Nella rassegna stampa di oggi:
1) Prolusione del Cardinale Bertone sull'emergenza educativa - Per l'inaugurazione del nuovo anno accademico della Salesiana
2) Europarlamento: no a emendamento contro aborto e sterilizzazioni - di Antonio Gaspari - ROMA, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Nella seduta di questo giovedì il Parlamento europeo ha respinto un emendamento che chiedeva di interrompere ogni programma di assistenza a governi e associazioni coinvolti in progetti per la diffusione di aborto coercitivo, sterilizzazione involontaria e infanticidio.
3) Sui diritti umani, nessun cedimento a “interpretazioni relativistiche” - Mons. Francesco Follo sui 60 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo - PARIGI, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).-“Non dobbiamo cedere alla tentazione di interpretazioni relativistiche dei diritti umani o ad una applicazione parziale e ineguale secondo il ben volere di coloro che devono applicarli”, afferma mons. Francesco Follo.
4) Cristiani e musulmani ai Governi europei: non proibite i simboli religiosi - Essere cittadino e credente non è in contraddizione, avvertono - di Inma Álvarez
5) La vita di una bambina salva l’umanità - “Bella”, una poesia d’amore in un film - di Antonio Gaspari - STRASBURGO, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Una storia semplice di grandissima umanità. La vittoria dell’amore fraterno che supera le paure umane più diffuse. Un film in cui la bellezza e il sorriso di una bambina che non doveva nascere spinge i due protagonisti a superare i drammi della loro vita e costruire con amore e coraggio il futuro.
6) 23/10/2008 16:56 – ASIA -Libertà religiosa: difesa dalla società civile; dimenticata dagli Stati - di Bernardo Cervellera - Il Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre mostra che le violazioni a questo diritto avvengono per puri motivi di potere e per bloccare lo sviluppo sociale ed economico delle società. Le società civili del mondo sono sempre più consapevoli della sua importanza; i governi la considerano molto secondaria. Ma la costruzione della pace del benessere passa per la libertà religiosa.
7) Mattoncini Lego: "una visione superata dei generi sessuali" - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 23 ottobre 2008 - In Svezia il “Consiglio etico del commercio contro il sessismo nella pubblicità”, se la prende con la Lego, rea di fare una pubblicità sessista.
8) Un Cristo reale - Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 23 ottobre 2008 - Cristo è la persona che mi ama, con la quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde, è realmente il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia
9) UNIVERSITA'/2. Scienze politiche: 9mila iscritti, 30 occupanti, 20 giornalisti: un esempio di protesta mediatica - Redazione - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
10) Liberiamo l'istruzione da quel blocco conservatore che si oppone al merito - Giovanni Cominelli - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
11) LETTURE/ Dalla Humanae vitae alla camorra: quando la stampa sembra non voler capire il Papa - Hannibal Lector - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
12) I SILENZI DEL MONDO «LIBERO» - UN’IGNAVIA DI CUI SARÀ CHIESTO CONTO - LUIGI GENINAZZI – Avvenire, 24 ottobre 2008
13) «Liturgia, volto del primato di Dio» - Ratzinger: è il centro della mia vita e della mia ricerca teologica - DI GIANNI CARDINALE – Avvenire, 24 ottobre 2008
14) «Aiuto per mia figlia», e s’incatena – Avvenire, 24 ottobre 2008
15) «Beatificazione di Pio XII, no alle ingerenze» - DA ROMA - PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 24 ottobre 2008
16) Il Giornale n. 255 del 2008-10-24 pagina 13 - Dai soldi al maestro unico: ecco le bugie in piazza - di Redazione - Prof e studenti sono sul piede di guerra, ma dietro molte rivendicazioni ci sono solo falsità
Prolusione del Cardinale Bertone sull'emergenza educativa - Per l'inaugurazione del nuovo anno accademico della Salesiana
ROMA, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la prolusione svolta dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in occasione dell'inaugurazione, il 15 ottobre scorso, del nuovo anno accademico della Pontificia Università Salesiana di Roma.
* * *
Eccellenze Reverendissime,
Eccellentissimi Ambasciatori presso la Santa Sede,
Signor Vicario del Rettor Maggiore, D. Adriano Bregolin,
Caro Rettore, cari docenti e cari studenti!
1. L'emergenza educativa oggi
E' sempre per me un grande piacere tornare in questa Università nella quale ho trascorso non pochi anni della mia vita, prima come docente e poi come Rettore. Permettete pertanto che in primo luogo esprima viva gratitudine al Rettor Magnifico, prof. Don Mario Toso, per l'invito che gentilmente mi ha rivolto a tenere la prolusione, all'inizio di questo nuovo anno accademico. Il mio saluto si estende ai docenti e all'intero corpo accademico, agli Eccellentissimi e ai Reverendissimi Prelati, alle illustri Personalità presenti e a quanti non hanno voluto mancare a quest'importante appuntamento. Un saluto speciale agli studenti, e in primo luogo a quelli che intraprendono il ciclo di studi universitari. A tutti gli intervenuti mi preme trasmettere anzitutto il cordiale saluto e la benedizione di Sua Santità, il quale, per mio tramite, assicura la sua vicinanza spirituale, augura un anno di lavoro fruttuoso, ed incoraggia l'Università Salesiana a proseguire nel delicato e importante servizio che rende alla Chiesa e alla società. Un servizio che il tema scelto per questa prolusione pone ancor più in rilievo: l'educazione che oggi coinvolge la famiglia, la scuola, la Chiesa e molte altre istituzioni nazionali ed internazionali. Quello dell'educazione delle nuove generazioni è una sfida e un servizio a cui la nostra famiglia religiosa, fondata da un grande santo e pedagogo quale fu san Giovanni Bosco, si dedica con evangelica passione; è anche un tema costantemente presente al cuore del Santo Padre Benedetto XVI, il quale non manca occasione, come ha fatto anche di recente nel corso della sua visita al Quirinale, il 4 ottobre scorso, per evidenziare quella che ormai tutti ritengono una priorità, anzi una vera e propria emergenza: l'educazione e specialmente la formazione delle nuove generazioni. Sì! L'educazione costituisce una reale questione emergente, non riconducibile alla semplice riforma del sistema scolastico ed universitario; è piuttosto un vasto tema. La cosiddetta educazione globale, alla quale giustamente anche la vostra Università dedica adeguata riflessione, investe tutti gli ambiti della vita sociale, e la visione cattolica dell'educazione globale rappresenta un'importante area di studio e di approfondimento a cui la vostra Università è chiamata ad offrire un proprio peculiare contributo.
2. Un campo d'azione a 360 gradi
E' sotto gli occhi di tutti quel che oggi si registra specialmente nelle società occidentali: serpeggia ovunque un diffuso e pervasivo senso di crisi della vita e dei valori; talora Dio, che in Cristo ha rivelato il suo volto d'amore, appare relegato ai margini dell'esistere umano e la sua presenza viene valutata come questione "individuale" e "privata", di conseguenza marginale rispetto alle scelte di ogni giorno; si assiste inoltre a un pericoloso sfaldamento dell'ethos civile, a un progressivo affievolimento della tensione alla solidarietà e alla fraternità e diventa più difficile nelle nostre comunità l'integrazione con persone di fedi e culture diverse. Quanto è lontana quella convivialità delle culture che dovrebbe animare la «civiltà dell'amore» a cui pensava già Paolo VI e ancor più Giovanni Paolo II! Tuttavia, proprio mentre crescono i segni di sfiducia nelle capacità umane di vero, di bene e di Dio, la Chiesa è chiamata ad un più chiaro e coraggioso annuncio di verità e di speranza. Suo compito è far comprendere che il Vangelo non è in contrasto, né potrebbe esserlo, con la razionalità umana, ma che, a partire dal messaggio cristiano, è anzi possibile operare una rinnovata sintesi culturale e sapienziale in grado di far fronte alle sfide e alle attese della modernità; è possibile offrire risposte globali che intercettino le inedite "domande di senso" emergenti nei vari comparti della società del terzo millennio. Penso, ad esempio, alle molteplici questioni della bioingegneria, al tema del progresso sostenibile e della salvaguardia dell'ambiente; penso all'allarmante "tsunami" che proprio in questi giorni sta investendo i mercati finanziari del mondo intero con risvolti socio-politici difficilmente ipotizzabili; penso alla persistente e troppo spesso dimenticata crisi alimentare che pagano le popolazioni più povere del pianeta. Ho negli occhi gli esodi biblici di milioni di persone che migrano in cerca disperata di mezzi di sussistenza. E che dire dell'universo virtuale dove navigano nuovi mass media e dove i giovani sono sempre più "protagonisti assenti"? C'è infine il fenomeno diffuso della globalizzazione che va trasformando i cinque continenti in un unico villaggio globale con indubbi vantaggi, ma anche non pochi rischi e problemi tuttora irrisolti. Tutto questo ci fa percepire che la questione dell'educazione è veramente "globale", che bisogna intervenire a trecentosessanta gradi in tutti i campi dell'esistenza, con un riferimento prioritario all'ambito socio-culturale. Ed è proprio in questo ampio panorama che una Università, una Università pontificia come questa, è chiamata a dialogare con il sapere contemporaneo, lasciandosi illuminare dalla Verità rivelata.
3. Investire sul piano formativo ed educativo
Le Università ecclesiastiche inserite nell'attuale società, segnata da vasti mutamenti sociali e culturali, devono in primo luogo investire sul piano formativo ed educativo. Lo psico-pedagogista nord-americano J. S. Bruner, nello studio che lo ha fatto conoscere al mondo pedagogico, intitolato Verso una teoria dell'istruzione, afferma: «Ogni generazione deve definire da capo la natura, la direzione e gli scopi dell'educazione, per assicurare alla generazione futura il più alto grado di libertà e di razionalità che sarà capace di raggiungere. Vi sono infatti cambiamenti, sia nelle condizioni oggettive, sia nel sapere, che pongono limiti o offrono nuove possibilità all'educatore in ogni successiva generazione. In questo senso l'educazione è un costante processo di creazione».[1] Questa sua affermazione fa pensare a quanto è avvenuto nel corso degli ultimi decenni: è andata infatti gradualmente maturando, a livello di politica nazionale e internazionale (europea, in particolare), la consapevolezza che le diffuse trasformazioni in campo economico e socio-culturale e le forti innovazioni nel settore tecnologico e comunicativo incidono profondamente sul presente e condizionano il futuro della società; proprio per questo è indispensabile un intenso investimento sul piano formativo.
Anche le Università ecclesiastiche vengono così a trovarsi inserite in un processo e in una rete di istituzioni in cui possono contribuire a creare una nuova cultura, rendendo anzitutto conto del loro impegno scientifico. Esse possono offrire, sulla base della loro identità peculiare, contributi che coltivino gli aspetti veritativi e sapienziali del sapere, caratterizzanti la cultura cristiana e il suo umanesimo sostanziato dalla trascendenza. E' innegabile che l'apporto delle Università ecclesiastiche risulta provvidenziale nel sopravvenire impetuoso del mercato globalizzato e nell'accelerazione dell'innovazione tecnologica, condizioni queste che non raramente sospingono i saperi universitari a diventare selettivi e funzionali alle esigenze della produzione e del profitto. L'eccessiva specializzazione dei saperi e l'esaltazione di quelli empirici può a volte rendere quasi impossibile una sintesi umanistica, che abbisogna sempre del passaggio dal fenomeno al fondamento. Come ha ribadito Giovanni Paolo II nell'Enciclica Fides et ratio, della quale ricorre il decennale di pubblicazione, occorre rielaborare una vera sintesi umanistica, senza la quale la funzione formativa si incrina, perché diventa strumentale a visioni dell'uomo e della società troppo riduttive. Da questo rischio, ahimè quanto mai attuale e ricorrente, non si stanca di mettere in guardia Benedetto XVI, denunciando la deriva del nichilismo e del relativismo, come pure la confusione dei linguaggi, e in definitiva il pericolo di scontri di civiltà.
4. Il contesto di una nuova evangelizzazione
Proprio in questo contesto, anche rimanendo solo a livello di situazione e di prassi universitaria, appare l'esigenza di impegnarsi nell'educare, andando oltre l'istruzione e la semplice acquisizione delle competenze. A Verona, il 19 ottobre 2006, in occasione del convegno della Chiesa italiana, il Papa metteva in evidenza che l'educazione della persona è un processo complesso. «Occorre preoccuparsi della formazione della sua intelligenza, - egli diceva - senza trascurare quella della sua libertà e capacità di amare. E per questo è necessario il ricorso anche all'aiuto della Grazia. Solo in questo modo si potrà contrastare efficacemente quel rischio per le sorti della famiglia umana che è costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto rapida del nostro potere tecnico e la crescita ben più faticosa delle nostre risorse morali».[2]
L'educazione – scriveva ancora Giovanni Paolo II nella Fides et ratio– ha tra i suoi compiti più cruciali quello di «portare gli uomini alla scoperta della loro capacità di conoscere il vero e del loro anelito verso un senso ultimo e definitivo dell'esistenza».[3] Si impone pertanto una nuova evangelizzazione che preluda a una nuova educazione ancorata a un'antropologia globale, in un processo che aiuti la crescita delle persone nel rispetto della loro dignità umana e divina. Vale a dire, occorre che la nuova evangelizzazione umanizzi l'educazione, sollecitandola a far leva sulle capacità cognitive ed etiche proprie di persone redente e, pertanto, messe in grado di vivere secondo principi e valori trascendenti. I progetti educativi hanno così a disposizione il quadro culturale di un umanesimo relazionale, aperto alla Trascendenza. Grazie alla salvezza donata dall'Alto, questi progetti possono contare su un fondamentale ottimismo antropologico ed etico, ed essere guidati da orizzonti di speranza, rispondenti alle attese più intime dell'animo umano. Progetti in grado di aiutare l'uomo d'oggi, disperso negli affanni e negli impegni, a percorrere le strade della riflessione, del silenzio, della preghiera, così da vivere la vita come un viaggio spirituale verso Dio.
In questo contesto si delinea ancor più chiaro per le istituzioni educative, specie quelle universitarie come la vostra, il compito di mostrare, sul fondamento delle scienze teologiche ed umane ed attraverso la ricerca e la sperimentazione, il profilo di una nuova educazione che mai può prescindere da una conoscenza più aggiornata della condizione giovanile odierna.
5. «Dilatare la razionalità»
E proprio ai fini di promuovere un'educazione globale della persona, occorre affrontare con chiarezza la questione antropologica su cui ci soffermeremo nelle pagine seguenti. Va riaffermata la persona nella sua vocazione trascendente, ossia come essere dotato di una "relazionalità" in orizzontale e in verticale, di una razionalità mai ridotta a "unidimensionale", bensì articolata secondo la molteplicità dei gradi del sapere. Solo una ragione integrale permette di realizzare l'alleanza tra scienze della natura e scienze umane e sociali; solo una ragione integrale è in grado di coniugare specializzazione e unificazione del conoscere, analisi e sintesi, definizione e interpretazione; solo con l'ausilio di una tale ragione, sul terreno del soggetto conoscente è possibile sostenere formativamente un qualificato saper apprendere ad apprendere, dilatando interessi personali di conoscenza, di azione e di vita, stimolando ad usare molteplici approcci cognitivi per giungere ad apprendimenti di conoscenze sempre più flessibilmente organizzati e umanamente significativi.[4]
A questo riguardo, la ricerca e la didattica universitaria non possono ignorare l'intrinseca referenzialità della ricerca scientifico-tecnologica all'umano, della sua finalizzazione ultima all'agire buono di tutti e di ognuno, insomma al bene comune sociale. Il che esige che si contemperi opportunamente scientificità disciplinare, sinergia delle discipline scientifiche, acquisizione di competenze tecnologiche con una solida formazione umanistica. Senza tale sinergia diventa estremamente difficile una armonica e qualificata crescita della persona, e sicuramente si aiutano poco anche una pacifica e corresponsabile convivenza civile, come pure lo sviluppo sostenibile dei popoli.[5]
Tutto questo invece diviene più facile e sicuro quando la ragione è coniugata nell'orizzonte della rivelazione cristiana, ovvero nel contesto di una razionalità superiore. La ragione infatti non è impoverita né diminuita dai contenuti della fede, anzi viene sfidata a superare se stessa, ad esprimere il meglio della sua essenza speculativa, logica, morale e sapienziale. E così, risulta più atta ad articolare il processo educativo secondo la pluralità e l'unità delle dimensioni delle persone, bisognose d'integrazione tra intelletto speculativo e ragione pratica, tra verità e agape, tra mente e cuore, come ci ha meravigliosamente insegnato san Giovanni Bosco.
6. Rispondere alla questione antropologica
Eccoci quindi nel cuore della questione antropologica. L'età moderna ha accentuato la centralità dell'uomo nel mondo, parlandone come di un «microcosmo», ed evidenziandone le capacità di trasformazione sul mondo e sulla storia. L'uomo era visto come faber, cioè costruttore del suo destino, e non semplice esecutore di una volontà superiore o fuori di sé. Oggi però queste prospettive sono entrate in crisi, nel senso che ad esse sono subentrate visioni antropologiche pessimistiche, chiuse alla speranza di un futuro migliore. Per questo spesso si parla di «fine della modernità» e di «post-modernità», sino ad ipotizzare una «mutazione antropologica» destrutturante le persone. Sono entrate in crisi le categorie basilari della vita umana: quelle di comunità/comunitarietà, di popolo e, più radicalmente, quelle di bene, di verità e di valore, di felicità e benessere, di intenzionalità e progettualità umana, di eticità, di politica e di Welfare State, di bene comune.
Riemerge allora, e in maniera sempre più urgente, l'antica e radicale domanda: chi è l'uomo? Che cosa è e significa «umanamente degno»? Anzi: a fronte di una universalizzazione della vita e della cultura, che può azzerare le differenze culturali e le prospettive di verità e di bene (provocando frammentazione personale, relativismo culturale, assolutizzazione fondamentalistico-culturale); a fronte di ciò che le biotecnologie prospettano non solo in termini di interventi tecnico-genetici migliorativi, ma anche in termini in qualche modo «post-umani» o «oltreumani», quasi a «produrre» l'uomo con la tecnica (come Mary Shelley già paventava nel suo famoso romanzo del 1818, Frankenstein or The Modern Prometheus); a fronte degli orizzonti «simulativi» di mondi virtuali creati dalle tecnologie digitali, si viene a precisare una chiara «questione antropologica» che rende cogente rispondere alle domande di sempre: Che cos'è la vita, il mondo, l'uomo? Qual è il suo destino e il suo futuro? Che futuro avrà l'umanità?
E non si può certo accettare che tutta la verità sull'uomo si esaurisca nella figura dell'homo videns o dell'uomo telematico, tipico della civiltà attuale della comunicazione. In effetti, con i media e la telematica, in certo modo sono venuti a svuotarsi il tempo e lo spazio, è scomparsa la relazione corporea, è mutata persino la percezione di sé: insomma si è come sradicati dalla propria «carne». Ciò che balza in primo piano è allora un "io" fenomenico privo ormai di un centro unificante dei suoi molti sé. Inoltre, a causa dell'ipermediatizzazione e della telematizzazione delle relazioni, le persone rischiano di perdere il contatto reale con gli altri e con se stesse. Indeboliscono la propria capacità di far proiezione di sé, quindi la propria identità che – come hanno insegnato i filosofi personalisti –, si perfeziona nel confronto con l'alterità dell'altro. «Il soggetto è sempre più frammentato e nomadico- scrive Fiorani nel suo saggio intitolato "La comunicazione a rete globale" -: smarrito tra i suoi oggetti e le sue macchine, è immerso nel puro presente […] Il dissolvimento insieme del passato e del futuro porta a una presenzialità assente e vuota».[6] In altri termini, non si è più enti sussistenti in sé e per sé, ossia soggetti autonomi, liberi e responsabili, essenzialmente sociali e relazionali. Prevale la rappresentazione di sé come macchina comunicante, ricca di scambi sociali ma non solidale. La persona perde il contatto con la propria natura di essere umano, "sinolo" di anima e corpo, dotato della capacità di conoscere il vero e il bene e di una libertà intrinsecamente legata a tale capacità e alla relazionalità. Le conseguenze di tale visione della persona, sradicata dalla sua essenza, sono facilmente immaginabili, quando si pensa alla concezione dei diritti e della convivenza sociale. I media e la telematica, contribuendo a rendere dominante una visione della realtà e dell'uomo disancorata dalla loro dimensione metafisica ed etica, ne favoriscono un'interpretazione storicistica ed individualistica. Con ciò, operano una sorta di scippo nei confronti dell'uomo e della società: tolgono loro la prospettiva del compimento e la rappresentazione dell'ideale. E tornano con tremenda attualità le famose tre domande kantiane: «Che cosa possiamo conoscere? Che cosa possiamo fare? Che cosa ci è dato sperare?».
7. L'esigenza di una nuovo umanesimo planetario
Dinanzi a una tale situazione si sente urgente una nuova sintesi di umanesimo. Sull'impianto classico greco-romano della soggettività e dei ruoli sociali giocati dall'uomo, il pensiero filosofico-teologico di ispirazione cristiana ha elaborato in passato il concetto di persona umana (individuo, gruppi, comunità) come soggetto capace di interiorità, di autonomia, di libertà, di responsabilità e di auto-trascendenza. Per noi cristiani, l'uomo è – come si dice – un «essere in-sé», soggetto, che nessuno può ridurre ad oggetto, almeno in forma assoluta e definitiva; è essere aperto agli altri (esse-ad); un «essere di comunione», che, nella sua esistenza spazio-temporale e storica, si può porre in rapporto attivo e ricreativo con Dio (nella religione e nella fede, e nel sacrario della sua coscienza interiore), con il mondo (nel lavoro) e con gli altri (con la sua corporeità, linguaggio, impegno, nei rapporti interpersonali e nella vita comunitaria). L'uomo è fine (non solo mezzo, direbbe Kant), è un «essere per sè» (cioè degno di essere «chiamato», apprezzato, rispettato e amato: anzitutto da Dio che lo ha creato). L'uomo è parte/membro (della specie umana, della società, della Chiesa, dell'umanità), ma anche «tutto» (interiorità, spiritualità, trascendenza). Per questo, Maritain scrive che l'uomo è individualità (parte, materia, corporeità) e personalità (tutto, anima, spiritualità), nell'integrazione tra microcosmi e macrocosmi, tra empiricità, ontologia, metafisica, assiologia, etica religiosità.[7]
Nel complesso clima culturale di oggi ritorna quindi prepotente l'affermazione della persona, della persona vivente, «con nome e cognome», fonte di diritti e di dignità, responsabile della vita, propria, altrui e del bene comune. Tuttavia, come per i diritti umani che ne costituiscono per così dire l'irradiazione a livello ideale e valoriale, così anche per l'affermazione della persona, si richiede un rinnovato impegno di «pensarla bene» nella sua complessità interna e relazionale, di tradurla in termini culturali condivisibili, di ricercarne la fondazione ontologica, per quanto pluralistica essa possa e debba essere. E questo, oltre ogni aspetto empirico, storico e fattuale, e oltre ogni stesso impegno «politico» di difesa, tutela e promozione. L'Università salesiana, che coltiva il proposito di servire la Chiesa e la società soprattutto sul piano educativo in termini personalisti e relazionali, non può non dare qualità e profondità teorica alla proposta, che viene avanzata da molte parti, di un «nuovo umanesimo» adeguato all'attuale condizione dell' «uomo planetario». Potrà così contribuire a integrare e rendere visibili le molteplici interdipendenze che si manifestano nell'esistenza umana attuale, tra locale e globale, tra reale e virtuale, tra identità e differenza, tra empiricità e interiorità, tra novità e perennità; potrà anche contribuire a generare l'idea di un essere umano integrale, di «persona umana» capace di concentrare nella singolarità del microcosmo personale i molteplici aspetti del macrocosmo umano.
8. Una paideia della persona umana
Essendo compito di ogni Università farsi attenta non solo alle idee ma anche ai processi sociali, lavorare cioè per passare dal livello globalmente antropologico a quello propriamente culturale e pedagogico, più vivo oggi si avverte di conseguenza il bisogno improcrastinabile di arrivare a una nuova paideia, cioè a una nuova cultura educativa, umanamente degna (e non solo funzionalmente e utilitaristicamente significativa). Una nuova paideia che – pur nelle differenziazioni della sua coniugazione culturale e disciplinare – cerchi le vie adeguate per essere all'altezza dei tempi, capace in definitiva di affrontare le sfide per costruire un futuro più «umano» rispetto a quanto viene prospettato in quest'inizio di secolo. La humanitas del nuovo umanesimo deve, cioè, essere riletta a livello pedagogico, affinché possa evidenziare il fine, l'orizzonte e il telos della personale e comunitaria responsabilità/solidarietà educativa, a tutti i livelli e, in particolare, a livello universitario.
In questa linea, a fronte dei moderni modi di apprendere delle nuove generazioni – più affidati ai «non luoghi» mediatici e telematici che ai «luoghi» tradizionali della famiglia, scuola, parrocchia, associazioni, più realizzati nell'informale che nel formale, più vissuti secondo logiche informatiche che razionali, più in immagini che in concetti – l'educazione a tutti i livelli dovrà «insegnare ad apprendere» e «insegnare ad essere»; dovrà promuovere un'acquisizione critica, sistematica e integrata del meglio della cultura sociale e, al contempo, formare le capacità di «fare cultura»; dovrà collaborare allo sviluppo interiore, spirituale e morale delle persone, a cominciare dalla costruzione delle coordinate del personale e comune essere nel mondo e dalla ritessitura dei «fili invisibili della vita», che permettono di assicurare ad essa e alla storia un senso aperto al di più, al futuro e all'oltre. L'educazione stimolerà così all'acquisizione di competenze specifiche/professionali che permettano un buono ed effettivo inserimento nel mondo del lavoro e della produzione sociale, con competenze generali/personali che rendano possibile una vita umanamente degna per ciascuno e per tutti, individualmente e comunitariamente. Sosterrà ancora l'educazione la formazione di cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e composite, siano esse quella nazionale, quella europea, quella mondiale. L'educazione potrà conseguire tali obbiettivi proprio attraverso la valorizzazione delle differenze personali e delle radicazioni culturali di ogni persona, nelle varie età della vita, operando sinergicamente (o, come oggi spesso si dice, «a rete») tra sistema sociale di formazione (informale, non formale, formale), tra istituzioni formative e territorio, le sue diverse configurazioni sociali, non ultime quelle religiose ed ecclesiali.
9. Il senso della profezia cristiana sull'uomo
Ci chiediamo ora, in questo contesto, come e in che modo possa un'Università pontificia contribuire a rispondere alle domande di significato che gli uomini del nostro tempo si pongono, preoccupati del proprio e del comune futuro. Compito di una Università pontificia non può che essere l'annuncio di Cristo, riproporre la «profezia» del Vangelo dell'incarnazione del Dio che si è fatto uomo perché l'uomo sia redento, salvato, divinizzato; annunciare la rivelazione dell'amore misericordioso di Dio, che ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito per farci tutti «figli nel Figlio»; proclamare il rinnovamento umano nello Spirito, che permette non solo la riconciliazione tra umano e divino, tra tempo ed eternità, ma anche tra persone, gruppi, popoli e linguaggi (permettendo, quindi, la possibilità di dialogare, comunicare, far comunità e comunione, al di là di ogni alterità, differenza, separatezza, solitudine, emarginazione, esclusione).
