domenica 7 giugno 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 07/06/2009 12.14.07- Radio Vaticana – Benedetto XVI all’Angelus della Santissima Trinità: solo l’Amore di Dio rende davvero felici gli uomini
2) PELLEGRINI NELLA NOTTE - Sabato la trentunesima edizione, cammino di 28 km.Allo stadio le testimonianze dell’arcivescovo dell’Aquila e del responsabile di Cl - La Macerata-Loreto nel segno dell’Abruzzo - DI GIORGIO PAOLUCCI – Avvenire, 7 giugno Milano
3) Dolore - di Massimo Camisasca innocente, scandalo irrisolto – Avvenire, 7 giugno 2009
4) Il rispetto deve essere reciproco - Intolleranza verso i cristiani che criticano l'omosessualità - di padre John Flynn, LC
5) Dio non delude - Thomas Crean svela l'ignoranza e i pregiudizi di Richard Dawkins - di Antonio Gaspari
6) Caso Englaro Solo la verità – da Tempi, di Lucia Bellaspiga - Diceva «quando Eluana sarà morta, tacerò». Invece papà Beppino si è messo a insegnare il “diritto di morire” perfino nelle scuole
7) Obama ricordi i gulag della Corea del Nord, non solo il nucleare - Almeno 300 mila prigionieri politici nei lager del Nord. Testimonianze di torture ed esecuzioni capitali. I laboratori per gli esperimenti nucleari costruiti coi lavori forzati. Un’associazione scrive al presidente Usa in visita a Buchenwald…
8) Quando l'ingenuo onesto è vittima di un torto - La strana giustizia di Renzo Tramaglino - di Franco Camisasca – L’Osservatore Romano, 7 giugno 2009
9) Un incontro a Roma sull'identità politica dello Stato di Israele alla luce del viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa - Mosè alla Knesset, il sogno di Ben Gurion e la sfida della democrazia - di Luca M. Possati – L’Osservatore Romano, 7 Giugno 2009
10) «Rispondiamo al bisogno per condividere la vita» - DA MILANO PAOLO FERRARIO – Avvenire, 7 giugno 2009
11) Poveri, oltre 4 milioni sostenuti dai «Banchi» - In Europa attive 231 strutture: meeting a Palermo Nel 2008 sono state distribuite 282mila tonnellate di cibo - DA PALERMO ALESSANDRA TURRISI – Avvenire, 7 giugno 2009
12) SCUOLA/ Libri di testo: quella strana idea di famiglia che viene trasmessa ai bambini - Redazione - sabato 6 giugno 2009 – ilsussidiario.net


07/06/2009 12.14.07- Radio Vaticana – Benedetto XVI all’Angelus della Santissima Trinità: solo l’Amore di Dio rende davvero felici gli uomini
Tutto l’universo si muove spinto dall’amore di Dio: è la riflessione offerta da Benedetto XVI ai fedeli, all’Angelus in Piazza San Pietro nella Solennità della Santissima Trinità. Il Papa ha sottolineato che, nel mistero trinitario, Gesù ci rivela che Dio è Amore, un amore purissimo, infinito ed eterno. Il servizio di Alessandro Gisotti: Gesù ci ha rivelato che Dio è amore “non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza”: è quanto sottolineato dal Papa all’Angelus della Santissima Trinità. E’ “Creatore e Padre misericordioso – ha detto – è Figlio Unigenito, eterna Sapienza incarnata, morto e risorto per noi; è Spirito Santo che tutto muove, cosmo e storia verso la piena ricapitolazione finale”:

“Tre Persone che sono un solo Dio perché il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno. Non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica”.
“Lo possiamo in qualche misura intuire – ha proseguito - osservando sia il macro-universo: la nostra terra, i pianeti, le stelle, le galassie; sia il micro-universo: le cellule, gli atomi, le particelle elementari”:

“In tutto ciò che esiste è impresso il “nome” della Santissima Trinità, perché tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà”.

Ma qual è l’identità più vera di Dio, L’identità che risplende su tutto il creato? E’ l’Amore sottolinea Benedetto XVI. Un amore che è iscritto nella natura di ogni essere umano:

“La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo per amare ed essere amati. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore”.

Benedetto XVI non ha poi mancato di soffermarsi sulle due Solennità del Signore che si succederanno dopo la Santissima Trinità: il Corpus Domini e la festa del Sacro Cuore di Gesù. Ciascuna di queste ricorrenze liturgiche, ha rilevato, “evidenzia una prospettiva dalla quale si abbraccia l’intero mistero della fede cristiana: e cioè rispettivamente la realtà di Dio Uno e Trino, il Sacramento dell’Eucaristia e il centro divino-umano della Persona di Cristo”:

“Sono in verità aspetti dell’unico mistero della salvezza, che in un certo senso riassumono tutto l’itinerario della rivelazione di Gesù, dall’incarnazione alla morte e risurrezione fino all’ascensione e al dono dello Spirito Santo”.

Il Papa ha quindi invocato la Vergine Maria, “specchio della Trinità Santissima”, affinché ci aiuti “a crescere nella fede nel mistero trinitario”.


PELLEGRINI NELLA NOTTE - Sabato la trentunesima edizione, cammino di 28 km.Allo stadio le testimonianze dell’arcivescovo dell’Aquila e del responsabile di Cl - La Macerata-Loreto nel segno dell’Abruzzo - DI GIORGIO PAOLUCCI – Avvenire, 7 giugno Milano
Verranno in tanti anche quest’anno al­la Macerata-Loreto, il pellegrinaggio a piedi più frequentato d’Italia in pro­gramma nella notte tra sabato 13 e domeni­ca 14 giugno. L’anno scorso furono 80 mila, una cosa inimmaginabile nel 1978, quando per la prima volta partirono in 300 dalla cat­tedrale di Macerata alla volta della Santa Ca­sa. Verranno da tutta Italia e da molti Paesi eu­ropei. Verranno anche dall’Abruzzo, molti con il loro carico di dolore, le cicatrici ancora a­perte dopo la distruzione portata dal terre­moto del 6 aprile, e con la speranza della ri­nascita che nasce dalla fede. Di questa spe­ranza si farà interprete l’arcivescovo dell’A­quila, Giuseppe Molinari, che porterà la sua testimonianza durante il raduno allo stadio Helvia Recina che precede l’inizio del cam­mino notturno lungo i ventotto chilometri della campagna marchigiana. Durante il ra­duno allo stadio parlerà anche Marco Genti­le, responsabile della comunità di Comunio­ne e liberazione del capoluogo abruzzese.
«In queste settimane molti abruzzesi ci han­no fatto capire con il loro comportamento che dentro ciò che crolla c’è qualcosa che so­stiene la vita: il riconoscimento che Cristo o­pera in ogni circostanza con una possibilità di bene». Monsignor Vecerrica, vescovo di Fa- briano-Matelica, fondatore e anima del Pel­legrinaggio, ha voluto che l’odissea dei terre­motati diventasse un monito e uno sprone per tutti coloro che parteciperanno al gesto: «Quello che è accaduto dopo le scosse del 6 aprile rende più che mai attuale lo slogan che abbiamo riproposto anche quest’anno: il ve­ro protagonista della storia è il mendicante. Oggi più che mai c’è bisogno di testimoni, cioè persone che nella comunicazione della loro esperienza propongono un cammino e diventano perciò anche educatori. Il Pelle­grinaggio è da sempre un popolo di testimo­ni e insieme un luogo di educazione, e il pri­mo a essere educato sono io. In questo sen­so il gesto si pone in continuità con il tema dell’emergenza educativa proposto dalla Cei e rilanciato dall’intervento di Benedetto XVI alla recente Assemblea generale dei vescovi italiani».
Proposta da Comunione e liberazione in u­nità con le diocesi marchigiane, la Macerata­Loreto – giunta alla trentunesima edizione– vede la partecipazione di persone apparte­nenti a diverse esperienze ecclesiali, e di tan­ti giovani alla ricerca di risposte alle doman­de sul senso della vita. Partecipano i membri di associazioni e movimenti, comunità par­rocchiali, compagni di classe, intere famiglie, anziani che ripercorrono le strade che ave­vano battuto durante gli anni giovanili, in un gesto che appartiene alla tradizione popola­re marchigiana. Come sempre si pregherà per la conclusione dell’anno scolastico – è questa l’intenzione specifica da cui nacque il Pellegrinaggio nel 1978 e che si è sempre mantenuta – e que­st’anno tra le intenzioni di preghiera ci sono le difficoltà causate dalla crisi economica a migliaia di famiglie, la pace e la libertà reli­giosa nel mondo, la domanda che la Cina ri­scopra la bellezza della fede cristiana testi­moniata dal missionario maceratese Matteo Ricci, di cui nel 2010 ricorre il quarto cente­nario della morte. I cancelli dello stadio sa­ranno aperti alle 18 di sabato 13 giugno, se­guirà un momento di accoglienza con canti e testimonianze, poi la Messa e attorno alle 22 l’inizio del cammino, che si snoda in pia­nura attraversando alcuni paesi dove migliaia di persone attendono il passaggio dei pelle­grini, unendosi al canto e alla preghiera e te­stimoniando quanto questo gesto sia un av­venimento per la gente del posto. La testa del lunghissimo corteo arriverà al santuario di Loreto attorno alle 6.30 della domenica.
Ermanno Calzolaio, direttore del Pellegri­naggio, sottolinea che «con questo gesto si vuole rilanciare un’esperienza di popolo, di cui in questo momento c’è particolare biso­gno nel nostro Paese. E chi viene qui incon­tra tanti volti, tanti 'io' che diventano popo­lo, gente che affronta la fatica del presente perché certa di un significato e di una meta. Non abbiamo bisogno di un discorso giusto, di una filosofia convincente. Abbiamo biso­gno di ritrovare il cristianesimo come avve­nimento: annuncio semplice del Dio che ha agito. E ha agito anche con me. Per questo invitiamo tutti a unirsi con noi nel cammino verso la Santa Casa di Loreto, dove è accadu­to il mistero più grande: Dio si è fatto uomo come noi, grazie al 'sì' pronunciato da una ragazza di Nazaret. Una ragazza che ha la stes­sa età delle migliaia che sabato cammine­ranno lungo queste strade».
Vecerrica: «Dentro quello che crolla c’è qualcosa che sostiene la vita, il riconoscimento che Cristo opera in ogni circostanza con una possibilità di bene» Una notte di testimoni


