Nella rassegna stampa di oggi:
1) Anna e i suoi fratelli. I mille volti del vero islam - In un libro che illumina come pochi, una giovane italo-marocchina racconta di sé e dei suoi tanti parenti musulmani. Amori, rovine, passioni, fanatismi. E l'Europa come sogno incompiuto. Un islam multiforme e sconosciuto. Tutto da scoprire - di Sandro Magister
2) Massacro in una chiesa copta nel sud dell'Egitto - Sette le persone uccise in un violento attacco
3) L'arcivescovo di Santiago de Compostela, Julián Barrio Barrio, sull'Anno santo giacobeo - Il senso di un pellegrinaggio - di Marta Lago - L'Osservatore Romano - 7-8 gennaio 2010
4) Massimo Introvigne: Piemonte: i cattolici non salgono in Mercedes. La Bresso: una vita per la Rivoluzione – da Facebook
5) Salviamo i cristiani, a ogni costo - Mario Mauro venerdì 8 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
Anna e i suoi fratelli. I mille volti del vero islam - In un libro che illumina come pochi, una giovane italo-marocchina racconta di sé e dei suoi tanti parenti musulmani. Amori, rovine, passioni, fanatismi. E l'Europa come sogno incompiuto. Un islam multiforme e sconosciuto. Tutto da scoprire - di Sandro Magister
ROMA, 4 gennaio 2010 – Il nuovo anno si apre con l'ansia di nuovi attacchi terroristici di musulmani all'Occidente. Anche ad opera di nemici cresciuti in casa, in quell'Europa nella quale si sono stabiliti, ma senza integrarsi.
Nell'opinione diffusa, islam e islamismo rischiano sempre più di diventare sinonimi. Il "volto" pubblico dell'immigrato musulmano finisce schiacciato su un profilo radicale e violento.
Ma che la realtà del mondo musulmano sia molto diversa, ci vien detto e mostrato in modo convincente da questo stesso mondo, se appena lo si guarda e ascolta senza pregiudizi.
Una delle voci musulmane più significative è, tra le tante, quella di Khaled Fouad Allam, italo-algerino, professore alle università di Trieste e di Urbino.
In un editoriale dello scorso 9 settembre sul quotidiano dei vescovi italiani, "Avvenire", Allam ha scritto che l'islamismo violento non è affatto in espansione, oggi, tra i musulmani, nemmeno in un paese come l'Algeria dove pure negli scorsi decenni ha fatto migliaia di vittime:
"Certo, esiste la frangia magrebina di Al Qaeda, capace sempre di colpire. Ma oggi, rispetto al passato, questo e altri movimenti sono divenuti movimenti di élite, formati da intellettuali precarizzati o da giovani attratti dalla narrazione ideologica, e non hanno più la base sociale di cui godevano quindici anni fa. Oggi i ragazzi algerini sognano l'Occidente e l'Europa non solo perché cercano una vita agiata, come i loro genitori negli anni Sessanta e Settanta, ma in quanto libertà. E mentre in vari Stati musulmani i governi spingono a una reislamizzazione in senso ortodosso, in questi stessi Stati avanzano i processi di secolarizzazione, che investono la fede religiosa. La Turchia è esemplare in questo senso".
Khaled Fouad Allam è un analista e interprete di notevole acutezza di ciò che avviene nella cultura e nella pratica musulmana. Un anno fa fu sul punto di diventare una firma regolare de "L'Osservatore Romano" proprio per scrivere di questi temi. Ma a un primo articolo, pubblicato il 30 novembre 2008, non ne seguirono più altri.
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Un'altra voce musulmana assolutamente da ascoltare è quella di Anna Mahjar-Barducci (nella foto), residente in Italia, giornalista e scrittrice, nata da madre marocchina e da padre italiano, sposata a un ebreo israeliano di nome David.
Agli occhi dell'islam ortodosso, il matrimonio suo e quello di sua madre con un uomo di altra religione sono inaccettabili, un'apostasia. Ma in Marocco l'opinione prevalente non è affatto così rigida. Nel 2006, il film più visto in quel paese fu "Marock", una storia d'amore tra una giovane musulmana che vuole liberarsi dai dogmi religiosi e un attraente ragazzo ebreo.
Da poche settimane è in libreria in Italia un racconto autobiografico, scritto da Anna Mahjar-Barducci, dal titolo "Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa".
Il libro è un vivido affresco del quartiere della città del Marocco in cui abitano i numerosi famigliari della scrittrice, di cui si raccontano le storie.
Alcuni di questi suoi parenti vanno e vengono tra il Marocco e l'Europa. Ma ciò che più sorprende del racconto è che nessuno di loro assomiglia a un altro. Sono tutti musulmani, ma diversissimi. Il breve capitolo riprodotto più sotto mostra nel modo più efficace la realtà di questo multiforme "islam individuale".
Tutti sognano l'Europa. Ma nessuno di loro riesce a integrarsi nel paese in cui emigra. Neppure l'autrice, che pure è cittadina italiana. In un altro capitolo del libro, ella racconta che in Italia, ad aggravare questa separatezza, sono proprio altri suoi correligionari immigrati:
"Quando vedo un magrebino per la strada, mi tocca cambiare tragitto. Comincia a salutarmi in arabo e mi fissa come se fossi di sua proprietà. Una volta che ero in una pizzeria con un compagno di scuola, un marocchino mi chiamò 'sharmuta', prostituta, e mi disse che non potevo uscire con un italiano. Dovette intervenire il padrone del locale, per mandarlo via. In Marocco non succederebbe mai una cosa del genere".
In altri suoi scritti, Anna Mahjar-Barducci ha spiegato che le difficoltà ad integrarsi nei paesi europei provocano in molti musulmani emigrati una "perdita d'identità". E questo li può far cadere nella rete degli islamisti radicali, che offrono loro proprio una identità forte e sicura, che li fa sentire non più soli, ma parte di grande comunità. "Così si possono vedere a Milano ragazzi di origine magrebina che neppure parlano più l’arabo, ma con barbe lunghe e con abiti che in Marocco nessuno di loro indosserebbe".
Il capitolo qui riprodotto di "Italo-marocchina" mostra anche questo. Tra i personaggi descritti, il solo che si è fatto islamista radicale lo è diventato per contraccolpo di una disordinata vita da emigrato in Francia. Ma ecco altri dettagli per seguire con più facilità il racconto.
Le sorelle Zaynab e Lamia sono due giovani cugine dell'autrice del libro. Leila è la loro madre. Loro padre, Karim, dopo una vita dissoluta si è convertito al fondamentalismo. Rachid, altro zio dell'autrice, è un ex militare del generale Oufkir, autore nel 1972 di un fallito rovesciamento della monarchia in Marocco e prima ancora, nel 1965, dell'eliminazione del leader socialista Ben Barka. Groupe Six è il quartiere della città marocchina di Kenitra ove l'autrice del libro è tornata a incontrare i suoi parenti. La jillabah è una tunica larga indossata in vari paesi arabi, che in Marocco ha il cappuccio. L'ashura è la principale festa dei musulmani sciiti. I marabut sono guide religiose che vanno di casa in casa. La umma è l'insieme di tutti i musulmani del mondo.
Ed ecco il capitolo del libro.
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Islam individuale
di Anna Mahjar-Barducci
(Da "Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa", pp. 91-94)
La mattina, Zaynab mi svegliò con un urlo. Era andata presto a comperare i biglietti per il concerto di Cheb Khaled a Casablanca. Sicuramente una delle notizie migliori della giornata. Non vedevo l'ora di vederlo dal vivo.
Lamia andò fuori casa a parlare al cellulare. Zaynab mi disse che stava chiamando Fahd: si trovava a Casablanca per qualche giorno e avrebbe potuto rivederlo al concerto. Quando tornò in camera, non ci raccontò nulla. Poi la vidi indossare la jillabah sopra la maglietta di Zinedine Zidane e mettersi il velo. Andò nella stanza accanto e iniziò a pregare. Ero confusa. Suo padre poteva averla contagiata. Nessuno nella mia famiglia aveva mai pregato, a parte Karim, che non era certo un esempio da seguire. Rachid, quando la vide, fece una faccia perplessa: "Lamia!", urlò lo zio dal divano. "Stai pregando verso l'America! La Mecca è dall'altra parte". Scoppiammo tutti in una risata.
La mia famiglia era composta principalmente da donne. Tutte noi ci consideravamo musulmane; ma ognuna aveva il suo modo di interpretare la religione. Ognuna, infatti, aveva il suo islam personale. Per mia madre, essere musulmana significava semplicemente credere in Dio. Per mia zia Samia, significava avere un'identità. Per Zaynab e Maryiam voleva dire non dimenticare le proprie origini. Osservare i precetti religiosi per noi era secondario. Eppure, vedere Lamia pregare mi aveva impressionato. Rispettavo la sua scelta personale, ma, dopo la visita del marabut, avevo paura che si chiudesse al mondo, come aveva fatto suo padre. Rachid, invece, era un panarabista, e la religione non gli interessava. Diceva di essere musulmano per nascita e ateo per scelta.
Pochi anni prima, avevo incontrato a Venezia Abdennour Bidar, un professore francese di filosofia, di fede islamica. Mesi dopo, mia cugina Zaynab mi spedì dalla Francia un libro di Bidar, intitolato "Self Islam": ovvero l'islam dell'individuo, come io stessa lo definivo. Cominciai immediatamente a leggerlo, sicura che vi avrei trovato la descrizione della mia famiglia. [...]