La "profezia" del Vangelo permette di intravedere, per un verso il senso del limite e della fragilità umana (la «canna pensante» di Blaise Pascal), e, per altro verso evidenzia una profonda aspirazione ad «essere di più» (Emmanuel Mounier), e, in chiave cristiana, l'aspirazione ad una vita vissuta sotto l'azione vivificante e trasformante dello Spirito di Dio. Lo Spirito Santo è principio ed energia vitale che spinge gli uomini a vivere «secondo Dio», come esseri cioè in relazione personalissima con Dio, come comunità di credenti e come popolo sacerdotale e profetico, chiamato a rendere visibile nel mondo l'amore creante e redentore di Dio; a ricreare il proprio io secondo lo Spirito di Dio (Tommaso d'Aquino, De virtutibus, q. 1, a. 10); a ricercare «prima di tutto» il Regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,25-33), nell'«attesa di cieli nuovi e terra nuova in cui abiterà definitivamente la giustizia» (2 Pt 3,13).
In tale prospettiva, la vita morale, che si articola nella libera adesione a norme e principi divini iscritti nel cuore di ogni uomo, si nutre di una personale relazione con Dio in Gesù Cristo e, nella luce di essa, è ricerca del giusto rapporto con gli altri e con le realtà temporali. Come conseguenza, l'esistenza storica risulta segnata dalla «sacramentalità», vale a dire dalla costante coniugazione di visibilità e di mistero, di concretezza e di idealità, di impegno e di invocazione, di inserzione nel tempo e di apertura all'eterno. Ed in questa linea potrà continuare ad avere valore «maieutico e liberante» – anche a livello pedagogico-educativo – la testimonianza di «una vita che profuma di Vangelo» e che, «vivendo di fede», mostra la dignità e la valenza umana della stessa profezia cristiana sull'uomo e sulla storia umana.
10. L'esigenza di una Università come comunità educativa
L'immagine «comunitaria» è connaturata alla esperienza storica dell'Università, concepita come organico convergere e vivere, tipico di una universitas magistrorum et scholarium. Ancor più importante è oggi questa visione comunitaria se si vuole che il movimento intenzionale dell'istituzione e della prassi universitaria sia decisamente focalizzato e indirizzato sulla e verso la formazione «specialistica» di uomini e donne «per l'uomo e per la comunità», «ultimamente per Dio».
In quanto luogo di formazione mediante l'acquisizione delle conoscenze scientifiche, lo studio rigoroso e lo sviluppo della coscienza critica, l'Università non potrà non essere comunità di dialogo, di ricerca e di esperienza sociale. Certo, oggi dovrà essere informata ai valori democratici e dell'etica pubblica, in interazione con la più vasta comunità civile e sociale di cui l'Università è parte integrante e culturalmente stimolativa. Si dovrà pensare a procedure corrispondenti, ma certamente anche curare la qualità delle relazioni dirigenti-amministratori-docenti studenti, coniugando complessità e autonomia, personale e istituzionale, rispetto delle procedure e dei ruoli e pratica della corresponsabilità partecipata e differenziata, in vista del raggiungimento di obiettivi culturali e professionali adeguati alle grandi finalità dell'istituzione universitaria, che sono: la ricerca, la formazione, la diffusione culturale, la gestione istituzionale-universitaria. E tutto questo, sulla base della libertà dell'insegnamento, del diritto di opinione e di espressione, della libertà religiosa, del rispetto reciproco delle persone e delle «differenze» individuali e di status sociale, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale, ma anche nell'impegno della ricerca e della tensione etica per la verità e il bene comune. La ricerca della «positività» dell'azione educativa e la coscienza che l'educazione è «opera comune» spingono a chiedere – a livello di esercizio pubblico del «servizio educativo» – un preciso quadro istituzionale, giuridico e deontologico per il suo corretto espletamento.
11. Conclusione
Nel contesto della visione cattolica dell'educazione globale acquistano infine – e mi avvio alla conclusione - una rilevante importanza la figura e la missione dei docenti universitari. Occorre che essi siano personalità di profondo spessore umano, prima ancora che provvisti delle pur necessarie e valide competenze accademiche: persone spiritualmente ricche, annunciatori credibili del Vangelo, testimoni chiari della qualità umana della cultura che insegnano o propongono. Soprattutto, non possono non essere al contempo «maestri» e «politici», nel senso alto e umano di «costruttore di polis», e di cittadinanza aperta e attivamente impegnata per uno sviluppo storicamente sostenibile, umanamente degno per tutti. Educare per un docente è partecipare agli studenti il sapere comunicando valori e senso; è aiutare a costruire insieme un futuro migliore per ciascuno e per tutti mantenendo viva la fiamma della speranza; è testimoniare quella «verità che salva», a cui si può pervenire grazie al dinamismo conoscitivo di «una fede amica dell'intelligenza e animata dall'agape». Mi pare che sia proprio questo il messaggio che Papa Benedetto XVI va ripetendo in ogni circostanza opportuna indicando l'educazione come una modalità cristiana di dialogare e di riflettere culturalmente. La sua carriera di docente e la sua lunga esperienza di Pastore lo rendono guida saggia e illuminata per tutti coloro che sono chiamati a svolgere questo servizio nella Chiesa e nella società, un servizio indispensabile all'evangelizzazione specialmente dei giovani e della cultura. Maria, Sedes sapientiae vegli sull'anno accademico appena avviato; un nuovo anno che auguro, grazie anche all'intercessione di san Giovanni Bosco, sereno, fruttuoso e proficuo per tutti. Grazie!
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[1] J. S. Bruner, Verso una teoria dell'istruzione, Armando, Roma 1967, p. 51.
[2] Benedetto XVI, Discorso al Convegno di Verona (19 ottobre 2006), in «L'Osservatore Romano» (venerdì 20 ottobre 2006) 7.
[3] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Fides et ratio, n. 102, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 148.
[4] Cf E. morin, Quelle université pour demain? Vers une évolution transdisciplinaire de l'université, in «Motivations» 24 (1997) 1-4.
[5] Cf G. Tanzella-Nitti, Passione per la verità e responsabilità del sapere, Casale Monferrato, Piemme, 1999, p. 188.
[6] E. Fiorani, La comunicazione a rete globale, Lupetti-Editori di Comunicazione, Milano 1998, p. 106.
[7] Cf J. maritain, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 199510.
Europarlamento: no a emendamento contro aborto e sterilizzazioni - di Antonio Gaspari - ROMA, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Nella seduta di questo giovedì il Parlamento europeo ha respinto un emendamento che chiedeva di interrompere ogni programma di assistenza a governi e associazioni coinvolti in progetti per la diffusione di aborto coercitivo, sterilizzazione involontaria e infanticidio.
A proporre l’emendamento è stata l’eurodeputata irlandese Kathy Sinnott, membro dell’ufficio di presidenza del gruppo Indipendenza/Democrazia, insieme a tutti i membri del PPE (Partito Popolare Europeo), il gruppo più grande e l’unico con rappresentanti in tutti i paesi dell’Unione.
Kathy Sinnott è stata fondatrice e segretaria dell’Associazione per le persone con gravi e profondi handicap mentali. Tra i tanti riconoscimenti è stata premiata come “Donna dell’anno” dall’Irish Tatler (2001), oltre a ricevere il Premio “Pace e Giustizia” (2000) e “Mamma dell’anno” da parte del “Woman’s Way Celebrity” (2008).
Nell’emendamento già respinto dalla Commissione Controllo del Bilancio e ripresentato in aula, l’eurodeputata irlandese e il gruppo del PPE chiedevano di negare qualsiasi assistenza da parte della Comunità europea a quei governi e associazioni “che sostengono o partecipano alla gestione di programmi che violano i diritti umani fondamentali, attraverso l’applicazione di aborto coercitivo, sterilizzazione involontaria e infanticidio”.
Nell’emendamento si fa riferimento alle disposizioni decise alla Conferenza Onu svoltasi a il Cairo (1994) su Popolazione e Sviluppo circa la proibizione di programmi coercitivi in materia di diritti sessuali e riproduttivi.
Il provvedimento respinto chiedeva inoltre alla Commissione Controllo del Bilancio di presentare ogni anno un rapporto sull'applicazione di progetti di assistenza dell'Unione Europea (UE) in relazione a programmi che possono violare i diritti umani.
Secondo alcuni esperti di bilancio presenti a Strasburgo, se l’emendamento fosse passato avrebbe costretto l'UE a tagliare i finanziamenti delle associazioni che praticano programmi di controllo delle nascite.
Sui diritti umani, nessun cedimento a “interpretazioni relativistiche” - Mons. Francesco Follo sui 60 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo - PARIGI, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).-“Non dobbiamo cedere alla tentazione di interpretazioni relativistiche dei diritti umani o ad una applicazione parziale e ineguale secondo il ben volere di coloro che devono applicarli”, afferma mons. Francesco Follo.
E' quanto ha ribadito l'Osservatore permanente della Santa Sede all'UNESCO, intervenendo il 14 ottobre scorso, a Parigi, alla 180° Sessione del Consiglio esecutivo di questa Organizzazione delle Nazioni Unite per commemorare il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Per il presule un atteggiamento di questo tipo “significherebbe soddisfare esigenze particolari, trascurando le esigenze legittime della persona umana per la quale questi diritti sono stati riconosciuti”.
Tracciando un breve bilancio di questi ultimi 60 anni, il presule ha ricordato che mentre allora, nel 1948, furono 51 gli Stati ad aderire alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, oggi sono 193, e che sempre “nuovi paesi” vogliono “esprimere altri diritti”; inoltre, ha evidenziato che al giorno d'oggi “le circa 6000 lingue e le 7500 etnie fanno sentire la loro presenza”, mentre “il ruolo sociale [...] della religione è sempre più riconosciuto”.
Nel suo intervento mons. Follo ha lodato la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo come “uno dei più bei frutti della convergenza tra le differenti tradizioni culturali e religiose, che si è rivelata uno strumento importante per proteggere la persona umana e preservarne la dignità”.
Oltre a questo, ha aggiunto, “i diritti umani si sono rivelati un mezzo efficace per preservare la pace nel mondo”, sottolineando poi che la loro promozione oggi può risultare “efficace nel colmare le disuguaglianze fra i Paesi e i gruppi sociali”.
Riferendosi allo stato di applicazione del Piano d’azione dell’UNESCO, l’Osservatore permanente della Santa Sede ha detto che questi diritti sono “espressione della legge naturale, che è iscritta nel cuore dell’uomo e che è presente nelle differenti culture e civiltà”.
Se da una parte “la percezione dei diritti dell’uomo si evolve nel tempo”, dall'altra – ha continuato – “l’essere radicati nella persona umana conferisce loro uno statuto universale”.
Nel suo intervento si è quindi soffermato in particolare sul diritto alla libertà religiosa da riconoscere “non solo in ciò che concerne la dimensione del culto o del rito in senso stretto, ma anche in ciò che concerne la vita dell’uomo in generale”.
Il diritto alla libertà religiosa, ha ricordato, si definisce “nell’atto di credere o di non credere, di avere una religione o di non averla, o di cambiarla; da un punto di vista soggettivo questa libertà non esclude altre dimensioni dell’essere umano, come quella della cittadinanza, ma al contrario è diretta verso l'Assoluto, unifica l'essere umano piuttosto che frammentarlo”.
“La libertà di una persona – ha continuato – si sviluppa in connessione con la libertà degli altri. Si tratta di una libertà con gli altri e attraverso gli altri, e quindi anche con l'Altro”.
Il diritto alla libertà religiosa è quindi “espressione di una dimensione costitutiva della persona umana, che non si può negare o eludere”.
Cristiani e musulmani ai Governi europei: non proibite i simboli religiosi - Essere cittadino e credente non è in contraddizione, avvertono - di Inma Álvarez
MALINES, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- “Come cristiani e musulmani affermiamo che siamo cittadini 'e' credenti, non cittadini 'o' credenti. Siamo chiamati a lavorare fianco a fianco in modo adeguato con gli Stati a cui apparteniamo senza subordinarci ad essi”.
Lo afferma il documento finale dell'incontro tra cristiani e musulmani, sul tema “Essere cittadino europeo e persona di fede”, svoltosi fino a questo giovedì a Malines (Belgio), organizzato dal Comitato per le Relazioni con i Musulmani in Europa delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) e dal Consiglio delle Chiese Europee (KEK).
L'Europa, afferma il comunicato, “è sottoposta a un processo di profonda trasformazione, e sta emergendo una società plurale, interetnica, interculturale e interreligiosa”.
In alcuni Stati, lamenta, “si individua un processo che sta portando a una relegazione progressiva della religione alla sfera privata”, arrivando anche all'“emarginazione dallo spazio pubblico”, per giungere allo “sradicamento di ogni tipo di manifestazione pubblica della fede”.
Di fronte a questo, il comunicato afferma l'importanza del “principio di integrazione”, che “non dovrebbe mai implicare la rinuncia alla nostra identità religiosa”, come “mostrare simboli religiosi in luoghi pubblici”, o “la neutralizzazione delle festività religiose con il pretesto che potrebbero ferire la sensibilità di altri credenti”.
Dall'altro lato, si sostiene l'importanza del diritto alla “libertà di coscienza, a cambiare o abbandonare la propria religione, a mostrare e a difendere in pubblico le proprie convinzioni religiose senza essere ridicolizzati o intimiditi da pregiudizi o stereotipi”.
Un altro dei punti del comunicato si riferisce al clima di intesa auspicabile tra le due comunità e insiste sul dialogo, che consiste “più nell'ascoltare che nel parlare” e nell'“imparare a curare le ferite delle divisioni provocate da conflitti passati” per essere “ambasciatori di riconciliazione”.
Per questo è necessario “conoscersi a vicenda”, per cui i partecipanti all'incontro propongono di permettere l'ingresso in chiese e moschee “a visitatori di altre comunità”, così come “incontri scolastici e accademici” che favoriscano la conoscenza reciproca.
Propongono inoltre la condanna di “qualsiasi uso della violenza in nome della religione” e di “forme ostili e militanti di secolarismo che creano discriminazione tra i cittadini e non lasciano spazio alle credenze e alle pratiche religiose”.
E' anche importante, afferma il comunicato, trovare spazi di intesa in quanto alla “relazione della persona con Dio, il ruolo della famiglia, la dignità umana, la giustizia sociale e la cura dell'ambiente”.
“Il nostro desiderio per le generazioni future è che vivano in armonia e pace con le loro differenze religiose, e che lavorino per il progresso della società. Il dialogo interreligioso deve iniziare ad essere il clima in cui i bambini e i giovani possano accettare l'altro e le sue differenze”.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
La vita di una bambina salva l’umanità - “Bella”, una poesia d’amore in un film - di Antonio Gaspari - STRASBURGO, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Una storia semplice di grandissima umanità. La vittoria dell’amore fraterno che supera le paure umane più diffuse. Un film in cui la bellezza e il sorriso di una bambina che non doveva nascere spinge i due protagonisti a superare i drammi della loro vita e costruire con amore e coraggio il futuro.
Questi sono alcuni dei giudizi espressi dai trecento giovani che hanno assistito, mercoledì 22 ottobre, a Strasburgo ad una proiezione esclusiva e privata del film “Bella”.
La proiezione è stata organizzata dal Movimento per la Vita per i 300 vincitori del XXI concorso scolastico che aveva per tema “Europa e diritti umani. Noi giovani protagonisti”.
Il film “Bella”, del regista Alejandro Gomez Monteverde, racconta la storia di Josè, un promettente giocatore di calcio messicano, che nel recarsi a firmare il contratto con il Real Madrid investe uccidendola una bambina di pochi anni.
Il dramma cambia la vita di Josè, non solo perché va in prigione, smette di giocare a calcio e si ritira a fare il cuoco nel ristorante del suo fratello adottivo, ma soprattutto perché il giovane decide di dedicare la sua vita ad aiutare gli altri.
L’occasione è la vicenda di Nina, una giovane ragazza che viene licenziata dal fratellastro perché assente ingiustificata. La ragazza, che non andava al lavoro perché incinta, è spaventata, impaurita, all’inizio di un percorso che la porterebbe alla disperazione. Josè la segue, le manifesta la sua solidarietà, l’accompagna, le parla, le presenta la sua famiglia e le spiega il motivo della sua tristezza.
Nina parla con Josè della sua intenzione di mettere fine alla gravidanza, perché non si sente in grado di portarla avanti, sola, senza lavoro, senza il sostegno neanche di sua madre che non si è mai ripresa dopo la morte del marito avvenuta quando Nina aveva solo 12 anni.
Josè non condivide la scelta dell’interruzione di gravidanza, ma non replica direttamente; trova un lavoro per Nina, la porta a cena dalla sua famiglia, e soprattutto le fa sentire tutto il caloroso sostegno umano.
Il film riflette in maniera vera e profonda i drammi che colpiscono l’animo umano, ma il racconto è lieve, i dialoghi intensi, i rapporti tra le persone caratterizzati da una profonda umanità.
I personaggi mostrano ferite profonde, ma si respira una grande fiducia nella capacità amorevole e solidale di poter costruire percorsi di bene.
Nel film le parole aborto, Dio, solidarietà umanità, difesa della vita e della famiglia non vengono mai pronunciate, ma le immagini, i silenzi, le varie vicende, i diversi personaggi concorrono insieme a comporre una commovente poesia d’amore.
In alcune parti il film sembra lento, con tanti primi piani e flashback, ma i messaggi che comunica sono di un'intensità emotiva dirompente.
Nessuno tra coloro che hanno visto il film è riuscito a non versare qualche lacrima di commozione.
Presentato come evento speciale alla Prima Edizione del Fiuggi Family Festival e vincitore del premio del pubblico al Festival di Toronto, il film “Bella” verrà distribuito in Italia dalla “Lux Vide”.
23/10/2008 16:56 – ASIA -Libertà religiosa: difesa dalla società civile; dimenticata dagli Stati - di Bernardo Cervellera - Il Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre mostra che le violazioni a questo diritto avvengono per puri motivi di potere e per bloccare lo sviluppo sociale ed economico delle società. Le società civili del mondo sono sempre più consapevoli della sua importanza; i governi la considerano molto secondaria. Ma la costruzione della pace del benessere passa per la libertà religiosa.
Roma (AsiaNews) - Il Rapporto 2008 sulla libertà religiosa nel mondo, a cura dell’Associazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre, offre uno spaccato delle sofferenze per la fede di centinaia di milioni di persone. Anche AsiaNews ha contribuito a documentare le violazioni a questo diritto fondamentale che Benedetto XVI ha definito “pietra angolare” dei diritti umani.
Scorrendo le pagine e seguendo ogni giorno gli avvenimenti dell’Asia attraverso la nostra agenzia ci accorgiamo di alcune elementi importanti:
1) le violazioni alla libertà religiosa avvengono sempre più per motivi di potere e in disprezzo allo sviluppo umano e sociale dell’uomo. In passato erano molto più frequenti le motivazioni del fondamentalismo fanatico che vuole annientare le altre comunità confessionali; il rifiuto di religioni (come il cristianesimo), legate a un passato coloniale; le motivazioni ideologiche marxiste, che volevano distruggere le religioni come “oppio del popolo”. Ora invece è chiaro che perfino in Cina o in Vietnam, la lotta contro le religioni è una lotta contro la libertà dell’uomo, la possibilità di esprimere il proprio pensiero e costruire ambiti di dialogo e di giustizia nella società. In Cina come in Vietnam, il Partito comunista ha perso ogni verve ideologica e cerca soltanto di salvarsi dal crollo imminente a causa dalla corruzione dei membri e dalle richieste di giustizia da parte di contadini espulsi dalle proprie terre, cittadini stanchi dell’inquinamento, testimoni di soprusi senza freno. Perfino le persecuzioni in India, pur con una forte dose di integralismo religioso indù, sono motivate dall’interesse di partiti politici e proprietari terrieri a mantenere come schiavi i tribali e i dalit che convertendosi al cristianesimo, si aprono a una nuova emancipazione sociale ed economica della loro vita. Da questo punto di vista ci si accorge che imbavagliare le religiosi significa imbavagliare le voci che parlano di libertà di espressione, di giustizia contro la corruzione; di sviluppo e di dignità. Le forze di potere che lottano contro la libertà religiosa vogliono Paesi chiusi, bloccati, senza sviluppo economico, per conservare i loro monopoli e interessi
2) Va registrato nel mondo islamico un accento sempre più forte di distacco dal terrorismo fondamentalista. Ne è prova l’apertura di diverse chiese negli emirati arabi e in Kuwait; il dialogo fra Arabia saudita e Vaticano; la difesa dei cristiani da parte delle organizzazioni musulmane moderate in Indonesia. Perfino la sorte dei cristiani irakeni è divenuta tema di dibattito nei giornali del Medio Oriente: questi cristiani sono una fonte di cultura, di sviluppo, di internazionalità, capaci di dialogare con oriente ed occidente ed è un peccato perderli.
3) C’è un interesse crescente della società civile mondiale verso la libertà religiosa come base per costruire la pace. Basta pensare alle imponenti manifestazioni avvenute nel mondo a favore dei monaci birmani; di quelle contro la Cina e la sua repressione verso i monaci tibetani. Questa opinione pubblica mondiale ha potere di influenzare gli Stati “canaglia” della libertà religiosa, che alla fine temono solo questa. In Vietnam, grazie all’attenzione internazionale verso i cattolici di Hanoi, il governo della città non è riuscito a eliminare né la comunità, né il suo vescovo. In India, anche se dopo un mese dai massacri e dalle distruzioni, il governo dell’Orissa ha dovuto aprire un’inchiesta sulle violenze contro i cristiani. La Cina stessa, pressata dalla società civile del mondo intero, ha dovuto riaprire i dialoghi con il Dalai Lama, fermi da anni. Per la popolazione civile del mondo è chiaro che la libertà religiosa è il catalizzatore delle altre libertà e la garanzia di ordine e di pace nella società.
4) C’è sempre meno interesse dei governi mondiali verso questo tema. L’incapacità a boicottare anche un solo giorno di Olimpiadi a Pechino, in nome della “partnership strategica” e dei contratti economici; la zoppicante e impotente altalena verso il regime birmano; il silenzio verso le violenze in India mostrano che gli Stati sono presi sempre più solo dallo stretto interesse economico. La globalizzazione ha reso la società civile mondiale più solidale; la stessa ha reso i governi più succubi dell’economia. E noi temiamo che con la recessione planetaria a cui stiamo per assistere, il divario fra opinione pubblica e governi si allargherà di più.
Questa situazione conferma l’importanza della nostra informazione, attenta alla sorte di cristiani, buddisti, musulmani, indù: un aiuto per l’opinione pubblica mondiale e per la pace nel mondo.
Mattoncini Lego: "una visione superata dei generi sessuali" - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 23 ottobre 2008 - In Svezia il “Consiglio etico del commercio contro il sessismo nella pubblicità”, se la prende con la Lego, rea di fare una pubblicità sessista.
Alzi la mano chi non ha mai giocato con i mitici LEGO.
I mattoncini di plastica con i quali costruire case, auto, città, aeroporti o stadi di calcio.
Da piccola io adoravo costruire case, con il tetto verde, le finestre bianche e le persiane apribili, ho sempre avuto un debole per le ristrutturazioni e le mansarde, ma crescendo ci ho giocato ancora in compagnia dei miei figli.
Ricordo che un Natale regalarono a miei figli una scatola di Lego con la quale costruire la stazione di polizia, solo che loro erano ancora troppo piccoli per giocarci e allora la notte di capodanno messi a letto i bambini, mentre attendevamo che la pizza in forno arrivasse al punto giusto di cottura io e mio marito ci mettemmo a costruire la stazione con i lego e a mezzanotte stappammo una bottiglia per brindare alla fine lavori e all’anno nuovo.
Ora scopro che in Svezia il “Consiglio etico del commercio contro il sessismo nella pubblicità”, una specie di censore che veglia sulla pubblicità e sugli spot di tutte le aziende, se la prende con la Lego, rea di fare una pubblicità sessista.
Si avete capito bene, - pubblicità sessista -.
Corpo del reato pare sia l’ultimo catalogo, dove sotto la scritta “tutto quello che una principessa può desiderare” c’è una bimba che gioca con cavalli e principesse in una cameretta rosa.
Discriminazione delle discriminazioni!
Sull’altra pagina del catalogo un bambino, gioca attorniato da macchinine e automezzi dei pompieri, in una cameretta azzurra, troppo virile? Che dite?
Insomma, un po’ ingenui questi della Lego.
Era meglio una cameretta verde pisello, un piccolo essere umano di sesso non ben identificato, tanto ha tutto il tempo di scegliere crescendo, e dei giochi per così dire neutri.
Scusate, ma mi sembra davvero un eccesso.
Secondo i santoni che vigilano, la Lego avrebbe rafforzato «una visione superata dei generi sessuali », e avrebbe diffuso degli «stereotipi» «degradanti per l’uomo e per la donna».
Insomma, essere maschio o femmina, non è più di moda, peggio è degradante.
Come dire che è ora che le aziende che producono biancheria intima femminile, la finiscano di sbatterci in faccia belle ragazze con il seno sodo strizzato in completino di pizzo, potrebbe essere un’immagine lesiva della dignità di quegli uomini che si sono fatti mettere dal chirurgo un paio di tette pur mantenendo gli attributi maschili.
Io non credo che siano i giochi e le case che li producono a determinare l’appartenenza sessuale dei bambini, sono ancora convinta che si nasca maschi o femmine e sono tra quelli che dicono che non siamo uguali, grazie a Dio, e non sarebbe giusto omologarci.
Perché c’è un genio femminile e un genio maschile.
E’ giusto che maschi e femmine abbiano la stessa possibilità di realizzare i loro sogni, di fare l’astronauta o la casalinga, ma lo faranno in modo differente, né meglio né peggio, perché siamo differenti e questa differenza è un pregio, una ricchezza, è la bellezza del genere umano.
Se poi ci sono persone che hanno gusti sessuali differenti, liberi di esercitare i loro gusti, ma questo non può determinare le scelte dell’intera società.
Un Cristo reale - Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 23 ottobre 2008 - Cristo è la persona che mi ama, con la quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde, è realmente il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia
«Oggi vorrei parlare dell’insegnamento che san Paolo ci ha lasciato sulla centralità del Cristo risorto nel mistero della salvezza, sulla sua cristologia. In verità, Gesù Cristo risorto, “esaltato sopra ogni nome”, sta al centro della sua riflessione. Cristo è per l’Apostolo il criterio di valutazione degli eventi e delle cose, il fine di ogni sforzo che egli compie per annunciare il Vangelo, la grande passione che sostiene i suoi passi sulle strade del mondo. E si tratta di un Cristo vivo, concreto: il Cristo - dice Paolo - “che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Questa persona che mi ama, con la quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde, questo è realmente il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 22 ottobre 2008].
