Nella rassegna stampa di oggi:
1) Cosa rispondereste a un bambino di 11 anni che domanda: "Devo ricevere la Cresima ma non ne sono convinto?" – Magdi Cristiano Allam
2) In Iraq vivere la Parola costa la vita, denuncia il Patriarca - Testimonianza di Sua Beatitudine Emmanuel III Delly - CITTA' DEL VATICANO, martedì, 14 ottobre 2008 (ZENIT.org).- La situazione per i cristiani dell'Iraq è sempre più difficile, ha confessato questo martedì al Sinodo dei Vescovi riunito in Vaticano il Cardinale Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei.
3) 15/10/2008 10:35 - ISLAM-IRAQ - La Conferenza islamica condanna gli attacchi ai cristiani iracheni - L’Organizzazione chiede di “porre fine alle sofferenze dei nostri fratelli”. Il governo iracheno invia una commissione per dare sostegno all’azione per restituire sicurezza agli abitanti di Mosul.
4) Pro e contro Putin 2 - I contro - Autore: Jagodincev, Dmitrij Curatore: Scalfi, P. Romano - Fonte: CulturaCattolica.it -martedì 14 ottobre 2008 - In questa seconda parte dell'articolo della rivista russa "Posev" si prendono in esame alcuni aspetti negativi della politica di Putin.
5) Intervento di Benedetto XVI al Sinodo dei vescovi - Un metodo completo - per leggere e capire la Bibbia, L’Osservatore Romano 15 ottobre 2008
6) L'abate di Clairvaux e la Scrittura - Quel favo di miele dolcissimo - spremuto da san Bernardo - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano, 15 ottobre 2008
7) USA/ Obama e McCain protagonisti di una brutta campagna elettorale per la Casa Bianca - Lorenzo Albacete - mercoledì 15 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
8) SOCIAL HOUSING/ Tre mosse per aiutare gli italiani ad avere una casa - Antonio Intiglietta - mercoledì 15 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
9) A PROPOSITO DI VALUTAZIONI EMERSE NEL DIBATTITO DI QUESTI GIORNI - Non tutto è terapia medica ma il prendersi cura del buon samaritano - ROBERTO COLOMBO – Avvenire, 15 ottobre 2008
10) «Accanto ai morenti con amore e competenza professionale» - Goisis, medico dell’hospice Palazzolo di Bergamo: talvolta chi parla di eutanasia non ha mai visto un malato terminale - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 15 ottobre 2008
11) Eluana, da tre associazioni nuovo appello ai giudici - Alla magistratura la richiesta di accertare l’effettivo stato clinico della donna lecchese in stato vegetativo da 16 anni, dopo la «ripresa da alcuni mesi del flusso mestruale» - DA LECCO LUCIA BELLASPIGA – Avvenire, 15 ottobre 2008
Cosa rispondereste a un bambino di 11 anni che domanda: "Devo ricevere la Cresima ma non ne sono convinto?" – Magdi Cristiano Allam
Oggi l’insieme delle istituzioni che ci accompagnano dalla nascita, la famiglia, la scuola, la comunità, l’insieme della società, le istituzioni preposte alla gestione della sfera pubblica, la realtà del mondo della comunicazione e la stessa Chiesa stanno perdendo sempre più la sostanza di testimoni di valori e di regole
autore: Magdi Cristiano Allam
Cari amici,
Cosa rispondereste a un bambino di 11 anni che vi dice: “Nei prossimi giorni farò la Cresima. Ma non sono del tutto convinto. Che cosa può dirmi lei per convincermi?”. E’ la domanda più spiazzante che mi è stata rivolta tra quanti hanno preso la parola, dopo il mio intervento introduttivo di presentazione dell’autobiografia “Grazie Gesù”, di fronte a 700 persone che hanno affollato il Teatro Salieri di Legnago nella serata di venerdì scorso, 10 ottobre.
Mi sono guardato attorno con la speranza di individuare un sacerdote, ritenendo che dovesse essere lui a rispondere. Ed in effetti in prima fila ve ne era uno. Gli ho chiesto se volesse intervenire ma ha preferito non farlo. Così non mi restava altro che rispondere ad una domanda che, pur nel suo estremo candore, è suonata come un terribile atto d’accusa nei confronti, nel caso specifico, della Chiesa. Evidentemente le argomentazioni addotte dal suo padre spirituale nel percorso di preparazione alla Cresima non sono del tutto convincenti all’animo di un bambino che colma d’ingenuità e ad una mente che si manifesta con assoluta semplicità. Ma sotto accusa è l’insieme della società di cui la Chiesa, piaccia o meno, è a sua immagine e somiglianza.
Nella mia risposta, che ho voluto fosse il più possibile articolata ed esauriente per l’estrema importanza che attribuisco all’educazione e alla formazione dei bambini, ho preso atto del fatto che oggi l’insieme delle istituzioni che ci accompagnano dalla nascita, la famiglia, la scuola, la comunità, l’insieme della società, le istituzioni preposte alla gestione della sfera pubblica, la realtà del mondo della comunicazione che condiziona non poco la crescita e, ovviamente, la stessa Chiesa, stanno perdendo sempre più la sostanza di testimoni di valori e di regole e il ruolo di autorità morale.
Ed è così che i bambini finiscono per sentirsi sempre più disorientati, non hanno punti di riferimento che diano delle certezze sul piano della conoscenza che porta alla verità, dei valori che corrispondono al bene comune, all’azione che realizza l’interesse generale. Ed è certamente massimamente grave che questa crisi valoriale e identitaria abbracci anche la Chiesa, depositaria della Verità cristiana che costituisce la radice della cultura, della tradizione e della civiltà italiana ed europea.
Cari amici, vi saluto con la convinzione che è giunta l’ora di assumerci la responsabilità storica di agire da protagonisti per affrancarci dall’ideologia suicida del relativismo che affligge l’Occidente e dall’ideologia omicida del nichilismo che arma l’estremismo islamico, per affermare con coraggio e difendere con tutti i mezzi la Civiltà della Fede e Ragione. Andiamo avanti insieme sul cammino della Verità, Vita, Libertà e Pace, per un’Italia, un’Europa e un mondo che considerino centrali i valori e le regole, della conoscenza oggettiva, della comunicazione responsabile, della sacralità della vita, della dignità della persona, dei diritti e doveri, della libertà di scelta, del bene comune e dell’interesse generale, promuovendo un Movimento di riforma etica dell’informazione, della società, dell’economia, della cultura e della politica. Con i miei migliori auguri di sempre nuovi traguardi, successi ed un mondo di bene.
Magdi Cristiano Allam
In Iraq vivere la Parola costa la vita, denuncia il Patriarca - Testimonianza di Sua Beatitudine Emmanuel III Delly - CITTA' DEL VATICANO, martedì, 14 ottobre 2008 (ZENIT.org).- La situazione per i cristiani dell'Iraq è sempre più difficile, ha confessato questo martedì al Sinodo dei Vescovi riunito in Vaticano il Cardinale Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei.
Il Capo del Sinodo della Chiesa caldea si è presentato all'assemblea sinodale sulla Parola di Dio come “un figlio della terra d'Abramo, l'Iraq”.
Il Patriarca ha fornito in primo luogo informazioni sulla situazione dell'Iraq, “Paese torturato e insanguinato”, in risposta alle richieste che in questi giorni gli hanno presentato i Padri sinodali.
“La mia parola non sarà una lettura politica, ma il breve flashback di un padre che da mezzo secolo vive con i suoi figli spirituali e che vede i suoi cittadini soffrire e morire”, ha affermato.
Parlando in italiano, ha aggiunto: “Diciamo la verità: non abbiamo lasciato niente di intentato per ottenere la pace e la tranquillità per il Paese”.
“La situazione in alcune parti dell'Iraq è disastrosa e tragica. La vita è un calvario: mancano la pace e la sicurezza, così come mancano nella vita di ogni giorno gli elementi basilari”, ha denunciato.
“Continuano a mancare l'elettricità, l'acqua, la benzina, la comunicazione telefonica è sempre più difficile, intere strade sono bloccate, le scuole chiuse o sempre in pericolo, gli ospedali sono a organico ridotto, la gente teme per la propria incolumità”.
Il porporato ha rivelato che “tutti temono il rapimento, i sequestri e le intimidazioni. Che dire poi di tutti quei rapimenti ingiustificabili che quotidianamente si susseguono, danneggiando intere famiglie e privandole spesso dei loro cari, pur avendo sborsato decine di migliaia di dollari per una liberazione mai avvenuta?”.
“Per non parlare del numero sempre più crescente di morti causati dalle autobombe e dai kamikaze che indossano cinture esplosive”.
“Vivere la parola di Dio significa per noi testimoniarla anche a costo della propria vita, com'è accaduto e accade finora con il sacrificio di Vescovi, sacerdoti e fedeli. Essi continuarono a essere in Iraq forti nella fede ed amore di Cristo grazie al fuoco della parola di Dio”, ha spiegato.
“Per questo, vi supplico di pregare per noi e con noi il Signore Gesù, Verbo di Dio, e condividere la nostra preoccupazione, le nostre speranze e il dolore delle nostre ferite, affinché la Parola di Dio fatta carne rimanga nella sua Chiesa e insieme a noi come buon annunzio e come sostegno. 16 dei nostri sacerdoti e due Vescovi sono stati rapiti e rilasciati dopo un riscatto molto elevato”.
“Alcuni di loro – ha concluso – appartengono alla schiera dei nuovi martiri che oggi pregano per noi dal cielo: l'Arcivescovo di Mosul, Faraj Rahho, padre Raghid Ganni, altri due sacerdoti e altri sei giovani”.
15/10/2008 10:35 - ISLAM-IRAQ - La Conferenza islamica condanna gli attacchi ai cristiani iracheni
L’Organizzazione chiede di “porre fine alle sofferenze dei nostri fratelli”. Il governo iracheno invia una commissione per dare sostegno all’azione per restituire sicurezza agli abitanti di Mosul.
Baghdad (AsiaNews/Agenzie) – L’Organizzazione della conferenza islamica ha condannato le violenze contro i cristiani di Mosul, “senza precedenti nella storia irachena” . Ekmeleddin Ihsanoglu, presidente della Organizzazione che raccoglie 57 Paesi musulmani, ha chiesto alle autorità di Baghdad di “perseguire i responsabili che sono dietro tali atti per porre fine alle sofferenze dei nostri fratelli cristiani e provvedere alla loro protezione”. Ihsanoglu ha anche ricordato che l’OIC invita sempre a “rispettare le minoranze all’interno del mondo islamico”.
Il richiamo dell’OIC è arrivato contemporaneamente all’annuncio fatto a Baghdad dell’invio di una commissione governativa a Mosul allo scopo, ha dichiarato il portavoce del governo, Ali al-Dabbagh, “di muoversi rapidamente per dare sostegno agli sforzi in materia di sicurezza con massicce operazioni militari per rassicurare i cittadini”.
Un parlamentare cristiano, Yunadim Kanna, che ha avuto un incontro col primo ministro Nuri al-Maliki, ha riferito che sono almeno 1500 e famiglie di cristiani che hanno lasciato Mosul, sotto la spinta di attentati e minacce. “Ci aspettiamo – ha aggiunto – che la zona venga messa sotto controllo e che le famiglie possano tornare nei prossimi giorni alle loro case”. Invece il comandante delle forze terrestri irachene, generale Ali Ghaidan, che ha parlato di “esagerazioni dei media che hanno accresciuto paura ed orrore nelle famiglie”, “anche se non avevano ricevuto minacce”.
Pro e contro Putin 2 - I contro - Autore: Jagodincev, Dmitrij Curatore: Scalfi, P. Romano - Fonte: CulturaCattolica.it -martedì 14 ottobre 2008 - In questa seconda parte dell'articolo della rivista russa "Posev" si prendono in esame alcuni aspetti negativi della politica di Putin.
