venerdì 31 ottobre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Un filosofo rilancia la scommessa del papa: vivere come se Dio ci fosse - È il tedesco Robert Spaemann. In un libro su quella "diceria immortale" che è l'esistenza di Dio, sempre viva e sempre controversa. Sullo sfondo del consiglio dato da Benedetto XVI "anche ai nostri amici che non credono" - di Sandro Magister
2) La vita: fragilità e pienezza - L’esistenza umana al centro di un convegno dell’associazione “Identità e Confronti”
3) Benedetto XVI: il dialogo tra culture e religioni, un “dovere sacro” - Ricevendo in udienza una delegazione ebraica
4) Benedetto XVI chiede a novembre preghiere per i cristiani dell'Asia - Perché trovino i modi più appropriati di annunciare Cristo
5) 30/10/2008 11:38 - CINA - HONG KONG - Le autorità sapevano delle uova alla melamina, ma hanno ordinato di “tacere” - Le autorità sanitarie del Liaoning hanno censurato la notizia, finché è emersa a Hong Kong. Lo scandalo si allarga a nuove ditte di uova. Ma Pechino tace, mentre cresce la confusione e il timore per consumatori e produttori. La Fao chiede “notizie” sulla sanità della carne.
6) Dal Senato italiano - Approvata una mozione - contro la persecuzione dei cristiani
7) Italia, la ricchezza sono i valori - Giorgio Vittadini - venerdì 31 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
8) EDUCAZIONE/ Israel: ora più che mai è importante incontrare veri maestri INT. Giorgio Israel - venerdì 31 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
9) SCUOLA/ Due buone notizie dalla giornata dello sciopero insensato - Renato Farina - venerdì 31 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
10) IL FUTURO DI SCUOLA E UNIVERSITÀ - ORA UN’IDEA FORTE CHE SBLOCCHI LA CONTRAPPOSIZIONE - MARCO TARQUINIO – Avvenire, 31 ottobre 2008
11) PER LASCIARSI VIVERE SENZA TROPPI SIGNIFICATI - Se la morte perde l’epica ecco tornare Halloween - PIO CEROCCHI – Avvenire, 31 ottobre 2008


Un filosofo rilancia la scommessa del papa: vivere come se Dio ci fosse - È il tedesco Robert Spaemann. In un libro su quella "diceria immortale" che è l'esistenza di Dio, sempre viva e sempre controversa. Sullo sfondo del consiglio dato da Benedetto XVI "anche ai nostri amici che non credono" - di Sandro Magister
ROMA, 31 ottobre 2008 – È uscito in questi giorni in Italia, dopo che era già uscito in Germania, un libro davvero importante. Ha per autore un filosofo cristiano di prima grandezza, Robert Spaemann (nella foto). Ha per titolo "La diceria immortale", nell'originale tedesco "Das unsterbliche Gerücht". Un titolo che l'autore spiega così:
"Che esista un essere che nella nostra lingua si chiama 'Dio' è una vecchia diceria che non si riesce a mettere a tacere. Questo essere non fa parte di ciò che esiste nel mondo. Dovrebbe essere piuttosto la causa e l’origine dell’universo. Fa parte della diceria, però, che nel mondo stesso ci siano tracce di quest’origine e riferimenti ad essa. E questa è la sola ragione per cui su Dio si possono fare affermazioni tanto diverse".

Il libro, edito in Italia da Cantagalli, è il primo di una collana che si intitola, non a caso: "Come se Dio fosse".

Vivere "come se Dio fosse" – si creda o no in Lui – è la proposta paradossale lanciata da Benedetto XVI alla cultura e agli uomini d'oggi.

Questa proposta Joseph Ratzinger la formulò per la prima volta, da filosofo oltre che da teologo, nel memorabile discorso da lui pronunciato a Subiaco il 1 aprile 2005, ultima sua conferenza pubblica prima d'essere eletto papa.

Ratzinger la espose così:

"Nell’epoca dell’illuminismo si è tentato di intendere e definire le norme morali essenziali dicendo che esse sarebbero valide 'etsi Deus non daretur', anche nel caso che Dio non esistesse. Nella contrapposizione delle confessioni e nella crisi incombente dell’immagine di Dio, si tentò di tenere i valori essenziali della morale fuori dalle contraddizioni e di cercare per loro un’evidenza che li rendesse indipendenti dalle molteplici divisioni e incertezze delle varie filosofie e confessioni. Così si vollero assicurare le basi della convivenza e, più in generale, le basi dell’umanità. A quell’epoca sembrò possibile, in quanto le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo in gran parte resistevano e sembravano innegabili. Ma non è più così. La ricerca di una tale rassicurante certezza, che potesse rimanere incontestata al di là di tutte le differenze, è fallita. Neppure lo sforzo, davvero grandioso, di Kant è stato in grado di creare la necessaria certezza condivisa. Kant aveva negato che Dio possa essere conoscibile nell’ambito della pura ragione, ma nello stesso tempo aveva rappresentato Dio, la libertà e l’immortalità come postulati della ragione pratica, senza la quale, coerentemente, per lui non era possibile alcun agire morale. La situazione odierna del mondo non ci fa forse pensare di nuovo che egli possa aver ragione? Vorrei dirlo con altre parole: il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo. Dovremmo allora capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita 'veluti si Deus daretur', come se Dio ci fosse. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno".

Letto su questo sfondo, il libro di Spaemann riesce ancor più avvincente.

Qui di seguito ne è riportato un assaggio, per frammenti tra loro concatenati, ripresi dalle pagine 24-42 dell'edizione italiana:



"Con il venir meno dell’idea di Dio viene meno anche quella di un mondo vero" - di Robert Spaemann
La storia degli argomenti in favore dell’esistenza di Dio è enorme. Ci sono sempre stati uomini che hanno cercato di assicurarsi della ragionevolezza della loro fede. [...] Le classiche prove dell’esistenza di Dio cercavano di mostrare che è vero che Dio c’è. Presupponevano che la verità c’è e che il mondo possiede delle strutture comprensibili, accessibili al pensiero. Queste trovano il loro fondamento nell’origine divina del mondo. Sono direttamente accessibili a noi e per questo sono atte a condurci a questo fondamento.

Questo presupposto è contestato a partire da Hume e soprattutto da Nietzsche. [...] L'intera opera di Nietzsche può essere letta come una parafrasi della lapidaria espressione di Hume: "We never really advance a step beyond ourselves", noi davvero non avanziamo di un gradino oltre noi stessi [...] Nietzsche scrive che "anche noi illuministi, noi spiriti liberi del XIX secolo, prendiamo ancora il nostro fuoco dalla fede cristiana – che era anche la fede di Platone – secondo cui Dio è la verità, e la verità è divina". Ma proprio questo pensiero per Nietzsche è una auto-illusione. Non c’è verità. Ci sono soltanto reazioni utili o dannose. "Non dobbiamo illuderci che il mondo ci mostri un volto leggibile", dicono Michel Foucault e Richard Rorty. [...] Con il venir meno dell’idea di Dio viene meno anche quella di un mondo vero. [...]

