della Chiesa di cooperare per il benessere dell’umana famiglia. Essa fermamente crede che la promessa fatta ad Abramo ha una portata universale, che abbraccia tutti gli uomini e le donne indipendentemente dalla loro provenienza o da loro stato sociale. Mentre musulmani e cristiani continuano il dialogo rispettoso che già hanno iniziato, prego affinché essi possano esplorare come l’Unicità di Dio sia inestricabilmente legata all’unità della famiglia umana. Sottomettendosi al suo amabile piano della creazione, studiando la legge inscritta nel cosmo ed inserita nel cuore dell’uomo, riflettendo sul misterioso dono dell’autorivelazione di Dio, possano tutti coloro che vi aderiscono continuare a tenere lo sguardo fisso sulla sua bontà assoluta, mai perdendo di vista come essa sia riflessa sul volto degli altri.


Il Marciapiedaio del 13 Maggio - Giovanni Paolo II si salva miracolosamente da un attentato - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 13 maggio 2009
Da ricordare

1917 - Tre piccoli contadini sostengono di aver visto la Beata Vergine Maria sopra un leccio, a Cova da Iria vicino a Fatima, Portogallo

1981 - Mehmet Ali Agca tenta di assassinare Papa Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro a Roma

Questi due avvenimenti che oggi ricordiamo sono tra loro già connessi: l’anniversario di Fatima e la miracolosa sopravvivenza di papa Giovanni Paolo II all’attentato condotto in piazza S.Pietro da un killer professionista, Ali Agca, che si vantava di non avere mai fallito nell’esecuzione degli assassini a lui affidati.
E’ noto che lo stesso Giovanni Paolo II attribuì la sua salvezza ad un intervento della Madonna di Fatima, alla quale offrì la pallottola deviata in segno di gratitudine.

Attentato al Papa (Dal video curato dal CTV)
Due spari in rapida successione in Piazza S. Pietro. Sono le 17,17 del 13 maggio 1981. Il Papa ha appena abbracciato una bambina dai boccoli d'oro e si chiama Sara Bartoli. Fa ancora pochi metri sulla jeep bianca scoperta e si accascia colpito all'addome. A poca distanza un turco, che ha preso la mira: Mehmet Ali Agca, 23 anni, è convinto di averlo ucciso.
Agca è un terrorista professionista, noto alle polizie di mezzo mondo. È lì per assassinare il primo Papa in epoca moderna, vuole passare alla storia anche se, dietro di lui, c'è una trama di connivenze, aiuti dei servizi segreti dell'Est fiancheggiatori della peggior specie, pronti a vendersi l'anima a chi paga di più. Agca impugna una "Browning" calibro 9. Spara con precisione. Ma avviene il miracolo. Le pallottole trapassano il corpo del Papa ma non ledono gli organi vitali. Più tardi dirà: "Una mano ha premuto il grilletto, un'altra mano materna ha deviato lo traiettoria del proiettile. E il Papa agonizzante si è fermato sulla soglia della morte". Giovanni Paolo Il è convinto che sia stata la Madonna a salvarlo: il 13 maggio è il giorno della prima apparizione della Vergine di Fatima nel 1917 ai pastorelli. Sabato 16 maggio registra, in sala di rianimazione al Policlinico Gemelli, la preghiera domenicale. La voce affaticata del Papa ferito viene diffusa domenica 17 maggio: "Prego per il fratello che mi ha colpito, al quale ho sinceramente perdonato. Unito a Cristo, sacerdote e vittima, offro le mie sofferenze per lo Chiesa e il mondo". Il segno del sangue modifica anche la popolarità già immensa di questo Papa e lo fa come lievitare, immettendovi un elemento di maggiore profondità. Nella sofferenza si innesta la grazia della redenzione. Il dolore che salva. Il 13 maggio 2000 il Papa permette che si tolga il velo al segreto del secolo, alla "Terza parte del Segreto di Fatima". Quel "vescovo vestito di bianco che cammina fra i cadaveri dei carbonizzati e giunge ai piedi di una grande croce e cade a terra morto colpito da frecce e armi da fuoco" secondo suor Lucia è proprio Giovanni Paolo Il! Una profezia che accompagna le inchieste giudiziarie. Seguendo la "pista bulgara" si trovano i complici come Oral Celik, Omer Ay, Sedat Kadem. Un intrigo internazionale dai contorni ambigui e velenosi.


