Nella rassegna stampa di oggi:
1)L'enciclica che ribalta l'etica dei banchieri - Graziano Tarantini lunedì 13 luglio 2009 – ilsussidiario.net
2)PAPA/ Magister: Obama ha le carte giuste per aprire un nuovo corso - INT. Sandro Magister lunedì 13 luglio 2009 – ilsussidiario.net
3)RIMEDI/ Risé: la crisi della "società del possesso" si vince con la rinascita dell'umano - INT. Claudio Risé lunedì 13 luglio 2009 – ilsussidiario.net
4)I Legionari alla battaglia finale. Intervista esclusiva con padre Thomas Berg - Il Vaticano mette sotto indagine i Legionari di Cristo, allo sbando per le malefatte del loro fondatore. E per la prima volta un loro membro autorevole rompe il silenzio sui cruciali problemi esplosi nella congregazione - di Sandro Magister
5)La pillola RU 486 e l’agenzia italiana del farmaco - di Renzo Puccetti* - ROMA, lunedì, 13 luglio 2009 (ZENIT.org).- Non vi è dubbio che la questione della pillola abortiva RU 486 è stata introdotta in Italia non tanto sulla base di una pressante richiesta proveniente dal mondo medico, né da quello delle donne, quanto piuttosto per l’indiscutibilmente abile ed efficace azione di ben identificabili movimenti politic
6)Scenari apocalittici e risultati convincenti per il film "Harry Potter e il principe mezzosangue" - La magia non è più un gioco sorprendente - di Gaetano Vallini – L'Osservatore Romano, 14 luglio 2009
7)PERSECUZIONI/ La vita dei cristiani in Somalia senza diritti umani - Mario Mauro martedì 14 luglio 2009 – ilsussidiario.net
8)Henry Poole – Lassù qualcuno ti ama - Curatore: Fortunato, Simone - Regista: Mark Pellington - martedì 14 luglio 2009 – da CulturaCattolica.it
9)«Un inferno dopo la Messa Ma perché contro di noi?» - L’ausiliare di Baghdad Warduni: si rischia un altro esodo – Avvenire, 14 luglio 2009
L'enciclica che ribalta l'etica dei banchieri - Graziano Tarantini lunedì 13 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Numerosi sono stati in questi giorni i commenti sull'enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate. Fra questi ho apprezzato soprattutto quello di Emma Marcegaglia sul Sole 24 Ore per l'intelligenza delle considerazioni. Il rischio però è quello di fermarsi ai commenti sfuggendo a una lettura attenta e complessiva. E soprattutto a un paragone leale fra la propria esperienza e quanto suggerisce il testo. L'invito, specie a chi è impegnato nell'impresa e nell'economia, non può che essere perciò a leggerla tutta. Letture parziali infatti finiscono inevitabilmente con l'esaltare un particolare in cui ci si riconosce o si riscontra una corrispondenza col proprio punto di vista.
I temi del mercato, del modo di intendere l'impresa, della distribuzione della ricchezza, del ruolo della finanza, sono tutti puntualmente analizzati da Benedetto XVI. Ma tali aspetti e l'analisi originale che ne fa il Papa rischiano di non essere compresi nella loro integralità e nel loro vero significato se si prescinde dalla prima parte dell'enciclica dove si trovano i fondamenti di tutto il resto. Qui infatti si sottolinea come “talvolta l'uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società”, mentre, al contrario, “la verità non è prodotta da noi, ma sempre trovata o, meglio, ricevuta”. Questa è la radice del perché bisogna cambiare strada. Soprattutto va evitato l'errore di pensare che lì ci siano la dottrina, i principi, mentre quelle che importano sono le conseguenze pratiche. Non è così, il disegno che esce dalla Caritas in veritate è un tutt'uno, dove ogni elemento è collegato.
Ciò che colpisce è proprio questa visione unitaria della realtà. Sarebbe altrettanto sbagliato affermare che ciò riguardi solo chi crede, mentre potrebbero semmai registrarsi coincidenze di vedute su singoli temi come ad esempio la concezione del mercato. Ritengo perciò che l'intera enciclica (e non soltanto qualche parte isolata dal contesto) sia interessante per tutti. Benedetto XVI ci dà dimostrazione di una maggiore capacità di lettura del mondo contemporaneo, proprio oggi quando molti appaiono smarriti davanti alla crisi e al crollo di sistemi che sembravano perfetti. Ci offre una prospettiva che in questo momento probabilmente nessun altro è in grado di indicare. Ciò è frutto di una visione più ampia e profonda della realtà che è del tutto alla portata della ragione umana, credenti o non credenti che si sia. Ci dice chiaramente che bisogna cambiare rotta.
Certo avere la libertà di intraprendere la strada che ci viene indicata richiede coraggio e capacità di rinunciare a comode rendite di posizione. E l'uomo è disponibile a una rinuncia seria solo se intravvede una novità che è più interessante per se stesso e per tutti. Quando nel 1891 Leone XIII pubblicò la prima enciclica sociale, la Rerum Novarum, in Francia ci fu solo un imprenditore, Leon Harmel, che la prese sul serio trasformando radicalmente le sue officine di filatura e rendendole un modello di un nuovo modo di fare impresa. Don Giussani ha sempre osservato che se anche tanti altri avessero fatto come lui, l'Europa sarebbe stata diversa.
È un esempio per dire che quanto Benedetto XVI ci propone non riguarda genericamente il mondo o la società, ma è rivolto personalmente a ognuno di noi. In questo senso l'enciclica è un richiamo soprattutto ai cattolici ad accettare la sfida di un cambiamento radicale. Insomma una salutare ventata di aria nuova ad esempio in Italia dove, con una buona dose di ipocrisia, sotto l'etichetta di imprenditore o di banchiere cattolico per anni ci sono stati propinati grandi discorsi sull'etica, non avendo mai il coraggio di rischiare soluzioni innovative non appiattite sugli stereotipi del pensiero dominante che ci ha condotto al disastro di oggi.
PAPA/ Magister: Obama ha le carte giuste per aprire un nuovo corso - INT. Sandro Magister lunedì 13 luglio 2009
Temi etici, come aborto e ricerca sulle staminali, e lotta alla povertà sono stati al centro dell’incontro tra Benedetto XVI e Barack Obama, che ha incontrato il Pontefice venerdì a Roma dopo il G8. I punti di disaccordo sono ben noti, essendo il presidente Usa su posizioni pro-choice; d’altra parte la gerarchia apprezza molto la disponibilità al dialogo del presidente, che si è impegnato a diminuire il numero degli aborti negli Stati Uniti. Sandro Magister, vaticanista de L’Espresso, commenta la storica visita del presidente americano, giunta al termine di una settimana densa di avvenimenti di grande portata.
Magister, venerdì l’atteso incontro tra Obama e Benedetto XVI, all’inizio della scorsa settimana la lettera a Berlusconi in occasione del G8, con l’invito a cercare soluzioni per aiutare i paesi poveri; e durante il summit l’incontro di sua santità con le first ladies, alle quali il pontefice ha chiesto di “non dimenticare l’Africa”. Basteranno i 20 mld di dollari in 3 anni stanziati dal vertice?
Certamente il Papa avrà apprezzato. In ogni caso non basteranno le erogazioni finanziarie dei paesi ricchi a risolvere il problema dello sviluppo. Rimane un dato essenziale: l’Africa è assolutamente prioritaria nella geopolitica della Santa sede. È l’unico continente in cui il cattolicesimo, e il cristianesimo in generale, sono in espansione. Si può ormai affermare che la metà della popolazione africana è cristiana e che di questa la gran parte è cattolica. Ecco spiegata la preoccupazione del Papa per l’Africa, in un momento in cui il continente è al centro dell’agenda del G8. E non è un caso che le prime battute tra Obama e il Papa siano state sul vertice.
Fuori programma il Papa ha regalato a Obama la Dignitas personae, documento dedicato ai temi di bioetica più controversi, oltre che una copia autografata della Caritas in veritate. Sembrano messaggi molto chiari…
I due testi non sono slegati tra loro. Nell’enciclica stessa vi sono passaggi di importanza cruciale che riguardano la questione antropologica sotto forma del nesso fortissimo che sussiste tra natalità e sviluppo economico. Sappiamo bene che la tesi della Chiesa, condivisa da economisti di valore, è opposta a quella maltusiana, secondo cui lo sviluppo economico è correlato ad una diminuzione della natalità.
Nell’intervista concessa ad Avvenire Obama cita “la lotta alla povertà, il benessere dell’infanzia, la pena di morte” e dice che “questa parte della tradizione cattolica” lo “ispira continuamente”. Ma qualcosa, per sua stessa ammissione, è cambiato negli Stati Uniti.
È vero, qualcosa è certamente cambiato nel mondo cattolico e nella stessa gerarchia americana: praticamente un terzo dell’episcopato, un’ottantina di vescovi circa su oltre duecento, negli ultimi tempi si sono pronunciati in modo molto netto sui temi del rispetto della vita e in modo altrettanto critico verso l’amministrazione. Ora, questo era impensabile fino a poco tempo fa. C’è però la comprensione che i temi etici non sono affatto slegati da quelli comunemente rubricati, in modo sbrigativo, sotto il termine “sociale”. Siamo all’inizio di una fase nuova.
C’è anche però una certa componente che guarda con ammirazione il nuovo corso della presidenza Obama. Cosa dobbiamo pensare?
Ai vertici della Chiesa vi sono accentuazioni diverse nei rapporti con l’amministrazione Obama. C’è quella critica che ho citato, e che comprende il presidente della Conferenza episcopale Usa, il cardinale George il quale, non va dimenticato, conosce bene il presidente perché è vescovo della diocesi di Chicago, ma non è l’unica. C’è anche una posizione molto più comprensiva, che definirei di tipo “europeo”, con una diversa sensibilità soprattutto nell’approccio al potere politico, verso il quale prevalgono logiche più complesse, che fanno appello alla mediazione più che al conflitto. E il cardinale che si è fatto portavoce di una lettura nettamente “amichevole” verso la presidenza Obama è stato il cardinale Georges Cottier, già teologo della Casa pontificia.
Per tornare agli eventi della settimana, l’enciclica è uscita alla vigilia del G8. Qual è la sua opinione di vaticanista?
Senz’altro è un documento di non facile lettura. Ma i passaggi sostanziali, rintracciati in un insieme forse eccessivamente lungo e non particolarmente perspicuo, sono molto efficaci e sono quelli in cui la mano del professor Ratzinger si nota di più. A partire dal titolo, che sottolinea il nesso indissolubile tra carità e verità. Sulla forte base teologica fioriscono gli altri elementi, alcuni dei quali sono di attualità indiscussa, come il richiamo al nesso virtuoso tra natalità e sviluppo e il principio di sussidiarietà. Si auspica perfino la presenza di un’“autorità politica mondiale” (n. 67, ndr.). Senza arrivare a questi livelli direi quasi utopici, rimane forte ed essenziale la richiesta di una governance basta su regole morali.
Secondo lei l’incontro tra Obama e Benedetto XVI inaugura un nuovo corso rispetto al rapporto tra Chiesa cattolica e amministrazione americana che abbiamo visto finora?
Direi che l’elemento continuità è molto più forte dell’elemento conflittuale che può esserci su alcuni punti critici. La continuità è data dal fatto che i vertici della Chiesa sono perfettamente consapevoli di aver a che fare con un potere politico di peso mondiale e allo stesso tempo con un paese in cui la democrazia, la libertà e l’aspirazione alla felicità hanno un primissimo piano e in cui c’è un rapporto fecondo tra religione e sfera politica. Sono fattori che un Papa come Joseph Ratzinger non può non mancare di apprezzare.
E i punti di disaccordo?
Benedetto XVI ne è perfettamente consapevole e lo è anche Obama. C’è al tempo stesso, però, la consapevolezza che una strada comune è possibile e soprattutto che vale la pena di tentarla. È un elemento non trascurabile, che soprattutto da parte della Santa sede è molto apprezzato. Obama stesso ha mandato segnali molto chiari.
A cosa pensa?
Tutte le volte che un presidente Usa negli ultimi decenni è venuto in Italia, si è fatto precedere da un’intervista ad un grande quotidiano italiano, generalmente scelto tra Repubblica, Correre della Sera, Sole 24 Ore e La Stampa. Questa volta ha rotto la regola, dando l’intervista ad Avvenire e Radio vaticana. Mandando un messaggio inequivocabile: l’incontro con il Papa era, ed è, una priorità.
RIMEDI/ Risé: la crisi della "società del possesso" si vince con la rinascita dell'umano - INT. Claudio Risé lunedì 13 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Oggi il mondo ha perso il gusto ad un reale rinnovamento, perché questo implica un dono di sé all'altro, ed una messa in discussione dell'Ego, e di ciò che si “possiede”. Quali sono le conseguenze nella nostra società di un tale atteggiamento caratterizzato da chiusura, difficoltà di relazione e scarsa lungimiranza? Ne discutiamo con Claudio Risé, psicanalista e scrittore, che ha appena pubblicato il libro La crisi del dono. La nascita e il no alla vita (San Paolo Ed., 2009, www.claudio-rise.it), un’opera che tratta i temi della nascita e della necessaria rinascita e trasformazione nel corso della vita dell'uomo, condizioni che portano ad un autentico rinnovamento e sviluppo nel mondo stesso.
Prof. Risé, la prima domanda sorge spontanea: esiste una relazione tra l’importante crisi economica che stiamo vivendo e il carattere di una società, come la nostra, che nel suo nuovo libro lei ha definito “società del possesso”? Quali sono le vie di uscita da questa stagnazione?
La società del possesso produce fatalmente crisi, proprio perché in essa importanti risorse, prodotte dalla genialità umana, dallo sviluppo economico, dalla ricerca scientifica e tecnologica, vengono continuamente sequestrate dalle categorie più avide, che finiscono col distruggerli in un folle gioco alla moltiplicazione dei guadagni e dei patrimoni individuali. L’attuale crisi è nata dalla distruzione di enormi ricchezze, ad opera dall’alleanza tra l’avidità di risparmiatori convinti di poter aumentare a dismisura i propri patrimoni sia immobiliari che mobiliari, e fasce di finanza spregiudicata che lo lasciava credere possibile, per amministrarne le risorse.
Questa distruzione di energie nuove ha riprodotto, in campo finanziario ed economico, quella distruzione di vita nuova in nome della difesa e incremento degli interessi e possessi individuali, che io pongo nel mio libro alla base dell’attuale “crisi del dono”, e delle pratiche e legislazioni abortiste. Da tutto ciò si esce tutelando lo sviluppo della nuova vita (nuove idee, visioni, saperi e tecniche), rispetto alla sua riduzione materialistica in possessi e guadagni immediati.
Nelle sue pagine è tracciato un itinerario che esamina le immagini riguardanti la nascita, accolta o rifiutata, presenti nell’inconscio, nel mito, e nella tradizione ebraico cristiana. Si tratta di un’impostazione piuttosto inusuale, soprattutto per quei lettori interessati a comprendere con immediatezza e concretezza i fenomeni della società in cui viviamo. Questo studio cosa ci spiega dell’oggi? E cosa ci insegna?
L’inconscio collettivo, espresso (come ha mostrato Carl Gustav Jung e la sua scuola) nei miti e nei cicli leggendari delle varie culture, come anche nella storia delle religioni, mostra gli aspetti invarianti, archetipici, della psiche umana. Per questo, come osservava la frase di Pasolini che riporto in esergo, non c’è niente di più concreto e attuale del mito: parlando di mille anni fa, svela con sorprendente precisione l’animo dell’uomo di oggi. D’altra parte, l’inconscio collettivo registra anche (e anche questo Jung l’ha visto) i mutamenti manifestatisi nello psichismo umano dopo l’avvenimento cristiano, e la modifica da esso consentita e richiesta nei rapporti personali, nel sentimento di amore per l’altro, e di offerta di sé.
Il rinnovamento antropologico portato dal cristianesimo ha al proprio centro una nascita ed un dono, quello di Dio fatto uomo, destinato a provocare il rinnovamento del mondo, e di ogni singolo uomo, nella sua vita personale. Da allora in poi ogni uomo, ed ogni società, può scegliere tra il rinnovamento e la trasformazione di sé (la rinascita che Gesù indica a Nicodemo), o la difesa dell’esistente. Questa seconda soluzione, l’osservazione clinica lo mostra bene, innesca in realtà un processo regressivo, e di distruzione di vita.
RIMEDI/ Risé: la crisi della "società del possesso" si vince con la rinascita dell'umano (2)
INT. Claudio Risé lunedì 13 luglio 2009
Parlare di rinnovamento e rinascita significa parlare anche di bambini. Lei cita in esergo un passaggio di Elie Wiesel: “Hai paura di diventare grande? Sì, paura di diventare grande in un mondo che a dispetto delle sue magniloquenti dichiarazioni, non ama i bambini; ne fa piuttosto i bersagli del suo dispetto, della sua mancanza di fiducia in se stesso, della sua vendetta”. Effettivamente lo stesso Wiesel, accompagnando Barak Obama nella visita di Buchenwald (5 giugno 2009), ha affermato che nonostante gli orrori della guerra il mondo non ha ancora imparato a garantire la dignità della vita umana. Condivide queste parole di Wiesel?