Chi ha letto gli scritti di Paolo sa bene che egli non si è preoccupato di narrare i singoli fatti in cui si articola la fase terrena della vita di Gesù, anche se possiamo pensare che nelle sue catechesi e celebrazioni liturgiche abbia raccontato molto di più sul Gesù prepasquale di quanto egli scrive nelle Lettere, che sono ammonimenti in situazioni precise. Il suo intento, la sua accentuazione pastorale e teologica era talmente tesa all’edificazione delle nascenti comunità di vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidati, che gli era spontaneo concentrare, nella gerarchia delle verità, tutto nell’annuncio di Gesù Cristo quale “Signore”, vivo adesso e presente eucaristicamente ed ecclesialmente in mezzo ai suoi. Di qui la caratteristica essenzialità fondativa della cristologia paolina, che sviluppa le profondità del mistero cioè del divino attraverso la via umana di Gesù Cristo nel suo corpo che è la Chiesa con una costante e precisa preoccupazione: annunciare, certo, il Gesù vivo, il suo insegnamento, ma annunciare soprattutto la realtà centrale della sua morte e risurrezione, come culmine della sua esistenza terrena e radice, fondamento del successivo sviluppo di tutta la fede cristiana, di tutta la realtà, pure divino - umana, del mistero della Chiesa. Per l’Apostolo la risurrezione, l’incontro con il risorto nel suo corpo che è la Chiesa, non è un avvenimento a sé stante, disgiunto dalla morte: il Risorto è sempre colui che, prima, è stato crocifisso e si rende presente nell’Eucaristia e nel suo corpo che è la Chiesa, Crocifisso risorto. Anche da Risorto porta le sue ferite: la passione, come tutte le fasi della vita terrena dal concepimento verginale, nato da donna, è presente in Lui e si può dire con Pascal che Egli è sofferente fino alla fine del mondo, pur essendo Risorto e vivendo con noi e per noi. Questa identità del Risorto col Cristo crocefisso Paolo l’aveva capita nell’incontro sulla via di Damasco: in quel momento gli si rivelò con chiarezza che il Crocefisso è il Risorto e il Risorto è il Crocefisso, che dice a Paolo: “Perché mi perseguiti?” (At 9,4). Paolo sta perseguitando Cristo nel suo corpo che è la Chiesa e allora capisce che la croce è “una maledizione di Dio” (Dt 21,23), ma Risorto continuamente colpito nei suoi colpiti è sacrificio per la nostra redenzione.
Il segreto nascosto del Crocifisso - risorto continuamente perseguitato nel suo corpo che è la Chiesa
L’Apostolo contempla affascinato, fino a scoppiare di gioia in tutte le tribolazioni per il Vangelo, il segreto nascosto del Crocifisso - risorto e attraverso le sofferenze sperimentate da Cristo nella sua umanità (dimensione terrena) risale a quell’esistenza eterna in cui Egli è tutt’uno col Padre (dimensione divina pre - temporale): “Quando venne la pienezza del tempo - egli scrive -, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4-5). Queste due dimensioni, la preesistenza eterna presso il Padre e la discesa del Signore nella incarnazione, si annunciavano già nell’Antico Testamento, nella figura della Sapienza. Troviamo nei Libri sapienziali dell’Antico Testamento alcuni testi che esaltano il ruolo della Sapienza preesistente alla creazione del mondo: è la Ragione creativa, il Logos, la Parola cioè la Persona del figlio di Dio Padre attraverso cui nello Spirito tutto è creato. In questo senso vanno letti passi come questo del Salmo 90: “Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, Dio” (v.2); o passi come quello che parla della Sapienza creatrice: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra” (Pr 8, 22-23). Suggestivo è anche l’elogio della Sapienza, contenuto nell’omonimo libro: “La Sapienza si estende vigorosa da un’estremità all’altra e governa a meraviglia l’universo” (Sap 8,1).
Gli stessi testi sapienziali che parlano della preesistenza eterna della Sapienza, parlano anche della discesa, dell’abbassamento di questa Sapienza, che si è creata una tenda tra gli uomini. Così sentiamo echeggiare già le parole del Vangelo di Giovanni che parla della tenda della carne del Signore. Si è creata una tenda nell’Antico Testamento: qui è indicato il tempio, il culto secondo la “Thorà”; ma dal punto di vista del Nuovo Testamento possiamo capire che questa era solo una prefigurazione della tenda molto più reale e significativa: la tenda della carne, del Logos, della Parola di Dio nel grembo di Maria, di Cristo nell’Eucaristia e nel Suo corpo che è la Chiesa per tutti e per tutto. E vediamo già, perché Dio è Amore e non può costringere poiché un rapporto costretto non è un rapporto di amore, come sono tutti i rapporti di Dio con le sue creature intelligenti e libere, nei Libri dell’Antico Testamento che questo abbassamento della Sapienza, della Ragione creativa, del Logos, del Figlio, la sua discesa nella carne, implica anche la possibilità che essa sia rifiutata. San Paolo, sviluppando la sua cristologia, si richiama proprio a questa prospettiva sapienziale che rivela unitariamente chi è Dio e chi è ogni uomo e quale il rapporto libero, di amore tra Creatore e creature intelligenti e libere, puri spiriti come gli angeli, spiriti corporei come gli uomini: riconosce in Gesù la sapienza eterna esistente da sempre, la sapienza che discende e si crea una tenda tra di noi e così egli può descrivere Cristo, come “potenza e sapienza di Dio”, può dire che Cristo è diventato per noi “sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1, 24.30). Similmente Paolo chiarisce che Cristo, al pari della Sapienza, può essere rifiutato soprattutto dai dominatori di questo mondo (1 Cor 2, 6-9), cosicché può crearsi nei piani di Dio una situazione paradossale, la croce, che si capovolgerà in via di salvezza per tutto il genere umano.
Un ciclo ulteriore di questo ciclo sapienziale, che vede la Sapienza abbassarsi per poi essere esaltata nonostante il rifiuto, si ha nel famoso inno contenuto nella Lettera ai Filippesi (2,6-11). Si tratta di uno dei testi più alti di tutto il Nuovo Testamento. Gli esegeti in stragrande maggioranza concordano ormai nel ritenere che questa pericope riporti una composizione precedente al testo della Lettera ai Filippesi. Questo è un dato di grande importanza, perché significa che il giudeo - cristianesimo, prima di san Paolo, credeva nella divinità di Gesù. In altre parole, la fede nella divinità di Gesù non è una invenzione ellenistica, sorta molto dopo la vita terrena di Gesù, un’invenzione che, dimenticando la sua umanità, lo avrebbe divinizzato; vediamo in realtà che il primo giudeo - cristianesimo credeva nella divinità di Gesù, anzi possiamo dire che gli Apostoli stessi, nei grandi momenti della vita del loro Maestro, hanno capito che Egli era il Figlio di Dio, come disse san Pietro a Cesarea di Filippi: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Ma ritorniamo all’inno della Lettera ai Filippesi. La struttura di questo testo può essere articolata in tre strofe, che illustrano i momenti principali del percorso compiuto dal Cristo.
- La sua preesistenza è espressa dalle parole: “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio” (v.6);
- segue poi l’abbassamento volontario, libero, per amore del Figlio nella seconda strofa: “svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo” (v.7), fino a umiliare se stesso “facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (v. 8).
- La terza strofa dell’inno annuncia la risposta del Padre all’umiliazione del Figlio: “Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (v. 9).
Ciò che colpisce è il contrasto tra l’abbassamento radicale e la seguente glorificazione nella gloria di Dio. E’ evidente che questa seconda strofa è in contrasto con la pretesa del primo Adamo che da sé voleva farsi Dio, è in contrasto anche con il gesto dei costruttori di Babele che volevano da soli edificare il ponte verso il cielo e farsi loro stessi divinità. Ma questa iniziativa della superbia finì nella autodistruzione: non si arriva così al cielo, alla vera felicità. Il gesto del Figlio di Dio è esattamente il contrario: non la superbia, ma l’umiltà, che è realizzazione dell’amore e l’amore è divino, è vita veramente vita che dura eternamente. L’iniziativa di abbassamento, di umiltà radicale di Cristo, con la quale contrasta la superbia umana, è realmente espressione dell’amore divino, è il divino nella via umana; ad essa segue quell’elevazione al cielo alla quale Dio ci attira con il suo amore.
Oltre alla Lettera ai Filippesi, vi sono luoghi della letteratura paolina dove i temi della preesistenza e della discesa del Figlio di Dio sulla terra sono tra loro collegati. Una riaffermazione dell’assimilazione tra Sapienza, Ragione creativa, Logos, Parola del Padre e Cristo, con tutti i connessi risvolti cosmici e antropologici, si ritrova nella prima Lettera a Timoteo: “Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria” (3,16). E’ soprattutto su queste premesse che si può meglio definire la funzione di Cristo come Mediatore unico, sullo sfondo dell’unico Dio dell’Antico Testamento (1 Tm 2,5 in relazione a Is 43,1011; 44,6). E’ Cristo il vero ponte che ci guidala cielo, alla comunione con Dio.
E, finalmente, solo un accenno agli ultimi sviluppi della cristologia di san Paolo nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini. Nella prima, Cristo viene glorificato come “primogenito di tutte le creature” (1, 15-20. Questa parola “primogenito” implica che il primo fra tanti figli, il primo di tanti fratelli e sorelle, è disceso per attirarci e farci suoi fratelli e sorelle. Nella sua bontà impensabile il Padre ha voluto che l’Unigenito generato nell’identica natura divina fosse il primogenito di molti fratelli nella natura umana. Il primo dunque che è stato scelto prima della creazione del mondo è il Verbo incarnato, crocifisso e risorto, centro del cosmo e della storia, ed in Lui ciascuno di noi è stato pensato e voluto ed a sua immagine creato: “ha assunto una forma uguale alla tua” scrive un Padre della Chiesa “e ti ha adattato di nuovo alla bellezza originaria”. E’ quanto scrive l’apostolo Paolo: “Egli ci ha salvato e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia: grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità” (2 Tm 1, 9). Paolo ha compreso che quel Gesù, crocifisso e risorto, che egli ha carismaticamente incontrato sulla via di Damasco e poi verificato con le tre colonne a Gerusalemme, è colui nel quale e conformemente al quale la sua persona è stata “graziata”: pensata e voluta per amore, fin dall’eternità.
Ogni persona umana realizza se stessa solamente in Cristo. Se siamo stati pensati e voluti nel Verbo incarnato, questi è la nostra intelligibilità, la nostra Verità e la nostra Vita, il significato ultimo del nostro esserci, il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia, il tutto in rapporto al quale valutiamo gli eventi e le cose. Quindi l’avvenimento dell’incontro con Cristo cioè essere cristiani che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva non è un “optional” nei confronti del quale ogni persona può essere neutrale: una specie di “dopolavoro” che inizia quando il lavoro dell’esistere si interrompe. Ma, come scrive un grande teologo della chiesa orientale, N. Cabasilas, “mente e desiderio sono stati forgiati in funzione di Lui: per conoscere il Cristo abbiamo ricevuto il pensiero; per correre verso di Lui il desiderio, e la memoria per portarlo in noi”. La parola “avvenimento dell’incontro all’inizio dell’essere cristiani”, tante volte usata nell’evangelizzare, nell’educare alla fede, nel trasmettere umanità, trova il suo pieno significato nella pagina paolina. Avvenimento dell’incontro significa un ingresso di Cristo in noi, tale per cui siamo trasformati, assimilati a Lui, viviamo in Lui e di Lui: l’Archetipo configura a sé totalmente ogni persona (io e non più io, siamo uno in Cristo) e la rende in atto pienamente umana. La Scrittura usa tante immagini: la vite e i tralci, la comunione sponsale, la mutua in abitazione ed altre ancora. Perché un incontro del genere possa accadere, Cristo infonde in ogni uomo ciò che di più intimo, di più proprio c’è in Lui, il suo stesso Spirito, lo Spirito del Risorto. E’ Lui, lo Spirito, che realizza l’avvenimento dell’incontro di ogni uomo con il Verbo incarnato, crocifisso e risorto che rende cristiani, suo corpo cioè Chiesa. Nella Lettera agli Efesini troviamo una bella esposizione del piano di salvezza, quando Paolo dice che in Cristo Dio voleva ricapitolare tutto (Ef 1, 23). Cristo è la ricapitolazione di tutto, riassume tutto e ci guida a Dio. E così ci implica un movimento di discesa e di ascesa, invitandoci a partecipare alla sua umiltà, cioè al suo amore verso il prossimo, per essere così partecipi anche della sua glorificazione, divenendo con Lui figli nel Figlio.
La Chiesa, presenza sacramentale del Crocefisso risorto dentro al mondo, principio per capirlo e per trovare la via verso il futuro
Sul fondamento biblico di san Paolo recependo la Lumen gentium, la Gaudium et spes, il grande Magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI attraverso i Sinodi dei Vescovi, la grande esperienza dei Movimenti ecclesiali e la vitalità delle Chiese particolari indica come deve essere pensata e realizzata la presenza della Chiesa dentro il mondo di oggi.
“In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore” (GS 22,1). Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore che vuole tutti salvi svela anche pienamente l’uomo a se stesso, come fu inteso all’atto della creazione e alla luce della passione, morte e risurrezione e gli manifesta la sua altissima vocazione, come valutare gli eventi e le cose. Ogni persona umana non è una “materia”, una “massa” assolutamente informe, un semplice prodotto della natura suscettibile di essere trattato come ogni altro animale, affidato completamente ed esclusivamente alla propria libertà. Un materiale grezzo sul quale esercitare la nostra attività creatrice. Ogni persona umana, dal concepimento al termine naturale, ha una sua propria natura; ha una sua verità. E’ certamente una domanda decisiva circa ogni essere umano concreto quella che riguarda la sua origine: da dove viene, da dove deriva ogni uomo? Ma è ancora più importante la domanda circa il suo destino finale: a che cosa è destinato definitivamente ogni uomo? O la domanda equivalente: quale è la vocazione di ogni persona nel suo rapporto con Dio, con se stessa, con gli altri nella ricerca della verità e nella disponibilità all’amore?
L’interpretazione della Scrittura nella Chiesa del Concilio Vaticano II risponde alla domanda chi/che cosa è l’uomo? Quale è la vocazione di ogni essere umano concreto? La risposta viene dall’avvenimento dell’incontro con Cristo, il Verbo, la Parola di Dio incarnata. Non nel senso - e anche questo è molto importante - che Egli insegna una dottrina circa l’uomo, la verità di ogni essere umano. Ma nel senso dell’incontro con Cristo vivo, concreto che mi ama, con il quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde per capire anche il mondo di oggi e per trovare la strada nella storia. Ed è rivelando chi è Dio come “il mistero del Padre”, che l’uomo viene a sapere interamente chi è e qual è il suo definitivo destino, la sua “altissima” vocazione.
Se la verità dell’uomo (come risposta esaustiva alla domanda “chi è ogni uomo concreto”?) e il suo destino finale (come risposta alla domanda “a che cosa è destinato ogni uomo?”) è una persona, è Cristo vivo, concreto da incontrare nel suo corpo che è la Chiesa, l’apprendimento di questa verità coinvolge necessariamente la libertà così come il consenso a quel destino. Se Cristo “rivelasse all’uomo chi è l’uomo” dando semplicemente un insegnamento circa l’uomo, sarebbe sufficiente mettere in atto la nostra ragione: comprendere il contenuto di quella dottrina, verificarne la verità, la realtà. Ma poiché Cristo vivo “rivela l’uomo all’uomo” incontrandolo in Se stesso e con Se stesso, apprendere la risposta significa ed esige entrare in rapporto con Lui, parlare con Lui, ascoltarlo, risponderGli, sentirsi amati, vivere in una profonda comunione con Lui. E questo può avvenire solo liberamente, poiché propone una verità che si identifica con una persona, con la persona di Gesù, con Cristo vivo. E l’impegno cristiano non è la “dedizione ad una causa”, ma la passione per una Persona, Gesù Cristo vivo, concreto sentendosi amati.
Ma cosa significa “Cristo… proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”?
Ognuno constata in sé il desiderio di raggiungere una pienezza della nostra umanità. L’umano è una tensione verso la propria realizzazione, è un germe che ha in sé la forza di crescere e di fiorire. Nessun essere umano, maschio o femmina, può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita priva di senso se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo esperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E la Chiesa è semplicemente la continuazione della presenza di Cristo nel mondo, del dono del suo amore. La presenza del Crocefisso risorto nella Chiesa è una presenza sacramentale, è il sacramento primordiale della presenza del Risorto nel mondo con il dono del Suo Spirito e quindi dell’amore del Padre.
Sacramentale non si oppone a reale. La sacramentalità denota la modalità con cui la Chiesa è realmente la presenza del Crocefisso risorto nel mondo. La presenza reale - sacramentale è quella che si dà nel segno di un vissuto umano, come la presenza reale, vera, sostanziale nell’Eucaristia. Essa si dà non fisicamente ma sostanzialmente nel segno del pane e del vino. Così è la Chiesa. Essa è visibile come società umana, come vissuto fraterno di comunione autorevolmente guidato. Ma nel segno della sua realtà visibile c’è la presenza reale e operante di Cristo che salva l’uomo. La Chiesa è dunque nel mondo come sacramento della presenza di Cristo venuto per redimere ogni uomo; è il sacramento della presenza di Cristo, Redentore dell’uomo, “arrecando la luce che viene dal Vangelo e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che…, sotto la guida dello Spirito, riceve dal suo fondatore” (EV 1/1322). La via della Chiesa è Cristo, la via della Chiesa è ogni uomo. La Chiesa è sulla stessa strada dell’uomo; non offre e non prone all’uomo vie alternative alla vita umana quotidiana. La Chiesa è sulla via concreta del vissuto umano come lo fu Cristo: per condurre ogni uomo alla sua vera pienezza.
Il Dio in cui crediamo non è un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede con l’incarnazione un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme.
UNIVERSITA'/2. Scienze politiche: 9mila iscritti, 30 occupanti, 20 giornalisti: un esempio di protesta mediatica - Redazione - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
«Scienze Politiche: 9mila iscritti, 30 che occupano e 20 giornalisti». Così recitava un cartello appeso ieri da alcuni studenti milanesi di Scienze Politiche nel cortile di via Conservatorio – puntualmente strappato dai “rivoltosi”. La scena che si presentava agli occhi di chi giungeva nella sede distaccata della Statale di Milano era proprio questa: un manipolo di ragazzi accerchiato da inviati e cameraman. I titoli dei principali quotidiani nazionali, così come la loro versione online del pomeriggio precedente, annunciavano l’occupazione della facoltà di Scienze Politiche e l’interruzione delle lezioni. Eppure allo sprovveduto visitatore pareva che lo scoop fosse che i giornalisti non c’avessero azzeccato per niente. Le lezioni si sono svolte regolarmente. Nessuna è stata interrotta. Intorno alla trentina di persone, che nella mattinata di ieri bivaccava in mezzo al cortile di via Conservatorio, la vita procedeva tranquillamente. C’erano quasi più telecamere e fotografi che manifestanti. Del resto si era annunciata l’irruzione degli occupanti al Consiglio di facoltà delle ore 14.30. La sceneggiata è avvenuta. Il loro comunicato – tempestivamente riportato dal Corriere online – è stato letto. Subito dopo il Cdf è proseguito. Lì la maggioranza delle rappresentanze studentesche ha preso posizione contro i tentativi di blocco della didattica. In effetti un episodio di questo genere è accaduto nel tardo pomeriggio di mercoledì 22 ottobre, quando un corteo di esterni ha decretato arbitrariamente la sospensione della lezione del professor Giorgio Barba Navaretti in aula 10. Che la gran parte dei manifestanti fosse estranea alla facoltà appariva chiaro dal fatto che nessuno sapeva dove dirigersi per cercare le aule. «È un’azione violenta» ha urlato Barba Navaretti ai manifestanti. A esprimergli pubblicamente solidarietà in Consiglio di facoltà ci ha pensato il professor Graglia, quello che è finito su tutti i giornali per aver improvvisato una lezione in piazza Duomo contro i tagli previsti dalla finanziaria.
La récréation (come la definì De Gaulle) di questi improbabili barricaderos continua, ormai, da una settimana. Più sui media che nella realtà. Da questo punto di vista Scienze Politiche non è stata da meno. Anche all’Accademia di Brera è toccata la stessa sorte. All’assemblea di martedì 21 ottobre, indetta dai collettivi accademici, i partecipanti – su circa 4mila iscritti – non superavano la sessantina di persone. Il Sit-in avvenuto negli uffici del direttore e la seguente occupazione non sono durati più di mezz’ora. Terminate le foto di rito per i quotidiani del giorno dopo, i dimostranti sono stati accompagnati all’uscita. La vita in questi giorni prosegue regolarmente. Nonostante il sito di Repubblica. Non stupirebbe se nei prossimi giorni i navigatori della rete potessero anche votare chi mandare a casa tra gli occupanti. Proprio come in un vero reality show.
(Matteo Forte)
Liberiamo l'istruzione da quel blocco conservatore che si oppone al merito - Giovanni Cominelli - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Mentre scriviamo, i media si rincorrono a raccontare di occupazioni delle scuole superiori e delle Università in tutta Italia che si allargano a macchia d’olio. Quasi un revival del ’68. La realtà però non è esattamente questa.
Ad oggi, si può parlare di una mobilitazione risicata, almeno nei numeri. Paradossalmente a questa mobilitazione ha fornito una spinta “ideale” l’appello pubblico di Berlusconi al Ministro dell’Interno a rimuovere gli eventuali “picchetti” davanti alle scuole e a dis-occupare le scuole e le Università. La reazione politica è stata immediata. Da tempo la sinistra sindacale e politica, trincerata su posizioni conservatrici riguardo alla scuola e all’Università, stava cercando di trasformare la vicenda dei tagli finanziari in una “questione democratica”.
È un topos della propaganda politica, da Togliatti in avanti. Berlusconi ha fornito un assist notevole a questa manovra. I sondaggi!, si dirà. I quali segnalano che c’è un’opinione pubblica che vuole ritorno alla severità, al rigore, all’efficienza del sistema scolastico e universitario. I sondaggi, ahinoi! stanno alla politica come la coda sta al cane. Spesso la coda dimena il cane! La verità dei fatti dice che abbiamo davanti una generazione giovane imprigionata dentro una società corporativa come la pagliuzza d’erba nel blocco di ghiaccio: strutture econonomico-sociali corporative, welfare obsoleto, mercato del lavoro che privilegia i garantiti, sistema bancario poco trasparente, poteri forti, classi dirigenti immobili, con le sedie inchiodate al pavimento, debito pubblico alle stelle. Già, il debito pubblico: esso è l’autobiografia trentennale fallimentare della classe dirigente e del Paese.
In particolare nella scuola e nell’Università si è formato un blocco storico conservatore, che si oppone con virulenza ad ogni ipotesi di riforma che preveda il merito, la valutazione, il rischio come linee di condotta. Dal 2001 al 2008 i corsi universitari sono passati dai 2.000 al record dei 9.000: l’università cresce su se stessa per moltiplicazione tumorale di corsi e cattedre, all’ombra di un’autonomia irresponsabile e inverificabile. I giovani vivono il disagio e cercano delle risposte. Il blocco conservatore – che coincide quasi tutto con la sinistra all’opposizione - risponde chiedendo più soldi da sprecare e evocando i pericoli per la democrazia.
La parte innovatrice della società e della politica non è finora stata all’altezza delle risposte necessarie. Che sono almeno due: prosciugare (con i tagli intelligenti!) tutti i canali e i rivoli dello spreco, che nei decenni hanno alimentato clientele, corporazioni, “diritti acquisiti”, sacche di corruzione; destatalizzare e de-amministrativizzare il sistema educativo e quello universitario in nome dei percorsi personali, della certificazione rigorosa delle competenze, della valutazione esterna della qualità dell’offerta, abolendo il valore legale del titolo di studio. Ma è importante che Berlusconi dica chiaramente che con la legge approvata dal Consiglio dei Ministri vi saranno i tagli e che la Gelmini parli non di “manutenzione”, ma di riforme radicali. Diversamente, se il messaggio riguarda, alla fine, solo il tema dell’ordine pubblico, nessuna risposta diretta ed efficace viene fornita alle giovani generazioni. Con ciò confermando loro che la politica è un gioco che si svolge sopra la loro testa, per finalità a loro estranee. Il rischio che si profila è il passaggio dal disagio alla rabbia.
LETTURE/ Dalla Humanae vitae alla camorra: quando la stampa sembra non voler capire il Papa - Hannibal Lector - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
I meccanismi della comunicazione giornalistica sono evidentemente molto complessi e non facili da decifrare. Tuttavia si può tentare di trovare delle linee di tendenza ed evidenziare i cliché che si vanno via via imponendo. Vorrei provare a farlo prendendo in considerazione recenti articoli su Benedetto XVI.
Prima di tutto dobbiamo considerare che quantitativamente la mole di scritti è piuttosto rilevante; il Papa fa notizia. Ma qui occorre subito prestare attenzione a che cosa del magistero pontificio viene ripreso dai giornali. La selezione degli argomenti è il primo modo per dare una interpretazione. Cosa, dunque, ha fatto notizia sulla grande stampa italiana in queste ultime settimane?
Potremmo partire dagli interveti di papa Benedetto in occasione del quarantesimo anniversario della enciclica Humanae vitae. Il tema è appetitoso, sia perché tutto ciò che lambisce la sfera del sesso risulta particolarmente attraente per i giornali, sia perché già al momento della sua promulgazione l’enciclica di Paolo VI aveva scatenato furibonde polemiche. Forse nelle redazioni si era pensato che dopo quarant’anni la Chiesa avesse cambiato posizione e, magari sull’onda delle numerose richieste di perdono per gli errori dei suoi figli, finisse per scusarsi anche dell’Humanae vitae. Quando, al contrario, Benedetto XVI ne ha riaffermato la validità, anzi l’ha definita un documento profetico, è partito l’attacco: la Chiesa è contro l’amore, s’insinua indebitamente tra le lenzuola dei fedeli, non accetta gli sviluppi della scienza e della tecnica. Tutte cose già sentite quarant’anni fa.
Così come molto vecchi sono due stratagemmi utilizzati per contrastare il pensiero del Papa; utilizzati allora sono puntualmente riapparsi anche stavolta. Il primo consiste nell’enfatizzare la distanza tra la teoria e la pratica; con tabelle alla mano si vuol dimostrare che i cristiani non seguono l’insegnamento dell’autorità della Chiesa e, quindi (in questo “quindi” sta tutta la falsità), quell’insegnamento è sbagliato. Se facessimo una statistica sulla consapevolezza con cui noi cristiani riceviamo l’eucarestia, dovremmo concludere che in quel pezzo di pane il corpo di Cristo non c’è. Ma l’autorità esiste appunto per ricordare la direzione ideale per tutti. Se sono distratto mentre faccio la comunione, ho bisogno di qualcuno che mi ridica il valore di quello che sto facendo, non che assecondi la mia distrazione.
Il secondo stratagemma è quello di tirar fuori le dichiarazioni di qualche prelato che, consenziente o meno, si presta al giochetto di «non tutti la pensano come il papa e quindi ognuno può pensarla come vuole».
Un secondo spunto di riflessioni ci viene dalle polemiche sulla beatificazione di Pio XII. La vicenda è complessa e parecchio intricata; suggerisco a chi vuole approfondirla di leggersi l’ampia intervista di Paolo Mieli su L’Osservatore Romano del 9 ottobre. Va comunque rilevato che il tono di molti articoli apparsi sull’argomento è tale per cui la Chiesa appare, in modo indimostrato, come l’imputato che si deve difendere, mentre semmai questa dovrebbe essere la conclusione dell’indagine, non il puto di partenza.
Altro capitolo riguarda il discorso di Benedetto XVI in occasione del decimo anniversario della Fides et ratio di Giovanni Paolo II. Nelle reazioni a questo discorso si vede chiaramente un’altra tattica tipica della disinformazione: si espunge una frase dal contesto e la si commenta e fa commentare a prescindere dall’insieme. Ovviamente la frase selezionata è quella che può servire a confermare le proprie posizioni. Nella fattispecie l’assunto era quello di un inesistente attacco del Papa alla scienza. Tanto meglio (vedi sopra) se a sostenere questa tesi preconcetta è qualche scienziato che si proclama cattolico: l’effetto è assicurato.