1. Burocrazia. Negli ultimi otto anni il numero dei burocrati è aumentato più di due volte, superando il numero che si aveva in tempo sovietico. Potendo contare su elevate entrate nel bilancio dalla vendita delle ricchezze naturali, il governo è in grado di sostenere questa immensa armata. Conservando un atteggiamento sospettoso verso i propri cittadini, il potere è disposto ad accontentare quelli che lo sostengono e concede loro ogni libertà di azione. I burocrati, umiliati negli anni ’90, incominciando a capire di essere a servizio dei cittadini e non il contrario, oggi si rifanno sui tempi passati. Si è introdotto di nuovo un comportamento sprezzante nei confronti della gente, lunghe code negli uffici governativi; è aumentato il numero dei coordinamenti e delle soluzioni; tutte le possibili verifiche sono diventate quotidiane. Il burocrate trionfa sentendosi padrone della vita, uomo importante nel paese, spesso disturbato da cittadini seccanti. In questa situazione la qualità del lavoro lascia a desiderare. Sfruttando l’imprecisione della legge i burocrati dispongono di molte possibilità di giudicare e stabilire secondo quello che pensano. E’ difficile trovare fra loro persone contente del proprio lavoro. In compenso la corruzione raggiunge una cifra che è vicina al 100%. Un problema sepolto nelle paludi burocratiche si risolve molto in fretta con la bustarella. Una massa di problemi si è dileguata in questa palude oppure ha fatto perdere un sacco di tempo e di mezzi. Gli attuali burocrati corrotti recano allo sviluppo dello stato un danno enorme che è difficile misurare. Loro che avrebbero il compito di collaborare al bene della società risultano in pratica l’ostacolo più grande allo sviluppo e alla modernizzazione del paese.
2. Sistema giudiziario. Nulla può essere di maggior aiuto alla stabilità dello stato di una magistratura indipendente. A tutt’oggi noi non l’abbiamo. La magistratura si è trasformata in strumento di lotta politica, economica, sociale. Dipendendo completamente dagli organi statali, basta una telefonata per prendere in breve tempo qualsiasi decisione utile a loro. Esiste un listino segreto per le decisioni giudiziarie e la corruzione è penetrata molto profondamente in questo ramo del potere. Nella magistratura oggi si regolano i conti con gli avversari politici, con i concorrenti negli affari, con i cittadini ostili, con i possidenti di qualsiasi genere. C’è una radicata convinzione che non sia possibile ottenere una giusta soluzione in giudizio quando si tratta di aver a che fare con avversari influenti o benestanti. Le stesse leggi vengono riformate con imperdonabile lentezza e nella maggior parte restano sovieticamente repressive. Il numero delle sentenze positive non supera il 5% delle cause complessive. I luoghi di detenzione preventiva sono stracolmi di gente normalmente innocente, oppure di persone la cui colpa permetterebbe di non essere allontanati dalla famiglia e dal lavoro, dove avrebbero potuto essere utili alla società. Perfino il personale burocratico riconosce che per almeno un terzo dei detenuti la carcerazione è inutile.
3. Sistema punitivo. Il sistema punitivo non deve essere semplicemente riformato, ma totalmente cambiato. L’attuale sistema punitivo si differenzia ben poco dall’odioso e disumano sistema sovietico. Le condizioni di detenzione sono tali che le persone escono dal carcere con la coscienza deturpata e la salute rovinata. Ti si agghiaccia il sangue quando senti i racconti di quelli che sono stati in carcere. Fra le prigioni europee e quelle russe c’è un tale abisso che si fa fatica a pensare che sussistano nel medesimo tempo.
4. Economia. A prima impressione può sembrare strano che questo settore non sia stato collocato nel settore positivo (prima parte) dell’operato di Putin. Infatti si deve ammettere che in questo periodo l’economia del paese si è decisamente rafforzata; lo stato può essere generoso nelle spese, soprattutto nelle infrastrutture (in questo campo ci sono miglioramenti notevoli), si sono fatti grossi investimenti, si sono firmati contratti utili per le corporazioni statali, le entrate dei cittadini sono aumentate sensibilmente. Ciononostante non posso iscrivere l’economia nell’operato positivo del presidente Putin. Prima di tutto l’aumento delle entrate dei russi non ha nessun rapporto con l’operato del potere. Si sono rafforzate le piccole e le medie imprese fondate nel 1990. Le entrate dei proprietari e dei loro collaboratori sono cresciute grazie alla loro capacità lavorativa. E in molti casi questo è avvenuto nonostante l’operato del potere che, come prima, vede negli imprenditori se non dei nemici, almeno dei cittadini poco graditi. Qui, come merito del potere, si può riconoscere che esso non si è opposto di principio alla attività degli imprenditori. Si sono rafforzate le imprese straniere medie e grandi le quali pagano uno stipendio molto elevato ai loro collaboratori, mentre gli stranieri vengono sempre più ostacolati nella loro posizione manageriale. Il potere in questo settore cerca di imbastire tutte le possibili difficoltà che certamente ostacolano il loro lavoro.
Secondo: si può notare soltanto l’aumento del salario dei burocrati. Lo stato se li tiene buoni. Particolarmente impressionate è la paga assegnata ai deputati della Duma di stato mentre resta sempre immobile la bassa quota assegnata alle pensioni basse. D’altra parte lo stato non è riuscito a frenare l’inflazione e lo sfruttamento delle materie prime. Questi problemi si sono oggi ulteriormente complicati. L’inflazione supera ogni indice, l’aumento dei prezzi è diventato insopportabile al punto che se il prezzo di un prodotto non cresce ogni mese è considerato un fatto straordinario. Le entrate dell’erario dipendono soprattutto dal prezzo del gas e del petrolio; grazie a Dio fino ad oggi sono alte. I cambiamenti strutturali dell’economia avvengono molto lentamente e non si può sperare che l’intervento del Ministero dell’Economia vada nella direzione giusta.
Terzo: Lo sviluppo di ogni impresa incontra una tale quantità di ostacoli burocratici che i tempi di El’cin si ricordano con nostalgia. Lo sviluppo della classe di mezzo avviene in costante lotta con la burocrazia e non con la collaborazione di questa, come molte volte è stato affermato dal presidente.
Quarto: Nonostante la coraggiosa lotta senza compromessi di Putin contro gli oligarchi, il numero di questi si è moltiplicato più volte, e per di più gli oligarchi del 1990 hanno visto aumentare di molto le loro proprietà. La divisione della società in ricchi e poveri si è ulteriormente approfondita.
Intervento di Benedetto XVI al Sinodo dei vescovi - Un metodo completo - per leggere e capire la Bibbia, L’Osservatore Romano 15 ottobre 2008
Per meglio capire la Bibbia anche dal punto di vista della fede servono esegeti con una formazione completa. Il metodo storico-critico è positivo, ma ha bisogno di essere completato. Lo ha detto il Papa intervenendo questa mattina, martedì 14 ottobre, alla quattordicesima congregazione generale del Sinodo. Il suo intervento si è richiamato, nella sostanza, al documento sull'interpretazione della Bibbia nella Chiesa pubblicato dalla Pontificia Commissione Biblica nel 1993, sotto la guida dello stesso Ratzinger, allora cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Attenzione ai rischi di un'esegesi esclusivamente storico-critica, ha detto il Pontefice parlando dopo l'intervallo dei lavori e quasi facendo eco a quel testo importante. Abbiamo ascoltato tutto il bene possibile che ci può derivare dall'esegesi - ha continuato - ma dobbiamo considerare anche i suoi rischi. Il metodo storico-critico aiuta a capire che il testo sacro non è mitologia, ma vera storia, aiuta a cogliere l'unità profonda di tutta la Scrittura. Con contributi spesso di altissimo livello accademico aiuta a percepire tutta la realtà del fatto, ma può portare a pensare alla Bibbia come un libro che riguarda solo il passato. Benedetto XVI si è poi riferito al secondo punto della Dei Verbum. Se scompare l'ermeneutica della fede - ha detto ancora - al suo posto si afferma l'ermeneutica positivista o secolarista, secondo la quale il divino non appare nella storia. E si riduce tutto all'umano, come nell'attuale mainstream dell'esegesi in Germania, che nega la risurrezione di Cristo e la fondazione dell'Eucaristia da parte del Figlio di Dio. Secondo il Papa non ha ragion d'essere il dualismo che attualmente separa teologia ed esegesi: una teologia che non si basa sull'interpretazione della Scrittura è una teologia senza fondamento, come non ha fondamento un'esegesi che non sia teologica. Per venire al pratico - ha concluso Benedetto XVI - dovremmo allargare la formazione dei futuri esegeti.
I lavori del mattino sono stati inaugurati dall'intervento del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il quale si è soffermato sulla pastorale giovanile. Presa a sé stante - ha detto - la Bibbia non riesce a suscitare agli occhi di un giovane una particolare attrazione e affezione; tra i 14 e i 19 anni, solo il 13 per cento ritiene che "se uno crede in Dio deve meditare i testi sacri". Ma se veicolati da educatori e testimoni credibili, i ragazzi mostrano una sorprendente disponibilità verso la Bibbia. In precedenza il cardinale Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, aveva parlato della situazione attuale della Chiesa irachena "sommersa da troppo dolore".
(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2008)
L'abate di Clairvaux e la Scrittura - Quel favo di miele dolcissimo - spremuto da san Bernardo - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano, 15 ottobre 2008
"Bernardo è l'uomo della Bibbia" - scrive Jean Leclercq, l'editore e il conoscitore finissimo delle sue opere. Nei suoi scritti "egli interpreta costantemente la Scrittura"; ne è impregnato il suo spirito e ne risente tutto il suo linguaggio. Egli "l'ha talmente assimilata all'intimo tessuto della sua psicologia da utilizzarla, talora forse senza saperlo, anche quando non la cita. Il suo vocabolario è in gran parte biblico. (...) Molte sue pagine non sono che dei mosaici di espressioni scritturistiche".
Si può parlare - ancora secondo Leclercq, al quale largamente attingiamo - di "psichismo biblico", di "logica biblica, congiunta a una retorica e a una poesia biblica", di "stile biblico", di un bisogno di Bernardo "di "parlare Bibbia"" e giungere a definirlo "una concordanza vivente".
Ma per l'abate di Clairvaux la Scrittura non è anzitutto un libro, ma "la parola di Dio vivente nella Chiesa". Egli la riceve dalla Tradizione, la legge come gli hanno insegnato i padri, che egli assimila e riesprime, e la vive "come un'esperienza": in lui "l'ispirazione non differisce affatto dall'esperienza mistica".
Essa è trattata, infatti, come "oggetto non tanto di uno studio, quanto di una preghiera: occorre "gustare", "sentire", quanto Dio sia soave; Bernardo usa volentieri questo vocabolario delle sensazioni spirituali".
Quanto al contenuto: la Bibbia si risolve interamente in Gesù Cristo.
Per il "Dottore mellifluo" - che sa da essa spremere, come da un favo, un miele dolcissimo - una profonda concordia lega i due Testamenti, e "tutto sfocia a Cristo e allo Spirito che egli effonde nella Chiesa".
La sacra Scrittura è un libro che trabocca degli eventi del Signore; essa è il luogo della sua consueta abitazione e fin nei suoi più piccoli frammenti si riferisce, quasi in forma sacramentale, al Verbo e ai suoi misteri.
Veramente, in tutta la cultura monastica del medioevo "il contatto con la Scrittura è un contatto con Cristo": "attingere al linguaggio della Bibbia non consiste in un procedimento stilistico, ma è una maniera di prolungare la comunione con Cristo provata mentre si è letta, ascoltata e pregata la sacra Scrittura. (...) Non ci si colloca al di fuori o al disopra della Scrittura: ci si colloca all'interno di essa (...). È Dio che si attinge nella sacra Scrittura e attraverso la Scrittura".
Tuttavia, questa concezione della Bibbia come un evento, o un incontro in atto con il Verbo divino, risalta in san Bernardo con un'accentuazione e una vibrazione singolari.
Un'altra caratteristica va, inoltre, sottolineata, ed è che "la Bibbia di Bernardo è quella che la Chiesa utilizza nel suo culto. Alle citazioni della Scrittura si aggiungono, nel suo stile, le reminiscenze liturgiche. E quando si tratta di un mistero celebrato da una festa o commemorato dall'anno del Signore, è sempre la liturgia che conferisce il tono, che orienta l'interpretazione. Nei sermoni di Bernardo si trova così ciò che si potrebbe chiamare un sottosuolo biblico (...) e uno sfondo liturgico: questa mentalità che crea l'atmosfera, il clima, e che conferisce all'insieme il suo colorito".