Il neopragmatista Rorty sostituisce la conoscenza con la speranza in un mondo migliore, dove non si può neanche più dire in che cosa questa speranza dovrebbe consistere. [...] Non è che una conseguenza se Rorty non recepisce come un’accusa nemmeno più quella di parlare in modo oscuro e contradditorio. Infatti, nell’ambito di un pensiero che non si sente più obbligato alla verità ma al successo, nemmeno può più essere detto chiaramente in che cosa quel successo dovrebbe consistere. Pensieri oscuri possono essere più efficaci di pensieri chiari. La nuova situazione è caratterizzata dal fatto che noi decidiamo "uno actu", di nostra pura volontà, se pensare un assoluto, se pensare questo assoluto come Dio, se riconoscere qualcosa come una verità non relativa a noi, e infine se considerarci autorizzati a ritenere noi stessi esseri capaci di verità, ovvero persone. [...]

In Nietzsche viene a compimento e a compiuta coscienza di sé la "via moderna", cioè il nominalismo. [...] In questa situazione, perciò, gli argomenti per pensare l’assoluto come Dio possono essere soltanto argomenti "ad hominem". [...] Se non lo vogliamo, non c’è alcun argomento che possa convincerci dell’esistenza di Dio. [...]

Con il venir meno del pensiero della verità viene meno anche il pensiero della realtà. Il nostro dire e pensare ciò che è, è strutturato in forma inevitabilmente temporale. Non possiamo pensare qualcosa come reale senza pensarla nel presente, cioè come reale "adesso". Qualcosa che sia sempre stata soltanto passato, o che sarà soltanto futuro, mai c’è stata e mai ci sarà. Ciò che è adesso, un tempo era futuro e sarà a suo tempo passato. Il "futurum exactum", il futuro anteriore, è inseparabile dal presente. Dire di un evento del presente che in futuro non sarà più stato, significa dire che in realtà non è neppure ora. In questo senso tutto il reale è eterno. Non potrà esserci un momento in cui non sarà più vero che qualcuno ha provato un dolore o una gioia che prova adesso. E questa realtà passata prescinde assolutamente dal fatto che ce la ricordiamo.

Ma qual è lo statuto ontologico di questo diventare passato se tutte le tracce saranno cancellate, se l’universo non ci sarà più? Il passato è sempre il passato di un presente; che ne sarà del passato se non ci sarà più alcun presente? L’inevitabilità del "futurum exactum" implica quindi l’inevitabilità di pensare un "luogo" dove tutto ciò che accade è custodito per sempre. Altrimenti dovremmo accettare l’assurdo pensiero che ciò che ora è, un giorno non sarà più stato; e di conseguenza non è reale neppure adesso: un pensiero che solo il buddismo tende a sostenere. La conseguenza del buddismo è la denegazione della vita.

Nietzsche ha riflettuto, come nessun altro prima di lui, sulle conseguenze dell’ateismo, con l'intento di percorrere la strada non della denegazione della vita, ma dell’affermazione della vita. [...] La conseguenza più catastrofica gli sembrò che l’uomo perdesse ciò a cui tende la sua autotrascendenza. Infatti, Nietzsche considerò come il più grande acquisto del cristianesimo l’aver esso insegnato ad amare l’uomo per amore di Dio: "il sentimento finora più nobile e alto raggiunto fra gli uomini". Il superuomo e l’idea di un eterno ritorno dovevano fungere da sostituto per l’idea di Dio. Infatti, Nietzsche vedeva chiaramente chi avrebbe determinato altrimenti in futuro il volto della terra: gli "ultimi uomini", che credono di aver inventato la felicità e si fanno beffe dell’"amore", della "creazione", della "nostalgia" e della "stella". Occupati soltanto a manipolare la propria lussuria, ritengono pazzo ogni dissidente che tenga seriamente a qualcosa, come ad esempio la "verità".

L’eroico nichilismo di Nietzsche si è dimostrato, come egli stesso temeva, impotente di fronte agli "ultimi uomini". [...] Il banale nichilismo dell’ultimo uomo viene propagato oggi, tra gli altri, da Richard Rorty. L’uomo che, insieme all’idea di Dio, ha accantonato anche la verità, ora conosce soltanto i propri stati soggettivi. Il suo rapporto con la realtà non è rappresentativo, ma solo causale. Vuole concepire se stesso come una bestia astuta. Per una bestia del genere non si dà conoscenza di Dio. [...]

Ma se vogliamo pensare il reale come reale dobbiamo pensare Dio. "Temo che non ci libereremo di Dio fintantoché crederemo alla grammatica", scrive Nietzsche. Avrebbe potuto anche aggiungere: "... fintantoché continueremo a pensarci come reali". Un argomento "ad hominem".


La vita: fragilità e pienezza - L’esistenza umana al centro di un convegno dell’associazione “Identità e Confronti”
di Luca Marcolivio