Sempre nell’ottica della presunta opposizione alla scienza è stato letto l’intervento di Benedetto XVI al sinodo dei vescovi, quando ha ricordato quello che tutti i credenti semplici hanno sempre saputo, che, cioè, la Bibbia non può essere letta esclusivamente con i semplici strumenti del’analisi storica; altrimenti, che «parola di Dio» (come sentiamo a messa tutte le volte che ne viene proclamato un brano) sarebbe? Il richiamo al fatto che la fede è unico adeguato criterio di lettura della Sacra Scrittura è invece stato interpretato da alcuni giornali come «paura» della scientificità della storia. Si noti, tra l’altro, che il crisma di scientificità viene attribuito, del tutto antiscientificamente, solo a chi distrugge il contenuto di fede della Bibbia. Un qualche giornalista che scrive un fortunato libro in cui si afferma che Cristo non ha mai detto di essere Dio sarebbe indiscutibilmente più scientifico di intere biblioteche esegetiche che dimostrano, anche scientificamente, il contrario.
Da ultimo poi la propaganda avversa al papa si può appigliare anche ai suoi silenzi. Nella sua visita pastorale a Pompei Benedetto XVI non ha denunciato la camorra? Vuol senz’altro dire che in qualche modo egli si disinteressa del bene comune, dello sviluppo, della giustizia (non si arriva a dire che è connivente con la delinquenza, ma è un passo che il lettore potrebbe fare da sé). C’è uno strano strabismo in merito agli interventi “politici” del Papa (già Giovanni Paolo II ne aveva fatto le spese). Quando il pontefice parla di quello che il giornale ritiene giusto (per criticare Benedetto che non ha parlato di camorra si è rispolverato Giovanni Paolo che ha attaccato la mafia ad Agrigento) fa semplicemente il suo dovere. Quando invece interviene su argomenti altrettanto politici, ma indigesti al giornale (ad esempio la libertà di educazione o la bioetica), allora egli pratica un’indebita «ingerenza» nella sfera politica.
Non è da pensare che le magagne della comunicazione giornalistica su questi temi scompariranno. Almeno cerchiamo di stare all’erta.
I SILENZI DEL MONDO «LIBERO» - UN’IGNAVIA DI CUI SARÀ CHIESTO CONTO - LUIGI GENINAZZI – Avvenire, 24 ottobre 2008
È ormai un’emergenza a livello internazionale, anche se non riesce a fare notizia come l’allarme per i cambiamenti climatici o l’incubo della crisi finanziaria. Stiamo parlando del mancato rispetto della libertà religiosa in molte parti del mondo, un fenomeno sempre più grave che ha assunto dimensioni inquietanti. Le violenze degli ultimi mesi contro le comunità cristiane in India e in Iraq rappresentano soltanto la punta di un iceberg molto più vasto e profondo. La conferma ci viene dal Rapporto 2008 sulla libertà religiosa nel mondo, stilato dall’associazione 'Aiuto alla Chiesa che Soffre', presentato ieri a Roma ed in altre capitali europee. Dati e cifre impressionanti che riguardano oltre 60 Paesi nei quali il diritto alla libertà religiosa è negato o fortemente limitato. Nell’elenco figurano i Paesi comunisti (Cina, Corea del Nord, Cuba), gli Stati a regime dittatoriale come il Turkmenistan e Myanmar, ed un gran numero di Paesi islamici, a cominciare dall’Arabia Saudita dove ai non musulmani è proibito professare la propria fede anche in privato. Violenze e soprusi sono purtroppo cronaca quotidiana in Nigeria, Sudan, Eritrea. Ma il continente cui va il triste primato dell’intolleranza religiosa è l’Asia, con ben 25 Stati messi sotto accusa, in prima fila Pakistan e Indonesia dove alle limitazioni e alle repressioni di carattere legale (fino alla condanna a morte) s’aggiunge il clima di odio sociale nei riguardi delle altre fedi.
Risulta evidente che l’esercizio concreto della libertà religiosa costituisce il test più significativo del grado di democrazia che vige in una nazione. E questo perché il diritto a professare la propria fede è il fondamento di ogni libertà. Riguarda la dignità dell’uomo in quanto tocca il suo rapporto con Dio, la sfera più intima della persona che qualsiasi potere o istituzione deve rispettare. «La libertà trova la sua piena cittadinanza nella religione», scriveva già Lattanzio all’indomani dell’Editto di Costantino.
Un’affermazione che dopo quindici secoli mantiene tutta la sua straordinaria attualità. Là dove anche un solo credente viene perseguitato a causa della sua fede è l’intero sistema politico e sociale che risulta traballante. E quando non si tratta di episodi isolati ma di una persecuzione sistematica, come avviene in queste settimane contro le comunità cristiane nello Stato indiano dell’Orissa o nella regione di Mosul in Iraq, l’opinione pubblica internazionale non può far finta di niente.
Quel che risulta insopportabile è la sostanziale impunità dei violenti fanatici che aggrediscono e uccidono gente inerme solo perché professa un’altra religione. L’Europa, culla della libertà, dovrebbe far sentire di più la sua voce, gridare il suo sdegno e la sua condanna ed esigere che si metta fine ad una simile barbarie. «Quando vedo la pulizia etnica in atto contro i cristiani del mio Paese mi sembra di leggere le cronache dei massacri subiti dagli armeni e dai caldei durante la Prima guerra mondiale», ha detto l’arcivescovo iracheno di Kirkuk, monsignor Louis Sako.
Succede (è accaduto in questi giorni in Italia) che i crimini del passato vengano ancora affrontati nelle aule dei tribunali dove si chiede il risarcimento delle vittime. Forse varrebbe la pena usare la stessa energia e la stessa caparbietà nel riconoscere i crimini del presente, quelli che vengono compiuti ogni giorno contro le minoranze cristiane sparse per il mondo.
«Liturgia, volto del primato di Dio» - Ratzinger: è il centro della mia vita e della mia ricerca teologica - DI GIANNI CARDINALE – Avvenire, 24 ottobre 2008
La pubblicazione del primo volume in tedesco dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger è stata l’occasione di poter leggere un nuovo testo inedito di Benedetto XVI. Il tomo presentato ieri l’altro infatti si apre con una Prefazione firmata dal Papa con la data della festa dei santi Pietro e Paolo (29 giugno) 2008. Nel testo, pubblicato per ora solo in tedesco, il Pontefice spiega perché ha desiderato che il primo volume dell’opera è stato dedicato ai suoi scritti sulla liturgia e ribadisce con teutonica puntigliosità la presa di posizione sul modo di celebrare Messa «con le spalle rivolte al popolo» che fece da cardinale non senza suscitare alcune polemiche.«Il Concilio Vaticano II – comincia la Prefazione – iniziò i suoi lavori con la discussione dello 'Schema sulla Sacra Liturgia', che poi venne solennemente votato il 4 dicembre 1963 come primo frutto della grande assise della Chiesa con il rango di una Costituzione. Che il tema della liturgia si trovasse all’inizio dei lavori del Concilio e che la Costituzione sulla liturgia divenisse il suo primo risultato venne considerato a prima vista piuttosto un caso». «Dalla commissione preparatoria – ricorda il Papa – era stata messa insieme un’ampia serie di progetti. Ma mancava una bussola per poter trovare la strada in questa abbondanza di proposte. Fra tutti i progetti il testo sulla Sacra Liturgia sembrò quello meno controverso. Così esso apparve subito adatto per così dire come una specie di esercizio con il quale i Padri potessero apprendere i metodi del lavoro conciliare ». Ma nella storia della Chiesa non tutto accade per caso. E infatti Benedet- to XVI prosegue: «Ciò che a prima vista potrebbe sembrare un caso, si rivela, guardando alla gerarchia dei temi e dei compiti della Chiesa, come la cosa anche intrinsecamente più giusta. Cominciando con il tema 'liturgia', si mise inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la priorità del tema 'Dio'. Dio innanzitutto, così ci dice l’inizio della Costituzione sulla liturgia. Quando lo sguardo su Dio non è determinante ogni altra cosa perde il suo orientamento. Le parole della Regola benedettina Ergo nihil Operi Dei praeponatur (Quindi non si anteponga nulla all’Opera di Dio) valgono in modo specifico per il monachesimo, ma hanno valore come ordine delle priorità, anche per la vita della Chiesa e di ciascuno nella sua rispettiva maniera ». «È forse utile qui – prosegue il Papa – ricordare che nel termine 'ortodossia' la seconda metà della parola,
doxa, non significa 'opinione', ma 'splendore', 'glorificazione': non si tratta di una corretta 'opinione' su Dio, ma di un modo giusto di glorificarlo, di dargli una risposta. Poiché questa è la domanda fondamentale dell’uomo che comincia a capire se stesso nel modo giusto: Come debbo io incontrare Dio? Così, l’apprendere il modo giusto dell’adorazione – dell’ortodossia – è ciò che ci viene donato soprattutto dalla fede».
A questo punto il Papa spiega il motivo che lo ha portato a far iniziare la sua Opera omnia dalla liturgia. E scrive: «Quando ho deciso, dopo qualche esitazione, di accettare il progetto di una edizione di tutte le mie opere, mi è stato subito chiaro che vi dovesse valere l’ordine delle priorità del Concilio, e che quindi il primo volume ad uscire doveva essere quello con i miei scritti sulla liturgia. La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l’attività centrale della mia vita, ed è diventata, alla scuola teologica di maestri come Schmaus, Söhngen, Pascher e Guardini, anche il centro del mio lavoro teologico. Come materia specifica ho scelto la teologia fondamentale, perché volevo innanzitutto andare fino in fondo alla domanda: 'Perché crediamo?'. Ma in questa domanda era inclusa fin dall’inizio l’altra sulla giusta risposta da dare a Dio, e quindi anche la domanda sul servizio divino. Proprio da qui debbono essere intesi i miei lavori sulla liturgia. Non mi interessavano i problemi specifici della scienza liturgica, ma sempre l’ancoraggio della liturgia nell’atto fondamentale della nostra fede e quindi anche il suo posto nella nostra intera esistenza umana ». A questo punto il Papa nella Prefazione
spiega che il testo centrale del libro è l’opera Lo spirito della liturgia pubblicato nel 2000 e offre un gustoscussione L’«Opera Omnia» di Benedetto XVI si apre con il volume dedicato agli scritti sulla liturgia Il perché lo spiega una «prefazione» dello stesso Papa, inedita in italiano so retroscena. «Purtroppo , quasi tutte le recensioni (della predetta opera, ndr) si sono gettate su un unico capitolo: 'L’altare e l’orientamento della preghiera nella liturgia'. I lettori delle recensioni hanno dovuto dedurne che l’intera opera abbia trattato solo dell’orientamento della celebrazione e che il suo contenuto si riduca a quello di voler reintrodurre la celebrazione della Messa 'con le spalle rivolte al popolo'». «In considerazione di questo travisamento – ecco la rivelazione del Papa – ho pensato per un momento di sopprimere questo capitolo (di appena nove pagine su duecento) per poter ricondurre la di- sul vero argomento che mi interessava e continua ad interessarmi nel libro. Questo sarebbe stato tanto più facilmente possibile per il fatto che nel frattempo sono apparsi due eccellenti lavori nei quali la questione dell’orientamento della preghiera nella Chiesa del primo millennio è stata chiarita in modo persuasivo. Penso innanzitutto all’importante piccolo libro di Uwe Michael Lang,
Rivolti al Signore (edizione italiana: Cantagalli), ed in modo del tutto particolare al grosso contributo di Stefan Heid, Atteggiamento ed orientamento della preghiera nella prima epoca cristiana (in Rivista dell’Archeologia cristiana 72-2006), in cui fonti e bibliografia su tale questione risultano ampiamente illustrate e aggiornate. Il risultato è del tutto chiaro: l’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo non pregano certamente uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il Cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della sua Passione ( Gv 17,1) ». «Intanto – aggiunge Benedetto XVI – si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione nella mia opera: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo».
Ma il Papa non vuole essere coinvolte nelle 'guerre liturgiche' pure in corso. E infatti scrive: «Ma con questo ho forse detto troppo di nuovo su questo punto, che rappresenta appena un dettaglio del mio libro, e che potrei anche tralasciare. L’intenzione fondamentale dell’opera era quella di collocare la liturgia al di sopra delle questioni spesso grette circa questa o quella forma, nella sua importante relazione che ho cercato di descrivere in tre ambiti che sono presenti in tutti i singoli temi». E i tre ambiti citati dal Papa sono: l’intimo rapporto tra Antico e Nuovo Testamento; il rapporto con le religioni del mondo; il carattere cosmico della liturgia. «Sarei lieto – conclude il Papa prima dei ringraziamenti di rito – se la nuova edizione dei miei scritti liturgici potesse contribuire a far vedere le grandi prospettive della nostra liturgia e a far relegare nel loro giusto posto certe grette controversie su forme esteriori ». L’ Opera omnia di Ratzinger è pubblicata in tedesco da Herder di Friburgo. La versione italiana è curata dalla Libreria editrice Vaticana, e del volume che ospita la citata prefazione è prevista l’uscita a marzo; ne cura la pubblicazione una commissione presieduta dall’arcivescovo Angelo Amato (prefetto della Congregazione delle cause dei santi) e comprendente Elio Guerriero e padre Edmund Caruana; i traduttori sono Eulalia Biffi e Edmondo Coccia.
La proposta: «Con la croce posta al centro dell’altare, sacerdote e popolo possono guardare insieme all’unico Signore»
«Aiuto per mia figlia», e s’incatena – Avvenire, 24 ottobre 2008
«Non cerco l’elemosina ma solo un lavoro per dare da mangiare alla mia famiglia e una speranza ad Annabella. Mi pare lo preveda anche la Costituzione italiana». Amare le parole di Antonio Carone, 48 anni, disoccupato, che a metà ottobre ha lanciato il suo grido d’aiuto incatenandosi dinanzi al municipio di Ricadi, poche migliaia di anime in provincia di Vibo Valentia, e ieri mattina ha riannodato le maglie attorno al collo e ai polsi, replicando la protesta davanti alla sede della Regione Calabria a Catanzaro. Due iniziative plateali dopo mesi d’inutili richieste d’aiuto per garantire cure adeguate alla figlia cerebrolesa. Annabella ha 14 anni e un corpicino limato dall’immobilismo e dalla lunga sofferenza. È bloccata a letto dalla nascita, e collegata a tubi e tubicini che sono il suo unico legame con la vita assieme all’affetto dei suoi genitori. Riesce a muovere solo la testa. La ragazzina ha bisogno d’assistenza continua e spesso costosa, cosa che può essere un problema in una regione come la Calabria, dove la sanità pubblica offre un volto non sempre impeccabile.
Ma la storia di Annabella non è una storia di malasanità, bensì di malasocietà.
D’una società che in questo come in molti altri casi nega un diritto fondamentale: il lavoro.
Antonio Carone riesce a trovare occupazione solo in estate grazie alla richiesta di braccia nell’industria delle vacanze. Quest’angolo di Calabria per quattro, cinque mesi l’anno si trasforma in un Eldorado turistico illuminato dalla stella Tropea e affollato da decine di migliaia di vacanzieri provenienti dai quattro angoli del mondo per godersi la costa tirrenica e le bellezze dell’entroterra.
Antonio lavora come custode notturno in un villaggio turistico e per arrotondare, quando stacca con quell’impiego, invece di andare a casa a riposare, sale sul camion della ditta che si occupa della raccolta dei rifiuti soldi urbani. Ma quando arriva l’autunno e i villeggianti fanno le valigie, inevitabilmente alberghi, resort e ristoranti riducono l’attività e Antonio Carone, come molti altri, resta disoccupato. Si arrangia con qualche lavoretto in campagna ma guadagna poco. Troppo poco. L’aumento del costo della vita lo relegherebbe nella categoria degli italiani sotto la soglia di povertà anche se non ci fossero le spese per le medicine e per l’assistenza di cui ha bisogno Annabella. A cominciare dal costo salato della bolletta dell’Enel; il respiratore meccanico che tiene in vita la piccola e le altre attrezzature, sue inseparabili compagne di vita, consumano molta energia elettrica. Altri 250 euro li porta via ogni mese l’affitto della casetta di Brividi, frazione di Ricadi, in cui vivono anche sua moglie Sandra e l’altro figlioletto, Stefano, nato quattro anni dopo Annabella cui tra l’altro è legatissimo. Lo Stato fa quello che può con una pensione di 450 euro mensili e col pagamento di un infermiere che assiste la bambina sette giorni su sette, ma per sole sei ore. Per tre giorni, invece, è seguita da una fisioterapista che cerca di tenerle in movimento gambe e braccia.
Ma nonostante questi aiuti e la solidarietà che nei piccoli centri più che altrove non manca mai, la famiglia non ce la fa ad andare avanti. Così come Antonio Carone non ce la fa più a tenersi tutto dentro. In fondo non chiede altro che un lavoro e magari un alloggio popolare per risparmiare quei 250 euro che darebbero respiro all’anoressico bilancio familiare.
«Quando ho chiesto aiuto al sindaco – racconta – stringendosi nelle spalle mi ha detto che la Regione non manda i fondi per l’assistenza. Ho chiesto pure che mi venisse assegnato un alloggio per potere risparmiare sul costo dell’affitto, ma sinora non ho avuto risposte. Ho bussato a tutte le porte, dal Comune alla Provincia. Ho inviato una lettera alla Regione e un’altra alla Prefettura, ma non ho concluso nulla. Non ce la faccio più».
Dopo che si è incatenato al municipio di Ricadi, iniziativa che ha acceso i riflettori nazionali sul suo dramma, Antonio ha ricevuto la visita, tra l’altro, di due assessori provinciali di Vibo Valentia, che hanno promesso di attivarsi per risolvere il problema. Ma ancora non ha avuto notizie. Rassicurazioni sono giunte pure quando, ieri mattina, si è incatenato alla Regione chiedendo di parlare col presidente Agazio Loiero, e pregandolo di non fargli rimpiangere d’essere tornato dalla Germania dov’era emigrato con la famiglia quando Annabella aveva solo tre mesi: «Guadagnavo bene facendo il cuoco – sbotta Antonio Carone – ma quattro anni fa siamo tornati con la speranza di poter curare meglio la bambina e nello stesso tempo di avere un lavoro stabile con cui tirare avanti. E invece questa mia speranza non si è realizzata».
«Malasocietà» in Calabria: il padre di una ragazzina disabile dalla nascita, disoccupato, si lega ai cancelli della Regione: chiede un alloggio popolare e un lavoro per mantenere la famiglia e pagare medicine e assistenza
Domenico Marino
«Beatificazione di Pio XII, no alle ingerenze» - DA ROMA - PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 24 ottobre 2008
U n’intervista del ministro per gli Affari sociali di Israele, Isaac Herzog, al quotidiano
Hareetz riaccende la polemica sulla beatificazione di Pio XII. Secondo il ministro, che è anche responsabile degli Affari della Diaspora, della lotta all’antisemitismo e dei rapporti con le comunità cristiane, il «tentativo» di farlo diventare santo sarebbe «inaccettabile».
«Durante il periodo dell’Olocausto il Vaticano sapeva molto bene quello che stava accadendo in Europa», insiste Herzog, secondo il quale non vi sarebbe «alcuna prova, per ora, di alcun provvedimento preso dal Papa che, come Santa Sede, avrebbe potuto ordinare». Addirittura il processo di beatificazione, a detta dell’esponente del governo israeliano, sarebbe una forma di «sfruttamento dell’oblio» rispetto a quei fatti, e testimonierebbe «un’assenza di consapevolezza».
Un motivato no comment è la risposta del direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi: «Non ho nulla da dire, non voglio alimentare la polemica ». «Stupisce – osserva il postulatore della causa di beatificazione di Pacelli, padre Paolo Molinari – che un ministro dello Stato di Israele faccia un intervento con cui si ingerisce con un affare che, per la sua natura, è interno alla Chiesa cattolica». Molinari si dice altrettanto stupito per l’affermazione di Herzog secondo cui non vi sarebbe alcuna testimonianza di passi concreti in difesa degli ebrei. Il postulatore ribatte citando le affermazioni di autorevoli esponenti, dal primo ministro Moshe Sharrett e, da quello degli Esteri Golda Meir (diventata anch’essa primo ministro), allo storico Martin Gilbert, inglese di origine ebraica tra i più noti studiosi dell’Olocausto. A «titolo personale» interviene il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, che firmò per il Vaticano le relazioni diplomatiche con Israele, sottolineando che «la Santa Sede ha un atteggiamento responsabile ma certe intromissioni nelle cose interne della Chiesa annoiano: sono giudizi esterni; certo il Papa è sensibile, ha scelto un momento di riflessione, però non bisogna disturbarlo con dichiarazioni per obbligarlo in un modo o nell’altro. Ciascuno abbia responsabilità nell’ambito delle sue competenze».
Anche l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Mordechay Lew ammette che la beatificazione di Pio XII è una «questione interna alla Chiesa cattolica». I dissensi tra Israele e Vaticano riguardano invece «il ruolo storico» di papa Pacelli. A suo giudizio, comunque, questo aspetto verrà chiarito soltanto «con l’apertura degli archivi vaticani». Alla domanda se questa vicenda stia o meno influenzando la possibilità di un viaggio papale in Israele, l’ambasciatore risponde: «Il Papa è il benvenuto in Israele, è stato invitato, e spetta a lui decidere tempi e modi, noi non interferiamo in questo».
Su quanto avvenuto ieri da registrare la rubrica Sacri palazzi
de Il Foglio online dal titolo «Non sarà un ministro straniero a interrompere la causa di Pio XII». Da buona fonte, anzi, «si ribadisce» che già da prima dell’estate «è chiara la volontà nei Sacri Palazzi di pubblicare il decreto sulle virtù eroiche». Ma prima di questo passo è stato dato incarico a padre Ambrosius Eszer, domenicano tedesco molto autorevole e stimatissimo dal Papa, di dare un’ultima revisione ad alcuni faldoni di documenti. «Il lavoro di padre Eszer, che è stato fino a poco tempo fa relatore generale della Congregazione delle cause dei santi, sta procedendo celermente e quindi – afferma Sacri palazzi – non è escluso che entro l’anno, o subito dopo, venga dato l’annuncio ». Questo non vuol dire ovviamente che Pio XII sarà automaticamente beatificato.
Il Giornale n. 255 del 2008-10-24 pagina 13 - Dai soldi al maestro unico: ecco le bugie in piazza - di Redazione - Prof e studenti sono sul piede di guerra, ma dietro molte rivendicazioni ci sono solo falsità
Licei occupati, notte bianca, manifestazioni. Slogan e striscioni, spesso suoni vuoti. La protesta del mondo della scuola (studenti e professori insieme, ma solo in sfilata) contro la riforma Gelmini prosegue, cresce, ma si nutre di se stessa, più che di fatti. Il decreto rimane un totem sullo sfondo: da abbattere, indipendentemente dal contenuto.
E allora, che cosa c'è di vero nelle accuse al ministro, quelle prima «suggerite» dai sindacati e poi accolte sulla fiducia da insegnanti e ragazzi? Il punto più contestato sono i tagli alle spese della macchina scolastica, gigantesca e dispendiosa e non sempre oculata. L'obiettivo è risparmiare quasi 8 miliardi in tre anni, che il ministro vuole reinvestire, in parte, proprio nella scuola. Quindi: non è vero che la riforma toglierà risorse agli istituti e non è vero che lascerà gli insegnanti a secco. È il contrario: dal totale risparmiato due miliardi saranno destinati, in parti quasi uguali, all'innovazione da un lato e, dall'altro, a gratificare i docenti con un bonus annuale da 5 a 7mila euro. I soldi per l'innovazione sembrano pochi? Fino ad ora, nel bilancio dell'Istruzione, occupano un microscopico 0,3 per cento.
Sul maestro unico circolano fraintendimenti plurimi (innanzitutto: sarà sempre affiancato da un docente di inglese), il più ideologico è quello secondo cui costringerà molte elementari a ridurre il tempo pieno, penalizzando i bimbi più poveri. Non è vero: grazie al maggior numero di maestri disponibili, il tempo pieno aumenterà del 50 per cento.
Un'altra bugia clamorosa, forse motivata dal terrore dei ragazzi di dover studiare di più, riguarda le ore di lezione. Gli avversari della Gelmini hanno gridato alla riforma «repressiva e autoritaria» e lo slogan, magari, ha tratto in inganno tanti studenti, convinti che dovranno rimanere ancora più tempo fra i banchi. Non è così: ai tecnici e professionali le ore passeranno da 36 a 32 a settimana, nei licei da 33 a 30. Il principio, che a qualcuno potrà sembrare pericoloso, è che conti di più la qualità del lavoro, non la quantità.
È vero che in molte scuole sarà abolito il tempo pieno?
È da settembre che i sindacati attaccano la riforma Gelmini su questo punto, sostenendo che il ritorno al maestro unico provocherà anche una riduzione del tempo pieno. Eppure il ministro ha chiarito, fin dall'inizio, che sarebbe avvenuto l'esatto contrario: «Con il maestro unico il tempo pieno aumenterà, non ci sarà una diminuzione del servizio». La previsione è che aumenti del 50 per cento e, a garantirlo, ci sarà il fatto di avere un numero maggiore di maestri a disposizione: visto che ci sarà un insegnante per classe, infatti, nelle scuole primarie ci saranno più docenti «liberi».
È vero che i tagli alle spese ruberanno risorse per l'innovazione?
È vero che la riforma prevede risparmi significativi: quasi 8 miliardi in tre anni. Ma il ministro ha chiarito di non voler penalizzare la formazione e l'innovazione. Anzi. Il piano prevede di reinvestire parte dei soldi risparmiati (due miliardi di euro) in parte per gratificare i prof e, in parte, per l'innovazione delle scuole. Cioè quella voce del bilancio dell'istruzione che, fino ad ora, ha rappresentato un misero 0,3 per cento (rispetto al 97 per cento costituito dagli stipendi). I soldi saranno investiti per le dotazioni tecnologiche, il rinnovamento delle strutture e la formazione.
È vero che per risparmiare sono penalizzati gli stipendi dei prof?
Al contrario. I soldi risparmiati grazie ai tagli alle spese in eccesso saranno destinati a innalzare il livello di prestigio degli insegnanti attraverso dei «premi» in denaro. Si tratta dei famosi due miliardi da dividere fra innovazione e gratifiche agli insegnanti. A questi ultimi dovrebbero toccare circa 850 milioni di euro, a partire dal 2010, in forma di bonus annuale che varierà fra i 5mila e i 7mila euro. All'inizio il bonus riguarderà una cerchia ristretta di insegnanti; poi, dal 2012, il «premio» sarà destinato a 257mila insegnanti, cioè circa il 40 per cento del totale.
È vero che gli studenti avranno più ore di lezione?
Fra le accuse degli avversari al ministro Gelmini c'è quella secondo cui la riforma sarebbe «autoritaria e repressiva» e, fra le bugie che hanno trovato orecchie disponibili (soprattutto fra gli studenti), perfino che saranno aumentate le ore di lezione. Ma è l'esatto opposto: alle superiori sono previste meno ore settimanali. In particolare, negli istituti tecnici e professionali è in programma una riduzione delle ore da 36 a 32 alla settimana; nei licei classici, scientifici, linguistico e delle scienze umane è prevista una diminuzione del monte ore da 33 a 30 alla settimana.
È vero che per fare cassa è stata abolita l'educazione civica?
Anche in questo caso è vero l'esatto contrario. Una delle novità della riforma Gelmini è proprio quella di aver reintrodotto lo studio dell'educazione civica come materia obbligatoria nelle scuole. L'apprendimento dei principi della Costituzione, quindi, diventa uno dei cardini dell'educazione dei ragazzi. Il nome della disciplina sarà «Cittadinanza e Costituzione »: si tratta di un «grande ritorno» dopo gli alti e bassi (soprattutto i secondi) vissuti dalla materia introdotta per la prima volta nella scuola italiana dall'allora ministro Moro che, nel lontano 1958, la abbinò allo studio della storia.
