venerdì 12 settembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) L'inno di Alessandro Manzoni per la memoria del nome di Maria - «E ubbidiente l'avvenir rispose», di Inos Biffi
2) Il racconto segreto della stimmatizzazione di padre Pio
3) » 12/09/2008 11:27 – INDIA - La polizia indiana impone il silenzio alle suore di Madre Teresa
4) Quando la parola "evento" si traduce con "incontro" - Pigi Colognesi


L'inno di Alessandro Manzoni per la memoria del nome di Maria - «E ubbidiente l'avvenir rispose», di Inos Biffi
Secondo il progetto contenuto in un manoscritto cartaceo, conservato nella sala manzoniana della biblioteca Braidense, tra i dodici inni programmati Manzoni intendeva comporne due in onore di Maria: quello per la festa dell'Assunzione e quello per la memoria del suo nome, ricorrente nella liturgia il 12 settembre. In realtà solo quest'ultimo vide la luce - tra il novembre 1812 e il 19 aprile 1813. E manifesta tutta la semplice e ardente pietà dello scrittore, da poco ridiventato credente, verso la Vergine.
Si potrebbe dire, in sintesi, che Il Nome di Maria traduca in delicatissima poesia il vangelo lucano della Visitazione, il mistero dell'umiltà e della grandezza della Madre di Dio, e il rifrangersi nell'universale devozione cristiana della sua profezia - "Tutte le genti / Mi chiameran beata" -.
La pacata bellezza dell'inno, modellato sul ritmo contemplativo della saffica, attrae già dalla prima strofa, dove, con tocco agile e delicato, il poeta ci fa apparire dinanzi in tutta la sua suggestione la trasparente immagine di Maria nel suo ascendere raccolto alla casa di Elisabetta: "Tacita un giorno a non so qual pendice / Salia d'un fabbro nazaren la sposa; / Salia non vista alla magion felice / D'una pregnante annosa".
"Il Manzoni - commenta il cardinale Giovanni Colombo da finissimo conoscitore del poeta lombardo - con una paroletta di sole tre sillabe - "Tacita" - dà inizio a questa lirica. Felice scoperta: basterebbe questo sdrucciolo silenzioso per darci la misura del suo gusto e del suo genio. Il fascino di bellezza, che ad alcune parole ricorrenti nelle prime strofe della poesia sembra conferire una vaga indeterminatezza, riempie di stupore.
"Un giorno": quale non si sa; "a non so qual pendice": neppure il poeta saprebbe indicarcela. "Salìa... Salìa": vuol significare l'agile fretta; "d'un fabbro nazaren": a Nazaret i falegnami saranno stati più d'uno; ma qui non è lui che conta, è la sua sposa. Ed ella va "non vista", tanto era umile e raccolta in sé (...) Anche "inaspettata" è una di queste parole che acquistano fascino dall'indeterminatezza da cui sono velate".
In questo incontro tra le due madri Manzoni si sofferma in particolare sull'annunzio profetico di Maria: "Tutte le genti / Mi chiameran beata". L'"età superba" - come egli qualifica con secca e sferzante definizione l'umanità priva della luce e della pietà cristiana - nel suo "tardo consiglio" e nel suo umano "antiveder bugiardo", sicuramente avrebbe schernito questo presagio divinamente ispirato al cuore dell'"inaspettata" nella casa di Elisabetta.
Quanti però sono destinati a vivere nell'amore e a porsi alla scuola di Dio e dei suoi misteri - "Noi serbati all'amor, nati alla scola / Delle celesti cose" - possono attestare che il tempo si è docilmente piegato al preannunzio della Vergine - "Ubbidiente l'avvenir rispose".
Il poeta passa, così, all'esaltazione e al saluto del nome di Maria, Madre di Dio: un nome solenne e incomparabile; caramente ripetuto in ogni età, anche la più rude; insegnato di padre in figlio; invocato universalmente e onorato anche nei luoghi remoti e incolti, che pure conoscono "le benedette soglie" dei suoi "miti altari": miti, perché spirano e trasfondono nell'anima serenità e confidenza, a dire anche "la preferenza - di Manzoni - per la gentilezza delle piccole cose" (Giovanni Colombo).
Ma altri "bei nomi", insieme con quello di "Maria", sono riservati alla Madonna: "O Vergine, o Signora, o Tuttasanta / - esclama il poeta nella sua ammirata contemplazione - Che bei nomi ti serba ogni loquela!".