Assolutamente. La riduzione dell’essere umano ad oggetto, e l’annichilimento della sua dignità, continua ad essere la grande tentazione cui l’uomo è sottoposto, e spesso soggiace. La categorie linguistiche e retoriche del “politicamente corretto” sono funzionali alla copertura e mascheramento di questa realtà drammatica. L’uomo è pronto ad uccidere l’altro uomo, il bambino che nasce, le idee, la personalità, o il carattere di un'altra persona (come quotidianamente accade nella lotta politica), pur di non cambiare, per affermare quello che ritiene il proprio interesse.
Trattando il tema della relazione tra uomini e donne Lei afferma che il bambino che nasce è una figura decisiva per lo sviluppo pieno dell’amore nella coppia. In che senso?
L’amore tra i due richiede sempre l’apertura ad un “terzo” per dispiegarsi completamente. Dal punto di vista trascendente si tratta, naturalmente, di Dio, che istituisce l’amore stesso, con il suo amore creativo, a cui occorre restare aperti, e rivolti. Nella dinamica della coppia il terzo è però anche il bambino (i bambini), e può estendersi ai figli simbolici della coppia: le idee, le iniziative, le opere.
Da quanto Lei dice nella sua opera il processo di secolarizzazione ha avuto un ruolo negativo nella relazione d’amore tra l’uomo e la donna, e in particolare sul matrimonio. Una domanda provocatoria: in un mondo senza Dio non è davvero possibile l’amore tra gli individui?
Il fatto è che, per fortuna, non basta negarlo, per fare sparire Dio. Molti atei fanno in realtà riferimento ad un principio superiore, di bene, che interiormente è vissuto come la personalità religiosa vive Dio. Certo quando la negazione diventa sistemica, come è accaduto nei totalitarismi comunista e nazista, l’amore tra le persone tende a diventare problematico, e ad essere sostituito dall’obbedienza al Partito. Ciò continua ancora oggi, per certi versi, nelle sottoculture politiche che fanno riferimento a quelle realtà.
Secondo quanto Lei riporta nel libro La crisi del dono, molte donne, che diedero vita al movimento femminista negli anni ’70, si stanno oggi accorgendo della necessità di una rinnovata relazione tra uomo e donna. Non solo: anche il movimento degli uomini, presente in diverse forme anche in Italia, si sarebbe messo alla ricerca di una nuova visione. Quali sono i motivi di queste tendenze? E quali i possibili esiti?
Sia il disincanto femminista, che documento attraverso una serie di testi e posizioni note e autorevoli, sia il movimento degli uomini, cui ho sempre dedicato molta attenzione, sono realtà ormai affermatesi fin dagli anni ‘90. Per cui più che di tendenze parlerei di trasformazioni in corso da tempo, anche se meno visibili anche per via del prevalente silenzio loro riservato dalle comunicazioni di massa. Che preferiscono il mostro (o la star) in prima pagina, piuttosto che l’informazione sulla sottile e profonda trasformazione delle coscienze, inquietante anche per gli stessi operatori della comunicazione di massa, in gran parte devoti proprio a quella società secolarizzata del possesso, di cui appunto stiamo parlando.
I Legionari alla battaglia finale. Intervista esclusiva con padre Thomas Berg - Il Vaticano mette sotto indagine i Legionari di Cristo, allo sbando per le malefatte del loro fondatore. E per la prima volta un loro membro autorevole rompe il silenzio sui cruciali problemi esplosi nella congregazione - di Sandro Magister
ROMA, 13 luglio 2009 – Tra due giorni avrà inizio l'annunciata visita apostolica alla congregazione dei Legionari di Cristo.
I visitatori nominati dalla Santa Sede sono i seguenti cinque vescovi:
- Ricardo Watti Urquidi, vescovo di Tepic in Messico, incaricato della visita nel Messico e in Centroamerica, dove i Legionari hanno 44 case con 250 sacerdoti e 115-120 religiosi e aspiranti sacerdoti;
- Charles J. Chaput, arcivescovo di Denver, incaricato per Stati Uniti e Canada, dove i Legionari hanno 24 case con 130 sacerdoti e 260 religiosi e aspiranti sacerdoti;
- Giuseppe Versaldi, vescovo di Alessandria, incaricato per Italia, Israele, Filippine e Corea del Sud, dove i Legionari hanno 16 case con 200 sacerdoti e 420 religiosi e aspiranti sacerdoti;
- Ricardo Ezzati Andrello, arcivescovo di Concepción in Cile, incaricato per Cile, Argentina, Colombia, Brasile e Venezuela, dove i Legionari hanno 20 case con 122 sacerdoti e 120 religiosi e aspiranti sacerdoti;
- Ricardo Blázquez Pérez, vescovo di Bilbao, incaricato per Spagna, Francia, Germania, Svizzera, Irlanda, Olanda, Polonia, Austria e Ungheria, dove i Legionari hanno 20 case con 105 sacerdoti e 160 religiosi e aspiranti sacerdoti.
L’investitura dei cinque visitatori è avvenuta la mattina di sabato 27 giugno in Vaticano, in una riunione con i cardinali Tarcisio Bertone, segretario di Stato, William J. Levada, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, e Franc Rodé, prefetto della congregazione per gli istituti di vita consacrata.
In questa riunione, ai cinque è stata data lettura delle conclusioni dell’indagine vaticana che portò nel 2006 alla condanna del sacerdote Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo e del movimento laicale Regnum Christi ad esso collegato, per abusi sessuali su numerosi suoi giovani discepoli, in un arco di alcuni decenni.
Dopo la sua morte nel 2008 all'età di 88 anni, si è scoperto che Maciel ebbe anche una figlia, che ora ha circa vent'anni e vive in Spagna, nata da una relazione tra il sacerdote e una sua amante messicana.
Per una congregazione religiosa che aveva in Maciel il suo modello indiscusso, lo sbandamento è stato fortissimo. Di qui la decisione vaticana di procedere con una visita apostolica. Al termine dell'indagine, i visitatori consegneranno un rapporto alla Santa Sede, che deciderà di conseguenza.
La richiesta di una visita apostolica era stata avanzata, nei primi mesi di quest'anno, da alcuni degli stessi Legionari, tra i più stimati.
Uno di questi è l'americano Thomas Berg (nella foto), membro dei Legionari di Cristo dal 1986, sacerdote dal 2000, professore e confessore nel seminario della Legione a Thornwood, New York, molto impegnato nelle attività di formazione. In aprile ha lasciato la congregazione e ha chiesto d'essere incardinato nell'arcidiocesi di New York. L'arcivescovo Timothy Dolan gli ha affidato la vicaria della parrocchia di St. Columba in Hopewell Junction. Berg è anche direttore del Westchester Institute for Ethics and the Human Person.
In questa intervista, con parole pacate, padre Berg spiega qual è la reale posta in gioco, quali sono i punti di forza e di debolezza della congregazione posta sotto inchiesta, che cosa dovrà essere demolito e che cosa ricostruito. Denuncia il culto della personalità che circonda tuttora la figura di Maciel. Critica i motivi per cui l'obbedienza ai superiori degenera spesso in cieca sottomissione. Mette a fuoco la questione di fondo: come è possibile che siano venute tante cose buone da un'istituzione rivelatasi così piena di pecche.
È la prima volta che un membro autorevole, per molti anni, dei Legionari di Cristo, parla in pubblico e a cuore aperto dei cruciali problemi esplosi in questa congregazione.
"Una questione senza precedenti nella storia della Chiesa" - Intervista con Thomas Berg
D. – Quando di recente ha lasciato la Legione lei ha espresso in una dichiarazione la sua stima per la congregazione nella quale è stato formato come sacerdote. Quali sono le sue speranze ora che è stata annunciata una visita apostolica alla Legione di Cristo?
R. – Come la maggior parte degli appartenenti alla Chiesa, anch'io cerco di essere ottimista e pieno di speranza per la Legione e per il movimento Regnum Christi. Vogliamo solo il meglio per questi nostri fratelli e sorelle in Cristo. Comprendiamo che ciò potrebbe obbligare a prendere qualche amara medicina, ma sono convinto che una maggioranza di questi uomini e donne ammirevoli sapranno mostrarsi all'altezza della situazione, poiché essi davvero hanno un amore profondo per Cristo nei loro cuori. Mi preme ribadire di nuovo che non porto alcun astio, ira o risentimento nei confronti della Legione. Vado avanti con la mia vita. Tuttavia, l'avermi posto queste domande mi ha offerto l'opportunità di dire una serie di cose che in coscienza sono convinto vadano dette, in un momento come questo.
D. – Come prevede che andrà la visita?
R. – Ritengo fuori luogo per me anche solo cominciare a far congetture su questo.
D. – Quali consigli darebbe ai cinque visitatori?
R. – Mi limito a un solo suggerimento generale: aiutare i Legionari a dedicarsi a una onesta e oggettiva autocritica. Ciò che da ultimo ho trovato più sconcertante è il tipo di ragionamento collettivo che ha preso piede tra i Legionari: "Non pensiamo affatto che vi sia qualcosa di sbagliato nella cultura interna della Legione, ma se la Santa Sede ci dice di cambiare qualcosa, noi lo faremo". La docilità alla Santa Sede, per quanto lodevole e giusta, maschera una enorme falla: l'incapacità della Legione nel suo insieme di impegnarsi in una salutare autocritica. Non è più tempo di andare avanti come si è sempre fatto, eppure è questa l'impressione che si ricava dai Legionari in questi ultimi cinque mesi di crisi.
Questa incapacità di vedere e di riconoscere onestamente le falle e gli errori che così tante persone fuori della Legione vedono benissimo è fin troppo evidente. Ai Legionari si dovrebbe far capire che non è compito della Santa Sede riformare la Legione. La Legione sarà riformata a fondo solo quando riformerà se stessa da dentro. Ma questo potrà solo cominciare con un esame di sé che muova da dentro la Legione e ammetta gli errori della Legione.
D. – E i suoi consigli ai membri di Regnum Christi?
R. – Non ho nessun titolo per parlare a loro collettivamente. In febbraio una mia email che desideravo avesse una larga diffusione ma restasse privata fu resa pubblica dappertutto su internet. Ma se un qualsiasi membro di Regnum Christi me lo chiedesse di persona, il mio consiglio sarebbe dello stesso tipo: tu concentrati su Cristo, opera con cura per discernere la tua personale via, impegnati nella tua parrocchia, cerca di crescere nella tua vita interiore, sforzati di compiere una critica sana e informata della Legione e di Regnum Christi.
D. – Che cosa pensa che avverrà della Legione, a lungo termine?
R. – Di nuovo, non sarebbe saggio per me cominciare a far congetture su questo. È cosa che spetta allo Spirito Santo, che fortunatamente ha molte opzioni a sua disposizione!
D. – Che cosa pensa si debba fare a proposito del posto centrale dato agli scritti, alla persona e alla figura del fondatore, Marcial Maciel?
R. – Spero che la Legione acceleri al più presto la sua sconfessione di padre Maciel e la sua dissociazione da lui. Su questo punto, non vedo vie alternative. Tutti – e sottolineo tutti – i ritratti di Maciel che ancora sono appesi nella case dei Legionari devono essere rimossi. Devono smettere di citare i suoi scritti in pubblico (ho saputo che in una messa celebrata di recente in una comunità di Legionari chi tenne l'omelia ebbe ancora l'ardire di citare un brano di una lettera di Maciel). A proposito, un semplice passo in questa direzione comporterebbe anche la cessazione immediata della consuetudine di riferirsi a padre Maciel come a "nuestro padre" o "mon père": formula adulatoria il cui uso egli consentì e incoraggiò. Incredibilmente, molti se non la maggior parte dei Legionari ancora insistono a usare la formula.
D. – Quali pensa che siano i punti di forza su cui i Legionari e Regnum Christi possono poggiare, in questa fase di incertezza?
R. – Se la Legione è fedele alla propria parola, la Chiesa dovrebbe contare sulla docilità dei Legionari e dei membri di Regnum Christi a fare qualsiasi cosa sarà alla fine decisa su di essi e sul loro futuro. La Legione di Cristo e Regnum Christi sono composti da centinaia di buoni e santi uomini e donne di Dio. Io ho la stima più profonda per tanti di loro. Essi, nel loro insieme, costituiscono una ragione di ottimismo. Ma da ultimo la nostra fiducia deve poggiare sulla forza e l'azione dello Spirito Santo che, tramite la Santa Sede, aiuterà tutte le persone coinvolte a giungere a un giusto discernimento della soluzione più adatta per la Legione di Cristo e il movimento Regnum Christi.
D. – Quali sono le cose che lei pensa debbano cambiare nella cultura interna della Legione, specialmente legate al "voto di carità" recentemente abolito, il voto cioè di non criticare i superiori?
R. – Al centro dei seri problemi che riguardano la cultura interna della congregazione c'è un modo errato di comprendere e di vivere il principio teologico – in sé valido – secondo cui la volontà di Dio si manifesta al religioso attraverso il suo superiore. Il seminarista della Legione è erroneamente guidato a nutrire una esagerata concentrazione sulla "dipendenza" interiore dal superiore per virtualmente qualsiasi suo atto intenzionale (sia esplicitamente, sia in virtù di certe norme o autorizzazioni ricevute, sia in virtù di permessi abituali o presunti). Questo non è in armonia con la tradizione della vita religiosa nella Chiesa, né è teologicamente o psicologicamente appropriato. Comporta piuttosto una pericolosa soppressione della libertà personale (lontanissima dalla ragionata, ponderata e liberamente esercitata oblazione dell'intelletto e della volontà che lo Spirito Santo genuinamente ispira nelle istituzioni di obbedienza religiosa) e determina restrizioni non sane e non sante nella coscienza personale.
Inoltre, le norme della Legione che riguardano il "riferire", l'"informare", il "comunicare con", il "dipendere da" i superiori costituiscono un sistema di controllo e di conformità che ora deve essere considerato altamente sospetto, posto ciò che sappiamo di padre Maciel. In più esse ingenerano una nozione semplicistica e impoverita umanamente e teologicamente della volontà di Dio (il suo discernimento e manifestazione) che produce immaturità personale.
Più seriamente, la maniera di vivere entro la quale i Legionari praticano l'obbedienza è intrecciata con quel genere di indiscutibile sottomissione che in primo luogo ha consentito al culto della personalità di affermarsi attorno alla figura di Maciel, e poi ha coperto i suoi misfatti. I seminaristi della Legione sono essenzialmente allenati a sospendere la ragione nella loro obbedienza, a cercare un'intima totale conformità a tutte le norme e a resistere a ogni impulso interiore a esaminare o criticare le norme o le indicazioni dei superiori.
Certo, la motivazione prima che sta dietro a questa vita di obbedienza è l'ideale della totale "immolazione" di sé per amore di Cristo, in quanto incarnato nel vivere integralmente tutte le norme e le indicazioni dei superiori. Questa "immolazione" dell'intelletto e della volontà è nel cuore dell'"olocausto" che il Legionario è invitato a vivere per amore di Cristo e della Chiesa. Per quanto la motivazione sia valida – e generazioni di Legionari l'hanno seguita in buona fede – a lungo andare essa non solo si dimostra profondamente problematica, ma spiega anche il negativo cambiamento di personalità che molti, se non la gran parte dei Legionari subiscono nel tempo: la superficialità delle loro espressioni emotive, la mancanza di empatia e l'incapacità a relazionarsi normalmente con gli altri nei più vari contesti, la sensazione generale di condurre una vita "a parte", eccetera. Solo eccezionalmente i sacerdoti della Legione superano questo stato, ma solo grazie ai molti talenti e ai doni umani che essi portano con sé nella Legione.
D. – Quali elementi lei trova più sconcertanti e bisognosi di una speciale attenzione da parte dei visitatori?
R. – Ne cito un paio. Perché, per esempio, circa venticinque preti della Legione continuano a essere chiamati a un "rinnovamento spirituale" della durata di due mesi nel centro di spiritualità della Legione a Cotija, Michoacan, in Messico, ospitati proprio nella casa (ora centro di ritiri e museo) nella quale crebbe padre Maciel? Perché lì? Perché a Cotija? Perché ancora oggi?
Inoltre, perché la Legione continua a lavorare per raccogliere vocazioni? Oggi? In queste circostanze? Sarebbe un vero gesto di onestà per la Legione di Cristo anche solo decidere di bloccare ogni attività vocazionale almeno per la durata della visita canonica, e ancor meglio fino a quando avrà riportato ordine nella propria casa.