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1) Prolusione del Cardinale Bertone sull'emergenza educativa - Per l'inaugurazione del nuovo anno accademico della Salesiana
2) Europarlamento: no a emendamento contro aborto e sterilizzazioni - di Antonio Gaspari - ROMA, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Nella seduta di questo giovedì il Parlamento europeo ha respinto un emendamento che chiedeva di interrompere ogni programma di assistenza a governi e associazioni coinvolti in progetti per la diffusione di aborto coercitivo, sterilizzazione involontaria e infanticidio.
3) Sui diritti umani, nessun cedimento a “interpretazioni relativistiche” - Mons. Francesco Follo sui 60 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo - PARIGI, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).-“Non dobbiamo cedere alla tentazione di interpretazioni relativistiche dei diritti umani o ad una applicazione parziale e ineguale secondo il ben volere di coloro che devono applicarli”, afferma mons. Francesco Follo.
4) Cristiani e musulmani ai Governi europei: non proibite i simboli religiosi - Essere cittadino e credente non è in contraddizione, avvertono - di Inma Álvarez
5) La vita di una bambina salva l’umanità - “Bella”, una poesia d’amore in un film - di Antonio Gaspari - STRASBURGO, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Una storia semplice di grandissima umanità. La vittoria dell’amore fraterno che supera le paure umane più diffuse. Un film in cui la bellezza e il sorriso di una bambina che non doveva nascere spinge i due protagonisti a superare i drammi della loro vita e costruire con amore e coraggio il futuro.
6) 23/10/2008 16:56 – ASIA -Libertà religiosa: difesa dalla società civile; dimenticata dagli Stati - di Bernardo Cervellera - Il Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre mostra che le violazioni a questo diritto avvengono per puri motivi di potere e per bloccare lo sviluppo sociale ed economico delle società. Le società civili del mondo sono sempre più consapevoli della sua importanza; i governi la considerano molto secondaria. Ma la costruzione della pace del benessere passa per la libertà religiosa.
7) Mattoncini Lego: "una visione superata dei generi sessuali" - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 23 ottobre 2008 - In Svezia il “Consiglio etico del commercio contro il sessismo nella pubblicità”, se la prende con la Lego, rea di fare una pubblicità sessista.
8) Un Cristo reale - Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 23 ottobre 2008 - Cristo è la persona che mi ama, con la quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde, è realmente il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia
9) UNIVERSITA'/2. Scienze politiche: 9mila iscritti, 30 occupanti, 20 giornalisti: un esempio di protesta mediatica - Redazione - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
10) Liberiamo l'istruzione da quel blocco conservatore che si oppone al merito - Giovanni Cominelli - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
11) LETTURE/ Dalla Humanae vitae alla camorra: quando la stampa sembra non voler capire il Papa - Hannibal Lector - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
12) I SILENZI DEL MONDO «LIBERO» - UN’IGNAVIA DI CUI SARÀ CHIESTO CONTO - LUIGI GENINAZZI – Avvenire, 24 ottobre 2008
13) «Liturgia, volto del primato di Dio» - Ratzinger: è il centro della mia vita e della mia ricerca teologica - DI GIANNI CARDINALE – Avvenire, 24 ottobre 2008
14) «Aiuto per mia figlia», e s’incatena – Avvenire, 24 ottobre 2008
15) «Beatificazione di Pio XII, no alle ingerenze» - DA ROMA - PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 24 ottobre 2008
16) Il Giornale n. 255 del 2008-10-24 pagina 13 - Dai soldi al maestro unico: ecco le bugie in piazza - di Redazione - Prof e studenti sono sul piede di guerra, ma dietro molte rivendicazioni ci sono solo falsità
Prolusione del Cardinale Bertone sull'emergenza educativa - Per l'inaugurazione del nuovo anno accademico della Salesiana
ROMA, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la prolusione svolta dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in occasione dell'inaugurazione, il 15 ottobre scorso, del nuovo anno accademico della Pontificia Università Salesiana di Roma.
* * *
Eccellenze Reverendissime,
Eccellentissimi Ambasciatori presso la Santa Sede,
Signor Vicario del Rettor Maggiore, D. Adriano Bregolin,
Caro Rettore, cari docenti e cari studenti!
1. L'emergenza educativa oggi
E' sempre per me un grande piacere tornare in questa Università nella quale ho trascorso non pochi anni della mia vita, prima come docente e poi come Rettore. Permettete pertanto che in primo luogo esprima viva gratitudine al Rettor Magnifico, prof. Don Mario Toso, per l'invito che gentilmente mi ha rivolto a tenere la prolusione, all'inizio di questo nuovo anno accademico. Il mio saluto si estende ai docenti e all'intero corpo accademico, agli Eccellentissimi e ai Reverendissimi Prelati, alle illustri Personalità presenti e a quanti non hanno voluto mancare a quest'importante appuntamento. Un saluto speciale agli studenti, e in primo luogo a quelli che intraprendono il ciclo di studi universitari. A tutti gli intervenuti mi preme trasmettere anzitutto il cordiale saluto e la benedizione di Sua Santità, il quale, per mio tramite, assicura la sua vicinanza spirituale, augura un anno di lavoro fruttuoso, ed incoraggia l'Università Salesiana a proseguire nel delicato e importante servizio che rende alla Chiesa e alla società. Un servizio che il tema scelto per questa prolusione pone ancor più in rilievo: l'educazione che oggi coinvolge la famiglia, la scuola, la Chiesa e molte altre istituzioni nazionali ed internazionali. Quello dell'educazione delle nuove generazioni è una sfida e un servizio a cui la nostra famiglia religiosa, fondata da un grande santo e pedagogo quale fu san Giovanni Bosco, si dedica con evangelica passione; è anche un tema costantemente presente al cuore del Santo Padre Benedetto XVI, il quale non manca occasione, come ha fatto anche di recente nel corso della sua visita al Quirinale, il 4 ottobre scorso, per evidenziare quella che ormai tutti ritengono una priorità, anzi una vera e propria emergenza: l'educazione e specialmente la formazione delle nuove generazioni. Sì! L'educazione costituisce una reale questione emergente, non riconducibile alla semplice riforma del sistema scolastico ed universitario; è piuttosto un vasto tema. La cosiddetta educazione globale, alla quale giustamente anche la vostra Università dedica adeguata riflessione, investe tutti gli ambiti della vita sociale, e la visione cattolica dell'educazione globale rappresenta un'importante area di studio e di approfondimento a cui la vostra Università è chiamata ad offrire un proprio peculiare contributo.
2. Un campo d'azione a 360 gradi
E' sotto gli occhi di tutti quel che oggi si registra specialmente nelle società occidentali: serpeggia ovunque un diffuso e pervasivo senso di crisi della vita e dei valori; talora Dio, che in Cristo ha rivelato il suo volto d'amore, appare relegato ai margini dell'esistere umano e la sua presenza viene valutata come questione "individuale" e "privata", di conseguenza marginale rispetto alle scelte di ogni giorno; si assiste inoltre a un pericoloso sfaldamento dell'ethos civile, a un progressivo affievolimento della tensione alla solidarietà e alla fraternità e diventa più difficile nelle nostre comunità l'integrazione con persone di fedi e culture diverse. Quanto è lontana quella convivialità delle culture che dovrebbe animare la «civiltà dell'amore» a cui pensava già Paolo VI e ancor più Giovanni Paolo II! Tuttavia, proprio mentre crescono i segni di sfiducia nelle capacità umane di vero, di bene e di Dio, la Chiesa è chiamata ad un più chiaro e coraggioso annuncio di verità e di speranza. Suo compito è far comprendere che il Vangelo non è in contrasto, né potrebbe esserlo, con la razionalità umana, ma che, a partire dal messaggio cristiano, è anzi possibile operare una rinnovata sintesi culturale e sapienziale in grado di far fronte alle sfide e alle attese della modernità; è possibile offrire risposte globali che intercettino le inedite "domande di senso" emergenti nei vari comparti della società del terzo millennio. Penso, ad esempio, alle molteplici questioni della bioingegneria, al tema del progresso sostenibile e della salvaguardia dell'ambiente; penso all'allarmante "tsunami" che proprio in questi giorni sta investendo i mercati finanziari del mondo intero con risvolti socio-politici difficilmente ipotizzabili; penso alla persistente e troppo spesso dimenticata crisi alimentare che pagano le popolazioni più povere del pianeta. Ho negli occhi gli esodi biblici di milioni di persone che migrano in cerca disperata di mezzi di sussistenza. E che dire dell'universo virtuale dove navigano nuovi mass media e dove i giovani sono sempre più "protagonisti assenti"? C'è infine il fenomeno diffuso della globalizzazione che va trasformando i cinque continenti in un unico villaggio globale con indubbi vantaggi, ma anche non pochi rischi e problemi tuttora irrisolti. Tutto questo ci fa percepire che la questione dell'educazione è veramente "globale", che bisogna intervenire a trecentosessanta gradi in tutti i campi dell'esistenza, con un riferimento prioritario all'ambito socio-culturale. Ed è proprio in questo ampio panorama che una Università, una Università pontificia come questa, è chiamata a dialogare con il sapere contemporaneo, lasciandosi illuminare dalla Verità rivelata.
3. Investire sul piano formativo ed educativo
Le Università ecclesiastiche inserite nell'attuale società, segnata da vasti mutamenti sociali e culturali, devono in primo luogo investire sul piano formativo ed educativo. Lo psico-pedagogista nord-americano J. S. Bruner, nello studio che lo ha fatto conoscere al mondo pedagogico, intitolato Verso una teoria dell'istruzione, afferma: «Ogni generazione deve definire da capo la natura, la direzione e gli scopi dell'educazione, per assicurare alla generazione futura il più alto grado di libertà e di razionalità che sarà capace di raggiungere. Vi sono infatti cambiamenti, sia nelle condizioni oggettive, sia nel sapere, che pongono limiti o offrono nuove possibilità all'educatore in ogni successiva generazione. In questo senso l'educazione è un costante processo di creazione».[1] Questa sua affermazione fa pensare a quanto è avvenuto nel corso degli ultimi decenni: è andata infatti gradualmente maturando, a livello di politica nazionale e internazionale (europea, in particolare), la consapevolezza che le diffuse trasformazioni in campo economico e socio-culturale e le forti innovazioni nel settore tecnologico e comunicativo incidono profondamente sul presente e condizionano il futuro della società; proprio per questo è indispensabile un intenso investimento sul piano formativo.
Anche le Università ecclesiastiche vengono così a trovarsi inserite in un processo e in una rete di istituzioni in cui possono contribuire a creare una nuova cultura, rendendo anzitutto conto del loro impegno scientifico. Esse possono offrire, sulla base della loro identità peculiare, contributi che coltivino gli aspetti veritativi e sapienziali del sapere, caratterizzanti la cultura cristiana e il suo umanesimo sostanziato dalla trascendenza. E' innegabile che l'apporto delle Università ecclesiastiche risulta provvidenziale nel sopravvenire impetuoso del mercato globalizzato e nell'accelerazione dell'innovazione tecnologica, condizioni queste che non raramente sospingono i saperi universitari a diventare selettivi e funzionali alle esigenze della produzione e del profitto. L'eccessiva specializzazione dei saperi e l'esaltazione di quelli empirici può a volte rendere quasi impossibile una sintesi umanistica, che abbisogna sempre del passaggio dal fenomeno al fondamento. Come ha ribadito Giovanni Paolo II nell'Enciclica Fides et ratio, della quale ricorre il decennale di pubblicazione, occorre rielaborare una vera sintesi umanistica, senza la quale la funzione formativa si incrina, perché diventa strumentale a visioni dell'uomo e della società troppo riduttive. Da questo rischio, ahimè quanto mai attuale e ricorrente, non si stanca di mettere in guardia Benedetto XVI, denunciando la deriva del nichilismo e del relativismo, come pure la confusione dei linguaggi, e in definitiva il pericolo di scontri di civiltà.
4. Il contesto di una nuova evangelizzazione
Proprio in questo contesto, anche rimanendo solo a livello di situazione e di prassi universitaria, appare l'esigenza di impegnarsi nell'educare, andando oltre l'istruzione e la semplice acquisizione delle competenze. A Verona, il 19 ottobre 2006, in occasione del convegno della Chiesa italiana, il Papa metteva in evidenza che l'educazione della persona è un processo complesso. «Occorre preoccuparsi della formazione della sua intelligenza, - egli diceva - senza trascurare quella della sua libertà e capacità di amare. E per questo è necessario il ricorso anche all'aiuto della Grazia. Solo in questo modo si potrà contrastare efficacemente quel rischio per le sorti della famiglia umana che è costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto rapida del nostro potere tecnico e la crescita ben più faticosa delle nostre risorse morali».[2]
L'educazione – scriveva ancora Giovanni Paolo II nella Fides et ratio– ha tra i suoi compiti più cruciali quello di «portare gli uomini alla scoperta della loro capacità di conoscere il vero e del loro anelito verso un senso ultimo e definitivo dell'esistenza».[3] Si impone pertanto una nuova evangelizzazione che preluda a una nuova educazione ancorata a un'antropologia globale, in un processo che aiuti la crescita delle persone nel rispetto della loro dignità umana e divina. Vale a dire, occorre che la nuova evangelizzazione umanizzi l'educazione, sollecitandola a far leva sulle capacità cognitive ed etiche proprie di persone redente e, pertanto, messe in grado di vivere secondo principi e valori trascendenti. I progetti educativi hanno così a disposizione il quadro culturale di un umanesimo relazionale, aperto alla Trascendenza. Grazie alla salvezza donata dall'Alto, questi progetti possono contare su un fondamentale ottimismo antropologico ed etico, ed essere guidati da orizzonti di speranza, rispondenti alle attese più intime dell'animo umano. Progetti in grado di aiutare l'uomo d'oggi, disperso negli affanni e negli impegni, a percorrere le strade della riflessione, del silenzio, della preghiera, così da vivere la vita come un viaggio spirituale verso Dio.
In questo contesto si delinea ancor più chiaro per le istituzioni educative, specie quelle universitarie come la vostra, il compito di mostrare, sul fondamento delle scienze teologiche ed umane ed attraverso la ricerca e la sperimentazione, il profilo di una nuova educazione che mai può prescindere da una conoscenza più aggiornata della condizione giovanile odierna.
5. «Dilatare la razionalità»
E proprio ai fini di promuovere un'educazione globale della persona, occorre affrontare con chiarezza la questione antropologica su cui ci soffermeremo nelle pagine seguenti. Va riaffermata la persona nella sua vocazione trascendente, ossia come essere dotato di una "relazionalità" in orizzontale e in verticale, di una razionalità mai ridotta a "unidimensionale", bensì articolata secondo la molteplicità dei gradi del sapere. Solo una ragione integrale permette di realizzare l'alleanza tra scienze della natura e scienze umane e sociali; solo una ragione integrale è in grado di coniugare specializzazione e unificazione del conoscere, analisi e sintesi, definizione e interpretazione; solo con l'ausilio di una tale ragione, sul terreno del soggetto conoscente è possibile sostenere formativamente un qualificato saper apprendere ad apprendere, dilatando interessi personali di conoscenza, di azione e di vita, stimolando ad usare molteplici approcci cognitivi per giungere ad apprendimenti di conoscenze sempre più flessibilmente organizzati e umanamente significativi.[4]
A questo riguardo, la ricerca e la didattica universitaria non possono ignorare l'intrinseca referenzialità della ricerca scientifico-tecnologica all'umano, della sua finalizzazione ultima all'agire buono di tutti e di ognuno, insomma al bene comune sociale. Il che esige che si contemperi opportunamente scientificità disciplinare, sinergia delle discipline scientifiche, acquisizione di competenze tecnologiche con una solida formazione umanistica. Senza tale sinergia diventa estremamente difficile una armonica e qualificata crescita della persona, e sicuramente si aiutano poco anche una pacifica e corresponsabile convivenza civile, come pure lo sviluppo sostenibile dei popoli.[5]
Tutto questo invece diviene più facile e sicuro quando la ragione è coniugata nell'orizzonte della rivelazione cristiana, ovvero nel contesto di una razionalità superiore. La ragione infatti non è impoverita né diminuita dai contenuti della fede, anzi viene sfidata a superare se stessa, ad esprimere il meglio della sua essenza speculativa, logica, morale e sapienziale. E così, risulta più atta ad articolare il processo educativo secondo la pluralità e l'unità delle dimensioni delle persone, bisognose d'integrazione tra intelletto speculativo e ragione pratica, tra verità e agape, tra mente e cuore, come ci ha meravigliosamente insegnato san Giovanni Bosco.
6. Rispondere alla questione antropologica
Eccoci quindi nel cuore della questione antropologica. L'età moderna ha accentuato la centralità dell'uomo nel mondo, parlandone come di un «microcosmo», ed evidenziandone le capacità di trasformazione sul mondo e sulla storia. L'uomo era visto come faber, cioè costruttore del suo destino, e non semplice esecutore di una volontà superiore o fuori di sé. Oggi però queste prospettive sono entrate in crisi, nel senso che ad esse sono subentrate visioni antropologiche pessimistiche, chiuse alla speranza di un futuro migliore. Per questo spesso si parla di «fine della modernità» e di «post-modernità», sino ad ipotizzare una «mutazione antropologica» destrutturante le persone. Sono entrate in crisi le categorie basilari della vita umana: quelle di comunità/comunitarietà, di popolo e, più radicalmente, quelle di bene, di verità e di valore, di felicità e benessere, di intenzionalità e progettualità umana, di eticità, di politica e di Welfare State, di bene comune.
Riemerge allora, e in maniera sempre più urgente, l'antica e radicale domanda: chi è l'uomo? Che cosa è e significa «umanamente degno»? Anzi: a fronte di una universalizzazione della vita e della cultura, che può azzerare le differenze culturali e le prospettive di verità e di bene (provocando frammentazione personale, relativismo culturale, assolutizzazione fondamentalistico-culturale); a fronte di ciò che le biotecnologie prospettano non solo in termini di interventi tecnico-genetici migliorativi, ma anche in termini in qualche modo «post-umani» o «oltreumani», quasi a «produrre» l'uomo con la tecnica (come Mary Shelley già paventava nel suo famoso romanzo del 1818, Frankenstein or The Modern Prometheus); a fronte degli orizzonti «simulativi» di mondi virtuali creati dalle tecnologie digitali, si viene a precisare una chiara «questione antropologica» che rende cogente rispondere alle domande di sempre: Che cos'è la vita, il mondo, l'uomo? Qual è il suo destino e il suo futuro? Che futuro avrà l'umanità?
E non si può certo accettare che tutta la verità sull'uomo si esaurisca nella figura dell'homo videns o dell'uomo telematico, tipico della civiltà attuale della comunicazione. In effetti, con i media e la telematica, in certo modo sono venuti a svuotarsi il tempo e lo spazio, è scomparsa la relazione corporea, è mutata persino la percezione di sé: insomma si è come sradicati dalla propria «carne». Ciò che balza in primo piano è allora un "io" fenomenico privo ormai di un centro unificante dei suoi molti sé. Inoltre, a causa dell'ipermediatizzazione e della telematizzazione delle relazioni, le persone rischiano di perdere il contatto reale con gli altri e con se stesse. Indeboliscono la propria capacità di far proiezione di sé, quindi la propria identità che – come hanno insegnato i filosofi personalisti –, si perfeziona nel confronto con l'alterità dell'altro. «Il soggetto è sempre più frammentato e nomadico- scrive Fiorani nel suo saggio intitolato "La comunicazione a rete globale" -: smarrito tra i suoi oggetti e le sue macchine, è immerso nel puro presente […] Il dissolvimento insieme del passato e del futuro porta a una presenzialità assente e vuota».[6] In altri termini, non si è più enti sussistenti in sé e per sé, ossia soggetti autonomi, liberi e responsabili, essenzialmente sociali e relazionali. Prevale la rappresentazione di sé come macchina comunicante, ricca di scambi sociali ma non solidale. La persona perde il contatto con la propria natura di essere umano, "sinolo" di anima e corpo, dotato della capacità di conoscere il vero e il bene e di una libertà intrinsecamente legata a tale capacità e alla relazionalità. Le conseguenze di tale visione della persona, sradicata dalla sua essenza, sono facilmente immaginabili, quando si pensa alla concezione dei diritti e della convivenza sociale. I media e la telematica, contribuendo a rendere dominante una visione della realtà e dell'uomo disancorata dalla loro dimensione metafisica ed etica, ne favoriscono un'interpretazione storicistica ed individualistica. Con ciò, operano una sorta di scippo nei confronti dell'uomo e della società: tolgono loro la prospettiva del compimento e la rappresentazione dell'ideale. E tornano con tremenda attualità le famose tre domande kantiane: «Che cosa possiamo conoscere? Che cosa possiamo fare? Che cosa ci è dato sperare?».
7. L'esigenza di una nuovo umanesimo planetario
Dinanzi a una tale situazione si sente urgente una nuova sintesi di umanesimo. Sull'impianto classico greco-romano della soggettività e dei ruoli sociali giocati dall'uomo, il pensiero filosofico-teologico di ispirazione cristiana ha elaborato in passato il concetto di persona umana (individuo, gruppi, comunità) come soggetto capace di interiorità, di autonomia, di libertà, di responsabilità e di auto-trascendenza. Per noi cristiani, l'uomo è – come si dice – un «essere in-sé», soggetto, che nessuno può ridurre ad oggetto, almeno in forma assoluta e definitiva; è essere aperto agli altri (esse-ad); un «essere di comunione», che, nella sua esistenza spazio-temporale e storica, si può porre in rapporto attivo e ricreativo con Dio (nella religione e nella fede, e nel sacrario della sua coscienza interiore), con il mondo (nel lavoro) e con gli altri (con la sua corporeità, linguaggio, impegno, nei rapporti interpersonali e nella vita comunitaria). L'uomo è fine (non solo mezzo, direbbe Kant), è un «essere per sè» (cioè degno di essere «chiamato», apprezzato, rispettato e amato: anzitutto da Dio che lo ha creato). L'uomo è parte/membro (della specie umana, della società, della Chiesa, dell'umanità), ma anche «tutto» (interiorità, spiritualità, trascendenza). Per questo, Maritain scrive che l'uomo è individualità (parte, materia, corporeità) e personalità (tutto, anima, spiritualità), nell'integrazione tra microcosmi e macrocosmi, tra empiricità, ontologia, metafisica, assiologia, etica religiosità.[7]
Nel complesso clima culturale di oggi ritorna quindi prepotente l'affermazione della persona, della persona vivente, «con nome e cognome», fonte di diritti e di dignità, responsabile della vita, propria, altrui e del bene comune. Tuttavia, come per i diritti umani che ne costituiscono per così dire l'irradiazione a livello ideale e valoriale, così anche per l'affermazione della persona, si richiede un rinnovato impegno di «pensarla bene» nella sua complessità interna e relazionale, di tradurla in termini culturali condivisibili, di ricercarne la fondazione ontologica, per quanto pluralistica essa possa e debba essere. E questo, oltre ogni aspetto empirico, storico e fattuale, e oltre ogni stesso impegno «politico» di difesa, tutela e promozione. L'Università salesiana, che coltiva il proposito di servire la Chiesa e la società soprattutto sul piano educativo in termini personalisti e relazionali, non può non dare qualità e profondità teorica alla proposta, che viene avanzata da molte parti, di un «nuovo umanesimo» adeguato all'attuale condizione dell' «uomo planetario». Potrà così contribuire a integrare e rendere visibili le molteplici interdipendenze che si manifestano nell'esistenza umana attuale, tra locale e globale, tra reale e virtuale, tra identità e differenza, tra empiricità e interiorità, tra novità e perennità; potrà anche contribuire a generare l'idea di un essere umano integrale, di «persona umana» capace di concentrare nella singolarità del microcosmo personale i molteplici aspetti del macrocosmo umano.
8. Una paideia della persona umana
Essendo compito di ogni Università farsi attenta non solo alle idee ma anche ai processi sociali, lavorare cioè per passare dal livello globalmente antropologico a quello propriamente culturale e pedagogico, più vivo oggi si avverte di conseguenza il bisogno improcrastinabile di arrivare a una nuova paideia, cioè a una nuova cultura educativa, umanamente degna (e non solo funzionalmente e utilitaristicamente significativa). Una nuova paideia che – pur nelle differenziazioni della sua coniugazione culturale e disciplinare – cerchi le vie adeguate per essere all'altezza dei tempi, capace in definitiva di affrontare le sfide per costruire un futuro più «umano» rispetto a quanto viene prospettato in quest'inizio di secolo. La humanitas del nuovo umanesimo deve, cioè, essere riletta a livello pedagogico, affinché possa evidenziare il fine, l'orizzonte e il telos della personale e comunitaria responsabilità/solidarietà educativa, a tutti i livelli e, in particolare, a livello universitario.
In questa linea, a fronte dei moderni modi di apprendere delle nuove generazioni – più affidati ai «non luoghi» mediatici e telematici che ai «luoghi» tradizionali della famiglia, scuola, parrocchia, associazioni, più realizzati nell'informale che nel formale, più vissuti secondo logiche informatiche che razionali, più in immagini che in concetti – l'educazione a tutti i livelli dovrà «insegnare ad apprendere» e «insegnare ad essere»; dovrà promuovere un'acquisizione critica, sistematica e integrata del meglio della cultura sociale e, al contempo, formare le capacità di «fare cultura»; dovrà collaborare allo sviluppo interiore, spirituale e morale delle persone, a cominciare dalla costruzione delle coordinate del personale e comune essere nel mondo e dalla ritessitura dei «fili invisibili della vita», che permettono di assicurare ad essa e alla storia un senso aperto al di più, al futuro e all'oltre. L'educazione stimolerà così all'acquisizione di competenze specifiche/professionali che permettano un buono ed effettivo inserimento nel mondo del lavoro e della produzione sociale, con competenze generali/personali che rendano possibile una vita umanamente degna per ciascuno e per tutti, individualmente e comunitariamente. Sosterrà ancora l'educazione la formazione di cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e composite, siano esse quella nazionale, quella europea, quella mondiale. L'educazione potrà conseguire tali obbiettivi proprio attraverso la valorizzazione delle differenze personali e delle radicazioni culturali di ogni persona, nelle varie età della vita, operando sinergicamente (o, come oggi spesso si dice, «a rete») tra sistema sociale di formazione (informale, non formale, formale), tra istituzioni formative e territorio, le sue diverse configurazioni sociali, non ultime quelle religiose ed ecclesiali.
9. Il senso della profezia cristiana sull'uomo
Ci chiediamo ora, in questo contesto, come e in che modo possa un'Università pontificia contribuire a rispondere alle domande di significato che gli uomini del nostro tempo si pongono, preoccupati del proprio e del comune futuro. Compito di una Università pontificia non può che essere l'annuncio di Cristo, riproporre la «profezia» del Vangelo dell'incarnazione del Dio che si è fatto uomo perché l'uomo sia redento, salvato, divinizzato; annunciare la rivelazione dell'amore misericordioso di Dio, che ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito per farci tutti «figli nel Figlio»; proclamare il rinnovamento umano nello Spirito, che permette non solo la riconciliazione tra umano e divino, tra tempo ed eternità, ma anche tra persone, gruppi, popoli e linguaggi (permettendo, quindi, la possibilità di dialogare, comunicare, far comunità e comunione, al di là di ogni alterità, differenza, separatezza, solitudine, emarginazione, esclusione).