Leila e le mie cugine rispettavano il Ramadan. Mia zia Samia, invece, durante quel periodo continuava a mangiare; ma nessuno della mia famiglia avrebbe osato dirle che per questo non era musulmana. Dopo tutto, la maggior parte dei nostri vicini, a Groupe Six, formalmente digiunavano durante il Ramadan, ma poi mangiavano di nascosto tappati in casa. Prima di uscire, però, con molta ipocrisia si grattavano leggermente la lingua con le unghie per farla diventare bianca, come se avessero digiunato. C'era invece chi il Ramadan lo rispettava per tutto il mese; e poi durante gli altri giorni dell'anno beveva vino e superalcolici.
Nella mia famiglia, inoltre, la umma non sapevano nemmeno che cosa fosse. Zaynab, presa a volte da pulsioni panarabiste, diceva "noi arabi"; ma l'unico "noi" che era sempre esistito a casa mia era la nostra famiglia. In Marocco eravamo tutti sunniti; e a Groupe Six non sapevano nemmeno cosa fossero gli sciiti. Quando ero piccola, però, il giorno dell'ashura, a Kenitra sembrava di essere a Teheran. Uomini vestiti di bianco si battevano la testa con coltelli fino a quando non usciva loro il sangue, come facevano i seguaci di Ali. Pensai che forse eravamo anche noi sciiti senza saperlo. Non ne avevo le prove, ma mi piaceva quella combinazione di tradizioni. Mia madre, però, quando vedeva un uomo con la barba da fondamentalista, lo chiamava Ayatollah. Quella, era per lei il massimo dell'offesa.
Mio zio Rachid, alzandosi dal divano per uscire a fumare, guardò nuovamente Lamia pregare con l'indice puntato verso l'alto. Poi si avvicinò verso di me in cucina, per parlarmi.
"Tu mi accusi sempre di aver sostenuto Oufkir. Sei anche convinta che, se Ben Barka fosse stato vivo, la storia del Marocco sarebbe stata migliore", mi disse sottovoce. "Il vero pericolo per il paese ce l'abbiamo in casa. Quelli come quell'asino di tuo zio Karim prima rovinano la vita alla famiglia, poi si fanno un bernoccolo in fronte pregando, e per redimersi pensano di poterci togliere le nostre libertà. Non lo vedi?".
Quella fu la conversazione più lunga che ebbi mai con mio zio Rachid. Lo guardai uscire dalla porta, sedersi sullo scalino e accendersi nervosamente una sigaretta con un fiammifero, guardandosi intorno pensieroso.
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Il libro:
Anna Mahjar-Barducci, "Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa", prefazione di Vittorio Dan Segre, Diabasis, Reggio Emilia, 2009.
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Anna Mahjar-Barducci ha fondato e presiede in Italia l'Associazione Arabi Democratici Liberali, il cui sito è anche in inglese:
> www.arabidemocraticiliberali.com
L’Associazione opera assieme a un istituto di ricerca di Erbil, nel Kurdistan iracheno, nato per promuovere il dialogo religioso e inter-etnico:
> www.tolerancy.org
Gli scritti prodotti dall'Associazione Arabi Democratici Liberali escono su media arabi come la tv Al-Arabiya, il quotidiano saudita con base a Londra "Al-Awsat", il settimanale marocchino "Tel Quel", il libanese "Daily Star" e il settimanale iracheno "Al-Ahali"-
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Lo scorso 21 ottobre, sul settimanale "Tempi", Anna Mahjar-Barducci è intervenuta a proposito delle discussioni in corso in Italia sull'integrazione degli immigrati e sulla concessione in tempi più brevi della cittadinanza:
> "Sono italo-marocchina..."
L'articolo termina così:
"Quando leggo sulle pagine dei quotidiani italiani il dibattito sulla concessione della cittadinanza agli immigrati dopo soli cinque anni di residenza, rimango un po’ attonita. Infatti, dalle dichiarazioni di questi giorni sembra che dimezzare il tempo di attesa sia di per sé un elemento che faciliti automaticamente l’integrazione dell’immigrato. Ma forse altro non è che un escamotage per non trattare in maniera appropriata vere politiche di integrazione, che ancora mancano. C’è invece la necessità, per esempio, di promuovere corsi di italiano e di alfabetizzazione gratuiti, di creare modelli e attività sociali per i figli di immigrati, di istituire centri di aiuto e di empowerment per le donne immigrate, di controllare le moschee, di formare imam che abbraccino scuole di pensiero moderno, eccetera. Senza l’adozione di politiche reali che permettano all’immigrato di fare propria l’identità italiana, tutto rimarrà uguale, non importa che la cittadinanza venga data prima o dopo. Continueremo soltanto a vantarci inutilmente di vivere in un’Italia 'multiculturale', quando il multiculturalismo senza integrazione ha sempre creato soltanto ghettizzazione. E avremo altri padri come quello di Sanaa, che uccideranno le loro figlie, ma questa volta con la cittadinanza italiana".
Massacro in una chiesa copta nel sud dell'Egitto - Sette le persone uccise in un violento attacco
IL CAIRO, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La notte di Natale celebrata in una chiesa ortodossa copta egiziana è finita in tragedia per la morte di sette persone, tra cui un agente di sicurezza musulmano, durante un attacco sferrato da tre persone su un veicolo.
L'attentato è avvenuto dopo la fine della Messa di Natale (che secondo il calendario della Chiesa ortodossa copta si celebra la notte del 6 gennaio) nella città di Nagaa Hamadi, nella provincia di Quena, a circa 65 chilometri dalle rovine di Luxor, in Egitto. I fedeli stavano uscendo dalla chiesa della Vergine Maria. Oltre alle vittime, ci sono stati anche nove feriti.
I cristiani residenti in questa località avevano già ricevuto varie minacce nei giorni precedenti la celebrazione del Natale. Il Vescovo di Kirollos, nella Diocesi di Nag Hamadi, aveva ricevuto un messaggio sul suo telefono cellulare in cui si diceva: “Ora è il suo turno”. A causa di queste minacce, ha detto che si era visto costretto a terminare la Messa di Natale un'ora prima del solito.
“Non ne ho fatto nulla (del messaggio). Anche i miei fedeli hanno ricevuto minacce per la strada, e alcuni hanno gridato loro: 'Non lasceremo che abbiate delle feste'”, ha segnalato il Vescovo di Kirollos in alcune dichiarazioni all'agenzia AP.
I cristiani d'Egitto, in maggioranza copti, rappresentano circa il 10% della popolazione del Paese. Su più di 83 milioni di abitanti, infatti, il 90% è rappresentato da musulmani.
Secondo quanto ha reso noto il Ministro degli Interni egiziano, la causa dell'attacco è stata la vendetta per la violenza perpetrata da un cristiano ai danni di una bambina musulmana a novembre. Dopo questo fatto ci sono stati disordini nella località, tra cui l'incendio di proprietà di alcuni cristiani.
Padre Rafic Greiche, direttore dell'ufficio informazioni cattolico locale, ha affermato come riporta “L'Osservatore Romano”: “Anche noi cattolici, come il resto dei cristiani siamo preoccupati. L'atmosfera, soprattutto nell'Alto Egitto, è più pesante. Al Cairo ci sentiamo tutti più sicuri, ma nei villaggi il clima è diverso. Gli incidenti, gli attacchi nascono sempre da una miscela di odio religioso e pretesti occasionali”.
I cristiani si lamentano sempre più della discriminazione che subiscono a causa del fondamentalismo islamico, soprattutto dal punto di vista lavorativo, perché i cittadini egiziani devono portare sempre con sé un documento che identifichi la religione alla quale appartengono, e molti non sono accettati in alcuni posti di lavoro perché sono cristiani.
L'arcivescovo di Santiago de Compostela, Julián Barrio Barrio, sull'Anno santo giacobeo - Il senso di un pellegrinaggio - di Marta Lago - L'Osservatore Romano - 7-8 gennaio 2010
Non fuggono dal vuoto. I pellegrini sono pieni dell'anelito d'un incontro che illumina la vita. Ogni anno ne giungono due milioni a Santiago de Compostela. Rotte millenarie, attraverso il nord della Spagna, conducono alla tomba dell'apostolo. Nell'ultimo Anno santo compostelano, il 2004, l'arcidiocesi galiziana ha accolto 6,4 milioni di pellegrini. Nel 2010 la festa di san Giacomo, il 25 luglio, cade di domenica, coincidenza che segna un nuovo anno giubilare; non si ripeterà fino al 2021. L'arcivescovo di Santiago de Compostela, Julián Barrio Barrio, ha rilasciato un'intervista a "L'Osservatore Romano" dopo che, il 31 dicembre, ha spalancato la Porta santa della cattedrale a milioni di viaggiatori dello spirito.
Anno santo compostelano 2010. Cosa implica l'aggettivo "santo"?
La chiamata alla santità alla quale tutti, come figli di Dio e della Chiesa, dobbiamo rispondere. In un Anno santo, sebbene sembri ovvio, è necessario ricordare questa vocazione alla santità e allo stesso tempo la vocazione di eternità, due aspetti che definiscono la condizione umana e gli impegni che come cristiani dobbiamo assumerci.
"Pellegrinando verso la luce" è il motto di questo anno...
Perché il pellegrino procede per incontrare la tradizione apostolica, fondamento della nostra fede, che qui esprime l'apostolo Giacomo il Maggiore. Il fine però non è il sepolcro dell'apostolo, ma l'incontro, attraverso san Giacomo, con Cristo risorto, la luce che deve illuminare la realtà della nostra esistenza.
Quindi si tratta innanzitutto di un incontro per poter essere testimoni...
