sabato 27 settembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Eva Herman - Bella, bionda, glamour e pro life. Parla l’ex conduttrice cacciata dalla tv tedesca perché ha osato parlare delle donne senza svenderle alla logora ideologia degli anni Settanta - di Vito Punzi - Tempi.it, 11-9-2008
2) Così l'America segue la Gran Bretagna sulla strada delle chimere - Per la Food and Drug Administration è possibile mettere in commercio carni e prodotti derivati – dal latte alle setole – di animali che sono stati sottoposti a un ritocchino genetico. Le aziende alimentari giubilano..., il Foglio 21 settembre 2008
3) Così tra crac finanziari e speculazioni sul greggio Washington e Mosca alzano la nuova cortina di ferro. E gli arabi non stanno a guardare - di Mauro Bottarelli - Tempi.it, 25-9-2008
4) Discorso del Papa al Meeting internazionale di "Retrouvaille" - Un Movimento che aiuta le coppie sposate in crisi
5) Scienza e conoscenza nell'incontro tra fede e ragione in un convegno di studi alla Pontificia Università Gregoriana -- Timore e tremore di fronte al gran libro del Dna - "L'importanza della scienza oggi - fede e ragione sul banco di prova" è il tema del convegno promosso dalla Fondazione Carl Friedrich von Weizsäcker e dall'Ambasciata della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede, in corso a Roma il 26 e il 27 settembre alla Pontificia Università Gregoriana. Pubblichiamo ampi stralci del discorso d'apertura – L’Osservatore Romano, 27 settembre 2008


Eva Herman - Bella, bionda, glamour e pro life. Parla l’ex conduttrice cacciata dalla tv tedesca perché ha osato parlare delle donne senza svenderle alla logora ideologia degli anni Settanta - di Vito Punzi - Tempi.it, 11-9-2008

Il nome di Eva Herman è già noto ai lettori di Tempi. Nel numero pubblicato il 15 novembre scorso presentammo stralci dell’intervento a un Forum di cattolici tedeschi dell’ex conduttrice tv che nel 2006, con il libro Il principio di Eva, subì un primo, duro attacco dalle femministe. La sua colpa? Aver osato proporre una lettura del ruolo della donna a partire dal dato di natura. Se già quel libro suggerì a qualcuno l’“espulsione“ della Herman dalla scena pubblica, il licenziamento della bionda Eva è scattato implacabile poco meno di un anno fa.
Nel corso della presentazione di un altro suo libro, Il principio dell’Arca di Noè – Perché dobbiamo salvare la famiglia, la Herman si permise di accusare i sessantottini di aver distrutto quel poco di buono che era sopravvissuto perfino alla terribile esperienza del nazionalsocialismo: il senso della procreazione e della famiglia, il ruolo della donna. Accusata di difendere e lodare un’immagine nazista della donna, la Herman venne subito licenziata dalla Ndr, la rete televisiva per cui stava lavorando. Da quel momento è iniziata per lei una nuova vita, fatta di incontri pubblici e di libri. L’ultimo, Das Überlebensprinzip. Warum wir die Schöpfung nicht täuschen können (Il principio di sopravvivenza. Perché non possiamo tradire la creazione, Hänssler Verlag, Holzgerlingen 2008), è uscito alcuni mesi fa e, neanche a dirlo, sta facendo molto discutere la Germania.


Signora Herman, lei ha pubblicato di recente un nuovo libro e tiene frequenti conferenze. Dunque sembra proprio che il suo allontanamento dalla tv le abbia donato nuovo vigore e grande desiderio di comunicare.
Sì, ora sto davvero molto bene. Ho ricevuto molto aiuto, ho avuto persone fedeli al mio fianco, la mia famiglia, decine di migliaia di persone, in Germania e all’estero, mi hanno rinfrancata dimostrandomi il loro sostegno. Insomma, non sono stata lasciata sola al mio destino.
Dal momento in cui si è decisa a trattare il tema della maternità, in maniera diretta o indiretta sono stati scritti numerosi libri contro di lei. Per quale motivo si è ritrovata ad avere tanti nemici?
I miei libri hanno per tema la maternità, ma anche la femminilità, ovvio, visto che la maternità è un aspetto della femminilità. A noi donne contemporanee sono stati proposti modelli di femminilità diversi da quelli presenti in precedenza. Attraverso il sistematico cambiamento strutturale della società, giunto fino alla naturale attività lavorativa delle donne, è stata creata una nuova immagine di noi stesse, al quale certo tutte noi abbiamo fortemente contribuito. Questa nuova immagine di donna in attività non la si può più eliminare e tuttavia ci conduce sempre più lontano da quello che è uno dei nostri compiti essenziali: la maternità. Ad esso appartengono infiniti aspetti preziosi che dovrebbero tornare vantaggiosi per gli altri. Per i nostri bambini, per i nostri uomini, per tutti coloro che sono intorno a noi, e anche per noi. Alle donne sono concessi doni diversi rispetto a quelli affidati agli uomini, e questi doni sono irrinunciabili per la società. Doni come la capacità d’immedesimazione, l’intuito, la tenerezza e il disinteresse, un concetto quest’ultimo che il solo nominarlo oggi produce immediatamente rabbia in molte donne. I miei libri per molte di queste donne moderne rappresentano una sfida e per questo non perdono occasione per prendere la parola e scagliarvisi contro. Si tratta tutto sommato di una normale dinamica, in qualche modo prevedibile.
Alice Schwarzer il 4 maggio scorso ha ricevuto il Ludwig-Börne-Preis, un importante riconoscimento per la sua fervente attività femminista. Come valuta questo fatto? Rappresenta la definitiva vittoria del vecchio movimento femminista o piuttosto la fine del femminismo tedesco?
Il femminismo viene ancora celebrato da molti, ma è da tempo sotto gli occhi di tutti il dato del suo fallimento su tutta la linea. Vede, da oltre quarant’anni nel nostro paese si cerca di far arrivare più donne nelle posizioni dirigenziali, eppure non ci si riesce. Se circa trent’anni fa la percentuale delle donne con ruoli guida nella società era del 5 per cento, oggi non si arriva neppure all’8. Tanto più che la donna di oggi è lacerata, polverizzata, come mai prima. Se davvero, grazie al femminismo, ci fossimo avvicinate alla realizzazione del nostro destino dovremmo sentirci meglio, e non peggio, come invece accade. Il risultato sembra essere dunque diverso dalle aspettative. Ci si deve chiedere perché il femminismo finora non abbia potuto imporsi come fatto compiuto, e la risposta è facilissima: perché le donne un tempo non coltivavano alcuna marcata pretesa di potere (le normali eccezioni non fanno altro che confermare la regola). Seppur in tempi particolarmente difficili, anche oggi le donne desiderano avere figli. E nel momento in cui i figli arrivano, inizia a cambiare il modo di considerare tutto. Le priorità diventano quelle che privilegiano la famiglia, l’amore. Contro questo non può nulla neppure il più ostinato femminismo di questo mondo.