Dolore - di Massimo Camisasca innocente, scandalo irrisolto – Avvenire, 7 giugno 2009
La realtà del male e quella del dolore, e in particolare del dolore innocente, hanno costituito da sempre e continuano a costituire fonte di grandi interrogativi, oltre che di tremende e anche luminose esperienze. Nelle ricerche dei filosofi, nelle opere teologiche di ogni tempo, e più ancora nel teatro, nel cinema e nell’arte in generale, queste esperienze ritornano continuamente, anzi, ne sono quasi il tema prevalente. Prima fra tutte, per imponenza e profondità, la tragedia greca si è chiesta se esista la libertà dell’uomo o se egli sia un condannato al male. « Se gli uomini del nostro tempo avessero il coraggio di leggere le tragedie greche – afferma Moeller – vi troverebbero immagini acutissime della loro ' condizione'; si sentirebbero meno soli.
Vedrebbero che ' la sorte dei mortali è di soffrire' » . Non posso assolutamente pensare di affrontare, neppure alla superficie, la massa delle questioni che questi temi suscitano. Mi ridurrò a parlare soltanto della realtà del dolore innocente, per altro la più scandalosa ed apparentemente senza risposte. La realtà del male ha posto in discussione fin dalle origini l’esistenza di Dio. Se esiste Dio, che è bene, che posto può avere il male? E soprattutto: da dove nasce, da dove viene, chi gli concede lo spazio di azione, così evidente sotto i nostri occhi? Per altri, invece, è proprio l’esistenza del male e del dolore a rimandare all’esistenza di Dio, ad una giustizia oltre la vita senza della quale tutto sarebbe soltanto infinitamente ingiusto. Il dolore innocente rappresenterebbe perciò, per taluni, uno scacco della ragione, per altri uno scacco di Dio. Per Büchner ( La morte di Danton) la sofferenza è la « roccia dell’ateismo » . Ne La peste di Camus il dottor Rieux risponde al padre Paneloux: « Mi rifiuterò fino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati » .
Dostoevskij, ne I fratelli Karamazov, mette in bocca ad Ivan queste parole: « Che ne faremo allora dei bambini [...]? Se tutti devono soffrire per comprare con le loro sofferenze un’armonia che duri eternamente, cosa c’entrano però i bambini [...]? Io non voglio nessuna armonia, per amore dell’umanità non la voglio [...]. Non è che io non accetti Dio, Alioša; soltanto, gli restituisco rispettosamente il biglietto » . Da una parte abbiamo dunque la tentazione del razionalismo, che non riesce ad accettare se non ciò che può misurare. Il male, il dolore, in particolare quello dei piccoli, sembra far scoppiare tutte le categorie concettuali in cui l’uomo ha cercato di leggere la realtà. D’altra parte, Dostoevskij combatte il fideismo di chi vorrebbe giustificare il dolore in nome di una vita futura, di un ordine futuro, di una giustizia futura. Da questo punto di vista combatteva senza saperlo quello che sarebbe stato il comunismo. Ma è anche questa la visione cristiana del male? Anche questa la risposta cristiana al problema del dolore innocente?
Accostandomi a percorrere, seppure brevemente, questo itinerario, vorrei qui fare alcune precisazioni. Innanzitutto non possiamo identificare l’innocenza di Gesù a quella degli uomini, per quanto essi siano dei bambini puri di cuore. Ognuno di noi non è mai completamente puro né completamente innocente, perlomeno della stessa purezza ed innocenza di Gesù. In secondo luogo dobbiamo notare che molte volte il dolore dei piccoli è causato da un uso bestiale della libertà da parte dei grandi. Guerre, stupri, violenze, abbandoni, sono tutte terribili sofferenze inferte ai piccoli dalla libertà malvagia degli uomini. È chiaro che qui Dio non c’entra. C’entriamo noi e il nostro animo depravato. Un’altra considerazione: noi viviamo in un mondo imperfetto, e tale imperfezione è una conseguenza della nostra libertà. Dio ha creato un mondo ordinato e buono, con sapienza ed amore, ma imperfetto e incompiuto, in statu viae, proprio perché ha voluto rispettare la nostra struttura di uomini, simili a Lui, cioè liberi. L’esistenza del male è in connessione con l’esistenza della libertà. Il Catechismo ( n. 314) dice: « Solo alla fine, quando avrà termine la nostra conoscenza imperfetta, e vedremo Dio faccia a faccia, conosceremo pienamente le vie lungo le quali anche attraverso i drammi del male e del peccato Dio avrà condotto la sua creazione fino al riposo di quel sabato definitivo, in vista del quale ha creato il cielo e la terra » .
Dobbiamo infine tenere presente che oltre a Dio e all’uomo vi è un terzo attore della storia: il Maligno. Il Maligno è stato vinto da Dio, ma è ancora attivo. In particolare viene accolto quotidianamente da noi uomini: da Adamo fino ad oggi, entra in azione per la suggestività menzognera della sua proposta.

Come ho detto sopra, queste sono soltanto delle piste che ci permettono di avvicinarci al mistero del dolore innocente. Ve ne è un’altra su cui don Gnocchi ha tanto insistito. Non esistono gli uomini separati fra di loro; l’umanità è un’unità vivente, « solidamente stretta in un solo ed identico destino, compartecipe del bene e del male di ciascuno dei suoi membri [...]; come particella di un grande corpo sociale, dove tutto il bene e tutto il male ' entrano in circolo', anche il bambino espia la propria quota, parte degli errori e delle colpe personali commesse da tutti gli uomini [...].
Nel corpo sociale, se c’è una circolazione ' arteriosa' della verità e del bene, di cui tutti gli uomini inconsciamente e spesso immeritatamente beneficiano, c’è anche una circolazione ' venosa' dell’errore e del male, alla quale nessuno, per innocente che sia, può pretendere di sottrarsi » ( Pedagogia del dolore innocente). Dobbiamo procedere con molta cautela, senza assolutamente pretendere di dare risposte intellettualisticamente compiute. Sarà meglio invece guardare a delle esperienze, e fra tutte scelgo quella di Giobbe, un misterioso uomo estraneo al popolo di Israele, ma la cui vicenda è entrata attraverso i libri sapienziali nella nostra Bibbia. E poi un’altra misteriosa persona di cui parlano alcuni capitoli del libro di Isaia, identificata con il nome di ' servo sofferente'. Per taluni indica il popolo stesso, per intero o in un suo resto; per altri, invece, un vero e proprio individuo. La tradizione cristiana ha letto in Giobbe e nel Servo sofferente due strade fondamentali per accostarsi alla realtà della passione di Cristo e per leggere in essa la sofferenza innocente di milioni di uomini.
Attraverso questi esempi entriamo in un punto di vista più alto, quello di Dio, « che tutti chiama alla vita e, se pur attraverso il dolore e la morte, al suo Regno eterno di amore e di pace. Felice la persona che riesce a far risplendere la luce di Dio nella povertà di una vita sofferta o diminuita! » ( Giovanni Paolo II, Messaggio per la giornata mondiale del malato 1994). Giobbe riceve punizioni terribili. È consapevole di non averle meritate. Sa benissimo che non c’è in lui un rapporto fra sofferenza e peccato. È questo uno dei principi che Gesù affermerà fortemente. Se è vero che la causa del male è il peccato, è anche vero che non esiste mai una proporzione fra l’uno e l’altro. La sofferenza è un mistero che l’uomo non può penetrare fino in fondo con la sua intelligenza. Non dobbiamo quindi vedere nella sofferenza una punizione: Giobbe non è


