martedì 7 luglio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) PARLAMENTO UE/ Mauro: ecco perché il Ppe mi ha chiesto di fare un passo indietro. Napolitano: l'Italia meritava la presidenza - Redazione - domenica 5 luglio 2009 – ilsussidiario.net
2) Il G8 del Papa - Luca Pesenti - martedì 7 luglio 2009 – ilsussidiario.net
3) WELFARE/ Salamon (Johns Hopkins University): Europa e Usa in crisi? Basta cambiare lo Stato - INT. Lester Salamon - martedì 7 luglio 2009 – ilsussidiario.net

PARLAMENTO UE/ Mauro: ecco perché il Ppe mi ha chiesto di fare un passo indietro. Napolitano: l'Italia meritava la presidenza - Redazione - domenica 5 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Mario Mauro ha rinunciato alla propria candidatura a presidente del parlamento europeo. La notizia è arrivata in serata, quando mancano due giorni al voto che, in mancanza di un accordo, avrebbe sancito una grave spaccatura all’interno del gruppo popolare europeo chiamato ad esprimere un candidato alla presidenza dell’europarlamento. Il 14 luglio prossimo verrà quindi eletto l’ex Primo Ministro polacco Jerzy Buzek, che fin dall’inizio ha rappresentato la candidatura alternativa a quella di Mauro. Buzek ha avuto il sostegno di Germania e Francia, oltre che naturalmente di tutti i paesi dell’Est.
La rinuncia di Mario Mauro è arrivata dopo che il presidente del Gruppo PPE al Parlamento Europeo, Joseph Daul, ha parlato con Silvio Berlusconi e chiesto a Mauro di ritirare la sua candidatura, ringraziandolo naturalmente «di aver accettato di ritirare la sua candidatura nello spirito di compromesso e di solidarietà europea».
Riportiamo di seguito la notizia contente le parole di Joseph Daul, seguita dal comunicato di Mario Mauro.
Bruxelles, 5 Luglio, 2009
Presidenza del parlamento europeo: Joseph Daul saluta lo spirito europeista di Silvio Berlusconi e di Mario Mauro.
Joseph Daul, deputato europeo, presidente del gruppo PPE
Il Presidente del Gruppo PPE al Parlamento Europeo, Joseph Daul, dopo un colloquio con il Presidente del Popolo della Libertà, Silvio Berlusconi, ha chiesto a Mario Mauro di ritirare la sua candidatura alla presidenza del Parlamento Europeo in modo da facilitare l'elezione, il 14 luglio prossimo, dell'ex Primo Ministro polacco il deputato europeo Jerzy Buzek.
Joseph Daul ha tenuto a ringraziare in modo particolare il Presidente Berlusconi per questo gesto di unità e di coesione della famiglia politica del PPE.
«Ancora una volta, Silvio Berlusconi e il suo partito il Popolo della Libertà, dimostrano il loro attaccamento ai valori di un'Europa responsabile e solidale. Saluto il segnale positivo dato dal PDL italiano che permetterà al nostro Gruppo, la forza più influente del Parlamento Europeo, di designare in un clima di grande serenità il nostro candidato alla presidenza del Parlamento Europeo», ha dichiarato Joseph Daul.
«Voglio ancora una volta sottolineare quanto gli europei siano debitori all'Italia, paese fondatore dell'Unione, e voglio altresì ringraziare il popolo italiano per il forte sostegno manifestato in favore della costruzione europea con un tasso di partecipazione record alle ultime elezioni europee. La vittoria ottenuta dai nostri partiti del centro-destra italiano permette al PPE di rimanere la maggiore forza politica in Europa, e non dubito che i miei colleghi italiani eserciteranno delle responsabilità importanti nella nuova legislatura al Parlamento Europeo», ha sottolineato il Presidente del Gruppo PPE.
«Voglio altresì salutare calorosamente il mio collega e amico Mario Mauro del quale ho sempre ammirato il coraggio e l'attaccamento ai principi e agli ideali etici umanisti e pro-europei che condivido pienamente. Lo ringrazio di aver accettato di ritirare la sua candidatura nello spirito di compromesso e di solidarietà europea, facilitando così il processo di nomina del nostro candidato alla successione di Hans-Gert Poettering. Sono sicuro che Mario Mauro continuerà ad essere nei mesi e negli anni a venire, un protagonista impegnato e riconosciuto all'interno del Gruppo PPE e sulla scena politica europea», ha dichiarato Joseph Daul.
