Nella rassegna stampa di oggi:
1) IL CASO/ Dov'è finita l'emergenza cibo? - Dario Casati - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
2) ABORTO/ Il Tar blocca le linee guida della Regione Lombardia e scava un solco tra i cittadini di serie A e di serie B - Carlo Bellieni - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
3) SCUOLA/ Dalla Camera un importante passo avanti sulla strada della parità - Vincenzo Silvano - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
4) OLTRE IL NICHILISMO/ Jan Patocka: l’esperienza del dissenso come affermazione della positività del reale - Redazione - venerdì 10 ottobre 2008
5) INQUIETANTE PRONUNCIAMENTO: ASSERISCE QUEL CHE NEGA - Sentenza andata oltre la legge E la Corte fa Pilato - MARCO OLIVETTI – Avvenire, 10 ottobre 2008
IL CASO/ Dov'è finita l'emergenza cibo? - Dario Casati - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Dov’è finita l’emergenza alimentare? La domanda stessa lascia intendere come l’attenzione generale su questo problema, molto intensa nei giorni caldi dell’impennata dei prezzi agricoli, si sia improvvisamente allentata, quasi che non esistesse più o, quanto meno, fosse avviata a soluzione. A complicare terribilmente le cose è arrivata la bufera finanziaria mondiale che ha attirato attenzioni infinitamente maggiori. I pur mutevoli interessi dei media e dell’opinione pubblica sono ora concentrati su altro, ma ci sembra comunque necessaria qualche riflessione, anche perché le due questioni presentano un fitto intreccio di legami. Nel momento del maggior clamore ci eravamo permessi di dire che era indispensabile non perdere la testa e mettere in atto tutta una serie di interventi che evitassero in futuro il ripetersi di episodi analoghi o di entità superiore. Esprimevamo, inoltre, dubbi sulla sua durata ed entità.
La lezione della crisi finanziaria conduce alle stesse indicazioni. Per i prodotti agricoli la ripresa della produzione nell’emisfero settentrionale, unita alle previsioni per quello meridionale i cui raccolti sono ormai imminenti, lascia prevedere un’annata record e i prezzi sono in calo. Le prime stime della Fao indicano che già quest’anno vi sarà una parziale ricostituzione delle scorte, intaccate nei tre anni precedenti, che proseguirà nel 2009. Sul fronte della domanda non vi sono state anomalie: essa cresce a ritmi compatibili, mentre la stretta della speculazione si è allentata passando, appunto, ad altri e ben più preoccupanti modi di esprimersi.
Tornando alla crisi agricola vi sono due aspetti specifici che destano preoccupazione: a) la dinamica dei costi degli strumenti produttivi che non accenna a scendere, b) il persistere di una serie di provvedimenti di politica agraria estemporanei e contraddittori che non vengono eliminati Infine rimane ancora da formulare un ragionevole piano di sviluppo della produzione agricola che in futuro attenui le conseguenze di questo genere di crisi. Non ci si è occupati del potenziamento della produttività agricola basato sugli investimenti in infrastrutture idriche, di trasporto, di conservazione, e sull’introduzione di innovazione scientifica e tecnologica, la sola strada per contenere gli incrementi dei mezzi di produzione e per aumentare le rese produttive sia nei paesi ricchi sia, e ancor più, in quelli dove la crisi ha provocato un arretramento dei livelli alimentari. Al contrario i Governi dei diversi paesi si sono esercitati nello sfornare numerosi provvedimenti, spesso dettati dalla piazza, caratterizzati da estemporaneità e scarsa coerenza logica. Ora che la fase acuta sembra alle spalle occorre mettersi all’opera per evitare che si ripeta.
Nei giorni scorsi si è tenuta a Venezia l’annuale Conferenza promossa dalla Fondazione Veronesi e da altre prestigiose Istituzioni sul tema generale Future of Science che questa volta era centrato su Water and Food for Life. Una scelta che le ha permesso di essere esattamente impostata su un’attualità che non avrebbe potuto essere meglio individuata. Dobbiamo attenderci per l’anno 2050 un raddoppio della domanda complessiva di alimenti per tenere conto dell’aumento della popolazione, dell’esigenza di innalzare i consumi pro capite di circa un quinto dell’umanità e di soddisfare i nuovi modelli alimentari dei paesi emergenti, ecco perché occorre valutare con grande attenzione le prospettive che si possono dischiudere. Le risorse produttive sono limitate. In particolare la più importante, la terra coltivabile, non è ragionevolmente aumentabile per ovvie ragioni di compatibilità ambientale. Ecco allora che è necessario puntare su soluzioni in grado di aumentare le disponibilità alimentari, agendo su due versanti: gli incrementi di produttività e la salvaguardia delle produzioni ottenute, sottoposte a perdite troppo elevate proprio nei paesi in maggiore difficoltà. Per entrambi è indispensabile un miglioramento delle tecnologie in uso e una consistente immissione di innovazione scientifica e tecnologica.
A Venezia erano convenuti numerosi scienziati che hanno indicato le linee di tendenza della ricerca e i potenziali risultati, alcuni già a portata di mano, per l’acqua, indispensabile supporto alla vita umana sia come alimento in sé sia come potente strumento di produzione, e anche per i prodotti agricoli. Insieme ai temi strettamente scientifici si è dibattuto anche di economia, di politica e di etica. Una miscela di contenuti stimolante e importante che ha fornito un’immagine molto positiva di ciò che si potrebbe fare per affrontare il problema seriamente e sin dalle radici. Dai resoconti giornalistici sembra che si sia parlato solo di O.g.m., ma questa sarebbe una banalizzazione della questione che non rende giustizia né alla varietà e ampiezza dei contributi né al senso complessivo del dibattito.