Il rispetto deve essere reciproco - Intolleranza verso i cristiani che criticano l'omosessualità - di padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 7 giugno 2009 (ZENIT.org).- La questione della legalizzazione del matrimonio omosessuale continua ad occupare le prime pagine. Il 26 maggio scorso, la Corte Suprema della California ha confermato l'esito di un referendum noto come "Proposition 8", che ha modificato la Costituzione dello Stato restringendo l'istituto del matrimonio alle sole coppie eterosessuali.
Il referendum ha abrogato la precedente decisione della stessa Corte Suprema statale, che aveva in sostanza legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Nelle settimane che hanno preceduto l'ultima decisione, il matrimonio omosessuale è stato legalizzato in altri tre Stati, portando il totale a cinque: Massachusetts, Connecticut, Maine, Vermont e Iowa.
Come rilevato da un articolo apparso sul Washington Post del 27 maggio, quattro di questi Stati si trovano nel Nord-Est e, ad eccezione dell'Iowa, tutti hanno legalizzato il matrimonio omosessuale non per via legislativa, ma attraverso una decisione della Corte Suprema statale.
Un elemento importante nei dibattiti su questo tema è quello della libertà religiosa. In un articolo d'opinione apparso sul New York Times del 23 maggio, Peter Steinfels osserva che la proposta di legalizzazione del matrimonio omosessuale nel New Hampshire si era fermata per via della determinazione del governatore John Lynch a firmarla solo se fossero state introdotte maggiori garanzie a tutela delle istituzioni religiose.
Il 3 giugno scorso la Camera e il Senato del New Hampshire hanno approvato alcune modifiche e il Governatore ha quindi firmato la legge, destinata ad entrare in vigore nel 2010, portando così a sei gli Stati USA che prevedono il matrimonio omosessuale. Grazie a queste modifiche, le organizzazioni religiose manterranno la sovranità sul matrimonio religioso e non potranno essere obbligate a partecipare a matrimoni che violino le loro convinzioni religiose, né potranno essere richieste loro, in questi casi, prestazioni di consulenza, assistenza, o altro. Le società assicurative di natura religiosa non potranno essere inoltre obbligate a fornire copertura assicurativa nel caso in cui ciò comportasse una violazione del loro libero esercizio della religione.
Il caso del New Hampshire potrà ben influenzare i dibattiti in corso in altri Stati come quello di New York, ha osservato Steinfels.
Libertà religiosa
Quanto l'introduzione del matrimonio omosessuale è in grado di minacciare la libertà religiosa? La questione è stata oggetto di un forum organizzato dal Pew Forum on Religion and Public Life.
La trascrizione degli atti, pubblicata il 21 maggio, contiene la discussione tra i professori Robert W. Tuttle e Ira "Chip" Lupu, della George Washington University Law School.
Chi si oppone al matrimonio omosessuale si preoccupa del rischio che predicare contro l'omosessualità possa diventare un reato.
Altre preoccupazioni riguardano le istituzioni religiose come gli ospedali e le università, in cui si teme di dover essere costretti a fornire alle coppie omosessuali le stesse prestazioni assicurate a quelle eterosessuali.
Secondo i due professori, non si tratta solo di una questione teorica. Nel 2006, le organizzazioni caritative cattoliche del Massachusetts dovettero chiudere i loro servizi di adozione dopo che le modifiche apportate alla normativa antidiscriminazione resero obbligatorio offrire i bambini in adozione anche a coppie omosessuali.
Un altro ambito di preoccupazione riguarda le imprese e gli individui che hanno obiezioni religiose rispetto al matrimonio omosessuale, come quelle società che forniscono servizi matrimoniali o immobiliari.
Al riguardo, i due professori hanno rilevato che non esistono molti precedenti giurisprudenziali relativamente a questo tipo di obiezioni. I processi giudiziari, finora, si sono concentrati principalmente sulla questione del riconoscimento stesso del matrimonio omosessuale.
Tutela giuridica
Fino a questo momento, chi ha opposto un'obiezione di coscienza di natura religiosa in tribunale non ha riscosso molto successo, secondo un articolo pubblicato dal Washington Post il 10 aprile. Seguono alcuni dei casi citati nell'articolo.
-- Una fotografa cristiana è stata costretta dalla New Mexico Civil Rights Commission a pagare 6.637 dollari (4.683 euro) di spese legali per essersi rifiutata di fotografare la cerimonia di unione di una coppia omosessuale.
-- Una psicologa è stata licenziata in Georgia per essersi rifiutata di prendere in cura una lesbica con problemi di coppia.
-- In California, ad alcuni medici cristiani specializzati in tecniche di fecondazione che si sono rifiutati di inseminare una paziente lesbica la Corte Suprema non ha riconosciuto le motivazioni di natura religiosa.
-- Ad un gruppo studentesco cristiano è stata negato il riconoscimento presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università della California perché non ammetteva persone che avevano rapporti sessuali extra-matrimoniali.
-- Il sito internet per incontri personali eHarmony, gestito da Neil Clark Warren, un cristiano evangelico, ha acconsentito a fornire i propri servizi agli omosessuali in seguito a un ricorso di un uomo del New Jersey che l'aveva accusato di discriminazione.
Un articolo pubblicato il 3 maggio sul Los Angeles Times ha fatto appello a una maggiore tutela giuridica per coloro che si oppongono religiosamente al matrimonio omosessuale. Robin Wilson, un professore di diritto della Washington and Lee University School of Law, ha sostenuto che finora nessuno Stato ha assicurato garanzie sufficienti di libertà religiosa nel legalizzare il matrimonio omosessuale.
Sebbene la normativa del Connecticut e del Vermont contenga disposizioni per l'obiezione di coscienza, non è prevista una tutela sufficiente per persone come i consulenti per matrimoni, i fotografi e chi fornisce il catering.
"A causa di quelle leggi, molte persone dovranno scegliere tra coscienza e lavoro", ha affermato Wilson.
Cause di lavoro
In Gran Bretagna sono state intentate anche numerose cause legali sulla questione. Recentemente, le Chiese hanno espresso timore per la possibilità che le nuove disposizioni antidiscriminazione possano obbligarle ad accettare domande di lavoro di omosessuali, secondo quanto riferito dal quotidiano Telegraph il 20 maggio.
La normativa entrerà in vigore l'anno prossimo, ma finora le Chiese avevano sperato in un'esenzione. Questa speranza è stata spazzata via quando a una recente conferenza Maria Eagle, viceministro per le Pari Opportunità, ha detto che la legge riguarderà anche quasi tutti i dipendenti delle Chiese.
"Le possibilità che le istituzioni religiose possano praticare condizioni inferiori alla piena parità sono scarse", ha affermato, secondo il Telegraph.
Il disegno di legge sulle pari opportunità, che deve ancora essere approvato dal Parlamento, interpreta in senso stretto i margini che consentono di escludere gli omosessuali in base ad obiezioni di natura religiosa, limitandosi solo alle figure che ricoprono ruoli di guida liturgica e di catechesi.
I cristiani che si oppongono all'omosessualità vengono bersagliati anche in Gran Bretagna. Queste persone sono state definite "omofobi ritardati" dalla British Association for Adoption and Fostering, un'agenzia che gode di finanziamenti pubblici, secondo quanto riportato dal quotidiano Daily Mail del 14 maggio.
L'agenzia regolamenta e organizza corsi di formazione per gli operatori sociali in tutto il Paese, ha riferito l'articolo.
L'appellativo di "omofobi ritardati" compare in una guida ufficiale all'adozione per le coppie omosessuali, pubblicata dall'agenzia.
Il Daily Mail ha citato Patricia Morgan, autrice di uno studio sull'adozione dei gay, la quale ha detto: "È deprecabile che non vogliano discutere i pro e i contro dell'adozione dei gay, limitandosi ad insultare".
Contrasti sul lavoro
Diversi casi recenti dimostrano che i cristiani si trovano di fronte al rischio di perdere il lavoro se esprimo la loro obiezione di coscienza.
David Booker, un operatore di una charity, è stato sospeso per due settimane in seguito a una conversazione che aveva avuto con un altro operatore al quale aveva esposto la sua opposizione al matrimonio omosessuale, secondo quanto riferito dal quotidiano Telegraph dell'11 aprile.
Booker ha sostenuto di non essere un fanatico, ma di essersi limitato a esprimere la sua opinione personale. Il suo collega ha assicurato che le opinioni che aveva espresso non erano offensive, ha aggiunto il Telegraph.
Il 22 marzo, il Telegraph ha riportato il caso dei proprietari di un albergo, Peter e Hazelmary Bull, che sono stati denunciati da una coppia di omosessuali che si era vista rifiutare una camera in un hotel sul mare.
Le normative che si sono aggiunte all'Equality Act del 2007 vietano di rifiutare la vendita di beni o servizi a motivo dell'orientamento sessuale.
Un altro caso riguarda un dipendente dei registri matrimoniali dell'Islington Council a North London. Lillian Ladele si era rifiutato di condurre cerimonie per le unioni civili di persone dello stesso sesso. Il Council ha vinto un ricorso contro una decisione precedente che aveva considerato Ladele colpevole di discriminazione per via delle sue idee, secondo quanto riportato dalla BBC il 19 dicembre.
La decisione notava tuttavia che non tutti i membri del Council mostravano di essere sensibili verso la fede di Ladele.
Per decenni i fautori dei diritti degli omosessuali hanno fatto appello alla tolleranza e alla compassione; caratteristiche che sembrano gravemente assenti ora che si sta diffondendo il riconoscimento legale.