Il Gruppo PPE designerà il 7 luglio prossimo il suo candidato alla Presidenza del Parlamento Europeo per la prima parte della legislatura.
Comunicato di Mario Mauro
La soddisfazione per l'importante risultato delle elezioni europee mi spinge innanzitutto a ringraziare i tanti italiani per la fiducia che mi hanno dimostrato. Mi sento perciò investito di una grande responsabilità. Gli italiani hanno capito che il cuore della sfida per lo sviluppo e per la pace si gioca per la maggior parte in Europa e ciò è dimostrato dal fatto che abbiano votato quasi il 70% degli aventi diritto. È stata una delle percentuali più elevate che dimostra la nostra fiducia nell'Europa e tutto il nostro interesse ad essere di nuovo protagonisti. L'Italia poi al contrario di altri Paesi ha ratificato il Trattato di Lisbona e, non dimentichiamolo, dopo la seconda guerra mondiale per prima ha creduto in questo progetto. Se crediamo nell'Europa, tuttavia, non dobbiamo nasconderci i problemi e constatare che quello che sta avvenendo in queste settimane lascia a dir poco perplessi. La decisione, peraltro ancora rimediabile, di alcuni gruppi politici del Parlamento europeo di non accordare la fiducia al Presidente della Commissione Barroso può rappresentare un elemento incomprensibile ai cittadini in un momento in cui c'è bisogno di grande determinazione e compattezza per venire fuori dalla crisi da parte delle Istituzioni europee.
Proprio perché ritengo che sia importante che i cittadini non perdano fiducia ulteriormente nel progetto europeo, intendo favorire con un gesto di responsabilità la definizione da parte del Gruppo PPE della candidatura popolare al ruolo di Presidente del Parlamento europeo. Costringere al voto il Gruppo martedì 7 luglio significherebbe produrre un'inutile e disdicevole spaccatura che avrebbe come conseguenza per la nostra famiglia politica arrivare divisi alla fase costitutiva della legislatura: quella in cui bisogna indicare con chiarezza gli obiettivi politici nell'interesse dei cittadini europei. D'intesa con i vertici del mio partito e del Gruppo PPE abbiamo deciso di ritirare la mia candidatura. Ringrazio al contempo di cuore il Governo italiano per il suo prodigarsi e soprattutto i tanti che hanno sostenuto questo tentativo e che ho di sentito rappresentare al di là del colore politico. Se il desiderio di soddisfare l'ambizione personale prendesse il sopravvento sullo spirito di servizio dimenticherei le ragioni del mio lavoro e di una fede che mi ha sempre educato alle ragioni degli altri. Lasciare il passo alla candidatura del caro collega Buzek è quindi un modo per contribuire responsabilmente al ruolo che i Popolari europei devono avere perché la politica e il progetto europeo, in particolare, vengano percepiti come tensione al bene comune e amore al destino dei nostri popoli.


Il G8 del Papa - Luca Pesenti - martedì 7 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Papa Benedetto XVI ha scritto a Silvio Berlusconi, presidente del vertice del G8 in qualità di leader del Paese ospitante, perché attraverso di lui il messaggio giunga ai grandi della terra, riuniti da mercoledì a L’Aquila per un summit che ha già assunto un rilievo simbolico straordinario. È il G8 che deve provare a dare risposte alla grande crisi, vincendo la debolezza cronica della politica nei confronti di un mercato ammalato ma che pretende in modo presuntuoso di bastare a se stesso.
La lettera, particolarmente accorata e drammatica, come già accaduto in passato prova a dare un contributo per l’agenda delle priorità. Le priorità del bene comune, di tutti e di ciascuno.
Scrive il Papa che le “sfide della crisi economico-finanziaria in corso” ma anche “i dati preoccupanti del fenomeno dei cambiamenti climatici” rendono necessario e urgente “un saggio discernimento e nuove progettualità per convertire il modello di sviluppo”, rendendolo capace “di promuovere, in maniera efficace, uno sviluppo umano integrale, ispirato ai valori della solidarietà umana e della carità nella verità”.