TERRA SANTA/ Pizzaballa: non ci interessa solo la pace, ma la memoria dell’incarnazione - INT. Pierbattista Pizzaballa - giovedì 14 maggio 2009 – ilsussidiario.net
«Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva», ha detto ieri il Papa ai fedeli durante la Messa celebrata a Betlemme. Un abbraccio, quello che Benedetto XVI ha rivolto ai cristiani; l’abbraccio di chi conosce bene le sofferenze di tutti quelli che sono vittime della guerra, colpiti negli affetti e costretti a lasciare la propria casa. Ieri il papa ha parlato dinanzi al muro, al simbolo della divisione tra Israele e territori palestinesi. I muri non sono per sempre, ha detto, e ha esortato i cristiani a costruire «una cultura di pace che super l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione». Il Custode di Terrasanta, padre Pierbattista Pizzaballa, è stato con il Papa in tutti questi giorni. Lo raggiungiamo al telefono, in serata. Dopo tutto quel che si è detto sulla visita, non usa mezzi termini. «Siamo qui - dice - innanzitutto non per la pace, o per la riconciliazione: questo viene dopo. Ma per tenere viva la memoria dell’incarnazione».
Padre Pizzaballa, in questi giorni l’attenzione è stata catalizzata dal tema della riappacificazione tra Chiesa e mondo ebraico. Qual è il tema del pellegrinaggio di Benedetto XVI che le sta più a cuore?
C’è naturalmente quello che hanno sottolineato tutti: il rafforzamento del dialogo con Israele, ma anche con i palestinesi e con l’islam. Ma il cuore del viaggio e quello che il Papa stesso aveva detto: una visita di incoraggiamento alla comunità cristiana, un abbraccio. Ce n’era bisogno. La nostra gente se ne va, i numeri sono ridotti.
Il messaggio di Betlemme - ha detto oggi il Papa - è quello di unità, di redenzione e compimento dell’uomo proprio del Vangelo. Come questo messaggio interpella la sua vocazione di pastore?
Mi sono ritrovato molto nelle parole che ha detto. In genere la stampa cerca subito quelle frasi che hanno un significato politico più diretto; in realtà le si trova in un contesto che è prima di tutto pastorale e spirituale. Mi sono sentito richiamato, come cristiano, come pastore, alla radice del nostro stare qui. Che non è per la pace, o per la riconciliazione: questo viene dopo. Innanzitutto, è per tenere viva la memoria dell’incarnazione, che non è un messaggio, ma un fatto realmente avvenuto.
Ieri, nell’omelia di Betlemme ancora una volta il Papa si è rivolto ai fedeli cristiani esortandoli a non avere paura, e a rimanere. Come questo sfida la sua missione?
Quello è stato un invito molto importante, perché molti vanno via, purtroppo. Rimanere, nonostante le difficoltà, i problemi, le paure, le pressioni, richiede un atto di coraggio. Ci vuole coraggio, serve una visione. Soprattutto una carica di passione, che solo la fede è in grado di dare.
Lei ha detto che “il muro più pericoloso è quello che è stato costruito negli anni da tutti dentro i cuori”. Questo in concreto come sfida la sua fede?
Anche il muro fisico è pericoloso, sia ben chiaro. Comunque è vero: come uomo che vive qui, e come pastore, posso dire che bisogna sì parlare contro quel muro che è stato eretto, ma bisogna anche lavorare per scongiurare il rischio che questa lotta crei rancore, crei odio dentro di noi. Bisogna impegnarsi perché si mantenga sempre una libertà, una serenità interiore. Bisogna lavorare contro il muro, ma non contro gli israeliani o contro i palestinesi.
Quello di Benedetto XVI è un pellegrinaggio. A suo avviso ha anche una dimensione politica?
Questo è inevitabile: tutto in Terra santa diventa politica. Con le conseguenze che spesso, come si cerca di fare con il Papa - ma vale per tutto, qui - tutti i gesti e tutte le espressioni che hanno innanzitutto un significato religioso, spirituale o anche semplicemente umano, acquisiscono un significato politico. Il Papa si è sbilanciato a dir questo, ha taciuto quest’altro… ma molto spesso un significato politico diretto non c’è. C’è invece una visione di fede.
Cosa si attende da questa visita del Papa?
Innanzitutto mi auguro che la comunità cristiana si senta un po’ risollevata. E poi che questa faticosa prova di incontro continui, che questa visita non resti una parentesi, ma che sia l’inizio di qualcosa di nuovo.


