giovedì 30 luglio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1)“La conoscenza è sempre un avvenimento” - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 29 luglio 2009
2)Senza Dio, non c'è né bene né male - Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 29 luglio 2009
3)29/07/2009 10:32 – VIETNAM - Minacce di morte ai cattolici di Dong Hoi mentre la polizia arresta un fedele - di J.B. An Dang - Il cattolico arrestato usava la sua casa per raduni religiosi. Il governo di Quang Binh vuole eliminare i cattolici dal suo territorio.
4)Pascal e il divertissement - Pigi Colognesi giovedì 30 luglio 2009 – ilsussidiario.net


“La conoscenza è sempre un avvenimento” - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 29 luglio 2009
Quando Andrea e Giovanni hanno incontrato Cristo, hanno subito compreso che nella loro vita era accaduto qualcosa da cui difficilmente potevano tornare indietro. “Abbiamo trovato il Messia”, dice Andrea a Pietro, e lo porta con sé a incontrare quell’uomo che il Battista aveva indicato. È accaduto un fatto che per la sua importanza ha assunto la natura di avvenimento. Da lì è iniziata una conoscenza nuova, si è introdotto un punto di vista inimmaginabile. Se ci pensiamo, è così anche per noi, sempre. Quando insorge lo stupore per qualcosa di bello o di nuovo, la nostra conoscenza è accresciuta da un fatto accaduto che ci ha colpito. Che la conoscenza sia sempre un avvenimento significa che sono implicati i fattori caratterizzanti l’umano: la ragione e la libertà che si incontrano con il dato reale. Dato - dono, non prodotto da me. La conoscenza non è un accumulo di informazioni ma il rifiorire della realtà davanti ad occhi che sanno cogliere il nuovo senza dimenticare la ricchezza del passato - perché la conoscenza è un tesoro da trattenere, da non disperdere. Nel fenomeno della conoscenza ci raggiunge un avvenimento: qualcosa che non abbiamo fatto noi che si impone svelando la corrispondenza a noi stessi. Un altro esempio. Se pensiamo alla recente Enciclica “Caritas in veritate” riconosciamo che essa è un avvenimento perché ha introdotto nella lettura della realtà umana, dell’economia e della politica un punto di vista originale. Conosciamo di più, dopo averla letta e ci sentiamo dentro un fatto storico reale che coincide con l’offerta che papa Benedetto XVI ha fatto al mondo. Svela così il profondo legame con l’esperienza il titolo del 30° Meeting per l’amicizia fra i popoli che si terrà a Rimini dal 23 al 29 agosto. “La conoscenza è sempre un avvenimento”: una settimana di incontri e testimonianze in cui, come con un paradigma, si potrà confrontarsi e giudicare la verità della portata culturale di quell’affermazione. Scoprire una dinamica della ragione e della libertà per rintracciarla poi nella normalità del vivere.


Senza Dio, non c'è né bene né male - Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 29 luglio 2009

Se si prescinde da Dio, se Dio è assente manca la bussola del bene e del male

«Dio. Nella mia recente Enciclica ho tentato di mostrare la priorità di Dio sia nella vita personale che anche nella vita, nella storia e nella società del mondo. Certamente la relazione con Dio è una cosa profondamente personale, e la persona è un essere in relazione e se la relazione fondamentale, la relazione con Dio non è viva, non è vissuta, anche tutte le altre relazioni non possono trovare la forma giusta..
Ma questo vale anche per la società, per l’umanità come tale, anche qui se Dio manca, se si prescinde da Dio, se Dio è assente manca la bussola per mostrare l’insieme di tutte le relazioni, per trovare la strada, l’orientamento dove andare, (la conoscenza del bene e del male). Dobbiamo di nuovo portare in questo mondo la realtà di Dio, farlo conoscere (attraverso anche l’ala della ragione) e farlo presente (attraverso l’ala della fede)» [Benedetto XVI, Omelia dei Vesperi nella Cattedrale di Aosta, 24 luglio 2009].