Dio non delude - Thomas Crean svela l'ignoranza e i pregiudizi di Richard Dawkins - di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 7 giugno 2009 (ZENIT.org).- Fa una certa impressione scoprire nelle librerie, nella parte dedicata alle scienze, che i titoli più propagandati sono di autori il cui obiettivo principale è esaltare l'ateismo e ridicolizzare la religione cristiana.
E' il caso dell'etologo britannico Richard Dawkins, professore di Public Understanding of Science presso l'Università di Oxford, il cui ultimo libro, edito in italiano da Mondadori, ha per titolo "L'illusione di Dio" (The God Delusion).
In questo come in altri libri, Dawkins sostiene che l'ipotesi di un Dio Creatore è contraddittoria e inverosimile, che i miracoli sono storie per creduloni, che i Vangeli non forniscono alcuna informazione attendibile sulla vita di Gesù e che Cristo non è affatto il figlio di Dio, anzi è un tracotante personaggio storico che genera artificiose illusioni.
Secondo Dawkins, la religione è una grossa allucinazione che provoca un danno psicologico, intellettuale e sociale. Per questo, il professore britannico si sente in dovere di spazzar via le nebbie di un'educazione cristiana che sarebbe paurosa, cieca e infantile.
Di fronte a tanta arrogante sicumera, padre Thomas Crean O.P., professore di Filosofia ad Oxford, ha scritto il libro "God is no delusion", pubblicato in italiano con il titolo "Non di sola materia" (Edizioni Studio Domenicano), che ha destato enorme scalpore perché risponde in modo pacato e puntuale a tutte le argomentazioni di Dawkins, dimostrando come ignoranza, pregiudizi e contraddizioni alberghino nel libro del campione di ateismo britannico.
Dawkins critica i Vangeli sostenendo che"furono tutti scritti molto tempo dopo la morte di Gesù", che "non si sa chi fossero i quattro evangelisti" e che le generazioni di amanuensi che copiarono i Vangeli "avevano anche i loro scopi religiosi" e quindi apportarono ai testi delle conseguenti modifiche .
Con flemma e accuratezza tutta anglosassone, Crean rileva che esistono molti più manoscritti del Nuovo Testamento di quanti se ne trovino per qualunque altra documentazione profana.
Per esempio, le opere di Aristotele sono contenute in soli cinque manoscritti ancora esistenti, le cronache dello storico romano Tacito in venti.
Per contro, esistono approssimativamente circa 5.300 manoscritti greci contenenti la totalità o alcune parti del Nuovo testamento, e circa 10.000 manoscritti latini e 9.300 manoscritti redatti in lingue arcaiche come il siriano.
Si conserva inoltre un gran numero di frammenti di papiri, risalenti al II e III secolo, contenenti gli stralci dei Quattro Vangeli.
Ad esempio, il "frammento Rylands", datato attorno al 125 d.C. è un frammento di papiro che riporta il colloquio di Gesù con Ponzio Pilato (capitolo 18 del Vangelo di Giovanni).
Il padre domenicano fa notare che questo frammento non si trova in qualche monastero dell'Egitto o della Siria, bensì nella biblioteca del Magdalen College di Oxford, assai vicino a dove abita Dawkins.
Sull'esistenza degli evangelisti e sulla diffusione del cristianesimo, il prof. Crean si dice stupito della inusuale superficialità dell'analisi di Dawkins.
La Chiesa cristiana si diffuse negli anni immediatamente successivi alla crocifissione di Gesù. Già nell'anno 70 i cristiani erano presenti in città come Antiochia, Corinto, Alessandria, Roma, Efeso, Filippi e così via.
Se tutto è una costruzione artificiosa da parte di uomini, come è possibile che una storia così inverosimile di una persona che diceva di essere il figlio di Dio, che era stato crocifisso e poi era risorto sia stata così creduta e si sia diffusa fino ad oggi?
Forse le persone sono tutte degli allocchi e Dawkins è tra i pochi che non si sono fatti abbindolare?
Dopo aver mostrato quanto le tesi di Dawkins siano superficiali erronee e inaccurate, il prof. Crean respinge in maniera chiara le tesi evoluzioniste e casualistiche dell'autore britannico.
Nel libro "Il gene egoista" e nei testi successivi, Dawkins sostiene che la religione, di qualsiasi genere e di qualunque tempo, è un'illusione che non può essere considerata pazzia solo in forza della sua diffusione.
Il padre domenicano spiega che i seguaci di Dawkins credono che la spinta iniziale di esistenze come quelle di San Paolo, San Benedetto, Dante Alighieri, Blaise Pascal, Louis Pasteur, Fedor Dostoyevsky, del Cardinale John Henry Newman o di Madre Teresa "non sia altro che il malfunzionamento di un qualche principio utile alla sopravvivenza dei nostri geni".
In realtà, spiega il prof. Crean, l'uomo non è frutto del caso, ma della volontà, ovvero dell'Amore di Dio.
"Il nostro vero destino - ha concluso - è quindi il possesso immortale dell'amore infinito. E nessun uomo è privato di questo fine e di questa felicità, se non per libera scelta".


Caso Englaro Solo la verità – da Tempi, di Lucia Bellaspiga - Diceva «quando Eluana sarà morta, tacerò». Invece papà Beppino si è messo a insegnare il “diritto di morire” perfino nelle scuole
«Quando Eluana sarà morta, tacerò». Queste le parole più volte ripetute da Beppino Englaro mentre la figlia Eluana ancora respirava tranquilla nel suo letto di Lecco, accudita da 15 anni dalle suore Misericordine e dai medici della clinica “Beato Luigi Talamoni”.
Poi tutti ricordiamo il precipitare degli eventi: è la notte del 2 febbraio 2009 quando, tra raffiche di nevischio, al cancello della clinica lombarda si presenta davvero, come un incubo che diventa realtà, l’ambulanza partita da Udine per prelevare Eluana e portarla a morire. Tutto è buio nella casa di cura di Lecco, tranne quella finestra al secondo piano: tra le fessure delle persiane, tirate giù come un velo di pietà, traspare un drammatico via vai di ombre che si muovono, sono gli infermieri che la preparano al suo ultimo viaggio, sono i medici della clinica che la abbracciano piangendo, sono le suore che le fanno coraggio. E sono le mani sconosciute di chi invece la preleva, sorde perfino alle suppliche delle suore: «La lasci a noi, non chiediamo nulla, solo di poter continuare ad accudirla».

Le reverenza di Fabio Fazio
Noi giornalisti osserviamo muti l’ambulanza che si allontana con il suo carico di vita, e dietro la macchina grigia di Englaro che la segue. Accompagnerà la figlia fino a Udine, fin dentro la casa di riposo “La Quiete”, pensiamo tutti noi. Ma non è così: pochi chilometri e poi svolterà. A Udine all’alba del 3 febbraio Eluana arriverà sola, a Udine la sera del 9 febbraio morirà sola, tre giorni dopo a Paluzza (paese degli Englaro, a pochi chilometri da Udine) sola scenderà sotto terra.
Ma Englaro non tacerà neanche allora, anzi: proprio dopo la morte di sua figlia, spentasi per denutrizione e disidratazione tra gli spasmi (come raccontano i testimoni dell’équipe che l’ha condotta al decesso), sarà sempre più presente, terrà teleconferenze e comizi nelle piazze della politica, parlerà di etica e bioetica, dispenserà nozioni e certezze che nemmeno gli specialisti possiedono sugli stati vegetativi e il livello della loro coscienza, sarà ospitato, spesso senza contraddittorio, in tv, ai convegni, sui giornali, dove “insegnerà” cose come il diritto e la libertà, la vita e la morte… A lui (che ci risulta da sempre si sia occupato di materiali edili) Fabio Fazio su Rai Tre, televisione di Stato, pone quesiti come: «Per recuperare una misura di saggezza, che consiglio dà a legislatori e politici?». E ancora: «Di chi è la vita? Mia o di Dio?» (da Che tempo che fa del 21 febbraio 2009). È lo stesso Fazio che lo accoglie in studio con una stretta di mano: «Questo è un applauso per dirle grazie per quello che ha fatto per tutti noi».

La legge è un freno? «Affidatevi ai giudici»
A Englaro negli stessi giorni viene attribuita la cittadinanza onoraria dal Comune di Firenze, mentre l’Unione nazionale cronisti italiani (Unci) lo premia come «fonte intelligente che ogni cronista vorrebbe avere, capace di capire il diritto-dovere di una società avanzata di essere informata in modo completo sui temi più importanti che la riguardano». Englaro ringrazia e ricambia, dicendo una grande verità: «Se non fosse a un certo punto scattato il meccanismo dei media non ce l’avrei fatta». E quanto ha ragione!
Ma chi è l’uomo che intellettuali ed esponenti della cultura laicista e radical chic chiamano “eroe civile”? Che cosa ha fatto? Ha preteso e ottenuto la morte di una figlia di-
sabile. Per questo e per null’altro sta salendo in cattedra, chiamato a far lezione ai nostri ragazzi nelle scuole: un mese fa agli universitari della Luiss (con contraddittorio, ma anche con la possibilità di far «registrare il proprio videotestamento presso un banchetto dell’associazione Luca Coscioni»), e il 15 maggio addirittura ai giovanissimi studenti del liceo classico Manzoni di Milano (senza contraddittorio). Giornali e agenzie di stampa parlano di una palestra stipata come non mai, di mani protese per toccarlo. E riportano i suoi insegnamenti: «Se vogliono negarvi le verità, lottate». E i suoi dettami politici: «Cercate di mandare in Parlamento gente più preparata e che abbia a cuore le nostre libertà. Sul testamento biologico occorre una legge agile e snella, altrimenti è meglio lasciare tutto così com’è e affidarsi alla magistratura» (con Eluana ha funzionato). «La presenza del signor Englaro ha convinto parecchio i professori», registra quel 15 maggio con soddisfazione la Repubblica online, che invece annota con biasimo lo sgomento silenzioso degli studenti cattolici.
Altre piazze e altre scuole attendono ora di accogliere Englaro.