TERRA SANTA/ Il racconto di Suor Donatella: l’abbraccio del Papa ai nostri “bambin Gesù” - Redazione - giovedì 14 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Quando la raggiungiamo al telefono sono passati solo pochi minuti dalla visita del Papa, e la voce trema ancora per l’emozione. «Non so come definire questo momento: vorrei dire che è stata una cosa grande, importantissima, ma non renderebbe assolutamente l’idea». Suor Donatella lavora al “Caritas Baby Hospital” di Betlemme, dove ieri, nel corso del lungo e impegnativo pellegrinaggio in Terra Santa, ha fatto tappa Benedetto XVI. La sua voce è sì emozionata, ma è al tempo stesso squillante, quasi incapace di contenere la gioia. «Il Santo Padre è stato accolto con un’emozione e con un entusiasmo fortissimo non solo da noi suore, ma da tutto il personale che lavora qui all’ospedale». Una struttura da 82 posti letto, dove ogni anno, come racconta Suor Donatella, «ben 30 mila bimbi vengono visitati nei nostri ambulatori, e circa 4.000 bambini vengono ricoverati. Ma si tratta di numeri che vanno continuamente crescendo»
Il cuore della visita di ieri è stato naturalmente l’incontro tra il Papa e i bambini. «Il Papa», dice sempre emozionata Suor Donatella, «è entrato in uno dei reparti pediatrici, e ha preso per mano tutti i bambini che si trovano qui. Li ha guardati uno ad uno, li ha abbracciati, li ha benedetti. E questo straordinario affetto paterno è stato trasmesso e comunicato anche alle mamme di questi bambini, che, pur essendo per la maggior parte musulmane, avevano ugualmente nel volto una gioia immensa, perché comprendevano il significato e l’importanza di questa visita».
Ma che valore ha avuto la visita del Papa per queste suore, che vivono la missione di carità nella terra più sacra e al tempo stesso più difficile e tormentata del mondo? «Per noi è stato il riconoscimento del valore della nostra attività. È stato come un definitivo confermarci nella carità, cioè in quel servizio che principalmente ci caratterizza. Come dice il nome stesso del nostro ospedale, la “caritas” cristiana è il fondamento del nostro impegno: cercare di donare ai bimbi palestinesi, ai piccoli “bambin Gesù” che oggi vivono a Betlemme le nostre cure e la nostra carità».
L’abbraccio del Papa è stato anche accompagnato da alcune sue parole profonde e toccanti, soprattutto sul valore dell’innocenza così perfettamente incarnata da questi bambini: «i bambini innocenti – ha detto ieri Benedetto XVI – meritano un posto sicuro da tutto ciò che può far loro male in tempi e luoghi di conflitto». «Per noi questo richiamo all’innocenza – commenta Suor Donatella – ha un’importanza grandissima. Spesso ci troviamo infatti a vivere situazioni di grande sofferenza nel vedere ciò che i bambini devono patire per colpe non loro. A volte ci capita di doverli trasferire da una parte all’altra della città, e rimanere in attesa di permessi che non arrivano. E in queste attese inutili a volte i bimbi muoiono. Noi lo diciamo continuamente, ogni giorno: non è giusto che gli innocenti, che i bambini paghino con le loro sofferenze e anche a volte con la loro vita una situazione di conflitto, di chiusura, di cui loro, poveri, non hanno alcuna responsabilità. In questa situazione, allora, le parole del Papa diventano un grande incoraggiamento per noi, e ci danno un grande supporto».
Ma che cos’è nel concreto questo luogo di accoglienza nel cuore di Betlemme? «Il nostro – racconta Suor Donatella – è l’unico ospedale pediatrico di tutti i territori occupati della West Bank. Da noi arrivano tutti i bambini che non possono andare in altri ospedali, dal momento che qui la sanità è a pagamento. Per quanto riguarda poi l’attività specifica, il nostro è un ospedale medico, non chirurgico, dove facciamo assistenza e cura. Non solo ai bambini, ma anche alle mamme: abbiamo per loro degli appartamenti, dove rimangono 24 ore su 24, e dove forniamo loro anche un’educazione sanitaria. La cura dei bambini, infatti, è importante che venga portata avanti anche dopo la degenza in ospedale. Queste donne sono spesso molto carenti dal punto di vista dell’educazione alla salute, e questo supporto è dunque fondamentale per fare in modo che i loro bambini non tornino a stare male». Per lo più si tratta, come diceva Suor Donatella, di mamme musulmane, accolte in luogo cristiano. Ma questo non sembra creare alcun problema: «Con loro c’è un rapporto davvero cordiale: loro riconoscono il valore della nostra attività, e ci cercano. Diciamo insomma che la nostra è un po’ un’isola felice! E questo vale anche per il nostro personale, che per metà è costituito da persone di religione musulmana. Qui ci accorgiamo davvero che non ci sono distanze: quando si varca il cancello del Caritas Baby Hospital sembra di assistere a un miracolo, dove le differenze di religione non generano divisione. Tutti, cristiani e musulmani, qui collaborano e sono un’unica famiglia».
Che cosa rimane ora di questa visita straordinaria? «Da domani ripartiamo a 10 centimetri da terra! – esclama gioiosa Suor Donatella – Sia noi suore, sia tutto il resto del personale. Ripartiamo con una carica diversa, una carica spirituale fondamentale per continuare a portare avanti quest’opera di cui la Palestina ha veramente bisogno. Ripartiamo confermate nel nostro servizio dall’affetto di un grande padre come Benedetto XVI».


DIARIO DA JERUSALEM/ Oggi ho imparato dal Papa e da mio figlio che alla ragione serve il perdono - Redazione - giovedì 14 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Caro Francesco, ieri sono andato a Betlemme. Ti dico subito che non ho mangiato la pasta con il pesto, che ti piace tanto, da Padre Severino. Ieri Severino aveva chiuso il ristorante e cucinava solo per il Papa. Chissà se gli ha preparato la pasta all’uovo, di cui è giustamente orgoglioso. Tu non lo sai ma questo francescano polacco, che parla benissimo italiano e che ti vuole bene, ama il “suo” ristorante e il “suo” albergo, ma ama più ancora le persone. E ti spiego perché.
Quando negli anni passati a Betlemme non c’era neppure un pellegrino, perché la guerra era più violenta, in tanti si lamentavano: «i nostri alberghi e i nostri negozi sono vuoti», ma poi dicevano «voi pellegrini venite e state tranquilli». Lui invece mi disse «il mio albergo è vuoto, ma è la gente più semplice di Betlemme a soffrire di più. E con il muro non può lavorare e non può muoversi più fuori dalla città». Insomma il suo cuore era triste, come i suoi parrocchiani. Prima di pensare ai turisti, ai pellegrini, agli alberghi e ai ristoranti, guardava in faccia la sua realtà, la guerra, l’assenza di giustizia e il muro che avanzava, condivideva tutta la sofferenza della gente. Non si può nascondere la polvere, cioè quello che è il male, sotto il tappeto, neppure per riempire le stanze di un albergo.
Oggi il Papa è passato attraverso il Muro di Betlemme. Per lui si è aperta una grande porta d’acciaio, che non è una porta d’onore come qualcuno, maldestramente, ha detto a Roma. Lui è passato velocemente. Ed anche noi, in verità, con il nostro passaporto italiano lo attraversiamo quando vogliamo. Gli abitanti di Betlemme ancora oggi non possono farlo. E non c’è distinzione, cristiani e musulmani sono uguali. Qualcuno, in realtà, ha un permesso speciale per passare. Qualcun’altro potrebbe chiederlo. Un tuo compagno, un po’ più grande di età, di Betlemme, mi ha detto: «io non chiederò mai un permesso agli israeliani; andrò a Gerusalemme, al Santo Sepolcro, solo quando avrò il mio passaporto».
Lontano da qui, in tanti non capiscono queste cose. Non comprendono che la sicurezza di alcuni è importante quanto la dignità di altri. I muri, ha detto ieri il Papa a Betlemme, si possono costruire velocemente. «Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati» ha aggiunto sempre lui, il Papa. Sai cosa vuol dire? Che uno può avere ragione, ma bisogna perdonare. E tu Francesco mi hai fatto felice, quando nonostante le piccole e grandi violenze che vedi ogni giorno intorno a te, in questa terra, mi hai sgridato e mi hai detto «devi perdonare Ispi». La tua giovanissima e po’ sbadata babysitter filippina.
(Filippo Landi)