Il punto centrale, infatti, non è, e non può essere, la contrapposizione fra il si e il no agli O.g.m., ma consiste nella serena valutazione delle possibilità offerte anche in agricoltura dall’avanzamento scientifico e delle conoscenze reso possibile dallo sviluppo delle biotecnologie. Un insieme di metodi e di acquisizioni che è accettato tranquillamente in altri campi, compresa la cura della salute umana, ma che è oggetto di un aprioristico rifiuto nelle applicazioni agricole. Le necessità alimentari dell’umanità richiedono un approccio concreto e sereno al problema dell’impiego delle bioscienze anche in campo agricolo, cercando di compiere un secondo passo in avanti nella produzione degli alimenti dopo quello che fu realizzato nella prima metà dell’Ottocento e che permise il decollo dell’economia mondiale e la relativa stabilità delle condizioni base di vita dell’uomo, finalmente sottratto alla rigida equazione fra alimenti spontaneamente forniti dalla natura e bisogni alimentari crescenti. Siamo pronti per una nuova rivoluzione agricola di cui abbiamo un disperato bisogno per assicurare un futuro migliore all’umanità anche, e specialmente, nelle grandi crisi che il mercato mondiale proporrà in futuro in un contesto complessivo di grande volatilità dei prezzi di tutto, compresi i prodotti alimentari. Non dimentichiamo che l’uomo per vivere deve potersi nutrire.
ABORTO/ Il Tar blocca le linee guida della Regione Lombardia e scava un solco tra i cittadini di serie A e di serie B - Carlo Bellieni - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del Tar che bloccava i protocolli della Regione Lombardia sull’interruzione di gravidanza. Infatti nella regione di Formigoni era stato stabilito, in ossequio alla legge 194, che gli aborti tardivi non si potessero fare oltre il termine di 22 settimane e 3 giorni dal concepimento.
D’altronde la legge 194 lo dice chiaramente: da quando il feto ha la possibilità di vita autonoma, non si può eseguire aborto terapeutico, se non in caso di rischio per la vita della madre. Così recita l’articolo 7 della legge. Che il limite di possibilità di vita autonoma sia di 22 settimane è un fatto risaputo: di norma a questa età la sopravvivenza è del 7%, con livelli ancor più alti riscontrati in Giappone dove sono arrivati al 30% (fonte: Tsuchida Shin'ya, Acta Neonatologica Japonica, 2001).
Dunque su che base se non questi numeri si può rendere “discrezionale” rianimare un bambino nato da aborto? Come decidere se non sui dati dell’evidenza scientifica? L’alternativa è lasciar morire un cittadino italiano (si diventa cittadini al momento del primo respiro) perché l’aborto tardivo non è altro che un parto prematuramente indotto, la cui conseguenza è la nascita di un bimbo cui di solito (tranne eccezioni) batte il cuore, funziona il cervello e il respiro va, seppur stentato e fragile. Siccome di solito il feto a quell’età gestazionale non è abortito perché in fin di vita, ma perché ha malattie che i genitori reputano di non volere in un figlio (o che reputano rendere la vita di “bassa qualità”), spesso nasce vivo, e se i polmoni sono minimamente maturi potrà avere – se prontamente assistito - una chance di sopravvivere.
Per evitare i “problemi italiani” (nascita di un bimbo vivo) in certi Stati USA fino a qualche anno fa si ricorreva ad una via spiccia: l’ “aborto a nascita parziale”: per non rischiare un intervento intrauterino, si faceva uscire parzialmente il feto e – mantenendo la testa dentro l’utero per evitare il primo respiro - si “terminava” con tecniche chirurgiche invasive e cruente. Così il bambino “nasceva morto”. Non ci sembra un’esperienza da imitare.
La legge italiana è meno cinica: tutela chi ha delle chances di farcela, vieta la soppressione del feto in epoca con possibilità di sopravvivenza; sa che ogni bambino vivo (almeno lui) va tutelato. Inoltre ha nel suo impianto una regola d’oro: non impose al momento della sua promulgazione (1978) un’età sopra cui impedire l’aborto, proprio perché era ovvio che la scienza avrebbe fatto passi avanti. Nel 1987 non sopravvivevano bambini sotto le 26 settimane; ora non sopravvivono sotto le 22: la scienza ha guadagnato alla vita un mese di speranza.
Ovviamente nascere a 22-23 settimane non è banale: il rischio di morire è altissimo, e anche alto è quello di restare colpiti da danno fisico per la nascita prematura. Ma questo semmai imporrebbe non di lasciar morire il bambino a rischio di disabilità, ma di evitare un aborto con tutti i mezzi.
Il problema vero è che si sta erodendo in una parte della popolazione generale (feti, bambini, disabili, anziani, evidentemente “di serie B”) il diritto alla vita, che si vorrebbe compensare elargendo diritti di altro genere alla popolazione “di serie A” restante (i cosiddetti “diritti civili”). Il diritto alla vita inizialmente è stato infatti soppresso in epoca fetale, rendendo il bambino non ancora nato un cittadino di serie B; poi si è passati al neonato, la cui rianimazione prima obbligatoria, sta diventando in tanti Stati discrezionale (spesso secondaria al volere dei genitori o alla futura disabilità); contemporaneamente si sta erodendo il diritto alla vita dell’anziano e del disabile cui si stanno aprendo tutte le facilitazioni verso eutanasia e suicidio assistito mentre resta in ripida salita per loro la strada - pur percorribile - della cura di depressione, dolore e ansia. Sentiamo dire che può esser giusto lasciar morire il bimbo nato da aborto perché altrimenti si andrebbe contro il desiderio dei genitori, e questo ci sconvolge dato che pensavamo scomparso da tempo il diritto di vita e morte del pater familias (o madre) sul figlio. Evidentemente la storia si ripete.
Non ci affascina la legge 194, ma chiediamo che almeno venga applicata in toto. Sapere che essa tutela tutti quelli che hanno speranza di farcela e poi sentire che questo umano e basilare dettato può decadere ci rattrista; ma le ragioni contrarie ai protocolli della regione Lombardia sono dure da sostenere alla luce del progresso scientifico, e questo ci dà la certezza che l’interpretazione data alla legge dalla stessa Regione prevarrà, per il buon uso della ragione che la guida.
SCUOLA/ Dalla Camera un importante passo avanti sulla strada della parità - Vincenzo Silvano - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
E’ una notizia importante. Una di quelle -purtroppo rare nei giornali- di cui rallegrarsi: è stato accolto ieri mattina (9 ottobre) dalla Camera con il voto favorevole di PdL, Lega e UDC (astenuti Italia dei Valori e Pd, anche se alcuni deputati del Partito democratico hanno votato a favore) l’ordine del giorno presentato ieri e relativo alla libertà di scelta in materia di scuola.
E’ un passo importante, che impegna il Governo a provvedere con successivi atti all’introduzione di una effettiva libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie. Questa potrà avvenire attraverso strumenti quali l’introduzione della definitiva autonomia giuridica e didattica delle scuole, la realizzazione di un sistema di valutazione capillare che consenta alle famiglie di disporre delle informazioni utili per la scelta e l’introduzione di strumenti di finanziamento alle famiglie per la scelta della scuola.