L’errore più tragico della cultura attuale secolarizzata
Uno dei più fatidici e terribili errori della cultura postmoderna secolarizzata, attraverso anche il dramma attuale della frattura tra Vangelo e cultura, è il superamento del concetto di bene e di male. Non esistono più il bene e il male come realtà, come concetti oggettivi. Ci sono cose che sono convenienti e cose che non lo sono, ci sono cose che fanno male agli altri e cose che no, ma il bene e il male non esistono più. Questo è l’errore più tragico della nostra cultura atea cioè vivere come se la relazione con Dio non fosse necessaria non solo per i credenti ma per tutti, non solo a livello personale, ma sociale, pubblico. Quando tutto è neutro, quando nulla è in realtà davvero cattivo in se stesso, ci troviamo davanti ad un humus perfetto per la germinazione di qualsiasi aberrazione. Se tutto è relativo, perfino lo stesso concetto di aberrazione lo è. Dove non esiste più il bene né il male, non esiste più qualcosa che possa essere aberrante.

Esiste il male cioè la mancanza di un bene dovuto?
Il male e il bene non potrebbero essere concetti che dipendono da come li guardiamo? Non è possibile che si tratti di un aspetto completamente soggettivo? Ciò che consideriamo come bene o come male, non dipenderà da una questione puramente culturale? Ciò che qui è considerato come male, in altri schemi di valore potrebbe essere percepito come bene. Forse ciò che per noi è bene, è riprovevole per gli altri. Non è possibile che tutto sia neutro e, in definitiva, che sia la nostra mente ad essere stata educata dall’inizio a valutare tali concetti sotto un profilo o un altro? Forse sono i nostri genitori, i nonni ad insegnarci da piccoli cosa sia bene e cosa male continuando a ripeterci: Questo è male! Questo bene! Male, molto male, bene, molto bene!
La prima cosa da sapere come persone cioè individui essenzialmente in relazione con noi stessi e con gli altri, con il mondo circostante è che il bene e il male sono concetti oggettivi, perenni e universali; anche se a volte equivochiamo nei nostri giudizi su cosa sia in realtà buono e cosa invece cattivo. Ma il fatto che ci possiamo sbagliare e che, evidentemente, ci sbagliamo, non intacca affatto l’oggettività intrinseca dei due concetti. La malattia, l’omicidio, la mutilazione, l’odio, la miseria, la guerra, il dolore… sono mali, veri e propri mali. La lista potrebbe arrivare a centinaia e migliaia di altri aspetti. J.A. Fortea in Summa Demoniaca, da cui traggo queste argomentazioni che condivido in pieno, afferma che non potremmo mai stilare un elenco completo. Perfino i più entusiastici difensori del relativismo che affermano che il bene e il male è una categorizzazione soggettiva vedono vacillare le loro certezze di fronte a Auschwitz. Quando uno vede i filmati di quel periodo, tutte quelle baracche con dentro esseri umani, uno si rende conto che il male esiste al di là di qualsiasi condizionamento culturale, di qualsivoglia concezione filosofica, politica. Nel vedere quelle baracche uno si rende conto che le ragioni per le quali si arrivò a commettere quei crimini non hanno alcuna importanza, non importa che percentuale di persone, nelle retrovie, sosteneva queste azioni fossero pure maggioranza, non importa il fine per il quale tali scempi venivano giustificati: quello era male al di là di qualsiasi opinione, di qualsiasi considerazione.
Senza relazione viva e vissuta con Dio non potrebbe esistere il bene e il male come bussola per tutte le relazioni
Perché? Perché, per esempio, non avrebbe senso sacrificare la propria vita in onore della giustizia, se non esiste una giustizia vera dopo la fase terrena della vita. L’eroismo estremo fino a lasciarsi uccidere, consumare per amore sarebbe una insensatezza. Perdere l’unica vita che si ha a disposizione se non c’è nulla dopo, supporrebbe perdere tutto di fronte alla mera possibilità di un bene altrui relativo. Il mondo pertanto non sarebbe giusto. E se il mondo non è giusto, se la politica è una banda di ladri, che senso ha sacrificare tutto per un mondo che in se stesso, appunto, non è giusto? Se l’attrattiva dell’utilità terrena è criterio ultimo, senza un garante, un Giudice che garantisce una speranza affidabile, tutto diventa opinabile. Senza la novità della risurrezione per il singolo, per la famiglia umana, per tutto l’universo niente ha senso. Non è giusto che un ragazzo muoia a sedici anni soffrendo dolori terribili, e un altro muoia a ottanta godendo di ottima salute fino all’ultimo.. Non è giusto che uno viva nella miseria, e un altro nella maggior ricchezza possibile, nello sperpero. Se la fase terrena si deve spiegare per se stessa, se non c’è nient’altro che la fase temporale della vita tutto è ingiusto. E non varrebbe la pena sacrificare tutta l’esistenza, la vita, mettere al mondo dei figli per un mondo che non è buono, che è cattivo e ingiusto, pur avendo, certamente qualcosa di buono. Il sacrificio, l’autoimmolazione, sarebbe una sciocchezza. L’egoista sarebbe il saggio e il gaudente, colui che approfittasse al massimo della vita, sarebbe il più intelligente.
Questo già lo aveva capito San Paolo quando disse: Se Cristo non è risuscitato siamo i più stupidi degli uomini. Come si può vedere, perfino negli stessi elementi fondamentali del cristianesimo appare la certezza che la lotta fino all’immolazione per i più alti valori ha senso soltanto con una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino: e il Giudizio di Dio è luogo di apprendimento e di esercizio della speranza. Senza questa speranza affidabile, senza questo Giudizio di Dio, l’epicureo sarebbe il più intelligente di tutti noi. E il sanguinario, solo un altro personaggio della variegata fauna umana. Ma avrebbe senso fermare un uomo sanguinario se, per farlo, dovremmo mettere in pericolo la nostra vita? Avrebbe senso se il mondo intero non è altro che una giungla regolato dalle leggi della giungla? Voler cambiare queste leggi sarebbe un compito vano. Un mondo che prescinde da Dio, se Dio è assente manca la bussola per tutte le relazioni umane cioè è impossibile un’etica.