In altre parole, per l'abate di Clairvaux la Bibbia riceve la sua "attualità" soprattutto quando essa è aperta e letta nell'opus Dei, dove i "sacramenti" di Gesù Cristo non solo passano e ripassano nel ricordo, ma si ripresentano con la loro inesauribile e inestinguibile grazia di salvezza. Quello che allora la Scrittura evoca, l'azione liturgica lo ridona.
Questo metodo, complesso per un verso, ma per un altro anche estremamente semplice, di accostamento alla Scrittura, non ha perduto il suo senso e la sua esemplarità. Non si tratta affatto di rinnegare il valore e i traguardi sicuri dell'esegesi scientifica, ma di attingere nella sostanza stessa di questa scientificità o di questa "storia" tutte le sue "reali" dimensioni e implicazioni, o tutte le sue connessioni: Bernardo, come del resto i padri e la liturgia, possedevano una conoscenza dell'"intero" della Bibbia, del suo significato complessivo e sintetico, e insieme disponevano di un'acuta e vasta sensibilità ai suoi riflessi antropologici e pratici: è il modo con cui la Scrittura plasma la prassi e diviene intimamente "formativa".
Quanto al rischio dell'arbitrio: se poteva accadere per singoli particolari, l'insieme del senso e dell'efficacia biblica non era compromesso, ma rimaneva era solido e assicurato. Leggere Scrittura o ecclesialmente o nella forma "privata", che pure non cessa mai di essere ecclesiale, coinvolge la fede ed esige la disponibilità del cuore.
(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2008)
USA/ Obama e McCain protagonisti di una brutta campagna elettorale per la Casa Bianca - Lorenzo Albacete - mercoledì 15 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
A partire da questo momento, la questione che determinerà, tra tre settimane, i risultati delle elezioni negli Stati Uniti è l’attuale crisi economica e finanziaria.
Gli americani sono arrabbiati, molto arrabbiati. Dato che il partito al governo da otto anni è il partito repubblicano, la crisi sta favorendo i democratici guidati dal senatore Barack Obama. Tutti i principali sondaggi dimostrano che gli basta vincere in uno dei cinque stati ancora indecisi per raggiungere i 270 voti elettorali necessari per essere eletto. Il senatore McCain dovrebbe invece vincere in tutti gli stati in cui non si è ancora delineato un netto vincitore, ma in tutti questi stati è qualche punto percentuale dietro Obama.
Nel tentativo di stornare il confronto dalla crisi dell’economia, la campagna di McCain si sta spostando su argomenti diretti a minare la credibilità, l’onestà e le motivazioni politiche di Obama. Lo scopo è di gettare ombre sul suo patriottismo e mettere in dubbio che sia “uno di noi”. Su internet, nei talk-show, si afferma che non è un cristiano, ma un musulmano, che è stato associato al terrorismo interno, che è stato vicino agli estremisti afro-americani, ecc. La situazione ha raggiunto punte tali da costringere McCain a dissociarsi pubblicamente da questi attacchi.
Sarah Palin, scelta da McCain per non perdere l’appoggio della base culturalmente conservatrice del partito, attacca spesso Obama in modo da insinuare che il “vero Obama” sia molto diverso da quello che egli fingerebbe di essere.
La campagna di Obama continua a sostenere che McCain è “erratico”, incostante nel suo pensiero, suggerendo così che stia già dimostrando i segni della vecchiaia, e che Sarah Palin è una persona totalmente ignorante e incompetente, spinta solo dalla sua personale ambizione.
La campagna elettorale è così diventata brutta, allontanando ancor di più chi ha perso la fiducia nei due partiti. Questi “indipendenti” sono quelli che decideranno il vincitore e, poiché vedono il loro Sogno Americano andato in pezzi con le loro perdite economiche, sarà molto difficile per McCain recuperare la perdita di consenso.
Tutti stanno aspettando l’ultimo dibattito tra Obama e McCain, ma pochi si attendono che accada qualcosa di significativo che possa alterare i termini del confronto tra i due candidati.
E poi, vi è la questione razziale, che è alla fine emersa nella discussione pubblica, ma nessuno sembra avere opinioni certe su quali saranno i suoi effetti sulle elezioni.
SOCIAL HOUSING/ Tre mosse per aiutare gli italiani ad avere una casa - Antonio Intiglietta - mercoledì 15 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Il tema del social housing è oggi sulla bocca di tutti. Si continua a parlare del problema delle case in affitto, di normative da rifondare, di come all’estero sia un’altra cosa, portando a sostegno dei discorsi esempi o modelli certamente meritori (vedi il caso di Torino e Italcementi, o di alcune cooperative).
Tutto questo gran parlare però rimane privo di qualsiasi corrispettivo nella realtà. Si parla, ma si fa poco o niente. In Italia invece l’esigenza è quella di una vera e propria riforma della casa. Una riforma coraggiosa, come lo sono tutte le vere riforme, semplice e chiara nella sua esplicazione e successiva realizzazione. Una riforma che ponga con chiarezza la responsabilità di ogni soggetto implicato, affrontando in modo costruttivo e propositivo il problema “casa”.
L’elemento cardine per una riforma del genere è l’attuazione di un surplus di sussidiarietà, che dia spazio e capacità di agire alle realtà sociali, cooperative e imprenditoriali che già operano in questo settore. A fianco ad esse l’istituzione pubblica e lo Stato in generale devono saper agevolare e rendere fruttuosa ogni singola responsabilità.
Per realizzare una tale riforma è necessario semplificare le fasi operative che compongono qualsiasi politica di social housing, e per farlo deve essere chiaro innanzitutto cos’è il social housing. Significa mettere a disposizione casa ad affitto calmierato per tutte quelle categorie sociali - di cui tutti parlano senza fare mai nulla - che appartengono alla cosiddetta fascia debole: per esempio i nuclei familiari o le giovani coppie a basso reddito, gli anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate, gli studenti o gli impiegati fuori sede o gli immigrati regolari. Gente che a fronte dell’attuale costo della vita non riesce a star dietro alle spese e quindi ad avere una vita decorosa, a maggior ragione se residenti nelle grandi città, Milano e Roma in primis.
Affitto calmierato significa un canone che non superi il 25-30% dello stipendio. Il social housing riguarda quindi esclusivamente case in affitto permanente (e non in acquisto, sia esso in edilizia libera o tramite cooperativa), che per esempio renda possibile abitare in un bilocale a una giovane coppia con un canone d’affitto attorno ai 500 € al mese.
È social housing perché è un intervento dal forte valore sociale: basti pensare alla possibilità di integrazione e di convivenza umana che darebbe a molti immigrati regolari o ai lavoratori fuori-sede. Il social housing potrebbe addirittura essere una risposta anche per la fascia dei meno abbienti, laddove le amministrazioni locali sopperiscano a parte del pagamento del canone con un voucher o un cosiddetto “buono casa”, con una logica di stampo “blairiano” (riferendomi alla politica dell’ex premier britannico Tony Blair): il contributo pubblico segue direttamente il destinatario dello stesso. Per intenderci, niente passaggi intermedi.
Un approccio di questo tipo porterebbe questa nuova politica di social housing a diventare il punto di riferimento su tutto il problema “casa”. Significa innanzitutto ripensare alle liste d’attesa, oggi regolate da logiche perverse secondo le quali soggetti con ambigue dichiarazioni dei redditi, o poveri che poveri non sono, usufruiscono di questa possibilità in modo indiscriminato e spesso criminoso, sfruttando con sub-affitti scandalosi tante persone che povere lo sono per davvero, e che si ritrovano a vivere in condizioni incivili e drammatiche.
Se invece la partecipazione sociale e cooperativa all’attuazione della politica di social housing fosse ben più che formale o burocratica (come lo è invece oggi), sarebbe certamente più difficile approfittarne. Dunque è necessario un surplus di sussidiarietà, che significa in realtà scoprire l’acqua calda, visto che in tutti i maggiori paesi d’Europa è già così: laddove l’amministrazione pubblica non può o non riesce a sopperire a un bisogno, favorisce e agevola l’intervento diretto della società civile e delle sue iniziative di aggregazione sociale, cooperativa e anche imprenditoriale. Stiamo parlando di professionisti competenti attivi da anni nel settore immobiliare, ma che oggi non riescono ad essere efficaci perché le amministrazioni pubbliche locali e lo Stato non gli danno gli strumenti e le agevolazioni necessari.
Detto questo, sono tre i passaggi principali perché questo processo di sussidiarietà sia efficace. Per prima cosa è necessario l’abbattimento del costo delle aree destinate al social housing, che devono essere date in gratuità o semi-gratuità, così come avviene in altri Paesi, soprattutto di stampo anglosassone, come il Regno Unito e il Canada, che si basano sul modello “Right to buy” britannico. E questo deve accadere specialmente nel caso di aree dismesse del patrimonio pubblico, o di proprietà di fondazioni, università o simili. Quel che certo non manca alle amministrazioni sono le aree inutilizzate. E parlo anche di quelle piccole aree di verde sparse per le aree urbane (di 5.000 o 10.000 mq) non curate e non utilizzate, trasformate in discariche abusive o in luoghi di aggregazione malavitosa. Questo tipo di patrimonio pubblico inutilizzato deve passare senza costi in mano agli operatori sociali, per diventare un’opportunità di risanamento delle città e, nel concreto, di costruzione di nuove case. La disponibilità delle aree deve però essere rapida, certa: in attesa di realizzare piani e macro-strategie di sviluppo territoriale a grande raggio, che spesso impiegano diversi anni per partire, queste piccole aree devono essere disponibili da subito e senza costi.
Il secondo passaggio è il miglioramento del meccanismo dei contributi. Invece che distribuirli a pioggia, con il risultato di non favorire i migliori e scontentare tutti, sarebbe molto più utile far partecipare le realtà locali all’abbattimento del costo del denaro per arrivare a ridurre, alla fine della filiera, il canone dell’affitto. Per abbattere il costo del denaro in molti Paesi europei lo Stato e i Comuni erogano alle aziende che si impegnano a costruire in social housing prestiti e mutui a tassi calmierati. È il caso della Danimarca e soprattutto della Francia, dove esiste il cosiddetto “prestito a tasso zero”, rimborsabile senza interessi e destinato unicamente alla costruzione di nuovi alloggi. Questo implica, anche da parte dei Comuni e delle Regioni, uno sforzo in ricerca tecnologica, in qualità dei materiali e dei progetti, in risparmio energetico e in eco-sostenibilità, mantenendo tempi di realizzazione al passo con la modernità (da 6 mesi a 1 anno), e non al passo “italiano” che va dai 2 anni in su.
In questi primi due passaggi la responsabilità maggiore, oltre che degli operatori sociali che poi ne devono sfruttare i vantaggi, è in mano alle amministrazioni locali: i Comuni per l’operatività sulle aree e le Regioni per la competenza legislativa.
Ma c’è una responsabilità dello Stato, che si aggiunge ai primi due punti. Ed è quella fiscale. È un insulto all’intelligenza di ogni cittadino che lo Stato abbatta l’imposta sul valore aggiunto sull’acquisto della prima casa o del box, e non lo preveda invece per chi va in affitto nella sua prima casa. L’abbattimento dell’IVA sull’affitto della prima casa è il primo e più importante contributo che lo Stato può e deve dare al social housing, ancor prima di redigere qualsiasi piano casa o qualsiasi mastodontica strategia di decentramento.
Questi sono i passi per l’attuazione di una vera politica di social housing: abbattimento del costo dell’area, partecipazione al costo del denaro delle amministrazioni locali e detassazione. È una proposta chiara e certamente efficace, a cui tutti ormai sono abituati ad annuire ma nessuno si prende la briga di attuare. La dirigenza pubblica, spesso appoggiata anche da realtà private, si nasconde per non rispondere ad una semplice domanda: se si riuscisse a realizzare questo salto di qualità nell’approccio al problema casa, chi sarebbe disposto ad accettare la sfida? Molte imprese, e anche molte cooperative, credono ancora che questa riforma non sia possibile, che i costi rimarrebbero troppo alti.
