Nella rassegna stampa di oggi:
1) 26/07/2009 11:50 – vaticano - Papa: pregate a siate grati a tutti i nonni del mondo - Ultima domenica in Valle d’Aosta per il Papa, che il 29 andrà a Castel Gandolfo. L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci fa pensare a come possiamo dare il nostro aiuto a Gesù. Il polso fratturato sta guarendo, come evidenziato da un esame condotto ieri.
2) Benedetto XVI: la misericordia è il “vero potere” di Dio - Nel presiedere i Vespri nella Cattedrale di Aosta - di Mirko Testa
3) Il male che non voglio - Pigi Colognesi venerdì 24 luglio 2009 – ilsussidiario.net
4) FILOSOFIA/ Anselmo d’Aosta e la semplice genialità del pensiero medievale - Redazione venerdì 24 luglio 2009 – ilsussidiario.net
5) APPROVATA DAL PARLAMENTO ITALIANO LA MORATORIA SULL'ABORTO; MA IL DIRITTO DI NON ABORTIRE OSCURA LA QUESTIONE CENTRALE - di Mario Palmaro
6) Renzo Puccetti, L'uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU486, pp. 160, Euro 12, Società Editrice Fiorentina, 2009, ISBN: 978-88-6032-068-1
7) SANTANDER, venerdì, 24 luglio 2009 (ZENIT.org).- Padre Isidro Hoyos, sacerdote che esercita il suo ministero a Cuba e amico del presbitero ucciso pochi giorni fa in questo Paese, di nome padre Mariano Arroyo, ha rivelato che le ultime parole del sacerdote prima di morire, secondo quanto confessato dal suo presunto assassino, sono state “Ti perdono”.
26/07/2009 11:50 – vaticano - Papa: pregate a siate grati a tutti i nonni del mondo - Ultima domenica in Valle d’Aosta per il Papa, che il 29 andrà a Castel Gandolfo. L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci fa pensare a come possiamo dare il nostro aiuto a Gesù. Il polso fratturato sta guarendo, come evidenziato da un esame condotto ieri.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Pregate per “tutti i nonni del mondo”, che sono testimoni dei valori fondamentali e hanno un ruolo formativo importante per i giovani, specialmente nella realtà di oggi. E’ la raccomandazione che Benedetto XVI ha rivolto ad alcune migliaia di ppersone festosamente riunite nel prato antistante alla villetta di Les Combes, che fino a mercoledì prossimo, 29 luglio, accoglie il Papa per un breve periodo di riposo.
Al riposo ha fatto cenno anche lo stesso Benedetto XVI che si è rivolto ai presenti con un “buona domenica a voi tutti! Ci incontriamo qui a Les Combes – ha aggiunto - presso l’accogliente casa che i Salesiani mettono a disposizione del Papa, dove vado terminando il periodo di riposo fra le belle montagne della Valle d’Aosta. Sono grato a Dio che mi ha concesso la gioia di queste giornate tra queste vostre belle montagagne, segnate da vera distensione – malgrado il piccolo infortunio a voi ben noto e visibile”. Il Papa ha anche scherzosamente sollevato il braccio con il polso fratturato. La cui guarigione procede regolarmente, come ha accertato un esame radioscopico compiuto ieri mattina.
Prendendo spunto dal Vangelo di oggi, “in questa splendida domenica dove il Signore ci mostra tutta la bellezza della sua creazione”, Benedetto XVI ha sottolineato in particolare due passaggi. Il primo, quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Giovanni narrando il "segno" dei pani, “sottolinea che Cristo, prima di distribuirli, li benedisse con una preghiera di ringraziamento (cfr v. 11). Il verbo è eucharistein, e rimanda direttamente al racconto dell’Ultima Cena, nel quale, in effetti, Giovanni non riferisce l’istituzione dell’Eucaristia, bensì la lavanda dei piedi. L’Eucaristia è qui come anticipata nel grande segno del pane della vita. In questo Anno Sacerdotale, come non ricordare che specialmente noi sacerdoti possiamo rispecchiarci in questo testo giovanneo, immedesimandoci negli Apostoli, là dove dicono: Dove potremo trovare il pane per tutta questa gente? E leggendo di quell’anonimo ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, anche a noi viene spontaneo dire: Ma che cos’è questo per una tale moltitudine? In altre parole: che sono io? Come posso, con i miei limiti, aiutare Gesù nella sua missione? E la risposta la dà il Signore: proprio mettendo nelle sue mani ‘sante e venerabili’ il poco che essi sono, i sacerdoti diventano strumenti di salvezza per tanti, per tutti!”.
“Un secondo spunto di riflessione ci viene dall’odierna memoria dei santi Gioacchino e Anna, genitori della Madonna e, dunque, nonni di Gesù. Questa ricorrenza fa pensare al tema dell’educazione, che ha un posto tanto importante nella pastorale della Chiesa. In particolare, ci invita a pregare per i nonni, che nella famiglia sono i depositari e spesso i testimoni dei valori fondamentali della vita. Il compito educativo dei nonni è sempre molto importante, e ancora di più lo diventa quando, per diverse ragioni, i genitori non sono in grado di assicurare un’adeguata presenza accanto ai figli, nell’età della crescita. Affido alla protezione di sant’Anna e san Gioacchino tutti i nonni del mondo, indirizzando ad essi una speciale benedizione. La Vergine Maria, che – secondo una bella iconografia – imparò a leggere le Sacre Scritture sulle ginocchia della madre Anna, li aiuti ad alimentare sempre la fede e la speranza alle fonti della Parola di Dio”. E ha concluso con una “speciale benedizione per tutti i nonni del mondo”, aggiungendo, al momento del commiato, con un pensiero “a tutti gli anziani specialmente a quelli che potessero trovarsi piu soli e in difficoltà”.
.
Al momento dei saluti, in francese ha infine raccomandato: “non dmenticate Dio durante le vostre vacanze, perché egli resta presente al vostro fianco e vi accompagna”.
Benedetto XVI: la misericordia è il “vero potere” di Dio - Nel presiedere i Vespri nella Cattedrale di Aosta - di Mirko Testa
AOSTA, venerdì, 24 luglio 2009 (ZENIT.org).- A un mondo dominato dall'ingiustizia, assetato di amore e abituato a misurare il potere sul possesso e la forza, Dio ha mostrato il suo volto di misericordia, sacrificando suo Figlio sulla Croce.
E' quanto ha detto il Papa nel presiedere questo venerdì pomeriggio la celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Aosta, dedicata a Maria Assunta, alla presenza di circa 400 persone in rappresentanza dei sacerdoti, religiosi e laici di tutta la comunità diocesana.
L'incontro si inseriva nella cornice delle celebrazioni per il 90° centenario della morte di Sant’Anselmo d'Aosta (1033-1109), da molti indicato come il “padre della scolastica” e conosciuto anche come “Dottore Magnifico”, che fu monaco benedettino, filosofo e teologo, Abate del monastero di Bec, in Normandia, e alla fine Arcivescovo di Canterbury.
Le celebrazioni per l’Anno Anselmiano hanno avuto il loro culmine il 21 aprile corso, in questa stessa cattedrale, in occasione dell'inaugurazione del Cenotafio di Sant'Anselmo e con la Messa presieduta dal Cardinale Giacomo Biffi, inviato speciale del Santo Padre per le celebrazioni.
Nel suo indirizzo di saluto, il Vescovo di Aosta, mons. Giuseppe Anfossi, ha ricordato la storia di questa antica cattedrale, la cui presenza, in base alle indagini archeologiche, si fa risalire alla fine del IV sec., anche se le iscrizioni funerarie informano dell'esistenza, già da prima, di un antico polo religioso cristiano che ruotava attorno a una abitazione privata destinata al culto e databile intorno al II sec.
Partendo da questo riferimento storico, il Vescovo è quindi ritornato ai giorni nostri, esprimendo la sua preoccupazione per la situazione presente delle “nostre famiglie” che “soffrono molto”.
“Voglio sperare – ha quindi detto – che questa sofferenza […] possa nel tempo che viene rigenerare questa bellissima comunità, piccola chiesa, o meglio chiesa domestica, famiglia fondata sul matrimonio” e “possa riguadagnare la bellezza a cui Cristo, Nostro Signore, l'ha chiamata”.
Dopo la preghiera dei Vespri, Benedetto XVI ha quindi preso la parola per pronunciare una omelia a braccio, incentrata su alcuni passaggi della Lettera di San Paolo ai Romani, e nella quale ha sottolineato il carattere fondamentale del rapporto tra l'uomo e Dio.
“Se Dio manca, se si prescinde da Dio, se Dio è assente – ha infatti avvertito – manca la bussola per mostrare l'insieme di tutte le relazioni, per trovare la strada, l'orientamento dove andare”.
