Nella rassegna stampa di oggi:
1) Matt King, il ragazzo che non si è arreso - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 11 gennaio 2010
2) Benedetto XVI: l'Occidente deve adottare una “laicità positiva” - Le radici del degrado ambientale sono “di ordine morale”
3) Discorso del Papa al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - "La custodia del creato è un importante fattore di pace e di giustizia!"
4) Portogallo: approvato il matrimonio omosessuale - I Vescovi lamentano che si legiferi contro istituzioni “naturali e fondamentali”
5) LA «CONFESSIONE » DI UNA GIOVANE MALATA DI AIDS - Quando uno sguardo sincero rivela mali nascosti e diffusi - GABRIELLA SARTORI – Avvenire, 12 gennaio 2010
6) Avvenire, 12 Gennaio 2010 - Anticipazione - Agostino batte le eresie di oggi - Giuliano Vigini
Matt King, il ragazzo che non si è arreso - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 11 gennaio 2010
Matt King era un ragazzo pieno di vita che aveva appena coronato un suo sogno. Quello di diventare giocatore professionista di rugby nella squadra giovanile della London Broncos Accademy.
Si sentiva quasi aria di primavera il giorno in cui avrebbe dovuto giocare, nel campo di Halifax, la sua prima partita proprio da professionista. Ma quel 4 aprile 2004, quello che doveva essere il giorno più bello della sua vita, si trasformò in tragedia.
Dopo soli 20 secondi dall’inizio del gioco, sotto il peso di un avversario, Matt non ha neppure il tempo di accorgersi di essere entrato uno stato comatoso. Riprende i sensi durante il viaggio di trasporto in elicottero verso Leeds, e immediatamente percepisce l’esito devastante dell’incidente: paralisi totale. Gli infermieri gli chiedono di muovere le dita dei piedi e lui viene assalito da una sensazione di terrore. Urla di lasciarlo morire perché già immagina un futuro d’inferno e una vita non più degna di essere vissuta.
Giunto a Leeds, i medici non possono che confermare il tragico verdetto: la spina dorsale è irrimediabilmente compromessa al punto da immobilizzare il corpo dal collo in giù. Gli spiegano che la sua situazione è pressoché identica a quella dell’attore Christopher Reeve, il Superman cinematografico, paralizzato a causa di una caduta da cavallo nel 1995 e che sarebbe morto di lì a poco dall’incidente di Matt King, nell’ottobre del 2004.
Trasferito allo Stoke Mandeville Hospital, centro specializzato per le patologie alla spina dorsale, Matt trascorrerà lì nove mesi. Quel periodo, che lui definirà di assoluta desolazione («bleak time») non si rivelerà, però, inutile. Per sua stessa ammissione, il ragazzo percepisce che debba esistere, comunque, un senso a tutto ciò che gli è accaduto, e decide che anche lui, pur totalmente paralizzato e costretto a vivere attaccato ad un respiratore, può essere capace in una «meaningful life», una vita piena di significato.
Per raggiunger questo obiettivo Matt intuisce di aver bisogno di un’istruzione.
Così, decide di studiare e di frequentare la facoltà di giurisprudenza all’università, perché, con un pizzico di autoironia, spiega a tutti che «con la legge non bisogna usare nient’altro che il cervello».
Per quale motivo ho deciso di parlare di questa storia? Semplicemente perché Matt King, dopo aver frequentato in questi anni l’Università di Herthfordshire, lo scorso 27 novembre ha ricevuto il diploma di laurea con il massimo dei voti e con lode, durante una cerimonia tenuta presso la Cattedrale di St. Albans. Grazie alle sue capacità, ha già ottenuto l’offerta di entrare in uno dei più prestigiosi studi legali di Londra, tra due anni, dopo che avrà ultimato il “practice course” all’università. Ora è assistito da due accompagnatori a tempo pieno e da un assistente che scrive per lui. La sedia a rotelle ed il respiratore artificiale non hanno rappresentato un ostacolo neppure in altre imprese di Matt, tra cui quella di essere stato il primo quadriplegico a completare la maratona di New York in sei ore e mezzo, e di raccogliere nell’occasione 10.000 sterline per opere di beneficenza. E’ anche diventato mentore del Back-Up Trust, un’organizzazione non-profit che ha lo scopo di aiutare coloro che sono affetti da gravi malattie alla spina dorsale.
Matt King non è l’unico esempio di chi è riuscito a vincere le avversità sottraendosi alla disperazione.
Matt Hampson, ad esempio, un altro ex giocatore di rugby completamente paralizzato a seguito di un incidente, è stato capace di creare un sito web, di scrivere un’autobiografia e di fondare un’associazione per bambini disabili denominata SpecialEffect. Mi hanno colpito le sue parole pronunciate l’anno scorso: «Io non ho una brutta vita, vivo una vita semplicemente diversa». Giocando sulle parole, ha anche aggiunto: «Uso il mio cervello (“brain”) più del mio midollo spinale (“brawn”). Mi ha aiutato ad essere una persona più riflessiva. Ora penso molto di più». Matt Hampson è dovuto crescere più in fretta e fa cose che normalmente i suoi coetanei ventenni non fanno.
La testimonianza vivente di questi ragazzi è la migliore risposta a tutte le polemiche che continuano a ruotare intorno al tema drammatico del suicidio assistito in Gran Bretagna.
E’ rispetto alla capacità di dare un senso all’esistenza, che si gioca, in realtà, la scelta di vivere o morire. Così, di fronte al mistero che ti inchioda a condizioni esistenziali drammatiche, si può reagire come ha fatto Matt King o come ha fatto Daniel James, un altro giovane giocatore paralizzato da un incidente di rugby, che l’anno scorso, a soli 23 anni, ha deciso – grazie all’ambigua e compiacente normativa britannica – di ricorrere al suicidio assistito presso la famigerata clinica svizzera Dignitas.
Se la vita, come scriveva Shakespeare nel suo Macbeth, non è altro che «una favola raccontata da un idiota in un accesso di furore», priva di senso e di significato, allora quando le circostanze la rendono quasi invivibile, la soluzione più comoda resta quella di una “easy way out”, di un’agevole via d’uscita. La più efficace definizione di eutanasia.
Matt King, invece, ha compreso che la vita è una cosa seria: seria di fronte all’universo (perciò ha un compito) e seria di fronte al destino (perciò ha un significato ultimo da raggiungere).
Se non avesse compreso tutto questo, anche lui avrebbe corso il rischio di comprare un biglietto senza ritorno per la Svizzera.
Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto
Benedetto XVI: l'Occidente deve adottare una “laicità positiva” - Le radici del degrado ambientale sono “di ordine morale”
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 11 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Papa ha chiesto questo lunedì, soprattutto all'Occidente, un riconoscimento del contributo che le religioni danno alla pace e al rispetto della creazione attraverso una “laicità positiva”.
Lo ha affermato durante il suo discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la santa Sede durante la tradizionale udienza di inizio anno, nella quale il Pontefice si riferisce alla situazione mondiale.
In questa occasione, ha voluto dedicare il suo intervento alla questione della salvaguardia dell'ambiente come condizione “indispensabile” per la pace nel mondo.
Le cause del degrado ambientale, ha osservato, sono tuttavia “di ordine morale e la questione deve essere affrontata nel quadro di un grande sforzo educativo, per promuovere un effettivo cambiamento di mentalità ed instaurare nuovi stili di vita”.
In questo senso, ha affermato che “può e vuole essere partecipe la comunità dei credenti, ma perché ciò sia possibile, bisogna che se ne riconosca il ruolo pubblico”.
Il Papa ha lamentato che “in alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta, di ostilità, per non dire di disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana”.
“E’ chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso”, ha osservato.
Secondo Benedetto XVI, questo modo di concepire la società “crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina l’ecologia umana e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla propria, si trasforma in una strada senza uscita”.
Per questo, è necessario “definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa”.
In questa prospettiva, ha espresso la propria soddisdazione per il fatto che il Trattato di Lisbona, attualmente in fase di ratifica, affermi all'art. 17 che l'unione Europea manterrà con le Chiese “un dialogo aperto, trasparente e regolare”.
Il Papa ha poi auspicato che “l’Europa sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana”.
“Come ho rimarcato durante il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella Repubblica Ceca, essa ha un ruolo insostituibile per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama questo continente 'casa'”.
A questo proposito, ha affermato che con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona l'Europa “ha iniziato una nuova fase del suo processo di integrazione”, processo che la Santa Sede “continuerà a seguire con rispetto e con benevola attenzione”.
Senza Dio, non c'è rispetto del creato
“La Chiesa è aperta a tutti, perché – in Dio - esiste per gli altri! Pertanto essa partecipa intensamente alle sorti dell’umanità”, ha sottolineato il Vescovo di Roma.
Riferendosi all'attuale crisi economica, ha osservato che le cause sono di tipo morale e che devono essere ricercate “nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura”.
“Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato”, ha constatato, portando come esempio il caso dell'Est europeo, dove i regimi comunisti atei hanno provocato, tra le altre cose, gravi danni ambientali.
“Quando cadde il Muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria?”, ha chiesto.
La negazione di Dio, ha aggiunto, “sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione”.
Per questo, ha concluso che la salvaguardia del creato “non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio”.
Discorso del Papa al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - "La custodia del creato è un importante fattore di pace e di giustizia!"
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 11 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo lunedì in Vaticano i membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.