IMMIGRAZIONE/ Andare. Ma dove? - Roberto Fontolan - giovedì 14 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Diciamo che al minimo i rapporti tra Italia e Libia sono in una fase nuova e come tutte le fasi nuove necessitano di tempo e chiarimenti. Era stato lo stesso ministro Maroni a dire un paio di mesi fa che in Libia, meno di sei milioni di abitanti, ci sono due milioni (!) di stranieri, provenienti in massima parte dall’Africa subsahariana, pronti a “emigrare”. E’ facile immaginare verso dove. Ma come e perché erano arrivati in Libia due milioni di africani? Lo avevo scritto poco dopo l’International Herald Tribune: attratti dalle promesse di lavoro e di accoglienza, avevano immaginato di potersi stabilire lì, e avviare una esistenza finalmente più dignitosa. Ma le promesse non si sono realizzate ed ecco che quel popolo “intrappolato in una vita disperata” la strada si è biforcata: tornare indietro o cercare di sfidare le onde del Mediterraneo. E così abbiamo i barconi costretti a tornare indietro, le tragedie, i centri di accoglienza, Lampedusa in perenne subbuglio, i rimpatri, i pattugliamenti. Un dramma nel quale non mancano la retorica (“anche noi siamo un popolo di emigrati”), le sparate (che arrivano all’apartheid dei vagoni della metropolitana milanese), le insensatezze (tipo “non vogliamo la società multietnica”: scusi, presidente, ma che significa?). Soprattutto, al di là delle frasi e dei gesti simbolici, c’è un problema di dimensioni: se anche i poveri candidati ad una seconda emigrazione fossero solo un milione?
Intanto occorre segnalare che mentre l’Europa, intesa come organismo, non sa o non vuole fare nel campo dell’immigrazione (speriamo che Mario Mauro arrivi presto e bene con qualche idea), i paesi europei sono alle prese con fenomeni diversi. Dublino, soprannominata Dublinski per l’afflusso di quasi duecentomila est-europei dal 2004, anno dell’allargamento, ora è una città flagellata dalla disoccupazione e quasi cinquantamila di quegli immigrati sono già tornati a casa. Il governo ceco incentiva addirittura la partenza, pagando una piccola somma in denaro e il biglietto aereo (sola andata). Anche la Spagna propone alle centinaia di migliaia di sudamericani ormai disoccupati una somma e il biglietto aereo ma chiede anche la garanzia di non farsi più vedere per tre anni almeno. I sudamericani sono nel mirino anche in Giappone (solo brasiliani e peruviani sono quasi quattrocentomila) che ha varato programmi molto aggressivi per convincere al rimpatrio. In Romania invece c’è il problema massiccio dei lavoratori cinesi, praticamente deportati da Pechino nel momento in cui si stavano per costruire le infrastrutture, e ora rimasti senza lavoro e con enormi difficoltà a farsi accettare indietro. E’ il cosiddetto “controesodo” e sta toccando molti paesi che in conseguenza della crisi non riescono più ad accogliere manodopera straniera.
Arrivi e partenze sono fenomeni planetari, ingigantiti dalla globalizzazione, difficilissimi da governare, soprattutto se mancano soldi o se vengono confinati nella politica dell’ordine pubblico. Fenomeni troppo grandi per i singoli paesi, inclusi gli Stati Uniti che da trent’anni non riescono a frenare l’invasione degli “alieni” (così vengono chiamati) provenienti dal confine meridionale e nonostante la quantità di accordi sottoscritti con il Messico. Non è che i nostri accordi con la Libia faranno la stessa fine?