In effetti è così. Ho intitolato la lettera pastorale di quest'anno Peregrinos de la fe y testigos de Cristo resucitado. Mi preoccupava l'inquietudine del pellegrino sul "dopo" pellegrinaggio. Ho cercato di sottolineare che, come i pellegrini di Emmaus, una volta sperimentato l'incontro con il Signore, bisogna tornare nella comunità cristiana per rendere testimonianza di ciò che s'è visto, vissuto e ascoltato, e per manifestarlo in tutti gli aspetti dell'esistenza. L'Anno santo non è una fuga spiritualista e neppure un discorso religioso vuoto. È un impegno ad accogliere la grazia di Dio nella nostra vita, a discernere cristianamente la realtà e a cercare di costruire una civiltà dell'amore alla quale tutti siamo chiamati. E l'eco di tutto ciò deve essere il rafforzamento della speranza cristiana che ci aiuta a contemplare il passato con gratitudine, a vivere il presente con responsabilità, senza fughe, e a guardare al futuro con fiducia perché è nelle mani di Dio, che sono buone mani!
Quali atteggiamenti suggerisce a un cattolico che si fa pellegrino a Santiago?
Il pellegrinare evoca l'apertura alla trascendenza e fa del pellegrino un "dispensatore del sacro". Ciò contribuisce al risveglio religioso e spirituale delle persone, delle comunità cristiane e dei nostri popoli. Il pellegrino non può mai dimenticare la meta verso la quale s'incammina. Deve percorrere il cammino con la pazienza della speranza e con la forza della grazia. E questa è una testimonianza viva in mezzo all'indifferenza religiosa che stiamo subendo, all'incertezza morale e alla perdita della prospettiva del significato trascendente della vita. In questo Anno della grande "perdonanza" il pellegrino deve, inoltre, prendere coscienza dei suoi peccati, offrire il perdono a chi lo ha offeso, incrementare lo spirito di preghiera, esercitare l'elemosina come segno di carità e intraprendere il cammino verso il Signore con umiltà. Solo così potrà percepire la gioia dell'incontro con Cristo. L'Anno santo deve portare a una rivitalizzazione spirituale, ma anche sociale, senza dimenticare che nell'uomo esiste un anelito inestinguibile d'infinito. Oggi abbiamo bisogno d'incontrare l'umanità che pulsa in noi. E il pellegrinaggio può servire a incontrare noi stessi, gli altri e naturalmente Dio.
Anelito che può muovere anche i non credenti a intraprendere il cammino giacobeo. Cosa consiglierebbe loro?
L'apertura a ciò che il Signore può dire loro in questo pellegrinaggio. Ci sono persone che hanno iniziato il cammino senza una preoccupazione realmente religiosa. Mi piace però dire che a Santiago si giunge sempre come pellegrini; la rotta molte volte rappresenta una "via di Damasco", altre "una strada per Emmaus". Per quanti hanno perso la fede o ne sono privi, il cammino di Santiago può essere l'ambito che può condurli a Cristo e illuminare la loro vita. Direi loro d'intraprendere il cammino con la preoccupazione della ricerca. È questa l'inquietudine dell'uomo. E li inviterei a non scartare in nessun momento la possibilità d'incontrare il Signore.
Benedetto XVI ripeterebbe che si tratta di vivere "come se Dio esistesse"...
Proprio così. È la cosa più importante. Il Signore ci cerca sempre, ma molte volte noi pretendiamo di nasconderci o di fuggire.
Come si potrebbe misurare il "successo" del pellegrinaggio?
Si tratta di purificare il cuore per cambiare la vita. Far morire l'uomo vecchio, come ci dice san Paolo, per conformarci all'uomo nuovo che è Cristo Gesù. E ciò implica sempre un cambiamento radicale di vita. Da qui l'enorme importanza della conversione. È la dimensione fondamentale - per la quale è necessario essere ben disposti - del pellegrinaggio giacobeo e dell'Anno santo compostelano.
E il non credente, come riconosce il risultato del suo pellegrinaggio? Il Papa, nel messaggio per l'apertura dell'Anno santo compostelano, ha insistito sul fatto che è un tempo di grazia per credenti e non credenti...
Se il non credente non ha trovato per ora la risposta che cercava, in qualche modo troverà altri motivi per continuare a cercare. E avrà potuto constatare la testimonianza di tanti credenti lungo il cammino. Ciò lo aiuterà a continuare a mantenere il suo atteggiamento di ricerca, e sono sicuro che un giorno si trasformerà in scoperta. Come dice il Signore, "cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto".
Come può giovare alla Spagna un intero anno dedicato alla celebrazione del suo patrono?
È un evento provvidenziale; avrà una ripercussione molto positiva sul risveglio spirituale e religioso, e anche sulla consapevolezza che, come san Giacomo, dobbiamo rendere testimonianza al Signore. Il nostro motto diocesano per il 2010 c'invita a essere, come l'apostolo, "amici e testimoni del Signore". Potrebbe servire a tutti. E sarebbe il modo migliore di onorare il nostro patrono.
Santiago de Compostela è un polo di attrazione per tutta l'Europa. Questo risveglio spirituale è ciò che si auspica per il continente?
Indubbiamente. L'Europa, come diceva Goethe, nasce pellegrinando attorno alla memoria dell'apostolo Giacomo. Da qui l'appello profetico del venerabile servo di Dio Giovanni Paolo II nella nostra cattedrale affinché l'Europa riscopra le sue radici e rivitalizzi la sua fede. Così potrà continuare a essere quel faro d'evangelizzazione che è stato per gli altri continenti, senza imporre niente a nessuno, ma cercando d'offrire i valori che le hanno dato un senso religioso, culturale e sociale. Evidentemente per l'Europa questo Anno santo deve essere un punto di riferimento e può aiutarci a comprendere da dove veniamo, in che situazione siamo e verso dove procediamo.
(©L'Osservatore Romano - 7-8 gennaio 2010)
Massimo Introvigne: Piemonte: i cattolici non salgono in Mercedes. La Bresso: una vita per la Rivoluzione – da Facebook
Nota: Una versione lievemente diversa di questo articolo appare su "Libero" del l'8 gennaio.
Raccomando la lettura anche per chi non è piemontese: l'attuale presidentessa della Regione Piemonte, candidata alla riconferma, offre il raro esempio di una vita tutta consacrata al servizio di quel processo di negazione teorica e pratica delle verità naturali e cristiane che la scuola cattolica contro-rivoluzionaria chiama Rivoluzione. Da questo punto di vista, l'esempio è da manuale e il rilievo del personaggio è nazionale.
“Non sono interessata a partecipare a questa corsa per accreditarsi verso il mondo cattolico. Non sono credente e non ho cambiato idea. Se mai decidessi di convertirmi, ma lo escludo, non abbraccerei certo la religione cattolica. Diventerei valdese, Perché i Valdesi hanno il senso della differenza tra fede e morale religiosa e il ruolo dello Stato. Fede e morale religiosa sono un fatto privato”. Sono affermazioni di Mercedes Bresso, candidata alla riconferma alla presidenza della Regione Piemonte, in una famosa intervista a "La Stampa" del 30 settembre 2005. “Ero seria, non era una provocazione”, ha confermato la Bresso – con riferimento alla battuta sui Valdesi – confessandosi al "Corriere della Sera" del 24 febbraio 2009.
L’anticlericalismo della “zarina”, come la chiamano a Torino per il piglio autoritario, viene da lontano. Da un’antica militanza radicale e dalla collaborazione con Emma Bonino quando quest’ultima – racconta la Bresso – “era vicepresidente del CISA, l’associazione che assicurava alle donne diritto all’aborto”: “con Franca Rame facemmo una dichiarazione di aborto. Fummo incriminate per autocalunnia” (intervista a "Gay TV", 5.6.2009). Scelte confermate da una vita privata francamente rivelata nelle interviste: “Mi sono sposata due volte. Entrambe con rito civile” (ibid.). “Non ho figli perché non ne ho voluti. Sensi di colpa? Pas du tout” ("Corriere della Sera", 16.4.2008).
Nonostante gli sforzi dell’UDC, il prodotto Bresso risulta invendibile a una Chiesa piemontese che non sembra davvero intenzionata a salire sulla Mercedes. Su tutti i temi che il Papa indica come “non negoziabili” – e che invita a far prevalere nelle scelte politiche su ogni altro argomento – le posizioni della Bresso sono antitetiche a quelle cattoliche. Radici cristiane, identità? No: “Stato laico come garanzia di una società sempre più multiculturale e multireligiosa. Su questo non sono disposta a transigere” ("La Stampa", 30.9.2005). Come logica conseguenza, abolizione del Concordato: “I Patti Lateranensi?... Sì, sarebbe il momento di abolirli” ("Corriere della Sera", 24.2.2009).
Aborto? Dalla vecchia militanza con Emma Bonino e Franca Rame, la Bresso è passata alla battaglia per la RU486. “La scelta della pillola abortiva rientra fra le opzioni previste da una legge dello Stato, la 194. Una soluzione dal punto di vista medico che permette alle donne di soffrire di meno” ("La Stampa", 30.9.2005), dichiara la zarina, benché giuristi e medici smentiscano tutte e due queste affermazioni. E la Bresso non bada a spese (dei contribuenti) pur di promuovere la pillola che uccide, senza ricovero ospedaliero: “Sono contraria all’obbligo di ospedalizzazione, una volta assunta la pillola abortiva Ru486, per le donne che decidono di interrompere la gravidanza. Sono convinta che, sotto il profilo etico, non ci siano differenze tra l’interruzione di gravidanza terapeutica e quella farmacologica. Da questo punto di vista, un eventuale aggravio di costi per la Regione è del tutto indifferente” (dichiarazione del 6.8.2009, sul suo sito).