ROMA, giovedì, 30 ottobre 2008 (ZENIT.org) – Non si può parlare di difesa della vita senza una seria riflessione sul suo significato. Ed è impossibile comprenderne il valore profondo, se non si contemplano la caducità e la sofferenza che spesso scaturiscono da essa. Questi in sintesi i contenuti del convegno “La vita: fragilità e pienezza”, tenutosi il 28 ottobre sera nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura.
L’incontro, organizzato dall’associazione “Identità e Confronti” in occasione del Giubileo Laurenziano, ha visto la partecipazione di medici, psicologi, prelati, parlamentari e giornalisti. Ognuno dei relatori ha affrontato la tematica della vita nella propria ottica professionale ma sempre corroborata da una concezione etica cristiana.
Punto di partenza del dibattito è stata la relazione “Al centro la persona umana” di monsignor Elio Sgreccia, Presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita. “Già Socrate – ha esordito Sgreccia – esortava l’uomo a conoscere se stesso, ovvero conoscere soprattutto le proprie fragilità e i propri limiti. Questo concetto è stato rafforzato con il pensiero cristiano”.
“Lo stesso primo kerigma ‘convertitevi e credete al Vangelo’ (Mc 1,14-20) – ha proseguito il presule – implica un ‘ritorno su di sé’, un giro di introspezione e di cambiamento. Anche Sant’Agostino misurò il proprio passaggio dal paganesimo al cristianesimo, seguendo una voce interiore e divina che gli suggeriva ‘entra in te stesso’”.
“La dottrina dei diritti dell’uomo – ha aggiunto – ne tutela la dignità per il fatto stesso che è uomo. E noi siamo tenuti a interpretare la fragilità, guardando dentro il cuore dell’uomo. Tuttavia l’essere umano sussiste in sé e per sé ma non da sé”.
“L’uomo – ha spiegato Sgreccia – è fatto di una corporeità biologica, a cui però si aggiunge una forza superiore: la spiritualità. Soltanto lo spirito infonde nel corpo la forza di esistere, gli dona capacità e risorse, lo eleva a una superiore dignità. Se il corpo esiste è perché lo spirito gli conferisce la vita, dando luogo a una soggettività unica”.
“Pertanto gli atti che una persona compie – ha poi osservato – rivelano la persona ma non la esauriscono. È sufficiente che esistano delle potenzialità a compiere tali atti, per rendere uguale la dignità di ogni persona”.
“Ben diversa è la moderna mentalità del contratto sociale che considera degne soltanto le persone in grado di prendere decisioni. Anche le religioni orientali, essendo dominate dall’impersonalismo, con molta difficoltà riescono a concepire la responsabilità personale”, ha poi concluso l’Arcivescovo.
Nella prima tavola rotonda, avente ad oggetto “Le sfide della vita”, è spiccato l’intervento dell’europarlamentare Carlo Casini, fondatore e presidente del Movimento per la Vita. L’onorevole Casini ha esordito ricordando uno degli ultimi discorsi pubblici di Papa Giovanni Paolo II che, rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, aveva indicato la sfida della vita come “la più importante dell’uomo moderno”.
Richiamando, poi, l’imminente 40° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, Casini ha sottolineato come “in un momento angoscioso della storia dell’umanità, a soli tre anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, un nuovo ‘atto della mente’, come la proclamazione dell’uguale dignità dei cittadini, poneva nuove basi per la speranza dell’umanità”.
“Come sottolinea la Evangelium Vitae, i diritti umani precedono le leggi e le giudicano – ha aggiunto Casini –. Se però perdiamo di vista chi è l’uomo, il quadro di tali diritti va in pezzi. In questo ambito la sfida, infatti, non è provare l’esistenza di Dio ma l’esistenza dell’uomo”.
“Ma chi è davvero l’uomo? L’allora cardinal Ratzinger ce ne fornì una risposta illuminante, nel 1987, durante un incontro con noi del Movimento della Vita. Spiegò che la vera natura umana è svelata da Pilato nell’Ecce homo (Gv 19,5). Quel Cristo piagato e sanguinante è l’emblema dell’uomo nei suoi momenti di massima fragilità. È in quelle circostanze che cogliamo l’essenza della nostra vita”.
Secondo Casini, la mentalità contro la vita, in special modo contro la vita nascente, si è diffusa tra le masse ed è vista da molti come una conquista della civiltà, “perché esiste una mentalità materialista che non vuole indagare il mistero dell’uomo. È un tipo di cultura che non vede, non spera, non progetta”.
“Alla radice di tale cultura della morte – aggiunge Casini – c’è la corruzione del concetto di libertà, che porta a vedere, ad esempio, la nascita di un figlio come un ostacolo all’autodeterminazione”.
La seconda tavola rotonda ha affrontato il tema dei “Contenuti elementari per la ricerca del vivere umano”. In questa sede lo psichiatra e psicoterapeuta Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione Psicologi e Psichiatri Italiani, ha tracciato l’identikit dell’uomo del terzo millennio alla luce della crisi delle relazioni interpersonali e delle ‘tecnodipendenze’.
“Noi psicoterapeuti ci troviamo di fronte ad un tipo umano alquanto più depresso e più ansioso che in passato – ha spiegato il professor Cantelmi -. È più soggetto ad attacchi di panico ed è diventato dipendente da comportamenti ed abitudini che ripete in modo compulsivo, siano essi il sesso, il gioco, lo shopping o la navigazione in Internet”.
L’uomo del terzo millennio, secondo Cantelmi, è schiavo delle tecnologie moderne, in special modo della comunicazione: SMS, videofonini, chat line, social network. “In particolare i social network, attraverso i quali l’utente può pubblicare un proprio profilo, mettere in rete le proprie foto e costruirsi un immagine pubblica, sono la spia di una grandissima solitudine”, ha affermato.
“Il successo delle moderne tecnologie della comunicazione – ha aggiunto lo psichiatra – cela la più straordinaria crisi delle relazioni interpersonali che la nostra società abbia mai conosciuto. Siamo diventati abili a ‘tecnologizzare’ le nostre relazioni, con il risultato che le relazioni ‘faccia-a-faccia’ sono diventate più problematiche”.
“La gioventù attuale – ha concluso Cantelmi – è la generazione dei nativi digitali, coloro che a differenza dei loro genitori, a tre anni sanno già maneggiare un cellulare e sanno far funzionare altri strumenti senza bisogno del libretto di istruzioni. Non si tratta di un semplice cambiamento culturale: è un cambiamento antropologico che coinvolgerà lo stesso cervello umano”.
Lo sconfortante scenario illustrato da Cantelmi, ha avuto come contraltare l’intervento “Un percorso di risveglio”, a cura dello psichiatra Alessandro Meluzzi. Partendo da una tematica sempre più rimossa nelle discussioni dell’uomo contemporaneo, come quella della fine dei tempi, Meluzzi ha sottolineato come, anche nel Vangelo, l’umanità tenda ad ‘addormentarsi’ proprio nei momenti cruciali della storia della salvezza.
“Si addormentano le vergini stolte (Mt 25,1-13) – ha osservato Meluzzi – si addormentano gli apostoli durante la preghiera di Nostro Signore nel Getsemani (Lc 22,45)… . Anche quest’epoca ha bisogno di uno scossone e di un risveglio. Per farlo dobbiamo imparare a contemplare lo scandalo degli scandali: il dolore. E, per farlo dobbiamo contemplare scandalosamente come il Dio cristiano abbraccia la Morte”.
“Abbiamo cancellato Dio, e soprattutto Cristo, dalle nostre conversazioni d’ogni giorno – ha concluso Meluzzi -. Ciò è segno che abbiamo a che fare con un Dio ‘politicamente scorretto’ e di un Cristo che continua a ‘scandalizzare’. L’essenza della nostra fede, in fondo, è proprio questo”.


Il Papa: la libertà non è un valore assoluto dell'individuo - Nell'udienza alla nuova ambasciatrice del Canada presso la Santa Sede
di Inma Álvarez