DIARIO DA L'AQUILA/ A Onna la storia di Elisa e Anna Rita, maestre di speranza - Redazione - giovedì 14 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Una scuola materna gestita dalle suore è un riferimento importante in molte realtà. A Onna, paese distrutto in gran parte dal terremoto, la presenza delle suore ha sempre rappresentato un luogo sicuro dove far crescere i propri figli, dove essere certi di un’educazione importante. Le suore della Presentazione sono presenti a Onna da 126 anni. Il paese è nella zona rossa, si può entrare solo se accompagnati dai vigili del fuoco. Ma la scuola delle suore non ha subito danni. Le suore vorrebbero ricominciare subito.
Emergenza educativa, ma anche sostegno a quelle famiglie i cui genitori hanno ripreso a lavorare e non sanno come fare con i propri bambini. Sono una quarantina in tutto. Le suore li vorrebbero nuovamente con loro, per trascorrere insieme le ore, giocando, ridendo, pregando. Difficile ridere e giocare a Onna. Più facile pregare. Difficile ricominciare a lavorare a Onna. Ma le suore vogliono avere accanto i loro piccoli.
Impossibilitate a riaprire il loro asilo sono riuscite ad ottenere due tende ampie. Verranno posizionate ai margini della tendopoli, così da avere accanto un giardino che verrà recintato. Massimo lunedì le suore di Onna ricominceranno la loro attività educativa, circondate dal vociare dei piccoli, che devono dimenticare quello che è successo. Un compito difficile quello delle suore.
Accanto a loro ci saranno le due maestre di sempre. Anche loro vogliono esserci. Nonostante il dramma e le difficoltà. Ci sarà Elisa, che lo scorso 6 aprile sotto le macerie ha perso la madre Pina, il fratello Berardino e la nonna Lisa. Ci sarà Anna Rita, che non ha più accanto il figlio Fabio, morto accanto alla nonna Giuseppina, quasi in un gesto di protezione.
Onna piange le sue vittime. Per settimane è stato rappresentato come l’emblema del dolore, della distruzione, della violenza del terremoto. Da lunedì le suore di Onna saranno segno forte della resurrezione di questa comunità Lo faranno insieme ai più piccoli, a coloro che rappresentano il futuro. Lo faranno loro, capaci di dare un senso alla vita, di dare un’educazione che trasformerà questi bambini in uomini adulti. Saranno loro le protagoniste di Onna del domani.
Non sarà una scuola qualsiasi quella di Onna. Non sarà un modo per intrattenere i bambini che sono costretti a vivere nelle tendopoli. Il loro cuore verrà sollecitato dalle suore e dalle insegnanti. Saranno aiutati a capire cosa è successo, a ricordare gli amici che non ci sono più. Le suore di Onna avranno uno sguardo amorevole nei loro confronti. Quello sguardo che ha suscitato in loro il bisogno di ricominciare da subito.
(Fabio Capolla - Giornalista de Il Tempo)


BISOGNA SEGUIRE IL VARCO APERTO DALLE ULTIME MOTIVAZIONI DELLA CONSULTA - L’eugenetica introdotta pian piano senza che il Paese se ne accorga - EUGENIA ROCCELLA – Avvenire, 14 maggio 2009
Quando è stata resa nota la sentenza della Corte costituzionale sulla legge 40 per la procreazione assistita, non ci sono state reazioni indignate e allarmi eccessivi. Le modifiche al testo sono apparse molto contenute, e non hanno alterato nella sostanza l’impianto della legge. Non è stato toccato il divieto di crioconservazione e di eliminazione degli embrioni, il divieto di selezionarli a scopo eugenetico, e l’obbligo di produrne solo il numero “strettamente necessario”. Si tratta, dunque, soltanto di attribuire al medico una maggiore responsabilità e autonomia, in sintesi di richiamare a una “non vincolatività” della legge nei confronti di una valutazione clinica: lo stesso principio contenuto nel disegno di legge sulle dichiarazioni di fine vita approvato al Senato. Le motivazioni della sentenza, pubblicate pochi giorni fa, sono invece più preoccupanti. Si parla, per esempio, di “deroghe” al divieto di crioconservazione, ma nel testo della legge non ce n’è traccia. Una legge non può prevedere deroghe implicite e vaghe, ma solo esplicite e ben definite, e la Consulta, se avesse voluto inserire qualche precisa eccezione, avrebbe avuto tutto il potere di farlo. Nelle stesse motivazioni la salute della donna è il criterio con cui misurare l’appropriatezza delle pratiche, ma poi si sostiene la necessità di “bilanciare” la tutela dell’embrione con “la tutela delle esigenze di procreazione”; senza considerare che questo, oltre a non essere previsto in nessuna parte della legge, può costituire un rischio per quella salute femminile che si vorrebbe proteggere. Se si accettasse il principio, infatti, si potrebbero attuare stimolazioni ovariche pesanti e rischiose, come si fa in altri paesi; mentre con la legge 40 le sindromi da iperstimolazione ovarica (il pericolo più grave e comune per le donne che si sottopongono a Pma) in Italia sono crollate. La sensazione è che la Consulta sia intervenuta sulla legge in modo misurato, ma abbia poi affidato alle motivazioni un’interpretazione sufficientemente ambigua da aprire la strada ad altri interventi della magistratura, e magari fornire a qualche centro di Pma l’alibi per avviare pratiche fuori dalla legge. Basta verificare i dati dell’Istituto superiore di sanità, e paragonarli a quelli di altri paesi, per accorgersi che non solo la legge 40 funziona, ma protegge la donna e l’embrione, evitando il commercio di ovociti, le stimolazioni ormonali selvagge, la crioconservazione massiccia di embrioni, pratiche odiose come la riduzione fetale. Ma questo non convincerà mai chi vuole cambiarla, magari smontandola a colpi di interventi della magistratura. La prospettiva a cui si mira è l’eugenetica, la selezione degli embrioni per arrivare a una procreazione sottratta il più possibile alla sua naturalità e ricreata in laboratorio. Il primo obiettivo è la diagnosi preimpianto, con cui si scartano gli embrioni “difettati”, come fossero un semplice prodotto di fabbrica riuscito male. È iniziata oggi la discussione tecnica su una raccomandazione europea sulle malattie rare, le quali, proprio per la scarsità di pazienti in un singolo paese, hanno bisogno di superare un approccio esclusivamente nazionale. Nel testo si parla di terapie, farmaci orfani, diagnosi tempestive e consulenze genetiche, insomma di cure. Ma il 13 aprile il Parlamento europeo ha votato un emendamento (che i ministri europei possono non accogliere nella raccomandazione) che invita alla “selezione degli embrioni sani” come forma di prevenzione. Una precedente versione dell’emendamento, ancora più esplicita, indicava nella selezione embrionale il metodo per “eradicare” le malattie rare. Non la cura, dunque, ma l’eliminazione del malato, tanto più facile. L’idea che ispira i detrattori della legge 40 è questa: la possibilità di introdurre l’eugenetica, non più con l’autoritarismo statale ma grazie alla scelta individuale, accuratamente orientata dal marketing del figlio perfetto. Le coppie, soprattutto le mamme, sono soggetti sensibili alle pressioni esterne quando è in gioco la salute del bimbo che deve nascere, e si fa presto a trasformare l’informazione sanitaria in pubblicità ingannevole o quantomeno non obiettiva. La nostra legge è costruita per dare anche alle coppie infertili la possibilità di procreare, attraverso un aiuto medico, non per selezionare i bambini in base a criteri scientificamente discutibili. Se vogliamo introdurre l’eugenetica in Italia, apriamo un vero dibattito: la cosa peggiore sarebbe se entrasse di soppiatto, camuffata da libera scelta, da tecnologia avanzata, attraverso le sentenze di qualche tribunale amministrativo, ignorando la volontà popolare espressa dal Parlamento e da un voto referendario. La cosa peggiore sarebbe se nemmeno ce ne accorgessimo, evitando di discuterne e confrontarci apertamente.