Tuttavia di fronte a un Dio che “sembra assente, molto lontano”, che “non sembra entrare nella nostra vita quotidiana”, è il mistero della Croce che interviene a rendercelo vicino: “Questo conosciuto-sconosciuto adesso realmente si fa conoscere, mostra il suo volto, si rivela, il velo sul volto scompare”.
Oggi tuttavia, ha osservato il Papa, si avverte anche un'altra paura, la minaccia dell'onnipotenza, che “sembra limitare la nostra libertà, sembra un peso troppo forte”. Al contrario, ha spiegato, “dobbiamo imparare che l'onnipotenza di Dio non è un potere arbitrario, perché Dio è il bene, è la verità e perciò Dio può tutto ma non può agire contro il bene, non può agire contro la verità, non può agire contro l'amore e contro la libertà”.
“Questo occhio che ci vede non è un occhio cattivo che ci sorveglia – ha continuato –, ma è la presenza di un'amore che non ci abbandona mai e ci dona la certezza che è bene essere è bene vivere”.
Infatti, a un concetto comunemente accettato di potere come corollario del denaro o della forza militare, Dio oppone il “potere di grazia e misericordia”.
“Dio ha sofferto e nel Figlio soffre con noi e questo è l'ultimo apice del suo potere: che è capace di soffrire con noi. Così dimostra il vero potere divino”, ha detto Benedetto XVI.
E a chi domanda “perché era necessario soffrire per salvare il mondo”, il Papa risponde che “nel mondo esiste un oceano di male, di ingiustizia, di odio, di violenza, e le tante vittime dell'odio, dell'ingiustizia, hanno diritto che sia fatta giustizia”.
“Dio non può ignorare questo grido dei sofferenti, che sono oppressi dall'ingiustizia – ha continuato –. Perdonare non è ignorare ma trasformare. E Dio deve entrare in questo mondo e opporre all'oceano dell'ingiustizia un oceano più grande del bene e dell'amore”.
Ma con il sacrificio del Figlio sulla Croce Dio ci ha voluti anche invitare “a uscire dall'oceano del male, dell'odio, della violenza, dell'egoismo”, per “entrare nel fiume del suo amore” e divenire, come ricordava San Paolo nel cap. 12 della sua Lettera ai Romani, “un sacrificio vivente” per “trasformare così il mondo”.
Nell'Anno sacerdotale appena iniziato, il Papa ha accennato brevemente al compito del sacerdote chiamato a “consacrare il mondo perché diventi 'ostia vivente', perché il mondo diventi liturgia”, e ad essere al contempo “annuncio di Dio”, “porta attraverso la quale il Dio lontano diventa Dio vicino”.
Infatti, ha detto il Papa, la nostra umanità affamata non solo di pane, ma anche di giustizia e di amore ha bisogno di conoscere Dio. “Sazia la fame nostra con la verità del tuo amore”, ha concluso con una invocazione il Pontefice.
Al termine della liturgia, Benedetto XVI si è fermato sul sagrato della Cattedrale per salutare i fedeli assiepati all'esterno.
“Grazie per questa vostra accoglienza, per l’affetto e per la simpatia. Auguro a tutti voi un tempo buono, anche buone vacanze, come anch’io sono in vacanza...ma senza incidenti per voi”, ha detto scherzando.
Prima di far ritorno a Les Combes, il Pontefice si è quindi fermato a Introd per un breve incontro con gli ospiti della locale Casa di riposo.
Il male che non voglio - Pigi Colognesi venerdì 24 luglio 2009 – ilsussidiario.net
La tesi recentemente espressa da Umberto Veronesi in un articolo intitolato “Predestinati alla bontà, dai nostri geni” si può riassumere pressappoco così: «L’uomo è buono per natura». Non si tratta di una posizione inedita; l’ottimismo rinascimentale, per voce di François Rabelais, affermava già: «Fa ciò che vuoi, perché per natura l’uomo è spinto ad atti virtuosi». Ora ci si basa su ricerche genetiche e su indagini sofisticate, ma l’idea di fondo resta la medesima.
Già ieri su queste stesse pagine sono stati lucidamente evidenziati limiti e forzature di una simile impostazione e delle conclusioni cui giunge. A me interessa riportare la questione ad un livello ancora più elementare: il paragone di quella tesi con quello che mi succede.
È vero che in me c’è la propensione a fare il bene e non c’è dubbio che io trovi in esso soddisfazione. Ma non posso non constatare che in me c’è anche una strana ombra che sceglie il male o per lo meno si disinteressa del bene che pure riconosce. Senza stare a scomodare delitti o tragedie, chi di noi non ha sperimentato il prevalere di un’invidia, l’aspro gusto di ferire un altro, la codardia davanti a una cosa buona che si reputa giusto fare, ma da cui si fugge?
Più realistica della presunta “predestinazione alla bontà” dovuta ai nostri geni è la constatazione che a fianco del desiderio del bene c’è - accovacciata alla porta dell’io come un cane rabbioso dice la Bibbia - l’oscura suggestione del male. La Chiesa cattolica la chiama “peccato originale”. Esso non distrugge completamente la nostra bontà originaria, ma la rende esistenzialmente impraticabile.
Si genera così quel dramma che, pur giocandosi nelle scelte più minute e quotidiane, non è però meno grandioso e avvincente. Il dramma che san Paolo ha raccontato nella lettera i Romani con queste parole: «Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio». Non c’è dubbio: una frase così spiega molto di più ciò che mi capita ogni giorno di quanto facciano le pretese giustificazioni genetiche della mia esclusiva propensione alla bontà.
San Paolo conclude: «Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?». Forse si evita di guardare in faccia al male che è in noi perché saremmo costretti a chiedere un liberatore? Forse le discussioni sui geni che ci predestinerebbero alla bontà non sono che l’ennesima forma di un’autosufficienza immotivata e insostenibile? Che ha gravi esiti anche in campo sociale, come ha ricordato Benedetto XVI nella Caritas in veritate: «Talvolta l’uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società. È questa presunzione che discende dal peccato delle origini. La sapienza della Chiesa ha sempre proposto di tenere presente il peccato originale anche nell’interpretazione dei fatti sociali e nella costruzione della società».
FILOSOFIA/ Anselmo d’Aosta e la semplice genialità del pensiero medievale - Redazione venerdì 24 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Il fascino del Medioevo, spesso considerato un momento lontano e sterile della storia dell’umanità, o apparentemente senza legami con il mondo moderno, di cui ne fu invece una lenta e profonda preparazione, passa senza dubbio anche attraverso alcune figure e testimonianze chiave che hanno illuminato gli ingiustamente definiti secoli bui.
E quella di Anselmo d’Aosta, monaco e abate di Le Bec e arcivescovo di Canterbury, è senza dubbio una fra le personalità medioevali più significative, poliedriche e affascinanti.
Un’opportunità per la sua riscoperta viene dalla ricorrenza proprio in quest’anno del nono centenario della sua morte, occasione di varie celebrazioni nella provincia che vide i suoi natali (oggi stesso Benedetto XVI renderà omaggio al Santo nella Cattedrale di Aosta) e della pubblicazione delle sue Opere curate tra gli altri da Inos Biffi e Costante Marabelli presso Jaca Book, con il patrocinio della Regione Autonoma Valle d’Aosta.
Grande pensatore e uomo di fede, Anselmo è al tempo stesso una figura accessibile e semplice: nel racconto della sua vita, il monaco Eadmero delinea il profilo di una persona vicina; ricorda la terra nella quale è nato (nel 1033), il suo forte amore per le montagne, i suoi sogni, il rapporto con la famiglia (tenero con la madre, aspro con il padre), l’allontanamento da casa, la ricerca della propria via e di un maestro, la difficoltà a conciliare la ricerca del successo e la dedizione – che in lui prenderà corpo nella forma monastica – a Cristo e alla Chiesa.
Grazie alle sue composizioni, ha lasciato una nobile impronta nella storia del pensiero occidentale, scrivendo con la disinvoltura propria di chi possiede genio teologico e capacità di uno sguardo sintetico sul fatto cristiano, fino «ai vertici della “speculazione”» (De Libera), fino a preparare la strada alla fioritura teologica del XII secolo.
Nelle sue opere filosofiche e teologiche ha saputo indagare l’uomo e comprendere il mistero attraverso i suoi “temi” maggiori: la creazione, la caduta, la redenzione, la predestinazione, la libertà, la rettitudine, il bene e il male, fino alla ben nota formulazione di una prova originale e sintetica dell’esistenza di Dio.
Ecco così nascere il trattato di dialettica, il De Grammatico, il De veritate e il De libertate arbitrii; e ancora, il Monologion, il Proslogion e il Cur Deus homo: si potrebbe dire che non esiste nucleo teologico o antropologico fondamentale che da Anselmo non sia stato affrontato.