E’ possibile un’etica a prescindere da Dio, se Dio è assente nella vita personale, nella storia e nella società del mondo?
L’idea di costruire un’etica a partire dal concetto secondo il quale tutto ha fine in questo mondo, potrebbe sostenersi soltanto nella vaga idea che se uno fa del bene si sente bene con se stesso. Ma che succede se uno si sente bene essendo un perfetto egoista? Bisognerebbe convenire sul fatto che bene e male sono concetti relativi, soggetti a opinioni diverse.
Per questo il bene e il male possono essere oggettivi, perenni e universali soltanto se c’è un garante finale, se c’è una giustizia infinita e perfetta. In definitiva il bene e il male esistono solo se si giunge a conoscere Dio, a vederlo presente in questo mondo. Nella ricerca, originaria in ogni io del vero, del bene, si giunge a Dio e su questo cammino si scorgono le utili luci sorte lungo la storia della fede percependo così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia e aiuta a trovare la via verso il futuro e quindi l’oggettività e l’intangibilità della bontà e dell’iniquità.
E’ chiaro che l’accettare il fatto che esistano un bene e un male oggettivi sono conseguenza della ricerca della verità cioè di Dio. E il pericolo del nostro mondo occidentale – per parlare solo di questo ma oggi la globalizzazione lo estende a tutto il mondo – è oggi che l’uomo si arrenda davanti alla questione della verità, si pieghi davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretto a riconoscerla come criterio ultimo, senza etica con le disastrose conseguenze che stiamo esperimentando anche a livello economico – finanziario mondiale. Questo è un altro dei nefasti frutti del postmodernismo secolarizzato, pensare che non esista più una verità, Dio, il Suo Giudizio come luogo di apprendimento e di esercizio della speranza affidabile. In un mondo che prescinde da Dio, dove Dio è assente non è possibile un’etica universale, ma solo migliaia e migliaia di opinioni. L’unico garante della verità è la realtà di Dio, conosciuto e presente, vicino. L’evangelizzazione ci fa esperimentare un Dio vicino, che si fa conoscere, che mostra il suo volto, si rivela possedendo un volto umano e rivelando anche chi è ogni uomo, da dove viene e a che cosa è destinato. Egli Dio è il custode della nostra libertà, dell’amore, della verità, una presenza che non ci abbandona mai e ci dona la certezza che è bene essere, è bene vivere. E’ l’occhio dell’amore che ci dà con certezza che cosa è bene e che cosa è male e quindi l’etica, la libertà del bene.


29/07/2009 10:32 – VIETNAM - Minacce di morte ai cattolici di Dong Hoi mentre la polizia arresta un fedele - di J.B. An Dang - Il cattolico arrestato usava la sua casa per raduni religiosi. Il governo di Quang Binh vuole eliminare i cattolici dal suo territorio.
Hanoi (AsiaNews) – Un cattolico di Dong Hoi è stato arrestato ieri dalla polizia mentre gruppi di teppisti – alle dipendenze delle forze dell’ordine – gridavano minacce di morte contro i fedeli. La città di Dong Hoi si trova a circa 500 km a sud di Hanoi e secondo i fedeli il governo locale (che si trova a Quang Binh) ha dichiarato la zona “senza cattolici”, anche se ci vivono almeno tremila fedeli.