* * *
Eccellenze,
Signore e Signori,
E’ per me motivo di grande gioia questo incontro tradizionale d’inizio d’anno, due settimane dopo la celebrazione della nascita del Verbo incarnato. Come abbiamo proclamato nella liturgia: "Nel mistero adorabile del Natale, Egli, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, e generato prima dei secoli, cominciò ad esistere nel tempo, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta" (Prefazio II del Natale). A Natale, quindi, abbiamo contemplato il mistero di Dio e quello della creazione; mediante l’annuncio degli angeli ai pastori ci è giunta la buona novella della salvezza dell’uomo e del rinnovamento dell’intero universo. Per questa ragione, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, ho invitato tutti gli uomini di buona volontà, ai quali gli angeli hanno promesso giustamente la pace, a custodire il creato. Ed è in questo stesso spirito che sono lieto di salutare ciascuno di Voi, in particolare coloro che sono presenti per la prima volta a questa cerimonia. Vi ringrazio sentitamente per i voti augurali, di cui si è fatto interprete il vostro Decano, il Signor Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, e Vi rinnovo il mio vivo apprezzamento per la missione che svolgete presso la Santa Sede. Attraverso di Voi, desidero far giungere il mio cordiale saluto e augurio di pace e prosperità alle Autorità e a tutti gli abitanti dei Paesi che Voi degnamente rappresentate. Il mio pensiero si estende, anche, a tutte le altre Nazioni della terra: il Successore di Pietro mantiene le sue porte aperte a tutti e con tutti desidera avere relazioni che contribuiscano al progresso della famiglia umana. Da qualche settimana, sono state stabilite piene relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Federazione Russa: è questo un motivo di profonda soddisfazione. Allo stesso modo, è stata molto significativa la visita che mi ha reso recentemente il Presidente della Repubblica Socialista del Vietnam, Paese che è caro al mio cuore e nel quale la Chiesa sta celebrando la sua plurisecolare presenza con un Anno giubilare. Con tale spirito di apertura, nel corso del 2009, ho ricevuto numerose personalità politiche, provenienti da diversi Paesi; ho anche visitato alcuni di essi e mi propongo in futuro, nella misura del possibile, di continuare a farlo.
La Chiesa è aperta a tutti, perché – in Dio - esiste per gli altri! Pertanto essa partecipa intensamente alle sorti dell’umanità, che in questo anno appena iniziato, appare ancora segnata dalla drammatica crisi che ha colpito l’economia mondiale e ha provocato una grave e diffusa instabilità sociale. Con l’Enciclica Caritas in veritate ho invitato ad individuare le radici profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura. Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato. Ciascuno di noi, probabilmente, potrebbe citare qualche esempio dei danni che essa arreca all’ambiente, in ogni parte del mondo. Ne cito uno, tra i tanti, dalla storia recente dell’Europa: vent’anni fa, quando cadde il Muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria? La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione! Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio.
Pertanto, condivido la maggiore preoccupazione che causano le resistenze di ordine economico e politico alla lotta contro il degrado dell’ambiente. Si tratta di difficoltà che si sono potute constatare ancora di recente durante la XV Sessione della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi dal 7 al 18 dicembre scorso a Copenaghen. Auspico che, nell’anno corrente, prima a Bonn e poi a Città del Messico, sia possibile giungere ad un accordo per affrontare tale questione in modo efficace. La posta in gioco è tanto più importante perché ne va del destino stesso di alcune Nazioni, in particolare, alcuni Stati insulari.
Occorre, tuttavia, che tale attenzione e tale impegno per l’ambiente siano bene inquadrati nell’insieme delle grandi sfide che si pongono all’umanità. Se, infatti, si vuole edificare una vera pace, come sarebbe possibile separare, o addirittura contrapporre la salvaguardia dell’ambiente a quella della vita umana, compresa la vita prima della nascita? E’ nel rispetto che la persona umana nutre per se stessa che si manifesta il suo senso di responsabilità verso il creato. Perché, come insegna S. Tommaso d’Aquino, l’uomo rappresenta quanto c’è di più nobile nell’universo (cfr. Summa Theologiae, I, q.29, a.3). Inoltre, come ho ricordato al recente Vertice Mondiale della FAO sulla Sicurezza alimentare, "la terra può sufficientemente nutrire tutti i suoi abitanti" (Discorso del 16 novembre 2009, 2), purché l’egoismo non porti alcuni ad accaparrarsi i beni destinati a tutti!
Vorrei sottolineare ancora che la salvaguardia della creazione implica una corretta gestione delle risorse naturali dei paesi, in primo luogo, di quelli economicamente svantaggiati. Il mio pensiero va al Continente africano, che ho avuto la gioia di visitare nel marzo scorso, recandomi in Camerun ed Angola, ed al quale sono stati dedicati i lavori della recente Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi. I Padri sinodali hanno segnalato con preoccupazione l’erosione e la desertificazione di larghe zone di terra coltivabile, a causa dello sfruttamento sconsiderato e dell’inquinamento dell’ambiente (cfr. Propositio n. 22). In Africa, come altrove, è necessario adottare scelte politiche ed economiche che assicurino "forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 10).
Come dimenticare, poi, che la lotta per l’accesso alle risorse naturali è una delle cause di vari conflitti, tra gli altri in Africa, così come la sorgente di un rischio permanente in altre situazioni? Anche per questa ragione ripeto con forza che, per coltivare la pace, bisogna custodire il creato! D’altra parte ci sono ancora vaste estensioni di terra, per esempio in Afghanistan ed in alcuni paesi dell’America Latina, dove purtroppo l’agricoltura è ancora legata alla produzione di droga e costituisce una fonte non trascurabile di occupazione e di sostentamento. Se si vuole la pace, occorre custodire il creato con la riconversione di tali attività. Chiedo perciò alla comunità internazionale, ancora una volta, che non si rassegni al traffico della droga ed ai gravi problemi morali e sociali che essa genera.
Sì, Signore e Signori, la custodia del creato è un importante fattore di pace e di giustizia! Fra le tante sfide che essa lancia, una delle più gravi è quella dell’aumento delle spese militari, nonché quella del mantenimento o dello sviluppo degli arsenali nucleari. Ciò assorbe ingenti risorse, che potrebbero, invece, essere destinate allo sviluppo dei Popoli, soprattutto di quelli più poveri. Confido, fermamente, che nella Conferenza di esame del Trattato di Non-Proliferazione nucleare, in programma per il maggio prossimo a New York, vengano prese decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare il pianeta dalle armi nucleari. Più in generale, deploro che la produzione e l’esportazione di armi contribuiscano a perpetuare conflitti e violenze, come quelli nel Darfur, in Somalia e nella Repubblica Democratica del Congo. All’incapacità delle parti direttamente coinvolte di sottrarsi alla spirale di violenza e di dolore generata da questi conflitti, si aggiunge l’apparente impotenza degli altri Paesi e delle Organizzazioni internazionali a riportare la pace, senza contare l’indifferenza quasi rassegnata dell’opinione pubblica mondiale. Non occorre poi sottolineare come tali conflitti danneggino e degradino l’ambiente. Come, infine, non menzionare il terrorismo che mette in pericolo un così gran numero di vite innocenti e provoca un diffuso senso di angoscia? In questa solenne circostanza, desidero rinnovare l’appello che ho lanciato il 1° gennaio durante la preghiera dell’Angelus a quanti fanno parte di gruppi armati di qualsiasi tipo affinché abbandonino la strada della violenza e aprano il loro cuore alla gioia della pace.
Le gravi violenze che ho appena evocato, unite ai flagelli della povertà e della fame, come pure alle catastrofi naturali ed al degrado ambientale, contribuiscono ad ingrossare le fila di quanti abbandonano la propria terra. Di fronte a tale esodo, invito le Autorità civili, che vi sono coinvolte a diverso titolo, ad agire con giustizia, solidarietà e lungimiranza. In particolare, vorrei menzionare i Cristiani in Medio Oriente: colpiti in varie maniere, fin nell’esercizio della loro libertà religiosa, essi lasciano la terra dei loro padri in cui si è sviluppata la Chiesa dei primi secoli. E’ per offrire loro un sostegno e per far loro sentire la vicinanza dei fratelli nella fede, che ho convocato, per l’autunno prossimo, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente.
Signore e Signori Ambasciatori, quelle che ho tracciato finora sono soltanto alcune delle dimensioni connesse con la problematica ambientale. Tuttavia, le radici della situazione che è sotto gli occhi di tutti, sono di ordine morale e la questione deve essere affrontata nel quadro di un grande sforzo educativo, per promuovere un effettivo cambiamento di mentalità ed instaurare nuovi stili di vita. Di ciò può e vuole essere partecipe la comunità dei credenti, ma perché ciò sia possibile, bisogna che se ne riconosca il ruolo pubblico. Purtroppo, in alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta, di ostilità, per non dire di disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana. E’ chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso. Un tale approccio crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina l’"ecologia umana" e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla propria, si trasforma in una strada senza uscita. Urge, pertanto, definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa. In questa prospettiva, io penso all’Europa, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha iniziato una nuova fase del suo processo di integrazione, che la Santa Sede continuerà a seguire con rispetto e con benevola attenzione. Nel rilevare con soddisfazione che il Trattato prevede che l’Unione Europea mantenga con le Chiese un dialogo "aperto, trasparente e regolare" (art. 17), auspico che, nella costruzione del proprio avvenire, l’Europa sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana. Come ho rimarcato durante il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella Repubblica Ceca, essa ha un ruolo insostituibile "per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama questo continente «casa»!" (Discorso alle autorità civili e al corpo diplomatico, 26 settembre 2009).
Proseguendo nella nostra riflessione, è necessario rilevare che la problematica dell’ambiente è complessa. Si potrebbe dire che è un prisma dalle molte sfaccettature. Le creature sono differenti le une dalle altre e possono essere protette, o, al contrario, messe in pericolo, in modi diversi, come ci mostra l’esperienza quotidiana. Uno di tali attacchi proviene da leggi o progetti, che, in nome della lotta contro la discriminazione, colpiscono il fondamento biologico della differenza fra i sessi. Mi riferisco, per esempio, ad alcuni Paesi europei o del Continente americano. "Se togli la libertà, togli la dignità", come disse S. Colombano (Epist. n.4 ad Attela, in S. Columbani opera, Dublin 1957, p. 34.) Tuttavia, la libertà non può essere assoluta, perché l’Uomo non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura. Per l’uomo, il cammino da seguire non può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore.