Né mancano popoli, per quanto altezzosi, che si gloriano di essere sotto la sua protezione: "Più d'un popol superbo esser si vanta / In tua gentil tutela": e qui sentiamo l'eco dell'antica antifona: Sub tuum praesidium, mentre possiamo notare la felice scelta dell'aggettivo "gentile" riferito alla salvaguardia di Maria, per dirne ancora il garbo affabile e attento.
La strofa che segue, nel suo ritmo sciolto e composto, è di un fascino incantevole nella rievocazione del suono di campana che tre volte al giorno - al mattino, a mezzogiorno e al tramonto - chiama i fedeli alla preghiera mariana, come "racchiudendo nel nome di Maria l'intera giornata del cristiano" (Valter Boggioni): "Te, quando sorge, e quando cade il die, / E quando il sole a mezzo corso il parte, / Saluta il bronzo che le turbe pie / Invita ad onorarte".
Ed è l'invocazione degli umili e degli indifesi, con i loro "preghi" e le loro "querele", che il poeta si sofferma poi a illustrare. Sul mondo di questi offesi e umiliati egli vede, particolarmente inchinata, la tenerezza materna della Vergine. Potremmo dire: sui piccoli dei Promessi Sposi, trascurati dal mondo, che "col suo crudele / discernimento" distingue il dolore "degl'imi / e de' grandi", ma cari alla Provvidenza di Dio e alla cura della Vergine.
In particolare, il poeta indugia "a contemplare tre quadretti: quello del fanciulletto che la chiama "nelle paure della veglia bruna", del navigante che ne invoca il soccorso nei momenti della burrasca, della femminetta che le affida la sua "spregiata lacrima". È questa la parte più intensa della poesia. Ogni volta che il Manzoni nella vita umana vissuta immerge i simboli religiosi, questi perdono la loro fredda astrattezza e suscitano le vibrazioni più profonde". Del resto, la Vergine stessa ha fatto l'esperienza delle lacrime: "Tu pur, beata, un dì provasti il pianto", e "quello che in quest'inno ci commuove, è ciò che vi è di più semplice: la preghiera che si appella alla Madre divina per una nostra comunione al suo soffrire" (G. Colombo).
Il ricordo del pianto di Maria non si è spento lungo i secoli ed è rimasta viva - "come di fresco evento" - la memoria della sua allegrezza, rievocata nell'antifona pasquale Regina caeli, laetare.
E questo non sorprende. Il poeta coglie la ragione profonda di questa lode unica e primeggiante verso Maria: essa è "di Dio la Madre" e insieme la "fanciulla ebrea", che "piacque al Signor di porre in cima", e ama intrattenersi su questa origine della Vergine.
Colei che noi veneriamo - "in tanto onor avemo" - è frutto della fede ebraica: "Di vostra fede uscita", è detto con espressione felicissima. Maria proviene, infatti, dal "ceppo" di Davide ed era riferito a lei il preannuncio della vittoria della donna sul serpente: "Era il pensier de' vostri antiqui vati, / Quando annunziaro i virginal trofei / Sopra l'inferno alzati".
Maria "è madre particolarmente degli ebrei" (G. Colombo): per questo essa è il motivo della speranza per la "prole d'Israello", esortata a implorare da lei - "che salva i suoi" - il dono della salvezza, ardentemente invocata anche nell'inno sacro La Passione, come frutto del "sacro / Santo Sangue".
Si potrebbe parlare di comunione ecumenica tra ebrei e cristiani come grazia che viene da Maria. Nessuno, infatti, dovrà mancare al lieto canto che così saluterà la Vergine: "Salve, o degnata del secondo nome" - il nome più glorioso, dopo quello di Cristo -, "O Rosa, o Stella ai periglianti scampo", "Inclita come il sol", "terribile come / Oste schierata in campo". Vengono in mente le invocazioni delle litanie del Rosario: Rosa mystica, Stella matutina, Turris davidica, Auxilium christianorum: Maria speranza, riparo e difesa contro il male. Ma se "la venerazione alla Vergine Maria da parte del Manzoni ha nell'Inno Sacro dedicato al suo Nome l'espressione più alta", essa "non è un atto isolato".