Che cosa pensa del cosiddetto “nuovo femminismo”? Che cosa ha a che fare con la salvaguardia della dignità della donna?
La dignità della donna ha molto sofferto, in Germania come in molti altri paesi. Di questo è certo responsabile anche il femminismo, così come ciascuna donna che oggi nella quotidianità decide frequentemente anzitutto per sé e per la propria carriera prima di pensare al bene altrui, rinunciando dunque alla responsabilità verso l’altro. Il femminismo vuol darci da bere che abbiamo una dignità solo se esercitiamo una professione capace di renderci indipendenti. Ma da cosa dovrebbe renderci indipendenti? In realtà esso ci separa dall’amore verso coloro che ci sono vicini ed essenziali: i nostri uomini, i nostri figli, i nostri genitori e da molto altro ancora. Anche perché il femminismo fa crescere nelle donne anche l’idea di una propria onnipotenza che facilmente si cerca di applicare nella prassi quotidiana. In definitiva ci porta fuori da noi stesse, dalla nostra interiorità, lontane dal riconoscerci così come siamo volute dalla creazione. Tutto questo è triste e nasconde fenomeni e conseguenze collaterali spesso tragici.
Lo scandaloso libro Territori umidi di Charlotte Roche solo in Germania ha raggiunto ormai le 500 mila copie vendute: in che senso lei è stata indicata come l’antagonista della Roche?
Non ho letto quel libro e non lo leggerò. Non mi interessa e trovo effusioni come quelle assolutamente inutili, fino ad essere dannose. So del contenuto solo per aver letto alcune recensioni e direi che si tratta di un significativo segno dei nostri tempi il fatto che abbia così tanto successo.
Come valuta l’“altro femminismo”, quello di Necla Kelek, di Seyran Atefl, di Sonja Fatma Bläser e di Serap Çileli: persone impegnate nella difesa dei diritti di donne con origini turco-islamiche?
E' fondamentale che vengano definiti più precisamente i diritti delle donne. Lì dove viene minacciata la libertà della decisione personale e della vita, così come la si vuole determinare personalmente, è essenziale che si aiutino le donne nella difesa dei loro diritti naturali e conformi alla creazione, indipendentemente dal paese in cui esse vivano. Si tratta di un tema enorme che sottintende molti aspetti, un tema che non possiamo avere la pretesa di risolvere a tavolino. Se in questione sono le necessità e i diritti delle donne, devono essere le donne stesse a cercare, trovare e mettere in pratica le soluzioni. Conformemente alla loro mentalità, esse devono trovare la via verso la propria identità, che non può non essere in accordo con la cultura nella quale sono cresciute. E la politica deve sostenere le donne in questa loro ricerca.
Il suo ultimo libro contiene un colloquio con l’editore Friedrich Hänssler: che cosa intende con il «principio di sopravvivenza»?
Solo chi si muove nel contesto delle leggi definite da Dio creatore, solo chi le riconosce e a loro presta attenzione viene avvantaggiato nel senso da Lui voluto. Chi vi si contrappone viene infine annientato da quelle stesse leggi che lui trasgredisce, poiché quelle leggi funzionano con assoluta precisione, sono assolutamente affidabili, nel bene come nel male. Tutto questo è nella Bibbia: tu raccoglierai ciò che hai seminato. E questo va riferito a tutto ciò che chiamiamo vita: alla propria identità, alla famiglia, al lavoro, alla salute e all’amore.
Intende questo quando sostiene che «non possiamo ingannare la creazione»?
Esattamente. Mia madre mi diceva sempre: «Tutti i nodi vengono al pettine». Aveva ragione. Anche se noi difficilmente riusciamo a immaginarcelo, è vero che Dio vede tutto: il suo mulino macina lentamente, ma è assolutamente affidabile. Chi riconosce questo prenderà le proprie decisioni sulla vita con maggiore circospezione. è bene che sia così.
Come giudica l’attuale politica familiare del ministro federale per la Famiglia, la signora Ursula von der Leyen?
Il nostro ministro appartiene alla Cdu, un partito che dovrebbe essere caratterizzato, stando al suo nome, dal termine “cristiano”. Chi cerca tuttavia di far credere con ostinazione alla popolazione di questo paese che il bene della società consista nell’organizzare il prima possibile all’esterno della famiglia la vita dei bambini più piccoli, così che le donne possano recarsi al lavoro il prima possibile per guadagnare soldi, ebbene chi opera in questo modo ignora un elemento decisivo, cioè che attraverso questo tipo di sviluppo le famiglie vanno sempre più frequentemente in frantumi e ai bambini viene sottratto il fondamento della loro fiducia e della loro autocoscienza, come pure la facoltà di stabilire vincoli, necessaria per la loro vita futura. Questo non è certo un contributo cristiano, anzi, esso favorisce e antepone a qualsiasi altro valore il materialismo e la mentalità consumistica. Il ministro si è assunto molta responsabilità e dopo aver preso, come ha fatto, pesanti decisioni legislative enormemente danneggianti le famiglie c’è da chiedersi come potrà giustificare tutto questo nel momento in cui si troverà al cospetto di Dio.
Che cosa pensa di papa Benedetto XVI, in particolare del suo insegnamento sul rapporto tra fede e ragione?
Benedetto XVI è molto coraggioso e dice spesso cose che oggigiorno in molti vorrebbero non sentire. è fondamentale che egli trasmetta una tale sovranità. Questo è tanto più importante perché oggi sono in molti ad essere fortemente insicuri a riguardo della propria personale posizione nel mondo. Fede e ragione: è una questione sulla quale si riflette da millenni. Il papa cita Giovanni e il prologo al suo Vangelo, che inizia con le parole: «In principio era il logos». Così vengono intesi Dio e le sue leggi perfette. Dio opera usando il “logos”, dice il Papa, e il “logos” è insieme ragione e parola, una ragione che è creativa e che può comunicarsi, proprio in quanto ragione. Ogni uomo ragionevole dovrebbe dunque riconoscere le leggi della creazione e attenersi ad esse. L’altro aspetto importante è l’amore, il Suo amore infinito e misericordioso verso noi uomini. E quest’amore onnipotente è solo di Dio. Lui, il Creatore, Lui che ha pensato a noi uomini più che ad ogni altra cosa: nulla può indirizzarci a Lui, se non il riconoscerlo. E questo non è possibile attraverso la sola ragione, piuttosto attraverso la verifica del suo messaggio, dei suoi comandamenti e delle sue leggi, per esempio di quella della semina e del raccolto, come ho già ricordato. Ogni uomo sa che non può commettere un’ingiustizia e non gli è consentito di fare del male ad un altro uomo. E sa anche che la soddisfazione e la pace ci sono concesse solo quando possiamo perdonare l’altro.