Ma c’è un aspetto ulteriore di cui rallegrarsi, una notizia dentro la notizia, rintracciabile analizzando la distribuzione dei voti (Presenti: 484;Votanti: 307; Astenuti: 177; Contrari: 12; Favorevoli: 295). Forse qualcosa sta cambiando davvero: solo 12 contrari. Vabbè che non c’è più il blocco dell’ultrasinistra, però la gran parte dei voti contrari e delle polemiche su questo tema arrivava anche dalla sinistra “moderata” (ex ulivo). Che stavolta, invece, si è astenuta. Generalmente, in lingua “politichese” gli astenuti devono essere tradotti con un “vorrei ma non posso…”. Pochi contrari, dunque; ed è ancora più sorprendente se consideriamo che l’ordine del giorno presentato contiene affermazioni “pesantissime” quali: “allo Stato compete, ai sensi della Costituzione, garantire a tutti il diritto all’istruzione, non quello di gestire direttamente istituti scolastici; il diritto-dovere dell’educazione e dell’istruzione è posto dalla stessa Costituzione in capo ai genitori, che devono poterlo esercitare attraverso un’effettiva libertà di scelta della scuola per i propri figli, in considerazione del modello educativo corrispondente alle proprie convinzioni ed indipendentemente dalle condizioni economiche; le scuole paritarie, ovvero “pubbliche non statali”, rispetto a quelle “pubbliche statali” dimostrano generalmente una qualità superiore a fronte di un costo medio per alunno decisamente inferiore…” . Ed altro ancora. No, non era davvero ovvia una sua approvazione a larga maggioranza.
La cultura statalista e accentratrice che ha impedito sino ad oggi l’introduzione di una reale parità scolastica, generando conflitti ideologici accesissimi ogni volta che veniva avanzata la richiesta di una maggiore libertà di educazione, (che ricordiamo essere uno dei 3 principi irrinunciabili più volte sottolineati dal Santo Padre, insieme alla salvaguardia della vita ed alla centralità del matrimonio come fondamento stabile della famiglia) mostra dunque incoraggianti segni di cedimento. Che sia la volta buona?
Sicuramente è un importante passo in avanti, favorito dal lavoro preziosissimo di un ”neo-eletto”: Raffaello Vignali, vicepresidente della commissione attività produttive della Camera, da sempre convinto sostenitore della parità scolastica e della libera scelta educativa. Non solo l’esito, ma anche la stessa distribuzione dei voti dicono di un importante lavoro di rapporti che Vignali, insieme ad altri amici ha svolto e che sta cambiando gli umori fra i nostri politici.
Speriamo che le preoccupazioni per le difficoltà economiche internazionali, accompagnate dall’ansia di razionalizzazione che tocca tutti i comparti della spesa pubblica, non finiscano per consigliare a “chi può” di mettere in frigorifero anche questa assunzione formale di impegno (come è accaduto per le politiche familiari), in attesa di tempi migliori. Siamo certi che senza libertà di educazione i cosiddetti tempi migliori difficilmente arriveranno.
OLTRE IL NICHILISMO/ Jan Patocka: l’esperienza del dissenso come affermazione della positività del reale - Redazione - venerdì 10 ottobre 2008
I dissidenti ci hanno insegnato a resistere al nichilismo, diceva Glucksmann nell'intervista a Il Giornale (3.10.2008), citando la figura del filosofo-dissidente ceco Jan Patocka (1907-1977), agnostico, firmatario dell'iniziativa civile "Charta77" e morto in seguito agli estenuanti interrogatori cui fu sottoposto dalla StB, la polizia politica del regime comunista cecoslovacco. In un'intensa lezione che tenne clandestinamente a Praga l'11 aprile 1975, dedicata alla differenza tra l'uomo spirituale e l'intellettuale, delineò una sorta di itinerario esistenziale che aiutasse a costruire positivamente anche in una situazione dominata da un’ideologia totalizzante.
Patocka parte da una constatazione apparentemente banale: «Vi sono esperienze che mostrano la straordinarietà della nostra situazione, cioè che soprattutto ci siamo e che il mondo c’è; e questo non è ovvio, è qualcosa di estremamente stupefacente che le cose ci si rivelino e che noi siamo in mezzo a loro. È stupefacente; in questa parola è contenuto lo stupore. Stupirsi significa non accettare nulla come ovvio. Materialmente il mondo resta uguale a prima, le medesime persone, le medesime stelle, e tuttavia c’è qualcosa di completamente cambiato». Le difficoltà che contraddicono questo approccio positivo «dimostrano che la vita che appariva così ovvia, in realtà è piuttosto problematica, che qualcosa non è in ordine. La nostra posizione originale è che sia in ordine e che sia possibile sorvolare sulle incongruenze... Ma se dovessimo realmente seguire fino in fondo la negatività che ci interpella all’improvviso, ci accorgeremmo che il nulla è incapace di parlarci, di spingerci ad agire, e di conseguenza rimarremmo nel vuoto, irretiti in una sorta di vacuità… Non è irrilevante che nella filosofia regni qualcosa che potremmo definire nichilismo, ossia l’idea non tanto che la vita e il mondo siano problematici, quanto piuttosto che il significato e la risposta a questa problematicità non solo non sono stati trovati ma che non si possano trovare, che il nihil sia l’ultimo risultato». «Ma così non si può vivere!», esclama l’anziano filosofo: «E’ proprio qui che inizia la vita spirituale... L’uomo spirituale è colui che è in cammino. Conosce le esperienze negative e le medita, a differenza dell’uomo comune che cerca di dimenticarle o ha già la ricetta pronta».
Per Patocka la problematicità della vita non è un’obiezione, bensì il punto di partenza per un’ascesi che porta a prendere posizione nel quotidiano: «L'uomo spirituale capace di sacrificio non deve aver paura... Egli è in un certo senso politico, e non può non esserlo proprio perché dimostra pubblicamente l'imprevedibilità della realtà», ossia «rompe il sistema, e la sua testimonianza è motivo di resistenza e di cambiamento».