Caso Eluana? A suo tempo la Bresso si è offerta per farle sospendere l’alimentazione e l’idratazione in Piemonte: “Ovviamente saranno utilizzate strutture pubbliche perché quelle private sono sotto scacco del ministro [Sacconi]” ("La Stampa", 20.1.2009). “Tutti sappiamo che la vita di Eluana è artificiale. Si sostiene che alimentazione e idratazione non sono trattamenti medici e questo è un falso” ("L’Unità", 23.1.2009). E alle critiche del cardinale arcivescovo di Torino Severino Poletto ha risposto: “A Poletto, che richiama i medici cattolici alla obiezione di coscienza, chiedo: quale è la differenza tra l'Italia di oggi e gli stati clericali, come quello degli Ayatollah?” ("Repubblica", 22.1.2009).
“Il disporre della propria vita e della propria morte rappresenta un diritto di libertà assoluto per l’individuo” (appello della sorella della zarina, Paola Bresso, condiviso e diffuso sul proprio sito dalla presidente il 4.3.2009). Le posizioni del centro-destra e della Chiesa sono liquidate come “assurdità e “sciocchezze” perché Eluana fa parte di una “coorte crescente di persone che non sono più né vive né morte e che in qualche modo trascinano i vivi con sé verso la morte, verso la disperazione” (video diffuso sul sito, 22.4.2009).
Famiglia? “Era seria quando ha detto che il gay pride vale una processione religiosa?
«Possono essere entrambe manifestazioni di orgoglio identitario»” ("Corriere della Sera, 24.2.2009"). A "La Stampa" la Bresso dichiara che per le coppie omosessuali “per quanto riguarda la Regione ci muoveremo per garantire pari opportunità a tutti i cittadini e per combattere ogni discriminazione” (30.9.2005). Che cosa questo significhi davvero lo rivela al canale omosessuale "Gay TV": “PER IL MOMENTO [maiuscole mie] credo si debba introdurre un provvedimento simile al Pacs che garantisca diritti veri. In prospettiva, compatibilmente con il necessario cambiamento culturale, credo che si debba pensare ad un riconoscimento vero e proprio come il matrimonio” (5.6.2009).
No, la Chiesa non salirà sulla Mercedes. Del resto, la Mercedes non la vuole. La Chiesa – si legge nell’appello redatto dalla sorellina Paola, sottoscritto e diffuso dalla Bresso il 4 marzo 2009 – è un’istituzione che vuole “imporre agli altri il proprio punto di vista, chiamato anche «verità»”. La zarina lancia il suo appello contro la presunta “trasformazione del ruolo pubblico della religione in offensiva politica da parte delle gerarchie ecclesiastiche” (ibid.). Cattolici: comprereste una Mercedes usata da questa signora?
Postilla: Qualche amico politicamente perplesso cui ho anticipato il testo mi ha risposto: "D'accordo. Ma il centro-destra non candida forse in Piemonte un esponente della Lega? E la Lega non è in contrasto con la Chiesa sull'immigrazione?". A questa domanda sul piano dei principi per fortuna non devo rispondere io. Ha già risposto la Congregazione per la Dottrina della Fede, allora presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger, in una lettera ai vescovi degli Stati Uniti in occasione della campagna elettorale del 2004 (http://www.cesnur.org/2004/04_ratzinger.htm). Qui si contrapponevano democratici - quasi tutti abortisti, molti favorevoli all'eutanasia e molti contrari alla guerra in Iraq e alla pena di morte - e repubblicani, il cui partito era a maggioranza contro l'aborto e l'eutanasia ed era anche tutto favorevole alla guerra in Iraq e alla pena di morte. Superficialmente si sarebbero potute considerare le due posizioni dal punto di vista dei cattolici sullo stesso piano: il Papa (allora Giovanni Paolo II) era naturalmente contrario all'aborto e all'eutanasia ma era contrario anche alla guerra in Iraq e alla pena di morte. Ma sarebbe stato un errore, spiegava la Congregazione per la Dottrina della Fede, senza fare nomi di partiti ma enunciando i principi. Infatti "ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull’applicare la pena di morte, non però in alcun modo riguardo all’aborto e all’eutanasia". Quelli in materia di vita e di famiglia sono "principi non negoziabili" e obbligatori in modo assoluto per tutti i cattolici. Il resto - che comprende questioni gravissime come la guerra e la pena di morte e dunque senz'altro l'atteggiamento sull'immigrazione - è materia "negoziabile" su cui "ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici".
Questo per quanto riguarda il principio. Quanto al fatto, occorrerebbe studiare meglio il complessivo magistero della Chiesa in tema d'immigrazione, che non coincide con le dichiarazioni del tale o talaltro monsignore. Si dirà che il centro-destra avanza talora tesi scandalose come quella secondo cui sarebbe meglio aiutare gli immigrati a casa loro anziché farli venire in così gran numero da noi. Tesi come questa, forse? "La soluzione fondamentale [al problema dell'immigrazione] è che non ci sia più bisogno di emigrare, perché ci sono in Patria posti di lavoro sufficienti, un tessuto sociale sufficiente, così che nessuno abbia più bisogno di emigrare. Quindi, dobbiamo lavorare tutti per questo obiettivo, per uno sviluppo sociale che consenta di offrire ai cittadini lavoro ed un futuro nella terra d’origine", anziché nella terra d'immigrazione. Solo che queste parole non sono di un esponente del centro-destra italiano. Sono di Benedetto XVI, 15 aprile 2008, sull'aereo che lo portava negli Stati Uniti.
Salviamo i cristiani, a ogni costo - Mario Mauro venerdì 8 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
“Non vi permetteremo di celebrare le feste”: questo è quanto minacciavano a gran voce nell’ultimo periodo alcuni gruppi di musulmani rivolti al vescovo egiziano Kirollos. Si trattava di minacce molto serie, e il vescovo lo sapeva, sentiva un’aria negativa l’altra sera.
Purtroppo non è stato sufficiente l’aver accorciato la funzione natalizia del 7 gennaio. Poco prima della mezzanotte infatti, un commando armato ha sparato all’impazzata contro un gruppo di fedeli della chiesa di San Giovanni a Nag Hamadi, nella provincia di Qena, a una sessantina di chilometri da Luxor. Gli assalitori hanno aperto il fuoco in modo indiscriminato sulla folla, provocando una strage: 7 morti e 9 feriti gravi. Il Vescovo aveva lasciato la chiesa qualche minuto prima dell’arrivo del commando armato.
A scatenare le violenze, il presunto stupro di una dodicenne musulmana avvenuto nel novembre scorso. Nei giorni seguenti, la comunità islamica locale ha bruciato proprietà cristiane e danneggiato edifici. La polizia ha invitato il vescovo Kirollos a restare al sicuro nella propria abitazione, nel timore di nuove violenze.
È urgente che venga espressa da tutti la più ferma condanna per un atto infame e gravissimo che ripropone con forza lo scempio dell’intolleranza religiosa. Urge soprattutto che il governo egiziano si mobiliti a protezione di una minoranza sotto costante minaccia.
È compito della Comunità internazionale e dell’Unione Europea assicurare a tutti, comprese le minoranze, di esprimere liberamente il proprio credo, in nome di quegli ideali di pace e di giustizia su cui si fondano le nostre comunità.
Come è noto, l’Egitto è un paese abitato maggiormente da musulmani che discriminano continuamente la minoranza cristiana (10% della popolazione). Negli innumerevoli episodi degli ultimi anni, provocati dal considerevole aumento del fondamentalismo islamico, c’è una comunanza di metodo e di giustificazione degli atti da parte di questi ultimi: le dispute nascono su questioni che potremmo definire di vita quotidiana, come ad esempio questioni terriere, liti condominiali o contese per le donne.
Lo scontro si trasforma in tempi rapidissimi in contrapposizione religiosa nella quale ha la peggio sempre la minoranza cristiana, sintomo del fatto che siamo di fronte a una persecuzione strisciante che viene spesso camuffata da chi ne è protagonista.
Fede, religione e spiritualità sono sempre maggiormente riconosciute da tutti come un fattore imprescindibile della vita personale e comunitaria di un individuo. Hanno un ruolo rilevante nell’ordine pubblico e nella stabilità sociale. Sono alla base per quanto riguarda le motivazioni sul lavoro, nell’educazione e per la partecipazione civica. Allo stesso tempo i Governi devono fare i conti con una crescita esponenziale dei fenomeni discriminatori tra individui di diverse confessioni.
Per un grandissimo numero di persone oggi la fede religiosa e l’affiliazione a una comunità costituisce l’aspetto più importante della propria identità. In contesti come quello mediorientale, dove soprattutto dopo l’11 settembre 2001 si guarda al cristiano come un surrogato della potenza da distruggere, è grandissima la responsabilità di governi cosiddetti moderati come quello egiziano.
Essi, se vogliono veramente un futuro di pace e di dialogo, devono utilizzare ogni mezzo in loro possesso per difendere le minoranze come quella cristiana. Il dialogo tra diverse culture e religioni non può essere un dialogo astratto né deve dare per scontato che l’esperienza religiosa è vissuta nella sua verità e nella globalità delle sue dimensioni. Questo dialogo deve fondarsi sulla tolleranza e la verità. Tolleranza non significa qualunquismo. Tolleranza significa rispettare le convinzioni degli altri, salvaguardando le proprie, e quindi convivere senza violenza.
Nel nostro mondo testimoniare la fede come qualcosa che compie la nostra umanità sta diventando sempre più difficile. Come restare allora certi e saldi, considerando che tutto ciò che succede lì, può succedere a chiunque di noi in qualunque istante?
Occorre ogni giorno di più un altissimo senso di responsabilità di vicinanza e di amore per questi nostri fratelli, dobbiamo entrare in campo tutti con una straordinaria forza perché, salvando i cristiani, permettiamo a Dio di essere nel mondo e di continuare a essere l’unico vero fattore unificante per gli uomini, uniti nella diversità e nell’imperfezione.