Verrebbe da pensare a un testo fortemente critico nei confronti del modello di sviluppo occidentale. Ma la chiave del suo ragionamento non è certamente di stampo anticapitalista né segnata da un’avversione ideologica al mercato. Meno che mai si espone ai rischi della pericolosa deriva (annusata con soddisfazione anche da una parte del mondo cattolico) verso l’utopia della decrescita. Su questo punto, a scanso di ogni equivoco, il Papa rimanda esplicitamente alla sua prima Enciclica sociale (la Caritas in veritate), la cui presentazione ufficiale avverrà proprio (e forse non casualmente) oggi, alla vigilia del vertice abruzzese.
Leggendo le anticipazioni ormai in circolo da qualche giorno, emerge in essa una visione armonica della realtà economica, in cui al centro non ci sono le regole (sempre più difficilmente garantite dagli Stati o dalle organizzazioni internazionali) o i meccanismi astratti (la mitica “mano invisibile” di un mercato presunto autosufficiente), ma l’uomo con le sue esigenze costitutive, i suoi desideri di bene, di felicità, di giustizia. Il mercato, scrive Benedetto XVI nella sua terza Enciclica, “è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone […] per soddisfare i loro bisogni e desideri”. Ma per sua natura (perché così è la natura dell’uomo e di tutto ciò che costruisce) “non è in grado di produrre da sé ciò che va oltre le sue possibilità. Esso deve attingere energie morali da altri soggetti, che sono capaci di generarle”. Il mercato insomma ha bisogno di essere immerso in una realtà sociale più ampia, che lo rifornisca di fiducia, gratuità, giustizia. Altrimenti, sono guai.
Analizzata attraverso queste pagine di adamantina ragionevolezza, la lettera ai grandi della terra assume allora un significato ancora più stringente. Per arrestare la crisi, per provare a vincere la povertà e la miseria, non servono i grandi progetti astratti, le politiche calate dall’alto, il paternalismo dello Stato assistenziale. E non basta nemmeno lasciar andare il mercato a briglia ancora più sciolta. Al contrario, serve un investimento deciso sulla “risorsa umana”, principale soluzione alla crisi che ci investe. E come si fa a investire sulle persone, sul capitale umano? Passando attraverso l’educazione, la sussidiarietà e il lavoro.
Una proposta essenziale, quella del Papa, in cui gli Stati e le organizzazioni internazionali sono chiamati a sostenere, non a sostituire, gli sforzi profusi innanzitutto dalla Chiesa e dalle altre confessioni religiose, direttamente o attraverso le rete delle organizzazioni non governative presenti in ogni angolo del globo.
Questa è la vera sfida che la politica è chiamata a raccogliere. Al di là di un’antistorica distinzione tra un mercato irrimediabilmente perverso e uno Stato naturalmente portatore esclusivo di un principio di giustizia, e oltre ogni pretesa (o speranza) di una governance globale che sembra sempre più assomigliare ad una chimera.


WELFARE/ Salamon (Johns Hopkins University): Europa e Usa in crisi? Basta cambiare lo Stato - INT. Lester Salamon - martedì 7 luglio 2009 – ilsussidiario.net
A Milano si è recentemente tenuto il convegno “Beyond the Welfare State, towards Subsidiarity”, organizzato dalla Johns Hopkins University e dalla Fondazione per la Sussidiarietà. Era presente anche Lester M. Salamon, Direttore del Centro per gli Studi sulla Società Civile nell’ateneo statunitense ed esperto del settore. A lui abbiamo chiesto di aiutarci a capire come il welfare può evolvere per fornire servizi più efficienti ai cittadini.
Professor Salamon, si è appena conclusa la ventesima edizione della Johns Hopkins International Philanthropy Fellows Conference, dal titolo “Oltre il welfare state, verso la sussidiarietà”. Perché, secondo lei, è importante oggi procedere “oltre” il sistema tradizionale di welfare state?
Quella del welfare state è una crisi legata al suo successo, non a un suo fallimento. I sistemi di welfare che i paesi europei hanno edificato nel corso del Novecento hanno costituito un elemento senza dubbio positivo per la società, riconoscendo dei diritti e fornendo dei servizi in ambiti diversi quali la sanità, l’istruzione, la formazione professionale, l’assistenza. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni si è resa sempre più evidente una crisi legata all’andamento demografico e ai sistemi di finanziamento dello Stato sociale: l’invecchiamento della popolazione ha ridotto le fonti di finanziamento dello Stato sociale, ampliandone al contempo l’ambito di spesa. A ciò si intreccia il ruolo sempre più ampio della burocrazia, che ha reso più complessi i meccanismi di funzionamento del sistema, riducendo le opportunità di scelta al proprio interno.