Che tutto questo per Patocka e per altri «uomini in cammino» del blocco sovietico avesse implicazioni pratiche e non rimanesssero sofismi, lo si vide nell’esperienza del dissenso. Quando Havel gli chiese di assumersi il ruolo di portavoce di Charta77, Patocka esitò a lungo perché sapeva che si trattava di qualcosa che per lui, docente pensionato dal regime, poteva essere molto rischioso. Poi, una volta presa la decisione, si dedicò completamente a Charta77 esponendosi pubblicamente. Ricorda ancora Havel come, durante il suo ultimo incontro con lui, in prigione in attesa dell'interrogatorio, Patocka si fosse messo a improvvisare una lezione sulla storia dell'idea dell'immortalità umana e dell'umana responsabilità. In un’altra occasione, parlando del futuro di Charta77, disse che «oggi la gente sa nuovamente che esistono cose per cui val la pena soffrire, e che le cose per cui eventualmente si soffre sono quelle per cui val la pena vivere».
Agli inizi del marzo ‘77, dopo un incontro informale tra Patocka e il ministro degli esteri olandese Max van der Stoel, il regime comunista intensificò la pressione. L’anziano maestro venne ripetutamente convocato dalla polizia. Dai verbali traspare la dignità e l’integrità della sua posizione, persino la lingua e lo stile sono esemplari perché era lui a dettare le risposte. Colpito da infarto, il 13 marzo morì in ospedale. Le autorità, temendo che il funerale potesse sfociare in una manifestazione pubblica, condussero un’inaudita operazione di disturbo e sorveglianza. Tuttavia al cimitero dell’antico convento di Brevnov presenziarono «500 persone, in maggioranza giovani», come si legge nel rapporto della StB.
Un anno dopo Havel, con il Potere dei senza potere, opera dedicata proprio a Patocka, ne riprese le tematiche alla luce dell’esperienza diretta del dissenso.
Angelo Bonaguro (Fondazione Russia Cristiana)
INQUIETANTE PRONUNCIAMENTO: ASSERISCE QUEL CHE NEGA - Sentenza andata oltre la legge E la Corte fa Pilato - MARCO OLIVETTI – Avvenire, 10 ottobre 2008
C on l’ordinanza 334 del 2008, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione depositati il 17 settembre scorso dalle due Camere nei confronti della Corte di Cassazione, in riferimento alla sentenza 21478 del 2007 sul caso posto dal padre di Eluana Englaro. Le Camere avevano lamentato una sostanziale invasione, da parte della Cassazione, del potere legislativo, la cui titolarità spetta alle due Camere. Secondo la Consulta, il conflitto è inammissibile in quanto ne difetta «il requisito oggettivo», vale a dire in quanto la decisione della Cassazione non esorbiterebbe dalle caratteristiche di una normale sentenza: di un atto, cioè, deputato a decidere solo per il caso concreto, nei limiti della soggezione alla legge. Con la conseguenza che il conflitto sollevato dalle due Camere si tradurrebbe in una modalità surrettizia per chiedere un riesame di quanto deciso dalla Cassazione, il che è precluso per la via del conflitto di attribuzione.
La decisione, che era stata anticipata da insistenti boatos, desta gravi perplessità, che prescindono almeno in parte dal tragico caso concreto e dalle pur gravi vicende umane a esso connesse, ed evidenziano la sottovalutazione di un problema più generale. Il problema è esattamente quello evidenziato dalle Camere nei loro ricorsi: la creazione di nuovo diritto da parte di un giudice, e in particolare da parte della Cassazione, competente a garantire l’unità del diritto oggettivo nazionale e l’uniformità dell’interpretazione delle leggi. Le Camere ponevano proprio quel problema: e il caso Englaro è davvero un caso da manuale di creazione di diritto da parte di un giudice, con forme che sono fin troppo evidenti a chiunque vi ragioni su con un minimo di buona fede. Prima della sentenza 21478/2007 non era consentito ottenere l’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione di un malato in stato vegetativo permanente, in quanto tale comportamento avrebbe comportato una violazione della norma del codice penale che prevede il reato di omicidio (pur con tutte le particolarità del caso). Dopo tale sentenza, vige nel nostro ordinamento la regola opposta: tale comportamento è cioè divenuto – sia pure a certe condizioni – penalmente lecito.
È fin troppo ovvio che, come ricorda l’ordinanza 334, la sentenza della Cassazione vale solo per il caso concreto e non presenta, pertanto, quei caratteri di generalità e astrattezza che qualificano per lo più l’esercizio di una funzione normativa: ma sarebbe puerile immaginare che quella decisione non costituisca un precedente (anche se non vincolante) per decidere casi futuri. Ed è altrettanto ovvio che – come ribadisce la Consulta – il Parlamento conserva pienamente la facoltà di intervenire in materia, legiferando. Ma il richiamo stesso di quest’ultima facoltà finisce per confessare quello che l’ordinanza vorrebbe smentire: e cioè che la situazione normativa in materia di fine vita (il diritto vivente sul punto) è stata alterata dalla Cassazione con una sentenza, che è andata oltre la legge (cui è invece soggetta), scegliendo fra le varie opzioni lasciate aperte dall’articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute (e compiendo così una scelta riservata al legislatore).
Certo, la Corte costituzionale non può trasformarsi in un giudice di ultima istanza, 'correggendo' le decisioni della Cassazione.
Ma il suo 'mestiere' nel conflitto di attribuzione, è la «delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali». Quando ciò accada in concreto è piuttosto difficile da stabilire per i rapporti fra potere legislativo e giudiziario e dunque è certamente più facile muovere dall’idea che tali confini siano mobili. Eppure, almeno per i casi macroscopici – come quello di cui stiamo parlando – un controllo della Consulta avrebbe aggiunto certezza al nostro ordinamento e sarebbe stato espressione di quel ruolo di custode della Costituzione che le spetta. Ma il giudice delle leggi ha preferito una via che non a torto è stata definita «pilatesca».
Detto ciò, la stessa ordinanza 334 riconosce che la questione resta aperta. Da un lato non si è fatto alcun passo avanti a fronte del sempre più invasivo attivismo giudiziale (manifesto in vari campi), che caratterizza fra l’altro alcune sezioni della Cassazione e che è in palese violazione del principio fondante del nostro sistema costituzionale (la sovranità popolare). Dall’altro, riguardo al caso Englaro, e più in generale al nodo del «fine vita», la palla ritorna al circuito Governo-Parlamento, da cui non avrebbe mai dovuto uscire.