VIENE LANCIATO OGGI UN TELESCOPIO SPAZIALE IN PARTE ITALIANO - La foto dell’universo neonato. - Questo ci regalerà l’audace Planck - MARINA CORRADI – Avvenire, 14 maggio 2009
Oggi dalla base di Kouru, nella Guyana francese, viene lanciato un satellite. Si chiama Planck ed è stato progettato dall’Agenzia spaziale europea, con un forte apporto italiano.
Planck ha una missione audace: fotografare la prima luce dell’universo rilasciata nello spazio 14 miliardi di anni fa, cioè 300 mila anni appena dopo il Big Bang – un tempo che, in cosmologia, è un niente. Dunque Planck, costruito in 17 anni di lavoro dagli scienziati europei, parte.
Destinazione il punto lagrangiano L2, a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Da qui il potentissimo telescopio spaziale scruterà il fondo dell’universo, l’ultimo confine osservabile dello spazio­tempo. Con i suoi recettori capaci di cogliere segnali debolissimi a lunghezze d’onda minime, potrà fotografare gli embrioni delle galassie – come erano 14 miliardi di anni fa.
Perché la faccenda agli occhi del profano sbalorditiva è che, in realtà, questi strumenti fotografano il passato. Per capirci: la luce del sole che ci illumina in questo istante, è partita dal sole otto minuti fa. E la luce porta con sé informazioni sulla composizione e la struttura dei corpi che la emanano.
L’ardito Planck, dalla sua orbita attorno alla Terra, puntando il telescopio guarderà più lontano di quanto gli uomini mai abbiano guardato; e coglierà luci di stelle emesse miliardi e miliardi di anni fa.
Catturerà dunque – immenso essendo il tempo che quei fotoni impiegano per arrivare fino alla sua portata – l’immagine delle galassie nascenti.
Dell’universo neonato. Se l’idea vi dà le vertigini, vi capiamo. Le dà, forse, agli stessi progettisti. George Smoot, premio Nobel per la fisica e progettista – oltre che di Planck – di Cobe, il primo satellite lanciato alla scoperta delle cosiddette 'radiazioni fossili' nel 1989, ha spiegato in un’intervista come si sente chi indaga le origini dell’universo: «È come vedere un embrione di poche ore. È come trovarsi davanti al volto di Dio». Parte dunque Planck, gioiello di tecnologia di ultima generazione. Una Ferrari nello spazio, lo ha definito il professor Smoot (si può vedere il lancio in diretta dalle quattordici sul sito dell’Università di Milano, www.unimi.it). Va a allungare il nostro limitato sguardo oltre ogni frontiera, oltre le colonne d’Ercole del terzo millennio. Va a spalancare i suoi occhi digitali su luci fossili, deposte dalle stelle in un tempo immemorabilmente lontano. Va ad indagare: non sappiamo, in realtà, quasi nulla della materia che compone l’universo. C’è una materia oscura nello spazio, di cui si registrano gli effetti gravitazionali, ma di cui non conosciamo la natura; e c’è un’energia ancora più misteriosa, responsabile dell’espansione accelerata dell’universo. Dark energy,
energia oscura, la chiamano suggestivamente gli astronomi, ma non sanno cosa esattamente è. E se ascolti uno di loro, Marco Bersanelli, docente di Astrofisica e capo del gruppo Planck dell’Università di Milano, che racconta questa impresa, non sai se è più l’incanto o la vertigine. Vertigine per l’incommensurabilità di spazio e di tempo che viene affrontata. Meraviglia, per la sfida di cui gli uomini – creature limitate, creature che vivono poche decine d’anni – osano avanzare con progetti come Planck. Noi, nell’universo formiche, che lanciamo in orbita un occhio meccanico, con la pretesa di scoprire cosa è successo, come è stato, quattordici miliardi di anni fa. E incanto, ma diremmo anzi trauma, stupore, per l’incontrarsi nel telescopio spaziale di quella luce del principio, con lo sguardo di uomini.
Come inseguendo, come sulle tracce del volto di un Creatore che ci ha guardato, e pensato, molto tempo fa.
(Gli uomini, strane creature. Meschini, litigiosi, talvolta feroci. Ma mai saziati, e sempre tesi alla ricerca. Con gli occhi verso il fondo del buio, cercando l’istante in cui la luce fu).