Una delle mie preoccupazioni più profonde è che i seminaristi della Legione non sono attualmente in condizione di discernere adeguatamente ciò che Cristo chiede a loro di fare. E questo perché essi sono sistematicamente privati di quel genere di informazioni che hanno non solo il diritto ma anche il fondamentale bisogno di conoscere: una informazione completa degli elementi base della doppia vita di padre Maciel; la consapevolezza che la vita religiosa, con le sue norme e la disciplina interna, che essi si apprestano a vivere è profondamente problematica e ha bisogno di uno scrutinio e di una revisione da cima a fondo; una esposizione esauriente delle critiche ragionevoli che sono state portate contro la Legione e Regnum Christi; e un'onesta ammissione degli errori della Legione da parte dei suoi alti superiori. Dovremmo tutti trovare sconvolgente che la maggior parte dei seminaristi della Legione – e lo stesso si può dire dei membri consacrati di Regnum Christi – ancor oggi vivano la loro vita quotidiana nella più grande ignoranza della maggior parte di queste cose, protetti come sono virtualmente da tutte le informazioni negative riguardanti la Legione e Regnum Christi. Di conseguenza, essi mancano della necessaria libertà interiore per discernere l'autentica voce di Dio nelle loro vite presenti. Questo è un elemento al quale i visitatori hanno bisogno di dedicare molta attenzione.
Una questione ancor più profonda, naturalmente, è quella del carisma. Io, personalmente, sento il bisogno che alla fine la Chiesa in qualche forma riaffermi la validità di un carisma istituzionale nella Legione di Cristo e in Regnum Christi. Specialmente i membri di Regnum Christi hanno bisogno di sapere dalle più alte autorità della Chiesa se c'è stato davvero un genuino carisma ispirato dalla Spirito Santo all'opera nella Legione e in Regnum Christi, oppure se ciò che la Chiesa ha visto nei sessantotto anni del fenomeno della Legione è stato piuttosto Dio che semplicemente ha tirato fuori del gran bene da un'iniziativa primariamente umana e piena di pecche.
Tale questione – se qui sia presente o no un genuino carisma istituzionale – è veramente seria e, da come si presenta nel caso della Legione, è senza precedenti nella storia della Chiesa. Io spero che i visitatori ricavino utili informazioni che aiutino la Santa Sede a trovare la giusta risposta a tale questione.
Da ultimo, temo che potranno venir fuori altre vittime di padre Maciel. Il bene della loro vita deve diventare più chiaramente una priorità doverosa e visibile, per i superiori della Legione. Ho la speranza che i superiori che hanno raccolto molte più informazioni a questo riguardo siano pronti ad aprirsi senza riserve ai visitatori.
D. – Pensa che l'attuale dirigenza della Legione sia stata troppo strettamente associata al fondatore, per continuare a dirigere la congregazione?
R. – Giusta domanda. La Santa Sede può valutare la cosa, ma in definitiva credo che la corretta risposta a questa domanda possa sorgere da un capitolo generale della congregazione che, a mio giudizio, dovrebbe essere condotto sotto la stretta supervisione della Santa Sede e sospendendo le correnti disposizioni per un capitolo generale che si trovano nelle attuali costituzioni della Legione, in modo da consentire la più larga partecipazione di una pluralità di membri, specialmente di quelli che non sono o non sono stati in posizioni di comando.
D. – Può sopravvivere una congregazione come la Legione senza il "modello" fornito dal fondatore?
R. – Dio può fare tutto. Lo Spirito Santo può certamente far sorgere un gruppo di Legionari – cofondatori che si sono dissociati interiormente da padre Maciel – i quali, sotto l'ispirazione dello Spirito, possano offrire modelli di vita per i futuri membri e guidare una nuova generazione di Legionari, attingendo al ricco tesoro di spiritualità religiosa che è il patrimonio della Chiesa. E ciò potrà anche essere trasmesso al movimento Regnum Christi.
La pillola RU 486 e l’agenzia italiana del farmaco - di Renzo Puccetti* - ROMA, lunedì, 13 luglio 2009 (ZENIT.org).- Non vi è dubbio che la questione della pillola abortiva RU 486 è stata introdotta in Italia non tanto sulla base di una pressante richiesta proveniente dal mondo medico, né da quello delle donne, quanto piuttosto per l’indiscutibilmente abile ed efficace azione di ben identificabili movimenti politic
La sperimentazione del farmaco a Torino, peraltro anticipatamente interrotta dal comitato etico dell’azienda ospedaliera,[1] e la sua importazione direttamente dalla Francia in Toscana[2] possono essere individuati come momenti decisivi di una tale strategia. In ambito divulgativo la questione della RU 486 ha suscitato nel nostro paese la fioritura di un’ampia letteratura sia a favore[3] ma soprattutto contraria[4] all’impiego dell’aborto chimico.
Le tappe della vicenda
Nell’ottobre 2006 la federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione (FIAPAC) organizzò il proprio convegno a Roma includendo tra gli argomenti di primo piano proprio l’aborto farmacologico. L’azienda produttrice della RU 486 fu tra gli sponsor importanti dell’evento ai cui partecipanti lo stesso ministro della salute del tempo, l’on.le Livia Turco, volle inviare i saluti tramite la propria delegata Maura Cossutta.[5]
Nel corso dei lavori due medici cubani avevano riferito di una loro paziente deceduta dopo che le erano state somministrate a scopo abortivo compresse di prostaglandine (l’altra molecola prevista in occidente nel protocollo dell’aborto chimico). Stranamente durante la conferenza stampa a conclusione del convegno non fu fatta menzione della cosa, non sappiamo se per mera dimenticanza, o perché non ritenuta rilevante. Avendo partecipato ai lavori e dopo avere parlato personalmente con i medici cubani, mi sembrò doveroso che la notizia non fosse ignorata.[6]
I sostenitori della pillola abortiva asserirono che tale episodio non aveva nulla a che fare con la decisione di diffondere anche in Italia l’aborto chimico.
Nel Novembre del 2007 l’azienda produttrice della RU 486, presentò domanda di registrazione presso l’agenzia italiana del farmaco (AIFA). Il presidente del consiglio era all’epoca l’on.le prof. Romano Prodi.
Il periodico bimestrale dell’AIFA aveva pubblicato sul quarto numero del 2007 un articolo non firmato di tipo revisionale sulla RU 486, in cui si citavano 9 morti, ma in ultima analisi favorevole all’immissione in commercio del farmaco.[7]
Nel dicembre 2007 la società medico-scientifica interdisciplinare Promed Galileo presentò un lavoro di revisione della letteratura medico-scientifica stilato da un gruppo di ricercatori esperti in varie discipline mediche (GISAM, Gruppo Interdisciplinare Studio Aborto Medico). Lo studio fu poi pubblicato nel 2008 sull’Italian Journal of Gynaecology and Obstetrics, organo ufficiale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia.[8]
Secondo i risultati di tale studio si potevano registrare 16 casi fatali avvenuti dopo un aborto farmacologico, con un tasso di mortalità nettamente maggiore rispetto al metodo chirurgico; inoltre l’aborto chimico si connotava per un più elevato tasso di complicanze, un’efficacia inferiore che richiedeva una doppia procedura in un numero sensibile di casi, oltre ad una tendenza all’incremento medio del ricorso all’aborto nei paesi in cui il farmaco era stato introdotto.
La Promed Galileo si premurò di inviare il testo del proprio lavoro all’AIFA. In maniera sorprendente, nonostante il numero dei decessi fosse nettamente superiore rispetto a quello che pochissimo tempo prima la stessa agenzia aveva accreditato nella sua pubblicazione, dall’AIFA non giunse alcun segnale.
Poco dopo però, nel febbraio 2008, il Comitato tecnico-scientifico (CTS) dell’AIFA dette il parere positivo sul prodotto; una tappa non definitiva, ma comunque determinante per il proseguo dell’iter di approvazione della molecola.
Successivamente alle elezioni avvenute nell’aprile del 2008, al cambio della maggioranza parlamentare, al varo del nuovo governo, le cronache riportarono un presunto scandalo che portò alla sospensione e poi alla sostituzione del direttore dell’AIFA.[9]
Ad un periodo di molti mesi in cui la pratica è rimasta ferma in sede di contrattazione del prezzo del farmaco, sembra essere succeduta un’improvvisa accelerazione. Il 19 Giugno 2009 il Sole 24 ore ha annunciato l’accordo con la casa produttrice della RU 486 sul prezzo;[10] sembrava mancare solamente l’approvazione finale da parte del consiglio di amministrazione dell’AIFA e comunque, secondo l’articolo, non sarebbe stato più possibile bloccare l’autorizzazione all’immissione in commercio del prodotto. La sera dello stesso giorno però l’agenzia AdnKronos ha rivelato che la ditta che produce la RU 486, dietro richiesta del ministero del welfare, avrebbe consegnato nuovo materiale da cui emergerebbe che i decessi dopo assunzione del mifepristone sono addirittura 29.[11] La documentazione sarebbe servita come base per un rapporto che la professoressa Morresi, nominata consulente del sottosegretario Eugenia Roccella, avrebbe preparato e che sarebbe stato inviato al CTS dell’AIFA per ulteriori chiarimenti. Il sottosegretario Roccella, confermando i 29 decessi,[12] ha dichiarato di attendere dallo stesso comitato dell’AIFA una risposta scritta per potere rispondere ai parlamentari di entrambe le parti e alla stampa “in piena trasparenza”.[13]
Al momento in cui scriviamo il Comitato tecnico-scientifico del farmaco dovrebbe avere approvato il testo in risposta ai quesiti posti dal consulente del ministero del welfare[14] e il neo-presidente dell’AIFA ha dichiarato che prima della pausa estiva “verranno affrontati tutti i protocolli su cui il Comitato tecnico scientifico si è già pronunciato, compresa la Ru486”.[15]
Alcuni quesiti
Pur non conoscendo il contenuto della missiva del consulente del ministero, i fatti così ricapitolati non possono non evocare una serie d’interrogativi; tra questi:
1. Al momento che l’azienda produttrice della RU 486 ha inoltrato domanda all’AIFA, quanti decessi e quanti eventi avversi gravi aveva segnalato?
2. A quando risalgono tutti i decessi?
3. Quali sono le informazioni sulle circostanze della morte di queste donne?
4. I casi fatali e le complicanze gravi sono stati tutti diligentemente segnalati da parte dell’azienda?
5. Le procedure di approvazione dei farmaci non devono basarsi su una raccolta aggiornata dei dati?
6. Quando il CTS dell’AIFA ha emesso il proprio parere favorevole, ha tenuto conto del rapporto della Promed Galileo che era stato inviato all’agenzia?
7. Sono sufficienti le informazioni derivanti dalle aziende farmaceutiche o il CTS opera un’analisi dei dati indipendente?
8. Le 29 morti segnalate rispetto ai 9 decessi riportati nel Bollettino del farmaco non hanno alcuna rilevanza sul profilo di sicurezza del farmaco?
9. Perché è stata necessaria l’attivazione del ministero del welfare per venire a conoscenza di questi casi?
10. Perché in altri casi l’AIFA ha deciso il ritiro di farmaci pur in presenza di problematicità assai meno allarmanti?
11. Per l’aborto sono accettati standards qualitativi diversi?
12. È possibile che le notizie acquisite dall’AIFA sulla sicurezza non siano complete per altri farmaci?
Si tratta di domande che devono trovare un’esauriente risposta, per il rispetto che è dovuto tanto ai cittadini, quanto alla comunità scientifica. Non resta che attendere per conoscere a quali interrogativi ed in che modo il CTS dell’AIFA abbia risposto.
Comunque vadano le cose, pare ragionevole che la questione di un prodotto come la RU 486, facente parte di una procedura che oggettivamente non costituisce una terapia e per questo è regolamentata da una legge specifica, non possa esaurirsi interamente all’interno della burocrazia tecnica.
-------------
*Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno
[1] A. Morresi. Ru 486 bocciata. E c’è chi non se n’è accorto. Avvenire - ins. È vita del 05-10-2006.
[2] Associazione Radicale Libera Pisa. LiberaPisa e la RU486 in Toscana. http://www.radicalipisa.it/dossier/LiberaPisa-RU486
[3] Carapellucci A. RU486: proposta indecente? Associazione radicale Adelaide Aglietta. http://www.webalice.it/carlamarchisio/RU486.pdf
[4] A. Morresi, E. Roccella. La favola dell’aborto facile. Miti e realtà della pillola RU 486. Franco Angeli ed., 2006.
R. Puccetti. L’uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU 486. Società Editrice Fiorentina, 2008.
C. Cavoni, D. Sacchini. La storia vera della pillola abortiva RU 486. Cantagalli Edizioni, 2008.
L. Romano, M.L. di Pietro, M. P. Faggioni, M. Casini. RU-486 Dall’aborto chimico alla contraccezione d’emergenza. Edizioni Art, 2008.
[5] A. Morresi. Ru 486: ora cercano la scorciatoia europea. Avvenire – ins. È vita – 24-05-2007.
[6] R. Puccetti. Aborto farmacologico con prostaglandine: un altra donna morta a Cuba. Pillole.org, 17-10-2006. http://www.pillole.org/public/aspnuke/pdf.asp?print=news&pID=2794
[7] Bollettino Unico del farmaco. RU486: efficacia e sicurezza di un farmaco che non c’è. XIV N.4, 2007;156-164.
[8] GISAM (Gruppo Interdisciplinare Studio Aborto Medico). Aborto farmacologico mediante mifepristone e misoprostol. Italian Journal of Gynaecology & Obstetrics 2008: 20(1): 43-68.
[9] Cfr. Farmaci: sospeso direttore Aifa. ANSA 21/06/2008 13.18.
Vita.it Aifa: Guido Rasi nuovo direttore. 04/07/2008. http://beta.vita.it/news/viewprint/83433
[10] Marzio Bartoloni. Via Libera alla pillola abortiva. Il sole 24 ore, 19-06-2009, pag. 23. http://rassegna.rapportiparlamento.it/PDF/2009/2009-06-19/2009061913048719.pdf
[11] Adnkronos. ABORTO: 29 MORTI PER RU486, DOCUMENTO INVIATO AD AIFA DA MINISTERO. 19-06-2009, ore 20,45. http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/?id=3.0.3445862537
[12] Enza Cusmai. "La pillola abortiva? Non è sicura, troppe morti sospette". Il Giornale, 21-06-2009. http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=360385
[13] Avvenire del 20-06-2009, pag.15.
[14] AIFA – Commissione Consultiva Tecnico Scientifica. Ordine del giorno 9-10 Luglio 2009. http://www.agenziafarmaco.it/allegati/odg_080709.pdf
[15] DoctorNews 10-07-2009. http://www.doctornews.it/
Scenari apocalittici e risultati convincenti per il film "Harry Potter e il principe mezzosangue" - La magia non è più un gioco sorprendente - di Gaetano Vallini – L'Osservatore Romano, 14 luglio 2009
Resi ancor più tracotanti dal ritorno di Lord Voldemort, il signore oscuro, i Mangiamorte non risparmiano neppure il mondo dei "babbani". Il terrore si abbatte su Londra sotto un cielo improvvisamente offuscato da nubi innaturali e minacciose. L'obiettivo prescelto è il Millennium Bridge, fatto crollare in una spirale di distruzione. Una dimostrazione di potenza da parte delle forze del male, che vogliono asservire al signore oscuro il mondo dei maghi; un universo parallelo in cui è vietato interferire con quello degli uomini normali e dove viene ripudiata la magia nera. Quella di cui si nutre Voldemort.
Si apre con questo inquietante scenario apocalittico Harry Potter e il principe mezzosangue, sesto capitolo della fortunata saga nata dalla penna di Joanne Kathleen Rowling, che narra le avventure del timido maghetto, ormai adolescente. Sono passati nove anni dal primo episodio e il protagonista deve affrontare sfide ben superiori alle sue capacità. La magia non è più il sorprendente passatempo degli inizi; le prove da superare, per quanto rischiose e paurose, non sono più avventure per bambini, seppur speciali e dotati di poteri eccezionali. Ora - come si era capito soprattutto con l'episodio precedente - si rischia davvero la vita e la posta in gioco è altissima: impedire alle forze delle tenebre di prendere il sopravvento.
Nelle sale di tutto il mondo dal 15 luglio, distribuito dalla Warner, Harry Potter e il principe mezzosangue è il film - che il 12 luglio ha anche inaugurato il festival di Giffoni - meglio riuscito della serie. Il lato oscuro della vicenda assume consistenza, caratterizzando con tinte forti tutto il racconto. Si può dire che, cresciuti i personaggi - adolescenti alle soglie dell'età adulta - è cresciuto anche il tono della narrazione. E lo spettacolo ne guadagna. Ciò grazie anche al lavoro del regista David Yates che aveva diretto anche il quinto episodio, Harry Potter e l'ordine della fenice, e dello sceneggiatore Steve Kloves che aveva adattato i primi quattro capitoli. Tra l'altro in questa pellicola la miscela di suspance soprannaturale e romanticismo - Harry, Ron, Hermione e gli altri giovani studenti di Hogwarts cominciano a sentire il richiamo delle passioni - raggiunge il giusto equilibro, rendendo più credibili le vicende dei protagonisti, chiamati a confrontarsi anche con gli stessi problemi dei coetanei "babbani". Inoltre, le piccole, grandi storie d'amore che si intrecciano - tra attese e cocenti delusioni, e non poche situazioni umoristiche - stemperano la crescente tensione. E sottolineano che non esistono formule magiche per evitare i "pericoli" dell'adolescenza. In tal senso siamo di fronte a un percorso di formazione. Che però fa solo da contorno.