Osserva ancora Giovanni Colombo: "Il riferimento a Maria, una costante della sua meditazione, è inseparabile dalla sua riscoperta della fede in Cristo. Nel Natale il Manzoni contempla l'adorante Vergine Madre che par non tocchi il "Pargolo", quasi per timore di sciuparlo, dopo la divina ascesa alla maternità; nella Passione prega Maria "regina de' mesti" perché il nostro "patire", unito a quello del Figlio, sia "pegno" della eterna gioia; nella Risurrezione invita la Vergine, che fu "nido" di Dio, all'esultanza della Pasqua; nell'Ognissanti celebra l'Immacolata (la "tuttasanta"), cioè la piena di grazia; nei Promessi Sposi è attestata l'"umile" preghiera mariana del rosario, che dà l'avvio al sacrificante voto di Lucia prigioniera dell'innominato". Non solo: il nome di Maria "commuove la sua rozza carceriera, nel cui animo si illumina il rimorso di un passato che pareva perduto per sempre", e fu poi il nome che, secondo la promessa di Renzo, fu dato alla bambina dei due sposi che venne alla luce prima che finisse l'anno del matrimonio.
Del resto - scrive sempre Colombo, che ci ha fatto da guida impareggiabile in questo commento - "in casa Manzoni si doveva conoscere questa predilezione del capo famiglia verso la Vergine Maria, se Giulietta, una sera del settembre 1827, in prossimità della festa liturgica del nome di Maria, insistette per avere - e ottenne - quei cantabili Versi improvvisati sopra il nome di Maria, e se "in occasione della prima comunione della figlia Vittoria, le raccomandava la devozione alla Vergine, con queste parole commoventi per la fede con cui un tal padre le scriveva e per il recente angoscioso lutto della morte di Enrichetta: "Senti in questa felice tua e santa occasione, una più viva gratitudine, un più tenero affetto, una più umile riverenza per quella Vergine, nelle cui viscere il nostro Giudice s'è fatto nostro Redentore"".
(©L'Osservatore Romano - 12 settembre 2008)


Il racconto segreto della stimmatizzazione di padre Pio
«Ti associo alla mia Passione»: un dono di grazia per la «salute» dei fratelli
di Mirko Testa
ROMA, venerdì, 12 settembre 2008 (ZENIT.org).- Padre Pio da Pietrelcina ricevette le stimmate nel 1918 da Gesù Crocifisso che in una apparizione lo invitò a unirsi alla sua Passione per partecipare alla salvezza dei fratelli, e in particolare dei consacrati.
E' quanto apprendiamo ora con certezza grazie alla recente apertura, per volontà di Papa Benedetto XVI, degli archivi dell'ex Santo Uffizio fino al 1939 che custodiscono le rivelazioni segrete del cappuccino su fatti e fenomeni mai raccontati a nessuno.
A renderle note è un libro dal titolo Padre Pio sotto inchiesta. L'«autobiografia segreta», con prefazione di Vittorio Messori, introdotto e curato da don Francesco Castelli, storico della postulazione per la causa di beatificazione di Karol Wojtyla e docente di Storia della Chiesa moderna e contemporanea all'ISSR “R. Guardini” di Taranto.
Sino a oggi sembrava, infatti, che padre Pio, per pudore o forse ritenendosi indegno degli straordinari carismi ricevuti, non avesse svelato mai a nessuno cosa avvenne il giorno della sua stimmatizzazione.
Un solo accenno al riguardo si trova in una lettera inviata al suo direttore spirituale, padre Benedetto da San Marco in Lamis, quando parla dell'apparizione di un «misterioso personaggio» senza però lasciar trapelare ulteriori dettagli.
Il volume, che riporta per la prima volta integralmente la relazione vergata da monsignor Raffaello Carlo Rossi, Vescovo di Volterra e Visitatore Apostolico inviato dal Sant'Uffizio per «inquisire» in segreto padre Pio chiarisce finalmente che in occasione della stimmatizzazione il Santo del Gargano ebbe un colloquio con il Gesù Crocifisso.
Una seconda fonte autobiografica di Padre Pio, prestata sotto giuramento, si va quindi ad affiancare al suo epistolario, fornendo le giuste chiavi di lettura per conoscere la personalità e la missione di «sacerdote associato alla Passione di Cristo» del frate cappuccino.
Chiamato a rispondere sul Vangelo, a brevissima distanza dall'avvenimento dei fenomeni mistici, padre Pio rivela per la prima volta l’identità di colui che lo ha stimmatizzato.