1) IL CASO/ Dov'è finita l'emergenza cibo? - Dario Casati - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
2) ABORTO/ Il Tar blocca le linee guida della Regione Lombardia e scava un solco tra i cittadini di serie A e di serie B - Carlo Bellieni - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
3) SCUOLA/ Dalla Camera un importante passo avanti sulla strada della parità - Vincenzo Silvano - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
4) OLTRE IL NICHILISMO/ Jan Patocka: l’esperienza del dissenso come affermazione della positività del reale - Redazione - venerdì 10 ottobre 2008
5) INQUIETANTE PRONUNCIAMENTO: ASSERISCE QUEL CHE NEGA - Sentenza andata oltre la legge E la Corte fa Pilato - MARCO OLIVETTI – Avvenire, 10 ottobre 2008
IL CASO/ Dov'è finita l'emergenza cibo? - Dario Casati - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Dov’è finita l’emergenza alimentare? La domanda stessa lascia intendere come l’attenzione generale su questo problema, molto intensa nei giorni caldi dell’impennata dei prezzi agricoli, si sia improvvisamente allentata, quasi che non esistesse più o, quanto meno, fosse avviata a soluzione. A complicare terribilmente le cose è arrivata la bufera finanziaria mondiale che ha attirato attenzioni infinitamente maggiori. I pur mutevoli interessi dei media e dell’opinione pubblica sono ora concentrati su altro, ma ci sembra comunque necessaria qualche riflessione, anche perché le due questioni presentano un fitto intreccio di legami. Nel momento del maggior clamore ci eravamo permessi di dire che era indispensabile non perdere la testa e mettere in atto tutta una serie di interventi che evitassero in futuro il ripetersi di episodi analoghi o di entità superiore. Esprimevamo, inoltre, dubbi sulla sua durata ed entità.
La lezione della crisi finanziaria conduce alle stesse indicazioni. Per i prodotti agricoli la ripresa della produzione nell’emisfero settentrionale, unita alle previsioni per quello meridionale i cui raccolti sono ormai imminenti, lascia prevedere un’annata record e i prezzi sono in calo. Le prime stime della Fao indicano che già quest’anno vi sarà una parziale ricostituzione delle scorte, intaccate nei tre anni precedenti, che proseguirà nel 2009. Sul fronte della domanda non vi sono state anomalie: essa cresce a ritmi compatibili, mentre la stretta della speculazione si è allentata passando, appunto, ad altri e ben più preoccupanti modi di esprimersi.
Tornando alla crisi agricola vi sono due aspetti specifici che destano preoccupazione: a) la dinamica dei costi degli strumenti produttivi che non accenna a scendere, b) il persistere di una serie di provvedimenti di politica agraria estemporanei e contraddittori che non vengono eliminati Infine rimane ancora da formulare un ragionevole piano di sviluppo della produzione agricola che in futuro attenui le conseguenze di questo genere di crisi. Non ci si è occupati del potenziamento della produttività agricola basato sugli investimenti in infrastrutture idriche, di trasporto, di conservazione, e sull’introduzione di innovazione scientifica e tecnologica, la sola strada per contenere gli incrementi dei mezzi di produzione e per aumentare le rese produttive sia nei paesi ricchi sia, e ancor più, in quelli dove la crisi ha provocato un arretramento dei livelli alimentari. Al contrario i Governi dei diversi paesi si sono esercitati nello sfornare numerosi provvedimenti, spesso dettati dalla piazza, caratterizzati da estemporaneità e scarsa coerenza logica. Ora che la fase acuta sembra alle spalle occorre mettersi all’opera per evitare che si ripeta.
Nei giorni scorsi si è tenuta a Venezia l’annuale Conferenza promossa dalla Fondazione Veronesi e da altre prestigiose Istituzioni sul tema generale Future of Science che questa volta era centrato su Water and Food for Life. Una scelta che le ha permesso di essere esattamente impostata su un’attualità che non avrebbe potuto essere meglio individuata. Dobbiamo attenderci per l’anno 2050 un raddoppio della domanda complessiva di alimenti per tenere conto dell’aumento della popolazione, dell’esigenza di innalzare i consumi pro capite di circa un quinto dell’umanità e di soddisfare i nuovi modelli alimentari dei paesi emergenti, ecco perché occorre valutare con grande attenzione le prospettive che si possono dischiudere. Le risorse produttive sono limitate. In particolare la più importante, la terra coltivabile, non è ragionevolmente aumentabile per ovvie ragioni di compatibilità ambientale. Ecco allora che è necessario puntare su soluzioni in grado di aumentare le disponibilità alimentari, agendo su due versanti: gli incrementi di produttività e la salvaguardia delle produzioni ottenute, sottoposte a perdite troppo elevate proprio nei paesi in maggiore difficoltà. Per entrambi è indispensabile un miglioramento delle tecnologie in uso e una consistente immissione di innovazione scientifica e tecnologica.
A Venezia erano convenuti numerosi scienziati che hanno indicato le linee di tendenza della ricerca e i potenziali risultati, alcuni già a portata di mano, per l’acqua, indispensabile supporto alla vita umana sia come alimento in sé sia come potente strumento di produzione, e anche per i prodotti agricoli. Insieme ai temi strettamente scientifici si è dibattuto anche di economia, di politica e di etica. Una miscela di contenuti stimolante e importante che ha fornito un’immagine molto positiva di ciò che si potrebbe fare per affrontare il problema seriamente e sin dalle radici. Dai resoconti giornalistici sembra che si sia parlato solo di O.g.m., ma questa sarebbe una banalizzazione della questione che non rende giustizia né alla varietà e ampiezza dei contributi né al senso complessivo del dibattito.
Il punto centrale, infatti, non è, e non può essere, la contrapposizione fra il si e il no agli O.g.m., ma consiste nella serena valutazione delle possibilità offerte anche in agricoltura dall’avanzamento scientifico e delle conoscenze reso possibile dallo sviluppo delle biotecnologie. Un insieme di metodi e di acquisizioni che è accettato tranquillamente in altri campi, compresa la cura della salute umana, ma che è oggetto di un aprioristico rifiuto nelle applicazioni agricole. Le necessità alimentari dell’umanità richiedono un approccio concreto e sereno al problema dell’impiego delle bioscienze anche in campo agricolo, cercando di compiere un secondo passo in avanti nella produzione degli alimenti dopo quello che fu realizzato nella prima metà dell’Ottocento e che permise il decollo dell’economia mondiale e la relativa stabilità delle condizioni base di vita dell’uomo, finalmente sottratto alla rigida equazione fra alimenti spontaneamente forniti dalla natura e bisogni alimentari crescenti. Siamo pronti per una nuova rivoluzione agricola di cui abbiamo un disperato bisogno per assicurare un futuro migliore all’umanità anche, e specialmente, nelle grandi crisi che il mercato mondiale proporrà in futuro in un contesto complessivo di grande volatilità dei prezzi di tutto, compresi i prodotti alimentari. Non dimentichiamo che l’uomo per vivere deve potersi nutrire.