P. Vo Thanh Tam, segretario del collegio presbiterale della diocesi di Vinh (a cui appartiene Dong Hoi) ha confermato che diversi cattolici sono stati arrestati nei giorni scorsi e che ieri “il sig. Nguyen Cong Ly è stato arrestato. La sua casa è spesso usata dai fedeli per servizi liturgici”. Nella zona infatti non vi sono chiese e l’unica è quella di Tam Toa, in rovine, che il governo vuole usare come “memoriale” della guerra contro gli Usa. Altre fonti dicono che la zona sta per essere usata per costruire un villaggio turistico (v. AsiaNews 21/07/09 - Percosse e arresti per sacerdoti e fedeli nella storica chiesa di Tam Toa).

Secondo testimoni, la polizia e gruppi di teppisti girano per le strade e picchiano coloro che hanno simboli religiosi cattolici.

Nelle scorse settimane un gruppo di fedeli ha cercato di riparare le rovine di Tam Toa, ma sono stati fermati dalla polizia, picchiati in modo selvaggio e arrestati. Per chiedere la loro liberazione nella diocesi di Vinh, a Saigon (Ho Chi Minh City), ad Hanoi e in altre città sono avvenute imponenti manifestazioni di cattolici.

Subito dopo l’incidente di Tam Toa, centinaia di famiglie di fedeli sono fuggiti da Dong Hoi, per trovare rifugio a Ha Tinh e Nghe An (anch’esse nella diocesi di Vinh).

Intanto gli oltre 600 media statali hanno cominciato una campagna di disinformazione contro i cattolici di Tam Toa, chiedendo la loro condanna e aizzando all’odio verso i cattolici.


Pascal e il divertissement - Pigi Colognesi giovedì 30 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Lascio la parola, in questo inizio del periodo di ferie, a Blaise Pascal. Scrive nei Pensieri: «Tutta l’infelicità degli uomini ha una sola provenienza, ossia di non saper restare tranquilli in una stanza. Un uomo che abbia mezzi sufficienti per vivere, se sapesse stare con piacere a casa propria, non ne uscirebbe per andare sul mare. E non si cercano le conversazioni e lo svago dei giochi per altro, che perché non si riesce a restare a casa propria con piacere». Ma il grande filosofo e matematico non si ferma qui: «Considerando la cosa più da vicino e volendo, dopo trovata la causa di tutti i nostri malanni, scoprirne anche le ragioni, ho trovato che ve n’è una realissima, consistente nell’infelicità naturale della nostra condizione debole e mortale e tanto misera che nulla ci può consolare allorquando la consideriamo da vicino».



Poco prima aveva detto: «Gli uomini, non avendo potuto sanare la morte, la miseria, l’ignoranza, per rendersi felici hanno escogitato di non pensaci». È la grande intuizione pascaliana del divertissement. Che non è lo svago sano e rigenerante, ma quel togliere l’attenzione dalla direzione giusta (di-vertere) che si potrebbe adeguatamente tradurre con: distrazione. Per spiegarsi Pascal si immagina un re, cioè il massimo di successo e di condizioni favorevoli che allora si potesse desiderare. Egli è tuttavia assalito da preoccupazioni «per cui, senza ciò che si chiama distrazione, eccolo infelice, e più infelice dell’ultimo dei suoi sudditi». Perciò è «attorniato da gente che non pensa ad altro che a distrarlo e a impedirgli di pesare a se stesso»; come nel grande sforzo del divertimento organizzato.



«Gli uomini amano tanto il chiasso e il trambusto» e «il piacere della solitudine è una cosa incomprensibile». Distrarsi: «questo è tutto ciò che hanno saputo inventare per rendersi felici». È una dinamica che riguarda tutta l’esistenza: «Gli uomini suppongono che, ottenuta quella carica, godranno poi di una piacevole quiete; e non percepiscono la natura insaziabile della loro cupidigia. Credono di cercare sinceramente la quiete, mentre in realtà cercano soltanto l’agitazione. Un segreto istinto, riflesso della percezione delle loro continue miserie, li spinge a cercare lo svago e l’occupazione fuori di loro; mentre un altro istinto segreto, residuo della grandezza della nostra natura primitiva, fa conoscere loro che la felicità vera non si trova che nella quiete, non nel trambusto. Da questi due istinti opposti si forma in essi un progetto confuso, nascosto alla loro vista nel fondo dell’anima, che li spinge a cercare la quiete mediante l’agitazione e a immaginare sempre che la soddisfazione che loro manca, arriverà se, superando qualche difficoltà che pur prevedono, potranno aprirsi per questa via la porta della quiete. Così scorre tutta la vita».