Eppure l’Anselmo speculatore è lo stesso conosciuto, incontrato quotidianamente e amato dai suoi monaci, che nella sua lunga permanenza a Le Bec (per trentatré anni, dal 1060 al 1093) ha saputo accompagnare e educare anche attraverso le numerose similitudini e parabole trasmesse; che ha saputo convincere, attrarre a sé e condurre a Cristo molti nuovi monaci, dei quali anche da arcivescovo non cancellerà il ricordo, e che saranno destinatari di molte delle sue lettere.
Tutto questo non deve far pensare ad una santità o ad un monachesimo sottratto al conflitto con il mondo, segnato solo da un disincarnato e facile distacco: pur accettato controvoglia, l’episcopato di Canterbury volle dire, per il Dottore Magnifico, una dolorosa responsabilità. Tanto da essere costretto, per salvare la libertà della Chiesa, a due esili, che lo allontanarono dalla diocesi per sei dei suoi sedici anni di episcopato.
Si tratta in sintesi di una testimonianza di vita cristiana irriducibile ad una semplice popolarità, o alla sola sensibilità o capacità comunicativa. È l’esito, i cui riflessi sono ad oggi ancora visibili, di una lunga, nascosta e silenziosa preparazione.
(Stefano Maria Malaspina)
APPROVATA DAL PARLAMENTO ITALIANO LA MORATORIA SULL'ABORTO; MA IL DIRITTO DI NON ABORTIRE OSCURA LA QUESTIONE CENTRALE - di Mario Palmaro
Il Parlamento italiano è diventato “antiabortista”? A leggere i giornali in questi giorni ci sarebbe quasi da crederlo: dopo il voto sulla Mozione Buttiglione, non pochi ambienti “pro life” cantano vittoria, parlano di “inversione di tendenza” e, soprattutto, di “scelta per la vita”. Ma quando si parla di “scelta” si è già traslocato armi e bagagli nel campo dell’abortismo. Che ritiene l’aborto una questione di scelta, una faccenda della donna (che non può essere obbligata a partorire), un diritto dell’adulto a disporre liberamente della vita dei non nati. Questo è il nocciolo duro dell’abortismo, e contro questo nocciolo duro un’autentica cultura per la vita deve battersi. Sempre.
Il voto del Parlamento italiano non scalfisce nemmeno con un graffio questo bunker di idee sbagliate intorno all’aborto. Anzi: implicitamente le accetta e le assume come piattaforma comune di dialogo e di confronto. E’ come se dicesse: premesso che l’aborto è un diritto della donna, vediamo di non farlo diventare un dovere per nessuno. Il Parlamento italiano ha votato a maggioranza una mozione che dice una cosa semplice: nessuno Stato, nessun governo, deve obbligare per decreto le donne ad abortire. Tutto qui. E’ ovviamente una decisione importante con riferimento a quei Paesi nei quali da tempo si attuano politiche antinataliste e antidemografiche, anche usando l’aborto come strumento per impedire alla popolazione di aumentare. In questo senso, il voto dell’altro giorno è un punto messo a segno contro la cultura della morte.
E’ altrettanto evidente che la mozione uscita vincente era “migliore” della proposta proveniente dal centro sinistra, che faceva leva come al solito sul mito della contraccezione (spesso abortiva) come panacea di tutti i mali del mondo.
Vogliamo dunque dire che il voto sulla Mozione Buttiglione è un fatto politico importante? E diciamolo pure. Ma non trasformiamo l’acqua gasata in champagne. C’è altrimenti il rischio di perdere la bussola, di smarrire il senso del proprio impegno civile, e di fare così il gioco di quella cultura di morte che si vuole sinceramente combattere.
Il senso di questo voto può trasformarsi addirittura in un colossale autogol, se l’orizzonte del dibattito e dei commenti conferma una inesorabile deriva che Verità e Vita ha segnalato da tempo, e che – purtroppo – si va aggravando di giorno in giorno: e cioè l’idea che il diritto di aborto sia indiscutibile, e che si possa soltanto garantire la “libertà della donna di non abortire”. Magari con adeguati aiuti economici.
La natura paradossale di questa posizione si comprende meglio se la si applica, poniamo, al tema dell’eutanasia: se il Parlamento italiano avesse votato una mozione “contro l’eutanasia obbligatoria, fermo restando il diritto del malato a ottenerla liberamente”, questa sarebbe giudicata una decisione “contro l’eutanasia e per la vita”? Se il Congresso degli Stati Uniti votasse una legge che impone l’uso della “dolce morte” in luogo della sedia elettrica per i colpevoli di efferati delitti, qui in Italia parleremmo di “superamento della pena capitale”?
Anche il Magistero della Chiesa è, su questo punto, chiarissimo. E lo vogliamo ribadire, perché non vorremmo che qualcuno, fra qualche tempo, anche in casa cattolica, ci venisse a dire che “l’importante è che la donna possa scegliere se abortire in piena libertà e disponendo di adeguati aiuti economici.” Nella Evangelium Vitae Giovanni Paolo II denuncia i “potenti della terra” che impongono “con qualsiasi mezzo una massiccia pianificazione delle nascite” (EV, n. 16). Ma subito dopo, chiarisce che il male dell’aborto non sta tanto nell’essere imposto dalle autorità, quanto nel fatto che le democrazie liberali ne hanno fatto un diritto garantito dalle leggi (EV. n. 20, n. 68, 69, 70, 71, 72, 73), avviandosi così sulla strada di un totalitarismo di nuovo tipo. E sempre Giovanni Paolo II ribadisce che “la gravità morale dell'aborto procurato appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un omicidio» (EV, n. 58).
Il livello di libertà di decisione della donna incide sulla sua responsabilità, ma non muta un delitto in diritto. Rivendicare il diritto all'aborto, all'infanticidio, all'eutanasia e riconoscerlo legalmente, equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questa è la morte della vera libertà” (EV 20)
Come hanno ricordato in un loro coraggioso comunicato gli amici di “Due minuti per la vita”, "la realtà dell'aborto non muta laddove sia la madre a sceglierlo liberamente e ne deriva che anche in questo caso dovrà essere condannato. La moralità di un atto umano si valuta, infatti, in primo luogo con riferimento all'oggetto di tale atto e nel caso dell'aborto volontario non si può omettere di ricordare che esso consiste sempre nell'omicidio di una persona innocente ed indifesa, pratica disumana che mai dovrebbe essere lecita in un paese civile. Questa la realtà da cui partire, questa la verità da riaffermare".
L’abortismo è capovolgimento della realtà: se si sposano le sue promesse, si cammina a testa in giù. C’è un fatto fisiologico: il concepimento di un nuovo essere umano, la gravidanza, e la nascita di un figlio. E c’è un atto – non un fatto fisiologico - che l’uomo può compiere: sopprimere quel figlio prima che nasca. Compito del diritto è difendere quell’indifeso, dicendo proprio che partorire è doveroso, in quanto l’alternativa (abortire) è un delitto contro la vita.
files.splinder.com/0e2e0ca5e81836b71b8c96d600a57495.doc
Renzo Puccetti, L'uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU486, pp. 160, Euro 12, Società Editrice Fiorentina, 2009, ISBN: 978-88-6032-068-1
Ho conosciuto una ragazza che aveva abortito in una clinica nella zona di Regent’s Park, dove mentre abortisci ti portano fiori e champagne. Quella ragazza era stata trattata da regina tanto da uscirsene dicendo: ‘Quando potrò averne un altro?’”. Così scriveva nel 2006 sul “Guardian” una femminista storica, Mary Kelly: un segno della noncuranza con cui ormai si trattano – e non solo a Londra – le vite umane uccise con l’aborto. Lo si apprende (a p. 58) leggendo il libro di Renzo Puccetti, medico specializzato in Medicina Interna impegnato nell’associazione Scienza & Vita, pubblicato dalla Società Editrice Fiorentina (Firenze 2008) con il titolo “L’uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU 486”.
Per fortuna i sostenitori della vita hanno a disposizione sull’aborto e la contraccezione una letteratura ormai importante anche in lingua italiana, non solo dal punto di vista etico ma anche da quello medico. Tuttavia, se dovessi raccomandare un singolo libro che spieghi perché gli argomenti degli abortisti e dei sostenitori della contraccezione sono quasi sempre falsi sul piano dei fatti prima ancora che dei principi, consiglierei di leggere proprio questo. Hanno ragione Carlo Casini e Maria Luisa Di Pietro, che firmano rispettivamente la prefazione e la presentazione: ponendosi sul piano del rigore scientifico, il testo non è sempre facilissimo, e il lettore deve sopportare anche qualche formula matematica. Ma l’autore, medico, dimostra una straordinaria sensibilità nel campo della sociologia, quello dove – come insegna nelle sue lezioni il mio maestro e amico Rodney Stark – “chi non conta non conta”, cioè chi non è capace di far di conto leggendo le statistiche diventa poi irrilevante quando espone le sue conclusioni.