1) Anna e i suoi fratelli. I mille volti del vero islam - In un libro che illumina come pochi, una giovane italo-marocchina racconta di sé e dei suoi tanti parenti musulmani. Amori, rovine, passioni, fanatismi. E l'Europa come sogno incompiuto. Un islam multiforme e sconosciuto. Tutto da scoprire - di Sandro Magister
2) Massacro in una chiesa copta nel sud dell'Egitto - Sette le persone uccise in un violento attacco
3) L'arcivescovo di Santiago de Compostela, Julián Barrio Barrio, sull'Anno santo giacobeo - Il senso di un pellegrinaggio - di Marta Lago - L'Osservatore Romano - 7-8 gennaio 2010
4) Massimo Introvigne: Piemonte: i cattolici non salgono in Mercedes. La Bresso: una vita per la Rivoluzione – da Facebook
5) Salviamo i cristiani, a ogni costo - Mario Mauro venerdì 8 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
Anna e i suoi fratelli. I mille volti del vero islam - In un libro che illumina come pochi, una giovane italo-marocchina racconta di sé e dei suoi tanti parenti musulmani. Amori, rovine, passioni, fanatismi. E l'Europa come sogno incompiuto. Un islam multiforme e sconosciuto. Tutto da scoprire - di Sandro Magister
ROMA, 4 gennaio 2010 – Il nuovo anno si apre con l'ansia di nuovi attacchi terroristici di musulmani all'Occidente. Anche ad opera di nemici cresciuti in casa, in quell'Europa nella quale si sono stabiliti, ma senza integrarsi.
Nell'opinione diffusa, islam e islamismo rischiano sempre più di diventare sinonimi. Il "volto" pubblico dell'immigrato musulmano finisce schiacciato su un profilo radicale e violento.
Ma che la realtà del mondo musulmano sia molto diversa, ci vien detto e mostrato in modo convincente da questo stesso mondo, se appena lo si guarda e ascolta senza pregiudizi.
Una delle voci musulmane più significative è, tra le tante, quella di Khaled Fouad Allam, italo-algerino, professore alle università di Trieste e di Urbino.
In un editoriale dello scorso 9 settembre sul quotidiano dei vescovi italiani, "Avvenire", Allam ha scritto che l'islamismo violento non è affatto in espansione, oggi, tra i musulmani, nemmeno in un paese come l'Algeria dove pure negli scorsi decenni ha fatto migliaia di vittime:
"Certo, esiste la frangia magrebina di Al Qaeda, capace sempre di colpire. Ma oggi, rispetto al passato, questo e altri movimenti sono divenuti movimenti di élite, formati da intellettuali precarizzati o da giovani attratti dalla narrazione ideologica, e non hanno più la base sociale di cui godevano quindici anni fa. Oggi i ragazzi algerini sognano l'Occidente e l'Europa non solo perché cercano una vita agiata, come i loro genitori negli anni Sessanta e Settanta, ma in quanto libertà. E mentre in vari Stati musulmani i governi spingono a una reislamizzazione in senso ortodosso, in questi stessi Stati avanzano i processi di secolarizzazione, che investono la fede religiosa. La Turchia è esemplare in questo senso".
Khaled Fouad Allam è un analista e interprete di notevole acutezza di ciò che avviene nella cultura e nella pratica musulmana. Un anno fa fu sul punto di diventare una firma regolare de "L'Osservatore Romano" proprio per scrivere di questi temi. Ma a un primo articolo, pubblicato il 30 novembre 2008, non ne seguirono più altri.
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Un'altra voce musulmana assolutamente da ascoltare è quella di Anna Mahjar-Barducci (nella foto), residente in Italia, giornalista e scrittrice, nata da madre marocchina e da padre italiano, sposata a un ebreo israeliano di nome David.
Agli occhi dell'islam ortodosso, il matrimonio suo e quello di sua madre con un uomo di altra religione sono inaccettabili, un'apostasia. Ma in Marocco l'opinione prevalente non è affatto così rigida. Nel 2006, il film più visto in quel paese fu "Marock", una storia d'amore tra una giovane musulmana che vuole liberarsi dai dogmi religiosi e un attraente ragazzo ebreo.
Da poche settimane è in libreria in Italia un racconto autobiografico, scritto da Anna Mahjar-Barducci, dal titolo "Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa".
Il libro è un vivido affresco del quartiere della città del Marocco in cui abitano i numerosi famigliari della scrittrice, di cui si raccontano le storie.
Alcuni di questi suoi parenti vanno e vengono tra il Marocco e l'Europa. Ma ciò che più sorprende del racconto è che nessuno di loro assomiglia a un altro. Sono tutti musulmani, ma diversissimi. Il breve capitolo riprodotto più sotto mostra nel modo più efficace la realtà di questo multiforme "islam individuale".
Tutti sognano l'Europa. Ma nessuno di loro riesce a integrarsi nel paese in cui emigra. Neppure l'autrice, che pure è cittadina italiana. In un altro capitolo del libro, ella racconta che in Italia, ad aggravare questa separatezza, sono proprio altri suoi correligionari immigrati:
"Quando vedo un magrebino per la strada, mi tocca cambiare tragitto. Comincia a salutarmi in arabo e mi fissa come se fossi di sua proprietà. Una volta che ero in una pizzeria con un compagno di scuola, un marocchino mi chiamò 'sharmuta', prostituta, e mi disse che non potevo uscire con un italiano. Dovette intervenire il padrone del locale, per mandarlo via. In Marocco non succederebbe mai una cosa del genere".
In altri suoi scritti, Anna Mahjar-Barducci ha spiegato che le difficoltà ad integrarsi nei paesi europei provocano in molti musulmani emigrati una "perdita d'identità". E questo li può far cadere nella rete degli islamisti radicali, che offrono loro proprio una identità forte e sicura, che li fa sentire non più soli, ma parte di grande comunità. "Così si possono vedere a Milano ragazzi di origine magrebina che neppure parlano più l’arabo, ma con barbe lunghe e con abiti che in Marocco nessuno di loro indosserebbe".
Il capitolo qui riprodotto di "Italo-marocchina" mostra anche questo. Tra i personaggi descritti, il solo che si è fatto islamista radicale lo è diventato per contraccolpo di una disordinata vita da emigrato in Francia. Ma ecco altri dettagli per seguire con più facilità il racconto.
Le sorelle Zaynab e Lamia sono due giovani cugine dell'autrice del libro. Leila è la loro madre. Loro padre, Karim, dopo una vita dissoluta si è convertito al fondamentalismo. Rachid, altro zio dell'autrice, è un ex militare del generale Oufkir, autore nel 1972 di un fallito rovesciamento della monarchia in Marocco e prima ancora, nel 1965, dell'eliminazione del leader socialista Ben Barka. Groupe Six è il quartiere della città marocchina di Kenitra ove l'autrice del libro è tornata a incontrare i suoi parenti. La jillabah è una tunica larga indossata in vari paesi arabi, che in Marocco ha il cappuccio. L'ashura è la principale festa dei musulmani sciiti. I marabut sono guide religiose che vanno di casa in casa. La umma è l'insieme di tutti i musulmani del mondo.
Ed ecco il capitolo del libro.
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Islam individuale
di Anna Mahjar-Barducci
(Da "Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa", pp. 91-94)
La mattina, Zaynab mi svegliò con un urlo. Era andata presto a comperare i biglietti per il concerto di Cheb Khaled a Casablanca. Sicuramente una delle notizie migliori della giornata. Non vedevo l'ora di vederlo dal vivo.
Lamia andò fuori casa a parlare al cellulare. Zaynab mi disse che stava chiamando Fahd: si trovava a Casablanca per qualche giorno e avrebbe potuto rivederlo al concerto. Quando tornò in camera, non ci raccontò nulla. Poi la vidi indossare la jillabah sopra la maglietta di Zinedine Zidane e mettersi il velo. Andò nella stanza accanto e iniziò a pregare. Ero confusa. Suo padre poteva averla contagiata. Nessuno nella mia famiglia aveva mai pregato, a parte Karim, che non era certo un esempio da seguire. Rachid, quando la vide, fece una faccia perplessa: "Lamia!", urlò lo zio dal divano. "Stai pregando verso l'America! La Mecca è dall'altra parte". Scoppiammo tutti in una risata.
La mia famiglia era composta principalmente da donne. Tutte noi ci consideravamo musulmane; ma ognuna aveva il suo modo di interpretare la religione. Ognuna, infatti, aveva il suo islam personale. Per mia madre, essere musulmana significava semplicemente credere in Dio. Per mia zia Samia, significava avere un'identità. Per Zaynab e Maryiam voleva dire non dimenticare le proprie origini. Osservare i precetti religiosi per noi era secondario. Eppure, vedere Lamia pregare mi aveva impressionato. Rispettavo la sua scelta personale, ma, dopo la visita del marabut, avevo paura che si chiudesse al mondo, come aveva fatto suo padre. Rachid, invece, era un panarabista, e la religione non gli interessava. Diceva di essere musulmano per nascita e ateo per scelta.
Pochi anni prima, avevo incontrato a Venezia Abdennour Bidar, un professore francese di filosofia, di fede islamica. Mesi dopo, mia cugina Zaynab mi spedì dalla Francia un libro di Bidar, intitolato "Self Islam": ovvero l'islam dell'individuo, come io stessa lo definivo. Cominciai immediatamente a leggerlo, sicura che vi avrei trovato la descrizione della mia famiglia. [...]