ABORTO/ Il Tar blocca le linee guida della Regione Lombardia e scava un solco tra i cittadini di serie A e di serie B - Carlo Bellieni - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del Tar che bloccava i protocolli della Regione Lombardia sull’interruzione di gravidanza. Infatti nella regione di Formigoni era stato stabilito, in ossequio alla legge 194, che gli aborti tardivi non si potessero fare oltre il termine di 22 settimane e 3 giorni dal concepimento.
D’altronde la legge 194 lo dice chiaramente: da quando il feto ha la possibilità di vita autonoma, non si può eseguire aborto terapeutico, se non in caso di rischio per la vita della madre. Così recita l’articolo 7 della legge. Che il limite di possibilità di vita autonoma sia di 22 settimane è un fatto risaputo: di norma a questa età la sopravvivenza è del 7%, con livelli ancor più alti riscontrati in Giappone dove sono arrivati al 30% (fonte: Tsuchida Shin'ya, Acta Neonatologica Japonica, 2001).
Dunque su che base se non questi numeri si può rendere “discrezionale” rianimare un bambino nato da aborto? Come decidere se non sui dati dell’evidenza scientifica? L’alternativa è lasciar morire un cittadino italiano (si diventa cittadini al momento del primo respiro) perché l’aborto tardivo non è altro che un parto prematuramente indotto, la cui conseguenza è la nascita di un bimbo cui di solito (tranne eccezioni) batte il cuore, funziona il cervello e il respiro va, seppur stentato e fragile. Siccome di solito il feto a quell’età gestazionale non è abortito perché in fin di vita, ma perché ha malattie che i genitori reputano di non volere in un figlio (o che reputano rendere la vita di “bassa qualità”), spesso nasce vivo, e se i polmoni sono minimamente maturi potrà avere – se prontamente assistito - una chance di sopravvivere.
Per evitare i “problemi italiani” (nascita di un bimbo vivo) in certi Stati USA fino a qualche anno fa si ricorreva ad una via spiccia: l’ “aborto a nascita parziale”: per non rischiare un intervento intrauterino, si faceva uscire parzialmente il feto e – mantenendo la testa dentro l’utero per evitare il primo respiro - si “terminava” con tecniche chirurgiche invasive e cruente. Così il bambino “nasceva morto”. Non ci sembra un’esperienza da imitare.
La legge italiana è meno cinica: tutela chi ha delle chances di farcela, vieta la soppressione del feto in epoca con possibilità di sopravvivenza; sa che ogni bambino vivo (almeno lui) va tutelato. Inoltre ha nel suo impianto una regola d’oro: non impose al momento della sua promulgazione (1978) un’età sopra cui impedire l’aborto, proprio perché era ovvio che la scienza avrebbe fatto passi avanti. Nel 1987 non sopravvivevano bambini sotto le 26 settimane; ora non sopravvivono sotto le 22: la scienza ha guadagnato alla vita un mese di speranza.
Ovviamente nascere a 22-23 settimane non è banale: il rischio di morire è altissimo, e anche alto è quello di restare colpiti da danno fisico per la nascita prematura. Ma questo semmai imporrebbe non di lasciar morire il bambino a rischio di disabilità, ma di evitare un aborto con tutti i mezzi.
Il problema vero è che si sta erodendo in una parte della popolazione generale (feti, bambini, disabili, anziani, evidentemente “di serie B”) il diritto alla vita, che si vorrebbe compensare elargendo diritti di altro genere alla popolazione “di serie A” restante (i cosiddetti “diritti civili”). Il diritto alla vita inizialmente è stato infatti soppresso in epoca fetale, rendendo il bambino non ancora nato un cittadino di serie B; poi si è passati al neonato, la cui rianimazione prima obbligatoria, sta diventando in tanti Stati discrezionale (spesso secondaria al volere dei genitori o alla futura disabilità); contemporaneamente si sta erodendo il diritto alla vita dell’anziano e del disabile cui si stanno aprendo tutte le facilitazioni verso eutanasia e suicidio assistito mentre resta in ripida salita per loro la strada - pur percorribile - della cura di depressione, dolore e ansia. Sentiamo dire che può esser giusto lasciar morire il bimbo nato da aborto perché altrimenti si andrebbe contro il desiderio dei genitori, e questo ci sconvolge dato che pensavamo scomparso da tempo il diritto di vita e morte del pater familias (o madre) sul figlio. Evidentemente la storia si ripete.
Non ci affascina la legge 194, ma chiediamo che almeno venga applicata in toto. Sapere che essa tutela tutti quelli che hanno speranza di farcela e poi sentire che questo umano e basilare dettato può decadere ci rattrista; ma le ragioni contrarie ai protocolli della regione Lombardia sono dure da sostenere alla luce del progresso scientifico, e questo ci dà la certezza che l’interpretazione data alla legge dalla stessa Regione prevarrà, per il buon uso della ragione che la guida.
SCUOLA/ Dalla Camera un importante passo avanti sulla strada della parità - Vincenzo Silvano - venerdì 10 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
E’ una notizia importante. Una di quelle -purtroppo rare nei giornali- di cui rallegrarsi: è stato accolto ieri mattina (9 ottobre) dalla Camera con il voto favorevole di PdL, Lega e UDC (astenuti Italia dei Valori e Pd, anche se alcuni deputati del Partito democratico hanno votato a favore) l’ordine del giorno presentato ieri e relativo alla libertà di scelta in materia di scuola.
E’ un passo importante, che impegna il Governo a provvedere con successivi atti all’introduzione di una effettiva libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie. Questa potrà avvenire attraverso strumenti quali l’introduzione della definitiva autonomia giuridica e didattica delle scuole, la realizzazione di un sistema di valutazione capillare che consenta alle famiglie di disporre delle informazioni utili per la scelta e l’introduzione di strumenti di finanziamento alle famiglie per la scelta della scuola.