La "profezia" del Vangelo permette di intravedere, per un verso il senso del limite e della fragilità umana (la «canna pensante» di Blaise Pascal), e, per altro verso evidenzia una profonda aspirazione ad «essere di più» (Emmanuel Mounier), e, in chiave cristiana, l'aspirazione ad una vita vissuta sotto l'azione vivificante e trasformante dello Spirito di Dio. Lo Spirito Santo è principio ed energia vitale che spinge gli uomini a vivere «secondo Dio», come esseri cioè in relazione personalissima con Dio, come comunità di credenti e come popolo sacerdotale e profetico, chiamato a rendere visibile nel mondo l'amore creante e redentore di Dio; a ricreare il proprio io secondo lo Spirito di Dio (Tommaso d'Aquino, De virtutibus, q. 1, a. 10); a ricercare «prima di tutto» il Regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,25-33), nell'«attesa di cieli nuovi e terra nuova in cui abiterà definitivamente la giustizia» (2 Pt 3,13).
In tale prospettiva, la vita morale, che si articola nella libera adesione a norme e principi divini iscritti nel cuore di ogni uomo, si nutre di una personale relazione con Dio in Gesù Cristo e, nella luce di essa, è ricerca del giusto rapporto con gli altri e con le realtà temporali. Come conseguenza, l'esistenza storica risulta segnata dalla «sacramentalità», vale a dire dalla costante coniugazione di visibilità e di mistero, di concretezza e di idealità, di impegno e di invocazione, di inserzione nel tempo e di apertura all'eterno. Ed in questa linea potrà continuare ad avere valore «maieutico e liberante» – anche a livello pedagogico-educativo – la testimonianza di «una vita che profuma di Vangelo» e che, «vivendo di fede», mostra la dignità e la valenza umana della stessa profezia cristiana sull'uomo e sulla storia umana.
10. L'esigenza di una Università come comunità educativa
L'immagine «comunitaria» è connaturata alla esperienza storica dell'Università, concepita come organico convergere e vivere, tipico di una universitas magistrorum et scholarium. Ancor più importante è oggi questa visione comunitaria se si vuole che il movimento intenzionale dell'istituzione e della prassi universitaria sia decisamente focalizzato e indirizzato sulla e verso la formazione «specialistica» di uomini e donne «per l'uomo e per la comunità», «ultimamente per Dio».
In quanto luogo di formazione mediante l'acquisizione delle conoscenze scientifiche, lo studio rigoroso e lo sviluppo della coscienza critica, l'Università non potrà non essere comunità di dialogo, di ricerca e di esperienza sociale. Certo, oggi dovrà essere informata ai valori democratici e dell'etica pubblica, in interazione con la più vasta comunità civile e sociale di cui l'Università è parte integrante e culturalmente stimolativa. Si dovrà pensare a procedure corrispondenti, ma certamente anche curare la qualità delle relazioni dirigenti-amministratori-docenti studenti, coniugando complessità e autonomia, personale e istituzionale, rispetto delle procedure e dei ruoli e pratica della corresponsabilità partecipata e differenziata, in vista del raggiungimento di obiettivi culturali e professionali adeguati alle grandi finalità dell'istituzione universitaria, che sono: la ricerca, la formazione, la diffusione culturale, la gestione istituzionale-universitaria. E tutto questo, sulla base della libertà dell'insegnamento, del diritto di opinione e di espressione, della libertà religiosa, del rispetto reciproco delle persone e delle «differenze» individuali e di status sociale, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale, ma anche nell'impegno della ricerca e della tensione etica per la verità e il bene comune. La ricerca della «positività» dell'azione educativa e la coscienza che l'educazione è «opera comune» spingono a chiedere – a livello di esercizio pubblico del «servizio educativo» – un preciso quadro istituzionale, giuridico e deontologico per il suo corretto espletamento.
11. Conclusione
Nel contesto della visione cattolica dell'educazione globale acquistano infine – e mi avvio alla conclusione - una rilevante importanza la figura e la missione dei docenti universitari. Occorre che essi siano personalità di profondo spessore umano, prima ancora che provvisti delle pur necessarie e valide competenze accademiche: persone spiritualmente ricche, annunciatori credibili del Vangelo, testimoni chiari della qualità umana della cultura che insegnano o propongono. Soprattutto, non possono non essere al contempo «maestri» e «politici», nel senso alto e umano di «costruttore di polis», e di cittadinanza aperta e attivamente impegnata per uno sviluppo storicamente sostenibile, umanamente degno per tutti. Educare per un docente è partecipare agli studenti il sapere comunicando valori e senso; è aiutare a costruire insieme un futuro migliore per ciascuno e per tutti mantenendo viva la fiamma della speranza; è testimoniare quella «verità che salva», a cui si può pervenire grazie al dinamismo conoscitivo di «una fede amica dell'intelligenza e animata dall'agape». Mi pare che sia proprio questo il messaggio che Papa Benedetto XVI va ripetendo in ogni circostanza opportuna indicando l'educazione come una modalità cristiana di dialogare e di riflettere culturalmente. La sua carriera di docente e la sua lunga esperienza di Pastore lo rendono guida saggia e illuminata per tutti coloro che sono chiamati a svolgere questo servizio nella Chiesa e nella società, un servizio indispensabile all'evangelizzazione specialmente dei giovani e della cultura. Maria, Sedes sapientiae vegli sull'anno accademico appena avviato; un nuovo anno che auguro, grazie anche all'intercessione di san Giovanni Bosco, sereno, fruttuoso e proficuo per tutti. Grazie!
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[1] J. S. Bruner, Verso una teoria dell'istruzione, Armando, Roma 1967, p. 51.
[2] Benedetto XVI, Discorso al Convegno di Verona (19 ottobre 2006), in «L'Osservatore Romano» (venerdì 20 ottobre 2006) 7.
[3] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Fides et ratio, n. 102, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 148.
[4] Cf E. morin, Quelle université pour demain? Vers une évolution transdisciplinaire de l'université, in «Motivations» 24 (1997) 1-4.
[5] Cf G. Tanzella-Nitti, Passione per la verità e responsabilità del sapere, Casale Monferrato, Piemme, 1999, p. 188.
[6] E. Fiorani, La comunicazione a rete globale, Lupetti-Editori di Comunicazione, Milano 1998, p. 106.
[7] Cf J. maritain, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 199510.
Europarlamento: no a emendamento contro aborto e sterilizzazioni - di Antonio Gaspari - ROMA, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Nella seduta di questo giovedì il Parlamento europeo ha respinto un emendamento che chiedeva di interrompere ogni programma di assistenza a governi e associazioni coinvolti in progetti per la diffusione di aborto coercitivo, sterilizzazione involontaria e infanticidio.
A proporre l’emendamento è stata l’eurodeputata irlandese Kathy Sinnott, membro dell’ufficio di presidenza del gruppo Indipendenza/Democrazia, insieme a tutti i membri del PPE (Partito Popolare Europeo), il gruppo più grande e l’unico con rappresentanti in tutti i paesi dell’Unione.
Kathy Sinnott è stata fondatrice e segretaria dell’Associazione per le persone con gravi e profondi handicap mentali. Tra i tanti riconoscimenti è stata premiata come “Donna dell’anno” dall’Irish Tatler (2001), oltre a ricevere il Premio “Pace e Giustizia” (2000) e “Mamma dell’anno” da parte del “Woman’s Way Celebrity” (2008).
Nell’emendamento già respinto dalla Commissione Controllo del Bilancio e ripresentato in aula, l’eurodeputata irlandese e il gruppo del PPE chiedevano di negare qualsiasi assistenza da parte della Comunità europea a quei governi e associazioni “che sostengono o partecipano alla gestione di programmi che violano i diritti umani fondamentali, attraverso l’applicazione di aborto coercitivo, sterilizzazione involontaria e infanticidio”.
Nell’emendamento si fa riferimento alle disposizioni decise alla Conferenza Onu svoltasi a il Cairo (1994) su Popolazione e Sviluppo circa la proibizione di programmi coercitivi in materia di diritti sessuali e riproduttivi.
Il provvedimento respinto chiedeva inoltre alla Commissione Controllo del Bilancio di presentare ogni anno un rapporto sull'applicazione di progetti di assistenza dell'Unione Europea (UE) in relazione a programmi che possono violare i diritti umani.
Secondo alcuni esperti di bilancio presenti a Strasburgo, se l’emendamento fosse passato avrebbe costretto l'UE a tagliare i finanziamenti delle associazioni che praticano programmi di controllo delle nascite.
Sui diritti umani, nessun cedimento a “interpretazioni relativistiche” - Mons. Francesco Follo sui 60 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo - PARIGI, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).-“Non dobbiamo cedere alla tentazione di interpretazioni relativistiche dei diritti umani o ad una applicazione parziale e ineguale secondo il ben volere di coloro che devono applicarli”, afferma mons. Francesco Follo.
E' quanto ha ribadito l'Osservatore permanente della Santa Sede all'UNESCO, intervenendo il 14 ottobre scorso, a Parigi, alla 180° Sessione del Consiglio esecutivo di questa Organizzazione delle Nazioni Unite per commemorare il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Per il presule un atteggiamento di questo tipo “significherebbe soddisfare esigenze particolari, trascurando le esigenze legittime della persona umana per la quale questi diritti sono stati riconosciuti”.
Tracciando un breve bilancio di questi ultimi 60 anni, il presule ha ricordato che mentre allora, nel 1948, furono 51 gli Stati ad aderire alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, oggi sono 193, e che sempre “nuovi paesi” vogliono “esprimere altri diritti”; inoltre, ha evidenziato che al giorno d'oggi “le circa 6000 lingue e le 7500 etnie fanno sentire la loro presenza”, mentre “il ruolo sociale [...] della religione è sempre più riconosciuto”.
Nel suo intervento mons. Follo ha lodato la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo come “uno dei più bei frutti della convergenza tra le differenti tradizioni culturali e religiose, che si è rivelata uno strumento importante per proteggere la persona umana e preservarne la dignità”.
Oltre a questo, ha aggiunto, “i diritti umani si sono rivelati un mezzo efficace per preservare la pace nel mondo”, sottolineando poi che la loro promozione oggi può risultare “efficace nel colmare le disuguaglianze fra i Paesi e i gruppi sociali”.
Riferendosi allo stato di applicazione del Piano d’azione dell’UNESCO, l’Osservatore permanente della Santa Sede ha detto che questi diritti sono “espressione della legge naturale, che è iscritta nel cuore dell’uomo e che è presente nelle differenti culture e civiltà”.
Se da una parte “la percezione dei diritti dell’uomo si evolve nel tempo”, dall'altra – ha continuato – “l’essere radicati nella persona umana conferisce loro uno statuto universale”.
Nel suo intervento si è quindi soffermato in particolare sul diritto alla libertà religiosa da riconoscere “non solo in ciò che concerne la dimensione del culto o del rito in senso stretto, ma anche in ciò che concerne la vita dell’uomo in generale”.
Il diritto alla libertà religiosa, ha ricordato, si definisce “nell’atto di credere o di non credere, di avere una religione o di non averla, o di cambiarla; da un punto di vista soggettivo questa libertà non esclude altre dimensioni dell’essere umano, come quella della cittadinanza, ma al contrario è diretta verso l'Assoluto, unifica l'essere umano piuttosto che frammentarlo”.
“La libertà di una persona – ha continuato – si sviluppa in connessione con la libertà degli altri. Si tratta di una libertà con gli altri e attraverso gli altri, e quindi anche con l'Altro”.
Il diritto alla libertà religiosa è quindi “espressione di una dimensione costitutiva della persona umana, che non si può negare o eludere”.
Cristiani e musulmani ai Governi europei: non proibite i simboli religiosi - Essere cittadino e credente non è in contraddizione, avvertono - di Inma Álvarez
MALINES, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- “Come cristiani e musulmani affermiamo che siamo cittadini 'e' credenti, non cittadini 'o' credenti. Siamo chiamati a lavorare fianco a fianco in modo adeguato con gli Stati a cui apparteniamo senza subordinarci ad essi”.
Lo afferma il documento finale dell'incontro tra cristiani e musulmani, sul tema “Essere cittadino europeo e persona di fede”, svoltosi fino a questo giovedì a Malines (Belgio), organizzato dal Comitato per le Relazioni con i Musulmani in Europa delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) e dal Consiglio delle Chiese Europee (KEK).
L'Europa, afferma il comunicato, “è sottoposta a un processo di profonda trasformazione, e sta emergendo una società plurale, interetnica, interculturale e interreligiosa”.
In alcuni Stati, lamenta, “si individua un processo che sta portando a una relegazione progressiva della religione alla sfera privata”, arrivando anche all'“emarginazione dallo spazio pubblico”, per giungere allo “sradicamento di ogni tipo di manifestazione pubblica della fede”.
Di fronte a questo, il comunicato afferma l'importanza del “principio di integrazione”, che “non dovrebbe mai implicare la rinuncia alla nostra identità religiosa”, come “mostrare simboli religiosi in luoghi pubblici”, o “la neutralizzazione delle festività religiose con il pretesto che potrebbero ferire la sensibilità di altri credenti”.
Dall'altro lato, si sostiene l'importanza del diritto alla “libertà di coscienza, a cambiare o abbandonare la propria religione, a mostrare e a difendere in pubblico le proprie convinzioni religiose senza essere ridicolizzati o intimiditi da pregiudizi o stereotipi”.
Un altro dei punti del comunicato si riferisce al clima di intesa auspicabile tra le due comunità e insiste sul dialogo, che consiste “più nell'ascoltare che nel parlare” e nell'“imparare a curare le ferite delle divisioni provocate da conflitti passati” per essere “ambasciatori di riconciliazione”.
Per questo è necessario “conoscersi a vicenda”, per cui i partecipanti all'incontro propongono di permettere l'ingresso in chiese e moschee “a visitatori di altre comunità”, così come “incontri scolastici e accademici” che favoriscano la conoscenza reciproca.
Propongono inoltre la condanna di “qualsiasi uso della violenza in nome della religione” e di “forme ostili e militanti di secolarismo che creano discriminazione tra i cittadini e non lasciano spazio alle credenze e alle pratiche religiose”.
E' anche importante, afferma il comunicato, trovare spazi di intesa in quanto alla “relazione della persona con Dio, il ruolo della famiglia, la dignità umana, la giustizia sociale e la cura dell'ambiente”.
“Il nostro desiderio per le generazioni future è che vivano in armonia e pace con le loro differenze religiose, e che lavorino per il progresso della società. Il dialogo interreligioso deve iniziare ad essere il clima in cui i bambini e i giovani possano accettare l'altro e le sue differenze”.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
La vita di una bambina salva l’umanità - “Bella”, una poesia d’amore in un film - di Antonio Gaspari - STRASBURGO, giovedì, 23 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Una storia semplice di grandissima umanità. La vittoria dell’amore fraterno che supera le paure umane più diffuse. Un film in cui la bellezza e il sorriso di una bambina che non doveva nascere spinge i due protagonisti a superare i drammi della loro vita e costruire con amore e coraggio il futuro.
Questi sono alcuni dei giudizi espressi dai trecento giovani che hanno assistito, mercoledì 22 ottobre, a Strasburgo ad una proiezione esclusiva e privata del film “Bella”.
La proiezione è stata organizzata dal Movimento per la Vita per i 300 vincitori del XXI concorso scolastico che aveva per tema “Europa e diritti umani. Noi giovani protagonisti”.
Il film “Bella”, del regista Alejandro Gomez Monteverde, racconta la storia di Josè, un promettente giocatore di calcio messicano, che nel recarsi a firmare il contratto con il Real Madrid investe uccidendola una bambina di pochi anni.
Il dramma cambia la vita di Josè, non solo perché va in prigione, smette di giocare a calcio e si ritira a fare il cuoco nel ristorante del suo fratello adottivo, ma soprattutto perché il giovane decide di dedicare la sua vita ad aiutare gli altri.
L’occasione è la vicenda di Nina, una giovane ragazza che viene licenziata dal fratellastro perché assente ingiustificata. La ragazza, che non andava al lavoro perché incinta, è spaventata, impaurita, all’inizio di un percorso che la porterebbe alla disperazione. Josè la segue, le manifesta la sua solidarietà, l’accompagna, le parla, le presenta la sua famiglia e le spiega il motivo della sua tristezza.
Nina parla con Josè della sua intenzione di mettere fine alla gravidanza, perché non si sente in grado di portarla avanti, sola, senza lavoro, senza il sostegno neanche di sua madre che non si è mai ripresa dopo la morte del marito avvenuta quando Nina aveva solo 12 anni.
Josè non condivide la scelta dell’interruzione di gravidanza, ma non replica direttamente; trova un lavoro per Nina, la porta a cena dalla sua famiglia, e soprattutto le fa sentire tutto il caloroso sostegno umano.
Il film riflette in maniera vera e profonda i drammi che colpiscono l’animo umano, ma il racconto è lieve, i dialoghi intensi, i rapporti tra le persone caratterizzati da una profonda umanità.
I personaggi mostrano ferite profonde, ma si respira una grande fiducia nella capacità amorevole e solidale di poter costruire percorsi di bene.
Nel film le parole aborto, Dio, solidarietà umanità, difesa della vita e della famiglia non vengono mai pronunciate, ma le immagini, i silenzi, le varie vicende, i diversi personaggi concorrono insieme a comporre una commovente poesia d’amore.
In alcune parti il film sembra lento, con tanti primi piani e flashback, ma i messaggi che comunica sono di un'intensità emotiva dirompente.
Nessuno tra coloro che hanno visto il film è riuscito a non versare qualche lacrima di commozione.
Presentato come evento speciale alla Prima Edizione del Fiuggi Family Festival e vincitore del premio del pubblico al Festival di Toronto, il film “Bella” verrà distribuito in Italia dalla “Lux Vide”.
23/10/2008 16:56 – ASIA -Libertà religiosa: difesa dalla società civile; dimenticata dagli Stati - di Bernardo Cervellera - Il Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre mostra che le violazioni a questo diritto avvengono per puri motivi di potere e per bloccare lo sviluppo sociale ed economico delle società. Le società civili del mondo sono sempre più consapevoli della sua importanza; i governi la considerano molto secondaria. Ma la costruzione della pace del benessere passa per la libertà religiosa.
Roma (AsiaNews) - Il Rapporto 2008 sulla libertà religiosa nel mondo, a cura dell’Associazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre, offre uno spaccato delle sofferenze per la fede di centinaia di milioni di persone. Anche AsiaNews ha contribuito a documentare le violazioni a questo diritto fondamentale che Benedetto XVI ha definito “pietra angolare” dei diritti umani.
Scorrendo le pagine e seguendo ogni giorno gli avvenimenti dell’Asia attraverso la nostra agenzia ci accorgiamo di alcune elementi importanti:
1) le violazioni alla libertà religiosa avvengono sempre più per motivi di potere e in disprezzo allo sviluppo umano e sociale dell’uomo. In passato erano molto più frequenti le motivazioni del fondamentalismo fanatico che vuole annientare le altre comunità confessionali; il rifiuto di religioni (come il cristianesimo), legate a un passato coloniale; le motivazioni ideologiche marxiste, che volevano distruggere le religioni come “oppio del popolo”. Ora invece è chiaro che perfino in Cina o in Vietnam, la lotta contro le religioni è una lotta contro la libertà dell’uomo, la possibilità di esprimere il proprio pensiero e costruire ambiti di dialogo e di giustizia nella società. In Cina come in Vietnam, il Partito comunista ha perso ogni verve ideologica e cerca soltanto di salvarsi dal crollo imminente a causa dalla corruzione dei membri e dalle richieste di giustizia da parte di contadini espulsi dalle proprie terre, cittadini stanchi dell’inquinamento, testimoni di soprusi senza freno. Perfino le persecuzioni in India, pur con una forte dose di integralismo religioso indù, sono motivate dall’interesse di partiti politici e proprietari terrieri a mantenere come schiavi i tribali e i dalit che convertendosi al cristianesimo, si aprono a una nuova emancipazione sociale ed economica della loro vita. Da questo punto di vista ci si accorge che imbavagliare le religiosi significa imbavagliare le voci che parlano di libertà di espressione, di giustizia contro la corruzione; di sviluppo e di dignità. Le forze di potere che lottano contro la libertà religiosa vogliono Paesi chiusi, bloccati, senza sviluppo economico, per conservare i loro monopoli e interessi
2) Va registrato nel mondo islamico un accento sempre più forte di distacco dal terrorismo fondamentalista. Ne è prova l’apertura di diverse chiese negli emirati arabi e in Kuwait; il dialogo fra Arabia saudita e Vaticano; la difesa dei cristiani da parte delle organizzazioni musulmane moderate in Indonesia. Perfino la sorte dei cristiani irakeni è divenuta tema di dibattito nei giornali del Medio Oriente: questi cristiani sono una fonte di cultura, di sviluppo, di internazionalità, capaci di dialogare con oriente ed occidente ed è un peccato perderli.
3) C’è un interesse crescente della società civile mondiale verso la libertà religiosa come base per costruire la pace. Basta pensare alle imponenti manifestazioni avvenute nel mondo a favore dei monaci birmani; di quelle contro la Cina e la sua repressione verso i monaci tibetani. Questa opinione pubblica mondiale ha potere di influenzare gli Stati “canaglia” della libertà religiosa, che alla fine temono solo questa. In Vietnam, grazie all’attenzione internazionale verso i cattolici di Hanoi, il governo della città non è riuscito a eliminare né la comunità, né il suo vescovo. In India, anche se dopo un mese dai massacri e dalle distruzioni, il governo dell’Orissa ha dovuto aprire un’inchiesta sulle violenze contro i cristiani. La Cina stessa, pressata dalla società civile del mondo intero, ha dovuto riaprire i dialoghi con il Dalai Lama, fermi da anni. Per la popolazione civile del mondo è chiaro che la libertà religiosa è il catalizzatore delle altre libertà e la garanzia di ordine e di pace nella società.
4) C’è sempre meno interesse dei governi mondiali verso questo tema. L’incapacità a boicottare anche un solo giorno di Olimpiadi a Pechino, in nome della “partnership strategica” e dei contratti economici; la zoppicante e impotente altalena verso il regime birmano; il silenzio verso le violenze in India mostrano che gli Stati sono presi sempre più solo dallo stretto interesse economico. La globalizzazione ha reso la società civile mondiale più solidale; la stessa ha reso i governi più succubi dell’economia. E noi temiamo che con la recessione planetaria a cui stiamo per assistere, il divario fra opinione pubblica e governi si allargherà di più.
Questa situazione conferma l’importanza della nostra informazione, attenta alla sorte di cristiani, buddisti, musulmani, indù: un aiuto per l’opinione pubblica mondiale e per la pace nel mondo.
Mattoncini Lego: "una visione superata dei generi sessuali" - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 23 ottobre 2008 - In Svezia il “Consiglio etico del commercio contro il sessismo nella pubblicità”, se la prende con la Lego, rea di fare una pubblicità sessista.
Alzi la mano chi non ha mai giocato con i mitici LEGO.
I mattoncini di plastica con i quali costruire case, auto, città, aeroporti o stadi di calcio.
Da piccola io adoravo costruire case, con il tetto verde, le finestre bianche e le persiane apribili, ho sempre avuto un debole per le ristrutturazioni e le mansarde, ma crescendo ci ho giocato ancora in compagnia dei miei figli.
Ricordo che un Natale regalarono a miei figli una scatola di Lego con la quale costruire la stazione di polizia, solo che loro erano ancora troppo piccoli per giocarci e allora la notte di capodanno messi a letto i bambini, mentre attendevamo che la pizza in forno arrivasse al punto giusto di cottura io e mio marito ci mettemmo a costruire la stazione con i lego e a mezzanotte stappammo una bottiglia per brindare alla fine lavori e all’anno nuovo.
Ora scopro che in Svezia il “Consiglio etico del commercio contro il sessismo nella pubblicità”, una specie di censore che veglia sulla pubblicità e sugli spot di tutte le aziende, se la prende con la Lego, rea di fare una pubblicità sessista.
Si avete capito bene, - pubblicità sessista -.
Corpo del reato pare sia l’ultimo catalogo, dove sotto la scritta “tutto quello che una principessa può desiderare” c’è una bimba che gioca con cavalli e principesse in una cameretta rosa.
Discriminazione delle discriminazioni!
Sull’altra pagina del catalogo un bambino, gioca attorniato da macchinine e automezzi dei pompieri, in una cameretta azzurra, troppo virile? Che dite?
Insomma, un po’ ingenui questi della Lego.
Era meglio una cameretta verde pisello, un piccolo essere umano di sesso non ben identificato, tanto ha tutto il tempo di scegliere crescendo, e dei giochi per così dire neutri.
Scusate, ma mi sembra davvero un eccesso.
Secondo i santoni che vigilano, la Lego avrebbe rafforzato «una visione superata dei generi sessuali », e avrebbe diffuso degli «stereotipi» «degradanti per l’uomo e per la donna».
Insomma, essere maschio o femmina, non è più di moda, peggio è degradante.
Come dire che è ora che le aziende che producono biancheria intima femminile, la finiscano di sbatterci in faccia belle ragazze con il seno sodo strizzato in completino di pizzo, potrebbe essere un’immagine lesiva della dignità di quegli uomini che si sono fatti mettere dal chirurgo un paio di tette pur mantenendo gli attributi maschili.
Io non credo che siano i giochi e le case che li producono a determinare l’appartenenza sessuale dei bambini, sono ancora convinta che si nasca maschi o femmine e sono tra quelli che dicono che non siamo uguali, grazie a Dio, e non sarebbe giusto omologarci.
Perché c’è un genio femminile e un genio maschile.
E’ giusto che maschi e femmine abbiano la stessa possibilità di realizzare i loro sogni, di fare l’astronauta o la casalinga, ma lo faranno in modo differente, né meglio né peggio, perché siamo differenti e questa differenza è un pregio, una ricchezza, è la bellezza del genere umano.
Se poi ci sono persone che hanno gusti sessuali differenti, liberi di esercitare i loro gusti, ma questo non può determinare le scelte dell’intera società.
Un Cristo reale - Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 23 ottobre 2008 - Cristo è la persona che mi ama, con la quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde, è realmente il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia
«Oggi vorrei parlare dell’insegnamento che san Paolo ci ha lasciato sulla centralità del Cristo risorto nel mistero della salvezza, sulla sua cristologia. In verità, Gesù Cristo risorto, “esaltato sopra ogni nome”, sta al centro della sua riflessione. Cristo è per l’Apostolo il criterio di valutazione degli eventi e delle cose, il fine di ogni sforzo che egli compie per annunciare il Vangelo, la grande passione che sostiene i suoi passi sulle strade del mondo. E si tratta di un Cristo vivo, concreto: il Cristo - dice Paolo - “che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Questa persona che mi ama, con la quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde, questo è realmente il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 22 ottobre 2008].