È il 15 giugno 1921, sono passate da poco le 17, e interrogato dal Vescovo padre Pio risponde così: «Il 20 Settembre 1918 dopo la celebrazione della Messa trattenendomi a fare il dovuto ringraziamento nel Coro tutt’ad un tratto fui preso da un forte tremore, poi subentrò la calma e vidi N. S. [Nostro Signore] in atteggiamento di chi sta in croce».
«Non mi ha colpito se avesse la Croce, lamentandosi della mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a Lui e più da lui favoriti».
«Di qui – continua il suo racconto – si manifestava che lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua Passione. M’invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a lui che cosa potevo fare».
«Udii questa voce: “Ti associo alla mia Passione”. E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo».
Padre Pio rivela dunque che la stimmmatizzazione non fu il risultato di una sua richiesta personale ma di un invito del Signore, che lamentandosi dell'ingratitudine degli uomini, in particolar modo dei consacrati, lo faceva destinatario di una missione, come culmine di un cammino di preparazione interiore e mistica.
Tra l'altro, spiega l'autore del libro, «il tema della cattiva corrispondenza degli uomini, in particolare di coloro che erano più favoriti da Dio, non è nuovo nelle rivelazioni private del cappuccino».
Intervistato da ZENIT, don Francesco Castelli ha detto che «un aspetto decisivo va rintracciato nella mancata richiesta delle stimmate da parte di padre Pio. Questo ci fa capire la libertà e l'umiltà del cappuccino che si rivela totalmente disinterrato a fare mostra delle ferite».
«L'umiltà di padre Pio traspare anche dalla sua reazione nel vedere, una volta tornato in sé, i segni della Passione impressi nella carne – ha sottolineato lo storico –. Infatti, nel colloquio con il Vescovo, una volta conclusasi la scena mistica, non ci ricama sopra».
Dai colloqui con padre Pio, dall'epistolario, dai testimoni interrogati da monsignor Rossi e persino dalla sua relazione traspare il fatto che padre Pio provasse dispiacere per i segni della Passione, che cercasse di nasconderli e che soffrisse nel doverli mostrare sotto l'incalzare delle richieste del Visitatore apostolico.
La ferita al costato e la sesta piaga del patibulum crucis
Il libro riporta poi le conclusioni di monsignor Rossi alla ricognizione sulle stimmate di padre Pio da lui effettuata personalmente, e di cui si aveva notizia solo in parte, che risulta apportatrice di grandi novità, specialmente per quanto concerne la morfologia della ferita sul costato e la presunta sesta piaga della spalla.
Nella sua relazione il Visitatore apostolico rivela che le ferite di padre Pio non andavano in suppurazione, non si chiudevano né si cicatrizzavano. Restavano inspiegabilmente aperte e sanguinati, nonostante il frate avesse smesso di spennellarle con la tintura di iodio per cercare di arrestare il sangue.
«La descrizione di monsignor Rossi riguardo la stimmata al costato – ha detto ancora don Castelli a ZENIT – è decisamente differente da quelle di chi lo ha preceduto e da coloro che lo hanno seguito. A lui non si presenta sotto forma di una croce capovolta oppure obliqua, ma come una “chiazza triangolare” e quindi dai contorni netti».
Nel verbale dell'esame, il Vescovo di Volterra, contrariamente a quanto rilevato dagli altri medici, sostiene che «non vi sono aperture, tagli e ferite» e che in tal caso «si può legittimamente supporre che il sangue esca per essudazione», cioè - spiega don Castelli - che si trattasse di «materiale sanguigno fuoriuscito per una forma di iper-permeabilità delle pareti vasali».
«Questo depone a favore della sua autenticità – ha spiegato lo storico –, perché l'acido fenico, che secondo alcuni sarebbe stato utilizzato da padre Pio per procurarsi le piaghe, una volta applicato finisce per consumare i tessuti infiammando le zone circostanti».
«Impossibile pensare che padre Pio fosse stato in grado di prodursi queste “ferite” dai margini netti per 60 anni e in modo costante», ha commentato don Castelli.
«Inoltre, dalle piaghe si sprigionava un profumo intenso di viola al posto dell'odore fetido causato il più delle volte dai processi degenerativi o dalla necrosi dei tessuti, oppure ancora dalla presenza di infezioni».