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 30 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Nel suo discorso alla nuova ambasciatrice del Canada presso la Santa Sede, la signora Anne Leahy, Benedetto XVI ha affermato questo giovedì che la libertà “non può essere invocata per giustificare certi eccessi”, che potrebbero portare a “un regresso nel concetto dell'essere umano”, soprattutto in questioni come la vita e la famiglia.
E' necessaria, ha spiegato, una “ridefinizione del senso della libertà”, sempre più percepita come “un diritto intoccabile dell'individuo”, mentre si ignorano “l'importanza delle sue origini divine e la sua dimensione comunitaria”.
“In base a questa interpretazione, l'individuo potrebbe da solo decidere e scegliere la fisionomia, le caratteristiche e le finalità della vita, della morte e del matrimonio”, ha spiegato il Papa.
Nonostante questo, ha aggiunto, “la vera libertà si fonda e si sviluppa in Dio. E' un dono che è possibile accogliere come un germe e far maturare in modo responsabile per arricchire realmente la persona e la società”, e ha come riferimento “una legge morale naturale di carattere universale, che precede e unisce tutti i diritti e i doveri”.
Il Pontefice si è detto convinto che “una cultura della vita”, soprattutto relativamente alla difesa della vita e della famiglia, “possa rivitalizzare il congiunto dell'esistenza canadese a livello personale e sociale”.
“So che è possibile e che il suo Paese è capace di farlo”, ha detto all'ambasciatore.
Dall'altro lato, si è riferito alla questione dell'insegnamento religioso, ricordando che è “un diritto inalienabile dei genitori assicurare l'educazione morale e religiosa dei propri figli”.
“L'insegnamento della religione, a causa del contributo specifico che può apportare, rappresenta una risorsa fondamentale e indispensabile per un'educazione che abbia tra i suoi primi obiettivi la costruzione della personalità dell'alunno e lo sviluppo delle sue capacità, integrando le dimensioni cognitive, affettive e spirituali”, ha commentato.
Benedetto XVI ha affermato che i Canadesi sono “eredi di un umanesimo estremamente ricco, grazie all'associazione di numerosi elementi culturali diversi”, tra i quali ha sottolineato “la concezione spirituale e trascendentale della vita, fondata sulla Rivelazione cristiana, che ha dato un impulso vitale al suo sviluppo come società libera, democratica e solidale”.
Rivelante è poi l'impegno del Canada a favore dei Paesi più poveri del pianeta, così come il suo ruolo nella proibizione delle mine antiuomo e “il suo contributo alla stabilità, alla pace e allo sviluppo nella regione dei Grandi Laghi in Africa”.
Benedetto XVI ha quindi ricordato che tra il Canada e la Santa Sede “c'è una lunga storia di dialogo”, specificando che “è stato significativo che Giovanni Paolo II abbia compiuto tre viaggi apostolici in Canada, l'ultimo in occasione della XVII Giornata Mondiale della Gioventù”.
“Come lei ha sottolineato”, ha aggiunto riferendosi al discorso pronunciato dal nuovo ambasciatore, “grazie alle istituzioni che ha creato e alla cultura che ha promosso, il cattolicesimo ha rappresentato una pietra angolare dell'edificio della società canadese”.
Il Papa si è detto convinto che “le vecchie radici dell'albero del cattolicesimo siano ancora vive in Canada e che possano farlo rifiorire”, e ha esortato i cattolici del Paese a impegnarsi nella società come “espressione di una amore che cerca il bene integrale dell'uomo”.
La signora Anne Leahy ha 56 anni ed è originaria di Québec. In precedenza è stata ambasciatore in Camerun, Polonia e nella Federazione Russa, ed è stata la coordinatrice generale per la Giornata Mondiale della Gioventù 2002 a Toronto.


Benedetto XVI: il dialogo tra culture e religioni, un “dovere sacro” - Ricevendo in udienza una delegazione ebraica
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 30 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Nel complesso mondo odierno, il dialogo tra le culture e le religioni è “un dovere sacro”, ha dichiarato questo giovedì Benedetto XVI ricevendo in udienza i membri di una delegazione dell'“International Jewish Committee on Interreligious Consultations”.
Ricordando che da oltre trent'anni questa realtà e la Santa Sede hanno “regolari e fruttuosi contatti, che hanno contribuito a una maggiore comprensione e accettazione tra cattolici ed ebrei”, il Papa ha affermato di voler approfittare di questa occasione per ribadire “l'impegno della Chiesa nell'implementazione dei principi espressi nella storica Dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II”.
Il documento, ha spiegato, “condannava fermamente ogni forma di antisemitismo, rappresentava una significativa pietra miliare nella lunga storia delle relazioni ebraico-cattoliche e un incoraggiamento a una rinnovata comprensione teologica dei rapporti tra la Chiesa e il popolo ebraico”.
Al giorno d'oggi, ha affermato Benedetto XVI, i cristiani sono “sempre più consapevoli del patrimonio spirituale che condividono con il popolo della Torah, il popolo scelto da Dio nella sua inesprimibile misericordia, un patrimonio che chiede più apprezzamento reciproco, rispetto e amore”.
Allo stesso modo, gli ebrei sono chiamati a “scoprire ciò che hanno in comune con tutti coloro che credono nel Signore, il Dio di Israele, che si è rivelato attraverso la sua potente parola donatrice di vita”.
Questa Parola, ha osservato il Pontefice, “ci esorta a dare una testimonianza comune dell'amore, della misericordia e della verità di Dio”, “servizio vitale nella nostra epoca, minacciata dalla perdita dei valori morali e spirituali che garantiscono la dignità umana, la solidarietà, la giustizia e la pace”.
Nel mondo odierno, spesso caratterizzato da povertà, violenza e sfruttamento, il dialogo tra le culture e le religioni deve essere sempre più visto come “un dovere sacro che spetta a tutti coloro che sono impegnati a costruire un mondo degno dell'uomo”, ha constatato il Papa.
La capacità di accettarsi e rispettarsi e di parlare la verità dell'amore è “essenziale per superare le differenze, prevenire i fraintendimenti ed evitare confronti inutili”.
Il dialogo, ha aggiunto, è “serio e onesto” solo quando “rispetta le differenze e riconosce gli altri proprio nella loro alterità”.
Un dialogo sincero, inoltre, “ha bisogno di apertura e di un solido senso di identità da entrambe le parti, perché ciascuna sia arricchita dai doni dell'altra”.
Ringraziando il Signore per “i progressi nei rapporti ebraico-cattolici” riflessi negli incontri che ha avuto con le comunità ebraiche a New York, Parigi e in Vaticano, il Papa ha incoraggiato i presenti a portare avanti la loro opera “con pazienza e rinnovato impegno”.
“Con questi sentimenti, cari amici, chiedo all'Onnipotente di continuare a vegliare su di voi e sulle vostre famiglie, e di guidare i vostri passi sulla via della pace”, ha concluso.
Il mese prossimo, l'“International Jewish Committee on Interreligious Consultations” incontrerà a Budapest (Ungheria) una delegazione della Commissione vaticana per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo per discutere sul tema “Religione e società civile oggi”.


Benedetto XVI chiede a novembre preghiere per i cristiani dell'Asia - Perché trovino i modi più appropriati di annunciare Cristo
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 30 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Benedetto XVI chiede nel mese di novembre preghiere perché i cristiani del continente asiatico, quello meno evangelizzato, trovino i modi più appropriati di annunciare Cristo.
Lo propone nelle intenzioni dell'Apostolato della Preghiera, iniziativa seguita da circa 50 milioni di persone nei cinque continenti.
Il Papa presenta due intenzioni di preghiera: una generale, l'altra missionaria.
L'intenzione missionaria di novembre dice così: “Perché le comunità cristiane dell'Asia, contemplando il volto di Cristo, sappiano trovare le vie più consone per annunciarLo alle popolazioni di quel vasto continente, ricco di cultura e di antiche forme di spiritualità, nella piena fedeltà al Vangelo”.
L'intenzione generale si ispira alla solennità di Tutti i Santi, con cui inizia il mese di novembre.
La proposta recita: “Perché la testimonianza di amore offerta dai Santi fortifichi i cristiani nella dedizione a Dio e al prossimo, imitando Cristo, che è venuto per servire e non per essere servito”.