Ma la politica ha il compito di accettare certe sfide decisive con quel di più di gratuità necessaria in una società che voglia crescere a dimensione umana: ci vuole certamente un sacrificio e una dedizione da parte di tutti, pubblico e privato. Forse è questo che fa paura. Ma per uno sviluppo umano e civile di una società, ci vogliono persone (e quindi imprese, enti, aggregazioni) disposte a dar qualcosa di proprio per il bene di tutti.
La politica, in questo contesto, deve saper rinunciare a risolvere il problema con un approccio statalista, sia esso di natura ideologica o dovuto a un eccesso di protagonismo, e deve promuovere la società civile così che le forze migliori possano mettersi in gioco e rispondere coi fatti. Solo così si darà una definitiva e reale risposta al bisogno di abitare che c’è oggi nel nostro Paese. Chi ha le responsabilità e i poteri per cominciare, lo faccia subito.
A PROPOSITO DI VALUTAZIONI EMERSE NEL DIBATTITO DI QUESTI GIORNI - Non tutto è terapia medica ma il prendersi cura del buon samaritano - ROBERTO COLOMBO – Avvenire, 15 ottobre 2008
G razie alla crescente ed imponente medicalizzazione del corpo umano in diverse condizioni della sua esistenza, la vita si è allungata rispetto a quella delle passate generazioni: riusciamo a controllare meglio la nostra salute, a prevenire alcune malattie e guarirne altre. Ciò non di meno, come ogni medaglia, anche quella della medicina ha il suo rovescio. I critici della spinta medicalizzatrice presente nella nostra società – a partire da Ivan Illich e dal suo saggio sulla 'nemesi medica' – hanno buon gioco nel mostrare illusioni e rischi di una vita esposta al potere tecnologico del sistema sanitario. Tra le conseguenze avverse della medicina contemporanea non sono da annoverare esclusivamente quelle fisiche, psicologiche e sociali (talora le sole ad essere denunciate), ma anche un certo disorientamento delle intelligenze e delle coscienze quanto alla consistenza della vita umana, alle condizioni biologiche che la rendono possibile ed alle conseguenze di determinati atti compiuti sul nostro corpo.
In questi giorni, un esempio di tale disorientamento indotto dal processo culturale e sociale di medicalizzazione è offerto dalla difficoltà di molti a comprendere la ragione per cui non sussistono cogenti obiezioni deontologicoprofessionali ed etiche all’eventuale rinuncia ad una trasfusione di sangue in un paziente in stato vegetativo persistente, mentre la retta coscienza dei medici, ed anche di semplici cittadini, considera inaccettabile la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione nello stesso paziente. Questa difficoltà nasce dal ritenere che ogni atto di cura della persona compiuto da un medico o da un infermiere costituisca, per il solo fatto di essere eseguito da un professionista sanitario e in un ambiente clinicizzato, un atto terapeutico. Terapeutico, ovvero orientato alla guarigione o alla prevenzione di una patologia, oppure in grado di migliorare il quadro clinico o, almeno, di stabilizzarlo. Non è così. Spesso, in corsia o a domicilio, si tratta di favorire la respirazione, fornire liquidi e nutrienti fisiologicamente essenziali, stimolare la mobilizzazione degli arti, consentire lo svuotamento della vescica e l’evacuazione del colon, prevenire o lenire le piaghe cutanee e curare l’igiene del corpo.
Operazioni non di natura inerentemente terapeutica, ma essenziali per la vita della persona malata, la sua dignità, il rispetto dovuto alle sue membra ed al suo spirito, in qualunque condizione essa si trovi.
Operazioni che il soggetto sano, o non gravemente ammalato, è in grado di compiere da solo oppure con l’aiuto di figure non professionali, ma che – a motivo delle condizioni cliniche del paziente – richiedono talora di essere eseguite per vie alternative, in forme differenti e da personale specializzato. Tuttavia, l’oggetto dell’atto ed il suo scopo non cambiano: fornire acqua e sostanze alimentari all’organismo non è paragonabile, in nessuna circostanza, a praticare, per esempio, una chemioterapia o l’asportazione chirurgica di un tumore.
Come per ogni atto medico, la decisione di sospendere o non praticare una terapia dipende dalla valutazione, in scienza e coscienza, dell’appropriatezza clinica ed etica dell’intervento, ossia della proporzionalità del mezzo in ordine al fine che si intende raggiungere: il recupero, la stabilizzazione od il miglioramento delle condizioni del paziente (finalità terapeutica). Se il paziente non è in grado di esprimere attualmente e contestualmente il proprio dissenso informato nei confronti di tale terapia, è possibile che si apra una discussione sull’opportunità di normare legislativamente un dissenso anticipato e sul ruolo che tale dichiarazione debba giocare nella decisione del medico. A un tale dibattito i cattolici potranno contribuire, stante il principio morale che nessuno è obbligato a sottoporsi ad interventi terapeutici straordinari o sproporzionati, né ad eseguirli sul paziente. Diverso è il caso dell’idratazione e dell’alimentazione. Anche se praticate da personale sanitario, questi atti non sono di natura terapeutica. Esiste una dimensione dell’agire professionale del medico che rappresenta un 'prendersi cura' della persona del malato nelle sue fondamentali esigenze fisiologiche e non una lotta alla malattia di cui egli soffre, lotta cui – per giuste ragioni – il paziente può sottrarsi e dalla quale in medico può astenersi. Si tratta, invece, di 'prendersi cura', proprio come ciascuno di noi fa rispetto ai bisogni essenziali del nostro corpo e di quello delle persone a noi affidate, bambini, anziani o malati che siano (è suggestiva, in questo senso, la parabola del buon samaritano, che si prese cura del ferito non in quanto medico, ma per una sollecitudine semplicemente umana).
Rinunciare intenzionalmente al soddisfacimento di queste esigenze metaboliche basilari equivale a privarsi direttamente della propria vita (suicidio) ed acconsentire ad interrompere l’apporto idrico, elettrolitico e nutrizionale corrisponde ad una collaborazione materiale e formale ad un atto contro la vita.
Come ha ricordato il cardinale Tettamanzi tre mesi orsono su queste colonne, «in ogni caso, la rinuncia a terapie sproporzionate o futili non può comportare la sospensione della nutrizione e della idratazione, nella misura e fino a quando esse risultino efficaci nel sostenere la fisiologia del corpo. Anche qualora effettuate mediante vie artificiali, la somministrazione di acqua e cibo costituisce un mezzo ordinato e proporzionato di conservazione della vita».
«Accanto ai morenti con amore e competenza professionale» - Goisis, medico dell’hospice Palazzolo di Bergamo: talvolta chi parla di eutanasia non ha mai visto un malato terminale - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 15 ottobre 2008
« D avanti a un malato terminale non si può improvvisare. Ma oltre alla competenza occorre la capacità di accompagnarli nella ricerca di senso». Antonella Goisis, medico dell’hospice della casa di cura «Istituto Beato Palazzolo» di Bergamo, da 25 anni si occupa di malati oncologici, gli ultimi 7 di quelli senza speranza. E quindi si confronta «quotidianamente con malati di un cancro che è sfuggito a ogni terapia: è importante però ricordare – avverte – che inguaribile non è sinonimo di incurabile». «Nell’ottica delle cure palliative – continua la dottoressa Goisis – c’è molto da fare quando non c’è più niente da fare». In particolare serve un «accompagnamento attivo, empatico e competente». «Che fare dei morenti –osserva – è un problema che si prima o poi si pone. Le soluzioni, se non si elimina la morte, restano due: o si eliminano i morenti (eutanasia), o si accompagnano i morenti in modo che la vita sia sempre densa di significato e occasione di crescita». Non deve stupire questa definizione parlando di persone che sono prossime a concludere la loro vita terrena: «Per quelli più consapevoli – aggiunge Antonella Goisis – il periodo terminale della malattia è un’occasione di un confronto con sé stessi e con la vita, un momento in cui inevitabilmente ci si pongono domande di senso. E sono domande che interpellano anche noi operatori, che siamo chiamati a cercare risposte insieme con loro».
Per continuare a lavorare in quest’ambito, servono due riflessioni: «Qui viene del tutto smantellato ogni delirio di onnipotenza, e per aiutare questi pazienti non serve, anzi è deplorevole un buonismo paternalistico, ma servono ricerca, formazione e aggiornamento continuo ». Quello che non sempre mostrano di avere coloro che agitano la bandiera dell’eutanasia, «o parlano di malati terminali senza averne mai visti».
L’altra riflessione necessaria è che «questi malati sono straordinarie occasioni d’amore. L’ho pensato spesso davanti a pazienti giunti all’ultimo stadio, magari incapaci di parlare: l’unico atteggiamento credibile per accoglierli è l’amore. Nella nostra società si parla poco di amore, ma solo con la fede, la speranza e la carità si possono vincere il dolore e la morte».
Quanto all’eutanasia e all’accanimento terapeutico, il pensiero è ben chiaro: sono respinti entrambi. «Bisogna chiarire se a volere l’eutanasia è il malato o altri che non sopportano la sua sofferenza: il parente o la società. Un malato amato e ben curato non chiede l’eutanasia». Accanimento significa «fare terapie non proporzionate né adeguate la singolo paziente: una quinta chemio dopo che ne sono fallite quattro, o un intervento chirurgico quando il tumore è ormai troppo avanzato. Ma, ancora una volta, il medico delle cure palliative deve mostrare grande competenza per assistere il suo paziente».
Eluana, da tre associazioni nuovo appello ai giudici - Alla magistratura la richiesta di accertare l’effettivo stato clinico della donna lecchese in stato vegetativo da 16 anni, dopo la «ripresa da alcuni mesi del flusso mestruale» - DA LECCO LUCIA BELLASPIGA – Avvenire, 15 ottobre 2008
Le condizioni fisiche di Eluana, dunque, starebbero mutando. In senso stretto, dopo che la grave emorragia uterina di sabato si è autonomamente fermata; e forse anche in senso molto più ampio visto che, dopo anni in cui non c’era più traccia di ciclo mestruale nella donna, da qualche mese le mestruazioni sono ricomparse: un segnale che alcune associazioni specifiche per lo studio e la cura dei pazienti in stato vegetativo considerano importante. È firmato infatti da ViVe Onlus (presidente il neurologo Giuliano Dolce), da Arco92 e dalla Federazione nazionale Associazioni Traumi cranici l’appello rivolto al procuratore generale della Repubblica di Milano perché a questo punto «si accerti lo stato effettivo» in cui Eluana versa.
«Pochi giorni fa - scrivono gli specialisti - Eluana Englaro ha avuto una metrorragia, ovvero un ciclo mestruale anomalo molto abbondante, tale da essere considerato una vera e propria emorragia. Tale evento potrebbe sembrare banale, ma non lo è affatto ». Infatti - continua l’appello al procuratore - Eluana da non molti mesi ha ripreso il suo ciclo mestruale, il che significa che la sua ghiandola ipofisaria ha ripreso a funzionare dopo un lunghissimo periodo di tempo». Un elemento « non unico » che fa pensare che siano in corso mutamenti da non sottovalutare, o quantomeno da verificare: «Appare doveroso - continua il testo - , prima di autorizzare la sospensione di alimentazione e idratazione ad un soggetto incapace, accertarsi effettivamente e inequivocabilmente dello stato in cui versa il soggetto stesso, tenendo presenti i requisiti richiesti dalla Suprema Corte ». Da qui la decisione di chiedere al procuratore che « presenti senza indugio ricorso contro il provvedimento della Corte d’appello di Milano», avendo questa «completamente disatteso i princìpi di diritto espressi dalla Cassazione». Appare «sempre più esile e giuridicamente inaccettabile», insomma, l’esclusione della possibilità di svolgere un nuovo accertamento, «soprattutto se si considerano i mutamenti indiscutibili avvenuti nella sua persona, come appunto la comparsa delle mestruazioni dopo anni di amenorrea».
Intanto il neurologo Carlo Alberto Defanti, medico di famiglia degli Englaro, fa sapere che le condizioni della giovane donna, in stato vegetativo dal 1992, stanno ancora migliorando, nel senso che, dopo l’emorragia che sabato mattina sembrava inarrestabile e che ha condotto Eluana a un passo dalla morte, i valori di emoglobina nel sangue si stanno normalizzando e «domani ( oggi per chi legge, ndr) probabilmente potremo dire che è fuori pericolo».