Così l'America segue la Gran Bretagna sulla strada delle chimere - Per la Food and Drug Administration è possibile mettere in commercio carni e prodotti derivati – dal latte alle setole – di animali che sono stati sottoposti a un ritocchino genetico. Le aziende alimentari giubilano..., il Foglio 21 settembre 2008
In principio era la pecora Dolly, adesso è l’ora del super pollo. In America la Fda (l’autorità competente per cibo e medicinali) ha pubblicato le sue linee guida sugli organismi geneticamente modificati, cioè tutte le piante e animali, il cui Dna viene corretto in laboratorio per migliorarne la resa. E se ben vengano i pomodori che non marciscono in frigo dopo quattro giorni e le medicine di nuova generazione, con gli animali c’è qualche problema in più. Per la Food and Drug Administration è possibile mettere in commercio carni e prodotti derivati – dal latte alle setole – di animali che sono stati sottoposti a un ritocchino genetico. Le aziende alimentari giubilano: nelle batterie ci saranno maiali che mangiano meno ma sono ugualmente grassocci e nei banchi frigo bistecche più nutrienti, per non parlare dei bovini immuni al morbo della “mucca pazza”. Avendo fantasia ci si può davvero sbizzarrire. Nel mondo della moda si parla di ovini che nascono già con il vello variopinto, così che i pull di cachemire o mohair non abbiano bisogno di essere tinti – così volgare ricorrere all’artificio chimico, meglio avere a disposizione un bell’agnellino azzurro polvere. Al momento negli Stati Uniti un animale modificato in libera circolazione c’è già: è un pesce zebra che si illumina al buio per rischiarare gli acquari più chic. Ma la sua vendita è stata autorizzata tempo fa perché a nessuno verrebbe in mente di mangiarselo.
Le linee guida dell’authority, almeno in teoria, nascono per tutelare il consumatore. Restano però parecchio vaghe: ogni autorizzazione all’immissione in commercio è subordinata alla discrezionalità della Fda. La discrezionalità comprende anche l’indicazione della provenienza del prodotto, visto che una volta ottenuta l’approvazione non è necessaria alcuna specificazione sull’etichetta. Le associazioni dei consumatori sono insorte: il rischio è quello di trovarsi nel piatto una delle dieci cosce del coniglio transgenico, senza averne la più pallida idea. L’autorità assicura che vigilerà sulla sicurezza dei prodotti, ma le indicazioni sembrano compilate soltanto per fotografare l’esistente. In America da anni sono vendute e consumate (senza particolari indicazioni) carni provenienti da bestiame clonato. O meglio, come tengono a specificare i produttori, dai discendenti di animali clonati. A gennaio di quest’anno la Fda ha assicurato in via definitiva – e ribadendo un parere espresso nel 2006 – che i derivati di animali clonati sono assolutamente sicuri. E magari lo saranno anche i merluzzi che sanno di fagiano, soltanto che fa un po’ senso immaginarli.
Il vero problema però è che gli Stati Uniti sembrano pericolosamente percorrere la stessa strada della Gran Bretagna, farwest biotecnologico per eccellenza. La patria di Dolly crea mostri senza sosta da oltre dieci anni, in nome della ricerca scientifica. Al punto da autorizzare i cosiddetti “embrioni ibridi”, l’unione di “materiale” umano e animale. Quando il governo, nel 2007, ne propose l’utilizzo nella ricerca sulle cellule staminali – e ancora quando a maggio di quest’anno il Parlamento britannico lo autorizzò – questi esperimenti crearono un rumoroso dibattito anche sul continente. I primi mix – animali soltanto allo 0,1 per cento – sono sopravvissuti soltanto tre giorni. Ma le porte ora sono aperte a sviluppi eticamente molto discutibili e praticamente, d’ora in poi, poco controllabili. Quello che sembrava l’esperimento di scienziati in preda al delirio di Dr Frankenstein è ora la più quotidiana delle realtà.
Negli Stati Uniti, nel 1998 alcuni scienziati del Massachusetts tentarono di creare embrioni ibridi di uomo e mucca, ma il tentativo non riuscì. Ora i ricercatori americani lavorano per poter trapiantare sull’uomo organi di animali geneticamente modificati (il coraggioso cuore di babbuino nel petto di Christian Slater in una commedia anni Novanta ora sembra soltanto pallido romanticismo). Per modificare il Dna di un animale e alterarne le caratteristiche, lo si può innestare con quello di altri. E come sanno bene oltremanica, dal super-pollo alla chimera il passo è molto breve.
di Valentina Fizzotti

Così tra crac finanziari e speculazioni sul greggio Washington e Mosca alzano la nuova cortina di ferro. E gli arabi non stanno a guardare - di Mauro Bottarelli - Tempi.it, 25-9-2008
Crollo Lehman, ingenti danni per gli investimenti arabi e il greggio, vera vittima sacrificale della peggiore crisi finanziaria nella storia». A dare questa lettura decisamente di parte del terremoto finanziario che sta scuotendo il mondo era, martedì 16 settembre, il quotidiano panarabo al Hayat, edito a Londra, stampato in inglese e di proprietà saudita. Il quale lamentava come il prezzo del greggio sia «a meno 50 dollari al barile rispetto al limite di 147 dollari raggiunto nelle settimane scorse, il livello più basso registrato da sette mesi». L’altro grande giornale panarabo, al Sharq al Awsat (anche questo di proprietà saudita) metteva invece l’accento sugli effetti «devastanti sulle principali borse dei ricchi Emirati del Golfo». Ovviamente la tutela dei propri interessi è legittima ma un peana di questo genere per il calo del prezzo del petrolio dopo la spaventosa impennata dei mesi scorsi – che ha riempito le casse dei paesi produttori – e la recente decisione a sorpresa dell’Opec di tagliare la produzione appare quanto meno fuori luogo. Gli ultimi a piangere miseria, insomma, dovrebbero essere proprio i ricchi produttori di petrolio. Ma attenzione perché la comunità finanziaria araba di Londra non parla mai a caso. Tra le righe di quel messaggio viene lancia un’accusa precisa: il fallimento di Lehman è stato permesso scientemente perché questo avrebbe riequilibrato gli assetti. Ovvero, crollo del prezzo del greggio e una pesante batosta verso chi finora ha fatto soldi sfruttando la crisi e comprato a prezzi di saldo pezzi di finanza mondiale attraverso i fondi sovrani.