30/10/2008 11:38 - CINA - HONG KONG - Le autorità sapevano delle uova alla melamina, ma hanno ordinato di “tacere” - Le autorità sanitarie del Liaoning hanno censurato la notizia, finché è emersa a Hong Kong. Lo scandalo si allarga a nuove ditte di uova. Ma Pechino tace, mentre cresce la confusione e il timore per consumatori e produttori. La Fao chiede “notizie” sulla sanità della carne.
Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) - Hong Kong trova melamina in una terza ditta di uova cinesi e il Segretario alla Sanità York Chow vuole “chiedere alla Cina se sia possibile istituire un certificato di ‘assenza di melamina’ per le uova esportate a Hong Kong”. Intanto fonti di stampa riportano che già dal 6 ottobre il Dipartimento della sanità animale del Liaoning ha scoperto melamina nelle uova locali e disposto accertamenti sulla ditta di mangimi Mingxing Feed Company, ma ha censurato la notizia.
Un documento del 22 ottobre del Dipartimento alla sanità – riporta il Beijing News – dispone che “non deve essere accettata nessuna intervista dei media sulla questione”. Finché il 26 ottobre la sostanza è stata trovata a Hong Kong nelle uova dell’Hanwei Group di Dalian (Liaoning), leader del settore. Han Wei, titolare della ditta omonima e anche chiamato “Il re del pollame cinese”, è un alto consigliere del governo centrale, che si è distinto per le battaglie a favore della sicurezza alimentare. I blog cinesi sono pieni di critiche e riportano le sue appassionate parole, in incontri ufficiali e anche davanti all’Assemblea nazionale del popolo, sulla “priorità del popolo” e della “sicurezza alimentare”. Ora il governo di Dalian ha proibito l’esportazione dei prodotti della Hanwei, che vende in Giappone e altrove.
Intanto a Hong Kong è stata trovata melamina nelle uova di una ditta dell’Hubei: 3.1 milligrammi per chilogrammo, poco oltre il limite consentito di 2,5 milligrammi. Ma è già grave che la sostanza chimica, usate per produrre plastica ma velenosa per l’uomo, sia contenuta nelle uova. Ora i supermercati di molte città rifiutano varie marche di uova, come la Hanwei. C’è confusione anche perché manca qualsiasi indicazione ufficiale. Ci si chiede perché Pechino ancora tace sulle cause della contaminazione. Esperti commentano che un derivato della melamina è molto usato nei mangimi animali e ritengono che sia stata assorbita dal pollame. Zhang Zhongjun, funzionario cinese presso la Fao, dice che è stato chiesto al ministero cinese per l’Agricoltura se la melamina sia stata usata in mangimi animali: si teme possa essere stata assorbita nelle carni di pollame, bovini, maiali, pesce. Di certo le uova contaminate provenivano da regioni distanti: Hubei, Shanxi, Liaoning, e le autorità per la sicurezza alimentare le hanno indicate come “prodotto biologico”.
Wang Zhongqiang, portavoce dell’Associazione dell’industria per il pollame nazionale, ha spiegato ieri che “l’intera industria del pollame è nella completa disperazione”, “da giorni produttori e agricoltori chiedono un intervento, perché la domande e i prezzi delle uova crollano. Mi risulta che nel Jiangsu i prezzi sono scesi da 3,6 a 3 yuan (da circa 36 a 30 centesimi di euro) per mezzo chilo di uova e in alcune province nordorientali i grossisti non ordinano più uova”. “Stiamo iniziando un’ampia indagine per accertare cosa è successo. Avremo un’idea generale in un paio di giorni”.
Oltre 53mila neonati si sono ammalati ai reni (con 4 morti) per avere consumato latte in polvere di grandi ditte cinesi contenente elevate quantità di melamina.


Dal Senato italiano - Approvata una mozione - contro la persecuzione dei cristiani
Roma, 30. Il Senato italiano ha approvato all'unanimità una mozione sottoscritta da tutti i gruppi politici contro la persecuzione subita dalle comunità cristiane nel mondo. Il testo ha unificato le quattro mozioni presentate da Lega, Partito democratico, Popolo delle libertà e Unione di centro. La mozione così unificata e approvata in aula impegna il Governo "ad adoperarsi in tutte le sedi comunitarie e internazionali, nonché nell'ambito dei rapporti internazionali bilaterali, affinché vengano garantiti i diritti fondamentali della persona e le libertà religiose e venga posta fine alle violenze e alle persecuzioni alimentate dal fondamentalismo etnico e religioso in ciascun Paese o area di crisi mondiale". In particolare, la mozione impegna il Governo "ad assumere iniziative volte a contrastare le persecuzioni delle comunità cristiane in India, Iraq e in altri Paesi da parte di gruppi estremisti e fondamentalisti; a promuovere il rafforzamento del ruolo internazionale dell'Unione europea quale modello culturale, sociale e istituzionale di riferimento per la tutela e la promozione su scala mondiale dei diritti umani e della pace; a considerare il dramma delle persecuzioni come prioritario nell'ambito delle relazioni bilaterali e internazionali". Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel corso dell'intervista rilasciata a "L'Osservatore Romano", aveva espresso l'auspicio che si levasse più alta la voce dell'Occidente per fermare le persecuzioni.
(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2008)