1) Cosa rispondereste a un bambino di 11 anni che domanda: "Devo ricevere la Cresima ma non ne sono convinto?" – Magdi Cristiano Allam
2) In Iraq vivere la Parola costa la vita, denuncia il Patriarca - Testimonianza di Sua Beatitudine Emmanuel III Delly - CITTA' DEL VATICANO, martedì, 14 ottobre 2008 (ZENIT.org).- La situazione per i cristiani dell'Iraq è sempre più difficile, ha confessato questo martedì al Sinodo dei Vescovi riunito in Vaticano il Cardinale Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei.
3) 15/10/2008 10:35 - ISLAM-IRAQ - La Conferenza islamica condanna gli attacchi ai cristiani iracheni - L’Organizzazione chiede di “porre fine alle sofferenze dei nostri fratelli”. Il governo iracheno invia una commissione per dare sostegno all’azione per restituire sicurezza agli abitanti di Mosul.
4) Pro e contro Putin 2 - I contro - Autore: Jagodincev, Dmitrij Curatore: Scalfi, P. Romano - Fonte: CulturaCattolica.it -martedì 14 ottobre 2008 - In questa seconda parte dell'articolo della rivista russa "Posev" si prendono in esame alcuni aspetti negativi della politica di Putin.
5) Intervento di Benedetto XVI al Sinodo dei vescovi - Un metodo completo - per leggere e capire la Bibbia, L’Osservatore Romano 15 ottobre 2008
6) L'abate di Clairvaux e la Scrittura - Quel favo di miele dolcissimo - spremuto da san Bernardo - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano, 15 ottobre 2008
7) USA/ Obama e McCain protagonisti di una brutta campagna elettorale per la Casa Bianca - Lorenzo Albacete - mercoledì 15 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
8) SOCIAL HOUSING/ Tre mosse per aiutare gli italiani ad avere una casa - Antonio Intiglietta - mercoledì 15 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
9) A PROPOSITO DI VALUTAZIONI EMERSE NEL DIBATTITO DI QUESTI GIORNI - Non tutto è terapia medica ma il prendersi cura del buon samaritano - ROBERTO COLOMBO – Avvenire, 15 ottobre 2008
10) «Accanto ai morenti con amore e competenza professionale» - Goisis, medico dell’hospice Palazzolo di Bergamo: talvolta chi parla di eutanasia non ha mai visto un malato terminale - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 15 ottobre 2008
11) Eluana, da tre associazioni nuovo appello ai giudici - Alla magistratura la richiesta di accertare l’effettivo stato clinico della donna lecchese in stato vegetativo da 16 anni, dopo la «ripresa da alcuni mesi del flusso mestruale» - DA LECCO LUCIA BELLASPIGA – Avvenire, 15 ottobre 2008
Cosa rispondereste a un bambino di 11 anni che domanda: "Devo ricevere la Cresima ma non ne sono convinto?" – Magdi Cristiano Allam
Oggi l’insieme delle istituzioni che ci accompagnano dalla nascita, la famiglia, la scuola, la comunità, l’insieme della società, le istituzioni preposte alla gestione della sfera pubblica, la realtà del mondo della comunicazione e la stessa Chiesa stanno perdendo sempre più la sostanza di testimoni di valori e di regole
autore: Magdi Cristiano Allam
Cari amici,
Cosa rispondereste a un bambino di 11 anni che vi dice: “Nei prossimi giorni farò la Cresima. Ma non sono del tutto convinto. Che cosa può dirmi lei per convincermi?”. E’ la domanda più spiazzante che mi è stata rivolta tra quanti hanno preso la parola, dopo il mio intervento introduttivo di presentazione dell’autobiografia “Grazie Gesù”, di fronte a 700 persone che hanno affollato il Teatro Salieri di Legnago nella serata di venerdì scorso, 10 ottobre.
Mi sono guardato attorno con la speranza di individuare un sacerdote, ritenendo che dovesse essere lui a rispondere. Ed in effetti in prima fila ve ne era uno. Gli ho chiesto se volesse intervenire ma ha preferito non farlo. Così non mi restava altro che rispondere ad una domanda che, pur nel suo estremo candore, è suonata come un terribile atto d’accusa nei confronti, nel caso specifico, della Chiesa. Evidentemente le argomentazioni addotte dal suo padre spirituale nel percorso di preparazione alla Cresima non sono del tutto convincenti all’animo di un bambino che colma d’ingenuità e ad una mente che si manifesta con assoluta semplicità. Ma sotto accusa è l’insieme della società di cui la Chiesa, piaccia o meno, è a sua immagine e somiglianza.
Nella mia risposta, che ho voluto fosse il più possibile articolata ed esauriente per l’estrema importanza che attribuisco all’educazione e alla formazione dei bambini, ho preso atto del fatto che oggi l’insieme delle istituzioni che ci accompagnano dalla nascita, la famiglia, la scuola, la comunità, l’insieme della società, le istituzioni preposte alla gestione della sfera pubblica, la realtà del mondo della comunicazione che condiziona non poco la crescita e, ovviamente, la stessa Chiesa, stanno perdendo sempre più la sostanza di testimoni di valori e di regole e il ruolo di autorità morale.
Ed è così che i bambini finiscono per sentirsi sempre più disorientati, non hanno punti di riferimento che diano delle certezze sul piano della conoscenza che porta alla verità, dei valori che corrispondono al bene comune, all’azione che realizza l’interesse generale. Ed è certamente massimamente grave che questa crisi valoriale e identitaria abbracci anche la Chiesa, depositaria della Verità cristiana che costituisce la radice della cultura, della tradizione e della civiltà italiana ed europea.
Cari amici, vi saluto con la convinzione che è giunta l’ora di assumerci la responsabilità storica di agire da protagonisti per affrancarci dall’ideologia suicida del relativismo che affligge l’Occidente e dall’ideologia omicida del nichilismo che arma l’estremismo islamico, per affermare con coraggio e difendere con tutti i mezzi la Civiltà della Fede e Ragione. Andiamo avanti insieme sul cammino della Verità, Vita, Libertà e Pace, per un’Italia, un’Europa e un mondo che considerino centrali i valori e le regole, della conoscenza oggettiva, della comunicazione responsabile, della sacralità della vita, della dignità della persona, dei diritti e doveri, della libertà di scelta, del bene comune e dell’interesse generale, promuovendo un Movimento di riforma etica dell’informazione, della società, dell’economia, della cultura e della politica. Con i miei migliori auguri di sempre nuovi traguardi, successi ed un mondo di bene.
Magdi Cristiano Allam
In Iraq vivere la Parola costa la vita, denuncia il Patriarca - Testimonianza di Sua Beatitudine Emmanuel III Delly - CITTA' DEL VATICANO, martedì, 14 ottobre 2008 (ZENIT.org).- La situazione per i cristiani dell'Iraq è sempre più difficile, ha confessato questo martedì al Sinodo dei Vescovi riunito in Vaticano il Cardinale Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei.
Il Capo del Sinodo della Chiesa caldea si è presentato all'assemblea sinodale sulla Parola di Dio come “un figlio della terra d'Abramo, l'Iraq”.
Il Patriarca ha fornito in primo luogo informazioni sulla situazione dell'Iraq, “Paese torturato e insanguinato”, in risposta alle richieste che in questi giorni gli hanno presentato i Padri sinodali.
“La mia parola non sarà una lettura politica, ma il breve flashback di un padre che da mezzo secolo vive con i suoi figli spirituali e che vede i suoi cittadini soffrire e morire”, ha affermato.
Parlando in italiano, ha aggiunto: “Diciamo la verità: non abbiamo lasciato niente di intentato per ottenere la pace e la tranquillità per il Paese”.
“La situazione in alcune parti dell'Iraq è disastrosa e tragica. La vita è un calvario: mancano la pace e la sicurezza, così come mancano nella vita di ogni giorno gli elementi basilari”, ha denunciato.
“Continuano a mancare l'elettricità, l'acqua, la benzina, la comunicazione telefonica è sempre più difficile, intere strade sono bloccate, le scuole chiuse o sempre in pericolo, gli ospedali sono a organico ridotto, la gente teme per la propria incolumità”.
Il porporato ha rivelato che “tutti temono il rapimento, i sequestri e le intimidazioni. Che dire poi di tutti quei rapimenti ingiustificabili che quotidianamente si susseguono, danneggiando intere famiglie e privandole spesso dei loro cari, pur avendo sborsato decine di migliaia di dollari per una liberazione mai avvenuta?”.
“Per non parlare del numero sempre più crescente di morti causati dalle autobombe e dai kamikaze che indossano cinture esplosive”.
“Vivere la parola di Dio significa per noi testimoniarla anche a costo della propria vita, com'è accaduto e accade finora con il sacrificio di Vescovi, sacerdoti e fedeli. Essi continuarono a essere in Iraq forti nella fede ed amore di Cristo grazie al fuoco della parola di Dio”, ha spiegato.
“Per questo, vi supplico di pregare per noi e con noi il Signore Gesù, Verbo di Dio, e condividere la nostra preoccupazione, le nostre speranze e il dolore delle nostre ferite, affinché la Parola di Dio fatta carne rimanga nella sua Chiesa e insieme a noi come buon annunzio e come sostegno. 16 dei nostri sacerdoti e due Vescovi sono stati rapiti e rilasciati dopo un riscatto molto elevato”.
“Alcuni di loro – ha concluso – appartengono alla schiera dei nuovi martiri che oggi pregano per noi dal cielo: l'Arcivescovo di Mosul, Faraj Rahho, padre Raghid Ganni, altri due sacerdoti e altri sei giovani”.
15/10/2008 10:35 - ISLAM-IRAQ - La Conferenza islamica condanna gli attacchi ai cristiani iracheni
L’Organizzazione chiede di “porre fine alle sofferenze dei nostri fratelli”. Il governo iracheno invia una commissione per dare sostegno all’azione per restituire sicurezza agli abitanti di Mosul.
Baghdad (AsiaNews/Agenzie) – L’Organizzazione della conferenza islamica ha condannato le violenze contro i cristiani di Mosul, “senza precedenti nella storia irachena” . Ekmeleddin Ihsanoglu, presidente della Organizzazione che raccoglie 57 Paesi musulmani, ha chiesto alle autorità di Baghdad di “perseguire i responsabili che sono dietro tali atti per porre fine alle sofferenze dei nostri fratelli cristiani e provvedere alla loro protezione”. Ihsanoglu ha anche ricordato che l’OIC invita sempre a “rispettare le minoranze all’interno del mondo islamico”.
Il richiamo dell’OIC è arrivato contemporaneamente all’annuncio fatto a Baghdad dell’invio di una commissione governativa a Mosul allo scopo, ha dichiarato il portavoce del governo, Ali al-Dabbagh, “di muoversi rapidamente per dare sostegno agli sforzi in materia di sicurezza con massicce operazioni militari per rassicurare i cittadini”.
Un parlamentare cristiano, Yunadim Kanna, che ha avuto un incontro col primo ministro Nuri al-Maliki, ha riferito che sono almeno 1500 e famiglie di cristiani che hanno lasciato Mosul, sotto la spinta di attentati e minacce. “Ci aspettiamo – ha aggiunto – che la zona venga messa sotto controllo e che le famiglie possano tornare nei prossimi giorni alle loro case”. Invece il comandante delle forze terrestri irachene, generale Ali Ghaidan, che ha parlato di “esagerazioni dei media che hanno accresciuto paura ed orrore nelle famiglie”, “anche se non avevano ricevuto minacce”.
Pro e contro Putin 2 - I contro - Autore: Jagodincev, Dmitrij Curatore: Scalfi, P. Romano - Fonte: CulturaCattolica.it -martedì 14 ottobre 2008 - In questa seconda parte dell'articolo della rivista russa "Posev" si prendono in esame alcuni aspetti negativi della politica di Putin.