Che il governo americano abbia rifiutato un aiuto nei confronti di Bank of America se questa avesse salvato Lehman Brothers è noto, ma questo non rappresenta ancora una prova. Che Bank of America sia corsa a divorare Merrill Lynch subito dopo. anche in questo caso senza garanzie da parte di Washington, nemmeno. Anche il fatto che la banca britannica Barclays – in cordata proprio con Bank of America nella missione per salvare l’ex gigante di Wall Street – abbia acquistato alcune attività (le più sane e lucrose, brokeraggio e trading Usa) del gruppo Lehman Brothers non prova nulla, ma dimostra che la carcassa della mayor di Wall Street faceva gola a molti e che lo spettacolo di disperazione che offriva non disturbava troppo il Tesoro americano e la Fed. Il fatto però che su un sito informatissimo come Cnbc si parlasse apertamente di petrolio che toccherà a breve quota 75 dollari comincia invece a far intravedere qualche possibile scenario: ovvero, di fronte a un “too big to fail” malmesso come Lehman il segretario al Tesoro Usa, Henry Paulson (ex capo di Goldman Sachs), ha preferito indossare la maschera del liberista duro e puro rifiutando altri aiuti di Stato e ottenendo così un triplice effetto: far scendere il prezzo del greggio (vera leva della possibile ripresa), risparmiare denaro necessario a salvare attraverso un prestito ponte da 85 miliardi di dollari il colosso delle assicurazioni Aig e assestare uno shock “salutare” all’economia mondiale, quella occidentale, che necessita di disintossicarsi del tutto, ma soprattutto quella overvalued e troppo interventista dei paesi arabi e della Russia. Non è un caso che sempre martedì 16 settembre la borsa di Mosca sia scesa del 16 per cento a 905.57 punti, sotto la pericolosa soglia psicologica dei 1.000 punti, gettando letteralmente nel panico gli investitori e costringendo le autorità a sospendere le contrattazioni fino a venerdì 19.

La Fed salva l’Europa ma non i russi
Una scelta strategica quella americana: Lehman, infatti, era la banca con la maggiore attività al mondo come trader di obbligazioni e fondi obbligazionari mentre Aig e il suo crollo avrebbero colpito letalmente quasi esclusivamente gli Usa e l’Europa, come denunciava il britannico Daily Telegraph poche ore dopo il salvataggio del colosso assicurativo: «Le banche europee erano particolarmente a rischio in caso di un fallimento della Aig, perché detengono i tre quarti dei 441 miliardi di dollari di strumenti complessi e deregolati protetti dalla Aig. Tali obbligazioni sono legate al mercato dei subprime, che si sta inabissando».
Europei salvi grazie alla Fed, quindi. E i russi, invece? «L’economia russa è sufficientemente solida per poter reagire alla crisi dei mercati, che si dimostra peggiore delle peggiori attese» ha sottolineato il presidente russo Dmitri Medvedev il 18 settembre scorso, secondo il quale «il mercato globale soffre la più grande crisi degli ultimi 10 anni. A cosa è legato? Lo sappiamo benissimo» ha precisato, avanzando una nemmeno velata accusa per le politiche economiche degli Stati Uniti, che si riflettono negativamente sui mercati internazionali. D’altronde bastava leggere il titolo della home page del sito del quotidiano filo-governativo Izvestiya di giovedì 18 settembre per capire il clima: «Gli Stati Uniti si stanno dimostrando più pericolosi per il mondo di una minaccia nucleare».

Le sospette oscillazioni del barile
Subito dopo il blitz in Georgia, inoltre, il presidente russo Dmitry Medvedev ha varato un piano di salvataggio d’emergenza per il settore privato, il terzo dalla sua elezione: il conto totale, ad oggi, è di 130 miliardi di dollari. Il timore di Mosca è chiaro: sono certi che l’America punti a spaventare il cittadino russo medio, già colpito da devastanti crisi dal 1989 ad oggi, affinché questi corra a togliere i propri soldi dalle banche mandando il sistema al collasso, costringendo il Cremlino a iniezioni di liquidità nel sistema bancario e soprattutto investendo all’estero, magari in banche occidentali: un affronto a cui Vladimir Putin potrebbe reagire in maniera non preventivabile. Insomma, dopo la guerra guerreggiata in Georgia, arriva il tempo della guerra per banche.
Tanto più che sempre la scorsa settimana il governo russo ha deciso di ridurre i dazi sull’esportazione di petrolio greggio a 372 dollari per tonnellata a partire dal 1 ottobre 2008: questa misura dovrebbe far risparmiare le compagnie petrolifere e della trasformazione greggio per circa 5,5 miliardi di dollari. La contromossa russa, come si vede, non si è fatta attendere: da un lato si attacca con le banche, dall’altro si risponde con la leva petrolifera.
Nei giorni del crollo Lehman il barile di greggio era sceso a quota 90 dollari sul timore che il tracollo dei mercati fosse prodromico a un rallentamento dell’economia e quindi della domanda: guarda caso, due giorni dopo, con i mercati sempre in crisi e le banche centrali costrette a pompare liquidità per garantire un po’ di ossigeno, il prezzo del barile è salito di oltre 9 dollari superando ancora quota 100. Come mai? Gli speculatori sono tornati in pista all’Ice di Londra e al Nymex di New York giocando sui future: i fondi sovrani arabi e russi hanno deciso di vendicarsi da subito. Speculare sul greggio è più facile e meno costoso che speculare sulle azioni. Per avere 100 mila dollari di azioni a Wall Street è necessario mettere sul piatto 50 mila dollari in contanti o simili, il cosiddetto margine. Per comprare a termine – appunto il future – 100 mila dollari di greggio, basta anticiparne 5 mila ed essere pronti a rivendere il diritto a quel greggio il giorno successivo. Magari avendo guadagnato un milione grazie all’aumento di un solo dollaro del prezzo del greggio. Inoltre c’è anche un’altra scappatoia a far gola ai fondi sovrani, soprattutto arabi e russi sulla piazza londinese: ovvero il fatto che all’Ice di Londra si possono trattare future sul greggio statunitense, il Wti, senza incappare nelle regolamentazioni della Sec, ovvero l’autorità della Borsa di New York che controlla gli scambi al Nymex, la piazza statunitense in cui si trattano i future sul petrolio.
Un altro segnale fa capire che le contromosse alla politica americana sono già in atto: il vicepremier russo Igor Sechin la scorsa settimana è stato in visita ufficiale in Nicaragua dopo Cuba e Venezuela mentre Hugo Chávez sarà in Russia questa settimana dopo essere stato definito «un alleato chiave» dallo stesso Sechin.