Inesorabilmente, Puccetti invece conta, e smentisce laicamente – con il semplice richiamo ai dati e ai fatti – tutta una serie di miti abortisti. L’aborto, si dice anzitutto, è cosa sostanzialmente diversa dall’infanticidio per cui non si dovrebbero usare parole politicamente scorrette come “uccidere”. Falso, risponde Puccetti citando affermazioni d’illustri sostenitori dell’aborto che chiedono anche l’infanticidio legale per chi nasce malformato. “Possiamo abortire se ci sono serie anomalie fetali fino al termine della gravidanza – si lamenta il professor John Harris, che insegna bioetica all’Università di Manchester – ma non possiamo uccidere un neonato. La gente cosa crede sia successo nell’uscita dal canale del parto, per giustificare l’uccisione del feto ad un estremità del canale del parto, ma non ad un’altra?”(p. 31).
Si abortisce per ragioni di salute o per gravi problemi economici, si aggiunge. Falso anche questo:statisticamente la prima ragione per abortire è il “non sentirsi pronta ad avere un bambino” (p. 46), a prescindere da ogni aspetto economico. Negli Stati Uniti e in Italia ci sono più aborti negli Stati e nelle regioni dove il reddito è più alto (pp. 47-48), a conferma della tesi generale di Puccetti secondo cui la prima causa dell’aborto è la mentalità abortista.
E, dal momento che la diffusione della contraccezione non frena ma anzi stimola la mentalità che considera la gravidanza una sorta di malattia, è falso anche il mantra tante volte ripetuto secondo cui diffondendo la contraccezione si ostacola l’aborto. È questa la parte più importante – e più tecnica – del libro di Puccetti, che accumula dati e li organizza secondo un modello matematico il cui risultato è senza equivoci: più si diffonde la contraccezione, più crescono gli aborti.
Ancora, si dice che la contraccezione d’emergenza (la cosiddetta “pillola del giorno dopo”) è un’efficace alternativa all’aborto. Falsi, incalza Puccetti, i dati sulle sue percentuali di successo, false le informazioni spesso fornite alle pazienti sul modo in cui opera e gli effetti collaterali, e falsa la tesi di fondo: anche la massiccia diffusione della contraccezione d’emergenza è accompagnata non da una diminuzione ma da un aumento degli aborti. In Scozia è stato condotto “il più vasto studio mai realizzato” (p. 73) nella contea di Lothian, dove a oltre 22.000 donne in età fertile è stata data la possibilità di tenersi in casa, pronte all’uso, cinque confezioni di pillola del giorno dopo. Comprensibilmente, in questo campione il numero di donne che usa queste pillole è salito: dal due al dieci per cento. Ma non c’è stata “nessuna riduzione del tasso di abortività” (p. 74): un risultato per cui i ricercatori – che erano partiti dall’ipotesi contraria – “non sono stati in grado di fornire una spiegazione” (ibidem). Naturalmente la spiegazione per Puccetti c’è: più si diffonde la contraccezione di ogni ordine e grado, più dilaga una mentalità ostile alla gravidanza che – quando la contraccezione per qualunque ragione fallisce – considera “normale” passare all’aborto.
Falsi – ma questo lo sapevamo da anni – i dati sugli aborti clandestini che ci sarebbero stati in Italia e altrove prima dell’introduzione delle leggi abortiste: pura propaganda politica, talora ridicola. Falsa la tesi cara all’onorevole Livia Turco secondo cui le leggi che legalizzano gli aborti li fanno diminuire: è il contrario, aumentano. Falsa perfino – e questa sarà una sorpresa per qualcuno – la tesi secondo cui almeno l’aborto legale negli ospedali fa diminuire i rischi di morire in seguito all’aborto clandestino praticato da mammane e medici radiati dagli albi. È vero, l’aborto clandestino è pericoloso: tra le donne che nel mondo muoiono nel periodo della gravidanza o immediatamente dopo il 13% decede a causa di un “aborto non sicuro”, o così dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma le cose non vanno molto meglio con l’aborto legale. A Cuba, paradiso degli aborti legali secondo una certa propaganda, il tasso di mortalità materna dovuto ad aborto legale è del 14,8% (p. 100). Ci sono sia percentualmente sia in cifra assoluta più donne morte per aborto legale a Cuba che per aborto clandestino a Malta (dove l’aborto è vietato: p. 101). Inoltre, chi ci dice che abortire è più o meno come farsi estrarre un dente dovrebbe riflettere sul fatto che tra le donne che muoiono dopo un aborto legale ce n’è un numero non insignificante che si suicida (quante si suicidano dopo aver perso un dente?).
Puccetti è specialista della questione della RU 486, la pillola che induce l’aborto farmacologico, presentato come più sicuro e meno doloroso dell’aborto chirurgico. La tesi è stata sostenuta anche in documenti ufficiali del governo Prodi, a proposito dei quali un’interpretazione benevola potrebbe sostenere che ignorano i dati scientifici più recenti. Questi sono ora disponibili, e ancora una volta del tutto chiari per chi sa contare: la stragrande maggioranza delle donne che ne ha avuto esperienza considera l’aborto farmacologico più doloroso, e i dati dimostrano che è anche meno sicuro.
Dopo la desolante cronaca di una giornata a un congresso di medici abortisti, Puccetti conclude che il problema non è solo né soprattutto medico ma è morale e politico. Oggi “la questione sociale – afferma Benedetto XVI al n. 75 dell’enciclica “Caritas in Veritate”, proprio con riferimento agli attacchi alla vita – è diventata radicalmente questione antropologica”. È vero anche il reciproco: la questione antropologica è diventata radicalmente questione sociale e politica. Il libro di Puccetti lo dimostra. Non si uscirà dal dramma antropologico dell’aborto con soluzioni tecniche, ma solo con una presa di coscienza del fatto che l’aborto è la tappa ultima di un processo rivoluzionario che, avendo negato i diritti di Dio, non è capace di capire e di rispettare neppure i veri diritti dell’uomo.
Massimo Introvigne
Le ultime parole del sacerdote ucciso a Cuba: “Ti perdono”
Lo ha confessato il presunto assassino
SANTANDER, venerdì, 24 luglio 2009 (ZENIT.org).- Padre Isidro Hoyos, sacerdote che esercita il suo ministero a Cuba e amico del presbitero ucciso pochi giorni fa in questo Paese, di nome padre Mariano Arroyo, ha rivelato che le ultime parole del sacerdote prima di morire, secondo quanto confessato dal suo presunto assassino, sono state “Ti perdono”.
Padre Hoyos lo ha affermato in un'intervista concessa al "Diario Montañés" di Santander (Spagna), località in cui si trova per un periodo di riposo. Il 13 luglio scorso, la polizia cubana ha rinvenuto all'Avana il cadavere di padre Arroyo nella sua casa. Era stato pugnalato e presentava bruciature su alcune parti del corpo. Appena quattro mesi prima, un altro sacerdote compagno di entrambi, Eduardo de la Fuente, era stato ucciso nella stessa città.
Padre Hoyos si è recato a Cuba spinto da padre Arroyo nel 2000, e svolge il suo apostolato in una “città-dormitorio” di 100.000 abitanti in cui la sua è l'unica parrocchia. “E' una casetta con un cortile, un granello di sabbia. Di domenica ci sono le celebrazioni, alle quali assistono circa 300 persone. E' poco, ma prima non c'era nulla”.
Per lui non è difficile essere sacerdote all'Avana: “La gente ti tratta molto bene. Non ero abituato all'adorazione della figura del sacerdote. I cubani hanno una grande reverenza nei confronti del sacro”.
Il presbitero è d'accordo sul fatto che la morte di padre Arroyo e quella di padre de la Fuente non siano collegate, e che l'ultimo assassinio sia stato provocato da un tentativo di furto.
“Mariano aveva una cassaforte grande, ma non vi teneva molte cose di valore, solo una corona della Madonna che aveva un valore più sentimentale che monetario. Era molto vecchia. Se c'era del denaro non doveva essere molto. Mariano aveva appena fatto dei lavori nella parrocchia perché era in pessime condizioni. E se aveva del denaro proveniente da donazioni non lo teneva in casa, ma nel Vescovado”.
I due arrestati per la morte dei sacerdoti hanno confessato i delitti. “Quello che ha ucciso Mariano ha rivelato che le sue ultime parole sono state: 'Ti perdono'”, ha detto padre Hoyos.
“Era un uomo profondamente religioso – ha aggiunto –. Era molto coerente, molto austero”.
Padre Hoyos tornerà all'Avana il 28 agosto e afferma di non aver paura: “Non credo che si tratti di una catena senza fine. Ho un impegno con quelle persone e lo rispetterò. Mi sembrerebbe una codardia non tornare. Non dico che sia necessario, ma sento il dovere di farlo”.