La salvaguardia della creazione comporta anche altre sfide, alle quali non si può rispondere che attraverso la solidarietà internazionale. Penso alle catastrofi naturali, che durante l’anno scorso hanno seminato morti, sofferenze e distruzioni nelle Filippine, in Vietnam, nel Laos, in Cambogia e nell’isola di Taiwan. Come non ricordare poi l’Indonesia, e, più vicino a noi, la regione dell’Abruzzo, scosse da devastanti terremoti? Di fronte a simili eventi non deve venire meno l’aiuto generoso, perché la vita stessa delle creature di Dio è in gioco. Ma la salvaguardia della creazione, oltre che della solidarietà, ha bisogno anche della concordia e della stabilità degli Stati. Quando insorgono divergenze ed ostilità fra questi ultimi, per difendere la pace debbono perseguire con tenacia la via di un dialogo costruttivo. E’ quanto avvenne venticinque anni or sono con il Trattato di Pace ed Amicizia fra Argentina e Cile, che fu raggiunto grazie alla mediazione della Sede Apostolica. Esso ha portato abbondanti frutti di collaborazione e prosperità, di cui ha beneficiato, in qualche modo, l’intera America Latina. In questa stessa parte del mondo, sono lieto del riavvicinamento intrapreso da Colombia ed Ecuador, dopo parecchi mesi di tensione. Più vicino a noi, mi compiaccio dell’intesa conclusa tra Croazia e Slovenia a proposito dell’arbitrato relativo alle loro frontiere marittime e terrestri. Mi rallegro, altresì, dell’accordo tra Armenia e Turchia, in vista della ripresa delle loro relazioni diplomatiche, ed auspico che attraverso il dialogo, i rapporti fra tutti i Paesi del Caucaso meridionale migliorino. Durante il mio pellegrinaggio in Terra Santa, ho richiamato in modo pressante Israeliani e Palestinesi a dialogare e a rispettare i diritti dell’altro. Ancora una volta levo la mia voce, affinché sia universalmente riconosciuto il diritto dello Stato di Israele ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. E che, ugualmente, sia riconosciuto il diritto del Popolo palestinese ad una patria sovrana e indipendente, a vivere con dignità e a potersi spostare liberamente. Mi preme, inoltre, sollecitare il sostegno di tutti perché siano protetti l’identità e il carattere sacro di Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui valore è universale. Solo così questa città unica, santa e tormentata, potrà essere segno e anticipazione della pace che Dio desidera per l’intera famiglia umana! Per amore del dialogo e della pace, che salvaguardano la creazione, esorto i governanti e i cittadini dell’Iraq ad oltrepassare le divisione, la tentazione della violenza e l’intolleranza, per costruire insieme l’avvenire del loro Paese. Anche le comunità cristiane vogliono dare il loro contributo, ma perché ciò sia possibile, bisogna che sia loro assicurato rispetto, sicurezza e libertà. Anche il Pakistan è stato duramente colpito dalla violenza in questi ultimi mesi e alcuni episodi hanno preso di mira direttamente la minoranza cristiana. Domando che si compia ogni sforzo affinché tali aggressioni non si ripetano e i cristiani possano sentirsi pienamente integrati nella vita del loro Paese. Trattando delle violenze contro i cristiani, non posso non menzionare, peraltro, i deplorevoli attentati di cui sono state vittime le Comunità copte egiziane in questi ultimi giorni, proprio quando stavano celebrando il Natale. Per quanto riguarda l’Iran, auspico che attraverso il dialogo e la collaborazione, si raggiungano soluzioni condivise, sia a livello nazionale che sul piano internazionale. Al Libano, che ha superato una lunga crisi politica, auguro di proseguire sempre sulla via della concordia. Confido che l’Honduras, dopo un periodo di incertezza e trepidazione, si incammini verso una ritrovata normalità politica e sociale. E lo stesso mi auguro che si realizzi in Guinea ed in Madagascar, con l’aiuto effettivo e disinteressato della comunità internazionale.
Signore e Signori Ambasciatori, al termine di questo rapido giro d’orizzonte, che, a motivo della brevità non può soffermarsi su tutte le situazioni pur meritevoli di menzione, mi tornano alla mente le parole dell’Apostolo Paolo, secondo cui "la creazione geme e soffre" e "anche noi… gemiamo interiormente" ( Rm 8,22-23). Sì, c’è tanta sofferenza nell’umanità e l’egoismo umano ferisce la creazione in molteplici modi. Per questo l’attesa di salvezza, che tocca tutta quanta la creazione, è ancor più intensa ed è presente nel cuore di tutti, credenti e non credenti. La Chiesa indica che la risposta a tale anelito è il Cristo, il "primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra" (Col 1,15-16). Fissando lo sguardo su di Lui, esorto ogni persona di buona volontà ad operare con fiducia e generosità per la dignità e la libertà dell’uomo. Che la luce e la forza di Gesù ci aiutino a rispettare l’"ecologia umana", consapevoli che anche l’ecologia ambientale ne trarrà beneficio, poiché il libro della natura è uno ed indivisibile. E’ così che potremo consolidare la pace, oggi e per le generazioni che verranno. Buon Anno a tutti!
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
Portogallo: approvato il matrimonio omosessuale - I Vescovi lamentano che si legiferi contro istituzioni “naturali e fondamentali”
ROMA, lunedì, 11 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Parlamento del Portogallo ha approvato venerdì il disegno di legge del Governo che permette il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso. La possibilità che queste coppie possano adottare bambini è rimasta finora fuori dalla nuova legislazione.
La proposta è stata approvata con il sostegno dei voti del Partito Socialista (PS), che governa in minoranza con 97 dei 230 seggi dell'Assemblea. Hanno dato il proprio sostegno anche il Partito Comunista del Portogallo (PCP), il Blocco di Sinistra e i Verdi.
L'agenzia dell'episcopato portoghese, Ecclesia, ha ricordato che vari membri della gerarchia cattolica si sono pronunciati su questo tema nelle ultime settimane.
Monsignor Ilídio Leandro, Vescovo di Viseu, ha lamentato il fatto che il Governo legiferi “contro istituzioni che sono basi naturali e fondamentali” della società.
Il Cardinal-Patriarca di Lisbona, monsignor José Policarpo, ha indicato che “il problema in questione non è l'omosessualità. Il discorso ha altri parametri. In questo momento, è in gioco la natura del matrimonio, che non è una questione religiosa, ma innanzitutto culturale”.
“Le culture millenarie considerano il matrimonio un contratto tra un uomo e una donna, che dà luogo a un'istituzione, la famiglia. Cambiare questa comprensione millenaria di ciò che è la famiglia nell'umanità può avere conseguenze gravissime in futuro”, ha affermato il Cardinale.
Monsignor Manuel Clemente, Vescovo di Porto, ha ribadito dal canto suo che il matrimonio è “basato sull'alterità uomo/donna, che è alla base della costruzione della società”.
“Dico questo da cittadino: c'è qui un valore strutturante della società, istituzionale, relativo a qualcosa che la società ha riconosciuto come molto importante e per questo aveva bisogno di essere salvaguardato e promosso”, ha indicato.
LA «CONFESSIONE » DI UNA GIOVANE MALATA DI AIDS - Quando uno sguardo sincero rivela mali nascosti e diffusi - GABRIELLA SARTORI – Avvenire, 12 gennaio 2010
H a 21 anni, studia alla Bocconi, vive a Milano e appare a tutti una 'ragazza solare, normale'. Invece no: pochi mesi dopo aver compiuto diciott’anni ha scoperto che il suo ragazzo le aveva trasmesso il virus dell’Aids. Da tre anni la sua vita è cambiata dalle fondamenta: è sola, la ragazza della Bocconi, nemmeno i suoi genitori conoscono la sua situazione.
All’ospedale Sacco, dove è seguita con ogni attenzione, umana e professionale, lei (e tutti quelli come lei: due nuovi casi al giorno solo a Milano, spesso padri di famiglia totalmente irresponsabili) 'costa' millecinquecento euro al mese al servizio pubblico sanitario solo per le medicine senza contare le visite mensili e i vari controlli. E il peso insopportabile di vivere come deve vivere ora: con l’angustia di una malattia così pesante, col peso di un segreto come questo che è impossibile da dire perfino ai genitori, e che è molto difficile esprimere anche ai coetanei, con la paura che subito ti emarginino...
«Io non sono una drogata, una dai facili costumi – continua la ragazza della Bocconi –, io sono una ragazza normale che è stata per quattro anni con lo stesso ragazzo, che non lo ha mai tradito», ricevendone, in cambio, questa specie di inferno in cui l’ha precipitata. Auspica, la studentessa, una maggiore informazione su questo stato di cose (e come darle torto?), una maggiore 'educazione' che lei chiama 'sessuale'in un primo tempo, andando però subito dopo al vero 'cuore' del problema, parlando cioè di educazione all’amore o almeno alla responsabilità: «Se gli uomini smettessero di tradire le loro mogli e fidanzate, io ora non sarei malata di Hiv e non sarebbe per me così difficile trovare una ragione di vita».
Fin qui la lettera che la protagonista di questa storia ha scritto sul più diffuso quotidiano italiano. Ed è davvero difficile aggiungere qualcosa a questo quadro, così palpitante di dolore e disperazione, così drammaticamente 'convincente'. A un lettore distratto, il doloroso grido finale della ragazza della Bocconi potrebbe sembrare il testo di una 'predica' di qualche confessore vecchia maniera, di quelli insomma 'non in linea con i tempi'. Invece è questa la verità che nasce dall’impatto con la realtà dell’esistenza: il 'peccato', anche se è quello contro l’onesto uso del sesso, è sempre peccato. Significa cioè inganno, oggi come all’inizio della storia, nel giardino dell’Eden, (e doppio inganno: da parte di chi ha tradito un amore fedele e da parte di chi ha fatto credere che certe abitudini, ormai considerate 'normali', siano senza conseguenze). Significa sempre qualcosa di contrario all’amore: sofferenza, perdita di fiducia e di speranza, dolore, dolore immenso come quello che ha colpito questa ragazza che ha avuto troppa fiducia in chi non la meritava. E significa ingiustizia, non solo individuale ma anche sociale: la studentessa della Bocconi lo percepisce ancora una volta con ammirevole sincerità. Quando fa i conti di quanto grande sia la pubblica spesa per le cure ai malati come lei, per i quali la malattia era facilmente evitabile, nota: «Non mi piace l’idea di pesare sugli altri».