Putin chiama, Chávez risponde
La possibilità di cooperazione nel settore petrolifero è stata al centro dell’incontro tenuto a Managua e il capo di Stato del Nicaragua ha concluso il giro di tavolo facendo notare che «non ci sono motivi per cui la nuova Russia non possa avere oggi livelli di cooperazione come ai tempi dell’Unione sovietica». Agli Usa, d’altronde, conviene giocoforza sfruttare almeno strategicamente questa crisi ineluttabile. Il fatto che Morgan Stanley, una delle due big di Wall Street rimasta in vita, stia trattando sottobanco – tra mille smentite che appaiono sempre di più conferme, a meno che non vada in porto la pista interna di fusione con Wachovia – con la banca d’affari cinese Citic Group per un’iniezione di capitale e una potenziale fusione con acquisizione parla la lingua di un nuovo assetto mondiale in fieri dettato dalla crisi economica: la Russia mostra i muscoli ma è più debole, cerca alleati in giro per il mondo ma per il semplice motivo che sta perdendo il più potente e fidato alleato. Ovvero la Cina, talmente esposta sul mercato americano a livello di titoli di Stato in dollari e obbligazioni da non poter permettere il crollo della finanza e dell’economia Usa. È solo un altro tipo di guerra: niente missili e aerei, bastano i listini di borsa e i future sul greggio.


Discorso del Papa al Meeting internazionale di "Retrouvaille" - Un Movimento che aiuta le coppie sposate in crisi
CASTEL GANDOLFO, venerdì, 26 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo venerdì in udienza, a Castel Gandolfo, i partecipanti al Meeting internazionale del Movimento "Retrouvaille", un’associazione nata 31 anni fa in Canada e presente da 7 anni anche in Italia.
* * *
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Vi accolgo con gioia quest’oggi, in occasione dell’incontro mondiale del movimento Retrouvaille. Saluto tutti voi, coniugi e presbiteri, con i responsabili internazionali di questa associazione, che da più di 30 anni opera con grande dedizione al servizio delle coppie in difficoltà. Saluto in particolare il Card. Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e lo ringrazio per le sue cortesi espressioni, come pure per avermi illustrato le finalità del vostro movimento.
Mi ha colpito, cari amici, la vostra esperienza, che vi pone a contatto con famiglie segnate dalla crisi del matrimonio. Riflettendo sulla vostra attività, ancora una volta ho riconosciuto il "dito" di Dio, cioè l’azione dello Spirito Santo, che suscita nella Chiesa risposte adeguate ai bisogni e alle emergenze di ogni epoca. Certamente, ai nostri giorni, un’emergenza molto sentita è quella delle separazioni e dei divorzi. Provvidenziale fu pertanto l’intuizione dei coniugi canadesi Guy e Jeannine Beland, nel 1977, di aiutare le coppie in grave crisi ad affrontarla attraverso un programma specifico, che punta sulla ricostruzione delle loro relazioni, non in alternativa alle terapie psicologiche, ma con un percorso distinto e complementare. Voi infatti non siete dei professionisti; siete sposi che spesso hanno vissuto in prima persona le medesime difficoltà, le hanno superate con la grazia di Dio e il sostegno di Retrouvaille e hanno avvertito il desiderio e la gioia di mettere, a loro volta, la propria esperienza al servizio di altri. Tra voi ci sono diversi sacerdoti che accompagnano gli sposi nel loro cammino, spezzando per loro la Parola e il Pane della vita. "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10,8): è a queste parole di Gesù, rivolte ai suoi discepoli, che costantemente fate riferimento.
Come la vostra esperienza dimostra, la crisi coniugale – parliamo qui di crisi serie e gravi – costituisce una realtà a due facce. Da una parte si presenta, specialmente nella sua fase acuta e più dolorosa, come un fallimento, come la prova che il sogno è finito o si è trasformato in un incubo e, purtroppo "non c’è più niente da fare". Questa è la faccia negativa. Ma c’è un’altra faccia, a noi spesso sconosciuta, ma che Dio vede. Ogni crisi, infatti – ce lo insegna la natura – è passaggio ad una nuova fase di vita. Se però nelle creature inferiori questo avviene automaticamente, nell’uomo implica la libertà, la volontà e, dunque, una "speranza più grande" della disperazione. Nei momenti più bui, la speranza i coniugi l’hanno smarrita; allora c’è bisogno di altri che la custodiscono, di un "noi", di una compagnia di veri amici che, nel massimo rispetto, ma anche con sincera volontà di bene, siano pronti a condividere un po’ della propria speranza con chi l’ha perduta. Non in modo sentimentale o velleitario, ma organizzato e realistico. Voi diventate così, nel momento della rottura, la possibilità concreta per la coppia di avere un riferimento positivo, a cui affidarsi nella disperazione. In effetti, quando il rapporto degenera, i coniugi piombano nella solitudine, sia individuale che di coppia. Perdono l’orizzonte della comunione con Dio, con gli altri e con la Chiesa. Allora, i vostri incontri offrono l’"appiglio" per non smarrirsi del tutto, e per risalire gradualmente la china. Mi piace pensare a voi come a custodi di una speranza più grande per gli sposi che l’hanno perduta.
La crisi, dunque, come passaggio di crescita. In questa prospettiva si può leggere il racconto delle nozze di Cana (Gv 2, 1- 11). La Vergine Maria si accorge che gli sposi "non hanno più vino" e lo dice a Gesù. Questa mancanza del vino fa pensare al momento in cui, nella vita della coppia, finisce l’amore, si esaurisce la gioia e cala bruscamente l’entusiasmo del matrimonio. Dopo che Gesù ebbe trasformato l’acqua in vino, fecero i complimenti allo sposo perché – dicevano – aveva conservato fino a quel momento "il vino buono". Ciò significa che il vino di Gesù era migliore del precedente. Sappiamo che questo "vino buono" è simbolo della salvezza, della nuova alleanza nuziale che Gesù è venuto a realizzare con l’umanità. Ma proprio di questa è sacramento ogni Matrimonio cristiano, anche il più misero e vacillante, e può dunque trovare nell’umiltà il coraggio di chiedere aiuto al Signore. Quando una coppia in difficoltà o – come dimostra la vostra esperienza – persino già separata, si affida a Maria e si rivolge a Colui che ha fatto dei due "una sola carne", può essere certa che quella crisi diventerà, con l’aiuto del Signore, un passaggio di crescita, e che l’amore ne uscirà purificato, maturato, rafforzato. Questo può farlo solo Dio, che vuole servirsi dei suoi discepoli come di validi collaboratori, per accostare le coppie, ascoltarle, aiutarle a riscoprire il tesoro nascosto del matrimonio, il fuoco rimasto sepolto sotto la cenere. E’ Lui che ravviva e torna a far ardere la fiamma; non certo allo stesso modo dell’innamoramento, bensì in maniera diversa, più intensa e profonda: sempre però la stessa fiamma.