Spagna: per le adolescenti aborto e pillole in libertà - Il governo spagnolo potrebbe approvare già oggi il disegno di legge che depenalizza l’aborto, rendendolo libero entro le 14 settimane di gravidanza a tutte le donne e le ragazze dai 16 anni in su, senza che per le minorenni sia necessaria né l’autorizzazione né la semplice informazione dei genitori. La notizia è stata data ieri dal quotidiano El Pais. Il disegno di legge dovrà poi essere approvato dal Parlamento. – Avvenire, 14 maggio 2009
Il progetto di riforma dell’aborto sta provocando da mesi una forte polemica in Spagna. A ciò si aggiunge che, in un Paese in cui un minorenne non può comprare un pacchetto di sigarette, né una bottiglia di birra, fra tre mesi una qualsiasi ragazzina (senza limiti minimi di età) potrà chiedere in farmacia la 'pillola del giorno dopo' senza ricetta medica. È quanto ha annunciato martedì il ministro della Sanità, Trinidad Jiménez. Un fatto paradossale, secondo l’associazionismo cattolico e non solo. «Si parla tanto di controllo dell’obesità, ma poi si gioca col sistema ormonale delle ragazzine», denuncia Manuel Cruz, presidente della Fundación Vida (Fondazione Vita), un’associazione che da anni aiuta le madri in difficoltà, offrendo alternative contro l’aborto.
La pillola del giorno dopo – denuncia Cruz – «è un modo per mascherare la realtà. Gli aborti provocati da questo farmaco non compaiono in nessuna statistica, non sapremo mai quanti sono».
Attualmente in Spagna se ne realizzano 112mila all’anno. E se all’indomani dell’entrata in vigore della riforma il numero calerà, il governo potrà sempre dire che è grazie alla sua nuova normativa. In realtà «non sapremo mai quanti aborti sono stati provocati anche dalla pillola.
Sarà un maquillage statistico».
Le prime considerazioni da fare sono di ordine sanitario: perché in Spagna, di fatto, si spalancano le porte delle farmacie alle minorenni che, anche solo per paura, potrebbero decidere di assumere il farmaco. Una delle possibili conseguenze, come avverte lo stesso Cruz, è una gravidanza extrauterina a causa dell’eccesso di ormoni, un rischio tutt’altro che remoto per chi ingerisce questo farmaco senza lo stretto controllo di un medico. E a lungo termine? In Spagna si discute tanto di controllo del peso o prodotti transgenici, ma non si sa ancora quali saranno gli effetti di questa pillola sul fegato fra 30 anni. Il farmaco esiste da troppo poco tempo, i test non sono ancora sufficienti. E poi, naturalmente, c’è l’aspetto etico. Il terreno più spinoso. Un governo che permette alle minorenni l’acquisto libero della pillola, denuncia Cruz, «interviene nella relazione genitori-figli».
Tutto questo fa parte «di un disegno di imposizione ideologica. Teoricamente nessuno impone nulla, secondo un’idea falsa di libertà. In realtà è in atto una vera e propria imposizione. Le leggi hanno un valore pedagogico per i giovani e anche per chi si abitua a esse. La legislazione si impone come valore predominante. Dietro a tutto questo, c’è in realtà l’alterazione di tutta una struttura sociale».

Anche Benigno Blanco, presidente del Forum della Famiglia (protagonista delle manifestazioni contro il matrimonio omosessuale), ha criticato duramente gli ultimi strappi di Zapatero, manifestazioni a suo parere di «irresponsabilità assoluta»: con le sue mosse di questi giorni l’esecutivo conferma che «preferisce facilitare l’aborto senza porre alternative, non pensando alla salute della madre o agli aiuti che le andrebbero prestati». La vendita libera alle minorenni non va giù nemmeno all’Associazione dei genitori cattolici (Concapa). In un comunicato l’organizzazione reclama le dimissioni della ministro della Sanità e si chiede: potranno comprarla anche bambine di 9, 8 o 7 anni? Qual è il limite per acquistare la pillola in farmacia? «Il governo si intromette nelle relazioni fra genitori e figli, disprezzando il diritto e il dovere di educare i minori e di assicurare la loro salute».