Nei corridoi della scuola l'amore è nell'aria, ma la tragedia incombe e forse Hogwarts - che non appare più come un rifugio sicuro - non sarà più la stessa. Uno studente rimane in disparte, alle prese con questioni molto più importanti, determinato a lasciare un segno, anche se oscuro. È Draco Malfoy, chiamato da Lord Voldemort stesso a compiere una missione enorme, decisamente troppo per la sua età. Ma Draco - che dietro la maschera da duro cela una personalità fragile e vulnerabile - accetta: vuole la fama, per vendicarsi del suo rivale di sempre, Harry Potter. Il quale sospetta che nel castello si nascondano nuovi pericoli; è convinto che Draco sia diventato un Mangiamorte.
Il preside, il saggio professor Silente, intanto sente avvicinarsi la battaglia finale. E si rivolge a Harry - ormai definitivamente riconosciuto come il prescelto per sconfiggere Voldemort - affinché lo aiuti a scoprire come penetrare nelle difese del signore oscuro, informazione fondamentale, questa, che solo l'ex professore di pozioni a Hogwarts, Horace Lumacorno (splendidamente impersonato da Jim Broadbent), conosce e custodisce tra le memorie rimosse del suo passato. Quindi Silente fa in modo di convincere il vecchio collega a riprendere la sua cattedra.
Tra schermaglie amorose e partite di Quidditch, la storia procede tra i tentativi di Harry Potter di accaparrarsi la fiducia del professore e la successiva ricerca del segreto dell'immortalità di Voldemort, che lo porterà persino in una sorta di discesa nell'Ade, dopo aver attraversato su una barca (senza Caronte) un fiume che richiama l'Acheronte. Al termine dell'episodio scopriremo - come ben sanno gli appassionati lettori della saga - che il giovane mago rimarrà solo nella sua battaglia, dopo un tragico passaggio di consegne. Ma per sapere se riuscirà a portare a compimento la sua missione bisognerà attendere i prossimi due film in cui è stato diviso l'ultimo libro di Rowling.
In questo lungometraggio, più che nei precedenti, gli intrecci narrativi da seguire sono diversi. La psicologia dei personaggi prende una forma più precisa. Nel quinto capitolo Harry viveva un periodo difficile, tormentato da sogni e da demoni personali, nel ricordo dei genitori uccisi da Voldemort. Ed era alla ricerca di risposte. Ora sembra non averne bisogno. Non si fa troppe domande; sa che ha un compito importante da svolgere. Si fida di Silente, che non lo tratta più come un alunno ma come un amico. Ed è consapevole che quel mondo magico non è privo di insidie, al pari di quello in cui è cresciuto in passato.
Le cupe immagini di Hogwarts, che visivamente si presenta in un modo finora ignoto, rendono ancora più incombente la tragedia che sta per consumarsi. Tutto sembra preparare e portare allo scontro finale tra il bene e il male. Che poi restano i veri protagonisti dell'intera saga, attorno alla quale in passato si sono accesi non pochi dibattiti. È stata chiamata in causa la spiritualità new age; non è mancata l'accusa di istigare i giovani alla fuga dalla realtà e di instillare in loro l'illusione che esistano poteri soprannaturali con i quali poter controllare a proprio piacimento il mondo. Insomma una saga diseducativa e persino anticristiana.
Sicuramente nella visione proposta da Rowling manca un riferimento alla trascendenza, a un disegno provvidenziale nel quale gli uomini vivono le loro storie personali e la Storia prende forma. Così come è vero che, nel meccanismo classico delle fiabe, il protagonista viene coinvolto in vicende in cui la magia è quasi sempre uno strumento nelle mani delle schiere del male. Tuttavia il fatto che in Harry Potter il versante positivo della magia non venga impersonato da saggi maghi e fate in cui identificare chiaramente l'opera della Provvidenza non rende meno evidente la differenza tra le forze in campo.
Allo stesso modo non si può affermare che la stregoneria - ma in questo caso sarebbe meglio parlare di magia - venga posta come un ideale positivo. Al contrario sembra ben chiara la linea di demarcazione tra chi opera il bene e chi compie il male, e l'identificazione del lettore e dello spettatore non fa fatica a indirizzarsi verso i primi. In quest'ultimo film in particolare la distinzione si fa persino più netta. Si è certi che compiere il bene è la cosa giusta da fare. E si comprende anche come questo a volte costi fatica, sacrificio.
Inoltre viene stigmatizzata la ricerca spasmodica dell'immortalità, di cui Voldemort è l'emblema. E per questo non serve il ricorso alla magia. C'è una saggezza atavica che suggerisce di non cedere ai richiami di una impossibile eterna felicità sulla terra e all'illusione che tutto sia possibile.
Le metaletture di questa favola fantasy trascendono, a volte, le reali intenzioni dell'autrice, che cerca solo di voler smascherare - questo sì - il mito di una ragione che pretende di avere una risposta per tutto. Sicuramente vanno oltre le interpretazioni che possono darne un bambino o un adolescente. È più probabile che alla fine della visione o della lettura, più che il fascino della magia (che rimane solo un pretesto ammaliatore) restino le scene che richiamano valori come l'amicizia, l'altruismo, la lealtà, il dono di sé.
In fin dei conti basta ricordare ciò che, nel primo episodio, il guardiacaccia Hagrid risponde a Harry Potter che gli chiede a cosa serva un ministero della magia: "Be', il compito più importante è non far sapere ai Babbani che in giro per il Paese ci sono ancora streghe e maghi". "E perché?" "Perché? Ma dai, Harry, perché tutti allora vogliono risolvere i loro problemi con la magia".
(©L'Osservatore Romano - 13-14 luglio 2009)
[Index] [Top]
PERSECUZIONI/ La vita dei cristiani in Somalia senza diritti umani - Mario Mauro martedì 14 luglio 2009 – ilsussidiario.net
A volte dichiararsi “cristiano” può essere causa di persecuzione. Ce lo racconta la cronaca estera che anche la scorsa settimana ha presentato l’ennesimo atto crudele: l’esecuzione nella stretta osservanza della sharia di sette persone che sono state decapitate perché accusate di essere cristiane e spie ad opera di estremisti islamici somali, ricollegabili ad Al Qaeda. Questa ennesima intimidazione avvenuta a Baidoa si avvale dello spargimento di sangue innocente per far desistere l’uomo che ricerca la fede e rappresenta ancora una volta non solo una grave violazione dei diritti umani, ma dimostra nuovamente le continue persecuzioni ostili e barbare che si perpetrano ogni giorno nei confronti dei cristiani in molte parti del mondo.
In Somalia negli ultimi mesi si sono verificati violenti combattimenti tra insorti e truppe governative che hanno coinvolto l’area nord di Mogadiscio. Fonti ufficiose, calcolando il periodo che va da oggi al maggio scorso, parlano addirittura di 350 morti, non contando però che si combatte anche nel centro e sud del Paese. Dall’Alto commissario Onu per i Diritti umani, è giunta la denuncia di gravi violazioni alle leggi internazionali umanitarie, di violenze perpetrate a danno di donne e bambini, in particolare con proclami anticristiani.
Ciò rientra nella strategia - che è un vero e proprio progetto di potere - della rete di Al Qaeda a farsi Stato che si muove con l’intento di farsi più che stato, addirittura califfato surrogando in questo modo le tante crisi dei paesi musulmani, creando delle zone franche in cui non valga l’autorevolezza della comunità internazionale, ma il diktat dei terroristi. Questo è un fatto di una pericolosità enorme, perché passa attraverso una strategia che cerca di annientare l’uomo che ha una fede diversa da quella che si possiede, che ha diverse convinzioni. Ma ancor più, tutto ciò è strumentale, perché attraverso questa logica si attua invece la prepotenza di reti che non sono differenti dalle nostre reti mafiose.
Occorre pensare seriamente a un intervento armato della comunità internazionale che sia capace di riportare su quel territorio i dettami minimi di rispetto dei diritti umani e soprattutto convinca gli Stati africani, attraverso l’Unione Africana, ad assumersi una responsabilità. Abbiamo responsabilità gravissime nei confronti di un Paese come la Somalia che è stato abbandonato nel momento del bisogno.
Questo si è tradotto in una instabilità che ha fatto comodo a tantissimi, perché destabilizzare quell’area vuol dire destabilizzare un’area in cui è basilare la geostrategicità dei luoghi: pensiamo al controllo del passaggio verso il Mar Rosso, all’interlocuzione con i fenomeni di portata mondiale che avvengono nel Golfo, punto di riferimento del Corno d’Africa e più in basso dei Grandi Laghi.
Tutto ciò significa, in qualche modo, mantenere innescata una polveriera che finisce per avere ripercussioni sugli equilibri non solo del continente africano, ma di quella stranissima partita a "scacchi" che da moltissimi anni si combatte prendendo in ostaggio l’Africa e a dispetto dell’Africa stessa. Più che di una comunità internazionale che si è distratta, parlerei di intrecci nella comunità internazionale che hanno gravissime conseguenze per la vita della gente di quest’area. E le ripercussioni di queste logiche geostrategiche finiscono per essere poi scontate dagli ultimi poveri e, tra questi, gli ultimi degli ultimi, che in questo caso sono i cristiani.
Questa violazione dei “diritti umani fondamentali” nega nell'uomo il vero carattere antropologico ed esistenziale. Senza questo riconoscimento viene meno il fondamento di tutto ciò che il mondo chiama civiltà. Alla luce di questi fatti si comprende facilmente come la salvaguardia della libertà di religione, di una libertà che da sola garantisce una piena realizzazione della dignità umana, diventi sempre più urgente.
Henry Poole – Lassù qualcuno ti ama - Curatore: Fortunato, Simone - Regista: Mark Pellington - martedì 14 luglio 2009 – da CulturaCattolica.it
Un uomo in crisi depressiva compra casa quando sulla facciata comincia a trasparire il volto di Cristo…
Dramma esistenziale con punte di grottesco: si potrebbe definire così, con qualche fatica, l’ultimo film del buon Pellington, un paio di thriller riusciti alle spalle (Arlington Road, The Mothman Prophecies). E’ una storia bizzarra, quella di Henry Poole (Luke Wilson): malato, convinto di essere prossimo alla morte, prende casa in quella che un tempo, tanto tempo prima, era stata la casa dei suoi genitori e, quando ormai è pronto a prepararsi all’ineluttabile, un incontro fa capolino. E’ la vicina di casa, Esperanza (Adriana Barraza), cattolica fervente, vedova, la prima a intravvedere nella facciata dell’abitazione di Henry i contorni di quello che sembrerebbe il volto di Cristo. Un miracolo, oppure semplice muffa sul muro ? Henry, agnostico convinto che solo la scienza possa spiegare le domande della vita, dapprima prende la vicina per pazza, poi pian piano, grazie alla tenacia di Esperanza e a una serie di provvidenziali incontri, comincerà pure lui a dubitare della consistenza di quel volto. Favola simbolica sul miracolo, certamente, ma soprattutto sui rapporti umani sempre più rarefatte nel cinema e nella vita di oggi: Pellington non ha né l’interesse né le capacità di girare un film dai forti connotati teologici o filosofici, l’obiettivo è semmai quello di scavare nel cuore del protagonista, reso fragile dalla malattia, e di toccare bisogni e sottolineare assenze. Che per inciso, a partire proprio dai genitori e dall’infanzia felice, sono tante e brucianti. Così Henry è un personaggio sincero, la cui verità va ben oltre le due dimensioni dello schermo cinematografico: distrutto letteralmente da un evento che l’ha costretto a tagliare i ponti col resto del mondo, divorato dai dubbi che sono l’anticamera della disperazione più cupa, eppure toccato da una serie di incontri inaspettati e generati proprio da quella strana sagoma sul muro. Incontri veri, disinteressati e tenaci, sostenuti da una speranza lucidamente irragionevole che fanno breccia nel cuore di un uomo che pareva rassegnato alla solitudine e alla nostalgia per i bei tempi passati. Non privo di un sentimentalismo che purtroppo emerge nel rapporto tra il protagonista e un’altra vicina di casa, interpretata da Radha Mitchell, Henry Poole ha due grandi pregi: quello di raccontare la possibilità di un miracolo, qui e ora, e attraverso le circostanza più imprevedibili, e quello di mostrare come la speranza possa generarsi non in vista di una prospettiva futura sognante e spesso utopica, ma in forza di una certezza presenta fatta di volti, gratuità, positività, amore. Henry farà fatica a vedere in tutto questo il volto di Cristo, ma non a riconoscere che solo tali incontri l’hanno strappato alla disperazione, grazie solo a questi rapporti ha potuto affermare, nello splendido finale, io ci sono, Henry Poole è qui.
«Un inferno dopo la Messa Ma perché contro di noi?» - L’ausiliare di Baghdad Warduni: si rischia un altro esodo – Avvenire, 14 luglio 2009
«Domenica sera, subito dopo aver celebrato la Messa sono rientrato nel mio ufficio. Sul sagrato si stavano ancora scambiando i saluti, come ogni domenica quando c’è stata l’esplosione. È venuto l’inferno sulla terra ». Risponde sconsolato, fatica a trovare le parole monsignor Jshlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad. Da anni tiene i rapporti con la stampa per la comunità caldea, anni in cui gli è toccato di commentare i momenti di persecuzione contro la sua minoranza come i passaggi che lasciavano intravvedere una schiarita, uno spiraglio verso la normalità.
Il colpo di domenica sera è arrivato a pochi metri da lui, l’autobomba lo ha sfiorato e ha ucciso quattro persone della sua comunità, due giovani che conosceva bene: fra i feriti anche due elementi del coro e due diaconi. Un martirio, come quello dell’arcivescovo di Mosul monsignor Paulos Faraj Rahho ucciso nel marzo dell’anno scorso. «La situazione è seria l’attacco alle chiese è stato portato in contemporanea ed è un fatto premeditato, organizzato, non è frutto del caso. I danni passano, ma la vita di due giovani che erano appena usciti da Messa e avevano pregato per la pace… questo è ciò che mi rattrista maggiormente», commenta amaro il presule iracheno.
Lei era al corrente degli attacchi nelle altre chiese?
Sapevo solo di quella di San Giuseppe, colpita sabato sera, e dell’attacco verso le 16 e trenta alla chiesa di San Giorgio.
Chi pensate sia stato. Qual è il tremendo messaggio dietro a questa serie di attacchi contro le vostre chiese? Solo pochi giorni fa lei commentava il ritiro dei soldati americani sperando che fosse un passo verso la riconciliazione nazionale. Perché invece vi hanno colpito?
Non lo sappiamo: anche noi ci domandiamo le stesso. Non ci sono motivazioni per noi evidenti: i cristiani sono pacifici, cercano di costruire questo Paese con lealtà e fiducia. I cristiani operano bene con tutti quelli che avvicinano. Anche noi cristiani ci chiediamo il perché. È come una guerra, ma almeno in guerra sapete chi dovete affrontare. Qui non lo sappiamo. Perché ci hanno colpito? Continuiamo a chiederlo.
Nessun legame con il prossimo referendum costituzionale in Kurdistan?
Non saprei. C’è questo apetto, come il fanatismo religioso, c’è la rivalità fra le etnie. Non so cosa dire.
Per monsignor Philip Najim, procuratore della Chiesa caldea presso la Santa Sede, non si tratta di episodi legati alla resistenza », ma azioni di «forze oscure esterne al Paese». Conferma questa impressione?
Sono atti contro Dio, perché Dio non vuole distruggere la vita dell’uomo. L’uomo vuole vivere con serenità e con gioia questa vita e il Paese vuole essere unito nella ricostruzione. Ma questi attacchi lo fanno indietreggiare. Qualsiasi sia la motivazione degli attentatori è certo un atto di inciviltà, un gesto di persone prive di coscienza.
Voi cristiani cosa farete. Ricomincerà l’esodo come lo scorso anno, la fuga all’estero?
Potrebbe essere. Fra i cristiani si respira un clima di sfiducia, negativo. Non è facile rimanere dopo che hanno colpito sette, otto chiese in una sola domenica. Non è facile... Cosa posso dire adesso alla gente, venite in chiesa? Mi risponderannno.
vuoi che ci ammazzano.
Il governo vi ha assicurato maggiore protezione?
Adesso ci sono più agenti, ma ci vorrebbe un fondamentale cambiamento per la pace e per la sicurezza: se non c’è una riconciliazione fra tutte le parti, per ricostruire il Paese le cose non andranno bene. Con la speranza si va avanti: ma non è facile.
Cosa può aiutarvi. Cosa chiede a noi cristiani in Occidente?
Di avere una coscienza chiara che un mondo senza Dio va sempre peggio. Noi cristiani possiamo andare avanti con l’aiuto di Cristo, con la convinzione che chi può mandare avanti il mondo con serenità è solo l’unico di Dio. Questo chiediamo a Dio, pregate per noi.
Luca Geronico
«Ora come potrò dire alla gente: venite in chiesa?