Chi ha letto gli scritti di Paolo sa bene che egli non si è preoccupato di narrare i singoli fatti in cui si articola la fase terrena della vita di Gesù, anche se possiamo pensare che nelle sue catechesi e celebrazioni liturgiche abbia raccontato molto di più sul Gesù prepasquale di quanto egli scrive nelle Lettere, che sono ammonimenti in situazioni precise. Il suo intento, la sua accentuazione pastorale e teologica era talmente tesa all’edificazione delle nascenti comunità di vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidati, che gli era spontaneo concentrare, nella gerarchia delle verità, tutto nell’annuncio di Gesù Cristo quale “Signore”, vivo adesso e presente eucaristicamente ed ecclesialmente in mezzo ai suoi. Di qui la caratteristica essenzialità fondativa della cristologia paolina, che sviluppa le profondità del mistero cioè del divino attraverso la via umana di Gesù Cristo nel suo corpo che è la Chiesa con una costante e precisa preoccupazione: annunciare, certo, il Gesù vivo, il suo insegnamento, ma annunciare soprattutto la realtà centrale della sua morte e risurrezione, come culmine della sua esistenza terrena e radice, fondamento del successivo sviluppo di tutta la fede cristiana, di tutta la realtà, pure divino - umana, del mistero della Chiesa. Per l’Apostolo la risurrezione, l’incontro con il risorto nel suo corpo che è la Chiesa, non è un avvenimento a sé stante, disgiunto dalla morte: il Risorto è sempre colui che, prima, è stato crocifisso e si rende presente nell’Eucaristia e nel suo corpo che è la Chiesa, Crocifisso risorto. Anche da Risorto porta le sue ferite: la passione, come tutte le fasi della vita terrena dal concepimento verginale, nato da donna, è presente in Lui e si può dire con Pascal che Egli è sofferente fino alla fine del mondo, pur essendo Risorto e vivendo con noi e per noi. Questa identità del Risorto col Cristo crocefisso Paolo l’aveva capita nell’incontro sulla via di Damasco: in quel momento gli si rivelò con chiarezza che il Crocefisso è il Risorto e il Risorto è il Crocefisso, che dice a Paolo: “Perché mi perseguiti?” (At 9,4). Paolo sta perseguitando Cristo nel suo corpo che è la Chiesa e allora capisce che la croce è “una maledizione di Dio” (Dt 21,23), ma Risorto continuamente colpito nei suoi colpiti è sacrificio per la nostra redenzione.
Il segreto nascosto del Crocifisso - risorto continuamente perseguitato nel suo corpo che è la Chiesa
L’Apostolo contempla affascinato, fino a scoppiare di gioia in tutte le tribolazioni per il Vangelo, il segreto nascosto del Crocifisso - risorto e attraverso le sofferenze sperimentate da Cristo nella sua umanità (dimensione terrena) risale a quell’esistenza eterna in cui Egli è tutt’uno col Padre (dimensione divina pre - temporale): “Quando venne la pienezza del tempo - egli scrive -, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4-5). Queste due dimensioni, la preesistenza eterna presso il Padre e la discesa del Signore nella incarnazione, si annunciavano già nell’Antico Testamento, nella figura della Sapienza. Troviamo nei Libri sapienziali dell’Antico Testamento alcuni testi che esaltano il ruolo della Sapienza preesistente alla creazione del mondo: è la Ragione creativa, il Logos, la Parola cioè la Persona del figlio di Dio Padre attraverso cui nello Spirito tutto è creato. In questo senso vanno letti passi come questo del Salmo 90: “Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, Dio” (v.2); o passi come quello che parla della Sapienza creatrice: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra” (Pr 8, 22-23). Suggestivo è anche l’elogio della Sapienza, contenuto nell’omonimo libro: “La Sapienza si estende vigorosa da un’estremità all’altra e governa a meraviglia l’universo” (Sap 8,1).
Gli stessi testi sapienziali che parlano della preesistenza eterna della Sapienza, parlano anche della discesa, dell’abbassamento di questa Sapienza, che si è creata una tenda tra gli uomini. Così sentiamo echeggiare già le parole del Vangelo di Giovanni che parla della tenda della carne del Signore. Si è creata una tenda nell’Antico Testamento: qui è indicato il tempio, il culto secondo la “Thorà”; ma dal punto di vista del Nuovo Testamento possiamo capire che questa era solo una prefigurazione della tenda molto più reale e significativa: la tenda della carne, del Logos, della Parola di Dio nel grembo di Maria, di Cristo nell’Eucaristia e nel Suo corpo che è la Chiesa per tutti e per tutto. E vediamo già, perché Dio è Amore e non può costringere poiché un rapporto costretto non è un rapporto di amore, come sono tutti i rapporti di Dio con le sue creature intelligenti e libere, nei Libri dell’Antico Testamento che questo abbassamento della Sapienza, della Ragione creativa, del Logos, del Figlio, la sua discesa nella carne, implica anche la possibilità che essa sia rifiutata. San Paolo, sviluppando la sua cristologia, si richiama proprio a questa prospettiva sapienziale che rivela unitariamente chi è Dio e chi è ogni uomo e quale il rapporto libero, di amore tra Creatore e creature intelligenti e libere, puri spiriti come gli angeli, spiriti corporei come gli uomini: riconosce in Gesù la sapienza eterna esistente da sempre, la sapienza che discende e si crea una tenda tra di noi e così egli può descrivere Cristo, come “potenza e sapienza di Dio”, può dire che Cristo è diventato per noi “sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1, 24.30). Similmente Paolo chiarisce che Cristo, al pari della Sapienza, può essere rifiutato soprattutto dai dominatori di questo mondo (1 Cor 2, 6-9), cosicché può crearsi nei piani di Dio una situazione paradossale, la croce, che si capovolgerà in via di salvezza per tutto il genere umano.
Un ciclo ulteriore di questo ciclo sapienziale, che vede la Sapienza abbassarsi per poi essere esaltata nonostante il rifiuto, si ha nel famoso inno contenuto nella Lettera ai Filippesi (2,6-11). Si tratta di uno dei testi più alti di tutto il Nuovo Testamento. Gli esegeti in stragrande maggioranza concordano ormai nel ritenere che questa pericope riporti una composizione precedente al testo della Lettera ai Filippesi. Questo è un dato di grande importanza, perché significa che il giudeo - cristianesimo, prima di san Paolo, credeva nella divinità di Gesù. In altre parole, la fede nella divinità di Gesù non è una invenzione ellenistica, sorta molto dopo la vita terrena di Gesù, un’invenzione che, dimenticando la sua umanità, lo avrebbe divinizzato; vediamo in realtà che il primo giudeo - cristianesimo credeva nella divinità di Gesù, anzi possiamo dire che gli Apostoli stessi, nei grandi momenti della vita del loro Maestro, hanno capito che Egli era il Figlio di Dio, come disse san Pietro a Cesarea di Filippi: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Ma ritorniamo all’inno della Lettera ai Filippesi. La struttura di questo testo può essere articolata in tre strofe, che illustrano i momenti principali del percorso compiuto dal Cristo.
- La sua preesistenza è espressa dalle parole: “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio” (v.6);
- segue poi l’abbassamento volontario, libero, per amore del Figlio nella seconda strofa: “svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo” (v.7), fino a umiliare se stesso “facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (v. 8).
- La terza strofa dell’inno annuncia la risposta del Padre all’umiliazione del Figlio: “Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (v. 9).
Ciò che colpisce è il contrasto tra l’abbassamento radicale e la seguente glorificazione nella gloria di Dio. E’ evidente che questa seconda strofa è in contrasto con la pretesa del primo Adamo che da sé voleva farsi Dio, è in contrasto anche con il gesto dei costruttori di Babele che volevano da soli edificare il ponte verso il cielo e farsi loro stessi divinità. Ma questa iniziativa della superbia finì nella autodistruzione: non si arriva così al cielo, alla vera felicità. Il gesto del Figlio di Dio è esattamente il contrario: non la superbia, ma l’umiltà, che è realizzazione dell’amore e l’amore è divino, è vita veramente vita che dura eternamente. L’iniziativa di abbassamento, di umiltà radicale di Cristo, con la quale contrasta la superbia umana, è realmente espressione dell’amore divino, è il divino nella via umana; ad essa segue quell’elevazione al cielo alla quale Dio ci attira con il suo amore.
Oltre alla Lettera ai Filippesi, vi sono luoghi della letteratura paolina dove i temi della preesistenza e della discesa del Figlio di Dio sulla terra sono tra loro collegati. Una riaffermazione dell’assimilazione tra Sapienza, Ragione creativa, Logos, Parola del Padre e Cristo, con tutti i connessi risvolti cosmici e antropologici, si ritrova nella prima Lettera a Timoteo: “Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria” (3,16). E’ soprattutto su queste premesse che si può meglio definire la funzione di Cristo come Mediatore unico, sullo sfondo dell’unico Dio dell’Antico Testamento (1 Tm 2,5 in relazione a Is 43,1011; 44,6). E’ Cristo il vero ponte che ci guidala cielo, alla comunione con Dio.
E, finalmente, solo un accenno agli ultimi sviluppi della cristologia di san Paolo nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini. Nella prima, Cristo viene glorificato come “primogenito di tutte le creature” (1, 15-20. Questa parola “primogenito” implica che il primo fra tanti figli, il primo di tanti fratelli e sorelle, è disceso per attirarci e farci suoi fratelli e sorelle. Nella sua bontà impensabile il Padre ha voluto che l’Unigenito generato nell’identica natura divina fosse il primogenito di molti fratelli nella natura umana. Il primo dunque che è stato scelto prima della creazione del mondo è il Verbo incarnato, crocifisso e risorto, centro del cosmo e della storia, ed in Lui ciascuno di noi è stato pensato e voluto ed a sua immagine creato: “ha assunto una forma uguale alla tua” scrive un Padre della Chiesa “e ti ha adattato di nuovo alla bellezza originaria”. E’ quanto scrive l’apostolo Paolo: “Egli ci ha salvato e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia: grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità” (2 Tm 1, 9). Paolo ha compreso che quel Gesù, crocifisso e risorto, che egli ha carismaticamente incontrato sulla via di Damasco e poi verificato con le tre colonne a Gerusalemme, è colui nel quale e conformemente al quale la sua persona è stata “graziata”: pensata e voluta per amore, fin dall’eternità.
Ogni persona umana realizza se stessa solamente in Cristo. Se siamo stati pensati e voluti nel Verbo incarnato, questi è la nostra intelligibilità, la nostra Verità e la nostra Vita, il significato ultimo del nostro esserci, il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia, il tutto in rapporto al quale valutiamo gli eventi e le cose. Quindi l’avvenimento dell’incontro con Cristo cioè essere cristiani che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva non è un “optional” nei confronti del quale ogni persona può essere neutrale: una specie di “dopolavoro” che inizia quando il lavoro dell’esistere si interrompe. Ma, come scrive un grande teologo della chiesa orientale, N. Cabasilas, “mente e desiderio sono stati forgiati in funzione di Lui: per conoscere il Cristo abbiamo ricevuto il pensiero; per correre verso di Lui il desiderio, e la memoria per portarlo in noi”. La parola “avvenimento dell’incontro all’inizio dell’essere cristiani”, tante volte usata nell’evangelizzare, nell’educare alla fede, nel trasmettere umanità, trova il suo pieno significato nella pagina paolina. Avvenimento dell’incontro significa un ingresso di Cristo in noi, tale per cui siamo trasformati, assimilati a Lui, viviamo in Lui e di Lui: l’Archetipo configura a sé totalmente ogni persona (io e non più io, siamo uno in Cristo) e la rende in atto pienamente umana. La Scrittura usa tante immagini: la vite e i tralci, la comunione sponsale, la mutua in abitazione ed altre ancora. Perché un incontro del genere possa accadere, Cristo infonde in ogni uomo ciò che di più intimo, di più proprio c’è in Lui, il suo stesso Spirito, lo Spirito del Risorto. E’ Lui, lo Spirito, che realizza l’avvenimento dell’incontro di ogni uomo con il Verbo incarnato, crocifisso e risorto che rende cristiani, suo corpo cioè Chiesa. Nella Lettera agli Efesini troviamo una bella esposizione del piano di salvezza, quando Paolo dice che in Cristo Dio voleva ricapitolare tutto (Ef 1, 23). Cristo è la ricapitolazione di tutto, riassume tutto e ci guida a Dio. E così ci implica un movimento di discesa e di ascesa, invitandoci a partecipare alla sua umiltà, cioè al suo amore verso il prossimo, per essere così partecipi anche della sua glorificazione, divenendo con Lui figli nel Figlio.
La Chiesa, presenza sacramentale del Crocefisso risorto dentro al mondo, principio per capirlo e per trovare la via verso il futuro
Sul fondamento biblico di san Paolo recependo la Lumen gentium, la Gaudium et spes, il grande Magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI attraverso i Sinodi dei Vescovi, la grande esperienza dei Movimenti ecclesiali e la vitalità delle Chiese particolari indica come deve essere pensata e realizzata la presenza della Chiesa dentro il mondo di oggi.
“In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore” (GS 22,1). Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore che vuole tutti salvi svela anche pienamente l’uomo a se stesso, come fu inteso all’atto della creazione e alla luce della passione, morte e risurrezione e gli manifesta la sua altissima vocazione, come valutare gli eventi e le cose. Ogni persona umana non è una “materia”, una “massa” assolutamente informe, un semplice prodotto della natura suscettibile di essere trattato come ogni altro animale, affidato completamente ed esclusivamente alla propria libertà. Un materiale grezzo sul quale esercitare la nostra attività creatrice. Ogni persona umana, dal concepimento al termine naturale, ha una sua propria natura; ha una sua verità. E’ certamente una domanda decisiva circa ogni essere umano concreto quella che riguarda la sua origine: da dove viene, da dove deriva ogni uomo? Ma è ancora più importante la domanda circa il suo destino finale: a che cosa è destinato definitivamente ogni uomo? O la domanda equivalente: quale è la vocazione di ogni persona nel suo rapporto con Dio, con se stessa, con gli altri nella ricerca della verità e nella disponibilità all’amore?
L’interpretazione della Scrittura nella Chiesa del Concilio Vaticano II risponde alla domanda chi/che cosa è l’uomo? Quale è la vocazione di ogni essere umano concreto? La risposta viene dall’avvenimento dell’incontro con Cristo, il Verbo, la Parola di Dio incarnata. Non nel senso - e anche questo è molto importante - che Egli insegna una dottrina circa l’uomo, la verità di ogni essere umano. Ma nel senso dell’incontro con Cristo vivo, concreto che mi ama, con il quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde per capire anche il mondo di oggi e per trovare la strada nella storia. Ed è rivelando chi è Dio come “il mistero del Padre”, che l’uomo viene a sapere interamente chi è e qual è il suo definitivo destino, la sua “altissima” vocazione.
Se la verità dell’uomo (come risposta esaustiva alla domanda “chi è ogni uomo concreto”?) e il suo destino finale (come risposta alla domanda “a che cosa è destinato ogni uomo?”) è una persona, è Cristo vivo, concreto da incontrare nel suo corpo che è la Chiesa, l’apprendimento di questa verità coinvolge necessariamente la libertà così come il consenso a quel destino. Se Cristo “rivelasse all’uomo chi è l’uomo” dando semplicemente un insegnamento circa l’uomo, sarebbe sufficiente mettere in atto la nostra ragione: comprendere il contenuto di quella dottrina, verificarne la verità, la realtà. Ma poiché Cristo vivo “rivela l’uomo all’uomo” incontrandolo in Se stesso e con Se stesso, apprendere la risposta significa ed esige entrare in rapporto con Lui, parlare con Lui, ascoltarlo, risponderGli, sentirsi amati, vivere in una profonda comunione con Lui. E questo può avvenire solo liberamente, poiché propone una verità che si identifica con una persona, con la persona di Gesù, con Cristo vivo. E l’impegno cristiano non è la “dedizione ad una causa”, ma la passione per una Persona, Gesù Cristo vivo, concreto sentendosi amati.
Ma cosa significa “Cristo… proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”?
Ognuno constata in sé il desiderio di raggiungere una pienezza della nostra umanità. L’umano è una tensione verso la propria realizzazione, è un germe che ha in sé la forza di crescere e di fiorire. Nessun essere umano, maschio o femmina, può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita priva di senso se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo esperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E la Chiesa è semplicemente la continuazione della presenza di Cristo nel mondo, del dono del suo amore. La presenza del Crocefisso risorto nella Chiesa è una presenza sacramentale, è il sacramento primordiale della presenza del Risorto nel mondo con il dono del Suo Spirito e quindi dell’amore del Padre.
Sacramentale non si oppone a reale. La sacramentalità denota la modalità con cui la Chiesa è realmente la presenza del Crocefisso risorto nel mondo. La presenza reale - sacramentale è quella che si dà nel segno di un vissuto umano, come la presenza reale, vera, sostanziale nell’Eucaristia. Essa si dà non fisicamente ma sostanzialmente nel segno del pane e del vino. Così è la Chiesa. Essa è visibile come società umana, come vissuto fraterno di comunione autorevolmente guidato. Ma nel segno della sua realtà visibile c’è la presenza reale e operante di Cristo che salva l’uomo. La Chiesa è dunque nel mondo come sacramento della presenza di Cristo venuto per redimere ogni uomo; è il sacramento della presenza di Cristo, Redentore dell’uomo, “arrecando la luce che viene dal Vangelo e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che…, sotto la guida dello Spirito, riceve dal suo fondatore” (EV 1/1322). La via della Chiesa è Cristo, la via della Chiesa è ogni uomo. La Chiesa è sulla stessa strada dell’uomo; non offre e non prone all’uomo vie alternative alla vita umana quotidiana. La Chiesa è sulla via concreta del vissuto umano come lo fu Cristo: per condurre ogni uomo alla sua vera pienezza.
Il Dio in cui crediamo non è un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede con l’incarnazione un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme.
UNIVERSITA'/2. Scienze politiche: 9mila iscritti, 30 occupanti, 20 giornalisti: un esempio di protesta mediatica - Redazione - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
«Scienze Politiche: 9mila iscritti, 30 che occupano e 20 giornalisti». Così recitava un cartello appeso ieri da alcuni studenti milanesi di Scienze Politiche nel cortile di via Conservatorio – puntualmente strappato dai “rivoltosi”. La scena che si presentava agli occhi di chi giungeva nella sede distaccata della Statale di Milano era proprio questa: un manipolo di ragazzi accerchiato da inviati e cameraman. I titoli dei principali quotidiani nazionali, così come la loro versione online del pomeriggio precedente, annunciavano l’occupazione della facoltà di Scienze Politiche e l’interruzione delle lezioni. Eppure allo sprovveduto visitatore pareva che lo scoop fosse che i giornalisti non c’avessero azzeccato per niente. Le lezioni si sono svolte regolarmente. Nessuna è stata interrotta. Intorno alla trentina di persone, che nella mattinata di ieri bivaccava in mezzo al cortile di via Conservatorio, la vita procedeva tranquillamente. C’erano quasi più telecamere e fotografi che manifestanti. Del resto si era annunciata l’irruzione degli occupanti al Consiglio di facoltà delle ore 14.30. La sceneggiata è avvenuta. Il loro comunicato – tempestivamente riportato dal Corriere online – è stato letto. Subito dopo il Cdf è proseguito. Lì la maggioranza delle rappresentanze studentesche ha preso posizione contro i tentativi di blocco della didattica. In effetti un episodio di questo genere è accaduto nel tardo pomeriggio di mercoledì 22 ottobre, quando un corteo di esterni ha decretato arbitrariamente la sospensione della lezione del professor Giorgio Barba Navaretti in aula 10. Che la gran parte dei manifestanti fosse estranea alla facoltà appariva chiaro dal fatto che nessuno sapeva dove dirigersi per cercare le aule. «È un’azione violenta» ha urlato Barba Navaretti ai manifestanti. A esprimergli pubblicamente solidarietà in Consiglio di facoltà ci ha pensato il professor Graglia, quello che è finito su tutti i giornali per aver improvvisato una lezione in piazza Duomo contro i tagli previsti dalla finanziaria.
La récréation (come la definì De Gaulle) di questi improbabili barricaderos continua, ormai, da una settimana. Più sui media che nella realtà. Da questo punto di vista Scienze Politiche non è stata da meno. Anche all’Accademia di Brera è toccata la stessa sorte. All’assemblea di martedì 21 ottobre, indetta dai collettivi accademici, i partecipanti – su circa 4mila iscritti – non superavano la sessantina di persone. Il Sit-in avvenuto negli uffici del direttore e la seguente occupazione non sono durati più di mezz’ora. Terminate le foto di rito per i quotidiani del giorno dopo, i dimostranti sono stati accompagnati all’uscita. La vita in questi giorni prosegue regolarmente. Nonostante il sito di Repubblica. Non stupirebbe se nei prossimi giorni i navigatori della rete potessero anche votare chi mandare a casa tra gli occupanti. Proprio come in un vero reality show.
(Matteo Forte)
Liberiamo l'istruzione da quel blocco conservatore che si oppone al merito - Giovanni Cominelli - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
Mentre scriviamo, i media si rincorrono a raccontare di occupazioni delle scuole superiori e delle Università in tutta Italia che si allargano a macchia d’olio. Quasi un revival del ’68. La realtà però non è esattamente questa.
Ad oggi, si può parlare di una mobilitazione risicata, almeno nei numeri. Paradossalmente a questa mobilitazione ha fornito una spinta “ideale” l’appello pubblico di Berlusconi al Ministro dell’Interno a rimuovere gli eventuali “picchetti” davanti alle scuole e a dis-occupare le scuole e le Università. La reazione politica è stata immediata. Da tempo la sinistra sindacale e politica, trincerata su posizioni conservatrici riguardo alla scuola e all’Università, stava cercando di trasformare la vicenda dei tagli finanziari in una “questione democratica”.
È un topos della propaganda politica, da Togliatti in avanti. Berlusconi ha fornito un assist notevole a questa manovra. I sondaggi!, si dirà. I quali segnalano che c’è un’opinione pubblica che vuole ritorno alla severità, al rigore, all’efficienza del sistema scolastico e universitario. I sondaggi, ahinoi! stanno alla politica come la coda sta al cane. Spesso la coda dimena il cane! La verità dei fatti dice che abbiamo davanti una generazione giovane imprigionata dentro una società corporativa come la pagliuzza d’erba nel blocco di ghiaccio: strutture econonomico-sociali corporative, welfare obsoleto, mercato del lavoro che privilegia i garantiti, sistema bancario poco trasparente, poteri forti, classi dirigenti immobili, con le sedie inchiodate al pavimento, debito pubblico alle stelle. Già, il debito pubblico: esso è l’autobiografia trentennale fallimentare della classe dirigente e del Paese.
In particolare nella scuola e nell’Università si è formato un blocco storico conservatore, che si oppone con virulenza ad ogni ipotesi di riforma che preveda il merito, la valutazione, il rischio come linee di condotta. Dal 2001 al 2008 i corsi universitari sono passati dai 2.000 al record dei 9.000: l’università cresce su se stessa per moltiplicazione tumorale di corsi e cattedre, all’ombra di un’autonomia irresponsabile e inverificabile. I giovani vivono il disagio e cercano delle risposte. Il blocco conservatore – che coincide quasi tutto con la sinistra all’opposizione - risponde chiedendo più soldi da sprecare e evocando i pericoli per la democrazia.
La parte innovatrice della società e della politica non è finora stata all’altezza delle risposte necessarie. Che sono almeno due: prosciugare (con i tagli intelligenti!) tutti i canali e i rivoli dello spreco, che nei decenni hanno alimentato clientele, corporazioni, “diritti acquisiti”, sacche di corruzione; destatalizzare e de-amministrativizzare il sistema educativo e quello universitario in nome dei percorsi personali, della certificazione rigorosa delle competenze, della valutazione esterna della qualità dell’offerta, abolendo il valore legale del titolo di studio. Ma è importante che Berlusconi dica chiaramente che con la legge approvata dal Consiglio dei Ministri vi saranno i tagli e che la Gelmini parli non di “manutenzione”, ma di riforme radicali. Diversamente, se il messaggio riguarda, alla fine, solo il tema dell’ordine pubblico, nessuna risposta diretta ed efficace viene fornita alle giovani generazioni. Con ciò confermando loro che la politica è un gioco che si svolge sopra la loro testa, per finalità a loro estranee. Il rischio che si profila è il passaggio dal disagio alla rabbia.
LETTURE/ Dalla Humanae vitae alla camorra: quando la stampa sembra non voler capire il Papa - Hannibal Lector - venerdì 24 ottobre 2008 – IlSussidiario.net
I meccanismi della comunicazione giornalistica sono evidentemente molto complessi e non facili da decifrare. Tuttavia si può tentare di trovare delle linee di tendenza ed evidenziare i cliché che si vanno via via imponendo. Vorrei provare a farlo prendendo in considerazione recenti articoli su Benedetto XVI.
Prima di tutto dobbiamo considerare che quantitativamente la mole di scritti è piuttosto rilevante; il Papa fa notizia. Ma qui occorre subito prestare attenzione a che cosa del magistero pontificio viene ripreso dai giornali. La selezione degli argomenti è il primo modo per dare una interpretazione. Cosa, dunque, ha fatto notizia sulla grande stampa italiana in queste ultime settimane?
Potremmo partire dagli interveti di papa Benedetto in occasione del quarantesimo anniversario della enciclica Humanae vitae. Il tema è appetitoso, sia perché tutto ciò che lambisce la sfera del sesso risulta particolarmente attraente per i giornali, sia perché già al momento della sua promulgazione l’enciclica di Paolo VI aveva scatenato furibonde polemiche. Forse nelle redazioni si era pensato che dopo quarant’anni la Chiesa avesse cambiato posizione e, magari sull’onda delle numerose richieste di perdono per gli errori dei suoi figli, finisse per scusarsi anche dell’Humanae vitae. Quando, al contrario, Benedetto XVI ne ha riaffermato la validità, anzi l’ha definita un documento profetico, è partito l’attacco: la Chiesa è contro l’amore, s’insinua indebitamente tra le lenzuola dei fedeli, non accetta gli sviluppi della scienza e della tecnica. Tutte cose già sentite quarant’anni fa.
Così come molto vecchi sono due stratagemmi utilizzati per contrastare il pensiero del Papa; utilizzati allora sono puntualmente riapparsi anche stavolta. Il primo consiste nell’enfatizzare la distanza tra la teoria e la pratica; con tabelle alla mano si vuol dimostrare che i cristiani non seguono l’insegnamento dell’autorità della Chiesa e, quindi (in questo “quindi” sta tutta la falsità), quell’insegnamento è sbagliato. Se facessimo una statistica sulla consapevolezza con cui noi cristiani riceviamo l’eucarestia, dovremmo concludere che in quel pezzo di pane il corpo di Cristo non c’è. Ma l’autorità esiste appunto per ricordare la direzione ideale per tutti. Se sono distratto mentre faccio la comunione, ho bisogno di qualcuno che mi ridica il valore di quello che sto facendo, non che assecondi la mia distrazione.
Il secondo stratagemma è quello di tirar fuori le dichiarazioni di qualche prelato che, consenziente o meno, si presta al giochetto di «non tutti la pensano come il papa e quindi ognuno può pensarla come vuole».
Un secondo spunto di riflessioni ci viene dalle polemiche sulla beatificazione di Pio XII. La vicenda è complessa e parecchio intricata; suggerisco a chi vuole approfondirla di leggersi l’ampia intervista di Paolo Mieli su L’Osservatore Romano del 9 ottobre. Va comunque rilevato che il tono di molti articoli apparsi sull’argomento è tale per cui la Chiesa appare, in modo indimostrato, come l’imputato che si deve difendere, mentre semmai questa dovrebbe essere la conclusione dell’indagine, non il puto di partenza.
Altro capitolo riguarda il discorso di Benedetto XVI in occasione del decimo anniversario della Fides et ratio di Giovanni Paolo II. Nelle reazioni a questo discorso si vede chiaramente un’altra tattica tipica della disinformazione: si espunge una frase dal contesto e la si commenta e fa commentare a prescindere dall’insieme. Ovviamente la frase selezionata è quella che può servire a confermare le proprie posizioni. Nella fattispecie l’assunto era quello di un inesistente attacco del Papa alla scienza. Tanto meglio (vedi sopra) se a sostenere questa tesi preconcetta è qualche scienziato che si proclama cattolico: l’effetto è assicurato.