Cari amici, che avete scelto di mettervi al servizio degli altri in un campo così delicato, vi assicuro la mia preghiera perché questo vostro impegno non diventi mera attività, ma rimanga sempre, nel fondo, testimonianza dell’amore di Dio. Il vostro è un servizio "contro corrente". Oggi, infatti, quando una coppia entra in crisi, trova tante persone pronte a consigliare la separazione. Pure ai coniugi sposati nel nome del Signore si propone con facilità il divorzio, dimenticando che l’uomo non può separare ciò che Dio ha unito (cfr Mt 19,6; Mc 10,9). Per svolgere questa vostra missione anche voi avete bisogno di alimentare continuamente la vostra vita spirituale, di mettere amore in ciò che fate perché, a contatto con realtà difficili, la vostra speranza non si esaurisca o non si riduca a una formula. Vi aiuti in tale delicata opera apostolica la Santa Famiglia di Nazaret, alla quale affido il vostro servizio, e specialmente i casi più difficili. Vi sia accanto Maria, Regina della famiglia, mentre di cuore imparto la Apostolica Benedizione a voi e a tutti gli aderenti al movimento Retrouvaille.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


Benedettini: vivere insieme, per vivere in Cristo
Intervista all’Abate di San Paolo fuori le Mura, dom Edmund Power
di Marco Cardinali

ROMA, venerdì, 26 settembre 2008 (ZENIT.org).- Si conclude sabato mattina a Roma, il Congresso mondiale dei circa 300 Abati della Confederazione benedettina che dal 18 settembre sono riuniti a confronto nella sede primaziale di Sant’Anselmo sull’Aventino.
Una delle peculiarità di questo Congresso, che si tiene ogni quattro anni, è la sua celebrazione nell’Anno paolino e l’elezione del nuovo Abate Primate. Gli Abati in congresso hanno rieletto giovedì pomeriggio dom Notker Wolf, che, dunque, continua il suo servizio alla Chiesa e alla Confederazione benedettina, come Abate Primate.
All’inizio del Congresso gli Abati hanno incontrato il Santo Padre Benedetto XVI in una udienza a loro riservata nella sua residenza estiva di Castel Gandolfo e il giorno seguente con la celebrazione solenne dei Vespri insieme alla comunità monastica benedettina di San Paolo fuori le Mura hanno affidato i loro lavori a San Paolo, nella basilica a lui dedicata.
Per i lettori di ZENIT abbiamo raccolto alcune considerazioni sul Congresso e sull’Anno paolino, in una intervista all’Abate di San Paolo fuori le Mura il benedettino dom Edmund Power.
Padre Abate, di cosa avete parlato in questi giorni di Congresso?
Power: Durante lo scorso Congresso del 2004 abbiamo parlato della globalizzazione come sfida e opportunità per i benedettini del nostro tempo. Quest’anno non è stato scelto un tema specifico. Abbiamo voluto incontrarci per poter meglio conoscere le varie problematiche e ricchezze delle comunità monastiche in tutto il mondo. Abbiamo avuto resoconti, ad esempio, sulle attività dei circa 257 monasteri indipendenti che fanno parte della Confederazione benedettina, con una rappresentanza delle monache e suore benedettine. Abbiamo cercato insieme soluzioni di aiuto per i monasteri più poveri o che si trovano in zone critiche del pianeta, ma abbiamo parlato anche di dialogo ecumenico e interreligioso con rappresentanti di altre confessioni cristiane. Un altro tema privilegiato è stato quello dell’educazione e testimonianza benedettina, cioè, quello che nel mondo di oggi il monachesimo può ancora dire anche tramite le sue strutture educative. La nostra vita monastica, infatti, seppure con attività apostoliche, ha un fondo e una sorgente: la spiritualità contemplativa che ogni monaco e monaca esprime nel modo proprio alla sua comunità. Potrei dire che il nostro carisma è “essere” invece che “fare”, anche se questo essere si esplicita poi nel fare e tutto ciò si deve esprimere nel vivere in maniera intensa in Cristo.
Quindi se questo è il carisma è anche una grande sfida nel nostro mondo contemporaneo.
Power: Ultimamente si sente dire che alcune congregazioni religiose hanno perso il senso della vita comunitaria, perché troppo coinvolte nell’attività apostolica. Quest’ultima è certamente buona, ma c’è il rischio di esserne totalmente assorbiti. Basti guardare la preghiera comune, ridotta al minimo o ai pasti che si consumano da soli a causa degli impegni, che si sono moltiplicati, oggi anche a causa della diminuzione di sacerdoti e religiosi. Per noi benedettini vivere insieme, con tutte le sue implicazioni, è un modo fondamentale di vivere in Cristo. Vivere insieme non è facile, anzi direi che in qualche modo diventa un perdere se stessi, nella consapevolezza, però, di abbracciare la croce al servizio degli altri. Non siamo certamente migliori degli altri per questo, ma è proprio questo il carisma monastico benedettino.
Quanto sono utili, Padre Abate, questi congressi che vi vedono impegnati ogni quattro anni?
Power: Sono due settimane di confronto che per alcuni potrebbe apparire un periodo troppo lungo, o per altri troppo breve, ma è importante che ogni quattro anni ci si incontri per conoscerci meglio e confrontarci su alcune tematiche comuni. Il nostro sistema benedettino non è come avviene per altri Ordini dipendenti, cioè, da una organismo o gerarchia centralizzata. Ogni monastero benedettino, infatti, è indipendente e il fatto di incontrarci, a scadenze regolari, aiuta tutti noi a sottolineare l’universalità della vita benedettina. Ci incontriamo, ci confrontiamo e veniamo a conoscenza delle difficoltà che altri monasteri lontani incontrano. Questo è importante anche per conoscere i diversi usi o tradizioni. Un monastero in Germania, infatti, è certamente diverso da uno in Argentina o in Vietnam. Diventa anche per noi un modo tangibile di vedere realizzato ciò che dice San Paolo, che Cristo è di tutti, che in Lui non esiste più né greco, né giudeo. C’è da ricordare anche che, al di là di questi incontri, abbiamo una base a Roma, che è il Collegio e l’Ateneo di Sant’Anselmo gestito dalla Confederazione benedettina, che per tutto il resto del tempo diventa un’attualizzare la comunione seppure nella diversità di nazioni o tradizioni.