Leila e le mie cugine rispettavano il Ramadan. Mia zia Samia, invece, durante quel periodo continuava a mangiare; ma nessuno della mia famiglia avrebbe osato dirle che per questo non era musulmana. Dopo tutto, la maggior parte dei nostri vicini, a Groupe Six, formalmente digiunavano durante il Ramadan, ma poi mangiavano di nascosto tappati in casa. Prima di uscire, però, con molta ipocrisia si grattavano leggermente la lingua con le unghie per farla diventare bianca, come se avessero digiunato. C'era invece chi il Ramadan lo rispettava per tutto il mese; e poi durante gli altri giorni dell'anno beveva vino e superalcolici.
Nella mia famiglia, inoltre, la umma non sapevano nemmeno che cosa fosse. Zaynab, presa a volte da pulsioni panarabiste, diceva "noi arabi"; ma l'unico "noi" che era sempre esistito a casa mia era la nostra famiglia. In Marocco eravamo tutti sunniti; e a Groupe Six non sapevano nemmeno cosa fossero gli sciiti. Quando ero piccola, però, il giorno dell'ashura, a Kenitra sembrava di essere a Teheran. Uomini vestiti di bianco si battevano la testa con coltelli fino a quando non usciva loro il sangue, come facevano i seguaci di Ali. Pensai che forse eravamo anche noi sciiti senza saperlo. Non ne avevo le prove, ma mi piaceva quella combinazione di tradizioni. Mia madre, però, quando vedeva un uomo con la barba da fondamentalista, lo chiamava Ayatollah. Quella, era per lei il massimo dell'offesa.
Mio zio Rachid, alzandosi dal divano per uscire a fumare, guardò nuovamente Lamia pregare con l'indice puntato verso l'alto. Poi si avvicinò verso di me in cucina, per parlarmi.
"Tu mi accusi sempre di aver sostenuto Oufkir. Sei anche convinta che, se Ben Barka fosse stato vivo, la storia del Marocco sarebbe stata migliore", mi disse sottovoce. "Il vero pericolo per il paese ce l'abbiamo in casa. Quelli come quell'asino di tuo zio Karim prima rovinano la vita alla famiglia, poi si fanno un bernoccolo in fronte pregando, e per redimersi pensano di poterci togliere le nostre libertà. Non lo vedi?".
Quella fu la conversazione più lunga che ebbi mai con mio zio Rachid. Lo guardai uscire dalla porta, sedersi sullo scalino e accendersi nervosamente una sigaretta con un fiammifero, guardandosi intorno pensieroso.
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Il libro:
Anna Mahjar-Barducci, "Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa", prefazione di Vittorio Dan Segre, Diabasis, Reggio Emilia, 2009.
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Anna Mahjar-Barducci ha fondato e presiede in Italia l'Associazione Arabi Democratici Liberali, il cui sito è anche in inglese:
> www.arabidemocraticiliberali.com
L’Associazione opera assieme a un istituto di ricerca di Erbil, nel Kurdistan iracheno, nato per promuovere il dialogo religioso e inter-etnico:
> www.tolerancy.org
Gli scritti prodotti dall'Associazione Arabi Democratici Liberali escono su media arabi come la tv Al-Arabiya, il quotidiano saudita con base a Londra "Al-Awsat", il settimanale marocchino "Tel Quel", il libanese "Daily Star" e il settimanale iracheno "Al-Ahali"-
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Lo scorso 21 ottobre, sul settimanale "Tempi", Anna Mahjar-Barducci è intervenuta a proposito delle discussioni in corso in Italia sull'integrazione degli immigrati e sulla concessione in tempi più brevi della cittadinanza:
> "Sono italo-marocchina..."
L'articolo termina così:
"Quando leggo sulle pagine dei quotidiani italiani il dibattito sulla concessione della cittadinanza agli immigrati dopo soli cinque anni di residenza, rimango un po’ attonita. Infatti, dalle dichiarazioni di questi giorni sembra che dimezzare il tempo di attesa sia di per sé un elemento che faciliti automaticamente l’integrazione dell’immigrato. Ma forse altro non è che un escamotage per non trattare in maniera appropriata vere politiche di integrazione, che ancora mancano. C’è invece la necessità, per esempio, di promuovere corsi di italiano e di alfabetizzazione gratuiti, di creare modelli e attività sociali per i figli di immigrati, di istituire centri di aiuto e di empowerment per le donne immigrate, di controllare le moschee, di formare imam che abbraccino scuole di pensiero moderno, eccetera. Senza l’adozione di politiche reali che permettano all’immigrato di fare propria l’identità italiana, tutto rimarrà uguale, non importa che la cittadinanza venga data prima o dopo. Continueremo soltanto a vantarci inutilmente di vivere in un’Italia 'multiculturale', quando il multiculturalismo senza integrazione ha sempre creato soltanto ghettizzazione. E avremo altri padri come quello di Sanaa, che uccideranno le loro figlie, ma questa volta con la cittadinanza italiana".
Massacro in una chiesa copta nel sud dell'Egitto - Sette le persone uccise in un violento attacco
IL CAIRO, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La notte di Natale celebrata in una chiesa ortodossa copta egiziana è finita in tragedia per la morte di sette persone, tra cui un agente di sicurezza musulmano, durante un attacco sferrato da tre persone su un veicolo.
L'attentato è avvenuto dopo la fine della Messa di Natale (che secondo il calendario della Chiesa ortodossa copta si celebra la notte del 6 gennaio) nella città di Nagaa Hamadi, nella provincia di Quena, a circa 65 chilometri dalle rovine di Luxor, in Egitto. I fedeli stavano uscendo dalla chiesa della Vergine Maria. Oltre alle vittime, ci sono stati anche nove feriti.
I cristiani residenti in questa località avevano già ricevuto varie minacce nei giorni precedenti la celebrazione del Natale. Il Vescovo di Kirollos, nella Diocesi di Nag Hamadi, aveva ricevuto un messaggio sul suo telefono cellulare in cui si diceva: “Ora è il suo turno”. A causa di queste minacce, ha detto che si era visto costretto a terminare la Messa di Natale un'ora prima del solito.
“Non ne ho fatto nulla (del messaggio). Anche i miei fedeli hanno ricevuto minacce per la strada, e alcuni hanno gridato loro: 'Non lasceremo che abbiate delle feste'”, ha segnalato il Vescovo di Kirollos in alcune dichiarazioni all'agenzia AP.
I cristiani d'Egitto, in maggioranza copti, rappresentano circa il 10% della popolazione del Paese. Su più di 83 milioni di abitanti, infatti, il 90% è rappresentato da musulmani.
Secondo quanto ha reso noto il Ministro degli Interni egiziano, la causa dell'attacco è stata la vendetta per la violenza perpetrata da un cristiano ai danni di una bambina musulmana a novembre. Dopo questo fatto ci sono stati disordini nella località, tra cui l'incendio di proprietà di alcuni cristiani.
Padre Rafic Greiche, direttore dell'ufficio informazioni cattolico locale, ha affermato come riporta “L'Osservatore Romano”: “Anche noi cattolici, come il resto dei cristiani siamo preoccupati. L'atmosfera, soprattutto nell'Alto Egitto, è più pesante. Al Cairo ci sentiamo tutti più sicuri, ma nei villaggi il clima è diverso. Gli incidenti, gli attacchi nascono sempre da una miscela di odio religioso e pretesti occasionali”.
I cristiani si lamentano sempre più della discriminazione che subiscono a causa del fondamentalismo islamico, soprattutto dal punto di vista lavorativo, perché i cittadini egiziani devono portare sempre con sé un documento che identifichi la religione alla quale appartengono, e molti non sono accettati in alcuni posti di lavoro perché sono cristiani.
L'arcivescovo di Santiago de Compostela, Julián Barrio Barrio, sull'Anno santo giacobeo - Il senso di un pellegrinaggio - di Marta Lago - L'Osservatore Romano - 7-8 gennaio 2010
Non fuggono dal vuoto. I pellegrini sono pieni dell'anelito d'un incontro che illumina la vita. Ogni anno ne giungono due milioni a Santiago de Compostela. Rotte millenarie, attraverso il nord della Spagna, conducono alla tomba dell'apostolo. Nell'ultimo Anno santo compostelano, il 2004, l'arcidiocesi galiziana ha accolto 6,4 milioni di pellegrini. Nel 2010 la festa di san Giacomo, il 25 luglio, cade di domenica, coincidenza che segna un nuovo anno giubilare; non si ripeterà fino al 2021. L'arcivescovo di Santiago de Compostela, Julián Barrio Barrio, ha rilasciato un'intervista a "L'Osservatore Romano" dopo che, il 31 dicembre, ha spalancato la Porta santa della cattedrale a milioni di viaggiatori dello spirito.
Anno santo compostelano 2010. Cosa implica l'aggettivo "santo"?
La chiamata alla santità alla quale tutti, come figli di Dio e della Chiesa, dobbiamo rispondere. In un Anno santo, sebbene sembri ovvio, è necessario ricordare questa vocazione alla santità e allo stesso tempo la vocazione di eternità, due aspetti che definiscono la condizione umana e gli impegni che come cristiani dobbiamo assumerci.
"Pellegrinando verso la luce" è il motto di questo anno...
Perché il pellegrino procede per incontrare la tradizione apostolica, fondamento della nostra fede, che qui esprime l'apostolo Giacomo il Maggiore. Il fine però non è il sepolcro dell'apostolo, ma l'incontro, attraverso san Giacomo, con Cristo risorto, la luce che deve illuminare la realtà della nostra esistenza.
Quindi si tratta innanzitutto di un incontro per poter essere testimoni...