Si va avanti con la speranza, ma non è facile»
1)L'enciclica che ribalta l'etica dei banchieri - Graziano Tarantini lunedì 13 luglio 2009 – ilsussidiario.net
2)PAPA/ Magister: Obama ha le carte giuste per aprire un nuovo corso - INT. Sandro Magister lunedì 13 luglio 2009 – ilsussidiario.net
3)RIMEDI/ Risé: la crisi della "società del possesso" si vince con la rinascita dell'umano - INT. Claudio Risé lunedì 13 luglio 2009 – ilsussidiario.net
4)I Legionari alla battaglia finale. Intervista esclusiva con padre Thomas Berg - Il Vaticano mette sotto indagine i Legionari di Cristo, allo sbando per le malefatte del loro fondatore. E per la prima volta un loro membro autorevole rompe il silenzio sui cruciali problemi esplosi nella congregazione - di Sandro Magister
5)La pillola RU 486 e l’agenzia italiana del farmaco - di Renzo Puccetti* - ROMA, lunedì, 13 luglio 2009 (ZENIT.org).- Non vi è dubbio che la questione della pillola abortiva RU 486 è stata introdotta in Italia non tanto sulla base di una pressante richiesta proveniente dal mondo medico, né da quello delle donne, quanto piuttosto per l’indiscutibilmente abile ed efficace azione di ben identificabili movimenti politic
6)Scenari apocalittici e risultati convincenti per il film "Harry Potter e il principe mezzosangue" - La magia non è più un gioco sorprendente - di Gaetano Vallini – L'Osservatore Romano, 14 luglio 2009
7)PERSECUZIONI/ La vita dei cristiani in Somalia senza diritti umani - Mario Mauro martedì 14 luglio 2009 – ilsussidiario.net
8)Henry Poole – Lassù qualcuno ti ama - Curatore: Fortunato, Simone - Regista: Mark Pellington - martedì 14 luglio 2009 – da CulturaCattolica.it
9)«Un inferno dopo la Messa Ma perché contro di noi?» - L’ausiliare di Baghdad Warduni: si rischia un altro esodo – Avvenire, 14 luglio 2009
L'enciclica che ribalta l'etica dei banchieri - Graziano Tarantini lunedì 13 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Numerosi sono stati in questi giorni i commenti sull'enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate. Fra questi ho apprezzato soprattutto quello di Emma Marcegaglia sul Sole 24 Ore per l'intelligenza delle considerazioni. Il rischio però è quello di fermarsi ai commenti sfuggendo a una lettura attenta e complessiva. E soprattutto a un paragone leale fra la propria esperienza e quanto suggerisce il testo. L'invito, specie a chi è impegnato nell'impresa e nell'economia, non può che essere perciò a leggerla tutta. Letture parziali infatti finiscono inevitabilmente con l'esaltare un particolare in cui ci si riconosce o si riscontra una corrispondenza col proprio punto di vista.
I temi del mercato, del modo di intendere l'impresa, della distribuzione della ricchezza, del ruolo della finanza, sono tutti puntualmente analizzati da Benedetto XVI. Ma tali aspetti e l'analisi originale che ne fa il Papa rischiano di non essere compresi nella loro integralità e nel loro vero significato se si prescinde dalla prima parte dell'enciclica dove si trovano i fondamenti di tutto il resto. Qui infatti si sottolinea come “talvolta l'uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società”, mentre, al contrario, “la verità non è prodotta da noi, ma sempre trovata o, meglio, ricevuta”. Questa è la radice del perché bisogna cambiare strada. Soprattutto va evitato l'errore di pensare che lì ci siano la dottrina, i principi, mentre quelle che importano sono le conseguenze pratiche. Non è così, il disegno che esce dalla Caritas in veritate è un tutt'uno, dove ogni elemento è collegato.
Ciò che colpisce è proprio questa visione unitaria della realtà. Sarebbe altrettanto sbagliato affermare che ciò riguardi solo chi crede, mentre potrebbero semmai registrarsi coincidenze di vedute su singoli temi come ad esempio la concezione del mercato. Ritengo perciò che l'intera enciclica (e non soltanto qualche parte isolata dal contesto) sia interessante per tutti. Benedetto XVI ci dà dimostrazione di una maggiore capacità di lettura del mondo contemporaneo, proprio oggi quando molti appaiono smarriti davanti alla crisi e al crollo di sistemi che sembravano perfetti. Ci offre una prospettiva che in questo momento probabilmente nessun altro è in grado di indicare. Ciò è frutto di una visione più ampia e profonda della realtà che è del tutto alla portata della ragione umana, credenti o non credenti che si sia. Ci dice chiaramente che bisogna cambiare rotta.
Certo avere la libertà di intraprendere la strada che ci viene indicata richiede coraggio e capacità di rinunciare a comode rendite di posizione. E l'uomo è disponibile a una rinuncia seria solo se intravvede una novità che è più interessante per se stesso e per tutti. Quando nel 1891 Leone XIII pubblicò la prima enciclica sociale, la Rerum Novarum, in Francia ci fu solo un imprenditore, Leon Harmel, che la prese sul serio trasformando radicalmente le sue officine di filatura e rendendole un modello di un nuovo modo di fare impresa. Don Giussani ha sempre osservato che se anche tanti altri avessero fatto come lui, l'Europa sarebbe stata diversa.
È un esempio per dire che quanto Benedetto XVI ci propone non riguarda genericamente il mondo o la società, ma è rivolto personalmente a ognuno di noi. In questo senso l'enciclica è un richiamo soprattutto ai cattolici ad accettare la sfida di un cambiamento radicale. Insomma una salutare ventata di aria nuova ad esempio in Italia dove, con una buona dose di ipocrisia, sotto l'etichetta di imprenditore o di banchiere cattolico per anni ci sono stati propinati grandi discorsi sull'etica, non avendo mai il coraggio di rischiare soluzioni innovative non appiattite sugli stereotipi del pensiero dominante che ci ha condotto al disastro di oggi.
PAPA/ Magister: Obama ha le carte giuste per aprire un nuovo corso - INT. Sandro Magister lunedì 13 luglio 2009
Temi etici, come aborto e ricerca sulle staminali, e lotta alla povertà sono stati al centro dell’incontro tra Benedetto XVI e Barack Obama, che ha incontrato il Pontefice venerdì a Roma dopo il G8. I punti di disaccordo sono ben noti, essendo il presidente Usa su posizioni pro-choice; d’altra parte la gerarchia apprezza molto la disponibilità al dialogo del presidente, che si è impegnato a diminuire il numero degli aborti negli Stati Uniti. Sandro Magister, vaticanista de L’Espresso, commenta la storica visita del presidente americano, giunta al termine di una settimana densa di avvenimenti di grande portata.
Magister, venerdì l’atteso incontro tra Obama e Benedetto XVI, all’inizio della scorsa settimana la lettera a Berlusconi in occasione del G8, con l’invito a cercare soluzioni per aiutare i paesi poveri; e durante il summit l’incontro di sua santità con le first ladies, alle quali il pontefice ha chiesto di “non dimenticare l’Africa”. Basteranno i 20 mld di dollari in 3 anni stanziati dal vertice?
Certamente il Papa avrà apprezzato. In ogni caso non basteranno le erogazioni finanziarie dei paesi ricchi a risolvere il problema dello sviluppo. Rimane un dato essenziale: l’Africa è assolutamente prioritaria nella geopolitica della Santa sede. È l’unico continente in cui il cattolicesimo, e il cristianesimo in generale, sono in espansione. Si può ormai affermare che la metà della popolazione africana è cristiana e che di questa la gran parte è cattolica. Ecco spiegata la preoccupazione del Papa per l’Africa, in un momento in cui il continente è al centro dell’agenda del G8. E non è un caso che le prime battute tra Obama e il Papa siano state sul vertice.
Fuori programma il Papa ha regalato a Obama la Dignitas personae, documento dedicato ai temi di bioetica più controversi, oltre che una copia autografata della Caritas in veritate. Sembrano messaggi molto chiari…
I due testi non sono slegati tra loro. Nell’enciclica stessa vi sono passaggi di importanza cruciale che riguardano la questione antropologica sotto forma del nesso fortissimo che sussiste tra natalità e sviluppo economico. Sappiamo bene che la tesi della Chiesa, condivisa da economisti di valore, è opposta a quella maltusiana, secondo cui lo sviluppo economico è correlato ad una diminuzione della natalità.
Nell’intervista concessa ad Avvenire Obama cita “la lotta alla povertà, il benessere dell’infanzia, la pena di morte” e dice che “questa parte della tradizione cattolica” lo “ispira continuamente”. Ma qualcosa, per sua stessa ammissione, è cambiato negli Stati Uniti.
È vero, qualcosa è certamente cambiato nel mondo cattolico e nella stessa gerarchia americana: praticamente un terzo dell’episcopato, un’ottantina di vescovi circa su oltre duecento, negli ultimi tempi si sono pronunciati in modo molto netto sui temi del rispetto della vita e in modo altrettanto critico verso l’amministrazione. Ora, questo era impensabile fino a poco tempo fa. C’è però la comprensione che i temi etici non sono affatto slegati da quelli comunemente rubricati, in modo sbrigativo, sotto il termine “sociale”. Siamo all’inizio di una fase nuova.
C’è anche però una certa componente che guarda con ammirazione il nuovo corso della presidenza Obama. Cosa dobbiamo pensare?
Ai vertici della Chiesa vi sono accentuazioni diverse nei rapporti con l’amministrazione Obama. C’è quella critica che ho citato, e che comprende il presidente della Conferenza episcopale Usa, il cardinale George il quale, non va dimenticato, conosce bene il presidente perché è vescovo della diocesi di Chicago, ma non è l’unica. C’è anche una posizione molto più comprensiva, che definirei di tipo “europeo”, con una diversa sensibilità soprattutto nell’approccio al potere politico, verso il quale prevalgono logiche più complesse, che fanno appello alla mediazione più che al conflitto. E il cardinale che si è fatto portavoce di una lettura nettamente “amichevole” verso la presidenza Obama è stato il cardinale Georges Cottier, già teologo della Casa pontificia.
Per tornare agli eventi della settimana, l’enciclica è uscita alla vigilia del G8. Qual è la sua opinione di vaticanista?
Senz’altro è un documento di non facile lettura. Ma i passaggi sostanziali, rintracciati in un insieme forse eccessivamente lungo e non particolarmente perspicuo, sono molto efficaci e sono quelli in cui la mano del professor Ratzinger si nota di più. A partire dal titolo, che sottolinea il nesso indissolubile tra carità e verità. Sulla forte base teologica fioriscono gli altri elementi, alcuni dei quali sono di attualità indiscussa, come il richiamo al nesso virtuoso tra natalità e sviluppo e il principio di sussidiarietà. Si auspica perfino la presenza di un’“autorità politica mondiale” (n. 67, ndr.). Senza arrivare a questi livelli direi quasi utopici, rimane forte ed essenziale la richiesta di una governance basta su regole morali.
Secondo lei l’incontro tra Obama e Benedetto XVI inaugura un nuovo corso rispetto al rapporto tra Chiesa cattolica e amministrazione americana che abbiamo visto finora?
Direi che l’elemento continuità è molto più forte dell’elemento conflittuale che può esserci su alcuni punti critici. La continuità è data dal fatto che i vertici della Chiesa sono perfettamente consapevoli di aver a che fare con un potere politico di peso mondiale e allo stesso tempo con un paese in cui la democrazia, la libertà e l’aspirazione alla felicità hanno un primissimo piano e in cui c’è un rapporto fecondo tra religione e sfera politica. Sono fattori che un Papa come Joseph Ratzinger non può non mancare di apprezzare.
E i punti di disaccordo?
Benedetto XVI ne è perfettamente consapevole e lo è anche Obama. C’è al tempo stesso, però, la consapevolezza che una strada comune è possibile e soprattutto che vale la pena di tentarla. È un elemento non trascurabile, che soprattutto da parte della Santa sede è molto apprezzato. Obama stesso ha mandato segnali molto chiari.
A cosa pensa?
Tutte le volte che un presidente Usa negli ultimi decenni è venuto in Italia, si è fatto precedere da un’intervista ad un grande quotidiano italiano, generalmente scelto tra Repubblica, Correre della Sera, Sole 24 Ore e La Stampa. Questa volta ha rotto la regola, dando l’intervista ad Avvenire e Radio vaticana. Mandando un messaggio inequivocabile: l’incontro con il Papa era, ed è, una priorità.
RIMEDI/ Risé: la crisi della "società del possesso" si vince con la rinascita dell'umano - INT. Claudio Risé lunedì 13 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Oggi il mondo ha perso il gusto ad un reale rinnovamento, perché questo implica un dono di sé all'altro, ed una messa in discussione dell'Ego, e di ciò che si “possiede”. Quali sono le conseguenze nella nostra società di un tale atteggiamento caratterizzato da chiusura, difficoltà di relazione e scarsa lungimiranza? Ne discutiamo con Claudio Risé, psicanalista e scrittore, che ha appena pubblicato il libro La crisi del dono. La nascita e il no alla vita (San Paolo Ed., 2009, www.claudio-rise.it), un’opera che tratta i temi della nascita e della necessaria rinascita e trasformazione nel corso della vita dell'uomo, condizioni che portano ad un autentico rinnovamento e sviluppo nel mondo stesso.
Prof. Risé, la prima domanda sorge spontanea: esiste una relazione tra l’importante crisi economica che stiamo vivendo e il carattere di una società, come la nostra, che nel suo nuovo libro lei ha definito “società del possesso”? Quali sono le vie di uscita da questa stagnazione?
La società del possesso produce fatalmente crisi, proprio perché in essa importanti risorse, prodotte dalla genialità umana, dallo sviluppo economico, dalla ricerca scientifica e tecnologica, vengono continuamente sequestrate dalle categorie più avide, che finiscono col distruggerli in un folle gioco alla moltiplicazione dei guadagni e dei patrimoni individuali. L’attuale crisi è nata dalla distruzione di enormi ricchezze, ad opera dall’alleanza tra l’avidità di risparmiatori convinti di poter aumentare a dismisura i propri patrimoni sia immobiliari che mobiliari, e fasce di finanza spregiudicata che lo lasciava credere possibile, per amministrarne le risorse.
Questa distruzione di energie nuove ha riprodotto, in campo finanziario ed economico, quella distruzione di vita nuova in nome della difesa e incremento degli interessi e possessi individuali, che io pongo nel mio libro alla base dell’attuale “crisi del dono”, e delle pratiche e legislazioni abortiste. Da tutto ciò si esce tutelando lo sviluppo della nuova vita (nuove idee, visioni, saperi e tecniche), rispetto alla sua riduzione materialistica in possessi e guadagni immediati.
Nelle sue pagine è tracciato un itinerario che esamina le immagini riguardanti la nascita, accolta o rifiutata, presenti nell’inconscio, nel mito, e nella tradizione ebraico cristiana. Si tratta di un’impostazione piuttosto inusuale, soprattutto per quei lettori interessati a comprendere con immediatezza e concretezza i fenomeni della società in cui viviamo. Questo studio cosa ci spiega dell’oggi? E cosa ci insegna?
L’inconscio collettivo, espresso (come ha mostrato Carl Gustav Jung e la sua scuola) nei miti e nei cicli leggendari delle varie culture, come anche nella storia delle religioni, mostra gli aspetti invarianti, archetipici, della psiche umana. Per questo, come osservava la frase di Pasolini che riporto in esergo, non c’è niente di più concreto e attuale del mito: parlando di mille anni fa, svela con sorprendente precisione l’animo dell’uomo di oggi. D’altra parte, l’inconscio collettivo registra anche (e anche questo Jung l’ha visto) i mutamenti manifestatisi nello psichismo umano dopo l’avvenimento cristiano, e la modifica da esso consentita e richiesta nei rapporti personali, nel sentimento di amore per l’altro, e di offerta di sé.
Il rinnovamento antropologico portato dal cristianesimo ha al proprio centro una nascita ed un dono, quello di Dio fatto uomo, destinato a provocare il rinnovamento del mondo, e di ogni singolo uomo, nella sua vita personale. Da allora in poi ogni uomo, ed ogni società, può scegliere tra il rinnovamento e la trasformazione di sé (la rinascita che Gesù indica a Nicodemo), o la difesa dell’esistente. Questa seconda soluzione, l’osservazione clinica lo mostra bene, innesca in realtà un processo regressivo, e di distruzione di vita.
RIMEDI/ Risé: la crisi della "società del possesso" si vince con la rinascita dell'umano (2)
INT. Claudio Risé lunedì 13 luglio 2009
Parlare di rinnovamento e rinascita significa parlare anche di bambini. Lei cita in esergo un passaggio di Elie Wiesel: “Hai paura di diventare grande? Sì, paura di diventare grande in un mondo che a dispetto delle sue magniloquenti dichiarazioni, non ama i bambini; ne fa piuttosto i bersagli del suo dispetto, della sua mancanza di fiducia in se stesso, della sua vendetta”. Effettivamente lo stesso Wiesel, accompagnando Barak Obama nella visita di Buchenwald (5 giugno 2009), ha affermato che nonostante gli orrori della guerra il mondo non ha ancora imparato a garantire la dignità della vita umana. Condivide queste parole di Wiesel?