Ma c’è un aspetto ulteriore di cui rallegrarsi, una notizia dentro la notizia, rintracciabile analizzando la distribuzione dei voti (Presenti: 484;Votanti: 307; Astenuti: 177; Contrari: 12; Favorevoli: 295). Forse qualcosa sta cambiando davvero: solo 12 contrari. Vabbè che non c’è più il blocco dell’ultrasinistra, però la gran parte dei voti contrari e delle polemiche su questo tema arrivava anche dalla sinistra “moderata” (ex ulivo). Che stavolta, invece, si è astenuta. Generalmente, in lingua “politichese” gli astenuti devono essere tradotti con un “vorrei ma non posso…”. Pochi contrari, dunque; ed è ancora più sorprendente se consideriamo che l’ordine del giorno presentato contiene affermazioni “pesantissime” quali: “allo Stato compete, ai sensi della Costituzione, garantire a tutti il diritto all’istruzione, non quello di gestire direttamente istituti scolastici; il diritto-dovere dell’educazione e dell’istruzione è posto dalla stessa Costituzione in capo ai genitori, che devono poterlo esercitare attraverso un’effettiva libertà di scelta della scuola per i propri figli, in considerazione del modello educativo corrispondente alle proprie convinzioni ed indipendentemente dalle condizioni economiche; le scuole paritarie, ovvero “pubbliche non statali”, rispetto a quelle “pubbliche statali” dimostrano generalmente una qualità superiore a fronte di un costo medio per alunno decisamente inferiore…” . Ed altro ancora. No, non era davvero ovvia una sua approvazione a larga maggioranza.
La cultura statalista e accentratrice che ha impedito sino ad oggi l’introduzione di una reale parità scolastica, generando conflitti ideologici accesissimi ogni volta che veniva avanzata la richiesta di una maggiore libertà di educazione, (che ricordiamo essere uno dei 3 principi irrinunciabili più volte sottolineati dal Santo Padre, insieme alla salvaguardia della vita ed alla centralità del matrimonio come fondamento stabile della famiglia) mostra dunque incoraggianti segni di cedimento. Che sia la volta buona?
Sicuramente è un importante passo in avanti, favorito dal lavoro preziosissimo di un ”neo-eletto”: Raffaello Vignali, vicepresidente della commissione attività produttive della Camera, da sempre convinto sostenitore della parità scolastica e della libera scelta educativa. Non solo l’esito, ma anche la stessa distribuzione dei voti dicono di un importante lavoro di rapporti che Vignali, insieme ad altri amici ha svolto e che sta cambiando gli umori fra i nostri politici.
Speriamo che le preoccupazioni per le difficoltà economiche internazionali, accompagnate dall’ansia di razionalizzazione che tocca tutti i comparti della spesa pubblica, non finiscano per consigliare a “chi può” di mettere in frigorifero anche questa assunzione formale di impegno (come è accaduto per le politiche familiari), in attesa di tempi migliori. Siamo certi che senza libertà di educazione i cosiddetti tempi migliori difficilmente arriveranno.
OLTRE IL NICHILISMO/ Jan Patocka: l’esperienza del dissenso come affermazione della positività del reale - Redazione - venerdì 10 ottobre 2008
I dissidenti ci hanno insegnato a resistere al nichilismo, diceva Glucksmann nell'intervista a Il Giornale (3.10.2008), citando la figura del filosofo-dissidente ceco Jan Patocka (1907-1977), agnostico, firmatario dell'iniziativa civile "Charta77" e morto in seguito agli estenuanti interrogatori cui fu sottoposto dalla StB, la polizia politica del regime comunista cecoslovacco. In un'intensa lezione che tenne clandestinamente a Praga l'11 aprile 1975, dedicata alla differenza tra l'uomo spirituale e l'intellettuale, delineò una sorta di itinerario esistenziale che aiutasse a costruire positivamente anche in una situazione dominata da un’ideologia totalizzante.
Patocka parte da una constatazione apparentemente banale: «Vi sono esperienze che mostrano la straordinarietà della nostra situazione, cioè che soprattutto ci siamo e che il mondo c’è; e questo non è ovvio, è qualcosa di estremamente stupefacente che le cose ci si rivelino e che noi siamo in mezzo a loro. È stupefacente; in questa parola è contenuto lo stupore. Stupirsi significa non accettare nulla come ovvio. Materialmente il mondo resta uguale a prima, le medesime persone, le medesime stelle, e tuttavia c’è qualcosa di completamente cambiato». Le difficoltà che contraddicono questo approccio positivo «dimostrano che la vita che appariva così ovvia, in realtà è piuttosto problematica, che qualcosa non è in ordine. La nostra posizione originale è che sia in ordine e che sia possibile sorvolare sulle incongruenze... Ma se dovessimo realmente seguire fino in fondo la negatività che ci interpella all’improvviso, ci accorgeremmo che il nulla è incapace di parlarci, di spingerci ad agire, e di conseguenza rimarremmo nel vuoto, irretiti in una sorta di vacuità… Non è irrilevante che nella filosofia regni qualcosa che potremmo definire nichilismo, ossia l’idea non tanto che la vita e il mondo siano problematici, quanto piuttosto che il significato e la risposta a questa problematicità non solo non sono stati trovati ma che non si possano trovare, che il nihil sia l’ultimo risultato». «Ma così non si può vivere!», esclama l’anziano filosofo: «E’ proprio qui che inizia la vita spirituale... L’uomo spirituale è colui che è in cammino. Conosce le esperienze negative e le medita, a differenza dell’uomo comune che cerca di dimenticarle o ha già la ricetta pronta».
Per Patocka la problematicità della vita non è un’obiezione, bensì il punto di partenza per un’ascesi che porta a prendere posizione nel quotidiano: «L'uomo spirituale capace di sacrificio non deve aver paura... Egli è in un certo senso politico, e non può non esserlo proprio perché dimostra pubblicamente l'imprevedibilità della realtà», ossia «rompe il sistema, e la sua testimonianza è motivo di resistenza e di cambiamento».