Obama ricordi i gulag della Corea del Nord, non solo il nucleare - Almeno 300 mila prigionieri politici nei lager del Nord. Testimonianze di torture ed esecuzioni capitali. I laboratori per gli esperimenti nucleari costruiti coi lavori forzati. Un’associazione scrive al presidente Usa in visita a Buchenwald…
Tokyo (AsiaNews) - La Corea del Nord fa notizia in tutto il mondo quando esplode bombe nucleari nelle gallerie sotto i suoi monti o lancia missili intercontinentali. La preoccupazione è piu’ che giustificata: la proliferazione nucleare è una minaccia a livello planetario. Si sottovaluta, invece, il fenomeno della sistematica e diffusa violazione dei diritti umani che fa di quella infelice nazione un immenso gulag.
Il colpevole silenzio mediatico è riparato in parte da una recente iniziativa del gruppo “No fence” (‘”senza steccati”), un’associazione con base a Tokyo, che si impegna per la liberazione dei circa 300.000 prigionieri politici che languiscono nei campi di concentramento della Corea del Nord, soggetti a torture, lavori forzati ed esecuzioni capitali.
In occasione della visita del presidente degli Stati Uniti Barak Obama al famigerato campo di concentramento nazista Buchenwald, quel gruppo di cittadini gli ha inviato in questi giorni una lettera aperta per stimolare la comunità internazionale a denunciare il sistema dei gulag nord-coreani e a non focalizzare l’attenzione solo sulla minaccia nucleare di Pyongyang. Se il mondo non riconosce gli orrori che hanno luogo sotto quella dittatura “noi - si legge nella lettera aperta - saremo giudicati dalle generazioni future per non essere riusciti a far tesoro della lezione dei passati crimini contro l’umanità”
La lettera è stata sottoscritta da varie organizzazioni internazionali per i diritti umani e inviata a 3.000 parlamentari delle principali nazioni industrializzate.
Soon Yoon-bok, sud-coreano, segretario generale del gruppo “No Fence, è preoccupato dal fatto che americani ed europei, ben consapevoli delle brutalità inflitte dalla Germania nazista, in particolare contro gli ebrei, hanno poca conoscenza delle atrocità commesse oggi nei campi di prigionia nord-coreani. “Il leader Kim Jong-il, ha detto Soon, usa le sue bombe nucleari e i suoi missili per attirare l’attenzione della comunità internazionale e così nascondere gli aspetti più vili della sua dittatura: i campi di concentramento”
I terribili segreti del monte Mantap
Kang Chol-hwan, saggista del quotidiano sud-coreano Chosun Ilbo, con un’analisi sulla seconda esplosione nucleare realizzata quest’anno dalla Corea del nord, permette di intravvedere concretamente l’abiezione del regime poliziesco di Pyongyang. L’ordigno è stato fatto esplodere in una cava del monte Mantap, alto 2000 metri e coperto di folta vegetazione. È molto probabile che l’enorme quantità di mano d’opera richiesta per gli scavi sia stata presa dai prigionieri politici.
Anh Myeon-cheol, un nord-coreano, ex guardia in un campo di concentramento, fuggito nel sud nel 1994, ha detto che negli anni ’90, molti giovani prigionieri politici, erano scelti per opere di costruzioni sotterranee situate al monte Mantap. I prigionieri erano terrorizzati solo a sentire il nome di quella montagna. Da quella destinazione nessuno è mai tornato vivo. Anh era curioso di sapere per quale specie di lavoro erano scelti quei giovani dissidenti. Ora lo sa.
Il campo n. 16, riservato ai prigionieri politici di alta classe e alle loro famiglie è situato proprio sulle pendici del Mantap
La specialità in fisica nucleare è quella meno desiderata dagli studenti nord-coreani. Coloro che vi si laureano non hanno altra scelta se non quella di stabilirsi nel distretto di Bungan, dove si trovano gli stabilimenti nucleari di Yongbyong, e condurre una vita da reclusi.
“Tutta la verità, conclude, Kang verrà alla luce quando cadrà il regime di Kim Jong-il, ma non e’ da escludere che possa succedere anche ora qualche terribile disastro, sotto quella montagna.”

di Pino Cazzaniga
AsiaNews 06/06/2009 09:53


Quando l'ingenuo onesto è vittima di un torto - La strana giustizia di Renzo Tramaglino - di Franco Camisasca – L’Osservatore Romano, 7 giugno 2009
Nel primo capitolo del romanzo il Manzoni si sofferma diffusamente sui "bravi": deve giustificare come mai il povero don Abbondio li tema così fortemente; ma probabilmente il motivo è più ampio: parlare dei bravi e delle gride significa introdurre un tema che poi percorrerà tutto il romanzo, quello della giustizia: parola-chiave per comprendere uno dei significati più importanti del romanzo. E chi ha a che fare con la giustizia? Non tanto don Abbondio, anche se ne sembra la prima vittima, quanto piuttosto Renzo che con la ingiustizia del suo tempo deve fare i conti. Senza soffermarci sulla guerra di parole che il giovane deve sostenere con don Abbondio - anche questo ha a che vedere con la giustizia - lo seguiamo mentre cammina a passi infuriati verso la casa di Lucia con "la smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile". Il suo animo è turbato; lui, giovane pacifico e libero da cattiverie, è diventato in quel frangente un possibile omicida; il suo pensiero va a come prendere a tradimento don Rodrigo per farsi giustizia da solo. Il narratore con un intervento metatestuale non può non dire che "i provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi" (capitolo ii). Il male non si può valutare solo per l'atto malvagio in sé, la questione è più grave perché porta una depravazione in chi subisce un gesto cattivo. La vittima è indotta a sua volta al male. Quando poi incontra Lucia che, saputa la vicenda, piange, Renzo si arrabbia e urla il suo desiderio di farsi giustizia. Ci vuole il parere di Agnese per fermare momentaneamente l'ira del giovane, ma purtroppo questo parere - di consultare un illustre uomo di legge che li avrebbe saputi consigliare su come trarsi dall'impiccio - si trasforma in un nuovo dramma; Renzo si trova di fronte all'ingiustizia della giustizia. Le leggi esistono, però non saranno mai applicate per gente come lui. Infatti il dottor Azzeccagarbugli, quando esce dall'equivoco in cui era caduto, caccia il giovane: "non m'impiccio con ragazzi, non voglio sentir discorsi di questa sorte, discorsi in aria. (...) Imparate a parlare: non si viene a sorprender così un galantuomo" (capitolo iii). L'impatto con la legge, questa volta civile, poiché con quella ecclesiastica già si era imbattuto tra le fandonie di don Abbondio, è drammatico e conferma lo sfortunato giovane nella possibilità della ingiustizia. Anzi il fatto sembra aggravato - per noi lettori, che sappiamo, forse meglio di Renzo, leggere la situazione, tutto appare grottesco - dalle parole usate, "ragazzo" e "galantuomo", che stabiliscono un confronto/scontro tra i contendenti a scapito ovviamente di chi "galantuomo" non ha ragioni per mostrarsi. E da qui non è fuori luogo arguire che Renzo continuasse a coltivare in sé l'idea di farsi giustizia da solo. E la rabbia aumenta quando viene a sapere da padre Cristoforo che don Rodrigo è irremovibile; il frate non sa riferirgli "le parole dell'iniquo che è forte", perché esse "penetrano e sfuggono", ciò lo convince sempre più: "la finirò io: io la finirò!... La farò io, la giustizia, io!..." e rivolto a Lucia: "questa! sì questa egli vuole. Ha da morire!" (capitolo vii) Un Renzo sconvolto che usa la parola giustizia come sinonimo di vendetta, infatti il suo animo è preso da questa passione. Scappati i due giovani dal paese, dopo l'inutile e discutibile tentativo di matrimonio di sorpresa, con il solo conforto delle parole di fra Cristoforo - "preghiamo tutti insieme il Signore, perché sia con voi, in codesto viaggio, e sempre; e sopra tutto vi dia forza, vi dia amore di volere ciò ch'Egli ha voluto" (capitolo viii) - Renzo si ritrova a Milano a compiere una esperienza per lui del tutto nuova: diventare protagonista di un evento in cui la giustizia sembra avere molto a che fare. Ma qui non si tratta di una questione semplicemente privata, da questo momento il "povero montanaro" deve fare i conti con una città "sollevata" in un giorno in cui "ognuno pigliava, a proporzione della voglia e della forza, dando busse in pagamento". È il giorno del tumulto di san Martino, quando la folla sta assaltando i forni per rubare pane e farina. L'impatto è con una città in cui prevale la violenza. Renzo non si sente estraneo all'opinione comune secondo cui la scarsezza del pane fosse causata dagli incettatori e dai fornai ed "era disposto a trovar giusto ogni modo di strappar loro dalle mani l'alimento che essi, secondo quell'opinione, negavano crudelmente alla fame di tutto un popolo" (capitolo xi). Il giovane montanaro è vittima non solo della giustizia ma anche della mentalità corrente che lo porta a sposare le tesi populiste che attribuiscono indiscriminatamente ad alcuni la mancanza del pane. In un primo momento resta fuori dal tumulto, ma poi, in attesa del padre Bonaventura che doveva ospitarlo al convento, butta un'occhiata dove "il brulichio è più folto e più rumoroso". Assiste all'assalto al forno delle grucce e al furore crescente della massa, senza per altro capire molto; tuttavia non gli manca il buon senso per osservare in cuor suo che "se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Ne' pozzi?". Il narratore infatti commenta che "la devastazion de' forni, e lo scompiglio de' fornai non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva" (capitolo XII). Come si modifica la situazione di Renzo? Coinvolto tra una folla che non è certo in grado di padroneggiare, dal momento che non ne conosce le dinamiche, proprio perché in tali circostanze "l'annunzio di una cosa la fa essere", quando una "voce maledetta" porta tutti a saccheggiare la casa del vicario di provvigione, Renzo si trova invischiato tra un "esercito tumultuoso". L'idea dell'omicidio - la folla vuole ammazzare il vicario - gli causa orrore, anzi arriva a esprimere la propria opinione apertamente, ma è subito preso per una spia del vicario travestito da contadino. Il giovane non sa rendersi conto che la logica della massa non è la sua, c'è bisogno che il narratore lo ricordi a noi e forse anche a lui: nei tumulti popolari c'è sempre una parte più propensa al peggio e una no, tra esse la massa che è capace, contemporaneamente e verso il medesimo oggetto, di gridare "evviva e abbasso" solo perché mossa da passioni incontrollate. Alla folla è impossibile distinguere il bene dal male. Il nostro contadino, forte delle sue certezze morali - si sente dalla parte migliore - non si avvede che la circostanza in cui si trova lo condiziona al punto da non essere più in grado di guardare le cose con capacità critica. Quando arriva, inaspettatamente, il governatore Antonio Ferrer, per portare in galera il vicario - così almeno si crede - Renzo è tra i suoi sostenitori: aveva visto la sua firma sulle gride; non può che essere un uomo di giustizia e quindi decide di "non abbandonarlo, fin che non fosse ottenuto l'intento (capitolo XIIi). Si assiste a una specie di transfer: "al giovane montanaro (...) pareva quasi d'aver fatto amicizia con Antonio Ferrer"; si autoconvince di essere stato un importante protagonista nell'evento di giustizia di quella giornata. Quando la folla comincia a disperdersi non resiste all'impulso di dire anche lui il suo "debol parere" in un crocchio di gente. Ormai è convinto che per "mandare a effetto una cosa, basta farla entrare in grazia a quelli che girano per le strade" (capitolo xiv). Il poveretto non può immaginare quale serata lo aspetti, ma, preso da una foga oratoria, si dilunga in una disquisizione che, partendo dalla sua vicenda personale - per altro incomprensibile agli astanti - discetta sui tiranni che sono contro i dieci comandamenti, che non stanno in galera, mentre le gride ci sono; e poi sugli scribi e i farisei, che non fanno giustizia e fan girare il cervello dei galantuomini. Da uomo alla ricerca della giustizia, Renzo si trasforma in un predicatore che sta per diventare ancora più decisamente vittima della giustizia, ma qui la sua responsabilità, o meglio la sua ingenuità, gioca un ruolo determinante. Si fa sera e il narratore osserva che "le cose diventavano tutte di un colore", cioè le cose stanno diventando confuse, non si riesce a distinguere il loro vero significato. Convinto come la gente di Milano che le parole generano i fatti - d'altra parte i fatti della giornata sembrano confermarlo - con la sua concione ingenera negli astanti il convincimento che egli sia uno dei sobillatori, un organizzatore della insurrezione; fornisce di sé una immagine sbagliata. Alcuni applaudono, altri sono scettici, Renzo sente solo i complimenti. Ormai è in una spirale da cui non riesce ad uscire, si fa imbrogliare dallo sbirro che all'Osteria della Luna piena, complice qualche bicchiere di vino di troppo, riesce a farlo cantare. Prima resiste all'oste a cui non vuole fornire per iscritto le sue generalità perché carta, penna e calamaio sono strumenti del demonio: quando si scrive qualcosa si lascia aperta la possibilità della interpretazione; poi non si rende conto che i discorsi possono nascondere tranelli e rivela il suo nome al suo interlocutore. Da questo momento è nell'occhio della giustizia e la mattina dopo, quando si libera dai lacci delle guardie, sarà un ricercato dalla autorità giudiziaria. Una trasformazione repentina, poche ore di soggiorno milanese, da cercatore di giustizia a ricercato dalla giustizia. Ma ben altro lo aspetta.
(©L'Osservatore Romano - 7 giugno 2009)