Assolutamente. La riduzione dell’essere umano ad oggetto, e l’annichilimento della sua dignità, continua ad essere la grande tentazione cui l’uomo è sottoposto, e spesso soggiace. La categorie linguistiche e retoriche del “politicamente corretto” sono funzionali alla copertura e mascheramento di questa realtà drammatica. L’uomo è pronto ad uccidere l’altro uomo, il bambino che nasce, le idee, la personalità, o il carattere di un'altra persona (come quotidianamente accade nella lotta politica), pur di non cambiare, per affermare quello che ritiene il proprio interesse.
Trattando il tema della relazione tra uomini e donne Lei afferma che il bambino che nasce è una figura decisiva per lo sviluppo pieno dell’amore nella coppia. In che senso?
L’amore tra i due richiede sempre l’apertura ad un “terzo” per dispiegarsi completamente. Dal punto di vista trascendente si tratta, naturalmente, di Dio, che istituisce l’amore stesso, con il suo amore creativo, a cui occorre restare aperti, e rivolti. Nella dinamica della coppia il terzo è però anche il bambino (i bambini), e può estendersi ai figli simbolici della coppia: le idee, le iniziative, le opere.
Da quanto Lei dice nella sua opera il processo di secolarizzazione ha avuto un ruolo negativo nella relazione d’amore tra l’uomo e la donna, e in particolare sul matrimonio. Una domanda provocatoria: in un mondo senza Dio non è davvero possibile l’amore tra gli individui?
Il fatto è che, per fortuna, non basta negarlo, per fare sparire Dio. Molti atei fanno in realtà riferimento ad un principio superiore, di bene, che interiormente è vissuto come la personalità religiosa vive Dio. Certo quando la negazione diventa sistemica, come è accaduto nei totalitarismi comunista e nazista, l’amore tra le persone tende a diventare problematico, e ad essere sostituito dall’obbedienza al Partito. Ciò continua ancora oggi, per certi versi, nelle sottoculture politiche che fanno riferimento a quelle realtà.
Secondo quanto Lei riporta nel libro La crisi del dono, molte donne, che diedero vita al movimento femminista negli anni ’70, si stanno oggi accorgendo della necessità di una rinnovata relazione tra uomo e donna. Non solo: anche il movimento degli uomini, presente in diverse forme anche in Italia, si sarebbe messo alla ricerca di una nuova visione. Quali sono i motivi di queste tendenze? E quali i possibili esiti?
Sia il disincanto femminista, che documento attraverso una serie di testi e posizioni note e autorevoli, sia il movimento degli uomini, cui ho sempre dedicato molta attenzione, sono realtà ormai affermatesi fin dagli anni ‘90. Per cui più che di tendenze parlerei di trasformazioni in corso da tempo, anche se meno visibili anche per via del prevalente silenzio loro riservato dalle comunicazioni di massa. Che preferiscono il mostro (o la star) in prima pagina, piuttosto che l’informazione sulla sottile e profonda trasformazione delle coscienze, inquietante anche per gli stessi operatori della comunicazione di massa, in gran parte devoti proprio a quella società secolarizzata del possesso, di cui appunto stiamo parlando.
I Legionari alla battaglia finale. Intervista esclusiva con padre Thomas Berg - Il Vaticano mette sotto indagine i Legionari di Cristo, allo sbando per le malefatte del loro fondatore. E per la prima volta un loro membro autorevole rompe il silenzio sui cruciali problemi esplosi nella congregazione - di Sandro Magister
ROMA, 13 luglio 2009 – Tra due giorni avrà inizio l'annunciata visita apostolica alla congregazione dei Legionari di Cristo.
I visitatori nominati dalla Santa Sede sono i seguenti cinque vescovi:
- Ricardo Watti Urquidi, vescovo di Tepic in Messico, incaricato della visita nel Messico e in Centroamerica, dove i Legionari hanno 44 case con 250 sacerdoti e 115-120 religiosi e aspiranti sacerdoti;
- Charles J. Chaput, arcivescovo di Denver, incaricato per Stati Uniti e Canada, dove i Legionari hanno 24 case con 130 sacerdoti e 260 religiosi e aspiranti sacerdoti;
- Giuseppe Versaldi, vescovo di Alessandria, incaricato per Italia, Israele, Filippine e Corea del Sud, dove i Legionari hanno 16 case con 200 sacerdoti e 420 religiosi e aspiranti sacerdoti;
- Ricardo Ezzati Andrello, arcivescovo di Concepción in Cile, incaricato per Cile, Argentina, Colombia, Brasile e Venezuela, dove i Legionari hanno 20 case con 122 sacerdoti e 120 religiosi e aspiranti sacerdoti;
- Ricardo Blázquez Pérez, vescovo di Bilbao, incaricato per Spagna, Francia, Germania, Svizzera, Irlanda, Olanda, Polonia, Austria e Ungheria, dove i Legionari hanno 20 case con 105 sacerdoti e 160 religiosi e aspiranti sacerdoti.
L’investitura dei cinque visitatori è avvenuta la mattina di sabato 27 giugno in Vaticano, in una riunione con i cardinali Tarcisio Bertone, segretario di Stato, William J. Levada, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, e Franc Rodé, prefetto della congregazione per gli istituti di vita consacrata.
In questa riunione, ai cinque è stata data lettura delle conclusioni dell’indagine vaticana che portò nel 2006 alla condanna del sacerdote Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo e del movimento laicale Regnum Christi ad esso collegato, per abusi sessuali su numerosi suoi giovani discepoli, in un arco di alcuni decenni.
Dopo la sua morte nel 2008 all'età di 88 anni, si è scoperto che Maciel ebbe anche una figlia, che ora ha circa vent'anni e vive in Spagna, nata da una relazione tra il sacerdote e una sua amante messicana.
Per una congregazione religiosa che aveva in Maciel il suo modello indiscusso, lo sbandamento è stato fortissimo. Di qui la decisione vaticana di procedere con una visita apostolica. Al termine dell'indagine, i visitatori consegneranno un rapporto alla Santa Sede, che deciderà di conseguenza.
La richiesta di una visita apostolica era stata avanzata, nei primi mesi di quest'anno, da alcuni degli stessi Legionari, tra i più stimati.
Uno di questi è l'americano Thomas Berg (nella foto), membro dei Legionari di Cristo dal 1986, sacerdote dal 2000, professore e confessore nel seminario della Legione a Thornwood, New York, molto impegnato nelle attività di formazione. In aprile ha lasciato la congregazione e ha chiesto d'essere incardinato nell'arcidiocesi di New York. L'arcivescovo Timothy Dolan gli ha affidato la vicaria della parrocchia di St. Columba in Hopewell Junction. Berg è anche direttore del Westchester Institute for Ethics and the Human Person.
In questa intervista, con parole pacate, padre Berg spiega qual è la reale posta in gioco, quali sono i punti di forza e di debolezza della congregazione posta sotto inchiesta, che cosa dovrà essere demolito e che cosa ricostruito. Denuncia il culto della personalità che circonda tuttora la figura di Maciel. Critica i motivi per cui l'obbedienza ai superiori degenera spesso in cieca sottomissione. Mette a fuoco la questione di fondo: come è possibile che siano venute tante cose buone da un'istituzione rivelatasi così piena di pecche.
È la prima volta che un membro autorevole, per molti anni, dei Legionari di Cristo, parla in pubblico e a cuore aperto dei cruciali problemi esplosi in questa congregazione.
"Una questione senza precedenti nella storia della Chiesa" - Intervista con Thomas Berg
D. – Quando di recente ha lasciato la Legione lei ha espresso in una dichiarazione la sua stima per la congregazione nella quale è stato formato come sacerdote. Quali sono le sue speranze ora che è stata annunciata una visita apostolica alla Legione di Cristo?
R. – Come la maggior parte degli appartenenti alla Chiesa, anch'io cerco di essere ottimista e pieno di speranza per la Legione e per il movimento Regnum Christi. Vogliamo solo il meglio per questi nostri fratelli e sorelle in Cristo. Comprendiamo che ciò potrebbe obbligare a prendere qualche amara medicina, ma sono convinto che una maggioranza di questi uomini e donne ammirevoli sapranno mostrarsi all'altezza della situazione, poiché essi davvero hanno un amore profondo per Cristo nei loro cuori. Mi preme ribadire di nuovo che non porto alcun astio, ira o risentimento nei confronti della Legione. Vado avanti con la mia vita. Tuttavia, l'avermi posto queste domande mi ha offerto l'opportunità di dire una serie di cose che in coscienza sono convinto vadano dette, in un momento come questo.
D. – Come prevede che andrà la visita?
R. – Ritengo fuori luogo per me anche solo cominciare a far congetture su questo.
D. – Quali consigli darebbe ai cinque visitatori?
R. – Mi limito a un solo suggerimento generale: aiutare i Legionari a dedicarsi a una onesta e oggettiva autocritica. Ciò che da ultimo ho trovato più sconcertante è il tipo di ragionamento collettivo che ha preso piede tra i Legionari: "Non pensiamo affatto che vi sia qualcosa di sbagliato nella cultura interna della Legione, ma se la Santa Sede ci dice di cambiare qualcosa, noi lo faremo". La docilità alla Santa Sede, per quanto lodevole e giusta, maschera una enorme falla: l'incapacità della Legione nel suo insieme di impegnarsi in una salutare autocritica. Non è più tempo di andare avanti come si è sempre fatto, eppure è questa l'impressione che si ricava dai Legionari in questi ultimi cinque mesi di crisi.
Questa incapacità di vedere e di riconoscere onestamente le falle e gli errori che così tante persone fuori della Legione vedono benissimo è fin troppo evidente. Ai Legionari si dovrebbe far capire che non è compito della Santa Sede riformare la Legione. La Legione sarà riformata a fondo solo quando riformerà se stessa da dentro. Ma questo potrà solo cominciare con un esame di sé che muova da dentro la Legione e ammetta gli errori della Legione.
D. – E i suoi consigli ai membri di Regnum Christi?
R. – Non ho nessun titolo per parlare a loro collettivamente. In febbraio una mia email che desideravo avesse una larga diffusione ma restasse privata fu resa pubblica dappertutto su internet. Ma se un qualsiasi membro di Regnum Christi me lo chiedesse di persona, il mio consiglio sarebbe dello stesso tipo: tu concentrati su Cristo, opera con cura per discernere la tua personale via, impegnati nella tua parrocchia, cerca di crescere nella tua vita interiore, sforzati di compiere una critica sana e informata della Legione e di Regnum Christi.
D. – Che cosa pensa che avverrà della Legione, a lungo termine?
R. – Di nuovo, non sarebbe saggio per me cominciare a far congetture su questo. È cosa che spetta allo Spirito Santo, che fortunatamente ha molte opzioni a sua disposizione!
D. – Che cosa pensa si debba fare a proposito del posto centrale dato agli scritti, alla persona e alla figura del fondatore, Marcial Maciel?
R. – Spero che la Legione acceleri al più presto la sua sconfessione di padre Maciel e la sua dissociazione da lui. Su questo punto, non vedo vie alternative. Tutti – e sottolineo tutti – i ritratti di Maciel che ancora sono appesi nella case dei Legionari devono essere rimossi. Devono smettere di citare i suoi scritti in pubblico (ho saputo che in una messa celebrata di recente in una comunità di Legionari chi tenne l'omelia ebbe ancora l'ardire di citare un brano di una lettera di Maciel). A proposito, un semplice passo in questa direzione comporterebbe anche la cessazione immediata della consuetudine di riferirsi a padre Maciel come a "nuestro padre" o "mon père": formula adulatoria il cui uso egli consentì e incoraggiò. Incredibilmente, molti se non la maggior parte dei Legionari ancora insistono a usare la formula.
D. – Quali pensa che siano i punti di forza su cui i Legionari e Regnum Christi possono poggiare, in questa fase di incertezza?
R. – Se la Legione è fedele alla propria parola, la Chiesa dovrebbe contare sulla docilità dei Legionari e dei membri di Regnum Christi a fare qualsiasi cosa sarà alla fine decisa su di essi e sul loro futuro. La Legione di Cristo e Regnum Christi sono composti da centinaia di buoni e santi uomini e donne di Dio. Io ho la stima più profonda per tanti di loro. Essi, nel loro insieme, costituiscono una ragione di ottimismo. Ma da ultimo la nostra fiducia deve poggiare sulla forza e l'azione dello Spirito Santo che, tramite la Santa Sede, aiuterà tutte le persone coinvolte a giungere a un giusto discernimento della soluzione più adatta per la Legione di Cristo e il movimento Regnum Christi.
D. – Quali sono le cose che lei pensa debbano cambiare nella cultura interna della Legione, specialmente legate al "voto di carità" recentemente abolito, il voto cioè di non criticare i superiori?
R. – Al centro dei seri problemi che riguardano la cultura interna della congregazione c'è un modo errato di comprendere e di vivere il principio teologico – in sé valido – secondo cui la volontà di Dio si manifesta al religioso attraverso il suo superiore. Il seminarista della Legione è erroneamente guidato a nutrire una esagerata concentrazione sulla "dipendenza" interiore dal superiore per virtualmente qualsiasi suo atto intenzionale (sia esplicitamente, sia in virtù di certe norme o autorizzazioni ricevute, sia in virtù di permessi abituali o presunti). Questo non è in armonia con la tradizione della vita religiosa nella Chiesa, né è teologicamente o psicologicamente appropriato. Comporta piuttosto una pericolosa soppressione della libertà personale (lontanissima dalla ragionata, ponderata e liberamente esercitata oblazione dell'intelletto e della volontà che lo Spirito Santo genuinamente ispira nelle istituzioni di obbedienza religiosa) e determina restrizioni non sane e non sante nella coscienza personale.
Inoltre, le norme della Legione che riguardano il "riferire", l'"informare", il "comunicare con", il "dipendere da" i superiori costituiscono un sistema di controllo e di conformità che ora deve essere considerato altamente sospetto, posto ciò che sappiamo di padre Maciel. In più esse ingenerano una nozione semplicistica e impoverita umanamente e teologicamente della volontà di Dio (il suo discernimento e manifestazione) che produce immaturità personale.
Più seriamente, la maniera di vivere entro la quale i Legionari praticano l'obbedienza è intrecciata con quel genere di indiscutibile sottomissione che in primo luogo ha consentito al culto della personalità di affermarsi attorno alla figura di Maciel, e poi ha coperto i suoi misfatti. I seminaristi della Legione sono essenzialmente allenati a sospendere la ragione nella loro obbedienza, a cercare un'intima totale conformità a tutte le norme e a resistere a ogni impulso interiore a esaminare o criticare le norme o le indicazioni dei superiori.
Certo, la motivazione prima che sta dietro a questa vita di obbedienza è l'ideale della totale "immolazione" di sé per amore di Cristo, in quanto incarnato nel vivere integralmente tutte le norme e le indicazioni dei superiori. Questa "immolazione" dell'intelletto e della volontà è nel cuore dell'"olocausto" che il Legionario è invitato a vivere per amore di Cristo e della Chiesa. Per quanto la motivazione sia valida – e generazioni di Legionari l'hanno seguita in buona fede – a lungo andare essa non solo si dimostra profondamente problematica, ma spiega anche il negativo cambiamento di personalità che molti, se non la gran parte dei Legionari subiscono nel tempo: la superficialità delle loro espressioni emotive, la mancanza di empatia e l'incapacità a relazionarsi normalmente con gli altri nei più vari contesti, la sensazione generale di condurre una vita "a parte", eccetera. Solo eccezionalmente i sacerdoti della Legione superano questo stato, ma solo grazie ai molti talenti e ai doni umani che essi portano con sé nella Legione.
D. – Quali elementi lei trova più sconcertanti e bisognosi di una speciale attenzione da parte dei visitatori?
R. – Ne cito un paio. Perché, per esempio, circa venticinque preti della Legione continuano a essere chiamati a un "rinnovamento spirituale" della durata di due mesi nel centro di spiritualità della Legione a Cotija, Michoacan, in Messico, ospitati proprio nella casa (ora centro di ritiri e museo) nella quale crebbe padre Maciel? Perché lì? Perché a Cotija? Perché ancora oggi?
Inoltre, perché la Legione continua a lavorare per raccogliere vocazioni? Oggi? In queste circostanze? Sarebbe un vero gesto di onestà per la Legione di Cristo anche solo decidere di bloccare ogni attività vocazionale almeno per la durata della visita canonica, e ancor meglio fino a quando avrà riportato ordine nella propria casa.