Italia, la ricchezza sono i valori - Giorgio Vittadini - venerdì 31 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Nell’attuale crisi di origine finanziaria il dibattito rischia di fermarsi a livello economico, mentre molti elementi inducono a pensare che sono in gioco questioni cruciali per gli stessi valori alla base della convivenza. Infatti molti degli errori che stanno alla radice di questa crisi nascono da una distorsione del rapporto tra uomo e realtà.
Si è pensato che la finanza potesse generare valore e ricchezza prescindendo da un loro corrispettivo reale legato a un valore d’uso di beni e servizi che solo può generare il loro valore di scambio non drogato. Si è ritenuto che i finanzieri, quasi nuovi alchimisti, potessero rispondere magicamente al pur giusto desiderio di migliorare le condizioni di vita di larghi strati della popolazione (es. mutui per case, credito al consumo) superando il limite imposto dalla realtà e dalla effettiva capacità personale e familiare di generare reddito, in grado di restituire prestiti ricevuti.
Si è concepito uno sviluppo che potesse prescindere dall’equilibrio tra tutti i fattori della personalità del singolo e dell’umanità nel suo complesso, dalla necessità di preservare e incrementare i suoi legami religiosi, familiari, sociali e di rispettare l’ambiente in cui si vive.
Si sono considerati ininfluenti i valori umani per la vita economica, per scoprire oggi che la conseguenza più grave della crisi finanziaria è una perdita generalizzata di fiducia (etimologicamente anche alla radice del “dar credito” in senso economico), fondamentale non solo per la vita personale, ma anche per l’economia reale, per la possibilità di investire, consumare, perfino fare transazioni economiche e finanziarie e per i rapporti fra stati.
Già dieci anni fa, nell’aprile del 1998, don Giussani scriveva su un quotidiano nazionale che «l’unico dio reale nella società di oggi è il soldo. Eppure tutto il potere in atto, nella sua impotenza, sembra tante volte non offrire neanche un accenno di speranza per il popolo. Così che gli uomini, quando guardano l’orizzonte, e anche il cielo, debbono accusare paura. E anche i più saggi del mondo, coloro che passano per ispiratori della verità dell’uomo e del benessere del popolo, i guru, non sanno che fare».
La risposta a questa crisi non può limitarsi quindi alle pur sacrosante misure per rilanciare l’economia, ad una fiducia fideistica nella capacità di autoregolamentazione del mercato o al rilancio di un intervento statale che, se fatto senza criterio, incrementerà quello statalismo già tanto pernicioso verso la capacità di iniziativa e di aggregazione sussidiaria degli uomini.
Mentre si ricercano nuovi e più adeguati modelli economici, occorre ascoltare il monito contenuto nel discorso che il papa ha rivolto al mondo della cultura a Parigi, secondo cui l’economia non può prescindere dai valori fondamentali dell’uomo nella sua integralità. Un duraturo ed equilibrato sviluppo economico può nascere solo dal desiderio di verità, giustizia, bellezza, che alberga nel cuore dell’uomo e che neanche la corruzione del suo limite e del suo peccato possono distruggere. Questo desiderio, educato per secoli nell’esperienza della Chiesa, coltivato in realtà sociali e popolari ad alto connotato ideale, socialista o liberale, ha generato nel nostro Paese un mondo di piccole, medie e grandi imprese, attente a innovazione e progresso, uno sviluppo attento a carità e solidarietà, una miriade di famiglie e realtà sociali capaci di farsi carico di molti bisogni personali e collettivi, una democrazia ad alto tasso di partecipazione, un sistema in cui la salute è statisticamente tutelata come in pochi altri punti nel mondo. Per anni si è pensato che questo portato religioso o ideale in ambito economico e sociale fosse il passato: ma il degrado, già presente nel nostro Paese anche prima della crisi economica, dipende invece dall’abbandono di questa esperienza ideale, personale e sociale. Oggi questa è invece la nostra grande risorsa per ripartire di fronte alla crisi, con rinnovata fiducia e speranza.
(Il Sole 24 Ore, 31 Ottobre 2008)


EDUCAZIONE/ Israel: ora più che mai è importante incontrare veri maestri
INT. Giorgio Israel - venerdì 31 ottobre 2008 – IlSussidiario.net

Professor Israel, alcuni anni fa personalità della società civile e della cultura lanciarono un appello per l’educazione, che prendeva spunto da un’affermazione di don Giussani: «Se ci fosse un’educazione del popolo tutti starebbero meglio». Di fronte allo spettacolo di questi giorni, che ha coinvolti bambini, ragazzi, genitori e docenti, che ne è dell’emergenza educazione?
Quello di questi giorni è uno spettacolo che illustra lo sbando cui è arrivata parte della nostra società. La nota più caratteristica soprattutto dei fatti di ieri è che i presunti “giovani” che guidano la protesta sono in realtà gli anziani, gli ex-sessantottini invecchiati che trascinano irresponsabilmente i giovani veri, disinformandoli in modo spaventoso. A questo si aggiunge il fatto ancor più riprovevole dei bambini che vengono portati in piazza; si è arrivati anche al caso limite di maestri che hanno trascinato i loro alunni in spettacoli di dubbio gusto, con travestimenti che richiamavano a Berlusconi e alla Gelmini. Questo è un abuso di minore, né più né meno. Io genitore che mando il bimbo a scuola mi fido del maestro, proprio secondo quell’idea totale di fiducia di cui parlava don Giussani: mi fido cioè del fatto che il ruolo del maestro sia quello di essere educatore, che trasmette conoscenza e passione. E invece vengo tradito in modo indegno nella mia fiducia, perché il bambino viene usato. Ma c’è poi anche il problema che in alcuni casi sono i genitori stessi che tradiscono i loro bambini. È uno spettacolo veramente poco edificante.
Possiamo dunque dire che il problema principale, soprattutto sulla scuola, non è politico, bensì educativo: ma come fare per rilanciare veramente di fronte all’opinione pubblica l’importanza della questione educativa?
Bisogna avere un’infinta pazienza, perché chi lotta sul fronte dell’educazione autentica non ha gli strumenti della propaganda immediata. È più facile che si diffonda la menzogna. Io non sono però pessimista: sono convinto che nel campo della scuola e dell’educazione ci siano molte persone che si stanno rendendo conto del diastro cui siamo arrivati, e che la coscienza sia cresciuta molto da questo punto di vista. Inoltre mi pare che la reazione scomposta della piazza, tanto più perché mossa e guidata non da giovani ma da persone di una certa età, sia un segno di un mondo in crisi che sta reagendo per non essere privato del proprio potere sulla scuola. È un sussulto, un colpo di coda da parte di chi si sente in difficoltà per la prima volta in un terreno che ha sempre ritenuto di proprio dominio. Sono molti quelli che si stanno rendendo conto che da trent’anni abbiamo lasciato il sistema educativo a mani che non avevano a cuore l’educazione vera.
Sembrerebbe però esserci un ostacolo fondamentale: i giovani che seguono le ragioni di chi difende il proprio dominio nel campo educativo sono tanti, a giudicare dalle adesioni alle manifestazioni…
Sono tanti, ma meno di quanti si creda. E sono pienamente convinto che siano una minoranza, anche se naturalmente molto chiassosa. Per questo mi pare indegna l’affermazione di ieri di Epifani, che parlava di «un intero popolo che insorge». Non è così, e soprattutto non lo è per i giovani. Me ne rendo conto soprattutto in università: io ho difficoltà ad andarci in questo giorni a causa del clima di fanatismo di molti docenti, che hanno votato irresponsabilmente per la sospensione della didattica. Mentre gli studenti invece hanno votato contro. La situazione dunque non è così chiara come si vorrebbe far credere: quelli che protestano sono pochi, e non rappresentano nessuno
L’esigenza che muove questi giovani, al di là della condivisione o meno degli argomenti, è comunque un’esigenza positiva: come fare per dare credito all’esigenza buona, anche se male espressa, che li muove?
Molti studenti sono disorientati, e vorrebbero essere informati meglio su quello che accade. Certo, hanno un malessere, e hanno ragione: si trovano a studiare in strutture spesso pietose, e quando vanno all’estero vedono università, come quelle americane o anche di altri paesi europei, in condizioni molto diverse dalle nostre. Eppure da noi si vuole mantenere tutto com’è. Io, ad esempio, sono scandalizzato dal fatto che il senato accademico ammetta, a porte chiuse, le proprie colpe, e che poi gli stessi docenti vadano con l’eskimo in piazza a fare lezione. Stanno corrompendo i giovani, e noi dobbiamo fare uno sforzo per far capire quello che realmente sta accadendo. I ragazzi sono disposti a capire, quando qualcuno parla loro pacatamente. Ad esempio, capiscono benissimo che ha senso proporre un cospicuo aumento delle tasse universitarie, per poi dare borse ai meritevoli: chi vuole parcheggiare paghi salato, chi studia abbia borse. Oppure capiscono che è giusto chiudere le università di troppo, e ad esempio ricostruire al loro posto le case dello studente. L’università, i docenti invece no, non lo capiscono: reagiscono, fanno lezione in piazza, e danno un cattivo esempio. Rappresentano un fenomeno di diseducazione. Ma io invito i giovani a non andar dietro a questi cattivi maestri: protestino anche per quello che vedono che non va, ma non si facciano trascinare da chi non ha a cuore la loro educazione.
Dunque la questione educativa dev’essere riportata al centro. Un richiamo che però non deve rimanere in astratto, ma deve incidere di fatto anche sulle scelte concrete.
Io però credo poco alle soluzioni di carattere strutturale e tecnico: l’educazione è una questione direi quasi “missionaria”. È cioè necessario che si mobiliti la gente che ci crede profondamente, perché l’educazione è fatta da rapporti tra persone, e non si risolve con le formule. Questo è il momento che chi crede nella funzione educativa venga allo scoperto, perché si capisca veramente cosa significa essere un maestro, mostrarlo nella pratica, dare un lascito di conoscenza e passione. È qualcosa che si fa solo con la testimonianza. Non è una cosa che si conquista con la tecnica. Un po’ come nei concorsi: si tenta di renderli morali e perfetti, ma non c’è un meccanismo salvifico. Invece che studiare meccanismi perfetti, bisogna mobilitare le forze – e, ripeto, non sono poche – che credono nella questione educativa.