Un incontro a Roma sull'identità politica dello Stato di Israele alla luce del viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa - Mosè alla Knesset, il sogno di Ben Gurion e la sfida della democrazia - di Luca M. Possati – L’Osservatore Romano, 7 Giugno 2009
Fin dagli albori della Rivelazione mosaica l'ebraismo si è confrontato, internamente ed esternamente a se stesso, con la dimensione del pluralismo e della democrazia. La domanda che scuote la Gerusalemme di Moses Mendelssohn (1783) - come può la Torah essere compatibile con uno Stato democratico? - si è fatta nei secoli sempre più incalzante, fino a trasformarsi in una sfida concreta, in un problema politico reale, con la nascita dello Stato di Israele nel 1948. Uno Stato, questo, democratico non teocratico - poiché il sovrano non è Dio ma il popolo rappresentato dalla Knesset, inclusiva anche di membri non ebrei - e che si autodefinisce ebraico, in quanto Stato del popolo ebraico e fondato sulla tradizione giudaica. Democratico per essenza, come recita la Dichiarazione d'Indipendenza, perché "assicurerà completa uguaglianza di diritti politici e sociali a tutti i suoi cittadini, senza distinzione di religione, razza o sesso. Garantirà la libertà di religione e di coscienza". Ma oggi, sessant'anni dopo, questi principi si sono pienamente realizzati? Oppure, attraverso l'esperienza israeliana l'ebraismo ha scoperto che la democrazia può rivelarsi anche una sfida, un pericolo, addirittura una minaccia alla sua stessa esistenza? Hamas - il movimento estremista palestinese che controlla Gaza - non è stato forse eletto democraticamente con elezioni regolari? Vox populi o vox Dei? Riflettere sui rapporti tra ebraismo e democrazia alla luce della recente visita di Benedetto XVI in Terra Santa è stato lo scopo di un incontro, tenutosi venerdì 5 giugno presso la Sala della Biblioteca della Camera dei Deputati e organizzato dall'associazione Cattolici Amici di Israele, da Isiamed (Istituto italiano per l'Asia e il Mediterraneo) e dall'Ispro (Istituzioni e progetti), al quale hanno preso parte Mordechay Lewy, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, il professore Raphael Jospe della Bar Ilan University, il professore David Maria Jaeger del Pontificio Ateneo Antonianum, e il senatore Gian Guido Folloni, presidente dell'Isiamed. Il viaggio in Terra Santa, durante il quale Benedetto XVI è tornato a chiedere con forza la pace e la realizzazione della visione dei Due Stati, ha rappresentato per Israele un momento di eccezionale importanza. "In nessun modo - ha detto Mordechay Lewy - né l'operazione Piombo Fuso, né la questione del vescovo Williamson, né tanto meno il dibattito in corso riguardante Pio XII hanno inficiato la visita di Benedetto XVI. Per Israele questa ha avuto una portata storica ed estremamente significativa. Il popolo ebraico nutre una profonda stima per il Papa. La visita - ha aggiunto l'ambasciatore - ha forgiato una tradizione seguendo il modello di Giovanni Paolo II e quindi per il futuro delle visite apostoliche ci si augura di continuare su questa scia. Il viaggio inoltre servirà da nutrimento per i futuri rapporti con la Santa Sede: le significative parole del Pontefice contro la Shoah e contro i negatori della Shoah, in favore del dialogo con gli ebrei e sulla scia della Nostra aetate resteranno impresse". Sul piano strettamente politico, la questione della democrazia in Israele è portata in primo piano da recenti fatti di cronaca. Nel suo discorso all'università del Cairo il presidente americano Barack Obama ha criticato l'attività edilizia israeliana in Cisgiordania - "Gli Stati Uniti non ammettono la legittimità dei continui insediamenti israeliani, che violano i precedenti accordi e minano gli sforzi volti a perseguire la pace" - e le drammatiche condizioni nelle quali versa la popolazione palestinese della Striscia di Gaza - "Israele deve dimostrare di mantenere le promesse e assicurare che i palestinesi possano effettivamente vivere, lavorare, sviluppare la loro società". Con l'occhio puntato su una nuova promozione della democrazia e sulla libertà religiosa, Obama ha denunciato l'esistenza di una grave disparità di condizioni in Israele tra la popolazione araba e quella ebraica - "deve finire l'epoca delle umiliazioni intollerabili" - mostrando implicitamente l'esistenza di una mancanza nella realizzazione di quegli ideali democratici annunciati da David Ben Gurion e sui quali Israele è stato fondato. A tal proposito - ha spiegato il senatore Folloni - ci sono molti fatti che hanno destato l'attenzione dell'opinione pubblica di Israele in questi anni. Nel 2000 la Commissione Or, indagando sull'uccisione di tredici cittadini israeliani, di cui dodici arabi, da parte della polizia nel Nord del Paese, sollecitò il Governo a rimuovere una serie di disparità evidenti tra ebrei e arabi israeliani e chiese che la magistratura svolgesse le debite inchieste sull'operato dei poliziotti che avevano sparato. A nove anni di distanza un rapporto ha dimostrato che nessuna delle due richieste è stata raccolta, anzi, la contrapposizione tra arabi ed ebrei si è inasprita. Il secondo fatto - ha aggiunto Folloni - è un articolo redatto da un ex membro della Knesset, Uri Avnery, giornalista della sinistra pacifista. In esso si fa riferimento all'interrogativo posto da trentotto personalità culturali di Israele al ministero dell'Interno: perché sulle carte di identità israeliane non viene indicata un'unica cittadinanza, ma compare solo, a seconda dei casi, la dicitura "cittadino giudeo" o "cittadino arabo" musulmano o cristiano. In altri articoli Avnery si è spinto fino al punto di agitare - come tanti altri analisti - lo spettro dell'apartheid. Il problema si è riproposto in tempi più recenti. Nelle ultime elezioni la Commissione elettorale voleva mettere al bando due partiti arabi. Per di più, il gruppo parlamentare di Yisrael Beiteinu, il partito del ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, ha proposto un disegno di legge per far prestare a tutti i cittadini giuramento di fedeltà "allo Stato ebraico e sionista" e per non rilasciare documenti di identità a chi non compia un tale gesto. Tuttavia, il Governo ha bocciato la proposta. La questione dei rapporti tra ebraismo e democrazia travalica inevitabilmente i confini della cronaca e della politica, fino a toccare radici culturali e identitarie dell'ebraismo e del cristianesimo. "Nella Torah non vi è alcuna menzione che la fonte dell'autorità per le mizvot (i comandamenti) risieda nel popolo - ha spiegato Raphi Jospe - e in nessun punto le leggi rivelate divinamente sono soggette a referendum, benché in un certo senso, l'alleanza stessa sia stata ratificata dal popolo". I rabbini talmudici sostenevano che la loro autorità si fondasse sulla rivelazione sinaica e che la Torah orale fosse stata rivelata insieme alla Torah scritta, e che fosse uguale ad essa. Molti si spinsero fino a suggerire che dal momento in cui la Torah è stata affidata agli uomini per essere interpretata persino Dio non può più avere voce in capitolo. Spetta all'autorità umana decidere le leggi in base al voto di maggioranza, voto che "non può essere equiparato al concetto di democrazia in senso greco - ha spiegato Jospe - ma è certo un passo significativo in quella direzione e comporta un pluralismo non solo de facto ma anche de iure di idee in conflitto". Il problema dei rapporti tra Torah e Stato democratico è stata posta con maggior forza da alcune figure di spicco della filosofia ebraica moderna, quali Spinoza e Mendelssohn. Quest'ultimo, rileggendo in chiave rabbinica la distinzione lockeana tra Stato (affari temporali) e religione (eternità), afferma che il tentativo di unire i due regni distinti porta inevitabilmente a una perdita della libertà umana e della libertà di coscienza. "Tuttavia - ha commentato Jospe - nell'antico sistema politico ebraico, che Mendelssohn definisce "la costituzione mosaica", la religione e lo Stato non erano regni distinti poi unificati, ma erano identici, poiché Dio era il legislatore e la Torah divina era la costituzione di quello Stato". Nell'esperienza cristiana - ha spiegato David Maria Jaeger - "la laicità dello Stato è considerata una premessa e un'esigenza della democrazia".
(©L'Osservatore Romano - 7 giugno 2009)