Ed è anche questa la spia di una coscienza retta, responsabile, attenta al bene comune, non solo al proprio.
Avessero un decimo di questa sensibilità tanti pubblici amministratori che continuano a rendersi famosi per le 'voragini' finanziarie sanitarie in cui precipitano le regioni che 'governano' (?) a causa di incompetenza, inefficienza, disonestà, devozione allo spreco, moltiplicando la spesa e minimizzando i servizi al bene primario che è la salute dei cittadini! Anche questo è peccato, e peccato sociale dei peggiori. Stavolta, è stata una 'peccatrice' come la sfortunata ragazza della Bocconi a ricordarcelo. Anche di questo le siamo grati. E anche per questo siamo umanamente e cristianamente vicini a lei e ai suoi compagni di sventura.
Avvenire, 12 Gennaio 2010 - Anticipazione - Agostino batte le eresie di oggi - Giuliano Vigini
La frequentazione di Agostino da parte di Benedetto XVI è la storia di una lunga amicizia, che risale agli anni giovanili. Coltivandola e approfondendola, egli entra in sintonia con la sua opera, ne coglie la novità, ne assapora il gusto. L’occasione di una dissertazione alla Ludwig Maximilian Universität di Monaco, nell’anno accademico 1950-1951, lo sollecita a indagare e a comprendere in modo nuovo la natura sacramentale della Chiesa, partendo proprio dal pensiero cristologico ed ecclesiologico elaborato da Agostino, nella cui visione e azione nulla è separato, ma tutto tende a interagire e a comporsi in un’armonia feconda. In realtà, si nota ben presto che la dottrina di Agostino lascia nel giovane Ratzinger una traccia profonda.
Nei corsi, nei seminari e nelle conferenze da lui tenute nelle facoltà teologiche delle università tedesche (Bonn, Münster, Tübingen, Regensburg), già a partire dalla fine degli anni Cinquanta e fino all’anno della sua nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga (1977), Agostino rappresenta un punto di riferimento costante: uno dei fondamenti ispiratori della sua teologia, così come uno dei fari spirituali del suo magistero. Per Benedetto XVI il travagliato iter dell’esistenza di Agostino e il suo approdo alla fede è caratterizzato innanzitutto dalla «passione per la verità», come ebbe a ricordare anche nella solenne concelebrazione eucaristica agli «Orti borromaici», durante la sua visita a Pavia per venerare le spoglie di Agostino (22 aprile 2007).
Non però la verità intesa come principio filosofico astratto, ma come verità tangibile; non quindi un miraggio lontano, ma una verità incarnata. È la fede a spalancargli questo orizzonte di verità, facendogli trovare il legame costitutivo tra l’<+corsivo>intelligere<+tondo> e il credere, tra le istanze della ragione e l’autorità della fede, tra la fede pensata e la fede vissuta.
Ma, prima di tutto, è l’umiltà con cui Agostino si pone in ricerca ad aprirgli le porte del mistero di Dio, ed è a questa umiltà a cui anche ogni cristiano è chiamato: «All’umiltà dell’incarnazione di Dio deve corrispondere – questo è il grande passo – l’umiltà della nostra fede, che depone la superbia saccente e si china entrando a far parte della comunità del corpo di Cristo».
Dopo il cammino di conversione e avvicinamento alla fede, Agostino ha però saputo mostrarsi umile – sottolinea il Papa – anche nel sacrificare i propri sogni (primo fra tutti, una volta diventato sacerdote, di dedicarsi alla vita contemplativa), per essere vangelo vivo in mezzo alla gente. Ai bivi della vita – dove si vorrebbe scegliere di andare da una parte, e dove Dio invece chiede di andare da un’altra – è spesso richiesto anche questo atto di umiltà.
Agostino ha saputo compierlo, mettendosi totalmente al servizio degli altri: «Sempre di nuovo essere lì per tutti, non per la propria perfezione; sempre di nuovo, insieme con Cristo, donare la propria vita, affinché gli altri potessero trovare Lui, la vera Vita». La fede umile di Agostino si manifesta anche nel suo inesausto bisogno della misericordia di Dio. Il suo non è stato l’atteggiamento di chi ha ricevuto il dono della grazia una volta per sempre, ma di chi, al contrario, si è sentito per tutta la vita un «mendicante di Dio» (mendicus Dei) ed ha perciò continuato a cercarlo per essere da lui perdonato e soccorso. Sotto questo aspetto, dall’esperienza di Agostino viene anche una sollecitazione alla «conversione permanente», assieme alla «grazia della perseveranza, che dobbiamo ogni giorno chiedere al Signore».
Infine, la passione per la verità che in Agostino trova sbocco nella fede in Cristo e nella fede della Chiesa si esprime anche in una grande passione per l’uomo. La fede non chiude le porte, non isola, non allontana la ragione e la libertà, non esclude nulla. La fede apre, dilata, orienta e guida, perché la fede nel «Dio Amore» (1Gv 4, 8.16) è tale se si manifesta come espansione d’amore, e la Chiesa è se stessa nella misura in cui sa vivere come comunità d’amore. La prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est – idealmente consegnata al mondo davanti alla tomba di Agostino e a lui «largamente debitrice» –, è appunto lo specchio di questo comandamento della carità, vissuto come servizio alla verità e all’amore di Cristo.
Nel presentare Agostino, Benedetto XVI arriva al cuore del suo insegnamento e lì attinge i pensieri, le parole e gli esempi che costituiscono le linee-guida del suo magistero. Per lui, Agostino è come uno specchio che riflette anche una parte di sé. Ripercorrendo la sua opera teologica, spirituale-meditativa e culturale, si può cogliere, in realtà, il filo conduttore agostiniano che ispira e tiene insieme le varie parti della sua riflessione. Due sembrano i concetti-cardine attraverso i quali si sviluppa il pensiero di Benedetto XVI: la verità e l’unità. La verità intesa come «sinfonia», secondo un concetto antico ripreso e reso famoso da Hans Urs von Balthasar.
L’unità intesa come comunione nella verità, dove le differenze non si scompongono e autoisolano in rovinosi particolarismi, ma si saldano in una reciprocità d’amore che guarda sempre al bene più grande, cioè la verità piena, totale e armonica. Quando vengono a mancare questi presupposti, l’approccio alla verità diventa una «mono-fonia», anziché essere una «sin-fonia»; un canto omofono invece che polifonico. È quanto Johann Möhler – uno dei teologi più apprezzati da Benedetto XVI (con Newman, Rosmini, Scheeben, Guardini, De Lubac, Congar, von Balthasar...) – esprimeva in modo analogo, parlando del senso di superiore bellezza che si riceve da un coro: non tanto perché delle persone cantano in modo impeccabile, ma perché l’educazione dei cantori e la saggezza di chi li guida sono tali da fondere voci e tonalità diverse in un’unica armonia. In questa linea di pensiero – che richiama per vari aspetti la predicazione e l’azione pastorale di Agostino – si colloca l’opera di Benedetto XVI.
Già nel suo celebre Rapporto sulla fede (il colloquio-intervista con Vittorio Messori) l’autore affrontava tutta una serie di problematiche teologiche e morali (dall’idea di Chiesa al dramma della morale; dalla liturgia ai fratelli separati; dalla teologia della liberazione al femminismo), preoccupandosi di mettere dei punti fermi e di dissipare i numerosi equivoci sorti su tante questioni. Oggi alcune di quelle questioni sono tornate; altre hanno mutato di segno; altre ancora si sono aggiunte, alimentando antichi e nuovi dibattiti.
Puntando alle sorgenti della fede e a un’interpretazione autentica dei testi, Benedetto XVI tiene comunque sempre fissa la barra al centro, dove la fedeltà ai princìpi, alla tradizione, a una chiara e solida identità cristiana non preclude la possibilità di vedere e applicare, in modo intelligente ed equilibrato, ciò che può servire a vivere sempre più consapevolmente la propria fede, nell’oggi della Chiesa e dell’uomo.
Se ai tempi di Agostino le controversie erano di natura dottrinale e vedevano lo strenuo impegno del vescovo di Ippona nel combattere tante eresie e deviazioni (manichei, donatisti, pelagiani, eccetera), oggi le grandi problematiche sono di natura ecclesiale e pastorale, considerate soprattutto all’interno del vasto tema della «nuova evangelizzazione», in un mondo sempre più secolarizzato, fuori e dentro la Chiesa. Tutto l’impegno di Benedetto XVI, nell’adempiere al proprio mandato di custodire e confermare i fratelli nella fede, sta nel richiamare la necessità di un forte radicamento in Cristo e nei valori perenni del cristianesimo. Questi sono gli unici veri presupposti per essere cristiani maturi nel vivere la fede e credibili nel portarla agli altri.
Da qui anche il richiamo – nella memoria viva di Agostino, uno dei padri fondatori della cultura occidentale – ai fondamenti cristiani dell’Europa, alle sue «radici», che sono come il cemento che tiene insieme l’idea stessa dell’uomo, sacro in quanto creatura di Dio e inviolabile nella sua dignità di persona. Senza tali radici, non solo si viene a perdere l’identità cristiana che ha plasmato spiritualmente e culturalmente l’Europa, ma viene a sfaldarsi, nel relativismo imperante, la verità profonda dell’uomo e del suo destino, che dovrebbe invece essere l’anima comune anche dell’Europa di oggi.