SCUOLA/ Due buone notizie dalla giornata dello sciopero insensato - Renato Farina - venerdì 31 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Le immagini e le fotografie dello sciopero sono quasi tutte allegre. Ma esse non dicono la verità, la pitturano, mascherano il vuoto e l’irresponsabilità. La realtà infatti è triste. La manifestazione nega la speranza, è una saracinesca tirata giù sulla possibilità di lavorare insieme per cambiare.
Detto questo: chi ci tiene all’educazione autentica, e che ogni giorno si impegna perché l’educazione trovi nella scuola un luogo di privilegiata espressione, non si arrende. Magari sarà una minoranza creativa, che ha dalla sua parte una maggioranza silenziosa e incapace di argomentare il suo sentimento positivo della vita; di certo è una minoranza creativa che ha contro il potere cui non interessa la crescita seria delle persone e attraverso i mass media appoggia le marce del nulla. Specialmente questa marcia su Roma del nulla.
Essa segnala la capacità nefasta di chiamare in piazza centinaia di migliaia di studenti, professori, mamme con bambini per mano o attaccati agli striscioni, solo per essere contro. Contro una persona in particolare, il cui nome appare anche qualificato come il diavolo, e comunque il nemico del loro futuro, persino sulle magliette dei più piccoli.
Poi in tivù ci sono immagini festose, ma in fondo il risultato è una banconota falsa: compra illusioni. Esse sono volutamente accattivanti, restano però la réclame del Paese dei Balocchi. Un posto dove alla fine ci si disumanizza. Slogan spiritosi, bambini in prima fila sorridenti. Vignette colorate. Ci sono - è vero - anche istantanee soffocanti: gli studenti che stringono d’assedio il ministero, con lancio di uova; bottiglie tirate dagli studenti ai poliziotti a Bologna con ferimento di una giornalista. Ma vengono messe in secondo piano, in fondo ritenute ovvie documentazione di banali incidenti.
Non va, proprio non va. Il primo motivo del mio dissenso l’ho dichiarato: il carattere di manifestazione contro. Di demonizzazione fintamente umoristica dell’avversario.
Ma ce n’è altre di ragioni. L’ignoranza assoluta riguardo al provvedimento contestato è incresciosa, e avallata dai leader di partiti e sindacati.
Il tema ufficiale riguarda i tagli previsti sulla scuola: falso. Nel decreto si parla solo di voto in condotta, di giudizio in decimali, di educazione civica, maestro prevalente (con garanzia di tempo pieno, a 40 ore prevista e garantita per legge!), regole per i testi scolastici in funzione di un risparmio delle famiglie.
Questi argomenti non sono minimamente richiamati. Infatti sono temi popolari: riscuotono tra il 60 e l’89 per cento di gradimento secondo i sondaggi di Renato Mannheimer-Ispo per il Corriere della Sera.
Allora, pur di indire scioperi, fare manifestazioni di massa, avere l’appoggio di chi non sa, si imbrogliano le carte e si parla di tagli e licenziamenti che non ci sono. Si allarmano le famiglie, sostenendo che le madri lavoratrici dovranno spendere otto euro all’ora per baby sitter nei pomeriggi senza scuola. In realtà per ora gli unici tagli sui bilanci familiari ieri li ha fatti questo sciopero, costringendo madri o padri a badare ai piccoli invece che andare al lavoro o cercando custodi improvvisati a pagamento.
Intanto finora gli unici tagli previsti dalla futura legge finanziaria sono quelli alla scuola non statale, specie le materne e le elementari. La pressione anche de ilsussidiario.net e di un gruppo di deputati del Pdl (tra i quali mi onoro di esserci) ha indotto Berlusconi a promettere il reintegro dei 133,4 milioni di euro tagliati.
Questa ieri era la buona notizia sulla scuola, insieme al senso di responsabilità di molti studenti e professori che hanno provato a fare scuola, non contro i manifestanti, ma perché questa è una buona cosa, anzi molto buona.