«Rispondiamo al bisogno per condividere la vita» - DA MILANO PAOLO FERRARIO – Avvenire, 7 giugno 2009
Rispondere a un bisogno concre­to per condividere il senso del­la vita. Entrano con queste in­tenzioni, nelle case delle famiglie, i vo­lontari dei Banchi di solidarietà, realtà presente da molti anni in Italia, che og­gi può contare su una rete di 180 asso­ciazioni, oltre 7mila volontari per circa 40mila persone assistite. L’attività dei banchi consiste nel portare, media­mente due volte al mese, dei pacchi di generi alimentari a famiglie in difficoltà economica. Con la crisi, la platea degli assistiti si è ulteriormente allargata e, oltre alle famiglie immigrate, ormai con­ta stabilmente anche numerosi nuclei italiani. Anche della “ricca” Brianza, co­me conferma Davide Bartesaghi, presi­dente del Banco di solidarietà “Madre Teresa” di Giussano (Milano).
«Perdere il lavoro oggi – sottolinea Bar­tesaghi, che con il gruppo dei volonta­ri gira la Brianza a nord di Milano – si­gnifica, in molti casi, scivolare inesora­bilmente verso la soglia della sussisten­za. Di conseguenza, anche le richieste di aiuto sono in aumento». Portando il pacco di viveri, i volontari dei Banchi incontrano il vissuto di tante persone con le quali, a poco a poco, costruisco­no un’amicizia. Gli alimenti offerti so­no il segno della volontà di condivide­re una difficoltà materiale abbraccian­do uomini e donne che stanno speri­mentando la “fatica” di vivere e testi­moniando una speranza più forte di quella fatica.
«Qualche anno fa abbiamo conosciuto una donna con il marito in carcere. Quando è uscito, è venuto a cercarci e ci ha chiesto di continuare a visitare la sua casa, chiedendoci di aiutarlo a cam­biare vita. È proprio in questi casi che ti accorgi come il pacco, in fondo, sia una piccola cosa rispetto al grande dono di un’amicizia».
Un’altra volta una signora 72enne di Se­regno (Milano), ha voluto a tutti i costi che i volontari accettassero una picco­la somma di denaro per i regali di Na­tale dei loro figli. Poche decine di euro ma che rappresentavano buona parte delle sue disponibilità. Di fronte al ri­fiuto, l’anziana ha risposto: «È un po’ come se fossero anche figli miei». Un’al­tra volta ancora, sempre una donna an­ziana si stupiva che i volontari portas­sero il pacco solo a lei e non girassero in­vece per altre case (di norma, i volonta­ri operano in coppia e visitano una so­la famiglia). «Allora – disse la donna commuovendosi – significa che volete bene proprio a me!».
«Con queste persone – aggiunge Davi­de Bartesaghi – si stringe un rapporto che va al di là della consegna quindici­nale del pacco e che resta anche quan­do il bisogno viene a cessare». Una vol­ta all’anno i volontari brianzoli orga­nizzano una cena con le famiglie assi­stite e, l’ultima volta, erano più di 250 persone. A uno dei tavoli era seduta Wanda, 65 anni, gli ultimi segnati da tanto dolore. «Avevo bisogno e ho tro­vato questi amici – racconta –. Come faccio a dimenticarli? Stavano con me per ore a chiacchierare. Se non avessi a­vuto loro, poi, sarei morta di fame».
Emblematica la storia di Marta, una gio­vane mamma romena di 25 anni con marito e figlio molto malati. Pochi me­si dopo aver conosciuto i volontari del Banco resta vedova e si trasferisce dal­la sorella a Torino. Qui il bimbo miglio­ra e oggi Marta sta meglio: «Finalmen­te posso tirare un po’ il fiato». «L’incon­tro con Marta – dice ancora Bartesaghi – è uno dei frutti più grandi del Banco in Brianza. Noi siamo stati accanto al suo bisogno, certi del fatto che l’esi­stenza ha sempre un significato. E la vi­ta di persone come Marta ne è la prova più evidente».
Davide Bartesaghi racconta le storie delle famiglie bisognose della Brianza. «Anche in mezzo a tanto dolore, abbiamo capito che il significato della vita è positivo»


Poveri, oltre 4 milioni sostenuti dai «Banchi» - In Europa attive 231 strutture: meeting a Palermo Nel 2008 sono state distribuite 282mila tonnellate di cibo - DA PALERMO ALESSANDRA TURRISI – Avvenire, 7 giugno 2009
Fanno in modo che lo spreco diventi ricchez­za, che il surplus di pochi si trasformi nel ne­cessario di molti. Da quarant’anni negli Sta­ti Uniti, da vent’anni in Italia e in tutta Europa, i ban­chi alimentari raccolgono le eccedenze della pro­duzione agricola e della distribuzione alimentare, recuperando cibo perfettamente integro, che può ancora essere consumato ma che è finito al di fuo­ri del circuito commerciale, e lo danno gratuita­mente a chi ne ha bisogno. Un’organizzazione ca­pace di unire gli sforzi di amministrazioni pubbli­che, aziende profit, non profit e cittadini, per un o­biettivo comune: ridurre la fame.
Per fare il punto sui risultati raggiunti, confrontar­si sulle difficoltà e sulle soluzioni adottate per fron­teggiare gli ostacoli, verificare le richieste di aiuto che da più parti si levano in un periodo di reces­sione come quello attuale, si è svolto a Palermo il meeting annuale della Feba, la Fédération Eu­ropéenne des Banques Alimentai­res, che riunisce 231 banchi di 17 federazioni nazionali. Tre giorni nel capoluogo siciliano, luogo sim­bolo delle contraddizioni socio­economiche, in occasione dei die­ci anni dalla nascita del banco a­limentare in città.
Un’organizzazione da cui in Euro­pa dipende la sopravvivenza di quattro milioni e mezzo di pove­ri, un milione e mezzo solo in Ita­lia. Nel 2008 sono state raccolte e distribuite, nei Paesi della Feba, 282 mila tonnellate di cibo, un da­to in flessione rispetto all’anno precedente, quan­do si raggiunsero le 287.822 tonnellate. «Il proble­ma è proprio questo – spiega Jean Delmelle, presi­dente della Feba –. La domanda cresce in ogni Pae­se, ma le risorse non stanno aumentando. Bisogna continuare a lottare. Abbiamo la grande ricchezza del volontariato, persone motivate che donano il loro tempo per aiutare la gente». Delmelle illustra la complessa organizzazione di reperimento ri­sorse, che arrivano per gran parte dal programma dell’Unione europea: la Polonia attinge per l’80% da questo fondo, l’Italia per il 77%. Poi ci sono le grandi compagnie produttrici, la colletta alimen­tare e i supermarket. Un lavoro comune che ottiene i suoi frutti. «In un tempo così carico di prove per tutti, ma soprattut­to per i poveri, l’incontro di Palermo è il segno del­la volontà di non lasciarli soli e del lavoro unitario che in tutta Europa i banchi alimentari stanno com­piendo per donare il cibo necessario per vivere» afferma don Mauro Inzoli, presidente della fonda­zione Banco alimentare onlus. «Anzi, questo pe­riodo di crisi – aggiunge il direttore della fonda­zione italiana, Marco Lucchini – è forse il momen­to migliore per investire nella sensibilizzazione. Quando tutti vivono le stesse difficoltà, non si pen­sa più solo a se stessi, ma in maniera più altruisti­ca ».
Non è un caso che negli Stati Uniti, dove il sistema dei banchi prevede anche che si possano compra­re i prodotti col denaro, le donazioni sono au­mentate anche del 20 per cento. Lo racconta Da­vid Prendergast, presidente del Global Food Banking Network, la rete che unisce i Banchi ali­mentari di Nord e Sud America. «Un incentivo al­le offerte viene anche dal sistema fiscale america­no – spiega –, che prevede la totale defiscalizza­zione delle donazioni di cibo e di denaro. Ma i bi­sogni, in questo tempo di grave crisi, aumentano e non si riesce a far fronte a tutto. Ogni tanto succede qualche fatto straordi­nario, come quando la Kellogg’s ha donato al banco tutta la pro­duzione di una giornata. Ma è necessario che oltre alle dona­zioni, aumentino le azioni go­vernative. In Sud Africa, per e­sempio, siamo riusciti a coinvol­gere il governo per la creazione di una food bank».
Ma l’incontro è anche l’occasio­ne per confrontarsi sulle “buone pratiche” messe in campo nei vari Paesi, affinché possano diventare modelli da imitare. Per esempio, la legge del “buon samaritano” in Italia, la 155 del 2003, che consente di recuperare il surplus fresco, ossia cibi cucinati che, invenduti a fine giornata, sa­rebbero destinati alla distruzione. Ma anche la so­luzione che il banco in Belgio ha escogitato per ri­solvere il problema dell’eliminazione dei sacchet­ti di plastica nei supermercati, che dal 2010 sarà ap­plicata in tutta Europa. In occasione della colletta alimentare, gli acquirenti non donano prodotti ma vaucher, «che ci consentono di selezionare i pro­dotti che servono» aggiunge Delmelle. Ma non si corre il rischio di demotivare la gente? Regalare un pacco di pasta non è la stessa cosa di donare un bi­gliettino. «Abbiamo fatto molta pubblicità – con­clude –. Bisogna far funzionare la comunicazione».
David Prendergast, presidente dei Banchi Nord e Sud America: in tempo di crisi, oltre alle donazioni, devono aumentare anche gli interventi governativi