1) 26/07/2009 11:50 – vaticano - Papa: pregate a siate grati a tutti i nonni del mondo - Ultima domenica in Valle d’Aosta per il Papa, che il 29 andrà a Castel Gandolfo. L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci fa pensare a come possiamo dare il nostro aiuto a Gesù. Il polso fratturato sta guarendo, come evidenziato da un esame condotto ieri.
2) Benedetto XVI: la misericordia è il “vero potere” di Dio - Nel presiedere i Vespri nella Cattedrale di Aosta - di Mirko Testa
3) Il male che non voglio - Pigi Colognesi venerdì 24 luglio 2009 – ilsussidiario.net
4) FILOSOFIA/ Anselmo d’Aosta e la semplice genialità del pensiero medievale - Redazione venerdì 24 luglio 2009 – ilsussidiario.net
5) APPROVATA DAL PARLAMENTO ITALIANO LA MORATORIA SULL'ABORTO; MA IL DIRITTO DI NON ABORTIRE OSCURA LA QUESTIONE CENTRALE - di Mario Palmaro
6) Renzo Puccetti, L'uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU486, pp. 160, Euro 12, Società Editrice Fiorentina, 2009, ISBN: 978-88-6032-068-1
7) SANTANDER, venerdì, 24 luglio 2009 (ZENIT.org).- Padre Isidro Hoyos, sacerdote che esercita il suo ministero a Cuba e amico del presbitero ucciso pochi giorni fa in questo Paese, di nome padre Mariano Arroyo, ha rivelato che le ultime parole del sacerdote prima di morire, secondo quanto confessato dal suo presunto assassino, sono state “Ti perdono”.
26/07/2009 11:50 – vaticano - Papa: pregate a siate grati a tutti i nonni del mondo - Ultima domenica in Valle d’Aosta per il Papa, che il 29 andrà a Castel Gandolfo. L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci fa pensare a come possiamo dare il nostro aiuto a Gesù. Il polso fratturato sta guarendo, come evidenziato da un esame condotto ieri.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Pregate per “tutti i nonni del mondo”, che sono testimoni dei valori fondamentali e hanno un ruolo formativo importante per i giovani, specialmente nella realtà di oggi. E’ la raccomandazione che Benedetto XVI ha rivolto ad alcune migliaia di ppersone festosamente riunite nel prato antistante alla villetta di Les Combes, che fino a mercoledì prossimo, 29 luglio, accoglie il Papa per un breve periodo di riposo.
Al riposo ha fatto cenno anche lo stesso Benedetto XVI che si è rivolto ai presenti con un “buona domenica a voi tutti! Ci incontriamo qui a Les Combes – ha aggiunto - presso l’accogliente casa che i Salesiani mettono a disposizione del Papa, dove vado terminando il periodo di riposo fra le belle montagne della Valle d’Aosta. Sono grato a Dio che mi ha concesso la gioia di queste giornate tra queste vostre belle montagagne, segnate da vera distensione – malgrado il piccolo infortunio a voi ben noto e visibile”. Il Papa ha anche scherzosamente sollevato il braccio con il polso fratturato. La cui guarigione procede regolarmente, come ha accertato un esame radioscopico compiuto ieri mattina.
Prendendo spunto dal Vangelo di oggi, “in questa splendida domenica dove il Signore ci mostra tutta la bellezza della sua creazione”, Benedetto XVI ha sottolineato in particolare due passaggi. Il primo, quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Giovanni narrando il "segno" dei pani, “sottolinea che Cristo, prima di distribuirli, li benedisse con una preghiera di ringraziamento (cfr v. 11). Il verbo è eucharistein, e rimanda direttamente al racconto dell’Ultima Cena, nel quale, in effetti, Giovanni non riferisce l’istituzione dell’Eucaristia, bensì la lavanda dei piedi. L’Eucaristia è qui come anticipata nel grande segno del pane della vita. In questo Anno Sacerdotale, come non ricordare che specialmente noi sacerdoti possiamo rispecchiarci in questo testo giovanneo, immedesimandoci negli Apostoli, là dove dicono: Dove potremo trovare il pane per tutta questa gente? E leggendo di quell’anonimo ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, anche a noi viene spontaneo dire: Ma che cos’è questo per una tale moltitudine? In altre parole: che sono io? Come posso, con i miei limiti, aiutare Gesù nella sua missione? E la risposta la dà il Signore: proprio mettendo nelle sue mani ‘sante e venerabili’ il poco che essi sono, i sacerdoti diventano strumenti di salvezza per tanti, per tutti!”.
“Un secondo spunto di riflessione ci viene dall’odierna memoria dei santi Gioacchino e Anna, genitori della Madonna e, dunque, nonni di Gesù. Questa ricorrenza fa pensare al tema dell’educazione, che ha un posto tanto importante nella pastorale della Chiesa. In particolare, ci invita a pregare per i nonni, che nella famiglia sono i depositari e spesso i testimoni dei valori fondamentali della vita. Il compito educativo dei nonni è sempre molto importante, e ancora di più lo diventa quando, per diverse ragioni, i genitori non sono in grado di assicurare un’adeguata presenza accanto ai figli, nell’età della crescita. Affido alla protezione di sant’Anna e san Gioacchino tutti i nonni del mondo, indirizzando ad essi una speciale benedizione. La Vergine Maria, che – secondo una bella iconografia – imparò a leggere le Sacre Scritture sulle ginocchia della madre Anna, li aiuti ad alimentare sempre la fede e la speranza alle fonti della Parola di Dio”. E ha concluso con una “speciale benedizione per tutti i nonni del mondo”, aggiungendo, al momento del commiato, con un pensiero “a tutti gli anziani specialmente a quelli che potessero trovarsi piu soli e in difficoltà”.
.
Al momento dei saluti, in francese ha infine raccomandato: “non dmenticate Dio durante le vostre vacanze, perché egli resta presente al vostro fianco e vi accompagna”.
Benedetto XVI: la misericordia è il “vero potere” di Dio - Nel presiedere i Vespri nella Cattedrale di Aosta - di Mirko Testa
AOSTA, venerdì, 24 luglio 2009 (ZENIT.org).- A un mondo dominato dall'ingiustizia, assetato di amore e abituato a misurare il potere sul possesso e la forza, Dio ha mostrato il suo volto di misericordia, sacrificando suo Figlio sulla Croce.
E' quanto ha detto il Papa nel presiedere questo venerdì pomeriggio la celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Aosta, dedicata a Maria Assunta, alla presenza di circa 400 persone in rappresentanza dei sacerdoti, religiosi e laici di tutta la comunità diocesana.
L'incontro si inseriva nella cornice delle celebrazioni per il 90° centenario della morte di Sant’Anselmo d'Aosta (1033-1109), da molti indicato come il “padre della scolastica” e conosciuto anche come “Dottore Magnifico”, che fu monaco benedettino, filosofo e teologo, Abate del monastero di Bec, in Normandia, e alla fine Arcivescovo di Canterbury.
Le celebrazioni per l’Anno Anselmiano hanno avuto il loro culmine il 21 aprile corso, in questa stessa cattedrale, in occasione dell'inaugurazione del Cenotafio di Sant'Anselmo e con la Messa presieduta dal Cardinale Giacomo Biffi, inviato speciale del Santo Padre per le celebrazioni.
Nel suo indirizzo di saluto, il Vescovo di Aosta, mons. Giuseppe Anfossi, ha ricordato la storia di questa antica cattedrale, la cui presenza, in base alle indagini archeologiche, si fa risalire alla fine del IV sec., anche se le iscrizioni funerarie informano dell'esistenza, già da prima, di un antico polo religioso cristiano che ruotava attorno a una abitazione privata destinata al culto e databile intorno al II sec.
Partendo da questo riferimento storico, il Vescovo è quindi ritornato ai giorni nostri, esprimendo la sua preoccupazione per la situazione presente delle “nostre famiglie” che “soffrono molto”.
“Voglio sperare – ha quindi detto – che questa sofferenza […] possa nel tempo che viene rigenerare questa bellissima comunità, piccola chiesa, o meglio chiesa domestica, famiglia fondata sul matrimonio” e “possa riguadagnare la bellezza a cui Cristo, Nostro Signore, l'ha chiamata”.
Dopo la preghiera dei Vespri, Benedetto XVI ha quindi preso la parola per pronunciare una omelia a braccio, incentrata su alcuni passaggi della Lettera di San Paolo ai Romani, e nella quale ha sottolineato il carattere fondamentale del rapporto tra l'uomo e Dio.
“Se Dio manca, se si prescinde da Dio, se Dio è assente – ha infatti avvertito – manca la bussola per mostrare l'insieme di tutte le relazioni, per trovare la strada, l'orientamento dove andare”.