IL FUTURO DI SCUOLA E UNIVERSITÀ - ORA UN’IDEA FORTE CHE SBLOCCHI LA CONTRAPPOSIZIONE - MARCO TARQUINIO – Avvenire, 31 ottobre 2008
Dov’era, ieri, il futuro della scuola e delle università italiane? Per le vie di Roma ribollenti di proteste e slogan stu­denteschi e sindacali o nei primi detta­gli del piano per gli atenei che il ministro della pubblica istruzione, dell’università e della ricerca si appresta a presentare? Nell’articolato ancora fresco d’approva­zione della legge che da Maria Stella Gel­mini prende nome o nell’annunciato re­ferendum abrogativo di quello stesso te­sto? Nelle nuove assegnazioni di fondi che la Finanziaria 2009 sta per fissare o nell’ennesimo e feroce braccio di ferro tra Regioni e Stato che i governatori (o i loro assessori) preconizzano e i ministri minacciano di affrontare a colpi di «com­missariamento » degli enti locali?
La risposta non è semplice, ma neppu­re impossibile. Perché il futuro della scuola e dell’università – e, dunque, buo­na parte del futuro dell’Italia – passa per­sino drammaticamente un po’ per tutti questi eventi anche se in nessuno di es­si si esaurisce. Ma, soprattutto, perché per ragionare seriamente di futuro è in­dispensabile uno sforzo che in queste o­re può apparire titanico: proiettarsi ol­tre le guerre e guerricciole di posizione che stanno infuriando, per guardare dav­vero in avanti. Serve, insomma, archi­viare supponenze governative e dema­gogie oppositorie. Serve aprire canali di comunicazione e riaprire tavoli di con­fronto.
Riprendiamo e ampliamo, perciò, il filo della riflessione che abbiamo già avvia­to a caldo. Partendo da una constata­zione che a qualcuno apparirà forse ov­via, ma che – nel cozzo di opposte rigi­dità – temiamo si corra il rischio di tra­lasciare: il mantenimento dello status quo nei vari livelli del 'pianeta istruzio­ne' sarebbe solo una jattura per stu­denti, famiglie e docenti. Nella scuola e nell’università – lo hanno argomentato anche illustri professori: da Luca Ricol­fi a Francesco Giavazzi a Luigi Frati – spe­se e costumi accademici devono essere rivisti e corretti, e ci sono i margini per farlo. Se è vero, infatti, che i 'tagli' non sono mai una riforma, è altrettanto ve­ro che, spesso, ne sono la necessaria pre­messa. O qualcuno pensa che, altri­menti, cambierebbero registro «autono­mamente » coloro che hanno consenti­to nascita e oneroso radicamento di cor­si di laurea con iscritti che si contano sulle dita di una sola mano, hanno la­sciato gonfiare a dismisura il rosso dei bi­lanci di istituti e atenei, hanno contri­buito a far esplodere ( e magari pilotato) il precariato degli insegnanti?
Ieri mattina, poi, bastava scorrere le pri­me pagine dei giornali per rendersi con­to che certa informazione ( anche quel­la – spiace notarlo – legata al Pd) appa­re falsata dalla rimozione dei problemi realmente sul tappeto e dal ricorso ai so­liti e ideologici luoghi comuni, a comin­ciare – manco a dirlo – dall’invettiva sul « denaro pubblico alle scuole private » . È la spia di una pervicace volontà di con­tinuare a rimandare sine die il momen­to in cui anche in questo nostro Paese si potrà ragionare con serenità sulla strut­turazione di un sistema pubblico d’i­struzione fondato, secondo standard a­deguati e comuni come accade in tutte le grandi e libere democrazie, sulle scuo­le dello Stato e su quelle della società.
Il caso istruzione è, insomma, tutt’altro che risolto. È evidente, infatti, che i pro­blemi sinora emersi sono solo l’incipit di un discorso che va articolato com­piutamente. Qualcuno – per esempio il Foglio – ha auspicato, per cominciare a scrivere pagine nuove e utili, la convo­cazione degli « stati generali della scuo­la » . È un altro modo per sollecitare un’i­dea forte, e cambi di passo e di metodo nella gestione di un dossier arroventatosi oltremodo. Per invitare a scrutare senza paraocchi l’oggi e a orientare lo sguardo al domani. È un buon consiglio, per tut­ti. E visto che per arrivare agli « stati ge­nerali » servirà un percorso di buone vo­lontà e di buone politiche, è bene che si parta subito. La prima mossa, ovvia­mente, spetta a chi governa.


PER LASCIARSI VIVERE SENZA TROPPI SIGNIFICATI - Se la morte perde l’epica ecco tornare Halloween - PIO CEROCCHI – Avvenire, 31 ottobre 2008
L a festa di Halloween in se stessa è una pura banalità e non metterebbe conto scriverci sopra. Essa, però, è per così dire entrata nel mercato globale del costume oltre che degli affari, e perciò merita una riflessione che restituisca le giuste proporzioni all’oggetto del festeggiamento: la morte. Per non rubare spazio all’intelligenza del giornale e dei suoi lettori, diciamo subito che Halloween è l’ennesimo tentativo, posto in essere da un Occidente secolarizzato, di esorcizzare la paura per il suo vuoto morale ( e spesso anche civile), con l’ennesima festa ' commerciale'.
Se non bastassero le drammatiche notizie attorno alla ' fine della vita' sulle quali l’umanità si interroga e, confrontandosi, si divide sulle differenti concezioni sul suo valore, forse non sarà inutile gettare lo sguardo sulla vicenda bimillenaria del cristianesimo nella storia del mondo, a partire dall’idea del martirio. I primi cristiani vittime della repressione imperiale giudicavano il loro sacrificio e la loro morte un ' trofeo', cioè il segno di una vittoria, che nell’antichità apparteneva soltanto ai ' grandi'. Furono i cristiani, infatti, a restituire alla vita di tutti l’idea di una uguale dignità personale derivante dall’unica figliolanza divina, e quindi della natura soprannaturale dell’anima che il corpo custodiva come un tempio inviolabile. Sacro.
Una concezione alta della vita, sulla quale la morte non ha potere, tanto da far dire nella liturgia, che agli uomini ' la vita non è tolta, ma trasformata'. Ed è per questo che all’antica religione dei lari, tutta racchiusa nella tradizione di ogni singola famiglia, il cristianesimo propone anche per i più umili la possibilità di una testimonianza universale, ed una lunga memoria.
Una concezione non banale della morte in perfetta analogia con quella della vita, e tuttavia non sufficiente - come è ovvio - al superamento della paura. Anzi le enormi calamità naturali e belliche del medioevo ( Gregorio Magno nel 590 era convinto che il mondo fosse ormai giunto alla sua fine), e le reciproche contaminazioni tra la cultura giudaico- cristiana con le tradizioni pagane e dei barbari, accentuarono negli uomini il sentimento della paura, risuscitando antiche superstizioni accompagnate da diffuse pratiche di magia. Quando la speranza di vita non superava i trenta anni e la mortalità infantile oscillava attorno al quaranta per cento dei nati vivi, la morte non poteva non essere un pensiero costante. Una ossessione. Quasi un delirio collettivo come dimostrano numerose testimonianze ed anche alcuni affreschi di ' danze macabre' sulle pareti delle chiese ( ce n’è uno ben conservato a Pinzolo in Val Rendena, nel Trentino).
In quei tempi, appunto, si accendevano fuochi nelle campagne, dentro e fuori le zucche, ripristinando antiche superstizioni che l’ignoranza aveva contribuito a conservare. Tra questi riti c’era pure quello di un Halloween primitivo che adesso per ragioni commerciali viene risuscitato, con un’inutile festa nella cui baldoria finisce per perdersi, quasi che la decadenza di significato della morte autorizzi gli uomini a lasciarsi vivere senza senso. A caso, mentre tutto ciò che è intorno a noi, come drammaticamente le cronache ci ricordano, porterebbe a credere esattamente il contrario.