Sempre nell’ottica della presunta opposizione alla scienza è stato letto l’intervento di Benedetto XVI al sinodo dei vescovi, quando ha ricordato quello che tutti i credenti semplici hanno sempre saputo, che, cioè, la Bibbia non può essere letta esclusivamente con i semplici strumenti del’analisi storica; altrimenti, che «parola di Dio» (come sentiamo a messa tutte le volte che ne viene proclamato un brano) sarebbe? Il richiamo al fatto che la fede è unico adeguato criterio di lettura della Sacra Scrittura è invece stato interpretato da alcuni giornali come «paura» della scientificità della storia. Si noti, tra l’altro, che il crisma di scientificità viene attribuito, del tutto antiscientificamente, solo a chi distrugge il contenuto di fede della Bibbia. Un qualche giornalista che scrive un fortunato libro in cui si afferma che Cristo non ha mai detto di essere Dio sarebbe indiscutibilmente più scientifico di intere biblioteche esegetiche che dimostrano, anche scientificamente, il contrario.
Da ultimo poi la propaganda avversa al papa si può appigliare anche ai suoi silenzi. Nella sua visita pastorale a Pompei Benedetto XVI non ha denunciato la camorra? Vuol senz’altro dire che in qualche modo egli si disinteressa del bene comune, dello sviluppo, della giustizia (non si arriva a dire che è connivente con la delinquenza, ma è un passo che il lettore potrebbe fare da sé). C’è uno strano strabismo in merito agli interventi “politici” del Papa (già Giovanni Paolo II ne aveva fatto le spese). Quando il pontefice parla di quello che il giornale ritiene giusto (per criticare Benedetto che non ha parlato di camorra si è rispolverato Giovanni Paolo che ha attaccato la mafia ad Agrigento) fa semplicemente il suo dovere. Quando invece interviene su argomenti altrettanto politici, ma indigesti al giornale (ad esempio la libertà di educazione o la bioetica), allora egli pratica un’indebita «ingerenza» nella sfera politica.
Non è da pensare che le magagne della comunicazione giornalistica su questi temi scompariranno. Almeno cerchiamo di stare all’erta.
I SILENZI DEL MONDO «LIBERO» - UN’IGNAVIA DI CUI SARÀ CHIESTO CONTO - LUIGI GENINAZZI – Avvenire, 24 ottobre 2008
È ormai un’emergenza a livello internazionale, anche se non riesce a fare notizia come l’allarme per i cambiamenti climatici o l’incubo della crisi finanziaria. Stiamo parlando del mancato rispetto della libertà religiosa in molte parti del mondo, un fenomeno sempre più grave che ha assunto dimensioni inquietanti. Le violenze degli ultimi mesi contro le comunità cristiane in India e in Iraq rappresentano soltanto la punta di un iceberg molto più vasto e profondo. La conferma ci viene dal Rapporto 2008 sulla libertà religiosa nel mondo, stilato dall’associazione 'Aiuto alla Chiesa che Soffre', presentato ieri a Roma ed in altre capitali europee. Dati e cifre impressionanti che riguardano oltre 60 Paesi nei quali il diritto alla libertà religiosa è negato o fortemente limitato. Nell’elenco figurano i Paesi comunisti (Cina, Corea del Nord, Cuba), gli Stati a regime dittatoriale come il Turkmenistan e Myanmar, ed un gran numero di Paesi islamici, a cominciare dall’Arabia Saudita dove ai non musulmani è proibito professare la propria fede anche in privato. Violenze e soprusi sono purtroppo cronaca quotidiana in Nigeria, Sudan, Eritrea. Ma il continente cui va il triste primato dell’intolleranza religiosa è l’Asia, con ben 25 Stati messi sotto accusa, in prima fila Pakistan e Indonesia dove alle limitazioni e alle repressioni di carattere legale (fino alla condanna a morte) s’aggiunge il clima di odio sociale nei riguardi delle altre fedi.
Risulta evidente che l’esercizio concreto della libertà religiosa costituisce il test più significativo del grado di democrazia che vige in una nazione. E questo perché il diritto a professare la propria fede è il fondamento di ogni libertà. Riguarda la dignità dell’uomo in quanto tocca il suo rapporto con Dio, la sfera più intima della persona che qualsiasi potere o istituzione deve rispettare. «La libertà trova la sua piena cittadinanza nella religione», scriveva già Lattanzio all’indomani dell’Editto di Costantino.
Un’affermazione che dopo quindici secoli mantiene tutta la sua straordinaria attualità. Là dove anche un solo credente viene perseguitato a causa della sua fede è l’intero sistema politico e sociale che risulta traballante. E quando non si tratta di episodi isolati ma di una persecuzione sistematica, come avviene in queste settimane contro le comunità cristiane nello Stato indiano dell’Orissa o nella regione di Mosul in Iraq, l’opinione pubblica internazionale non può far finta di niente.
Quel che risulta insopportabile è la sostanziale impunità dei violenti fanatici che aggrediscono e uccidono gente inerme solo perché professa un’altra religione. L’Europa, culla della libertà, dovrebbe far sentire di più la sua voce, gridare il suo sdegno e la sua condanna ed esigere che si metta fine ad una simile barbarie. «Quando vedo la pulizia etnica in atto contro i cristiani del mio Paese mi sembra di leggere le cronache dei massacri subiti dagli armeni e dai caldei durante la Prima guerra mondiale», ha detto l’arcivescovo iracheno di Kirkuk, monsignor Louis Sako.
Succede (è accaduto in questi giorni in Italia) che i crimini del passato vengano ancora affrontati nelle aule dei tribunali dove si chiede il risarcimento delle vittime. Forse varrebbe la pena usare la stessa energia e la stessa caparbietà nel riconoscere i crimini del presente, quelli che vengono compiuti ogni giorno contro le minoranze cristiane sparse per il mondo.
«Liturgia, volto del primato di Dio» - Ratzinger: è il centro della mia vita e della mia ricerca teologica - DI GIANNI CARDINALE – Avvenire, 24 ottobre 2008
La pubblicazione del primo volume in tedesco dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger è stata l’occasione di poter leggere un nuovo testo inedito di Benedetto XVI. Il tomo presentato ieri l’altro infatti si apre con una Prefazione firmata dal Papa con la data della festa dei santi Pietro e Paolo (29 giugno) 2008. Nel testo, pubblicato per ora solo in tedesco, il Pontefice spiega perché ha desiderato che il primo volume dell’opera è stato dedicato ai suoi scritti sulla liturgia e ribadisce con teutonica puntigliosità la presa di posizione sul modo di celebrare Messa «con le spalle rivolte al popolo» che fece da cardinale non senza suscitare alcune polemiche.«Il Concilio Vaticano II – comincia la Prefazione – iniziò i suoi lavori con la discussione dello 'Schema sulla Sacra Liturgia', che poi venne solennemente votato il 4 dicembre 1963 come primo frutto della grande assise della Chiesa con il rango di una Costituzione. Che il tema della liturgia si trovasse all’inizio dei lavori del Concilio e che la Costituzione sulla liturgia divenisse il suo primo risultato venne considerato a prima vista piuttosto un caso». «Dalla commissione preparatoria – ricorda il Papa – era stata messa insieme un’ampia serie di progetti. Ma mancava una bussola per poter trovare la strada in questa abbondanza di proposte. Fra tutti i progetti il testo sulla Sacra Liturgia sembrò quello meno controverso. Così esso apparve subito adatto per così dire come una specie di esercizio con il quale i Padri potessero apprendere i metodi del lavoro conciliare ». Ma nella storia della Chiesa non tutto accade per caso. E infatti Benedet- to XVI prosegue: «Ciò che a prima vista potrebbe sembrare un caso, si rivela, guardando alla gerarchia dei temi e dei compiti della Chiesa, come la cosa anche intrinsecamente più giusta. Cominciando con il tema 'liturgia', si mise inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la priorità del tema 'Dio'. Dio innanzitutto, così ci dice l’inizio della Costituzione sulla liturgia. Quando lo sguardo su Dio non è determinante ogni altra cosa perde il suo orientamento. Le parole della Regola benedettina Ergo nihil Operi Dei praeponatur (Quindi non si anteponga nulla all’Opera di Dio) valgono in modo specifico per il monachesimo, ma hanno valore come ordine delle priorità, anche per la vita della Chiesa e di ciascuno nella sua rispettiva maniera ». «È forse utile qui – prosegue il Papa – ricordare che nel termine 'ortodossia' la seconda metà della parola,
doxa, non significa 'opinione', ma 'splendore', 'glorificazione': non si tratta di una corretta 'opinione' su Dio, ma di un modo giusto di glorificarlo, di dargli una risposta. Poiché questa è la domanda fondamentale dell’uomo che comincia a capire se stesso nel modo giusto: Come debbo io incontrare Dio? Così, l’apprendere il modo giusto dell’adorazione – dell’ortodossia – è ciò che ci viene donato soprattutto dalla fede».
A questo punto il Papa spiega il motivo che lo ha portato a far iniziare la sua Opera omnia dalla liturgia. E scrive: «Quando ho deciso, dopo qualche esitazione, di accettare il progetto di una edizione di tutte le mie opere, mi è stato subito chiaro che vi dovesse valere l’ordine delle priorità del Concilio, e che quindi il primo volume ad uscire doveva essere quello con i miei scritti sulla liturgia. La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l’attività centrale della mia vita, ed è diventata, alla scuola teologica di maestri come Schmaus, Söhngen, Pascher e Guardini, anche il centro del mio lavoro teologico. Come materia specifica ho scelto la teologia fondamentale, perché volevo innanzitutto andare fino in fondo alla domanda: 'Perché crediamo?'. Ma in questa domanda era inclusa fin dall’inizio l’altra sulla giusta risposta da dare a Dio, e quindi anche la domanda sul servizio divino. Proprio da qui debbono essere intesi i miei lavori sulla liturgia. Non mi interessavano i problemi specifici della scienza liturgica, ma sempre l’ancoraggio della liturgia nell’atto fondamentale della nostra fede e quindi anche il suo posto nella nostra intera esistenza umana ». A questo punto il Papa nella Prefazione
spiega che il testo centrale del libro è l’opera Lo spirito della liturgia pubblicato nel 2000 e offre un gustoscussione L’«Opera Omnia» di Benedetto XVI si apre con il volume dedicato agli scritti sulla liturgia Il perché lo spiega una «prefazione» dello stesso Papa, inedita in italiano so retroscena. «Purtroppo , quasi tutte le recensioni (della predetta opera, ndr) si sono gettate su un unico capitolo: 'L’altare e l’orientamento della preghiera nella liturgia'. I lettori delle recensioni hanno dovuto dedurne che l’intera opera abbia trattato solo dell’orientamento della celebrazione e che il suo contenuto si riduca a quello di voler reintrodurre la celebrazione della Messa 'con le spalle rivolte al popolo'». «In considerazione di questo travisamento – ecco la rivelazione del Papa – ho pensato per un momento di sopprimere questo capitolo (di appena nove pagine su duecento) per poter ricondurre la di- sul vero argomento che mi interessava e continua ad interessarmi nel libro. Questo sarebbe stato tanto più facilmente possibile per il fatto che nel frattempo sono apparsi due eccellenti lavori nei quali la questione dell’orientamento della preghiera nella Chiesa del primo millennio è stata chiarita in modo persuasivo. Penso innanzitutto all’importante piccolo libro di Uwe Michael Lang,
Rivolti al Signore (edizione italiana: Cantagalli), ed in modo del tutto particolare al grosso contributo di Stefan Heid, Atteggiamento ed orientamento della preghiera nella prima epoca cristiana (in Rivista dell’Archeologia cristiana 72-2006), in cui fonti e bibliografia su tale questione risultano ampiamente illustrate e aggiornate. Il risultato è del tutto chiaro: l’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo non pregano certamente uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il Cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della sua Passione ( Gv 17,1) ». «Intanto – aggiunge Benedetto XVI – si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione nella mia opera: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo».
Ma il Papa non vuole essere coinvolte nelle 'guerre liturgiche' pure in corso. E infatti scrive: «Ma con questo ho forse detto troppo di nuovo su questo punto, che rappresenta appena un dettaglio del mio libro, e che potrei anche tralasciare. L’intenzione fondamentale dell’opera era quella di collocare la liturgia al di sopra delle questioni spesso grette circa questa o quella forma, nella sua importante relazione che ho cercato di descrivere in tre ambiti che sono presenti in tutti i singoli temi». E i tre ambiti citati dal Papa sono: l’intimo rapporto tra Antico e Nuovo Testamento; il rapporto con le religioni del mondo; il carattere cosmico della liturgia. «Sarei lieto – conclude il Papa prima dei ringraziamenti di rito – se la nuova edizione dei miei scritti liturgici potesse contribuire a far vedere le grandi prospettive della nostra liturgia e a far relegare nel loro giusto posto certe grette controversie su forme esteriori ». L’ Opera omnia di Ratzinger è pubblicata in tedesco da Herder di Friburgo. La versione italiana è curata dalla Libreria editrice Vaticana, e del volume che ospita la citata prefazione è prevista l’uscita a marzo; ne cura la pubblicazione una commissione presieduta dall’arcivescovo Angelo Amato (prefetto della Congregazione delle cause dei santi) e comprendente Elio Guerriero e padre Edmund Caruana; i traduttori sono Eulalia Biffi e Edmondo Coccia.
La proposta: «Con la croce posta al centro dell’altare, sacerdote e popolo possono guardare insieme all’unico Signore»
«Aiuto per mia figlia», e s’incatena – Avvenire, 24 ottobre 2008
«Non cerco l’elemosina ma solo un lavoro per dare da mangiare alla mia famiglia e una speranza ad Annabella. Mi pare lo preveda anche la Costituzione italiana». Amare le parole di Antonio Carone, 48 anni, disoccupato, che a metà ottobre ha lanciato il suo grido d’aiuto incatenandosi dinanzi al municipio di Ricadi, poche migliaia di anime in provincia di Vibo Valentia, e ieri mattina ha riannodato le maglie attorno al collo e ai polsi, replicando la protesta davanti alla sede della Regione Calabria a Catanzaro. Due iniziative plateali dopo mesi d’inutili richieste d’aiuto per garantire cure adeguate alla figlia cerebrolesa. Annabella ha 14 anni e un corpicino limato dall’immobilismo e dalla lunga sofferenza. È bloccata a letto dalla nascita, e collegata a tubi e tubicini che sono il suo unico legame con la vita assieme all’affetto dei suoi genitori. Riesce a muovere solo la testa. La ragazzina ha bisogno d’assistenza continua e spesso costosa, cosa che può essere un problema in una regione come la Calabria, dove la sanità pubblica offre un volto non sempre impeccabile.
Ma la storia di Annabella non è una storia di malasanità, bensì di malasocietà.
D’una società che in questo come in molti altri casi nega un diritto fondamentale: il lavoro.
Antonio Carone riesce a trovare occupazione solo in estate grazie alla richiesta di braccia nell’industria delle vacanze. Quest’angolo di Calabria per quattro, cinque mesi l’anno si trasforma in un Eldorado turistico illuminato dalla stella Tropea e affollato da decine di migliaia di vacanzieri provenienti dai quattro angoli del mondo per godersi la costa tirrenica e le bellezze dell’entroterra.
Antonio lavora come custode notturno in un villaggio turistico e per arrotondare, quando stacca con quell’impiego, invece di andare a casa a riposare, sale sul camion della ditta che si occupa della raccolta dei rifiuti soldi urbani. Ma quando arriva l’autunno e i villeggianti fanno le valigie, inevitabilmente alberghi, resort e ristoranti riducono l’attività e Antonio Carone, come molti altri, resta disoccupato. Si arrangia con qualche lavoretto in campagna ma guadagna poco. Troppo poco. L’aumento del costo della vita lo relegherebbe nella categoria degli italiani sotto la soglia di povertà anche se non ci fossero le spese per le medicine e per l’assistenza di cui ha bisogno Annabella. A cominciare dal costo salato della bolletta dell’Enel; il respiratore meccanico che tiene in vita la piccola e le altre attrezzature, sue inseparabili compagne di vita, consumano molta energia elettrica. Altri 250 euro li porta via ogni mese l’affitto della casetta di Brividi, frazione di Ricadi, in cui vivono anche sua moglie Sandra e l’altro figlioletto, Stefano, nato quattro anni dopo Annabella cui tra l’altro è legatissimo. Lo Stato fa quello che può con una pensione di 450 euro mensili e col pagamento di un infermiere che assiste la bambina sette giorni su sette, ma per sole sei ore. Per tre giorni, invece, è seguita da una fisioterapista che cerca di tenerle in movimento gambe e braccia.
Ma nonostante questi aiuti e la solidarietà che nei piccoli centri più che altrove non manca mai, la famiglia non ce la fa ad andare avanti. Così come Antonio Carone non ce la fa più a tenersi tutto dentro. In fondo non chiede altro che un lavoro e magari un alloggio popolare per risparmiare quei 250 euro che darebbero respiro all’anoressico bilancio familiare.
«Quando ho chiesto aiuto al sindaco – racconta – stringendosi nelle spalle mi ha detto che la Regione non manda i fondi per l’assistenza. Ho chiesto pure che mi venisse assegnato un alloggio per potere risparmiare sul costo dell’affitto, ma sinora non ho avuto risposte. Ho bussato a tutte le porte, dal Comune alla Provincia. Ho inviato una lettera alla Regione e un’altra alla Prefettura, ma non ho concluso nulla. Non ce la faccio più».
Dopo che si è incatenato al municipio di Ricadi, iniziativa che ha acceso i riflettori nazionali sul suo dramma, Antonio ha ricevuto la visita, tra l’altro, di due assessori provinciali di Vibo Valentia, che hanno promesso di attivarsi per risolvere il problema. Ma ancora non ha avuto notizie. Rassicurazioni sono giunte pure quando, ieri mattina, si è incatenato alla Regione chiedendo di parlare col presidente Agazio Loiero, e pregandolo di non fargli rimpiangere d’essere tornato dalla Germania dov’era emigrato con la famiglia quando Annabella aveva solo tre mesi: «Guadagnavo bene facendo il cuoco – sbotta Antonio Carone – ma quattro anni fa siamo tornati con la speranza di poter curare meglio la bambina e nello stesso tempo di avere un lavoro stabile con cui tirare avanti. E invece questa mia speranza non si è realizzata».
«Malasocietà» in Calabria: il padre di una ragazzina disabile dalla nascita, disoccupato, si lega ai cancelli della Regione: chiede un alloggio popolare e un lavoro per mantenere la famiglia e pagare medicine e assistenza
Domenico Marino
«Beatificazione di Pio XII, no alle ingerenze» - DA ROMA - PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 24 ottobre 2008
U n’intervista del ministro per gli Affari sociali di Israele, Isaac Herzog, al quotidiano
Hareetz riaccende la polemica sulla beatificazione di Pio XII. Secondo il ministro, che è anche responsabile degli Affari della Diaspora, della lotta all’antisemitismo e dei rapporti con le comunità cristiane, il «tentativo» di farlo diventare santo sarebbe «inaccettabile».
«Durante il periodo dell’Olocausto il Vaticano sapeva molto bene quello che stava accadendo in Europa», insiste Herzog, secondo il quale non vi sarebbe «alcuna prova, per ora, di alcun provvedimento preso dal Papa che, come Santa Sede, avrebbe potuto ordinare». Addirittura il processo di beatificazione, a detta dell’esponente del governo israeliano, sarebbe una forma di «sfruttamento dell’oblio» rispetto a quei fatti, e testimonierebbe «un’assenza di consapevolezza».
Un motivato no comment è la risposta del direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi: «Non ho nulla da dire, non voglio alimentare la polemica ». «Stupisce – osserva il postulatore della causa di beatificazione di Pacelli, padre Paolo Molinari – che un ministro dello Stato di Israele faccia un intervento con cui si ingerisce con un affare che, per la sua natura, è interno alla Chiesa cattolica». Molinari si dice altrettanto stupito per l’affermazione di Herzog secondo cui non vi sarebbe alcuna testimonianza di passi concreti in difesa degli ebrei. Il postulatore ribatte citando le affermazioni di autorevoli esponenti, dal primo ministro Moshe Sharrett e, da quello degli Esteri Golda Meir (diventata anch’essa primo ministro), allo storico Martin Gilbert, inglese di origine ebraica tra i più noti studiosi dell’Olocausto. A «titolo personale» interviene il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, che firmò per il Vaticano le relazioni diplomatiche con Israele, sottolineando che «la Santa Sede ha un atteggiamento responsabile ma certe intromissioni nelle cose interne della Chiesa annoiano: sono giudizi esterni; certo il Papa è sensibile, ha scelto un momento di riflessione, però non bisogna disturbarlo con dichiarazioni per obbligarlo in un modo o nell’altro. Ciascuno abbia responsabilità nell’ambito delle sue competenze».
Anche l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Mordechay Lew ammette che la beatificazione di Pio XII è una «questione interna alla Chiesa cattolica». I dissensi tra Israele e Vaticano riguardano invece «il ruolo storico» di papa Pacelli. A suo giudizio, comunque, questo aspetto verrà chiarito soltanto «con l’apertura degli archivi vaticani». Alla domanda se questa vicenda stia o meno influenzando la possibilità di un viaggio papale in Israele, l’ambasciatore risponde: «Il Papa è il benvenuto in Israele, è stato invitato, e spetta a lui decidere tempi e modi, noi non interferiamo in questo».
Su quanto avvenuto ieri da registrare la rubrica Sacri palazzi
de Il Foglio online dal titolo «Non sarà un ministro straniero a interrompere la causa di Pio XII». Da buona fonte, anzi, «si ribadisce» che già da prima dell’estate «è chiara la volontà nei Sacri Palazzi di pubblicare il decreto sulle virtù eroiche». Ma prima di questo passo è stato dato incarico a padre Ambrosius Eszer, domenicano tedesco molto autorevole e stimatissimo dal Papa, di dare un’ultima revisione ad alcuni faldoni di documenti. «Il lavoro di padre Eszer, che è stato fino a poco tempo fa relatore generale della Congregazione delle cause dei santi, sta procedendo celermente e quindi – afferma Sacri palazzi – non è escluso che entro l’anno, o subito dopo, venga dato l’annuncio ». Questo non vuol dire ovviamente che Pio XII sarà automaticamente beatificato.
Il Giornale n. 255 del 2008-10-24 pagina 13 - Dai soldi al maestro unico: ecco le bugie in piazza - di Redazione - Prof e studenti sono sul piede di guerra, ma dietro molte rivendicazioni ci sono solo falsità
Licei occupati, notte bianca, manifestazioni. Slogan e striscioni, spesso suoni vuoti. La protesta del mondo della scuola (studenti e professori insieme, ma solo in sfilata) contro la riforma Gelmini prosegue, cresce, ma si nutre di se stessa, più che di fatti. Il decreto rimane un totem sullo sfondo: da abbattere, indipendentemente dal contenuto.
E allora, che cosa c'è di vero nelle accuse al ministro, quelle prima «suggerite» dai sindacati e poi accolte sulla fiducia da insegnanti e ragazzi? Il punto più contestato sono i tagli alle spese della macchina scolastica, gigantesca e dispendiosa e non sempre oculata. L'obiettivo è risparmiare quasi 8 miliardi in tre anni, che il ministro vuole reinvestire, in parte, proprio nella scuola. Quindi: non è vero che la riforma toglierà risorse agli istituti e non è vero che lascerà gli insegnanti a secco. È il contrario: dal totale risparmiato due miliardi saranno destinati, in parti quasi uguali, all'innovazione da un lato e, dall'altro, a gratificare i docenti con un bonus annuale da 5 a 7mila euro. I soldi per l'innovazione sembrano pochi? Fino ad ora, nel bilancio dell'Istruzione, occupano un microscopico 0,3 per cento.
Sul maestro unico circolano fraintendimenti plurimi (innanzitutto: sarà sempre affiancato da un docente di inglese), il più ideologico è quello secondo cui costringerà molte elementari a ridurre il tempo pieno, penalizzando i bimbi più poveri. Non è vero: grazie al maggior numero di maestri disponibili, il tempo pieno aumenterà del 50 per cento.
Un'altra bugia clamorosa, forse motivata dal terrore dei ragazzi di dover studiare di più, riguarda le ore di lezione. Gli avversari della Gelmini hanno gridato alla riforma «repressiva e autoritaria» e lo slogan, magari, ha tratto in inganno tanti studenti, convinti che dovranno rimanere ancora più tempo fra i banchi. Non è così: ai tecnici e professionali le ore passeranno da 36 a 32 a settimana, nei licei da 33 a 30. Il principio, che a qualcuno potrà sembrare pericoloso, è che conti di più la qualità del lavoro, non la quantità.
È vero che in molte scuole sarà abolito il tempo pieno?
È da settembre che i sindacati attaccano la riforma Gelmini su questo punto, sostenendo che il ritorno al maestro unico provocherà anche una riduzione del tempo pieno. Eppure il ministro ha chiarito, fin dall'inizio, che sarebbe avvenuto l'esatto contrario: «Con il maestro unico il tempo pieno aumenterà, non ci sarà una diminuzione del servizio». La previsione è che aumenti del 50 per cento e, a garantirlo, ci sarà il fatto di avere un numero maggiore di maestri a disposizione: visto che ci sarà un insegnante per classe, infatti, nelle scuole primarie ci saranno più docenti «liberi».
È vero che i tagli alle spese ruberanno risorse per l'innovazione?
È vero che la riforma prevede risparmi significativi: quasi 8 miliardi in tre anni. Ma il ministro ha chiarito di non voler penalizzare la formazione e l'innovazione. Anzi. Il piano prevede di reinvestire parte dei soldi risparmiati (due miliardi di euro) in parte per gratificare i prof e, in parte, per l'innovazione delle scuole. Cioè quella voce del bilancio dell'istruzione che, fino ad ora, ha rappresentato un misero 0,3 per cento (rispetto al 97 per cento costituito dagli stipendi). I soldi saranno investiti per le dotazioni tecnologiche, il rinnovamento delle strutture e la formazione.
È vero che per risparmiare sono penalizzati gli stipendi dei prof?
Al contrario. I soldi risparmiati grazie ai tagli alle spese in eccesso saranno destinati a innalzare il livello di prestigio degli insegnanti attraverso dei «premi» in denaro. Si tratta dei famosi due miliardi da dividere fra innovazione e gratifiche agli insegnanti. A questi ultimi dovrebbero toccare circa 850 milioni di euro, a partire dal 2010, in forma di bonus annuale che varierà fra i 5mila e i 7mila euro. All'inizio il bonus riguarderà una cerchia ristretta di insegnanti; poi, dal 2012, il «premio» sarà destinato a 257mila insegnanti, cioè circa il 40 per cento del totale.
È vero che gli studenti avranno più ore di lezione?
Fra le accuse degli avversari al ministro Gelmini c'è quella secondo cui la riforma sarebbe «autoritaria e repressiva» e, fra le bugie che hanno trovato orecchie disponibili (soprattutto fra gli studenti), perfino che saranno aumentate le ore di lezione. Ma è l'esatto opposto: alle superiori sono previste meno ore settimanali. In particolare, negli istituti tecnici e professionali è in programma una riduzione delle ore da 36 a 32 alla settimana; nei licei classici, scientifici, linguistico e delle scienze umane è prevista una diminuzione del monte ore da 33 a 30 alla settimana.
È vero che per fare cassa è stata abolita l'educazione civica?
Anche in questo caso è vero l'esatto contrario. Una delle novità della riforma Gelmini è proprio quella di aver reintrodotto lo studio dell'educazione civica come materia obbligatoria nelle scuole. L'apprendimento dei principi della Costituzione, quindi, diventa uno dei cardini dell'educazione dei ragazzi. Il nome della disciplina sarà «Cittadinanza e Costituzione »: si tratta di un «grande ritorno» dopo gli alti e bassi (soprattutto i secondi) vissuti dalla materia introdotta per la prima volta nella scuola italiana dall'allora ministro Moro che, nel lontano 1958, la abbinò allo studio della storia.
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