Il dibattito è solo agli inizi e non riguarda esclusivamente associazioni pro-vita o movimenti cattolici. La decisione del governo non convince nemmeno il Consiglio generale dell’Ordine dei medici, per il quale dovrebbe essere un medico – e non un farmacista – a somministrare la pillola dopo un’analisi «del beneficio o rischio» per ogni singola paziente. I medici paventano che «la vendita libera e indiscriminata presupponga una banalizzazione del consumo, soprattutto fra i giovani». Se i socialisti spagnoli «preferiscono ignorare gli argomenti morali o sociali» – dice poi in un editoriale il quotidiano Abc – dovrebbero «almeno considerare il diritto alla salute che la Costituzione riconosce ai cittadini». E avanza il dubbio che dietro a tutto ciò ci sia un’opzione ideologica, che ignora i requisiti scientifici più elementari. A spese delle donne più giovani.
Michela Coricelli
Oggi il governo Zapatero dovrebbe varare il disegno di legge che 'liberalizza' l’interruzione di gravidanza Le minorenni non dovranno informare i genitori Intanto a Madrid, come in Inghilterra e Usa, la pillola del giorno dopo diventa farmaco da banco. Parlano le associazioni del fronte del «no»


Giulia Galeotti - argomenti - Ma che fine hanno fatto gli adulti? Stamy – Avvenire, 14 maggio 2009 - La decisione del governo spagnolo [liberalizzazione dell’aborto e pillole in libertà] denuncia come i genitori stiano abdicando al loro ruolo di educatori Una «toppa» di Stato che pone una seria ipoteca sulle generazioni future
E così, dinanzi alle preoccupanti cifre in crescita, anche la Spa­gna si è decisa a fare ' qualcosa' per af­frontare il grave pro­blema dell’aumento espo­nenziale degli aborti tra le minorenni. Come già in altri Paesi occidentali (Francia e Gran Breta­gna in testa), si è pensato alla completa libera­lizzazione della pillola del giorno dopo. Così, fra 3 mesi (il tempo necessario all’Agenzia spa­gnola del farmaco per includere questa pillola nel catalogo dei medicinali senza prescrizione) chiunque, privo di ricetta e a prescindere dal­­l’età, potrà esigerla dal farmacista. Inutile e trop­po faticoso cercare di andare alla radice del pro­blema, domandandosi ad esempio perché ma­schi e femmine poco più che bambini brucino pericolosamente le tappe. La soluzione appe­na annunciata è immediata, facile e rapida (nonché economicamente molto lucrosa per le imprese farmaceutiche). Una bella toppa sul futuro degli adulti di domani, e il gioco è fat­to.

La notizia della pillola del giorno dopo po­sizionata sullo scaffale accanto alle gomme da masticare arriva mentre il Parlamento i­berico sta per iniziare l’esame del progetto di legge sull’aborto che prevede (tra l’altro) che le minorenni possano abortire senza che i geni­tori ne vengano informati. Il quadro sembra così completo, confermando tristemente come gli adulti abbiano del tutto abdicato al loro ruo­lo. Mentre il sesso viene comunemente barat­tato tra i giovanissimi come merce ovvia e di scarso valore (e questo ovunque, non certo so­lo in Spagna), l’unica cosa che gli adulti sanno fare è chiudere gli occhi. Perduta ormai la vo­glia di educare, ecco che si escogitano facili ram­mendi, si mettono a punto maldestri tappi in modo da non vedere ciò che succede. Del re­sto, ormai è assodato che dire no ad un figlio è faticoso. Proibire necessita di ascoltare quanto ti viene chiesto, ti obbliga a controbattere.
Gli adulti però non si sono fermati al sì in­discriminato (anche questo troppo gravo­so?): sono addirittura passati al sì preven­tivo, quello che viene dato ex ante, senza nem­meno sapere. È bastato poco, e anche questo de­siderio (inconfessato?) si è avviato a diventare legge. Del resto, è anche vero che il mercato ha le sue regole. Tra le fondamentali, c’è quella dell’offerta che crea la domanda, come sanno bene i pubblicitari e le imprese: che si produca abbigliamento, tecnologia, alimenti o farmaci, la musica è esattamente la stessa. Anni fa, i pro­duttori di figurine mandavano i loro emissari fuori dalle scuole: regalavano l’album e un so­litario pacchetto, sperando così di creare di­pendenza nei ragazzini entusiasti. Abboccando immediatamente, molti maschi e molte fem­mine finivano nella rete: ai miei occhi, erano dei veri fortunati. Fortunati anche perché era riu­scito loro ciò che a me non riusciva mai: con­vincere i genitori a investire nell’impresa.

Oggi, cambiati i mandanti e affinata la tec­nica, nuovi emissari circondano le scuole. La loro strada, però, è molto più facile. By­passati i genitori grazie a una legge che li esime dall’intervenire (perché anche solo accompa­gnare i figli in farmacia o in ospedale richiede tempo), questi personaggi si avventano sulle ragazzine offrendogli 'la pillola del lunedì'. Quella che ti salva da eventuali eccessi del week­end, finanche a 13 anni. Non si può non no­tare infine come, ancora una volta, il peso in termini di salute psichica e fisica (nel breve e nel lungo periodo) venga imposto sulle spalle delle donne di domani. Fossi in loro, tra vent’an­ni chiederei a genitori, medici e legislatori un sonoro risarcimento per danni fisici e morali. Ne avrebbero decisamente diritto.