Una delle mie preoccupazioni più profonde è che i seminaristi della Legione non sono attualmente in condizione di discernere adeguatamente ciò che Cristo chiede a loro di fare. E questo perché essi sono sistematicamente privati di quel genere di informazioni che hanno non solo il diritto ma anche il fondamentale bisogno di conoscere: una informazione completa degli elementi base della doppia vita di padre Maciel; la consapevolezza che la vita religiosa, con le sue norme e la disciplina interna, che essi si apprestano a vivere è profondamente problematica e ha bisogno di uno scrutinio e di una revisione da cima a fondo; una esposizione esauriente delle critiche ragionevoli che sono state portate contro la Legione e Regnum Christi; e un'onesta ammissione degli errori della Legione da parte dei suoi alti superiori. Dovremmo tutti trovare sconvolgente che la maggior parte dei seminaristi della Legione – e lo stesso si può dire dei membri consacrati di Regnum Christi – ancor oggi vivano la loro vita quotidiana nella più grande ignoranza della maggior parte di queste cose, protetti come sono virtualmente da tutte le informazioni negative riguardanti la Legione e Regnum Christi. Di conseguenza, essi mancano della necessaria libertà interiore per discernere l'autentica voce di Dio nelle loro vite presenti. Questo è un elemento al quale i visitatori hanno bisogno di dedicare molta attenzione.
Una questione ancor più profonda, naturalmente, è quella del carisma. Io, personalmente, sento il bisogno che alla fine la Chiesa in qualche forma riaffermi la validità di un carisma istituzionale nella Legione di Cristo e in Regnum Christi. Specialmente i membri di Regnum Christi hanno bisogno di sapere dalle più alte autorità della Chiesa se c'è stato davvero un genuino carisma ispirato dalla Spirito Santo all'opera nella Legione e in Regnum Christi, oppure se ciò che la Chiesa ha visto nei sessantotto anni del fenomeno della Legione è stato piuttosto Dio che semplicemente ha tirato fuori del gran bene da un'iniziativa primariamente umana e piena di pecche.
Tale questione – se qui sia presente o no un genuino carisma istituzionale – è veramente seria e, da come si presenta nel caso della Legione, è senza precedenti nella storia della Chiesa. Io spero che i visitatori ricavino utili informazioni che aiutino la Santa Sede a trovare la giusta risposta a tale questione.
Da ultimo, temo che potranno venir fuori altre vittime di padre Maciel. Il bene della loro vita deve diventare più chiaramente una priorità doverosa e visibile, per i superiori della Legione. Ho la speranza che i superiori che hanno raccolto molte più informazioni a questo riguardo siano pronti ad aprirsi senza riserve ai visitatori.
D. – Pensa che l'attuale dirigenza della Legione sia stata troppo strettamente associata al fondatore, per continuare a dirigere la congregazione?
R. – Giusta domanda. La Santa Sede può valutare la cosa, ma in definitiva credo che la corretta risposta a questa domanda possa sorgere da un capitolo generale della congregazione che, a mio giudizio, dovrebbe essere condotto sotto la stretta supervisione della Santa Sede e sospendendo le correnti disposizioni per un capitolo generale che si trovano nelle attuali costituzioni della Legione, in modo da consentire la più larga partecipazione di una pluralità di membri, specialmente di quelli che non sono o non sono stati in posizioni di comando.
D. – Può sopravvivere una congregazione come la Legione senza il "modello" fornito dal fondatore?
R. – Dio può fare tutto. Lo Spirito Santo può certamente far sorgere un gruppo di Legionari – cofondatori che si sono dissociati interiormente da padre Maciel – i quali, sotto l'ispirazione dello Spirito, possano offrire modelli di vita per i futuri membri e guidare una nuova generazione di Legionari, attingendo al ricco tesoro di spiritualità religiosa che è il patrimonio della Chiesa. E ciò potrà anche essere trasmesso al movimento Regnum Christi.
La pillola RU 486 e l’agenzia italiana del farmaco - di Renzo Puccetti* - ROMA, lunedì, 13 luglio 2009 (ZENIT.org).- Non vi è dubbio che la questione della pillola abortiva RU 486 è stata introdotta in Italia non tanto sulla base di una pressante richiesta proveniente dal mondo medico, né da quello delle donne, quanto piuttosto per l’indiscutibilmente abile ed efficace azione di ben identificabili movimenti politic
La sperimentazione del farmaco a Torino, peraltro anticipatamente interrotta dal comitato etico dell’azienda ospedaliera,[1] e la sua importazione direttamente dalla Francia in Toscana[2] possono essere individuati come momenti decisivi di una tale strategia. In ambito divulgativo la questione della RU 486 ha suscitato nel nostro paese la fioritura di un’ampia letteratura sia a favore[3] ma soprattutto contraria[4] all’impiego dell’aborto chimico.
Le tappe della vicenda
Nell’ottobre 2006 la federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione (FIAPAC) organizzò il proprio convegno a Roma includendo tra gli argomenti di primo piano proprio l’aborto farmacologico. L’azienda produttrice della RU 486 fu tra gli sponsor importanti dell’evento ai cui partecipanti lo stesso ministro della salute del tempo, l’on.le Livia Turco, volle inviare i saluti tramite la propria delegata Maura Cossutta.[5]
Nel corso dei lavori due medici cubani avevano riferito di una loro paziente deceduta dopo che le erano state somministrate a scopo abortivo compresse di prostaglandine (l’altra molecola prevista in occidente nel protocollo dell’aborto chimico). Stranamente durante la conferenza stampa a conclusione del convegno non fu fatta menzione della cosa, non sappiamo se per mera dimenticanza, o perché non ritenuta rilevante. Avendo partecipato ai lavori e dopo avere parlato personalmente con i medici cubani, mi sembrò doveroso che la notizia non fosse ignorata.[6]
I sostenitori della pillola abortiva asserirono che tale episodio non aveva nulla a che fare con la decisione di diffondere anche in Italia l’aborto chimico.
Nel Novembre del 2007 l’azienda produttrice della RU 486, presentò domanda di registrazione presso l’agenzia italiana del farmaco (AIFA). Il presidente del consiglio era all’epoca l’on.le prof. Romano Prodi.
Il periodico bimestrale dell’AIFA aveva pubblicato sul quarto numero del 2007 un articolo non firmato di tipo revisionale sulla RU 486, in cui si citavano 9 morti, ma in ultima analisi favorevole all’immissione in commercio del farmaco.[7]
Nel dicembre 2007 la società medico-scientifica interdisciplinare Promed Galileo presentò un lavoro di revisione della letteratura medico-scientifica stilato da un gruppo di ricercatori esperti in varie discipline mediche (GISAM, Gruppo Interdisciplinare Studio Aborto Medico). Lo studio fu poi pubblicato nel 2008 sull’Italian Journal of Gynaecology and Obstetrics, organo ufficiale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia.[8]
Secondo i risultati di tale studio si potevano registrare 16 casi fatali avvenuti dopo un aborto farmacologico, con un tasso di mortalità nettamente maggiore rispetto al metodo chirurgico; inoltre l’aborto chimico si connotava per un più elevato tasso di complicanze, un’efficacia inferiore che richiedeva una doppia procedura in un numero sensibile di casi, oltre ad una tendenza all’incremento medio del ricorso all’aborto nei paesi in cui il farmaco era stato introdotto.
La Promed Galileo si premurò di inviare il testo del proprio lavoro all’AIFA. In maniera sorprendente, nonostante il numero dei decessi fosse nettamente superiore rispetto a quello che pochissimo tempo prima la stessa agenzia aveva accreditato nella sua pubblicazione, dall’AIFA non giunse alcun segnale.
Poco dopo però, nel febbraio 2008, il Comitato tecnico-scientifico (CTS) dell’AIFA dette il parere positivo sul prodotto; una tappa non definitiva, ma comunque determinante per il proseguo dell’iter di approvazione della molecola.
Successivamente alle elezioni avvenute nell’aprile del 2008, al cambio della maggioranza parlamentare, al varo del nuovo governo, le cronache riportarono un presunto scandalo che portò alla sospensione e poi alla sostituzione del direttore dell’AIFA.[9]
Ad un periodo di molti mesi in cui la pratica è rimasta ferma in sede di contrattazione del prezzo del farmaco, sembra essere succeduta un’improvvisa accelerazione. Il 19 Giugno 2009 il Sole 24 ore ha annunciato l’accordo con la casa produttrice della RU 486 sul prezzo;[10] sembrava mancare solamente l’approvazione finale da parte del consiglio di amministrazione dell’AIFA e comunque, secondo l’articolo, non sarebbe stato più possibile bloccare l’autorizzazione all’immissione in commercio del prodotto. La sera dello stesso giorno però l’agenzia AdnKronos ha rivelato che la ditta che produce la RU 486, dietro richiesta del ministero del welfare, avrebbe consegnato nuovo materiale da cui emergerebbe che i decessi dopo assunzione del mifepristone sono addirittura 29.[11] La documentazione sarebbe servita come base per un rapporto che la professoressa Morresi, nominata consulente del sottosegretario Eugenia Roccella, avrebbe preparato e che sarebbe stato inviato al CTS dell’AIFA per ulteriori chiarimenti. Il sottosegretario Roccella, confermando i 29 decessi,[12] ha dichiarato di attendere dallo stesso comitato dell’AIFA una risposta scritta per potere rispondere ai parlamentari di entrambe le parti e alla stampa “in piena trasparenza”.[13]
Al momento in cui scriviamo il Comitato tecnico-scientifico del farmaco dovrebbe avere approvato il testo in risposta ai quesiti posti dal consulente del ministero del welfare[14] e il neo-presidente dell’AIFA ha dichiarato che prima della pausa estiva “verranno affrontati tutti i protocolli su cui il Comitato tecnico scientifico si è già pronunciato, compresa la Ru486”.[15]
Alcuni quesiti
Pur non conoscendo il contenuto della missiva del consulente del ministero, i fatti così ricapitolati non possono non evocare una serie d’interrogativi; tra questi:
1. Al momento che l’azienda produttrice della RU 486 ha inoltrato domanda all’AIFA, quanti decessi e quanti eventi avversi gravi aveva segnalato?
2. A quando risalgono tutti i decessi?
3. Quali sono le informazioni sulle circostanze della morte di queste donne?
4. I casi fatali e le complicanze gravi sono stati tutti diligentemente segnalati da parte dell’azienda?
5. Le procedure di approvazione dei farmaci non devono basarsi su una raccolta aggiornata dei dati?
6. Quando il CTS dell’AIFA ha emesso il proprio parere favorevole, ha tenuto conto del rapporto della Promed Galileo che era stato inviato all’agenzia?
7. Sono sufficienti le informazioni derivanti dalle aziende farmaceutiche o il CTS opera un’analisi dei dati indipendente?
8. Le 29 morti segnalate rispetto ai 9 decessi riportati nel Bollettino del farmaco non hanno alcuna rilevanza sul profilo di sicurezza del farmaco?
9. Perché è stata necessaria l’attivazione del ministero del welfare per venire a conoscenza di questi casi?
10. Perché in altri casi l’AIFA ha deciso il ritiro di farmaci pur in presenza di problematicità assai meno allarmanti?
11. Per l’aborto sono accettati standards qualitativi diversi?
12. È possibile che le notizie acquisite dall’AIFA sulla sicurezza non siano complete per altri farmaci?
Si tratta di domande che devono trovare un’esauriente risposta, per il rispetto che è dovuto tanto ai cittadini, quanto alla comunità scientifica. Non resta che attendere per conoscere a quali interrogativi ed in che modo il CTS dell’AIFA abbia risposto.
Comunque vadano le cose, pare ragionevole che la questione di un prodotto come la RU 486, facente parte di una procedura che oggettivamente non costituisce una terapia e per questo è regolamentata da una legge specifica, non possa esaurirsi interamente all’interno della burocrazia tecnica.
-------------
*Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno
[1] A. Morresi. Ru 486 bocciata. E c’è chi non se n’è accorto. Avvenire - ins. È vita del 05-10-2006.
[2] Associazione Radicale Libera Pisa. LiberaPisa e la RU486 in Toscana. http://www.radicalipisa.it/dossier/LiberaPisa-RU486
[3] Carapellucci A. RU486: proposta indecente? Associazione radicale Adelaide Aglietta. http://www.webalice.it/carlamarchisio/RU486.pdf
[4] A. Morresi, E. Roccella. La favola dell’aborto facile. Miti e realtà della pillola RU 486. Franco Angeli ed., 2006.
R. Puccetti. L’uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU 486. Società Editrice Fiorentina, 2008.
C. Cavoni, D. Sacchini. La storia vera della pillola abortiva RU 486. Cantagalli Edizioni, 2008.
L. Romano, M.L. di Pietro, M. P. Faggioni, M. Casini. RU-486 Dall’aborto chimico alla contraccezione d’emergenza. Edizioni Art, 2008.
[5] A. Morresi. Ru 486: ora cercano la scorciatoia europea. Avvenire – ins. È vita – 24-05-2007.
[6] R. Puccetti. Aborto farmacologico con prostaglandine: un altra donna morta a Cuba. Pillole.org, 17-10-2006. http://www.pillole.org/public/aspnuke/pdf.asp?print=news&pID=2794
[7] Bollettino Unico del farmaco. RU486: efficacia e sicurezza di un farmaco che non c’è. XIV N.4, 2007;156-164.
[8] GISAM (Gruppo Interdisciplinare Studio Aborto Medico). Aborto farmacologico mediante mifepristone e misoprostol. Italian Journal of Gynaecology & Obstetrics 2008: 20(1): 43-68.
[9] Cfr. Farmaci: sospeso direttore Aifa. ANSA 21/06/2008 13.18.
Vita.it Aifa: Guido Rasi nuovo direttore. 04/07/2008. http://beta.vita.it/news/viewprint/83433
[10] Marzio Bartoloni. Via Libera alla pillola abortiva. Il sole 24 ore, 19-06-2009, pag. 23. http://rassegna.rapportiparlamento.it/PDF/2009/2009-06-19/2009061913048719.pdf
[11] Adnkronos. ABORTO: 29 MORTI PER RU486, DOCUMENTO INVIATO AD AIFA DA MINISTERO. 19-06-2009, ore 20,45. http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/?id=3.0.3445862537
[12] Enza Cusmai. "La pillola abortiva? Non è sicura, troppe morti sospette". Il Giornale, 21-06-2009. http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=360385
[13] Avvenire del 20-06-2009, pag.15.
[14] AIFA – Commissione Consultiva Tecnico Scientifica. Ordine del giorno 9-10 Luglio 2009. http://www.agenziafarmaco.it/allegati/odg_080709.pdf
[15] DoctorNews 10-07-2009. http://www.doctornews.it/
Scenari apocalittici e risultati convincenti per il film "Harry Potter e il principe mezzosangue" - La magia non è più un gioco sorprendente - di Gaetano Vallini – L'Osservatore Romano, 14 luglio 2009
Resi ancor più tracotanti dal ritorno di Lord Voldemort, il signore oscuro, i Mangiamorte non risparmiano neppure il mondo dei "babbani". Il terrore si abbatte su Londra sotto un cielo improvvisamente offuscato da nubi innaturali e minacciose. L'obiettivo prescelto è il Millennium Bridge, fatto crollare in una spirale di distruzione. Una dimostrazione di potenza da parte delle forze del male, che vogliono asservire al signore oscuro il mondo dei maghi; un universo parallelo in cui è vietato interferire con quello degli uomini normali e dove viene ripudiata la magia nera. Quella di cui si nutre Voldemort.
Si apre con questo inquietante scenario apocalittico Harry Potter e il principe mezzosangue, sesto capitolo della fortunata saga nata dalla penna di Joanne Kathleen Rowling, che narra le avventure del timido maghetto, ormai adolescente. Sono passati nove anni dal primo episodio e il protagonista deve affrontare sfide ben superiori alle sue capacità. La magia non è più il sorprendente passatempo degli inizi; le prove da superare, per quanto rischiose e paurose, non sono più avventure per bambini, seppur speciali e dotati di poteri eccezionali. Ora - come si era capito soprattutto con l'episodio precedente - si rischia davvero la vita e la posta in gioco è altissima: impedire alle forze delle tenebre di prendere il sopravvento.
Nelle sale di tutto il mondo dal 15 luglio, distribuito dalla Warner, Harry Potter e il principe mezzosangue è il film - che il 12 luglio ha anche inaugurato il festival di Giffoni - meglio riuscito della serie. Il lato oscuro della vicenda assume consistenza, caratterizzando con tinte forti tutto il racconto. Si può dire che, cresciuti i personaggi - adolescenti alle soglie dell'età adulta - è cresciuto anche il tono della narrazione. E lo spettacolo ne guadagna. Ciò grazie anche al lavoro del regista David Yates che aveva diretto anche il quinto episodio, Harry Potter e l'ordine della fenice, e dello sceneggiatore Steve Kloves che aveva adattato i primi quattro capitoli. Tra l'altro in questa pellicola la miscela di suspance soprannaturale e romanticismo - Harry, Ron, Hermione e gli altri giovani studenti di Hogwarts cominciano a sentire il richiamo delle passioni - raggiunge il giusto equilibro, rendendo più credibili le vicende dei protagonisti, chiamati a confrontarsi anche con gli stessi problemi dei coetanei "babbani". Inoltre, le piccole, grandi storie d'amore che si intrecciano - tra attese e cocenti delusioni, e non poche situazioni umoristiche - stemperano la crescente tensione. E sottolineano che non esistono formule magiche per evitare i "pericoli" dell'adolescenza. In tal senso siamo di fronte a un percorso di formazione. Che però fa solo da contorno.