1) Matt King, il ragazzo che non si è arreso - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 11 gennaio 2010
2) Benedetto XVI: l'Occidente deve adottare una “laicità positiva” - Le radici del degrado ambientale sono “di ordine morale”
3) Discorso del Papa al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - "La custodia del creato è un importante fattore di pace e di giustizia!"
4) Portogallo: approvato il matrimonio omosessuale - I Vescovi lamentano che si legiferi contro istituzioni “naturali e fondamentali”
5) LA «CONFESSIONE » DI UNA GIOVANE MALATA DI AIDS - Quando uno sguardo sincero rivela mali nascosti e diffusi - GABRIELLA SARTORI – Avvenire, 12 gennaio 2010
6) Avvenire, 12 Gennaio 2010 - Anticipazione - Agostino batte le eresie di oggi - Giuliano Vigini
Matt King, il ragazzo che non si è arreso - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 11 gennaio 2010
Matt King era un ragazzo pieno di vita che aveva appena coronato un suo sogno. Quello di diventare giocatore professionista di rugby nella squadra giovanile della London Broncos Accademy.
Si sentiva quasi aria di primavera il giorno in cui avrebbe dovuto giocare, nel campo di Halifax, la sua prima partita proprio da professionista. Ma quel 4 aprile 2004, quello che doveva essere il giorno più bello della sua vita, si trasformò in tragedia.
Dopo soli 20 secondi dall’inizio del gioco, sotto il peso di un avversario, Matt non ha neppure il tempo di accorgersi di essere entrato uno stato comatoso. Riprende i sensi durante il viaggio di trasporto in elicottero verso Leeds, e immediatamente percepisce l’esito devastante dell’incidente: paralisi totale. Gli infermieri gli chiedono di muovere le dita dei piedi e lui viene assalito da una sensazione di terrore. Urla di lasciarlo morire perché già immagina un futuro d’inferno e una vita non più degna di essere vissuta.
Giunto a Leeds, i medici non possono che confermare il tragico verdetto: la spina dorsale è irrimediabilmente compromessa al punto da immobilizzare il corpo dal collo in giù. Gli spiegano che la sua situazione è pressoché identica a quella dell’attore Christopher Reeve, il Superman cinematografico, paralizzato a causa di una caduta da cavallo nel 1995 e che sarebbe morto di lì a poco dall’incidente di Matt King, nell’ottobre del 2004.
Trasferito allo Stoke Mandeville Hospital, centro specializzato per le patologie alla spina dorsale, Matt trascorrerà lì nove mesi. Quel periodo, che lui definirà di assoluta desolazione («bleak time») non si rivelerà, però, inutile. Per sua stessa ammissione, il ragazzo percepisce che debba esistere, comunque, un senso a tutto ciò che gli è accaduto, e decide che anche lui, pur totalmente paralizzato e costretto a vivere attaccato ad un respiratore, può essere capace in una «meaningful life», una vita piena di significato.
Per raggiunger questo obiettivo Matt intuisce di aver bisogno di un’istruzione.
Così, decide di studiare e di frequentare la facoltà di giurisprudenza all’università, perché, con un pizzico di autoironia, spiega a tutti che «con la legge non bisogna usare nient’altro che il cervello».
Per quale motivo ho deciso di parlare di questa storia? Semplicemente perché Matt King, dopo aver frequentato in questi anni l’Università di Herthfordshire, lo scorso 27 novembre ha ricevuto il diploma di laurea con il massimo dei voti e con lode, durante una cerimonia tenuta presso la Cattedrale di St. Albans. Grazie alle sue capacità, ha già ottenuto l’offerta di entrare in uno dei più prestigiosi studi legali di Londra, tra due anni, dopo che avrà ultimato il “practice course” all’università. Ora è assistito da due accompagnatori a tempo pieno e da un assistente che scrive per lui. La sedia a rotelle ed il respiratore artificiale non hanno rappresentato un ostacolo neppure in altre imprese di Matt, tra cui quella di essere stato il primo quadriplegico a completare la maratona di New York in sei ore e mezzo, e di raccogliere nell’occasione 10.000 sterline per opere di beneficenza. E’ anche diventato mentore del Back-Up Trust, un’organizzazione non-profit che ha lo scopo di aiutare coloro che sono affetti da gravi malattie alla spina dorsale.
Matt King non è l’unico esempio di chi è riuscito a vincere le avversità sottraendosi alla disperazione.
Matt Hampson, ad esempio, un altro ex giocatore di rugby completamente paralizzato a seguito di un incidente, è stato capace di creare un sito web, di scrivere un’autobiografia e di fondare un’associazione per bambini disabili denominata SpecialEffect. Mi hanno colpito le sue parole pronunciate l’anno scorso: «Io non ho una brutta vita, vivo una vita semplicemente diversa». Giocando sulle parole, ha anche aggiunto: «Uso il mio cervello (“brain”) più del mio midollo spinale (“brawn”). Mi ha aiutato ad essere una persona più riflessiva. Ora penso molto di più». Matt Hampson è dovuto crescere più in fretta e fa cose che normalmente i suoi coetanei ventenni non fanno.
La testimonianza vivente di questi ragazzi è la migliore risposta a tutte le polemiche che continuano a ruotare intorno al tema drammatico del suicidio assistito in Gran Bretagna.
E’ rispetto alla capacità di dare un senso all’esistenza, che si gioca, in realtà, la scelta di vivere o morire. Così, di fronte al mistero che ti inchioda a condizioni esistenziali drammatiche, si può reagire come ha fatto Matt King o come ha fatto Daniel James, un altro giovane giocatore paralizzato da un incidente di rugby, che l’anno scorso, a soli 23 anni, ha deciso – grazie all’ambigua e compiacente normativa britannica – di ricorrere al suicidio assistito presso la famigerata clinica svizzera Dignitas.
Se la vita, come scriveva Shakespeare nel suo Macbeth, non è altro che «una favola raccontata da un idiota in un accesso di furore», priva di senso e di significato, allora quando le circostanze la rendono quasi invivibile, la soluzione più comoda resta quella di una “easy way out”, di un’agevole via d’uscita. La più efficace definizione di eutanasia.
Matt King, invece, ha compreso che la vita è una cosa seria: seria di fronte all’universo (perciò ha un compito) e seria di fronte al destino (perciò ha un significato ultimo da raggiungere).
Se non avesse compreso tutto questo, anche lui avrebbe corso il rischio di comprare un biglietto senza ritorno per la Svizzera.
Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto
Benedetto XVI: l'Occidente deve adottare una “laicità positiva” - Le radici del degrado ambientale sono “di ordine morale”
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 11 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Papa ha chiesto questo lunedì, soprattutto all'Occidente, un riconoscimento del contributo che le religioni danno alla pace e al rispetto della creazione attraverso una “laicità positiva”.
Lo ha affermato durante il suo discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la santa Sede durante la tradizionale udienza di inizio anno, nella quale il Pontefice si riferisce alla situazione mondiale.
In questa occasione, ha voluto dedicare il suo intervento alla questione della salvaguardia dell'ambiente come condizione “indispensabile” per la pace nel mondo.
Le cause del degrado ambientale, ha osservato, sono tuttavia “di ordine morale e la questione deve essere affrontata nel quadro di un grande sforzo educativo, per promuovere un effettivo cambiamento di mentalità ed instaurare nuovi stili di vita”.
In questo senso, ha affermato che “può e vuole essere partecipe la comunità dei credenti, ma perché ciò sia possibile, bisogna che se ne riconosca il ruolo pubblico”.
Il Papa ha lamentato che “in alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta, di ostilità, per non dire di disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana”.
“E’ chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso”, ha osservato.
Secondo Benedetto XVI, questo modo di concepire la società “crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina l’ecologia umana e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla propria, si trasforma in una strada senza uscita”.
Per questo, è necessario “definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa”.
In questa prospettiva, ha espresso la propria soddisdazione per il fatto che il Trattato di Lisbona, attualmente in fase di ratifica, affermi all'art. 17 che l'unione Europea manterrà con le Chiese “un dialogo aperto, trasparente e regolare”.
Il Papa ha poi auspicato che “l’Europa sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana”.
“Come ho rimarcato durante il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella Repubblica Ceca, essa ha un ruolo insostituibile per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama questo continente 'casa'”.
A questo proposito, ha affermato che con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona l'Europa “ha iniziato una nuova fase del suo processo di integrazione”, processo che la Santa Sede “continuerà a seguire con rispetto e con benevola attenzione”.
Senza Dio, non c'è rispetto del creato
“La Chiesa è aperta a tutti, perché – in Dio - esiste per gli altri! Pertanto essa partecipa intensamente alle sorti dell’umanità”, ha sottolineato il Vescovo di Roma.
Riferendosi all'attuale crisi economica, ha osservato che le cause sono di tipo morale e che devono essere ricercate “nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura”.
“Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato”, ha constatato, portando come esempio il caso dell'Est europeo, dove i regimi comunisti atei hanno provocato, tra le altre cose, gravi danni ambientali.
“Quando cadde il Muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria?”, ha chiesto.
La negazione di Dio, ha aggiunto, “sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione”.
Per questo, ha concluso che la salvaguardia del creato “non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio”.
Discorso del Papa al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - "La custodia del creato è un importante fattore di pace e di giustizia!"
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 11 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo lunedì in Vaticano i membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.