1. Burocrazia. Negli ultimi otto anni il numero dei burocrati è aumentato più di due volte, superando il numero che si aveva in tempo sovietico. Potendo contare su elevate entrate nel bilancio dalla vendita delle ricchezze naturali, il governo è in grado di sostenere questa immensa armata. Conservando un atteggiamento sospettoso verso i propri cittadini, il potere è disposto ad accontentare quelli che lo sostengono e concede loro ogni libertà di azione. I burocrati, umiliati negli anni ’90, incominciando a capire di essere a servizio dei cittadini e non il contrario, oggi si rifanno sui tempi passati. Si è introdotto di nuovo un comportamento sprezzante nei confronti della gente, lunghe code negli uffici governativi; è aumentato il numero dei coordinamenti e delle soluzioni; tutte le possibili verifiche sono diventate quotidiane. Il burocrate trionfa sentendosi padrone della vita, uomo importante nel paese, spesso disturbato da cittadini seccanti. In questa situazione la qualità del lavoro lascia a desiderare. Sfruttando l’imprecisione della legge i burocrati dispongono di molte possibilità di giudicare e stabilire secondo quello che pensano. E’ difficile trovare fra loro persone contente del proprio lavoro. In compenso la corruzione raggiunge una cifra che è vicina al 100%. Un problema sepolto nelle paludi burocratiche si risolve molto in fretta con la bustarella. Una massa di problemi si è dileguata in questa palude oppure ha fatto perdere un sacco di tempo e di mezzi. Gli attuali burocrati corrotti recano allo sviluppo dello stato un danno enorme che è difficile misurare. Loro che avrebbero il compito di collaborare al bene della società risultano in pratica l’ostacolo più grande allo sviluppo e alla modernizzazione del paese.
2. Sistema giudiziario. Nulla può essere di maggior aiuto alla stabilità dello stato di una magistratura indipendente. A tutt’oggi noi non l’abbiamo. La magistratura si è trasformata in strumento di lotta politica, economica, sociale. Dipendendo completamente dagli organi statali, basta una telefonata per prendere in breve tempo qualsiasi decisione utile a loro. Esiste un listino segreto per le decisioni giudiziarie e la corruzione è penetrata molto profondamente in questo ramo del potere. Nella magistratura oggi si regolano i conti con gli avversari politici, con i concorrenti negli affari, con i cittadini ostili, con i possidenti di qualsiasi genere. C’è una radicata convinzione che non sia possibile ottenere una giusta soluzione in giudizio quando si tratta di aver a che fare con avversari influenti o benestanti. Le stesse leggi vengono riformate con imperdonabile lentezza e nella maggior parte restano sovieticamente repressive. Il numero delle sentenze positive non supera il 5% delle cause complessive. I luoghi di detenzione preventiva sono stracolmi di gente normalmente innocente, oppure di persone la cui colpa permetterebbe di non essere allontanati dalla famiglia e dal lavoro, dove avrebbero potuto essere utili alla società. Perfino il personale burocratico riconosce che per almeno un terzo dei detenuti la carcerazione è inutile.
3. Sistema punitivo. Il sistema punitivo non deve essere semplicemente riformato, ma totalmente cambiato. L’attuale sistema punitivo si differenzia ben poco dall’odioso e disumano sistema sovietico. Le condizioni di detenzione sono tali che le persone escono dal carcere con la coscienza deturpata e la salute rovinata. Ti si agghiaccia il sangue quando senti i racconti di quelli che sono stati in carcere. Fra le prigioni europee e quelle russe c’è un tale abisso che si fa fatica a pensare che sussistano nel medesimo tempo.
4. Economia. A prima impressione può sembrare strano che questo settore non sia stato collocato nel settore positivo (prima parte) dell’operato di Putin. Infatti si deve ammettere che in questo periodo l’economia del paese si è decisamente rafforzata; lo stato può essere generoso nelle spese, soprattutto nelle infrastrutture (in questo campo ci sono miglioramenti notevoli), si sono fatti grossi investimenti, si sono firmati contratti utili per le corporazioni statali, le entrate dei cittadini sono aumentate sensibilmente. Ciononostante non posso iscrivere l’economia nell’operato positivo del presidente Putin. Prima di tutto l’aumento delle entrate dei russi non ha nessun rapporto con l’operato del potere. Si sono rafforzate le piccole e le medie imprese fondate nel 1990. Le entrate dei proprietari e dei loro collaboratori sono cresciute grazie alla loro capacità lavorativa. E in molti casi questo è avvenuto nonostante l’operato del potere che, come prima, vede negli imprenditori se non dei nemici, almeno dei cittadini poco graditi. Qui, come merito del potere, si può riconoscere che esso non si è opposto di principio alla attività degli imprenditori. Si sono rafforzate le imprese straniere medie e grandi le quali pagano uno stipendio molto elevato ai loro collaboratori, mentre gli stranieri vengono sempre più ostacolati nella loro posizione manageriale. Il potere in questo settore cerca di imbastire tutte le possibili difficoltà che certamente ostacolano il loro lavoro.
Secondo: si può notare soltanto l’aumento del salario dei burocrati. Lo stato se li tiene buoni. Particolarmente impressionate è la paga assegnata ai deputati della Duma di stato mentre resta sempre immobile la bassa quota assegnata alle pensioni basse. D’altra parte lo stato non è riuscito a frenare l’inflazione e lo sfruttamento delle materie prime. Questi problemi si sono oggi ulteriormente complicati. L’inflazione supera ogni indice, l’aumento dei prezzi è diventato insopportabile al punto che se il prezzo di un prodotto non cresce ogni mese è considerato un fatto straordinario. Le entrate dell’erario dipendono soprattutto dal prezzo del gas e del petrolio; grazie a Dio fino ad oggi sono alte. I cambiamenti strutturali dell’economia avvengono molto lentamente e non si può sperare che l’intervento del Ministero dell’Economia vada nella direzione giusta.
Terzo: Lo sviluppo di ogni impresa incontra una tale quantità di ostacoli burocratici che i tempi di El’cin si ricordano con nostalgia. Lo sviluppo della classe di mezzo avviene in costante lotta con la burocrazia e non con la collaborazione di questa, come molte volte è stato affermato dal presidente.
Quarto: Nonostante la coraggiosa lotta senza compromessi di Putin contro gli oligarchi, il numero di questi si è moltiplicato più volte, e per di più gli oligarchi del 1990 hanno visto aumentare di molto le loro proprietà. La divisione della società in ricchi e poveri si è ulteriormente approfondita.
Intervento di Benedetto XVI al Sinodo dei vescovi - Un metodo completo - per leggere e capire la Bibbia, L’Osservatore Romano 15 ottobre 2008
Per meglio capire la Bibbia anche dal punto di vista della fede servono esegeti con una formazione completa. Il metodo storico-critico è positivo, ma ha bisogno di essere completato. Lo ha detto il Papa intervenendo questa mattina, martedì 14 ottobre, alla quattordicesima congregazione generale del Sinodo. Il suo intervento si è richiamato, nella sostanza, al documento sull'interpretazione della Bibbia nella Chiesa pubblicato dalla Pontificia Commissione Biblica nel 1993, sotto la guida dello stesso Ratzinger, allora cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Attenzione ai rischi di un'esegesi esclusivamente storico-critica, ha detto il Pontefice parlando dopo l'intervallo dei lavori e quasi facendo eco a quel testo importante. Abbiamo ascoltato tutto il bene possibile che ci può derivare dall'esegesi - ha continuato - ma dobbiamo considerare anche i suoi rischi. Il metodo storico-critico aiuta a capire che il testo sacro non è mitologia, ma vera storia, aiuta a cogliere l'unità profonda di tutta la Scrittura. Con contributi spesso di altissimo livello accademico aiuta a percepire tutta la realtà del fatto, ma può portare a pensare alla Bibbia come un libro che riguarda solo il passato. Benedetto XVI si è poi riferito al secondo punto della Dei Verbum. Se scompare l'ermeneutica della fede - ha detto ancora - al suo posto si afferma l'ermeneutica positivista o secolarista, secondo la quale il divino non appare nella storia. E si riduce tutto all'umano, come nell'attuale mainstream dell'esegesi in Germania, che nega la risurrezione di Cristo e la fondazione dell'Eucaristia da parte del Figlio di Dio. Secondo il Papa non ha ragion d'essere il dualismo che attualmente separa teologia ed esegesi: una teologia che non si basa sull'interpretazione della Scrittura è una teologia senza fondamento, come non ha fondamento un'esegesi che non sia teologica. Per venire al pratico - ha concluso Benedetto XVI - dovremmo allargare la formazione dei futuri esegeti.
I lavori del mattino sono stati inaugurati dall'intervento del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il quale si è soffermato sulla pastorale giovanile. Presa a sé stante - ha detto - la Bibbia non riesce a suscitare agli occhi di un giovane una particolare attrazione e affezione; tra i 14 e i 19 anni, solo il 13 per cento ritiene che "se uno crede in Dio deve meditare i testi sacri". Ma se veicolati da educatori e testimoni credibili, i ragazzi mostrano una sorprendente disponibilità verso la Bibbia. In precedenza il cardinale Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, aveva parlato della situazione attuale della Chiesa irachena "sommersa da troppo dolore".
(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2008)
L'abate di Clairvaux e la Scrittura - Quel favo di miele dolcissimo - spremuto da san Bernardo - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano, 15 ottobre 2008
"Bernardo è l'uomo della Bibbia" - scrive Jean Leclercq, l'editore e il conoscitore finissimo delle sue opere. Nei suoi scritti "egli interpreta costantemente la Scrittura"; ne è impregnato il suo spirito e ne risente tutto il suo linguaggio. Egli "l'ha talmente assimilata all'intimo tessuto della sua psicologia da utilizzarla, talora forse senza saperlo, anche quando non la cita. Il suo vocabolario è in gran parte biblico. (...) Molte sue pagine non sono che dei mosaici di espressioni scritturistiche".
Si può parlare - ancora secondo Leclercq, al quale largamente attingiamo - di "psichismo biblico", di "logica biblica, congiunta a una retorica e a una poesia biblica", di "stile biblico", di un bisogno di Bernardo "di "parlare Bibbia"" e giungere a definirlo "una concordanza vivente".
Ma per l'abate di Clairvaux la Scrittura non è anzitutto un libro, ma "la parola di Dio vivente nella Chiesa". Egli la riceve dalla Tradizione, la legge come gli hanno insegnato i padri, che egli assimila e riesprime, e la vive "come un'esperienza": in lui "l'ispirazione non differisce affatto dall'esperienza mistica".
Essa è trattata, infatti, come "oggetto non tanto di uno studio, quanto di una preghiera: occorre "gustare", "sentire", quanto Dio sia soave; Bernardo usa volentieri questo vocabolario delle sensazioni spirituali".
Quanto al contenuto: la Bibbia si risolve interamente in Gesù Cristo.
Per il "Dottore mellifluo" - che sa da essa spremere, come da un favo, un miele dolcissimo - una profonda concordia lega i due Testamenti, e "tutto sfocia a Cristo e allo Spirito che egli effonde nella Chiesa".
La sacra Scrittura è un libro che trabocca degli eventi del Signore; essa è il luogo della sua consueta abitazione e fin nei suoi più piccoli frammenti si riferisce, quasi in forma sacramentale, al Verbo e ai suoi misteri.
Veramente, in tutta la cultura monastica del medioevo "il contatto con la Scrittura è un contatto con Cristo": "attingere al linguaggio della Bibbia non consiste in un procedimento stilistico, ma è una maniera di prolungare la comunione con Cristo provata mentre si è letta, ascoltata e pregata la sacra Scrittura. (...) Non ci si colloca al di fuori o al disopra della Scrittura: ci si colloca all'interno di essa (...). È Dio che si attinge nella sacra Scrittura e attraverso la Scrittura".
Tuttavia, questa concezione della Bibbia come un evento, o un incontro in atto con il Verbo divino, risalta in san Bernardo con un'accentuazione e una vibrazione singolari.
Un'altra caratteristica va, inoltre, sottolineata, ed è che "la Bibbia di Bernardo è quella che la Chiesa utilizza nel suo culto. Alle citazioni della Scrittura si aggiungono, nel suo stile, le reminiscenze liturgiche. E quando si tratta di un mistero celebrato da una festa o commemorato dall'anno del Signore, è sempre la liturgia che conferisce il tono, che orienta l'interpretazione. Nei sermoni di Bernardo si trova così ciò che si potrebbe chiamare un sottosuolo biblico (...) e uno sfondo liturgico: questa mentalità che crea l'atmosfera, il clima, e che conferisce all'insieme il suo colorito".