La crisi del welfare riguarda anche gli Stati Uniti?
Sì, ma per ragioni in parte opposte. Il sistema di welfare statunitense prevede un numero molto contenuto di programmi e implica un ruolo decisamente inferiore dell’ente pubblico rispetto a quanto stabilito qui in Europa; molti programmi, infatti, coinvolgono per lo più enti privati, di natura for profit o non profit, che sono chiamati a svolgere il ruolo di service provider in vece dello Stato. In ultima analisi, il sistema americano di welfare è estremamente frammentato; più che a uno stato di diritto, si ispira a uno spirito pragmatico (“si fa quel che si può”), che però spesso lascia insolute situazioni anche molto gravi, come nel caso della sanità.
Quale prospettiva suggerisce per rispondere alla crisi odierna del welfare?
A mio parere, è urgente superare le convinzioni tradizionali ancorate alla visione di un rapporto conflittuale tra Stato e mercato. Il difetto maggiore di tale impostazione è quello di non riconoscere l’esistenza di un ulteriore protagonista, il terzo settore, ossia il mondo del non profit, il cui ruolo sta acquisendo crescente importanza negli Stati Uniti come in Europa. Occorre dunque riconoscere l’esistenza di una società a tre settori (pubblico/privato/non profit), vicendevolmente interdipendenti e chiamati a svolgere un’attività di sostegno reciproco. Riconosco benissimo che ciò non semplifica affatto lo scenario, anzi lo complica: per tale ragione ritengo sia indispensabile sviluppare quella che io definisco una new governance, imposta dalla necessità di riconoscere la compresenza di più attori.
Quali sono le caratteristiche salienti della new governance?
La new governance implica il riconoscimento della necessità di una partnership quanto più possibile ampia e strutturata tra i diversi soggetti presenti nella società, inclusi i numerosi enti del terzo settore, per la fornitura di servizi accessibili a tutti in grado di rispondere ai bisogni della cittadinanza. Ciò implica lo sviluppo di sistemi di network tra i soggetti presenti nel territorio.
Quale sarebbe il ruolo dello Stato in questo nuovo scenario?
Un cambiamento di prospettiva come quello da me delineato non implica una riduzione del ruolo dello Stato, ma una sua diversificazione rispetto al passato, in direzione di una prospettiva di partnership con gli altri due settori della società. In particolare, ritengo che allo Stato competa un ruolo primario in quanto finanziatore del sistema di welfare; ciò tuttavia non esclude l’individuazione di strumenti innovativi rispetto all’erogazione diretta dei servizi, come ad esempio attraverso i voucher, i loan guarantees o altri mezzi indiretti che sottraggono al governo parte del controllo sulla gestione delle risorse. Si tratterà, di volta in volta, di individuare gli strumenti più consoni per favorire lo sviluppo di politiche efficaci ed efficienti. Ciò impone la creazione di un sistema di accreditamento degli enti ammessi a erogare servizi pubblici finanziati dallo Stato, e un sistema di monitoraggio e di valutazione delle strutture e della qualità dei servizi, che consenta di controllare il buon utilizzo dei fondi pubblici. Come vede, non prevedo meno Stato, ma uno Stato diverso.
Quali motivi di interesse ha individuato nel principio di sussidiarietà?
Gli studi sul principio di sussidiarietà portati avanti qui in Italia mi sembra vadano appunto nella direzione di un superamento del binomio Stato-mercato, verso un più ampio coinvolgimento del terzo settore. Se ho ben inteso, il principio di sussidiarietà implica il riconoscimento di una “primazia” del terzo settore rispetto allo Stato e al mercato. Inoltre, sono stato impressionato dalla capacità di penetrazione di tale principio su un governo, quello lombardo, e sulle politiche da questo sviluppate nel corso degli ultimi anni: è un esempio raro di connubio virtuoso tra studio e politica che mi sembra di grande valore.
(a cura di Francesco Tanzilli)