Altro elemento degno di rilievo, il fatto che padre Pio confessi apertamente di non portare altri segni visibili della Passione al di fuori di quelli alle mani, ai piedi e al costato, escludendo così l'esistenza di una piaga all'altezza della spalla dove Gesù portava la croce, di cui parla una preghiera attribuita a San Bernardo.
Prima d'ora, invece, ne era stata ipotizzata l'esistenza, specialmente sulla base della rilevazioni in proposito fatte dal Cardinale Andrzej Maria Deskur che in una intervista aveva raccontato di un incontro a San Giovanni Rotondo, nell'aprile del 1948, tra l'allora don Karol Wojtyla e il frate stimmatizzato.
Secondo don Castelli, «questa rivelazione fissa ora nel 1921 il termine prima del quale non si puo' risalire per attribuire a padre Pio l'esistenza di qualsiasi altro segno della Passione».


12/09/2008 11:27 – INDIA - La polizia indiana impone il silenzio alle suore di Madre Teresa
di Nirmala Carvalho
Sono quelle accusate di sequestro e conversione di bambini. Dimostrata la falsità delle accuse, i bambini sono stati riconsegnati alle suore. Il Sangh Parivar organizza per domani una manifestazione contro le suore e il loro “traffico di bambini”. Insicurezza anche in Karnataka dove alcune chiese pentecostali sono state chiuse, pur essendo in regola coi documenti.
Chhattisghar (AsiaNews) – Le Missionarie della Carità che nei giorni scorsi sono state accusate di aver rapito e convertito 4 bambini neonati, hanno ricevuto l’ordine della polizia di non parlare con nessuno dell’incidente avvenuto il 5 settembre scorso. Intanto cresce una campagna dei radicali indù contro le suore, tanto che il convento è sotto custodia.
“La polizia con l’amministratore del distretto di Durg Chhattisghar sono venuti al nostro convento dedicato a Madre Teresa – dice suor Mamata ad AsiaNews - e ci hanno dato l’ordine di non parlare con nessuno dell’incidente. L’amministratore ci ha spiegato che l’ordine era ‘per il nostro bene’ perché alcuni gruppi di militanti indù stanno muovendo l’opinione pubblica contro di noi e il nostro lavoro missionario”. Il convento è stato messo sotto il controllo della polizia 24 ore su 24. “L’amministratore – spiega suor Mamata – ci ha comunque consigliato di continuare il nostro lavoro a favore dei bambini e degli abbandonati”.
Lo scorso 5 settembre - anniversario della morte di Madre Teresa di Calcutta - quattro suore di Madre Teresa, fra cui suor Mamata erano state aggredite da attivisti del Bajrang Dal alla stazione ferroviaria di Durgh (Chhattisghar). I radicali indù le hanno costrette con la forza a scendere dal treno, consegnandole agli agenti di polizia, accusandole di aver sequestrato e convertito i lattanti. I bambini erano stati messi nell’ospedale governativo sotto la custodia della polizia.
Nei giorni seguenti le suore hanno sporto una denuncia alla polizia, presentando tutti i documenti dei bambini. Dopo attento controllo, i documenti sono stati dichiarati validi e autentici. Per questo, i bambini sono stati trasferiti ancora alle cure delle suore.
Il ritorno dei bambini alle suore e il fallimento delle loro accuse, ha frustrato i membri radicali e domani la Sangh Parivar (una formazione-ombrello che raduna diversi gruppi di nazionalisti e estremisti indù) ha deciso di fare una manifestazione di protesta contro “il traffico di bambini organizzato dalle suore di Madre Teresa”. Kiran Dan, un attivista sociale, ha dichiarato ad AsiaNews che il Sangh Parivar “ha consegnato un memorandum alla procura perché le suore siano arrestate e si riapra l’inchiesta”.
La nuova ondata di violenze contro i cristiani, accusati di conversioni forzate, è partita dall’Orissa due settimane fa, ma si sta diffondendo in altri Stati della confederazione retti dal Bjp (Baratiya Janata Party).
Sajan K George, responsabile del Global Council of Indian Christians, con base a Bangalore, ha detto ad AsiaNews che “I sentimenti anti-cristiani si stanno diffondendo anche nel Karnataka. I gruppi dell’Hindutva riportano ogni giorno sui loro giornali la serie di distruzioni e incendi. Essi minacciano le comunità cristiane di far subire loro la stessa sorte e con la forza bloccano gli incontri di preghiera.