In effetti è così. Ho intitolato la lettera pastorale di quest'anno Peregrinos de la fe y testigos de Cristo resucitado. Mi preoccupava l'inquietudine del pellegrino sul "dopo" pellegrinaggio. Ho cercato di sottolineare che, come i pellegrini di Emmaus, una volta sperimentato l'incontro con il Signore, bisogna tornare nella comunità cristiana per rendere testimonianza di ciò che s'è visto, vissuto e ascoltato, e per manifestarlo in tutti gli aspetti dell'esistenza. L'Anno santo non è una fuga spiritualista e neppure un discorso religioso vuoto. È un impegno ad accogliere la grazia di Dio nella nostra vita, a discernere cristianamente la realtà e a cercare di costruire una civiltà dell'amore alla quale tutti siamo chiamati. E l'eco di tutto ciò deve essere il rafforzamento della speranza cristiana che ci aiuta a contemplare il passato con gratitudine, a vivere il presente con responsabilità, senza fughe, e a guardare al futuro con fiducia perché è nelle mani di Dio, che sono buone mani!
Quali atteggiamenti suggerisce a un cattolico che si fa pellegrino a Santiago?
Il pellegrinare evoca l'apertura alla trascendenza e fa del pellegrino un "dispensatore del sacro". Ciò contribuisce al risveglio religioso e spirituale delle persone, delle comunità cristiane e dei nostri popoli. Il pellegrino non può mai dimenticare la meta verso la quale s'incammina. Deve percorrere il cammino con la pazienza della speranza e con la forza della grazia. E questa è una testimonianza viva in mezzo all'indifferenza religiosa che stiamo subendo, all'incertezza morale e alla perdita della prospettiva del significato trascendente della vita. In questo Anno della grande "perdonanza" il pellegrino deve, inoltre, prendere coscienza dei suoi peccati, offrire il perdono a chi lo ha offeso, incrementare lo spirito di preghiera, esercitare l'elemosina come segno di carità e intraprendere il cammino verso il Signore con umiltà. Solo così potrà percepire la gioia dell'incontro con Cristo. L'Anno santo deve portare a una rivitalizzazione spirituale, ma anche sociale, senza dimenticare che nell'uomo esiste un anelito inestinguibile d'infinito. Oggi abbiamo bisogno d'incontrare l'umanità che pulsa in noi. E il pellegrinaggio può servire a incontrare noi stessi, gli altri e naturalmente Dio.
Anelito che può muovere anche i non credenti a intraprendere il cammino giacobeo. Cosa consiglierebbe loro?
L'apertura a ciò che il Signore può dire loro in questo pellegrinaggio. Ci sono persone che hanno iniziato il cammino senza una preoccupazione realmente religiosa. Mi piace però dire che a Santiago si giunge sempre come pellegrini; la rotta molte volte rappresenta una "via di Damasco", altre "una strada per Emmaus". Per quanti hanno perso la fede o ne sono privi, il cammino di Santiago può essere l'ambito che può condurli a Cristo e illuminare la loro vita. Direi loro d'intraprendere il cammino con la preoccupazione della ricerca. È questa l'inquietudine dell'uomo. E li inviterei a non scartare in nessun momento la possibilità d'incontrare il Signore.
Benedetto XVI ripeterebbe che si tratta di vivere "come se Dio esistesse"...
Proprio così. È la cosa più importante. Il Signore ci cerca sempre, ma molte volte noi pretendiamo di nasconderci o di fuggire.
Come si potrebbe misurare il "successo" del pellegrinaggio?
Si tratta di purificare il cuore per cambiare la vita. Far morire l'uomo vecchio, come ci dice san Paolo, per conformarci all'uomo nuovo che è Cristo Gesù. E ciò implica sempre un cambiamento radicale di vita. Da qui l'enorme importanza della conversione. È la dimensione fondamentale - per la quale è necessario essere ben disposti - del pellegrinaggio giacobeo e dell'Anno santo compostelano.
E il non credente, come riconosce il risultato del suo pellegrinaggio? Il Papa, nel messaggio per l'apertura dell'Anno santo compostelano, ha insistito sul fatto che è un tempo di grazia per credenti e non credenti...
Se il non credente non ha trovato per ora la risposta che cercava, in qualche modo troverà altri motivi per continuare a cercare. E avrà potuto constatare la testimonianza di tanti credenti lungo il cammino. Ciò lo aiuterà a continuare a mantenere il suo atteggiamento di ricerca, e sono sicuro che un giorno si trasformerà in scoperta. Come dice il Signore, "cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto".
Come può giovare alla Spagna un intero anno dedicato alla celebrazione del suo patrono?
È un evento provvidenziale; avrà una ripercussione molto positiva sul risveglio spirituale e religioso, e anche sulla consapevolezza che, come san Giacomo, dobbiamo rendere testimonianza al Signore. Il nostro motto diocesano per il 2010 c'invita a essere, come l'apostolo, "amici e testimoni del Signore". Potrebbe servire a tutti. E sarebbe il modo migliore di onorare il nostro patrono.
Santiago de Compostela è un polo di attrazione per tutta l'Europa. Questo risveglio spirituale è ciò che si auspica per il continente?
Indubbiamente. L'Europa, come diceva Goethe, nasce pellegrinando attorno alla memoria dell'apostolo Giacomo. Da qui l'appello profetico del venerabile servo di Dio Giovanni Paolo II nella nostra cattedrale affinché l'Europa riscopra le sue radici e rivitalizzi la sua fede. Così potrà continuare a essere quel faro d'evangelizzazione che è stato per gli altri continenti, senza imporre niente a nessuno, ma cercando d'offrire i valori che le hanno dato un senso religioso, culturale e sociale. Evidentemente per l'Europa questo Anno santo deve essere un punto di riferimento e può aiutarci a comprendere da dove veniamo, in che situazione siamo e verso dove procediamo.
(©L'Osservatore Romano - 7-8 gennaio 2010)
Massimo Introvigne: Piemonte: i cattolici non salgono in Mercedes. La Bresso: una vita per la Rivoluzione – da Facebook
Nota: Una versione lievemente diversa di questo articolo appare su "Libero" del l'8 gennaio.
Raccomando la lettura anche per chi non è piemontese: l'attuale presidentessa della Regione Piemonte, candidata alla riconferma, offre il raro esempio di una vita tutta consacrata al servizio di quel processo di negazione teorica e pratica delle verità naturali e cristiane che la scuola cattolica contro-rivoluzionaria chiama Rivoluzione. Da questo punto di vista, l'esempio è da manuale e il rilievo del personaggio è nazionale.
“Non sono interessata a partecipare a questa corsa per accreditarsi verso il mondo cattolico. Non sono credente e non ho cambiato idea. Se mai decidessi di convertirmi, ma lo escludo, non abbraccerei certo la religione cattolica. Diventerei valdese, Perché i Valdesi hanno il senso della differenza tra fede e morale religiosa e il ruolo dello Stato. Fede e morale religiosa sono un fatto privato”. Sono affermazioni di Mercedes Bresso, candidata alla riconferma alla presidenza della Regione Piemonte, in una famosa intervista a "La Stampa" del 30 settembre 2005. “Ero seria, non era una provocazione”, ha confermato la Bresso – con riferimento alla battuta sui Valdesi – confessandosi al "Corriere della Sera" del 24 febbraio 2009.
L’anticlericalismo della “zarina”, come la chiamano a Torino per il piglio autoritario, viene da lontano. Da un’antica militanza radicale e dalla collaborazione con Emma Bonino quando quest’ultima – racconta la Bresso – “era vicepresidente del CISA, l’associazione che assicurava alle donne diritto all’aborto”: “con Franca Rame facemmo una dichiarazione di aborto. Fummo incriminate per autocalunnia” (intervista a "Gay TV", 5.6.2009). Scelte confermate da una vita privata francamente rivelata nelle interviste: “Mi sono sposata due volte. Entrambe con rito civile” (ibid.). “Non ho figli perché non ne ho voluti. Sensi di colpa? Pas du tout” ("Corriere della Sera", 16.4.2008).
Nonostante gli sforzi dell’UDC, il prodotto Bresso risulta invendibile a una Chiesa piemontese che non sembra davvero intenzionata a salire sulla Mercedes. Su tutti i temi che il Papa indica come “non negoziabili” – e che invita a far prevalere nelle scelte politiche su ogni altro argomento – le posizioni della Bresso sono antitetiche a quelle cattoliche. Radici cristiane, identità? No: “Stato laico come garanzia di una società sempre più multiculturale e multireligiosa. Su questo non sono disposta a transigere” ("La Stampa", 30.9.2005). Come logica conseguenza, abolizione del Concordato: “I Patti Lateranensi?... Sì, sarebbe il momento di abolirli” ("Corriere della Sera", 24.2.2009).
Aborto? Dalla vecchia militanza con Emma Bonino e Franca Rame, la Bresso è passata alla battaglia per la RU486. “La scelta della pillola abortiva rientra fra le opzioni previste da una legge dello Stato, la 194. Una soluzione dal punto di vista medico che permette alle donne di soffrire di meno” ("La Stampa", 30.9.2005), dichiara la zarina, benché giuristi e medici smentiscano tutte e due queste affermazioni. E la Bresso non bada a spese (dei contribuenti) pur di promuovere la pillola che uccide, senza ricovero ospedaliero: “Sono contraria all’obbligo di ospedalizzazione, una volta assunta la pillola abortiva Ru486, per le donne che decidono di interrompere la gravidanza. Sono convinta che, sotto il profilo etico, non ci siano differenze tra l’interruzione di gravidanza terapeutica e quella farmacologica. Da questo punto di vista, un eventuale aggravio di costi per la Regione è del tutto indifferente” (dichiarazione del 6.8.2009, sul suo sito).