Ieri avete eletto l’Abate Primate, che è un po’ colui che coordina la Confederazione benedettina, e avete riconfermato l’Abate Notker Wolf, al suo secondo mandato. Una scelta in favore della continuità?
Power: L’Abate Notker Wolf fu eletto nel 2000 durante il Grande Giubileo ed è stato riconfermato per altri quattro anni nell’anno del bimillenario paolino! La continuità è una cosa buona quando è possibile e in questo caso lo è stato. Tutto il congresso è, infatti, soddisfatto del lavoro svolto dall’Abate Notker Wolf, che racchiude in sé tante qualità: parla tante lingue, ha una spiccata capacità di comunicare e poi è un grande viaggiatore, un po’ come San Paolo e lo fa con gioia ed impegno. Siamo contenti, dunque di aver riconfermato lui in questo servizio che implica anche un grande dispendio di energie.
Padre Abate i monaci benedettini da circa 1300 anni custodiscono il luogo della sepoltura dell’Apostolo Paolo e ne curano la liturgia. Cosa state facendo di particolare in questo anno bimillenario paolino?
Power: E’ una domanda che mi viene posta più volte da tante parti, specie all’estero. Tutti immaginano grandi celebrazioni ogni giorno ma il nostro stile monastico è un po’ diverso. Come benedettini diamo molta importanza alla fedeltà nella quotidianità. Certamente c’è un grande afflusso di pellegrini in basilica e il nostro servizio di penitenzieri nella confessioni assorbe ancora più tempo. Ci sono certamente celebrazioni specifiche solenni e particolari, quali ad esempio il Vespro Ecumenico che si celebra ogni venerdì alle ore 18.00, in cui c’è anche la partecipazione di fedeli di varie denominazioni cristiane che vivono a Roma, durante il quale i monaci tengono una riflessione su San Paolo. E’ un momento di preghiera che possiamo vivere al termine della giornata, un momento tranquillo per meditare su quanto l’apostolo Paolo ci dice ancora oggi tramite il suo messaggio così profondo ed attuale e la lettura specifica paolina scelta per quel giorno. Vogliamo vivere questo anno non come un grande momento o una serie di eventi straordinari, ma come un tempo di crescita spirituale. Credo, infatti che la vita spirituale sia un processo. Ci sono momenti che sono importanti, ma lo è ancora di più l’incarnare il mistero nella quotidianità e nella fedeltà. E’ questo lo stile monastico che proponiamo anche ai pellegrini in basilica.


Scienza e conoscenza nell'incontro tra fede e ragione in un convegno di studi alla Pontificia Università Gregoriana -- Timore e tremore di fronte al gran libro del Dna - "L'importanza della scienza oggi - fede e ragione sul banco di prova" è il tema del convegno promosso dalla Fondazione Carl Friedrich von Weizsäcker e dall'Ambasciata della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede, in corso a Roma il 26 e il 27 settembre alla Pontificia Università Gregoriana. Pubblichiamo ampi stralci del discorso d'apertura.
di Rino Fisichella - Arcivescovo. Presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Rettore della Pontificia Università Lateranense
"Non posso non rivolgere una parola anche agli scienziati, che con le loro ricerche ci forniscono una crescente conoscenza dell'universo nel suo insieme e della varietà incredibilmente ricca delle sue componenti, animate ed inanimate, con le loro complesse strutture atomiche e molecolari. Il cammino da essi compiuto ha raggiunto, specialmente in questo secolo, traguardi che continuano a stupirci. Nell'esprimere la mia ammirazione ed il mio incoraggiamento a questi valorosi pionieri della ricerca scientifica, ai quali l'umanità tanto deve del suo presente sviluppo, sento il dovere di esortarli a proseguire nei loro sforzi restando sempre in quell'orizzonte sapienziale, in cui alle acquisizioni scientifiche e tecnologiche s'affiancano i valori filosofici ed etici, che sono manifestazione caratteristica ed imprescindibile della persona umana. Lo scienziato è ben consapevole che la ricerca della verità, anche quando riguarda una realtà limitata del mondo o dell'uomo, non termina mai; rinvia sempre verso qualcosa che è al di sopra dell'immediato oggetto degli studi, verso gli interrogativi che aprono l'accesso al Mistero". Con queste parole Giovanni Paolo ii si avviava alla conclusione della sua enciclica Fides et ratio (n. 106). Quel testo può essere posto come scenario significativo nel momento in cui si affronta il tema della fede e della ragione dinanzi alla scienza. Quanto viene chiesto allo scienziato, infatti, è che si confronti con il filosofo e il teologo perché la scoperta raggiunta porti in sé un valore aggiunto quale l'istanza etica e la forma di umanizzazione.
La scienza per sua stessa definizione è conoscenza certa, è apertura di spazi inimmaginabili e come tale è conquista positiva dell'uomo. Da sempre egli ha fatto della sua conoscenza uno strumento per rendere la sua vita più umana, vincendo le diverse resistenze presenti nella natura e nel mondo. La scoperta del software, per fare un esempio, ha dato vita a una gamma di conoscenze che aiutano certamente a immagazzinare dati, a compiere analisi in pochi minuti, a conservare dati che prima era impensabile mantenere nella propria memoria; eppure, nessuno può negare che siamo dinanzi, per il momento, a una intelligenza artificiale. Essa è sempre soggetta alla logica di chi ha progettato il software. La scoperta del Dna apre spazi infiniti per quanto riguarda la salute dell'uomo, la sua longevità che si è prolungata rasentando i termini biblici; eppure, nessuno tra di noi potrà negare che la vita personale non è limitabile dalla scienza alla sola scoperta molecolare, delle cellule e delle loro composizioni. Tornano alla mente espressioni di un'intervista: "Quando si ha di fronte questo libro di istruzioni composto da 3,1 miliardi di lettere che porta in sé tutti i tipi di informazione e di misteri riguardanti l'umanità, non lo si può esaminare pagina dopo pagina senza un senso di timore. Non posso osservare quelle pagine senza provare la sensazione che mi stiano comunicando un riflesso di Dio". Chi scrive non è un teologo né un filosofo, ma Francis S. Collins, in una dichiarazione al Times. Il Direttore del National Center for Human Genome Research, l'uomo che ha diretto il "Progetto Genoma" fin dal 1990; "ateo di ferro" come amava definirsi, e che ora dopo aver ricoperto il ruolo di massimo prestigio per un ricercatore, dopo aver individuato i geni responsabili di malattie come la fibrosi cistica e altro, ora si apre inevitabilmente alla scoperta di Dio nel suo ultimo libro The Language of God. A Scientist Presents Evidence for Belief. Dovremmo tutti ammettere che il problema non è, in primo luogo, la scienza come tale, ma l'uso che si fa della sua scoperta. Non solo. La scoperta scientifica deve essere anche finalizzata. Non si può cadere