In altre parole, per l'abate di Clairvaux la Bibbia riceve la sua "attualità" soprattutto quando essa è aperta e letta nell'opus Dei, dove i "sacramenti" di Gesù Cristo non solo passano e ripassano nel ricordo, ma si ripresentano con la loro inesauribile e inestinguibile grazia di salvezza. Quello che allora la Scrittura evoca, l'azione liturgica lo ridona.
Questo metodo, complesso per un verso, ma per un altro anche estremamente semplice, di accostamento alla Scrittura, non ha perduto il suo senso e la sua esemplarità. Non si tratta affatto di rinnegare il valore e i traguardi sicuri dell'esegesi scientifica, ma di attingere nella sostanza stessa di questa scientificità o di questa "storia" tutte le sue "reali" dimensioni e implicazioni, o tutte le sue connessioni: Bernardo, come del resto i padri e la liturgia, possedevano una conoscenza dell'"intero" della Bibbia, del suo significato complessivo e sintetico, e insieme disponevano di un'acuta e vasta sensibilità ai suoi riflessi antropologici e pratici: è il modo con cui la Scrittura plasma la prassi e diviene intimamente "formativa".
Quanto al rischio dell'arbitrio: se poteva accadere per singoli particolari, l'insieme del senso e dell'efficacia biblica non era compromesso, ma rimaneva era solido e assicurato. Leggere Scrittura o ecclesialmente o nella forma "privata", che pure non cessa mai di essere ecclesiale, coinvolge la fede ed esige la disponibilità del cuore.
(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2008)
USA/ Obama e McCain protagonisti di una brutta campagna elettorale per la Casa Bianca - Lorenzo Albacete - mercoledì 15 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
A partire da questo momento, la questione che determinerà, tra tre settimane, i risultati delle elezioni negli Stati Uniti è l’attuale crisi economica e finanziaria.
Gli americani sono arrabbiati, molto arrabbiati. Dato che il partito al governo da otto anni è il partito repubblicano, la crisi sta favorendo i democratici guidati dal senatore Barack Obama. Tutti i principali sondaggi dimostrano che gli basta vincere in uno dei cinque stati ancora indecisi per raggiungere i 270 voti elettorali necessari per essere eletto. Il senatore McCain dovrebbe invece vincere in tutti gli stati in cui non si è ancora delineato un netto vincitore, ma in tutti questi stati è qualche punto percentuale dietro Obama.
Nel tentativo di stornare il confronto dalla crisi dell’economia, la campagna di McCain si sta spostando su argomenti diretti a minare la credibilità, l’onestà e le motivazioni politiche di Obama. Lo scopo è di gettare ombre sul suo patriottismo e mettere in dubbio che sia “uno di noi”. Su internet, nei talk-show, si afferma che non è un cristiano, ma un musulmano, che è stato associato al terrorismo interno, che è stato vicino agli estremisti afro-americani, ecc. La situazione ha raggiunto punte tali da costringere McCain a dissociarsi pubblicamente da questi attacchi.
Sarah Palin, scelta da McCain per non perdere l’appoggio della base culturalmente conservatrice del partito, attacca spesso Obama in modo da insinuare che il “vero Obama” sia molto diverso da quello che egli fingerebbe di essere.
La campagna di Obama continua a sostenere che McCain è “erratico”, incostante nel suo pensiero, suggerendo così che stia già dimostrando i segni della vecchiaia, e che Sarah Palin è una persona totalmente ignorante e incompetente, spinta solo dalla sua personale ambizione.
La campagna elettorale è così diventata brutta, allontanando ancor di più chi ha perso la fiducia nei due partiti. Questi “indipendenti” sono quelli che decideranno il vincitore e, poiché vedono il loro Sogno Americano andato in pezzi con le loro perdite economiche, sarà molto difficile per McCain recuperare la perdita di consenso.
Tutti stanno aspettando l’ultimo dibattito tra Obama e McCain, ma pochi si attendono che accada qualcosa di significativo che possa alterare i termini del confronto tra i due candidati.
E poi, vi è la questione razziale, che è alla fine emersa nella discussione pubblica, ma nessuno sembra avere opinioni certe su quali saranno i suoi effetti sulle elezioni.
SOCIAL HOUSING/ Tre mosse per aiutare gli italiani ad avere una casa - Antonio Intiglietta - mercoledì 15 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Il tema del social housing è oggi sulla bocca di tutti. Si continua a parlare del problema delle case in affitto, di normative da rifondare, di come all’estero sia un’altra cosa, portando a sostegno dei discorsi esempi o modelli certamente meritori (vedi il caso di Torino e Italcementi, o di alcune cooperative).
Tutto questo gran parlare però rimane privo di qualsiasi corrispettivo nella realtà. Si parla, ma si fa poco o niente. In Italia invece l’esigenza è quella di una vera e propria riforma della casa. Una riforma coraggiosa, come lo sono tutte le vere riforme, semplice e chiara nella sua esplicazione e successiva realizzazione. Una riforma che ponga con chiarezza la responsabilità di ogni soggetto implicato, affrontando in modo costruttivo e propositivo il problema “casa”.
L’elemento cardine per una riforma del genere è l’attuazione di un surplus di sussidiarietà, che dia spazio e capacità di agire alle realtà sociali, cooperative e imprenditoriali che già operano in questo settore. A fianco ad esse l’istituzione pubblica e lo Stato in generale devono saper agevolare e rendere fruttuosa ogni singola responsabilità.
Per realizzare una tale riforma è necessario semplificare le fasi operative che compongono qualsiasi politica di social housing, e per farlo deve essere chiaro innanzitutto cos’è il social housing. Significa mettere a disposizione casa ad affitto calmierato per tutte quelle categorie sociali - di cui tutti parlano senza fare mai nulla - che appartengono alla cosiddetta fascia debole: per esempio i nuclei familiari o le giovani coppie a basso reddito, gli anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate, gli studenti o gli impiegati fuori sede o gli immigrati regolari. Gente che a fronte dell’attuale costo della vita non riesce a star dietro alle spese e quindi ad avere una vita decorosa, a maggior ragione se residenti nelle grandi città, Milano e Roma in primis.
Affitto calmierato significa un canone che non superi il 25-30% dello stipendio. Il social housing riguarda quindi esclusivamente case in affitto permanente (e non in acquisto, sia esso in edilizia libera o tramite cooperativa), che per esempio renda possibile abitare in un bilocale a una giovane coppia con un canone d’affitto attorno ai 500 € al mese.
È social housing perché è un intervento dal forte valore sociale: basti pensare alla possibilità di integrazione e di convivenza umana che darebbe a molti immigrati regolari o ai lavoratori fuori-sede. Il social housing potrebbe addirittura essere una risposta anche per la fascia dei meno abbienti, laddove le amministrazioni locali sopperiscano a parte del pagamento del canone con un voucher o un cosiddetto “buono casa”, con una logica di stampo “blairiano” (riferendomi alla politica dell’ex premier britannico Tony Blair): il contributo pubblico segue direttamente il destinatario dello stesso. Per intenderci, niente passaggi intermedi.
Un approccio di questo tipo porterebbe questa nuova politica di social housing a diventare il punto di riferimento su tutto il problema “casa”. Significa innanzitutto ripensare alle liste d’attesa, oggi regolate da logiche perverse secondo le quali soggetti con ambigue dichiarazioni dei redditi, o poveri che poveri non sono, usufruiscono di questa possibilità in modo indiscriminato e spesso criminoso, sfruttando con sub-affitti scandalosi tante persone che povere lo sono per davvero, e che si ritrovano a vivere in condizioni incivili e drammatiche.
Se invece la partecipazione sociale e cooperativa all’attuazione della politica di social housing fosse ben più che formale o burocratica (come lo è invece oggi), sarebbe certamente più difficile approfittarne. Dunque è necessario un surplus di sussidiarietà, che significa in realtà scoprire l’acqua calda, visto che in tutti i maggiori paesi d’Europa è già così: laddove l’amministrazione pubblica non può o non riesce a sopperire a un bisogno, favorisce e agevola l’intervento diretto della società civile e delle sue iniziative di aggregazione sociale, cooperativa e anche imprenditoriale. Stiamo parlando di professionisti competenti attivi da anni nel settore immobiliare, ma che oggi non riescono ad essere efficaci perché le amministrazioni pubbliche locali e lo Stato non gli danno gli strumenti e le agevolazioni necessari.
Detto questo, sono tre i passaggi principali perché questo processo di sussidiarietà sia efficace. Per prima cosa è necessario l’abbattimento del costo delle aree destinate al social housing, che devono essere date in gratuità o semi-gratuità, così come avviene in altri Paesi, soprattutto di stampo anglosassone, come il Regno Unito e il Canada, che si basano sul modello “Right to buy” britannico. E questo deve accadere specialmente nel caso di aree dismesse del patrimonio pubblico, o di proprietà di fondazioni, università o simili. Quel che certo non manca alle amministrazioni sono le aree inutilizzate. E parlo anche di quelle piccole aree di verde sparse per le aree urbane (di 5.000 o 10.000 mq) non curate e non utilizzate, trasformate in discariche abusive o in luoghi di aggregazione malavitosa. Questo tipo di patrimonio pubblico inutilizzato deve passare senza costi in mano agli operatori sociali, per diventare un’opportunità di risanamento delle città e, nel concreto, di costruzione di nuove case. La disponibilità delle aree deve però essere rapida, certa: in attesa di realizzare piani e macro-strategie di sviluppo territoriale a grande raggio, che spesso impiegano diversi anni per partire, queste piccole aree devono essere disponibili da subito e senza costi.
Il secondo passaggio è il miglioramento del meccanismo dei contributi. Invece che distribuirli a pioggia, con il risultato di non favorire i migliori e scontentare tutti, sarebbe molto più utile far partecipare le realtà locali all’abbattimento del costo del denaro per arrivare a ridurre, alla fine della filiera, il canone dell’affitto. Per abbattere il costo del denaro in molti Paesi europei lo Stato e i Comuni erogano alle aziende che si impegnano a costruire in social housing prestiti e mutui a tassi calmierati. È il caso della Danimarca e soprattutto della Francia, dove esiste il cosiddetto “prestito a tasso zero”, rimborsabile senza interessi e destinato unicamente alla costruzione di nuovi alloggi. Questo implica, anche da parte dei Comuni e delle Regioni, uno sforzo in ricerca tecnologica, in qualità dei materiali e dei progetti, in risparmio energetico e in eco-sostenibilità, mantenendo tempi di realizzazione al passo con la modernità (da 6 mesi a 1 anno), e non al passo “italiano” che va dai 2 anni in su.
In questi primi due passaggi la responsabilità maggiore, oltre che degli operatori sociali che poi ne devono sfruttare i vantaggi, è in mano alle amministrazioni locali: i Comuni per l’operatività sulle aree e le Regioni per la competenza legislativa.
Ma c’è una responsabilità dello Stato, che si aggiunge ai primi due punti. Ed è quella fiscale. È un insulto all’intelligenza di ogni cittadino che lo Stato abbatta l’imposta sul valore aggiunto sull’acquisto della prima casa o del box, e non lo preveda invece per chi va in affitto nella sua prima casa. L’abbattimento dell’IVA sull’affitto della prima casa è il primo e più importante contributo che lo Stato può e deve dare al social housing, ancor prima di redigere qualsiasi piano casa o qualsiasi mastodontica strategia di decentramento.
Questi sono i passi per l’attuazione di una vera politica di social housing: abbattimento del costo dell’area, partecipazione al costo del denaro delle amministrazioni locali e detassazione. È una proposta chiara e certamente efficace, a cui tutti ormai sono abituati ad annuire ma nessuno si prende la briga di attuare. La dirigenza pubblica, spesso appoggiata anche da realtà private, si nasconde per non rispondere ad una semplice domanda: se si riuscisse a realizzare questo salto di qualità nell’approccio al problema casa, chi sarebbe disposto ad accettare la sfida? Molte imprese, e anche molte cooperative, credono ancora che questa riforma non sia possibile, che i costi rimarrebbero troppo alti.