Tuttavia di fronte a un Dio che “sembra assente, molto lontano”, che “non sembra entrare nella nostra vita quotidiana”, è il mistero della Croce che interviene a rendercelo vicino: “Questo conosciuto-sconosciuto adesso realmente si fa conoscere, mostra il suo volto, si rivela, il velo sul volto scompare”.
Oggi tuttavia, ha osservato il Papa, si avverte anche un'altra paura, la minaccia dell'onnipotenza, che “sembra limitare la nostra libertà, sembra un peso troppo forte”. Al contrario, ha spiegato, “dobbiamo imparare che l'onnipotenza di Dio non è un potere arbitrario, perché Dio è il bene, è la verità e perciò Dio può tutto ma non può agire contro il bene, non può agire contro la verità, non può agire contro l'amore e contro la libertà”.
“Questo occhio che ci vede non è un occhio cattivo che ci sorveglia – ha continuato –, ma è la presenza di un'amore che non ci abbandona mai e ci dona la certezza che è bene essere è bene vivere”.
Infatti, a un concetto comunemente accettato di potere come corollario del denaro o della forza militare, Dio oppone il “potere di grazia e misericordia”.
“Dio ha sofferto e nel Figlio soffre con noi e questo è l'ultimo apice del suo potere: che è capace di soffrire con noi. Così dimostra il vero potere divino”, ha detto Benedetto XVI.
E a chi domanda “perché era necessario soffrire per salvare il mondo”, il Papa risponde che “nel mondo esiste un oceano di male, di ingiustizia, di odio, di violenza, e le tante vittime dell'odio, dell'ingiustizia, hanno diritto che sia fatta giustizia”.
“Dio non può ignorare questo grido dei sofferenti, che sono oppressi dall'ingiustizia – ha continuato –. Perdonare non è ignorare ma trasformare. E Dio deve entrare in questo mondo e opporre all'oceano dell'ingiustizia un oceano più grande del bene e dell'amore”.
Ma con il sacrificio del Figlio sulla Croce Dio ci ha voluti anche invitare “a uscire dall'oceano del male, dell'odio, della violenza, dell'egoismo”, per “entrare nel fiume del suo amore” e divenire, come ricordava San Paolo nel cap. 12 della sua Lettera ai Romani, “un sacrificio vivente” per “trasformare così il mondo”.
Nell'Anno sacerdotale appena iniziato, il Papa ha accennato brevemente al compito del sacerdote chiamato a “consacrare il mondo perché diventi 'ostia vivente', perché il mondo diventi liturgia”, e ad essere al contempo “annuncio di Dio”, “porta attraverso la quale il Dio lontano diventa Dio vicino”.
Infatti, ha detto il Papa, la nostra umanità affamata non solo di pane, ma anche di giustizia e di amore ha bisogno di conoscere Dio. “Sazia la fame nostra con la verità del tuo amore”, ha concluso con una invocazione il Pontefice.
Al termine della liturgia, Benedetto XVI si è fermato sul sagrato della Cattedrale per salutare i fedeli assiepati all'esterno.
“Grazie per questa vostra accoglienza, per l’affetto e per la simpatia. Auguro a tutti voi un tempo buono, anche buone vacanze, come anch’io sono in vacanza...ma senza incidenti per voi”, ha detto scherzando.
Prima di far ritorno a Les Combes, il Pontefice si è quindi fermato a Introd per un breve incontro con gli ospiti della locale Casa di riposo.
Il male che non voglio - Pigi Colognesi venerdì 24 luglio 2009 – ilsussidiario.net
La tesi recentemente espressa da Umberto Veronesi in un articolo intitolato “Predestinati alla bontà, dai nostri geni” si può riassumere pressappoco così: «L’uomo è buono per natura». Non si tratta di una posizione inedita; l’ottimismo rinascimentale, per voce di François Rabelais, affermava già: «Fa ciò che vuoi, perché per natura l’uomo è spinto ad atti virtuosi». Ora ci si basa su ricerche genetiche e su indagini sofisticate, ma l’idea di fondo resta la medesima.
Già ieri su queste stesse pagine sono stati lucidamente evidenziati limiti e forzature di una simile impostazione e delle conclusioni cui giunge. A me interessa riportare la questione ad un livello ancora più elementare: il paragone di quella tesi con quello che mi succede.
È vero che in me c’è la propensione a fare il bene e non c’è dubbio che io trovi in esso soddisfazione. Ma non posso non constatare che in me c’è anche una strana ombra che sceglie il male o per lo meno si disinteressa del bene che pure riconosce. Senza stare a scomodare delitti o tragedie, chi di noi non ha sperimentato il prevalere di un’invidia, l’aspro gusto di ferire un altro, la codardia davanti a una cosa buona che si reputa giusto fare, ma da cui si fugge?
Più realistica della presunta “predestinazione alla bontà” dovuta ai nostri geni è la constatazione che a fianco del desiderio del bene c’è - accovacciata alla porta dell’io come un cane rabbioso dice la Bibbia - l’oscura suggestione del male. La Chiesa cattolica la chiama “peccato originale”. Esso non distrugge completamente la nostra bontà originaria, ma la rende esistenzialmente impraticabile.
Si genera così quel dramma che, pur giocandosi nelle scelte più minute e quotidiane, non è però meno grandioso e avvincente. Il dramma che san Paolo ha raccontato nella lettera i Romani con queste parole: «Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio». Non c’è dubbio: una frase così spiega molto di più ciò che mi capita ogni giorno di quanto facciano le pretese giustificazioni genetiche della mia esclusiva propensione alla bontà.
San Paolo conclude: «Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?». Forse si evita di guardare in faccia al male che è in noi perché saremmo costretti a chiedere un liberatore? Forse le discussioni sui geni che ci predestinerebbero alla bontà non sono che l’ennesima forma di un’autosufficienza immotivata e insostenibile? Che ha gravi esiti anche in campo sociale, come ha ricordato Benedetto XVI nella Caritas in veritate: «Talvolta l’uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società. È questa presunzione che discende dal peccato delle origini. La sapienza della Chiesa ha sempre proposto di tenere presente il peccato originale anche nell’interpretazione dei fatti sociali e nella costruzione della società».
FILOSOFIA/ Anselmo d’Aosta e la semplice genialità del pensiero medievale - Redazione venerdì 24 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Il fascino del Medioevo, spesso considerato un momento lontano e sterile della storia dell’umanità, o apparentemente senza legami con il mondo moderno, di cui ne fu invece una lenta e profonda preparazione, passa senza dubbio anche attraverso alcune figure e testimonianze chiave che hanno illuminato gli ingiustamente definiti secoli bui.
E quella di Anselmo d’Aosta, monaco e abate di Le Bec e arcivescovo di Canterbury, è senza dubbio una fra le personalità medioevali più significative, poliedriche e affascinanti.
Un’opportunità per la sua riscoperta viene dalla ricorrenza proprio in quest’anno del nono centenario della sua morte, occasione di varie celebrazioni nella provincia che vide i suoi natali (oggi stesso Benedetto XVI renderà omaggio al Santo nella Cattedrale di Aosta) e della pubblicazione delle sue Opere curate tra gli altri da Inos Biffi e Costante Marabelli presso Jaca Book, con il patrocinio della Regione Autonoma Valle d’Aosta.
Grande pensatore e uomo di fede, Anselmo è al tempo stesso una figura accessibile e semplice: nel racconto della sua vita, il monaco Eadmero delinea il profilo di una persona vicina; ricorda la terra nella quale è nato (nel 1033), il suo forte amore per le montagne, i suoi sogni, il rapporto con la famiglia (tenero con la madre, aspro con il padre), l’allontanamento da casa, la ricerca della propria via e di un maestro, la difficoltà a conciliare la ricerca del successo e la dedizione – che in lui prenderà corpo nella forma monastica – a Cristo e alla Chiesa.
Grazie alle sue composizioni, ha lasciato una nobile impronta nella storia del pensiero occidentale, scrivendo con la disinvoltura propria di chi possiede genio teologico e capacità di uno sguardo sintetico sul fatto cristiano, fino «ai vertici della “speculazione”» (De Libera), fino a preparare la strada alla fioritura teologica del XII secolo.
Nelle sue opere filosofiche e teologiche ha saputo indagare l’uomo e comprendere il mistero attraverso i suoi “temi” maggiori: la creazione, la caduta, la redenzione, la predestinazione, la libertà, la rettitudine, il bene e il male, fino alla ben nota formulazione di una prova originale e sintetica dell’esistenza di Dio.
Ecco così nascere il trattato di dialettica, il De Grammatico, il De veritate e il De libertate arbitrii; e ancora, il Monologion, il Proslogion e il Cur Deus homo: si potrebbe dire che non esiste nucleo teologico o antropologico fondamentale che da Anselmo non sia stato affrontato.