nell'ingenuità di non pensare che anche gli uomini di scienza sono soggetti al limite, alla contraddizione, alla corruzione; se si vuole dobbiamo convenire che la conoscenza come tale, è segnata dalla precarietà che l'uomo porta in sé stesso. Fosse anche la persona più intelligente, con un'intuizione acuta e prospettive geniali, la sua conoscenza è segnata dal peccato. Anche lo scienziato, pertanto, nella sua scoperta non è mai neutrale; egli porta con sé, infatti, la sua storia e il suo modo di essere. C'è la necessità, quindi, che avvenga una sorta di purificazione che mentre allontana le tossine che avvelenano la ragione nella sua ricerca di verità e di certezza abilitino a guardare con maggior intensità all'essenza delle cose. Non possiamo negare, insomma, che la conoscenza, anche la più precisa, la più "critica" non può non porre l'uomo al centro del suo investigare. La ricerca della verità, che piaccia o no, è lo scopo di ogni ricerca scientifica. Sarebbe davvero patologico per la scienza se non ricercasse la verità piena sull'uomo, su ciò che egli è e su ciò che è chiamato ad essere. Come ha ricordato di recente anche Benedetto XVI nel suo magistrale discorso al Collège des Bernardins a Parigi la cultura è sempre segnata da un quaerere Deum e questa ricerca si innesta nel linguaggio proprio dell'uomo, creando forme di vita personali e sociali originali e inaspettate. Potrebbe la Chiesa, a questo punto, essere contro la scienza? Davvero ancora oggi gli scienziati che siano veramente tali possono rimproverare al Magistero della Chiesa di essere contro la conoscenza critica? Non è, forse, il tempo di richiamare l'attenzione sulla lunga schiera di uomini di Chiesa che sono all'origine di grandi scoperte scientifiche che fino ad oggi appartengono ai libri di storia? Spesso sono stati proprio i pensatori cattolici quelli che hanno prodotto un pensiero veramente degno di essere definito "laico". Una seconda considerazione mi sembra opportuna. Quando si pone il problema della fides et ratio non lo si pone in forma astratta, ma in maniera consequenziale con la storicità del momento. Ciò significa che il tema deve essere inserito all'interno di un contesto che vede una differenziata comprensione sia della fides come della ratio a causa non solo dell'apporto scientifico che ha permesso una comprensione più profonda e adeguata dei due concetti, ma soprattutto del confronto multiculturale sotteso alle nostre società. Quando oggi si parla di rapporto tra fede e ragione non si può dimenticare che la relazionalità tra i due termini si è modificata nel corso dei secoli. Certamente la comprensione della fede si è venuta a sviluppare maggiormente alla luce di nuove conoscenze ermeneutiche che hanno permesso di accedere al concetto biblico, verificando come emeth non è in primo luogo in riferimento a una verità astratta, ma è fiducia e confidenza in una persona che si fa conoscere e che risulta credibile a tal punto da appoggiarsi a lei e trovare sostegno. Dove c'è emeth, ci si può lasciar andare e ci si può affidare. Avviene così la percezione di una duplice esperienza: da una parte, si conclude una tappa in quanto si mette fine all'incertezza indefinita del cercare; nessuno, infatti, può essere esposto oltre misura alla presunzione altrui o al sospetto e al dubbio. Deve venire il momento in cui alla condizione vacillante e ondivaga della ricerca si sostituisce l'oggettiva evidenza di uno stato di cose. Dall'altra parte, porre fine all'incertezza e alla sua pretesa di infinità coincide con un'apertura incredibile di infinite possibilità e reale fecondità di conoscenze. Insomma, la certezza della verità non rende immobili, al contrario; l'affidabilità alla verità raggiunta con la sua conseguente certezza permette di conquistare in una reale dinamica altre verità e altre certezze che sfociano nella insondabilità del proprio mistero.
La stessa cosa è per il concetto di ratio. Lo sviluppo scientifico di questi secoli ha modificato di gran lunga la concezione aristotelica o platonica della ratio e si è affidata particolarmente a Vico, Galileo; da qui la lunga schiera di pensatori che hanno immesso il concetto in uno spazio ben più largo di quello metafisico a cui si era abituati. È necessario che particolarmente oggi ci si chieda di quale ratio stiamo parlando quando discutiamo tra noi. A differenza del passato, con Vico si apre una nuova stagione; l'uomo diventa produttore di verità: il verum ipsum factum attesta con evidenza la progressiva tendenza che fino ai nostri giorni veniva a concretizzarsi non solo nell'ambito della filosofia. Il sapere aude, come programma di libertà e autonomia, era diventato ormai lo scopo di un'esistenza anche sociale. Progressivamente, però, il produttore di verità si è voluto sostituire a essa; ne è derivato un senso di sfiducia e di debolezza che ha esiliato la verità al solo giudizio individuale o al proprio sentimento, invocando il diritto come soluzione di ogni conflitto. Il relativismo di cui spesso si parla in questi anni è di fatto proprio questa condizione che ha avuto il sopravvento. Questa considerazione porta a concludere che la ratio con cui la fides si confronta oggi è sempre meno metafisica e sempre più tecnologica. Non è, comunque, solo questione di consapevolezza maggiore dei concetti in questione; oggi c'è molto di più. Questa problematica deve essere affrontata nel contesto più ampio del confronto interculturale. Il concetto di ratio che possediamo e che fa riferimento alla scoperta greca quale riscontro possiede nelle popolazioni dell'oriente? E il concetto di fides biblica come si rapporta con le altre religioni? Gli interrogativi non sono affatto ovvi, al contrario. Impegnano a trovare nuove strade da percorrere per cercare di comprendere che cosa unisce oltre le diverse interpretazioni concettuali. Certo la ratio è universale; eppure la sua concettualizzazione e la sua realizzazione storica assumono volti differenti; i concetti che hanno segnato la storia dell'occidente hanno bisogno di verificare la complementarità con altre scoperte che oggi sono più direttamente accessibili. Probabilmente, sarà la scienza con i suoi differenti volti dalla medicina all'economia, dalla chimica all'astrofisica... a chiedere alla filosofia e alla teologia di superare il momento di debolezza presente e di produrre nuovi linguaggi per permettere di approdare a delle ragioni che danno il senso della vita. L'uomo, alla fine, sarà chiamato a dare questa risposta perché il dolore, la sofferenza, il tradimento, la morte saranno sempre all'erta e chiederanno una risposta carica di senso e non una formula matematica. La ratio allora, consapevole dei suoi limiti, chiamerà in causa la fides perché dia una parola di speranza.
(©L'Osservatore Romano - 27 settembre 2008)