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Eccellenze,
Signore e Signori,
E’ per me motivo di grande gioia questo incontro tradizionale d’inizio d’anno, due settimane dopo la celebrazione della nascita del Verbo incarnato. Come abbiamo proclamato nella liturgia: "Nel mistero adorabile del Natale, Egli, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, e generato prima dei secoli, cominciò ad esistere nel tempo, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta" (Prefazio II del Natale). A Natale, quindi, abbiamo contemplato il mistero di Dio e quello della creazione; mediante l’annuncio degli angeli ai pastori ci è giunta la buona novella della salvezza dell’uomo e del rinnovamento dell’intero universo. Per questa ragione, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, ho invitato tutti gli uomini di buona volontà, ai quali gli angeli hanno promesso giustamente la pace, a custodire il creato. Ed è in questo stesso spirito che sono lieto di salutare ciascuno di Voi, in particolare coloro che sono presenti per la prima volta a questa cerimonia. Vi ringrazio sentitamente per i voti augurali, di cui si è fatto interprete il vostro Decano, il Signor Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, e Vi rinnovo il mio vivo apprezzamento per la missione che svolgete presso la Santa Sede. Attraverso di Voi, desidero far giungere il mio cordiale saluto e augurio di pace e prosperità alle Autorità e a tutti gli abitanti dei Paesi che Voi degnamente rappresentate. Il mio pensiero si estende, anche, a tutte le altre Nazioni della terra: il Successore di Pietro mantiene le sue porte aperte a tutti e con tutti desidera avere relazioni che contribuiscano al progresso della famiglia umana. Da qualche settimana, sono state stabilite piene relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Federazione Russa: è questo un motivo di profonda soddisfazione. Allo stesso modo, è stata molto significativa la visita che mi ha reso recentemente il Presidente della Repubblica Socialista del Vietnam, Paese che è caro al mio cuore e nel quale la Chiesa sta celebrando la sua plurisecolare presenza con un Anno giubilare. Con tale spirito di apertura, nel corso del 2009, ho ricevuto numerose personalità politiche, provenienti da diversi Paesi; ho anche visitato alcuni di essi e mi propongo in futuro, nella misura del possibile, di continuare a farlo.
La Chiesa è aperta a tutti, perché – in Dio - esiste per gli altri! Pertanto essa partecipa intensamente alle sorti dell’umanità, che in questo anno appena iniziato, appare ancora segnata dalla drammatica crisi che ha colpito l’economia mondiale e ha provocato una grave e diffusa instabilità sociale. Con l’Enciclica Caritas in veritate ho invitato ad individuare le radici profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura. Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato. Ciascuno di noi, probabilmente, potrebbe citare qualche esempio dei danni che essa arreca all’ambiente, in ogni parte del mondo. Ne cito uno, tra i tanti, dalla storia recente dell’Europa: vent’anni fa, quando cadde il Muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria? La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione! Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio.
Pertanto, condivido la maggiore preoccupazione che causano le resistenze di ordine economico e politico alla lotta contro il degrado dell’ambiente. Si tratta di difficoltà che si sono potute constatare ancora di recente durante la XV Sessione della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi dal 7 al 18 dicembre scorso a Copenaghen. Auspico che, nell’anno corrente, prima a Bonn e poi a Città del Messico, sia possibile giungere ad un accordo per affrontare tale questione in modo efficace. La posta in gioco è tanto più importante perché ne va del destino stesso di alcune Nazioni, in particolare, alcuni Stati insulari.
Occorre, tuttavia, che tale attenzione e tale impegno per l’ambiente siano bene inquadrati nell’insieme delle grandi sfide che si pongono all’umanità. Se, infatti, si vuole edificare una vera pace, come sarebbe possibile separare, o addirittura contrapporre la salvaguardia dell’ambiente a quella della vita umana, compresa la vita prima della nascita? E’ nel rispetto che la persona umana nutre per se stessa che si manifesta il suo senso di responsabilità verso il creato. Perché, come insegna S. Tommaso d’Aquino, l’uomo rappresenta quanto c’è di più nobile nell’universo (cfr. Summa Theologiae, I, q.29, a.3). Inoltre, come ho ricordato al recente Vertice Mondiale della FAO sulla Sicurezza alimentare, "la terra può sufficientemente nutrire tutti i suoi abitanti" (Discorso del 16 novembre 2009, 2), purché l’egoismo non porti alcuni ad accaparrarsi i beni destinati a tutti!
Vorrei sottolineare ancora che la salvaguardia della creazione implica una corretta gestione delle risorse naturali dei paesi, in primo luogo, di quelli economicamente svantaggiati. Il mio pensiero va al Continente africano, che ho avuto la gioia di visitare nel marzo scorso, recandomi in Camerun ed Angola, ed al quale sono stati dedicati i lavori della recente Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi. I Padri sinodali hanno segnalato con preoccupazione l’erosione e la desertificazione di larghe zone di terra coltivabile, a causa dello sfruttamento sconsiderato e dell’inquinamento dell’ambiente (cfr. Propositio n. 22). In Africa, come altrove, è necessario adottare scelte politiche ed economiche che assicurino "forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 10).
Come dimenticare, poi, che la lotta per l’accesso alle risorse naturali è una delle cause di vari conflitti, tra gli altri in Africa, così come la sorgente di un rischio permanente in altre situazioni? Anche per questa ragione ripeto con forza che, per coltivare la pace, bisogna custodire il creato! D’altra parte ci sono ancora vaste estensioni di terra, per esempio in Afghanistan ed in alcuni paesi dell’America Latina, dove purtroppo l’agricoltura è ancora legata alla produzione di droga e costituisce una fonte non trascurabile di occupazione e di sostentamento. Se si vuole la pace, occorre custodire il creato con la riconversione di tali attività. Chiedo perciò alla comunità internazionale, ancora una volta, che non si rassegni al traffico della droga ed ai gravi problemi morali e sociali che essa genera.
Sì, Signore e Signori, la custodia del creato è un importante fattore di pace e di giustizia! Fra le tante sfide che essa lancia, una delle più gravi è quella dell’aumento delle spese militari, nonché quella del mantenimento o dello sviluppo degli arsenali nucleari. Ciò assorbe ingenti risorse, che potrebbero, invece, essere destinate allo sviluppo dei Popoli, soprattutto di quelli più poveri. Confido, fermamente, che nella Conferenza di esame del Trattato di Non-Proliferazione nucleare, in programma per il maggio prossimo a New York, vengano prese decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare il pianeta dalle armi nucleari. Più in generale, deploro che la produzione e l’esportazione di armi contribuiscano a perpetuare conflitti e violenze, come quelli nel Darfur, in Somalia e nella Repubblica Democratica del Congo. All’incapacità delle parti direttamente coinvolte di sottrarsi alla spirale di violenza e di dolore generata da questi conflitti, si aggiunge l’apparente impotenza degli altri Paesi e delle Organizzazioni internazionali a riportare la pace, senza contare l’indifferenza quasi rassegnata dell’opinione pubblica mondiale. Non occorre poi sottolineare come tali conflitti danneggino e degradino l’ambiente. Come, infine, non menzionare il terrorismo che mette in pericolo un così gran numero di vite innocenti e provoca un diffuso senso di angoscia? In questa solenne circostanza, desidero rinnovare l’appello che ho lanciato il 1° gennaio durante la preghiera dell’Angelus a quanti fanno parte di gruppi armati di qualsiasi tipo affinché abbandonino la strada della violenza e aprano il loro cuore alla gioia della pace.
Le gravi violenze che ho appena evocato, unite ai flagelli della povertà e della fame, come pure alle catastrofi naturali ed al degrado ambientale, contribuiscono ad ingrossare le fila di quanti abbandonano la propria terra. Di fronte a tale esodo, invito le Autorità civili, che vi sono coinvolte a diverso titolo, ad agire con giustizia, solidarietà e lungimiranza. In particolare, vorrei menzionare i Cristiani in Medio Oriente: colpiti in varie maniere, fin nell’esercizio della loro libertà religiosa, essi lasciano la terra dei loro padri in cui si è sviluppata la Chiesa dei primi secoli. E’ per offrire loro un sostegno e per far loro sentire la vicinanza dei fratelli nella fede, che ho convocato, per l’autunno prossimo, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente.
Signore e Signori Ambasciatori, quelle che ho tracciato finora sono soltanto alcune delle dimensioni connesse con la problematica ambientale. Tuttavia, le radici della situazione che è sotto gli occhi di tutti, sono di ordine morale e la questione deve essere affrontata nel quadro di un grande sforzo educativo, per promuovere un effettivo cambiamento di mentalità ed instaurare nuovi stili di vita. Di ciò può e vuole essere partecipe la comunità dei credenti, ma perché ciò sia possibile, bisogna che se ne riconosca il ruolo pubblico. Purtroppo, in alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta, di ostilità, per non dire di disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana. E’ chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso. Un tale approccio crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina l’"ecologia umana" e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla propria, si trasforma in una strada senza uscita. Urge, pertanto, definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa. In questa prospettiva, io penso all’Europa, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha iniziato una nuova fase del suo processo di integrazione, che la Santa Sede continuerà a seguire con rispetto e con benevola attenzione. Nel rilevare con soddisfazione che il Trattato prevede che l’Unione Europea mantenga con le Chiese un dialogo "aperto, trasparente e regolare" (art. 17), auspico che, nella costruzione del proprio avvenire, l’Europa sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana. Come ho rimarcato durante il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella Repubblica Ceca, essa ha un ruolo insostituibile "per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama questo continente «casa»!" (Discorso alle autorità civili e al corpo diplomatico, 26 settembre 2009).
Proseguendo nella nostra riflessione, è necessario rilevare che la problematica dell’ambiente è complessa. Si potrebbe dire che è un prisma dalle molte sfaccettature. Le creature sono differenti le une dalle altre e possono essere protette, o, al contrario, messe in pericolo, in modi diversi, come ci mostra l’esperienza quotidiana. Uno di tali attacchi proviene da leggi o progetti, che, in nome della lotta contro la discriminazione, colpiscono il fondamento biologico della differenza fra i sessi. Mi riferisco, per esempio, ad alcuni Paesi europei o del Continente americano. "Se togli la libertà, togli la dignità", come disse S. Colombano (Epist. n.4 ad Attela, in S. Columbani opera, Dublin 1957, p. 34.) Tuttavia, la libertà non può essere assoluta, perché l’Uomo non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura. Per l’uomo, il cammino da seguire non può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore.