Eppure l’Anselmo speculatore è lo stesso conosciuto, incontrato quotidianamente e amato dai suoi monaci, che nella sua lunga permanenza a Le Bec (per trentatré anni, dal 1060 al 1093) ha saputo accompagnare e educare anche attraverso le numerose similitudini e parabole trasmesse; che ha saputo convincere, attrarre a sé e condurre a Cristo molti nuovi monaci, dei quali anche da arcivescovo non cancellerà il ricordo, e che saranno destinatari di molte delle sue lettere.
Tutto questo non deve far pensare ad una santità o ad un monachesimo sottratto al conflitto con il mondo, segnato solo da un disincarnato e facile distacco: pur accettato controvoglia, l’episcopato di Canterbury volle dire, per il Dottore Magnifico, una dolorosa responsabilità. Tanto da essere costretto, per salvare la libertà della Chiesa, a due esili, che lo allontanarono dalla diocesi per sei dei suoi sedici anni di episcopato.
Si tratta in sintesi di una testimonianza di vita cristiana irriducibile ad una semplice popolarità, o alla sola sensibilità o capacità comunicativa. È l’esito, i cui riflessi sono ad oggi ancora visibili, di una lunga, nascosta e silenziosa preparazione.
(Stefano Maria Malaspina)
APPROVATA DAL PARLAMENTO ITALIANO LA MORATORIA SULL'ABORTO; MA IL DIRITTO DI NON ABORTIRE OSCURA LA QUESTIONE CENTRALE - di Mario Palmaro
Il Parlamento italiano è diventato “antiabortista”? A leggere i giornali in questi giorni ci sarebbe quasi da crederlo: dopo il voto sulla Mozione Buttiglione, non pochi ambienti “pro life” cantano vittoria, parlano di “inversione di tendenza” e, soprattutto, di “scelta per la vita”. Ma quando si parla di “scelta” si è già traslocato armi e bagagli nel campo dell’abortismo. Che ritiene l’aborto una questione di scelta, una faccenda della donna (che non può essere obbligata a partorire), un diritto dell’adulto a disporre liberamente della vita dei non nati. Questo è il nocciolo duro dell’abortismo, e contro questo nocciolo duro un’autentica cultura per la vita deve battersi. Sempre.
Il voto del Parlamento italiano non scalfisce nemmeno con un graffio questo bunker di idee sbagliate intorno all’aborto. Anzi: implicitamente le accetta e le assume come piattaforma comune di dialogo e di confronto. E’ come se dicesse: premesso che l’aborto è un diritto della donna, vediamo di non farlo diventare un dovere per nessuno. Il Parlamento italiano ha votato a maggioranza una mozione che dice una cosa semplice: nessuno Stato, nessun governo, deve obbligare per decreto le donne ad abortire. Tutto qui. E’ ovviamente una decisione importante con riferimento a quei Paesi nei quali da tempo si attuano politiche antinataliste e antidemografiche, anche usando l’aborto come strumento per impedire alla popolazione di aumentare. In questo senso, il voto dell’altro giorno è un punto messo a segno contro la cultura della morte.
E’ altrettanto evidente che la mozione uscita vincente era “migliore” della proposta proveniente dal centro sinistra, che faceva leva come al solito sul mito della contraccezione (spesso abortiva) come panacea di tutti i mali del mondo.
Vogliamo dunque dire che il voto sulla Mozione Buttiglione è un fatto politico importante? E diciamolo pure. Ma non trasformiamo l’acqua gasata in champagne. C’è altrimenti il rischio di perdere la bussola, di smarrire il senso del proprio impegno civile, e di fare così il gioco di quella cultura di morte che si vuole sinceramente combattere.
Il senso di questo voto può trasformarsi addirittura in un colossale autogol, se l’orizzonte del dibattito e dei commenti conferma una inesorabile deriva che Verità e Vita ha segnalato da tempo, e che – purtroppo – si va aggravando di giorno in giorno: e cioè l’idea che il diritto di aborto sia indiscutibile, e che si possa soltanto garantire la “libertà della donna di non abortire”. Magari con adeguati aiuti economici.
La natura paradossale di questa posizione si comprende meglio se la si applica, poniamo, al tema dell’eutanasia: se il Parlamento italiano avesse votato una mozione “contro l’eutanasia obbligatoria, fermo restando il diritto del malato a ottenerla liberamente”, questa sarebbe giudicata una decisione “contro l’eutanasia e per la vita”? Se il Congresso degli Stati Uniti votasse una legge che impone l’uso della “dolce morte” in luogo della sedia elettrica per i colpevoli di efferati delitti, qui in Italia parleremmo di “superamento della pena capitale”?
Anche il Magistero della Chiesa è, su questo punto, chiarissimo. E lo vogliamo ribadire, perché non vorremmo che qualcuno, fra qualche tempo, anche in casa cattolica, ci venisse a dire che “l’importante è che la donna possa scegliere se abortire in piena libertà e disponendo di adeguati aiuti economici.” Nella Evangelium Vitae Giovanni Paolo II denuncia i “potenti della terra” che impongono “con qualsiasi mezzo una massiccia pianificazione delle nascite” (EV, n. 16). Ma subito dopo, chiarisce che il male dell’aborto non sta tanto nell’essere imposto dalle autorità, quanto nel fatto che le democrazie liberali ne hanno fatto un diritto garantito dalle leggi (EV. n. 20, n. 68, 69, 70, 71, 72, 73), avviandosi così sulla strada di un totalitarismo di nuovo tipo. E sempre Giovanni Paolo II ribadisce che “la gravità morale dell'aborto procurato appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un omicidio» (EV, n. 58).
Il livello di libertà di decisione della donna incide sulla sua responsabilità, ma non muta un delitto in diritto. Rivendicare il diritto all'aborto, all'infanticidio, all'eutanasia e riconoscerlo legalmente, equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questa è la morte della vera libertà” (EV 20)
Come hanno ricordato in un loro coraggioso comunicato gli amici di “Due minuti per la vita”, "la realtà dell'aborto non muta laddove sia la madre a sceglierlo liberamente e ne deriva che anche in questo caso dovrà essere condannato. La moralità di un atto umano si valuta, infatti, in primo luogo con riferimento all'oggetto di tale atto e nel caso dell'aborto volontario non si può omettere di ricordare che esso consiste sempre nell'omicidio di una persona innocente ed indifesa, pratica disumana che mai dovrebbe essere lecita in un paese civile. Questa la realtà da cui partire, questa la verità da riaffermare".
L’abortismo è capovolgimento della realtà: se si sposano le sue promesse, si cammina a testa in giù. C’è un fatto fisiologico: il concepimento di un nuovo essere umano, la gravidanza, e la nascita di un figlio. E c’è un atto – non un fatto fisiologico - che l’uomo può compiere: sopprimere quel figlio prima che nasca. Compito del diritto è difendere quell’indifeso, dicendo proprio che partorire è doveroso, in quanto l’alternativa (abortire) è un delitto contro la vita.
files.splinder.com/0e2e0ca5e81836b71b8c96d600a57495.doc
Renzo Puccetti, L'uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU486, pp. 160, Euro 12, Società Editrice Fiorentina, 2009, ISBN: 978-88-6032-068-1
Ho conosciuto una ragazza che aveva abortito in una clinica nella zona di Regent’s Park, dove mentre abortisci ti portano fiori e champagne. Quella ragazza era stata trattata da regina tanto da uscirsene dicendo: ‘Quando potrò averne un altro?’”. Così scriveva nel 2006 sul “Guardian” una femminista storica, Mary Kelly: un segno della noncuranza con cui ormai si trattano – e non solo a Londra – le vite umane uccise con l’aborto. Lo si apprende (a p. 58) leggendo il libro di Renzo Puccetti, medico specializzato in Medicina Interna impegnato nell’associazione Scienza & Vita, pubblicato dalla Società Editrice Fiorentina (Firenze 2008) con il titolo “L’uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU 486”.
Per fortuna i sostenitori della vita hanno a disposizione sull’aborto e la contraccezione una letteratura ormai importante anche in lingua italiana, non solo dal punto di vista etico ma anche da quello medico. Tuttavia, se dovessi raccomandare un singolo libro che spieghi perché gli argomenti degli abortisti e dei sostenitori della contraccezione sono quasi sempre falsi sul piano dei fatti prima ancora che dei principi, consiglierei di leggere proprio questo. Hanno ragione Carlo Casini e Maria Luisa Di Pietro, che firmano rispettivamente la prefazione e la presentazione: ponendosi sul piano del rigore scientifico, il testo non è sempre facilissimo, e il lettore deve sopportare anche qualche formula matematica. Ma l’autore, medico, dimostra una straordinaria sensibilità nel campo della sociologia, quello dove – come insegna nelle sue lezioni il mio maestro e amico Rodney Stark – “chi non conta non conta”, cioè chi non è capace di far di conto leggendo le statistiche diventa poi irrilevante quando espone le sue conclusioni.