Che tutto questo per Patocka e per altri «uomini in cammino» del blocco sovietico avesse implicazioni pratiche e non rimanesssero sofismi, lo si vide nell’esperienza del dissenso. Quando Havel gli chiese di assumersi il ruolo di portavoce di Charta77, Patocka esitò a lungo perché sapeva che si trattava di qualcosa che per lui, docente pensionato dal regime, poteva essere molto rischioso. Poi, una volta presa la decisione, si dedicò completamente a Charta77 esponendosi pubblicamente. Ricorda ancora Havel come, durante il suo ultimo incontro con lui, in prigione in attesa dell'interrogatorio, Patocka si fosse messo a improvvisare una lezione sulla storia dell'idea dell'immortalità umana e dell'umana responsabilità. In un’altra occasione, parlando del futuro di Charta77, disse che «oggi la gente sa nuovamente che esistono cose per cui val la pena soffrire, e che le cose per cui eventualmente si soffre sono quelle per cui val la pena vivere».
Agli inizi del marzo ‘77, dopo un incontro informale tra Patocka e il ministro degli esteri olandese Max van der Stoel, il regime comunista intensificò la pressione. L’anziano maestro venne ripetutamente convocato dalla polizia. Dai verbali traspare la dignità e l’integrità della sua posizione, persino la lingua e lo stile sono esemplari perché era lui a dettare le risposte. Colpito da infarto, il 13 marzo morì in ospedale. Le autorità, temendo che il funerale potesse sfociare in una manifestazione pubblica, condussero un’inaudita operazione di disturbo e sorveglianza. Tuttavia al cimitero dell’antico convento di Brevnov presenziarono «500 persone, in maggioranza giovani», come si legge nel rapporto della StB.
Un anno dopo Havel, con il Potere dei senza potere, opera dedicata proprio a Patocka, ne riprese le tematiche alla luce dell’esperienza diretta del dissenso.
Angelo Bonaguro (Fondazione Russia Cristiana)
INQUIETANTE PRONUNCIAMENTO: ASSERISCE QUEL CHE NEGA - Sentenza andata oltre la legge E la Corte fa Pilato - MARCO OLIVETTI – Avvenire, 10 ottobre 2008
C on l’ordinanza 334 del 2008, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione depositati il 17 settembre scorso dalle due Camere nei confronti della Corte di Cassazione, in riferimento alla sentenza 21478 del 2007 sul caso posto dal padre di Eluana Englaro. Le Camere avevano lamentato una sostanziale invasione, da parte della Cassazione, del potere legislativo, la cui titolarità spetta alle due Camere. Secondo la Consulta, il conflitto è inammissibile in quanto ne difetta «il requisito oggettivo», vale a dire in quanto la decisione della Cassazione non esorbiterebbe dalle caratteristiche di una normale sentenza: di un atto, cioè, deputato a decidere solo per il caso concreto, nei limiti della soggezione alla legge. Con la conseguenza che il conflitto sollevato dalle due Camere si tradurrebbe in una modalità surrettizia per chiedere un riesame di quanto deciso dalla Cassazione, il che è precluso per la via del conflitto di attribuzione.
La decisione, che era stata anticipata da insistenti boatos, desta gravi perplessità, che prescindono almeno in parte dal tragico caso concreto e dalle pur gravi vicende umane a esso connesse, ed evidenziano la sottovalutazione di un problema più generale. Il problema è esattamente quello evidenziato dalle Camere nei loro ricorsi: la creazione di nuovo diritto da parte di un giudice, e in particolare da parte della Cassazione, competente a garantire l’unità del diritto oggettivo nazionale e l’uniformità dell’interpretazione delle leggi. Le Camere ponevano proprio quel problema: e il caso Englaro è davvero un caso da manuale di creazione di diritto da parte di un giudice, con forme che sono fin troppo evidenti a chiunque vi ragioni su con un minimo di buona fede. Prima della sentenza 21478/2007 non era consentito ottenere l’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione di un malato in stato vegetativo permanente, in quanto tale comportamento avrebbe comportato una violazione della norma del codice penale che prevede il reato di omicidio (pur con tutte le particolarità del caso). Dopo tale sentenza, vige nel nostro ordinamento la regola opposta: tale comportamento è cioè divenuto – sia pure a certe condizioni – penalmente lecito.
È fin troppo ovvio che, come ricorda l’ordinanza 334, la sentenza della Cassazione vale solo per il caso concreto e non presenta, pertanto, quei caratteri di generalità e astrattezza che qualificano per lo più l’esercizio di una funzione normativa: ma sarebbe puerile immaginare che quella decisione non costituisca un precedente (anche se non vincolante) per decidere casi futuri. Ed è altrettanto ovvio che – come ribadisce la Consulta – il Parlamento conserva pienamente la facoltà di intervenire in materia, legiferando. Ma il richiamo stesso di quest’ultima facoltà finisce per confessare quello che l’ordinanza vorrebbe smentire: e cioè che la situazione normativa in materia di fine vita (il diritto vivente sul punto) è stata alterata dalla Cassazione con una sentenza, che è andata oltre la legge (cui è invece soggetta), scegliendo fra le varie opzioni lasciate aperte dall’articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute (e compiendo così una scelta riservata al legislatore).
Certo, la Corte costituzionale non può trasformarsi in un giudice di ultima istanza, 'correggendo' le decisioni della Cassazione.
Ma il suo 'mestiere' nel conflitto di attribuzione, è la «delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali». Quando ciò accada in concreto è piuttosto difficile da stabilire per i rapporti fra potere legislativo e giudiziario e dunque è certamente più facile muovere dall’idea che tali confini siano mobili. Eppure, almeno per i casi macroscopici – come quello di cui stiamo parlando – un controllo della Consulta avrebbe aggiunto certezza al nostro ordinamento e sarebbe stato espressione di quel ruolo di custode della Costituzione che le spetta. Ma il giudice delle leggi ha preferito una via che non a torto è stata definita «pilatesca».
Detto ciò, la stessa ordinanza 334 riconosce che la questione resta aperta. Da un lato non si è fatto alcun passo avanti a fronte del sempre più invasivo attivismo giudiziale (manifesto in vari campi), che caratterizza fra l’altro alcune sezioni della Cassazione e che è in palese violazione del principio fondante del nostro sistema costituzionale (la sovranità popolare). Dall’altro, riguardo al caso Englaro, e più in generale al nodo del «fine vita», la palla ritorna al circuito Governo-Parlamento, da cui non avrebbe mai dovuto uscire.