Nella sola area di Davangere (Karnataka), tre luoghi di preghiera sono stati chiusi con l’accusa di essere “non autorizzati”. I pastori pentecostali hanno mostrato tutti i documenti in regola, ma le chiese rimangono chiuse”.
Sajan K George assicura che ogni domenica estremisti del Sangh Parivar invadono luoghi di preghiera gridando slogan anti-cristiani e picchiando i fedeli. La maggior parte delle volte la polizia rimane muta e spettatrice.
Commentando tutta la vicenda sour Mamata dice ad AsiaNews: “Madre Teresa ha lavorato senza stancarsi per portare l’amore di Dio ai più poveri dei poveri. Noi siamo le sue figlie e volgiamo continuare la sua opera anche se siamo chiamate a soffrire. Siamo pronte a pagare il prezzo del nostro essere discepoli di Gesù”.


Quando la parola "evento" si traduce con "incontro" - Pigi Colognesi, IlSussidiario.net
venerdì 12 settembre 2008
La settimana scorsa ci siamo interrogati su significato e caratteristiche della (abusata) parola “evento”. Alcuni articoli pubblicati dopo di allora suggeriscono di ritornarci. Dal punto di vista di quel particolare «evento» che è il cristianesimo. Benedetto XVI ha sottolineato fin dalle prime righe della sua enciclica Deus charitas est la natura di “avvenimento”, di “evento”, appunto, che qualifica la fede cristiana. Un evento che ha la forma di un incontro.
Il Papa è tornato sull’argomento nella catechesi di mercoledì 4 settembre, raccontando della conversione di san Paolo sulla via di Damasco. Ha detto: «San Paolo è stato trasformato non da un pensiero ma da un evento, dalla presenza irresistibile del Risorto». E ha aggiunto: «Questa svolta nella sua vita, questa trasformazione di tutto il suo essere non fu frutto di un processo psicologico, di una maturazione o evoluzione intellettuale e morale, ma venne dall’esterno: non fu frutto del suo pensiero, ma dell’incontro con Cristo Gesù».
Dunque il cristianesimo è anzitutto il fatto di un incontro eccezionale, che, pertanto, si colloca a livello dell'ontologia – cioè della descrizione di come stanno le cose – piuttosto che a quello dell’etica – cioè delle conseguenze comportamentali, morali. Lo ha osservato Ezio Mauro nel suo editoriale del 5 settembre. Anche se poi il direttore di Repubblica ha piegato questa fondamentale intuizione a interpretazioni politico ecclesiastiche gravemente limitanti (come ha messo ben in rilievo Costantino Esposito su ilsussidiario.net dell’8 settembre). Ma l’evento cristiano non accetta limitazioni. Si pone; e chiunque può incontrarlo. Come è capitato a Giampaolo Pansa andando al Meeting di Rimini. Del suo resoconto apparso su L’Espresso non importa qui tanto la sua simpatetica affermazione che i “maledetti ciellini” hanno battuto la sua sinistra che non riesce nemmeno più a fare una decente festa dell’Unità. Più interessante quando descrive il suo “incontro” con la realtà umana del Meeting: «questa gente non ti chiedeva da dove venivi, ma voleva soltanto comprendere dove stavi andando. Nessuno mi ha fatto l’analisi del mio sangue politico. Nessuno mi ha chiesto per chi avevo votato. Nessuno mi ha domandato se preferivo Berlusconi o Veltroni. Erano soltanto interessati a sapere perché avevo scritto quei libri. Era il mio percorso umano che volevano scrutare, con lo sguardo attento dell’amicizia: il mio viaggio alla ricerca della verità e di me stesso. E ogni volta mi sono sentito ascoltato e mai giudicato». Ecco, è stato un incontro. Di cui nessuno può calcolare o predefinire le conseguenze.
L’incontro è sempre con una persona viva, non solo con quello che pensa o dice. Nella grandiosa tradizione letteraria ebraica questa dinamica è ben presente e descritta. Lo ha ricordato Pietro Citati recensendo la pubblicazione delle Storie e leggende chassidiche. Più di dotte disquisizioni vale un esempio: «Rabbi Low disse: “Se io andai dal Maggid [uno dei principali maestri chassidici], non fu per ascoltare un insegnamento da lui, ma solo per vedere come si slaccia le scarpe di feltro e se le riallaccia». Tornano in mene i primi due che hanno incontrato Gesù qualche anno prima di Paolo: sono andati a casa sua quel pomeriggio e «lo guardavano parlare».