La salvaguardia della creazione comporta anche altre sfide, alle quali non si può rispondere che attraverso la solidarietà internazionale. Penso alle catastrofi naturali, che durante l’anno scorso hanno seminato morti, sofferenze e distruzioni nelle Filippine, in Vietnam, nel Laos, in Cambogia e nell’isola di Taiwan. Come non ricordare poi l’Indonesia, e, più vicino a noi, la regione dell’Abruzzo, scosse da devastanti terremoti? Di fronte a simili eventi non deve venire meno l’aiuto generoso, perché la vita stessa delle creature di Dio è in gioco. Ma la salvaguardia della creazione, oltre che della solidarietà, ha bisogno anche della concordia e della stabilità degli Stati. Quando insorgono divergenze ed ostilità fra questi ultimi, per difendere la pace debbono perseguire con tenacia la via di un dialogo costruttivo. E’ quanto avvenne venticinque anni or sono con il Trattato di Pace ed Amicizia fra Argentina e Cile, che fu raggiunto grazie alla mediazione della Sede Apostolica. Esso ha portato abbondanti frutti di collaborazione e prosperità, di cui ha beneficiato, in qualche modo, l’intera America Latina. In questa stessa parte del mondo, sono lieto del riavvicinamento intrapreso da Colombia ed Ecuador, dopo parecchi mesi di tensione. Più vicino a noi, mi compiaccio dell’intesa conclusa tra Croazia e Slovenia a proposito dell’arbitrato relativo alle loro frontiere marittime e terrestri. Mi rallegro, altresì, dell’accordo tra Armenia e Turchia, in vista della ripresa delle loro relazioni diplomatiche, ed auspico che attraverso il dialogo, i rapporti fra tutti i Paesi del Caucaso meridionale migliorino. Durante il mio pellegrinaggio in Terra Santa, ho richiamato in modo pressante Israeliani e Palestinesi a dialogare e a rispettare i diritti dell’altro. Ancora una volta levo la mia voce, affinché sia universalmente riconosciuto il diritto dello Stato di Israele ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. E che, ugualmente, sia riconosciuto il diritto del Popolo palestinese ad una patria sovrana e indipendente, a vivere con dignità e a potersi spostare liberamente. Mi preme, inoltre, sollecitare il sostegno di tutti perché siano protetti l’identità e il carattere sacro di Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui valore è universale. Solo così questa città unica, santa e tormentata, potrà essere segno e anticipazione della pace che Dio desidera per l’intera famiglia umana! Per amore del dialogo e della pace, che salvaguardano la creazione, esorto i governanti e i cittadini dell’Iraq ad oltrepassare le divisione, la tentazione della violenza e l’intolleranza, per costruire insieme l’avvenire del loro Paese. Anche le comunità cristiane vogliono dare il loro contributo, ma perché ciò sia possibile, bisogna che sia loro assicurato rispetto, sicurezza e libertà. Anche il Pakistan è stato duramente colpito dalla violenza in questi ultimi mesi e alcuni episodi hanno preso di mira direttamente la minoranza cristiana. Domando che si compia ogni sforzo affinché tali aggressioni non si ripetano e i cristiani possano sentirsi pienamente integrati nella vita del loro Paese. Trattando delle violenze contro i cristiani, non posso non menzionare, peraltro, i deplorevoli attentati di cui sono state vittime le Comunità copte egiziane in questi ultimi giorni, proprio quando stavano celebrando il Natale. Per quanto riguarda l’Iran, auspico che attraverso il dialogo e la collaborazione, si raggiungano soluzioni condivise, sia a livello nazionale che sul piano internazionale. Al Libano, che ha superato una lunga crisi politica, auguro di proseguire sempre sulla via della concordia. Confido che l’Honduras, dopo un periodo di incertezza e trepidazione, si incammini verso una ritrovata normalità politica e sociale. E lo stesso mi auguro che si realizzi in Guinea ed in Madagascar, con l’aiuto effettivo e disinteressato della comunità internazionale.
Signore e Signori Ambasciatori, al termine di questo rapido giro d’orizzonte, che, a motivo della brevità non può soffermarsi su tutte le situazioni pur meritevoli di menzione, mi tornano alla mente le parole dell’Apostolo Paolo, secondo cui "la creazione geme e soffre" e "anche noi… gemiamo interiormente" ( Rm 8,22-23). Sì, c’è tanta sofferenza nell’umanità e l’egoismo umano ferisce la creazione in molteplici modi. Per questo l’attesa di salvezza, che tocca tutta quanta la creazione, è ancor più intensa ed è presente nel cuore di tutti, credenti e non credenti. La Chiesa indica che la risposta a tale anelito è il Cristo, il "primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra" (Col 1,15-16). Fissando lo sguardo su di Lui, esorto ogni persona di buona volontà ad operare con fiducia e generosità per la dignità e la libertà dell’uomo. Che la luce e la forza di Gesù ci aiutino a rispettare l’"ecologia umana", consapevoli che anche l’ecologia ambientale ne trarrà beneficio, poiché il libro della natura è uno ed indivisibile. E’ così che potremo consolidare la pace, oggi e per le generazioni che verranno. Buon Anno a tutti!
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
Portogallo: approvato il matrimonio omosessuale - I Vescovi lamentano che si legiferi contro istituzioni “naturali e fondamentali”
ROMA, lunedì, 11 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Parlamento del Portogallo ha approvato venerdì il disegno di legge del Governo che permette il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso. La possibilità che queste coppie possano adottare bambini è rimasta finora fuori dalla nuova legislazione.
La proposta è stata approvata con il sostegno dei voti del Partito Socialista (PS), che governa in minoranza con 97 dei 230 seggi dell'Assemblea. Hanno dato il proprio sostegno anche il Partito Comunista del Portogallo (PCP), il Blocco di Sinistra e i Verdi.
L'agenzia dell'episcopato portoghese, Ecclesia, ha ricordato che vari membri della gerarchia cattolica si sono pronunciati su questo tema nelle ultime settimane.
Monsignor Ilídio Leandro, Vescovo di Viseu, ha lamentato il fatto che il Governo legiferi “contro istituzioni che sono basi naturali e fondamentali” della società.
Il Cardinal-Patriarca di Lisbona, monsignor José Policarpo, ha indicato che “il problema in questione non è l'omosessualità. Il discorso ha altri parametri. In questo momento, è in gioco la natura del matrimonio, che non è una questione religiosa, ma innanzitutto culturale”.
“Le culture millenarie considerano il matrimonio un contratto tra un uomo e una donna, che dà luogo a un'istituzione, la famiglia. Cambiare questa comprensione millenaria di ciò che è la famiglia nell'umanità può avere conseguenze gravissime in futuro”, ha affermato il Cardinale.
Monsignor Manuel Clemente, Vescovo di Porto, ha ribadito dal canto suo che il matrimonio è “basato sull'alterità uomo/donna, che è alla base della costruzione della società”.
“Dico questo da cittadino: c'è qui un valore strutturante della società, istituzionale, relativo a qualcosa che la società ha riconosciuto come molto importante e per questo aveva bisogno di essere salvaguardato e promosso”, ha indicato.
LA «CONFESSIONE » DI UNA GIOVANE MALATA DI AIDS - Quando uno sguardo sincero rivela mali nascosti e diffusi - GABRIELLA SARTORI – Avvenire, 12 gennaio 2010
H a 21 anni, studia alla Bocconi, vive a Milano e appare a tutti una 'ragazza solare, normale'. Invece no: pochi mesi dopo aver compiuto diciott’anni ha scoperto che il suo ragazzo le aveva trasmesso il virus dell’Aids. Da tre anni la sua vita è cambiata dalle fondamenta: è sola, la ragazza della Bocconi, nemmeno i suoi genitori conoscono la sua situazione.
All’ospedale Sacco, dove è seguita con ogni attenzione, umana e professionale, lei (e tutti quelli come lei: due nuovi casi al giorno solo a Milano, spesso padri di famiglia totalmente irresponsabili) 'costa' millecinquecento euro al mese al servizio pubblico sanitario solo per le medicine senza contare le visite mensili e i vari controlli. E il peso insopportabile di vivere come deve vivere ora: con l’angustia di una malattia così pesante, col peso di un segreto come questo che è impossibile da dire perfino ai genitori, e che è molto difficile esprimere anche ai coetanei, con la paura che subito ti emarginino...
«Io non sono una drogata, una dai facili costumi – continua la ragazza della Bocconi –, io sono una ragazza normale che è stata per quattro anni con lo stesso ragazzo, che non lo ha mai tradito», ricevendone, in cambio, questa specie di inferno in cui l’ha precipitata. Auspica, la studentessa, una maggiore informazione su questo stato di cose (e come darle torto?), una maggiore 'educazione' che lei chiama 'sessuale'in un primo tempo, andando però subito dopo al vero 'cuore' del problema, parlando cioè di educazione all’amore o almeno alla responsabilità: «Se gli uomini smettessero di tradire le loro mogli e fidanzate, io ora non sarei malata di Hiv e non sarebbe per me così difficile trovare una ragione di vita».
Fin qui la lettera che la protagonista di questa storia ha scritto sul più diffuso quotidiano italiano. Ed è davvero difficile aggiungere qualcosa a questo quadro, così palpitante di dolore e disperazione, così drammaticamente 'convincente'. A un lettore distratto, il doloroso grido finale della ragazza della Bocconi potrebbe sembrare il testo di una 'predica' di qualche confessore vecchia maniera, di quelli insomma 'non in linea con i tempi'. Invece è questa la verità che nasce dall’impatto con la realtà dell’esistenza: il 'peccato', anche se è quello contro l’onesto uso del sesso, è sempre peccato. Significa cioè inganno, oggi come all’inizio della storia, nel giardino dell’Eden, (e doppio inganno: da parte di chi ha tradito un amore fedele e da parte di chi ha fatto credere che certe abitudini, ormai considerate 'normali', siano senza conseguenze). Significa sempre qualcosa di contrario all’amore: sofferenza, perdita di fiducia e di speranza, dolore, dolore immenso come quello che ha colpito questa ragazza che ha avuto troppa fiducia in chi non la meritava. E significa ingiustizia, non solo individuale ma anche sociale: la studentessa della Bocconi lo percepisce ancora una volta con ammirevole sincerità. Quando fa i conti di quanto grande sia la pubblica spesa per le cure ai malati come lei, per i quali la malattia era facilmente evitabile, nota: «Non mi piace l’idea di pesare sugli altri».