SCUOLA/ Libri di testo: quella strana idea di famiglia che viene trasmessa ai bambini - Redazione - sabato 6 giugno 2009 – ilsussidiario.net
Maggio: mese tradizionalmente dedicato, nelle scuole, alla scelta dei libri di testo per l’anno successivo. Il compito degli insegnanti è quello di valutare contenuti e metodologie per individuare le proposte di adozione da sottoporre ai Collegi Docenti. Ultimamente, però, la scelta è diventata più delicata: la normativa impone che i testi adottati siano mantenuti per i successivi cinque anni ed è dunque più che mai necessario esaminarli con grande attenzione, per non trovare brutte sorprese quando ormai non ci si può fare più nulla.
Il lavoro, poi, si è dimostrato ancora più complesso del previsto, come ci hanno segnalato alcuni insegnanti di scuole associate alla CdO Opere Educative, perché le case editrici si sono “modernizzate” e, per stare al passo dei tempi, si sono adeguate a quello che il mercato richiede. Così è diventato arduo trovare testi liberi dagli influssi delle odierne mode culturali, improntate a modelli di vita e di pensiero quantomeno discutibili.
L’uso dei libri di testo scolastici a fini di indottrinamento delle nuove generazioni non è cosa nuova, purtroppo. E’ nota la polemica – mai spenta – sull’uso di fondi dell’UE per finanziare la pubblicazione di libri scolastici palestinesi incitanti all’odio contro Israele e all’uccisione degli Ebrei attraverso atti kamikaze di martirio/suicidio. Altrettanto nota, stavolta solo nostrana, è quella sui manuali di storia in adozione nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, e sulle loro clamorose deformazioni (o dimenticanze) di certi avvenimenti a fini politici o antiecclesiali…
Ma quello che ancora non avevamo osservato, e sicuramente ci auguravamo che non accadesse mai, è un fatto nuovo: la redazione di libri scolastici di lettura, per le scuole primarie, infarciti di riferimenti contro la famiglia e inneggianti alla disobbedienza dei bambini, finalmente in grado di sottrarsi alla “morsa” dei genitori e lanciati verso radiosi orizzonti di autonomia e di auto-educazione…: “Zitti tutti e sparite…Butto le scarpe in pattumiera, e sto a letto fino a stasera!…Avete sentito o lo devo urlare che io stamattina non mi voglio alzare? Mi sono svegliato con la luna storta, state lontano, ecco chiudo anche la porta!”. Un nuovo modello di bambino, insomma, non più desideroso o almeno preoccupato di seguire i grandi, ma fortemente dispotico e ripiegato sui propri capricci. Non vogliamo scandalizzarci; tutti i bambini fanno i capricci e sempre li faranno. Ma il fatto che questo venga “simpaticamente” messo a tema nei libri di lettura scolastici lascia perplessi, perché con la scusa dell’esercizio linguistico in realtà si propone un modello da emulare. E i bambini, lo sappiamo, emulano…
Questo, però, è solo l’inizio e sarebbe ancora poca cosa…
Infatti: “Jacopo vive con la mamma perché i genitori sono separati, ma ogni due settimane passa il week-end col papà”; quando questi però gli telefona per invitarlo al pranzo con la nonna (che gli vuole tanto bene…) e mette scompiglio nei suoi progetti che prevedevano una festa di compleanno con amici, Jacopo “ci resta malissimo…ha una specie di incendio nella pancia e si sente il cuore gonfio come se stesse per scoppiare….sbatte giù il ricevitore del telefono e fa cadere l’apparecchio a terra…..afferra con rabbia lo zaino ed esce di corsa per andare a scuola”. Ecco un significativo esempio di “normalizzazione” della famiglia separata, in cui i padri sono assenti o quantomeno inopportuni….
Facile ironia? Non tanto, visto quanto è possibile leggere altrove: “Mi chiamo Sara, vivo in una villetta a schiera con un fazzoletto di giardino insieme a mia madre e ai miei due fratelli…..Anna, la genitrice, Grande madre apprensiva, è una a posto, una che c’è e su cui si può contare. Ci sarebbe ancora il Grande Capo, il Pater Familias…ma non ho proprio voglia di parlarne. Basti dire che non c’è, è passato e andato, e a me non sembra che questa fosse una cosa da fare. Ma a lui sì, a quanto pare….”
Famiglie senza padre, famiglie moderne. Come quella di Benedetta (V^ elementare), che ha già la sua bella storia sentimentale con un ragazzo (ma a 9-10 anni non era il periodo della latenza?), come racconta nel suo diario segreto: “Lei (la mamma) si è letta la pagina del bacio, ha saputo del pigiama party, dei miei appostamenti alla casa di Nicola mentre lei mi credeva a lezione di danza, della bici di notte, ma soprattutto si è beccata tutti i commenti su di lei…insomma dire che è furiosa è un eufemismo. Un po’ mi fa pena perché l’ho ferita nell’orgoglio.”.”
Eh già, per vivere una vita così – “bella, avventurosa e soprattutto libera”- un papà presente e che controlla (già lo fa “quella ficcanaso della mamma”, che non si capisce perché “non si fa mai i fattacci suoi”) sarebbe davvero un bel problema...
E quand’anche la famiglia fosse “normale”, quella orribile-banale-noiosa famiglia “normale”, lo spettacolo descritto non è meno desolante: “I genitori gli comunicarono la notizia una sera a tavola. Ti piacerebbe avere un fratellino o una sorellina, cucciolo?”. Risposta: “No, grazie! Ma i due non lo ascoltarono e la pancia della mamma cominciò a crescere”. Così, “nel giro di qualche mese le cose precipitarono e nacque il fratellino”. Da quel momento la vita per Oscar diventò un vero inferno: il papà “prima di tutto gli impediva ogni rumore”; la mamma, poi, “non si allontanava un centimetro dal bebè….facendogli ghirigori sulla pancia e ripentendo filastrocche tipo: «Tesoro qui, tesoro là, la tua mamma cosa fa»…”
Epilogo con commento di Oscar: “Scoraggiante!”.
Come può non essere “scoraggiante” una circostanza come la nascita di un fratellino (che fortunatamente nella realtà è ancora attesa, condivisa e accolta da tanti come un lieto evento carico di fecondità) presentata in un modo simile?
D’altra parte, se dopo un litigio (non solo a parole) tra compagni le considerazioni che emergono sono: “come si fa a non esagerare quando devi convincere uno che non vuole assolutamente darti ragione?”, come possiamo sperare che l’altro, sia questo la mamma, il papà, il fratello o il compagno, non sia da eliminare solo perché limita la tua espressività?
Potremmo andare avanti a lungo con esempi simili, ma preferiamo fermarci qui, tanto è evidente il tentativo di introdurre una nuova antropologia e, con essa, una nuova “cultura”. E se oggi -come accaduto nei confronti della pubblicità di una nota marca di automobili- si solleva ancora qualche timida protesta (subito zittita dai benpensanti nostrani illuminati dalla luce del progresso e impegnati nella costruzione della nuova umanità), forse tra pochi anni tutto questo parrà normale e le conseguenze, che deriveranno dall’aver fatto crescere delle persone incapaci di relazioni autentiche, saranno irrimediabili.
Davvero, come ricordato durante la recente assemblea Generale della CEI, «la situazione ambientale è difficile e pesante ed è attraversata da derive e o­rientamenti culturali» che finiscono con il trasformare il significato stesso di concet­ti come «il bene, il vero e il bello». Il vero «è ridotto a know how, cioè a sapere come si fa, per cui il senso è sottoposto a totale relativismo e al con­senso della maggioranza». Il bene «viene identificato con l’utile per sé e il proprio gruppo, contrapposto all’utile per gli al­tri». Il bello, infine, «si identifica con ciò che mi eccita emotivamente e non con ciò che mi chiama ad uscire fuori da me stes­so come vocazione al bene e al vero».
Noi, però, abbiamo il desiderio e la presunzione di opporci a questa deriva. Come? Continuando la nostra battaglia per un’educazione libera, già possibile in luoghi che offrono un insegnamento conforme alla nostra bella e ricca tradizione; luoghi in cui sono impegnati adulti consapevoli del compito educativo che li attende e che guardano con attenzione e dedizione chi ancora oggi si “ostina” a difendere la famiglia, quella vera. Perché “in un tempo in cui è forte il fascino di concezioni relativistiche e nichilistiche, e la legittimità stessa dell’educazione è posta in discussione, il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare”. (Benedetto XVI, intervento all’assemblea generale della CEI, 28 maggio 2009)
a cura di Marco Lepore (ufficio stampa FOE) e Paola Guerin (Centro Servizi FOE)