Nei corridoi della scuola l'amore è nell'aria, ma la tragedia incombe e forse Hogwarts - che non appare più come un rifugio sicuro - non sarà più la stessa. Uno studente rimane in disparte, alle prese con questioni molto più importanti, determinato a lasciare un segno, anche se oscuro. È Draco Malfoy, chiamato da Lord Voldemort stesso a compiere una missione enorme, decisamente troppo per la sua età. Ma Draco - che dietro la maschera da duro cela una personalità fragile e vulnerabile - accetta: vuole la fama, per vendicarsi del suo rivale di sempre, Harry Potter. Il quale sospetta che nel castello si nascondano nuovi pericoli; è convinto che Draco sia diventato un Mangiamorte.
Il preside, il saggio professor Silente, intanto sente avvicinarsi la battaglia finale. E si rivolge a Harry - ormai definitivamente riconosciuto come il prescelto per sconfiggere Voldemort - affinché lo aiuti a scoprire come penetrare nelle difese del signore oscuro, informazione fondamentale, questa, che solo l'ex professore di pozioni a Hogwarts, Horace Lumacorno (splendidamente impersonato da Jim Broadbent), conosce e custodisce tra le memorie rimosse del suo passato. Quindi Silente fa in modo di convincere il vecchio collega a riprendere la sua cattedra.
Tra schermaglie amorose e partite di Quidditch, la storia procede tra i tentativi di Harry Potter di accaparrarsi la fiducia del professore e la successiva ricerca del segreto dell'immortalità di Voldemort, che lo porterà persino in una sorta di discesa nell'Ade, dopo aver attraversato su una barca (senza Caronte) un fiume che richiama l'Acheronte. Al termine dell'episodio scopriremo - come ben sanno gli appassionati lettori della saga - che il giovane mago rimarrà solo nella sua battaglia, dopo un tragico passaggio di consegne. Ma per sapere se riuscirà a portare a compimento la sua missione bisognerà attendere i prossimi due film in cui è stato diviso l'ultimo libro di Rowling.
In questo lungometraggio, più che nei precedenti, gli intrecci narrativi da seguire sono diversi. La psicologia dei personaggi prende una forma più precisa. Nel quinto capitolo Harry viveva un periodo difficile, tormentato da sogni e da demoni personali, nel ricordo dei genitori uccisi da Voldemort. Ed era alla ricerca di risposte. Ora sembra non averne bisogno. Non si fa troppe domande; sa che ha un compito importante da svolgere. Si fida di Silente, che non lo tratta più come un alunno ma come un amico. Ed è consapevole che quel mondo magico non è privo di insidie, al pari di quello in cui è cresciuto in passato.
Le cupe immagini di Hogwarts, che visivamente si presenta in un modo finora ignoto, rendono ancora più incombente la tragedia che sta per consumarsi. Tutto sembra preparare e portare allo scontro finale tra il bene e il male. Che poi restano i veri protagonisti dell'intera saga, attorno alla quale in passato si sono accesi non pochi dibattiti. È stata chiamata in causa la spiritualità new age; non è mancata l'accusa di istigare i giovani alla fuga dalla realtà e di instillare in loro l'illusione che esistano poteri soprannaturali con i quali poter controllare a proprio piacimento il mondo. Insomma una saga diseducativa e persino anticristiana.
Sicuramente nella visione proposta da Rowling manca un riferimento alla trascendenza, a un disegno provvidenziale nel quale gli uomini vivono le loro storie personali e la Storia prende forma. Così come è vero che, nel meccanismo classico delle fiabe, il protagonista viene coinvolto in vicende in cui la magia è quasi sempre uno strumento nelle mani delle schiere del male. Tuttavia il fatto che in Harry Potter il versante positivo della magia non venga impersonato da saggi maghi e fate in cui identificare chiaramente l'opera della Provvidenza non rende meno evidente la differenza tra le forze in campo.
Allo stesso modo non si può affermare che la stregoneria - ma in questo caso sarebbe meglio parlare di magia - venga posta come un ideale positivo. Al contrario sembra ben chiara la linea di demarcazione tra chi opera il bene e chi compie il male, e l'identificazione del lettore e dello spettatore non fa fatica a indirizzarsi verso i primi. In quest'ultimo film in particolare la distinzione si fa persino più netta. Si è certi che compiere il bene è la cosa giusta da fare. E si comprende anche come questo a volte costi fatica, sacrificio.
Inoltre viene stigmatizzata la ricerca spasmodica dell'immortalità, di cui Voldemort è l'emblema. E per questo non serve il ricorso alla magia. C'è una saggezza atavica che suggerisce di non cedere ai richiami di una impossibile eterna felicità sulla terra e all'illusione che tutto sia possibile.
Le metaletture di questa favola fantasy trascendono, a volte, le reali intenzioni dell'autrice, che cerca solo di voler smascherare - questo sì - il mito di una ragione che pretende di avere una risposta per tutto. Sicuramente vanno oltre le interpretazioni che possono darne un bambino o un adolescente. È più probabile che alla fine della visione o della lettura, più che il fascino della magia (che rimane solo un pretesto ammaliatore) restino le scene che richiamano valori come l'amicizia, l'altruismo, la lealtà, il dono di sé.
In fin dei conti basta ricordare ciò che, nel primo episodio, il guardiacaccia Hagrid risponde a Harry Potter che gli chiede a cosa serva un ministero della magia: "Be', il compito più importante è non far sapere ai Babbani che in giro per il Paese ci sono ancora streghe e maghi". "E perché?" "Perché? Ma dai, Harry, perché tutti allora vogliono risolvere i loro problemi con la magia".
(©L'Osservatore Romano - 13-14 luglio 2009)
[Index] [Top]
PERSECUZIONI/ La vita dei cristiani in Somalia senza diritti umani - Mario Mauro martedì 14 luglio 2009 – ilsussidiario.net
A volte dichiararsi “cristiano” può essere causa di persecuzione. Ce lo racconta la cronaca estera che anche la scorsa settimana ha presentato l’ennesimo atto crudele: l’esecuzione nella stretta osservanza della sharia di sette persone che sono state decapitate perché accusate di essere cristiane e spie ad opera di estremisti islamici somali, ricollegabili ad Al Qaeda. Questa ennesima intimidazione avvenuta a Baidoa si avvale dello spargimento di sangue innocente per far desistere l’uomo che ricerca la fede e rappresenta ancora una volta non solo una grave violazione dei diritti umani, ma dimostra nuovamente le continue persecuzioni ostili e barbare che si perpetrano ogni giorno nei confronti dei cristiani in molte parti del mondo.
In Somalia negli ultimi mesi si sono verificati violenti combattimenti tra insorti e truppe governative che hanno coinvolto l’area nord di Mogadiscio. Fonti ufficiose, calcolando il periodo che va da oggi al maggio scorso, parlano addirittura di 350 morti, non contando però che si combatte anche nel centro e sud del Paese. Dall’Alto commissario Onu per i Diritti umani, è giunta la denuncia di gravi violazioni alle leggi internazionali umanitarie, di violenze perpetrate a danno di donne e bambini, in particolare con proclami anticristiani.
Ciò rientra nella strategia - che è un vero e proprio progetto di potere - della rete di Al Qaeda a farsi Stato che si muove con l’intento di farsi più che stato, addirittura califfato surrogando in questo modo le tante crisi dei paesi musulmani, creando delle zone franche in cui non valga l’autorevolezza della comunità internazionale, ma il diktat dei terroristi. Questo è un fatto di una pericolosità enorme, perché passa attraverso una strategia che cerca di annientare l’uomo che ha una fede diversa da quella che si possiede, che ha diverse convinzioni. Ma ancor più, tutto ciò è strumentale, perché attraverso questa logica si attua invece la prepotenza di reti che non sono differenti dalle nostre reti mafiose.
Occorre pensare seriamente a un intervento armato della comunità internazionale che sia capace di riportare su quel territorio i dettami minimi di rispetto dei diritti umani e soprattutto convinca gli Stati africani, attraverso l’Unione Africana, ad assumersi una responsabilità. Abbiamo responsabilità gravissime nei confronti di un Paese come la Somalia che è stato abbandonato nel momento del bisogno.
Questo si è tradotto in una instabilità che ha fatto comodo a tantissimi, perché destabilizzare quell’area vuol dire destabilizzare un’area in cui è basilare la geostrategicità dei luoghi: pensiamo al controllo del passaggio verso il Mar Rosso, all’interlocuzione con i fenomeni di portata mondiale che avvengono nel Golfo, punto di riferimento del Corno d’Africa e più in basso dei Grandi Laghi.
Tutto ciò significa, in qualche modo, mantenere innescata una polveriera che finisce per avere ripercussioni sugli equilibri non solo del continente africano, ma di quella stranissima partita a "scacchi" che da moltissimi anni si combatte prendendo in ostaggio l’Africa e a dispetto dell’Africa stessa. Più che di una comunità internazionale che si è distratta, parlerei di intrecci nella comunità internazionale che hanno gravissime conseguenze per la vita della gente di quest’area. E le ripercussioni di queste logiche geostrategiche finiscono per essere poi scontate dagli ultimi poveri e, tra questi, gli ultimi degli ultimi, che in questo caso sono i cristiani.
Questa violazione dei “diritti umani fondamentali” nega nell'uomo il vero carattere antropologico ed esistenziale. Senza questo riconoscimento viene meno il fondamento di tutto ciò che il mondo chiama civiltà. Alla luce di questi fatti si comprende facilmente come la salvaguardia della libertà di religione, di una libertà che da sola garantisce una piena realizzazione della dignità umana, diventi sempre più urgente.
Henry Poole – Lassù qualcuno ti ama - Curatore: Fortunato, Simone - Regista: Mark Pellington - martedì 14 luglio 2009 – da CulturaCattolica.it
Un uomo in crisi depressiva compra casa quando sulla facciata comincia a trasparire il volto di Cristo…
Dramma esistenziale con punte di grottesco: si potrebbe definire così, con qualche fatica, l’ultimo film del buon Pellington, un paio di thriller riusciti alle spalle (Arlington Road, The Mothman Prophecies). E’ una storia bizzarra, quella di Henry Poole (Luke Wilson): malato, convinto di essere prossimo alla morte, prende casa in quella che un tempo, tanto tempo prima, era stata la casa dei suoi genitori e, quando ormai è pronto a prepararsi all’ineluttabile, un incontro fa capolino. E’ la vicina di casa, Esperanza (Adriana Barraza), cattolica fervente, vedova, la prima a intravvedere nella facciata dell’abitazione di Henry i contorni di quello che sembrerebbe il volto di Cristo. Un miracolo, oppure semplice muffa sul muro ? Henry, agnostico convinto che solo la scienza possa spiegare le domande della vita, dapprima prende la vicina per pazza, poi pian piano, grazie alla tenacia di Esperanza e a una serie di provvidenziali incontri, comincerà pure lui a dubitare della consistenza di quel volto. Favola simbolica sul miracolo, certamente, ma soprattutto sui rapporti umani sempre più rarefatte nel cinema e nella vita di oggi: Pellington non ha né l’interesse né le capacità di girare un film dai forti connotati teologici o filosofici, l’obiettivo è semmai quello di scavare nel cuore del protagonista, reso fragile dalla malattia, e di toccare bisogni e sottolineare assenze. Che per inciso, a partire proprio dai genitori e dall’infanzia felice, sono tante e brucianti. Così Henry è un personaggio sincero, la cui verità va ben oltre le due dimensioni dello schermo cinematografico: distrutto letteralmente da un evento che l’ha costretto a tagliare i ponti col resto del mondo, divorato dai dubbi che sono l’anticamera della disperazione più cupa, eppure toccato da una serie di incontri inaspettati e generati proprio da quella strana sagoma sul muro. Incontri veri, disinteressati e tenaci, sostenuti da una speranza lucidamente irragionevole che fanno breccia nel cuore di un uomo che pareva rassegnato alla solitudine e alla nostalgia per i bei tempi passati. Non privo di un sentimentalismo che purtroppo emerge nel rapporto tra il protagonista e un’altra vicina di casa, interpretata da Radha Mitchell, Henry Poole ha due grandi pregi: quello di raccontare la possibilità di un miracolo, qui e ora, e attraverso le circostanza più imprevedibili, e quello di mostrare come la speranza possa generarsi non in vista di una prospettiva futura sognante e spesso utopica, ma in forza di una certezza presenta fatta di volti, gratuità, positività, amore. Henry farà fatica a vedere in tutto questo il volto di Cristo, ma non a riconoscere che solo tali incontri l’hanno strappato alla disperazione, grazie solo a questi rapporti ha potuto affermare, nello splendido finale, io ci sono, Henry Poole è qui.
«Un inferno dopo la Messa Ma perché contro di noi?» - L’ausiliare di Baghdad Warduni: si rischia un altro esodo – Avvenire, 14 luglio 2009
«Domenica sera, subito dopo aver celebrato la Messa sono rientrato nel mio ufficio. Sul sagrato si stavano ancora scambiando i saluti, come ogni domenica quando c’è stata l’esplosione. È venuto l’inferno sulla terra ». Risponde sconsolato, fatica a trovare le parole monsignor Jshlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad. Da anni tiene i rapporti con la stampa per la comunità caldea, anni in cui gli è toccato di commentare i momenti di persecuzione contro la sua minoranza come i passaggi che lasciavano intravvedere una schiarita, uno spiraglio verso la normalità.
Il colpo di domenica sera è arrivato a pochi metri da lui, l’autobomba lo ha sfiorato e ha ucciso quattro persone della sua comunità, due giovani che conosceva bene: fra i feriti anche due elementi del coro e due diaconi. Un martirio, come quello dell’arcivescovo di Mosul monsignor Paulos Faraj Rahho ucciso nel marzo dell’anno scorso. «La situazione è seria l’attacco alle chiese è stato portato in contemporanea ed è un fatto premeditato, organizzato, non è frutto del caso. I danni passano, ma la vita di due giovani che erano appena usciti da Messa e avevano pregato per la pace… questo è ciò che mi rattrista maggiormente», commenta amaro il presule iracheno.
Lei era al corrente degli attacchi nelle altre chiese?
Sapevo solo di quella di San Giuseppe, colpita sabato sera, e dell’attacco verso le 16 e trenta alla chiesa di San Giorgio.
Chi pensate sia stato. Qual è il tremendo messaggio dietro a questa serie di attacchi contro le vostre chiese? Solo pochi giorni fa lei commentava il ritiro dei soldati americani sperando che fosse un passo verso la riconciliazione nazionale. Perché invece vi hanno colpito?
Non lo sappiamo: anche noi ci domandiamo le stesso. Non ci sono motivazioni per noi evidenti: i cristiani sono pacifici, cercano di costruire questo Paese con lealtà e fiducia. I cristiani operano bene con tutti quelli che avvicinano. Anche noi cristiani ci chiediamo il perché. È come una guerra, ma almeno in guerra sapete chi dovete affrontare. Qui non lo sappiamo. Perché ci hanno colpito? Continuiamo a chiederlo.
Nessun legame con il prossimo referendum costituzionale in Kurdistan?
Non saprei. C’è questo apetto, come il fanatismo religioso, c’è la rivalità fra le etnie. Non so cosa dire.
Per monsignor Philip Najim, procuratore della Chiesa caldea presso la Santa Sede, non si tratta di episodi legati alla resistenza », ma azioni di «forze oscure esterne al Paese». Conferma questa impressione?
Sono atti contro Dio, perché Dio non vuole distruggere la vita dell’uomo. L’uomo vuole vivere con serenità e con gioia questa vita e il Paese vuole essere unito nella ricostruzione. Ma questi attacchi lo fanno indietreggiare. Qualsiasi sia la motivazione degli attentatori è certo un atto di inciviltà, un gesto di persone prive di coscienza.
Voi cristiani cosa farete. Ricomincerà l’esodo come lo scorso anno, la fuga all’estero?
Potrebbe essere. Fra i cristiani si respira un clima di sfiducia, negativo. Non è facile rimanere dopo che hanno colpito sette, otto chiese in una sola domenica. Non è facile... Cosa posso dire adesso alla gente, venite in chiesa? Mi risponderannno.
vuoi che ci ammazzano.
Il governo vi ha assicurato maggiore protezione?
Adesso ci sono più agenti, ma ci vorrebbe un fondamentale cambiamento per la pace e per la sicurezza: se non c’è una riconciliazione fra tutte le parti, per ricostruire il Paese le cose non andranno bene. Con la speranza si va avanti: ma non è facile.
Cosa può aiutarvi. Cosa chiede a noi cristiani in Occidente?
Di avere una coscienza chiara che un mondo senza Dio va sempre peggio. Noi cristiani possiamo andare avanti con l’aiuto di Cristo, con la convinzione che chi può mandare avanti il mondo con serenità è solo l’unico di Dio. Questo chiediamo a Dio, pregate per noi.
Luca Geronico
«Ora come potrò dire alla gente: venite in chiesa?
Si va avanti con la speranza, ma non è facile»