Ed è anche questa la spia di una coscienza retta, responsabile, attenta al bene comune, non solo al proprio.
Avessero un decimo di questa sensibilità tanti pubblici amministratori che continuano a rendersi famosi per le 'voragini' finanziarie sanitarie in cui precipitano le regioni che 'governano' (?) a causa di incompetenza, inefficienza, disonestà, devozione allo spreco, moltiplicando la spesa e minimizzando i servizi al bene primario che è la salute dei cittadini! Anche questo è peccato, e peccato sociale dei peggiori. Stavolta, è stata una 'peccatrice' come la sfortunata ragazza della Bocconi a ricordarcelo. Anche di questo le siamo grati. E anche per questo siamo umanamente e cristianamente vicini a lei e ai suoi compagni di sventura.
Avvenire, 12 Gennaio 2010 - Anticipazione - Agostino batte le eresie di oggi - Giuliano Vigini
La frequentazione di Agostino da parte di Benedetto XVI è la storia di una lunga amicizia, che risale agli anni giovanili. Coltivandola e approfondendola, egli entra in sintonia con la sua opera, ne coglie la novità, ne assapora il gusto. L’occasione di una dissertazione alla Ludwig Maximilian Universität di Monaco, nell’anno accademico 1950-1951, lo sollecita a indagare e a comprendere in modo nuovo la natura sacramentale della Chiesa, partendo proprio dal pensiero cristologico ed ecclesiologico elaborato da Agostino, nella cui visione e azione nulla è separato, ma tutto tende a interagire e a comporsi in un’armonia feconda. In realtà, si nota ben presto che la dottrina di Agostino lascia nel giovane Ratzinger una traccia profonda.
Nei corsi, nei seminari e nelle conferenze da lui tenute nelle facoltà teologiche delle università tedesche (Bonn, Münster, Tübingen, Regensburg), già a partire dalla fine degli anni Cinquanta e fino all’anno della sua nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga (1977), Agostino rappresenta un punto di riferimento costante: uno dei fondamenti ispiratori della sua teologia, così come uno dei fari spirituali del suo magistero. Per Benedetto XVI il travagliato iter dell’esistenza di Agostino e il suo approdo alla fede è caratterizzato innanzitutto dalla «passione per la verità», come ebbe a ricordare anche nella solenne concelebrazione eucaristica agli «Orti borromaici», durante la sua visita a Pavia per venerare le spoglie di Agostino (22 aprile 2007).
Non però la verità intesa come principio filosofico astratto, ma come verità tangibile; non quindi un miraggio lontano, ma una verità incarnata. È la fede a spalancargli questo orizzonte di verità, facendogli trovare il legame costitutivo tra l’<+corsivo>intelligere<+tondo> e il credere, tra le istanze della ragione e l’autorità della fede, tra la fede pensata e la fede vissuta.
Ma, prima di tutto, è l’umiltà con cui Agostino si pone in ricerca ad aprirgli le porte del mistero di Dio, ed è a questa umiltà a cui anche ogni cristiano è chiamato: «All’umiltà dell’incarnazione di Dio deve corrispondere – questo è il grande passo – l’umiltà della nostra fede, che depone la superbia saccente e si china entrando a far parte della comunità del corpo di Cristo».
Dopo il cammino di conversione e avvicinamento alla fede, Agostino ha però saputo mostrarsi umile – sottolinea il Papa – anche nel sacrificare i propri sogni (primo fra tutti, una volta diventato sacerdote, di dedicarsi alla vita contemplativa), per essere vangelo vivo in mezzo alla gente. Ai bivi della vita – dove si vorrebbe scegliere di andare da una parte, e dove Dio invece chiede di andare da un’altra – è spesso richiesto anche questo atto di umiltà.
Agostino ha saputo compierlo, mettendosi totalmente al servizio degli altri: «Sempre di nuovo essere lì per tutti, non per la propria perfezione; sempre di nuovo, insieme con Cristo, donare la propria vita, affinché gli altri potessero trovare Lui, la vera Vita». La fede umile di Agostino si manifesta anche nel suo inesausto bisogno della misericordia di Dio. Il suo non è stato l’atteggiamento di chi ha ricevuto il dono della grazia una volta per sempre, ma di chi, al contrario, si è sentito per tutta la vita un «mendicante di Dio» (mendicus Dei) ed ha perciò continuato a cercarlo per essere da lui perdonato e soccorso. Sotto questo aspetto, dall’esperienza di Agostino viene anche una sollecitazione alla «conversione permanente», assieme alla «grazia della perseveranza, che dobbiamo ogni giorno chiedere al Signore».
Infine, la passione per la verità che in Agostino trova sbocco nella fede in Cristo e nella fede della Chiesa si esprime anche in una grande passione per l’uomo. La fede non chiude le porte, non isola, non allontana la ragione e la libertà, non esclude nulla. La fede apre, dilata, orienta e guida, perché la fede nel «Dio Amore» (1Gv 4, 8.16) è tale se si manifesta come espansione d’amore, e la Chiesa è se stessa nella misura in cui sa vivere come comunità d’amore. La prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est – idealmente consegnata al mondo davanti alla tomba di Agostino e a lui «largamente debitrice» –, è appunto lo specchio di questo comandamento della carità, vissuto come servizio alla verità e all’amore di Cristo.
Nel presentare Agostino, Benedetto XVI arriva al cuore del suo insegnamento e lì attinge i pensieri, le parole e gli esempi che costituiscono le linee-guida del suo magistero. Per lui, Agostino è come uno specchio che riflette anche una parte di sé. Ripercorrendo la sua opera teologica, spirituale-meditativa e culturale, si può cogliere, in realtà, il filo conduttore agostiniano che ispira e tiene insieme le varie parti della sua riflessione. Due sembrano i concetti-cardine attraverso i quali si sviluppa il pensiero di Benedetto XVI: la verità e l’unità. La verità intesa come «sinfonia», secondo un concetto antico ripreso e reso famoso da Hans Urs von Balthasar.
L’unità intesa come comunione nella verità, dove le differenze non si scompongono e autoisolano in rovinosi particolarismi, ma si saldano in una reciprocità d’amore che guarda sempre al bene più grande, cioè la verità piena, totale e armonica. Quando vengono a mancare questi presupposti, l’approccio alla verità diventa una «mono-fonia», anziché essere una «sin-fonia»; un canto omofono invece che polifonico. È quanto Johann Möhler – uno dei teologi più apprezzati da Benedetto XVI (con Newman, Rosmini, Scheeben, Guardini, De Lubac, Congar, von Balthasar...) – esprimeva in modo analogo, parlando del senso di superiore bellezza che si riceve da un coro: non tanto perché delle persone cantano in modo impeccabile, ma perché l’educazione dei cantori e la saggezza di chi li guida sono tali da fondere voci e tonalità diverse in un’unica armonia. In questa linea di pensiero – che richiama per vari aspetti la predicazione e l’azione pastorale di Agostino – si colloca l’opera di Benedetto XVI.
Già nel suo celebre Rapporto sulla fede (il colloquio-intervista con Vittorio Messori) l’autore affrontava tutta una serie di problematiche teologiche e morali (dall’idea di Chiesa al dramma della morale; dalla liturgia ai fratelli separati; dalla teologia della liberazione al femminismo), preoccupandosi di mettere dei punti fermi e di dissipare i numerosi equivoci sorti su tante questioni. Oggi alcune di quelle questioni sono tornate; altre hanno mutato di segno; altre ancora si sono aggiunte, alimentando antichi e nuovi dibattiti.
Puntando alle sorgenti della fede e a un’interpretazione autentica dei testi, Benedetto XVI tiene comunque sempre fissa la barra al centro, dove la fedeltà ai princìpi, alla tradizione, a una chiara e solida identità cristiana non preclude la possibilità di vedere e applicare, in modo intelligente ed equilibrato, ciò che può servire a vivere sempre più consapevolmente la propria fede, nell’oggi della Chiesa e dell’uomo.
Se ai tempi di Agostino le controversie erano di natura dottrinale e vedevano lo strenuo impegno del vescovo di Ippona nel combattere tante eresie e deviazioni (manichei, donatisti, pelagiani, eccetera), oggi le grandi problematiche sono di natura ecclesiale e pastorale, considerate soprattutto all’interno del vasto tema della «nuova evangelizzazione», in un mondo sempre più secolarizzato, fuori e dentro la Chiesa. Tutto l’impegno di Benedetto XVI, nell’adempiere al proprio mandato di custodire e confermare i fratelli nella fede, sta nel richiamare la necessità di un forte radicamento in Cristo e nei valori perenni del cristianesimo. Questi sono gli unici veri presupposti per essere cristiani maturi nel vivere la fede e credibili nel portarla agli altri.
Da qui anche il richiamo – nella memoria viva di Agostino, uno dei padri fondatori della cultura occidentale – ai fondamenti cristiani dell’Europa, alle sue «radici», che sono come il cemento che tiene insieme l’idea stessa dell’uomo, sacro in quanto creatura di Dio e inviolabile nella sua dignità di persona. Senza tali radici, non solo si viene a perdere l’identità cristiana che ha plasmato spiritualmente e culturalmente l’Europa, ma viene a sfaldarsi, nel relativismo imperante, la verità profonda dell’uomo e del suo destino, che dovrebbe invece essere l’anima comune anche dell’Europa di oggi.