Ma la politica ha il compito di accettare certe sfide decisive con quel di più di gratuità necessaria in una società che voglia crescere a dimensione umana: ci vuole certamente un sacrificio e una dedizione da parte di tutti, pubblico e privato. Forse è questo che fa paura. Ma per uno sviluppo umano e civile di una società, ci vogliono persone (e quindi imprese, enti, aggregazioni) disposte a dar qualcosa di proprio per il bene di tutti.
La politica, in questo contesto, deve saper rinunciare a risolvere il problema con un approccio statalista, sia esso di natura ideologica o dovuto a un eccesso di protagonismo, e deve promuovere la società civile così che le forze migliori possano mettersi in gioco e rispondere coi fatti. Solo così si darà una definitiva e reale risposta al bisogno di abitare che c’è oggi nel nostro Paese. Chi ha le responsabilità e i poteri per cominciare, lo faccia subito.
A PROPOSITO DI VALUTAZIONI EMERSE NEL DIBATTITO DI QUESTI GIORNI - Non tutto è terapia medica ma il prendersi cura del buon samaritano - ROBERTO COLOMBO – Avvenire, 15 ottobre 2008
G razie alla crescente ed imponente medicalizzazione del corpo umano in diverse condizioni della sua esistenza, la vita si è allungata rispetto a quella delle passate generazioni: riusciamo a controllare meglio la nostra salute, a prevenire alcune malattie e guarirne altre. Ciò non di meno, come ogni medaglia, anche quella della medicina ha il suo rovescio. I critici della spinta medicalizzatrice presente nella nostra società – a partire da Ivan Illich e dal suo saggio sulla 'nemesi medica' – hanno buon gioco nel mostrare illusioni e rischi di una vita esposta al potere tecnologico del sistema sanitario. Tra le conseguenze avverse della medicina contemporanea non sono da annoverare esclusivamente quelle fisiche, psicologiche e sociali (talora le sole ad essere denunciate), ma anche un certo disorientamento delle intelligenze e delle coscienze quanto alla consistenza della vita umana, alle condizioni biologiche che la rendono possibile ed alle conseguenze di determinati atti compiuti sul nostro corpo.
In questi giorni, un esempio di tale disorientamento indotto dal processo culturale e sociale di medicalizzazione è offerto dalla difficoltà di molti a comprendere la ragione per cui non sussistono cogenti obiezioni deontologicoprofessionali ed etiche all’eventuale rinuncia ad una trasfusione di sangue in un paziente in stato vegetativo persistente, mentre la retta coscienza dei medici, ed anche di semplici cittadini, considera inaccettabile la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione nello stesso paziente. Questa difficoltà nasce dal ritenere che ogni atto di cura della persona compiuto da un medico o da un infermiere costituisca, per il solo fatto di essere eseguito da un professionista sanitario e in un ambiente clinicizzato, un atto terapeutico. Terapeutico, ovvero orientato alla guarigione o alla prevenzione di una patologia, oppure in grado di migliorare il quadro clinico o, almeno, di stabilizzarlo. Non è così. Spesso, in corsia o a domicilio, si tratta di favorire la respirazione, fornire liquidi e nutrienti fisiologicamente essenziali, stimolare la mobilizzazione degli arti, consentire lo svuotamento della vescica e l’evacuazione del colon, prevenire o lenire le piaghe cutanee e curare l’igiene del corpo.
Operazioni non di natura inerentemente terapeutica, ma essenziali per la vita della persona malata, la sua dignità, il rispetto dovuto alle sue membra ed al suo spirito, in qualunque condizione essa si trovi.
Operazioni che il soggetto sano, o non gravemente ammalato, è in grado di compiere da solo oppure con l’aiuto di figure non professionali, ma che – a motivo delle condizioni cliniche del paziente – richiedono talora di essere eseguite per vie alternative, in forme differenti e da personale specializzato. Tuttavia, l’oggetto dell’atto ed il suo scopo non cambiano: fornire acqua e sostanze alimentari all’organismo non è paragonabile, in nessuna circostanza, a praticare, per esempio, una chemioterapia o l’asportazione chirurgica di un tumore.
Come per ogni atto medico, la decisione di sospendere o non praticare una terapia dipende dalla valutazione, in scienza e coscienza, dell’appropriatezza clinica ed etica dell’intervento, ossia della proporzionalità del mezzo in ordine al fine che si intende raggiungere: il recupero, la stabilizzazione od il miglioramento delle condizioni del paziente (finalità terapeutica). Se il paziente non è in grado di esprimere attualmente e contestualmente il proprio dissenso informato nei confronti di tale terapia, è possibile che si apra una discussione sull’opportunità di normare legislativamente un dissenso anticipato e sul ruolo che tale dichiarazione debba giocare nella decisione del medico. A un tale dibattito i cattolici potranno contribuire, stante il principio morale che nessuno è obbligato a sottoporsi ad interventi terapeutici straordinari o sproporzionati, né ad eseguirli sul paziente. Diverso è il caso dell’idratazione e dell’alimentazione. Anche se praticate da personale sanitario, questi atti non sono di natura terapeutica. Esiste una dimensione dell’agire professionale del medico che rappresenta un 'prendersi cura' della persona del malato nelle sue fondamentali esigenze fisiologiche e non una lotta alla malattia di cui egli soffre, lotta cui – per giuste ragioni – il paziente può sottrarsi e dalla quale in medico può astenersi. Si tratta, invece, di 'prendersi cura', proprio come ciascuno di noi fa rispetto ai bisogni essenziali del nostro corpo e di quello delle persone a noi affidate, bambini, anziani o malati che siano (è suggestiva, in questo senso, la parabola del buon samaritano, che si prese cura del ferito non in quanto medico, ma per una sollecitudine semplicemente umana).
Rinunciare intenzionalmente al soddisfacimento di queste esigenze metaboliche basilari equivale a privarsi direttamente della propria vita (suicidio) ed acconsentire ad interrompere l’apporto idrico, elettrolitico e nutrizionale corrisponde ad una collaborazione materiale e formale ad un atto contro la vita.
Come ha ricordato il cardinale Tettamanzi tre mesi orsono su queste colonne, «in ogni caso, la rinuncia a terapie sproporzionate o futili non può comportare la sospensione della nutrizione e della idratazione, nella misura e fino a quando esse risultino efficaci nel sostenere la fisiologia del corpo. Anche qualora effettuate mediante vie artificiali, la somministrazione di acqua e cibo costituisce un mezzo ordinato e proporzionato di conservazione della vita».
«Accanto ai morenti con amore e competenza professionale» - Goisis, medico dell’hospice Palazzolo di Bergamo: talvolta chi parla di eutanasia non ha mai visto un malato terminale - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 15 ottobre 2008
« D avanti a un malato terminale non si può improvvisare. Ma oltre alla competenza occorre la capacità di accompagnarli nella ricerca di senso». Antonella Goisis, medico dell’hospice della casa di cura «Istituto Beato Palazzolo» di Bergamo, da 25 anni si occupa di malati oncologici, gli ultimi 7 di quelli senza speranza. E quindi si confronta «quotidianamente con malati di un cancro che è sfuggito a ogni terapia: è importante però ricordare – avverte – che inguaribile non è sinonimo di incurabile». «Nell’ottica delle cure palliative – continua la dottoressa Goisis – c’è molto da fare quando non c’è più niente da fare». In particolare serve un «accompagnamento attivo, empatico e competente». «Che fare dei morenti –osserva – è un problema che si prima o poi si pone. Le soluzioni, se non si elimina la morte, restano due: o si eliminano i morenti (eutanasia), o si accompagnano i morenti in modo che la vita sia sempre densa di significato e occasione di crescita». Non deve stupire questa definizione parlando di persone che sono prossime a concludere la loro vita terrena: «Per quelli più consapevoli – aggiunge Antonella Goisis – il periodo terminale della malattia è un’occasione di un confronto con sé stessi e con la vita, un momento in cui inevitabilmente ci si pongono domande di senso. E sono domande che interpellano anche noi operatori, che siamo chiamati a cercare risposte insieme con loro».
Per continuare a lavorare in quest’ambito, servono due riflessioni: «Qui viene del tutto smantellato ogni delirio di onnipotenza, e per aiutare questi pazienti non serve, anzi è deplorevole un buonismo paternalistico, ma servono ricerca, formazione e aggiornamento continuo ». Quello che non sempre mostrano di avere coloro che agitano la bandiera dell’eutanasia, «o parlano di malati terminali senza averne mai visti».
L’altra riflessione necessaria è che «questi malati sono straordinarie occasioni d’amore. L’ho pensato spesso davanti a pazienti giunti all’ultimo stadio, magari incapaci di parlare: l’unico atteggiamento credibile per accoglierli è l’amore. Nella nostra società si parla poco di amore, ma solo con la fede, la speranza e la carità si possono vincere il dolore e la morte».
Quanto all’eutanasia e all’accanimento terapeutico, il pensiero è ben chiaro: sono respinti entrambi. «Bisogna chiarire se a volere l’eutanasia è il malato o altri che non sopportano la sua sofferenza: il parente o la società. Un malato amato e ben curato non chiede l’eutanasia». Accanimento significa «fare terapie non proporzionate né adeguate la singolo paziente: una quinta chemio dopo che ne sono fallite quattro, o un intervento chirurgico quando il tumore è ormai troppo avanzato. Ma, ancora una volta, il medico delle cure palliative deve mostrare grande competenza per assistere il suo paziente».
Eluana, da tre associazioni nuovo appello ai giudici - Alla magistratura la richiesta di accertare l’effettivo stato clinico della donna lecchese in stato vegetativo da 16 anni, dopo la «ripresa da alcuni mesi del flusso mestruale» - DA LECCO LUCIA BELLASPIGA – Avvenire, 15 ottobre 2008
Le condizioni fisiche di Eluana, dunque, starebbero mutando. In senso stretto, dopo che la grave emorragia uterina di sabato si è autonomamente fermata; e forse anche in senso molto più ampio visto che, dopo anni in cui non c’era più traccia di ciclo mestruale nella donna, da qualche mese le mestruazioni sono ricomparse: un segnale che alcune associazioni specifiche per lo studio e la cura dei pazienti in stato vegetativo considerano importante. È firmato infatti da ViVe Onlus (presidente il neurologo Giuliano Dolce), da Arco92 e dalla Federazione nazionale Associazioni Traumi cranici l’appello rivolto al procuratore generale della Repubblica di Milano perché a questo punto «si accerti lo stato effettivo» in cui Eluana versa.
«Pochi giorni fa - scrivono gli specialisti - Eluana Englaro ha avuto una metrorragia, ovvero un ciclo mestruale anomalo molto abbondante, tale da essere considerato una vera e propria emorragia. Tale evento potrebbe sembrare banale, ma non lo è affatto ». Infatti - continua l’appello al procuratore - Eluana da non molti mesi ha ripreso il suo ciclo mestruale, il che significa che la sua ghiandola ipofisaria ha ripreso a funzionare dopo un lunghissimo periodo di tempo». Un elemento « non unico » che fa pensare che siano in corso mutamenti da non sottovalutare, o quantomeno da verificare: «Appare doveroso - continua il testo - , prima di autorizzare la sospensione di alimentazione e idratazione ad un soggetto incapace, accertarsi effettivamente e inequivocabilmente dello stato in cui versa il soggetto stesso, tenendo presenti i requisiti richiesti dalla Suprema Corte ». Da qui la decisione di chiedere al procuratore che « presenti senza indugio ricorso contro il provvedimento della Corte d’appello di Milano», avendo questa «completamente disatteso i princìpi di diritto espressi dalla Cassazione». Appare «sempre più esile e giuridicamente inaccettabile», insomma, l’esclusione della possibilità di svolgere un nuovo accertamento, «soprattutto se si considerano i mutamenti indiscutibili avvenuti nella sua persona, come appunto la comparsa delle mestruazioni dopo anni di amenorrea».
Intanto il neurologo Carlo Alberto Defanti, medico di famiglia degli Englaro, fa sapere che le condizioni della giovane donna, in stato vegetativo dal 1992, stanno ancora migliorando, nel senso che, dopo l’emorragia che sabato mattina sembrava inarrestabile e che ha condotto Eluana a un passo dalla morte, i valori di emoglobina nel sangue si stanno normalizzando e «domani ( oggi per chi legge, ndr) probabilmente potremo dire che è fuori pericolo».