Caso Eluana? A suo tempo la Bresso si è offerta per farle sospendere l’alimentazione e l’idratazione in Piemonte: “Ovviamente saranno utilizzate strutture pubbliche perché quelle private sono sotto scacco del ministro [Sacconi]” ("La Stampa", 20.1.2009). “Tutti sappiamo che la vita di Eluana è artificiale. Si sostiene che alimentazione e idratazione non sono trattamenti medici e questo è un falso” ("L’Unità", 23.1.2009). E alle critiche del cardinale arcivescovo di Torino Severino Poletto ha risposto: “A Poletto, che richiama i medici cattolici alla obiezione di coscienza, chiedo: quale è la differenza tra l'Italia di oggi e gli stati clericali, come quello degli Ayatollah?” ("Repubblica", 22.1.2009).
“Il disporre della propria vita e della propria morte rappresenta un diritto di libertà assoluto per l’individuo” (appello della sorella della zarina, Paola Bresso, condiviso e diffuso sul proprio sito dalla presidente il 4.3.2009). Le posizioni del centro-destra e della Chiesa sono liquidate come “assurdità e “sciocchezze” perché Eluana fa parte di una “coorte crescente di persone che non sono più né vive né morte e che in qualche modo trascinano i vivi con sé verso la morte, verso la disperazione” (video diffuso sul sito, 22.4.2009).
Famiglia? “Era seria quando ha detto che il gay pride vale una processione religiosa?
«Possono essere entrambe manifestazioni di orgoglio identitario»” ("Corriere della Sera, 24.2.2009"). A "La Stampa" la Bresso dichiara che per le coppie omosessuali “per quanto riguarda la Regione ci muoveremo per garantire pari opportunità a tutti i cittadini e per combattere ogni discriminazione” (30.9.2005). Che cosa questo significhi davvero lo rivela al canale omosessuale "Gay TV": “PER IL MOMENTO [maiuscole mie] credo si debba introdurre un provvedimento simile al Pacs che garantisca diritti veri. In prospettiva, compatibilmente con il necessario cambiamento culturale, credo che si debba pensare ad un riconoscimento vero e proprio come il matrimonio” (5.6.2009).
No, la Chiesa non salirà sulla Mercedes. Del resto, la Mercedes non la vuole. La Chiesa – si legge nell’appello redatto dalla sorellina Paola, sottoscritto e diffuso dalla Bresso il 4 marzo 2009 – è un’istituzione che vuole “imporre agli altri il proprio punto di vista, chiamato anche «verità»”. La zarina lancia il suo appello contro la presunta “trasformazione del ruolo pubblico della religione in offensiva politica da parte delle gerarchie ecclesiastiche” (ibid.). Cattolici: comprereste una Mercedes usata da questa signora?
Postilla: Qualche amico politicamente perplesso cui ho anticipato il testo mi ha risposto: "D'accordo. Ma il centro-destra non candida forse in Piemonte un esponente della Lega? E la Lega non è in contrasto con la Chiesa sull'immigrazione?". A questa domanda sul piano dei principi per fortuna non devo rispondere io. Ha già risposto la Congregazione per la Dottrina della Fede, allora presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger, in una lettera ai vescovi degli Stati Uniti in occasione della campagna elettorale del 2004 (http://www.cesnur.org/2004/04_ratzinger.htm). Qui si contrapponevano democratici - quasi tutti abortisti, molti favorevoli all'eutanasia e molti contrari alla guerra in Iraq e alla pena di morte - e repubblicani, il cui partito era a maggioranza contro l'aborto e l'eutanasia ed era anche tutto favorevole alla guerra in Iraq e alla pena di morte. Superficialmente si sarebbero potute considerare le due posizioni dal punto di vista dei cattolici sullo stesso piano: il Papa (allora Giovanni Paolo II) era naturalmente contrario all'aborto e all'eutanasia ma era contrario anche alla guerra in Iraq e alla pena di morte. Ma sarebbe stato un errore, spiegava la Congregazione per la Dottrina della Fede, senza fare nomi di partiti ma enunciando i principi. Infatti "ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull’applicare la pena di morte, non però in alcun modo riguardo all’aborto e all’eutanasia". Quelli in materia di vita e di famiglia sono "principi non negoziabili" e obbligatori in modo assoluto per tutti i cattolici. Il resto - che comprende questioni gravissime come la guerra e la pena di morte e dunque senz'altro l'atteggiamento sull'immigrazione - è materia "negoziabile" su cui "ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici".
Questo per quanto riguarda il principio. Quanto al fatto, occorrerebbe studiare meglio il complessivo magistero della Chiesa in tema d'immigrazione, che non coincide con le dichiarazioni del tale o talaltro monsignore. Si dirà che il centro-destra avanza talora tesi scandalose come quella secondo cui sarebbe meglio aiutare gli immigrati a casa loro anziché farli venire in così gran numero da noi. Tesi come questa, forse? "La soluzione fondamentale [al problema dell'immigrazione] è che non ci sia più bisogno di emigrare, perché ci sono in Patria posti di lavoro sufficienti, un tessuto sociale sufficiente, così che nessuno abbia più bisogno di emigrare. Quindi, dobbiamo lavorare tutti per questo obiettivo, per uno sviluppo sociale che consenta di offrire ai cittadini lavoro ed un futuro nella terra d’origine", anziché nella terra d'immigrazione. Solo che queste parole non sono di un esponente del centro-destra italiano. Sono di Benedetto XVI, 15 aprile 2008, sull'aereo che lo portava negli Stati Uniti.
Salviamo i cristiani, a ogni costo - Mario Mauro venerdì 8 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
“Non vi permetteremo di celebrare le feste”: questo è quanto minacciavano a gran voce nell’ultimo periodo alcuni gruppi di musulmani rivolti al vescovo egiziano Kirollos. Si trattava di minacce molto serie, e il vescovo lo sapeva, sentiva un’aria negativa l’altra sera.
Purtroppo non è stato sufficiente l’aver accorciato la funzione natalizia del 7 gennaio. Poco prima della mezzanotte infatti, un commando armato ha sparato all’impazzata contro un gruppo di fedeli della chiesa di San Giovanni a Nag Hamadi, nella provincia di Qena, a una sessantina di chilometri da Luxor. Gli assalitori hanno aperto il fuoco in modo indiscriminato sulla folla, provocando una strage: 7 morti e 9 feriti gravi. Il Vescovo aveva lasciato la chiesa qualche minuto prima dell’arrivo del commando armato.
A scatenare le violenze, il presunto stupro di una dodicenne musulmana avvenuto nel novembre scorso. Nei giorni seguenti, la comunità islamica locale ha bruciato proprietà cristiane e danneggiato edifici. La polizia ha invitato il vescovo Kirollos a restare al sicuro nella propria abitazione, nel timore di nuove violenze.
È urgente che venga espressa da tutti la più ferma condanna per un atto infame e gravissimo che ripropone con forza lo scempio dell’intolleranza religiosa. Urge soprattutto che il governo egiziano si mobiliti a protezione di una minoranza sotto costante minaccia.
È compito della Comunità internazionale e dell’Unione Europea assicurare a tutti, comprese le minoranze, di esprimere liberamente il proprio credo, in nome di quegli ideali di pace e di giustizia su cui si fondano le nostre comunità.
Come è noto, l’Egitto è un paese abitato maggiormente da musulmani che discriminano continuamente la minoranza cristiana (10% della popolazione). Negli innumerevoli episodi degli ultimi anni, provocati dal considerevole aumento del fondamentalismo islamico, c’è una comunanza di metodo e di giustificazione degli atti da parte di questi ultimi: le dispute nascono su questioni che potremmo definire di vita quotidiana, come ad esempio questioni terriere, liti condominiali o contese per le donne.
Lo scontro si trasforma in tempi rapidissimi in contrapposizione religiosa nella quale ha la peggio sempre la minoranza cristiana, sintomo del fatto che siamo di fronte a una persecuzione strisciante che viene spesso camuffata da chi ne è protagonista.
Fede, religione e spiritualità sono sempre maggiormente riconosciute da tutti come un fattore imprescindibile della vita personale e comunitaria di un individuo. Hanno un ruolo rilevante nell’ordine pubblico e nella stabilità sociale. Sono alla base per quanto riguarda le motivazioni sul lavoro, nell’educazione e per la partecipazione civica. Allo stesso tempo i Governi devono fare i conti con una crescita esponenziale dei fenomeni discriminatori tra individui di diverse confessioni.
Per un grandissimo numero di persone oggi la fede religiosa e l’affiliazione a una comunità costituisce l’aspetto più importante della propria identità. In contesti come quello mediorientale, dove soprattutto dopo l’11 settembre 2001 si guarda al cristiano come un surrogato della potenza da distruggere, è grandissima la responsabilità di governi cosiddetti moderati come quello egiziano.
Essi, se vogliono veramente un futuro di pace e di dialogo, devono utilizzare ogni mezzo in loro possesso per difendere le minoranze come quella cristiana. Il dialogo tra diverse culture e religioni non può essere un dialogo astratto né deve dare per scontato che l’esperienza religiosa è vissuta nella sua verità e nella globalità delle sue dimensioni. Questo dialogo deve fondarsi sulla tolleranza e la verità. Tolleranza non significa qualunquismo. Tolleranza significa rispettare le convinzioni degli altri, salvaguardando le proprie, e quindi convivere senza violenza.
Nel nostro mondo testimoniare la fede come qualcosa che compie la nostra umanità sta diventando sempre più difficile. Come restare allora certi e saldi, considerando che tutto ciò che succede lì, può succedere a chiunque di noi in qualunque istante?
Occorre ogni giorno di più un altissimo senso di responsabilità di vicinanza e di amore per questi nostri fratelli, dobbiamo entrare in campo tutti con una straordinaria forza perché, salvando i cristiani, permettiamo a Dio di essere nel mondo e di continuare a essere l’unico vero fattore unificante per gli uomini, uniti nella diversità e nell’imperfezione.