Qualche pagina dopo: «Cosa dunque ci gridano questa avidità e questa impotenza, se non che un tempo ci fu nell’uomo una vera felicità, di cui ora gli restano soltanto il segno e la traccia del tutto vuota, che egli tenta invano di riempire con tutto quanto lo circonda, chiedendo alle cose assenti quanto non ottiene dalle presenti? Aiuto di cui sono tutte incapaci, perché questo abisso infinito non può essere colmato se non da un oggetto infinito».


LETTURE/ Saviano scopre “la bellezza e l’inferno” di Anatole France: solo banalità contro Dio - Laura Cioni giovedì 30 luglio 2009 – ilsussidiario.net

Anatole France, nato a Parigi nel 1844 e morto nel 1924, ebbe formazione classicista e nella libreria paterna, specializzata in opere sulla Rivoluzione Francese, ebbe modo di conoscere studiosi che ne orientarono le letture in direzione scettica. Il successo letterario gli arrise solo a cominciare dal 1890 e anche grazie alle sue frequentazioni politiche venne considerato nel suo paese come una autorità morale e letteraria. Già nell’immediato dopoguerra la sua fortuna diminuì, nonostante il premio Nobel assegnatogli nel 1921. Dopo la sua morte fu ampiamente discusso e poi dimenticato come incarnazione di quel disincanto inviso all’inquietudine tipica del Novecento.

Recentemente è stato ripubblicato per i tipi di Meridiano Zero a cura di Roberto Saviano il suo libro La rivolta degli angeli, scritto nel 1914, concentrato di estetismo, di razionalismo, di ateismo.

Il racconto si aggira attorno a una biblioteca in cui avvengono strane sparizioni e che diventa luogo del conflitto tra il grigiore della conservazione e la rivolta contro Dio ad opera di angeli divenuti demoni. Illeggibile, farcito di citazioni per lo più ignote al lettore comune, che vanno dall’epicureismo di Gassendi, a fonti gnostiche e medievali difficilmente reperibili nella loro autenticità. Non è, come altri dicono, divertente, anzi annoia, forse perché l’elogio del dubbio, il relativismo della conoscenza, lo spregio del passato sono ormai come l’aria inquinata che respiriamo. Il ricorso a un’immagine di Dio invidioso della felicità degli uomini e dunque fonte di costrizione è comprensibile in un razionalista del primo Novecento.

Ma oggi non basta. Tutti, che lo si ammetta o no, abbiamo bisogno di un nutrimento più solido e più convincente. Non devoto, non ironico, ma sofferto e semplice. Per chi conosce anche solo per sommi capi la storia di Agostino di Ippona, scrittore e filosofo tra i più grandi della storia, conosce la sua distinzione tra civitas Dei e civitas diaboli, le quali sono intrecciate in ogni gruppo sociale, compresa la Chiesa, e la questione del male ha come fulcro la libertà dell’uomo, quello che ama Dio fino alla dimenticanza di sé e quello che ama sé fino alla dimenticanza di Dio.

Può incuriosire la firma del curatore, l’autore di Gomorra, l’eroe del momento. La sua prefazione è di una irritante banalità. «In questo romanzo France discute sul merito di Dio, sulla giustezza del suo agire, sulla fallacia delle sue decisioni, sulla brutalità della vita così com’è stata organizzata. Perché la morte, la malattia , il dolore? Perché la fragilità del corpo, la necessità del lavoro, il dolore del parto? Non più quindi il cercare, religiosamente, i motivi del dolore, il senso della sofferenza per trovarne consolazione, non più comprendere le volontà divine per ossequiarle. L’ateismo diviene così una militante battaglia contro il potere divino, una razionale e appassionata rivolta contro le menzogne che Dio impone agli uomini come verità».

Se, come sembra, Saviano fa proprie le tesi del libro, meglio quando si limita a parlare della camorra.