Inesorabilmente, Puccetti invece conta, e smentisce laicamente – con il semplice richiamo ai dati e ai fatti – tutta una serie di miti abortisti. L’aborto, si dice anzitutto, è cosa sostanzialmente diversa dall’infanticidio per cui non si dovrebbero usare parole politicamente scorrette come “uccidere”. Falso, risponde Puccetti citando affermazioni d’illustri sostenitori dell’aborto che chiedono anche l’infanticidio legale per chi nasce malformato. “Possiamo abortire se ci sono serie anomalie fetali fino al termine della gravidanza – si lamenta il professor John Harris, che insegna bioetica all’Università di Manchester – ma non possiamo uccidere un neonato. La gente cosa crede sia successo nell’uscita dal canale del parto, per giustificare l’uccisione del feto ad un estremità del canale del parto, ma non ad un’altra?”(p. 31).
Si abortisce per ragioni di salute o per gravi problemi economici, si aggiunge. Falso anche questo:statisticamente la prima ragione per abortire è il “non sentirsi pronta ad avere un bambino” (p. 46), a prescindere da ogni aspetto economico. Negli Stati Uniti e in Italia ci sono più aborti negli Stati e nelle regioni dove il reddito è più alto (pp. 47-48), a conferma della tesi generale di Puccetti secondo cui la prima causa dell’aborto è la mentalità abortista.
E, dal momento che la diffusione della contraccezione non frena ma anzi stimola la mentalità che considera la gravidanza una sorta di malattia, è falso anche il mantra tante volte ripetuto secondo cui diffondendo la contraccezione si ostacola l’aborto. È questa la parte più importante – e più tecnica – del libro di Puccetti, che accumula dati e li organizza secondo un modello matematico il cui risultato è senza equivoci: più si diffonde la contraccezione, più crescono gli aborti.
Ancora, si dice che la contraccezione d’emergenza (la cosiddetta “pillola del giorno dopo”) è un’efficace alternativa all’aborto. Falsi, incalza Puccetti, i dati sulle sue percentuali di successo, false le informazioni spesso fornite alle pazienti sul modo in cui opera e gli effetti collaterali, e falsa la tesi di fondo: anche la massiccia diffusione della contraccezione d’emergenza è accompagnata non da una diminuzione ma da un aumento degli aborti. In Scozia è stato condotto “il più vasto studio mai realizzato” (p. 73) nella contea di Lothian, dove a oltre 22.000 donne in età fertile è stata data la possibilità di tenersi in casa, pronte all’uso, cinque confezioni di pillola del giorno dopo. Comprensibilmente, in questo campione il numero di donne che usa queste pillole è salito: dal due al dieci per cento. Ma non c’è stata “nessuna riduzione del tasso di abortività” (p. 74): un risultato per cui i ricercatori – che erano partiti dall’ipotesi contraria – “non sono stati in grado di fornire una spiegazione” (ibidem). Naturalmente la spiegazione per Puccetti c’è: più si diffonde la contraccezione di ogni ordine e grado, più dilaga una mentalità ostile alla gravidanza che – quando la contraccezione per qualunque ragione fallisce – considera “normale” passare all’aborto.
Falsi – ma questo lo sapevamo da anni – i dati sugli aborti clandestini che ci sarebbero stati in Italia e altrove prima dell’introduzione delle leggi abortiste: pura propaganda politica, talora ridicola. Falsa la tesi cara all’onorevole Livia Turco secondo cui le leggi che legalizzano gli aborti li fanno diminuire: è il contrario, aumentano. Falsa perfino – e questa sarà una sorpresa per qualcuno – la tesi secondo cui almeno l’aborto legale negli ospedali fa diminuire i rischi di morire in seguito all’aborto clandestino praticato da mammane e medici radiati dagli albi. È vero, l’aborto clandestino è pericoloso: tra le donne che nel mondo muoiono nel periodo della gravidanza o immediatamente dopo il 13% decede a causa di un “aborto non sicuro”, o così dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma le cose non vanno molto meglio con l’aborto legale. A Cuba, paradiso degli aborti legali secondo una certa propaganda, il tasso di mortalità materna dovuto ad aborto legale è del 14,8% (p. 100). Ci sono sia percentualmente sia in cifra assoluta più donne morte per aborto legale a Cuba che per aborto clandestino a Malta (dove l’aborto è vietato: p. 101). Inoltre, chi ci dice che abortire è più o meno come farsi estrarre un dente dovrebbe riflettere sul fatto che tra le donne che muoiono dopo un aborto legale ce n’è un numero non insignificante che si suicida (quante si suicidano dopo aver perso un dente?).
Puccetti è specialista della questione della RU 486, la pillola che induce l’aborto farmacologico, presentato come più sicuro e meno doloroso dell’aborto chirurgico. La tesi è stata sostenuta anche in documenti ufficiali del governo Prodi, a proposito dei quali un’interpretazione benevola potrebbe sostenere che ignorano i dati scientifici più recenti. Questi sono ora disponibili, e ancora una volta del tutto chiari per chi sa contare: la stragrande maggioranza delle donne che ne ha avuto esperienza considera l’aborto farmacologico più doloroso, e i dati dimostrano che è anche meno sicuro.
Dopo la desolante cronaca di una giornata a un congresso di medici abortisti, Puccetti conclude che il problema non è solo né soprattutto medico ma è morale e politico. Oggi “la questione sociale – afferma Benedetto XVI al n. 75 dell’enciclica “Caritas in Veritate”, proprio con riferimento agli attacchi alla vita – è diventata radicalmente questione antropologica”. È vero anche il reciproco: la questione antropologica è diventata radicalmente questione sociale e politica. Il libro di Puccetti lo dimostra. Non si uscirà dal dramma antropologico dell’aborto con soluzioni tecniche, ma solo con una presa di coscienza del fatto che l’aborto è la tappa ultima di un processo rivoluzionario che, avendo negato i diritti di Dio, non è capace di capire e di rispettare neppure i veri diritti dell’uomo.
Massimo Introvigne
Le ultime parole del sacerdote ucciso a Cuba: “Ti perdono”
Lo ha confessato il presunto assassino
SANTANDER, venerdì, 24 luglio 2009 (ZENIT.org).- Padre Isidro Hoyos, sacerdote che esercita il suo ministero a Cuba e amico del presbitero ucciso pochi giorni fa in questo Paese, di nome padre Mariano Arroyo, ha rivelato che le ultime parole del sacerdote prima di morire, secondo quanto confessato dal suo presunto assassino, sono state “Ti perdono”.
Padre Hoyos lo ha affermato in un'intervista concessa al "Diario Montañés" di Santander (Spagna), località in cui si trova per un periodo di riposo. Il 13 luglio scorso, la polizia cubana ha rinvenuto all'Avana il cadavere di padre Arroyo nella sua casa. Era stato pugnalato e presentava bruciature su alcune parti del corpo. Appena quattro mesi prima, un altro sacerdote compagno di entrambi, Eduardo de la Fuente, era stato ucciso nella stessa città.
Padre Hoyos si è recato a Cuba spinto da padre Arroyo nel 2000, e svolge il suo apostolato in una “città-dormitorio” di 100.000 abitanti in cui la sua è l'unica parrocchia. “E' una casetta con un cortile, un granello di sabbia. Di domenica ci sono le celebrazioni, alle quali assistono circa 300 persone. E' poco, ma prima non c'era nulla”.
Per lui non è difficile essere sacerdote all'Avana: “La gente ti tratta molto bene. Non ero abituato all'adorazione della figura del sacerdote. I cubani hanno una grande reverenza nei confronti del sacro”.
Il presbitero è d'accordo sul fatto che la morte di padre Arroyo e quella di padre de la Fuente non siano collegate, e che l'ultimo assassinio sia stato provocato da un tentativo di furto.
“Mariano aveva una cassaforte grande, ma non vi teneva molte cose di valore, solo una corona della Madonna che aveva un valore più sentimentale che monetario. Era molto vecchia. Se c'era del denaro non doveva essere molto. Mariano aveva appena fatto dei lavori nella parrocchia perché era in pessime condizioni. E se aveva del denaro proveniente da donazioni non lo teneva in casa, ma nel Vescovado”.
I due arrestati per la morte dei sacerdoti hanno confessato i delitti. “Quello che ha ucciso Mariano ha rivelato che le sue ultime parole sono state: 'Ti perdono'”, ha detto padre Hoyos.
“Era un uomo profondamente religioso – ha aggiunto –. Era molto coerente, molto austero”.
Padre Hoyos tornerà all'Avana il 28 agosto e afferma di non aver paura: “Non credo che si tratti di una catena senza fine. Ho un impegno con quelle persone e lo rispetterò. Mi sembrerebbe una codardia non tornare. Non dico che sia necessario, ma sento il dovere di farlo”.